ACCORDO DI PROGRAMMA
ACCORDO DI PROGRAMMA
PER L’APPROVAZIONE E L’ATTUAZIONE DEL PIANO DI ZONA DEL DISTRETTO N.1 – COMUNI DI COLLEGNO E DI GRUGLIASCO - DELL’AZIENDA SANITARIA N. 5.
TRIENNIO 2006 – 2008.
Tra
LA PROVINCIA DI TORINO
in persona del Presidente Xxxxxxxx Xxxxxx
IL COMUNE DI COLLEGNO
in persona del Xxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxxx
IL COMUNE DI GRUGLIASCO
in persona del Sindaco Xxxxxxxx Xxxxx’
L’AZIENDA SANITARIA LOCALE N.5
in persona del Commissario Xxxxxxx Xxxxxx
IL CONSORZIO INTERCOMUNALE DEI SERVIZI ALLA PERSONA (CISAP)
In persona del Presidente Xxxxxxx Xxxx.
Premesso:
• che ai sensi dell’articolo 13 del D.Lgs.267/2000 e successive modificazioni ed integrazioni, “Testo unico delle leggi sull’ordinamento locale” il comune è l’ente titolare delle funzioni amministrative relative ai settori organici dei “Servizi alla persona e alla comunità”;
• che ai sensi dell’articolo 6, comma 2, lettera b) della legge regionale 8 gennaio 2004, n.1 “Norme per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di riferimento”: “Il Sindaco è il titolare delle funzioni di tutela socio sanitaria e del diritto alla salute per i suoi cittadini in applicazione di quanto disposto del d.lgs.502/1992 e successive modificazioni”;
• che l’articolo 17 della citata legge regionale prevede che “I comuni singoli od associati, a tutela dei diritti della popolazione, d’intesa con le ASL nelle forme previste dall’articolo 3 quater, comma 3, lettera c), del d.lgs.502/1992 e successive modificazioni per quanto attiene alle attività di integrazione socio – sanitaria, provvedono a definire il piano di zona ai sensi dell’articolo 19 della l.328/2000 che rappresenta lo strumento fondamentale e obbligatorio per la definizione del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali del territorio di competenza”;
• che l’articolo 22 della citata legge regionale “identifica nel bisogno il criterio di accesso al sistema integrato di interventi e servizi sociali e riconosce a ciascun cittadino il diritto di esigere, secondo le modalità previste dall’ente gestore istituzionale, le prestazioni sociali di livello essenziale di cui all’articolo 18, previa valutazione dell’ente medesimo e secondo i criteri di priorità di cui al comma 3”;
• che, per quanto attiene all’area dell’integrazione socio sanitaria, “Le Aziende sanitarie locali (ASL) assicurano” – in ottemperanza al disposto dell’articolo 7 della legge regionale 1/2004
- “secondo la normativa vigente e secondo le modalità individuate nei piani attuativi aziendali, nei programmi delle attività territoriali e nei piani di zona, le attività sanitarie a rilievo sociale e le prestazioni ad elevata integrazione sanitaria garantendone l’integrazione, su base distrettuale, con le attività sociali a rilievo sanitario di competenza dei comuni”;
• che il DPCM 29 novembre 2001, “Definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza”, allegato 1, punto 1.C), e la successiva D.G.R 51 – 11389 del 23.12.2003, “DPCM 29 novembre 2001, allegato 1, punto 1.C). Applicazione Livelli Essenziali di Assistenza all’area dell’integrazione sanitaria” hanno individuato i livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantite a tutti gli assistiti a livello nazionale e regionale;
• che l’Azienda sanitaria locale n.5 e gli Enti gestori degli ambiti territoriali ad essa afferenti hanno provveduto – con “Accordo di Programma” valido per il quinquennio 2004/2008 – a dare attuazione alle disposizioni contenute nella D.G.R 51 – 11389 del 23.12.2003 individuando gli interventi e le prestazioni da assicurare agli assistiti a livello aziendale con riferimento: all’articolazione delle cure domiciliari nella fase di lungo assistenza; all’articolazione dell’assistenza territoriale, semi residenziale e residenziale a favore di anziani non autosufficienti; all’articolazione dell’assistenza territoriale, semi residenziale e residenziale a favore delle persone con handicap.
Considerato:
• che ai sensi dell’articolo 34 del D.Lgs.267/2000 e successive modificazioni ed integrazioni è consentito alle amministrazioni comunali, di province e regioni, dello Stato e di altri soggetti pubblici di sottoscrivere “Accordi di Programma” per la definizione e l’attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa realizzazione, una azione coordinata ed integrata;
• che ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge regionale 1/2004 “il piano di zona, definito secondo le indicazioni del piano regionale di cui all’articolo 16 e con la partecipazione di tutti i soggetti attivi nella programmazione, è approvato tramite accordo di programma promosso e approvato dal legale rappresentante dell’ente gestore al quale il piano afferisce”;
• che ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge regionale 1/2004 “La parte dei piani di zona relativa alle attività di integrazione socio sanitaria trova obbligatoria corrispondenza nella parte dei programmi di attività distrettuale contenuta nei piani attuativi aziendali per garantire la preventiva convergenza di orientamenti dei due comparti interessati, l’omogeneità di contenuti, tempi e procedure”;
Tutto ciò premesso e considerato, le parti interessate convengono e stipulano il seguente:
Accordo di programma per l’approvazione e l’attuazione del piano di zona del distretto n.1 – Comuni di Collegno e Grugliasco – dell’Azienda sanitaria locale n. 5 ai sensi dell’articolo 19 della legge 328/2000 e 17 della legge regionale 1/2004.
ART.1 OGGETTO.
1. Forma oggetto del presente accordo l’approvazione e l’attuazione del piano di zona definito dai Comuni di Collegno e di Grugliasco - d’intesa con l’Azienda sanitaria locale n. 5, distretto n. 1, per quanto attiene alle attività di integrazione socio sanitaria – previa concertazione con i soggetti del terzo settore e con quelli di cui all’articolo 1, comma 6, della legge 328/2000.
2. Il piano di zona è lo strumento di attuazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali con il quale i Comuni di Collegno e Grugliasco intendono promuovere una migliore qualità di vita, pari opportunità, non discriminazione e tutelare il diritto all’assistenza sociale ed alle prestazioni socio sanitarie della popolazione dell’ambito territoriale del distretto n. 1.
3. Il piano di zona anni 2006 / 2008 dell’ambito di Collegno e Grugliasco, comprende i seguenti contenuti, descritti nel documento allegato che – unitamente alla premessa ed alle considerazioni introduttive - costituisce parte integrante del presente accordo:
a) il processo e il metodo;
b) analisi del contesto territoriale;
c) analisi del contesto demografico;
d) analisi dei bisogni e delle risorse locali;
e) le strategie e le priorità di intervento locali;
f) gli obiettivi e le azioni rispetto alle priorità definite;
g) le modalità di integrazione tra gli attori del sistema;
h) le risorse strumentali, professionali e finanziarie;
i) il sistema informativo: monitoraggio, valutazione e comunicazione;
j) la formazione di base e permanente.
4. All’accordo di programma partecipano i soggetti pubblici di cui al comma 1 dell’articolo 17 della legge regionale 1/2004, le aziende pubbliche dei servizi alla persona, i soggetti del terzo settore che concorrono investendo direttamente proprie risorse umane, finanziarie o patrimoniali nella realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, nonché la Provincia di Torino, per i servizi di supporto e di area vasta svolti dalla medesima.
ART.2 FINALITA’.
1. Con il presente atto le Amministrazioni sottoscriventi approvano il piano di zona dei Comuni di Collegno e Grugliasco, relativo al triennio 2006 – 2008, elaborato nel rispetto della legge regionale 1/2004 e delle priorità definite dalla programmazione socio sanitaria regionale.
2. Le parti coinvolte si obbligano altresì a rispettare i principi, le linee di intervento, gli obiettivi e le azioni che saranno alla base della sua attuazione dando atto che risulta necessario:
a) promuovere il benessere sociale sviluppando il complesso dei “servizi alla persona e alla comunità” e non semplicemente agendo sul versante dei servizi sanitari e di quelli socio assistenziali. Questi servizi possono infatti solamente contribuire a migliorare una “qualità della vita” dei cittadini che viene però in molta parte determinata dalle politiche sociali dei Comuni di Collegno e di Grugliasco. Da ciò consegue che i servizi sanitari e quelli socio assistenziali devono integrarsi tra loro, ma devono anche connettersi con gli interventi dell’istruzione, con le politiche attive della formazione, del lavoro, della casa, ecc.;
b) assicurare – attraverso il Consorzio Intercomunale dei Servizi Alla Persona – a ciascun cittadino che ne abbia titolo ai sensi dell’articolo 22, comma 2, della legge regionale 1/2004 e che sia residente nell’ambito intercomunale, il diritto di esigere – secondo le modalità ed i criteri previsti dalla deliberazione dell’Assemblea Consortile n. 2 del 22.2.2006 “Individuazione dei destinatari degli interventi e dei servizi sociali consortili e definizione dei loro diritti” – le prestazioni sociali di livello essenziale di cui all’articolo 18 della legge regionale 1/2004 garantendo ad essi il ricorso per opposizione contro l’eventuale motivato diniego ad erogare le prestazioni richieste;
c) assicurare – attraverso il distretto sanitario n. 1 dell’Azienda sanitaria locale n. 5 - a ciascun cittadino che ne abbia titolo secondo la normativa vigente e secondo le modalità individuate nei piani attuativi aziendali, nei programmi della attività territoriali e
nello stesso piano di zona, le attività sanitarie, sanitarie a rilievo sociale e le prestazioni ad elevata integrazione sanitaria, garantendone l’integrazione, su base distrettuale, con le attività sociali e rilievo sanitario di competenza del Consorzio.
ART.3
MODALITA’ DI CONCERTAZIONE
1. Gli attori del sistema di locale integrato di interventi e servizi sociali delineato nel Piano di Zona si riconoscono nel metodo del confronto ed individuano, nella concertazione tra le parti sociali, lo strumento portante della pianificazione, della programmazione e della valutazione degli interventi.
2. La concertazione e la cooperazione regolano quindi i rapporti tra i diversi livelli istituzionali, nonché tra questi e gli organismi non lucrativi di utilità sociale, la cooperazione, le associazioni e degli enti di patronato, il volontariato, gli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese che operano nel settore per l’organizzazione e la gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.
3. Come previsto dall’articolo 14, comma 2, della legge regionali 1/2004 le istituzioni locali adottano inoltre il criterio operativo della concertazione anche nell’ambito dei rapporti con le Organizzazioni Sindacali Confederali e di categoria rappresentative a livello zonale.
4. L’Azienda sanitaria, i Comuni ed il loro Consorzio concertano infine la programmazione dei processi di tutela della salute - e, nell’ambito di questi, delle prestazioni socio sanitarie integrate – in quanto connessi con gli interventi dell’istruzione, delle politiche attive della formazione, del lavoro, della casa, della sicurezza sociale, comunque rivolti alla prevenzione ed alla eliminazione o alla riduzione delle condizioni di bisogno e di disagio.
5. Le strutture amministrative delle suddette istituzioni adottano pertanto il principio della condivisione delle procedure tra pubbliche amministrazioni al fine di perseguire obiettivi di semplificazione, integrazione, efficacia ed efficienza e di facilitare l’accesso dei cittadini ai servizi.
6. Il metodo della concertazione si realizza attraverso la convocazione di tavoli tra le Istituzioni locali, le Organizzazioni Sindacali ed i soggetti del Terzo Settore in coincidenza con le scadenze di programmazione annuale e pluriennale delle Amministrazioni aderenti all’accordo di programma con il quale viene approvato il Piano di Zona. Ciò al fine di verificare la coerenza degli atti programmatori con il Piano relativo al triennio 2006 – 2008.
7. Si darà inoltre luogo alla convocazione di tavoli “specifici” ove si renda necessario decidere dell’allocazione di nuove risorse e/o di effettuare riduzioni di spesa. In modo analogo si procederà nei casi in cui si debba procedere a variare la programmazione o i criteri di erogazione degli interventi e delle prestazioni che formano oggetto del Piano.
ART.4
MODALITA’ DI INTEGRAZIONE ISTITUZIONALE
1. L’organismo che assume il coordinamento istituzionale dei processi di programmazione concertata viene individuato nel Comitato dei Sindaci del Distretto
n. 1 - integrato con la presenza del Direttore generale dell’Azienda sanitaria locale n.
5 - che si avvale del supporto dell’Ufficio di piano al quale spetta l’esercizio delle funzioni, di coordinamento e di gestione, relative alle azioni attuative.
2. Fanno parte dell’Ufficio di piano: i funzionari del Servizio Solidarietà Sociale della Provincia di Torino, i dirigenti dei settori delle Politiche Sociali dei Comuni, il direttore del Consorzio ed il direttore del Distretto. A questi ultimi compete, nello specifico, la direzione – a responsabilità congiunta – della struttura distrettuale funzionale per le attività integrate (preposta alla gestione unitaria degli interventi socio sanitari) e l’amministrazione concertata del relativo budget finanziario.
3. Il Comitato dei Sindaci provvede ad approvare i programmi annuali di attuazione, a livello distrettuale, della pianificazione pluriennale e ad attivare e ad espletare i processi di concertazione indicati nel presente capitolo, in particolare nell’ambito dei rapporti con le Organizzazioni Sindacali confederali e di categoria rappresentative a livello zonale.
4. Il Comitato dei Sindaci e l’Ufficio di piano operano con il supporto della Provincia di Torino che – come previsto dall’articolo 5, comma 2, lettere a), b), c), d), e), i) della legge regionale 1/2004 - può svolgere le seguenti funzioni:
a) partecipazione all’elaborazione degli strumenti di programmazione previsti dalla normativa regionale;
b) raccolta ed elaborazione dei dati sui bisogni, sulle risorse pubbliche e private e sull’offerta di servizi del territorio di competenza;
c) coordinamento degli interventi territoriali su richiesta degli Enti locali interessati;
d) promozione di forme di coordinamento tra gli Enti gestori istituzionali ed i soggetti del Terzo Settore;
e) diffusione, di concerto con gli Enti gestori istituzionali, dell’informazione in materia di servizi sociali sul territorio di competenza;
f) realizzazione di altri interventi per la promozione e l’integrazione dei servizi sociali locali
ART.5
MODALITA’ DI INTEGRAZIONE CON LA COOPERAZIONE SOCIALE
1. I Comuni, il Consorzio e l’Azienda sanitaria, in ottemperanza alle disposizioni normative vigenti, riconoscono ed agevolano:
a) il ruolo della cooperazione sociale di tipo B per lo svolgimento di attività finalizzate all’inserimento di persone svantaggiate ed a tal fine si impegnano alla rigorosa applicazione dell’articolo 13, comma 1, della legge regionale 9 giugno 1994, n.18 e s.m.i.
b) il ruolo della cooperazione sociale di tipo A e C nella programmazione, nell’organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali definito nel Piano di Zona.
2. Inoltre si impegnano:
a) a ricorrere a forme di aggiudicazione o negoziali che consentano, ai soggetti operanti nel terzo settore, la piena espressione della propria progettualità ed il conseguimento di adeguati standard qualitativi di servizio;
b) ad avvalersi di analisi e di verifiche partecipate sui servizi da conferire o conferiti in gestione che tengano conto della qualità e delle caratteristiche delle prestazioni offerte e della qualificazione e formazione del personale;
c) a prevedere, nei capitolati finalizzati al conferimento della gestione dei servizi attraverso procedure di selezione evidenza pubblica, che al personale addetto vengano applicati i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro e gli Accordi locali
siglati dalle Organizzazioni Sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale;
d) a prevedere che i contratti di servizio indichino le modalità di controllo che le Amministrazioni conferenti adottano relativamente al personale (numero, qualifica ed orari, documentazione attestante il possesso dei requisiti di studio e professionali, attestazioni comprovanti il regolare versamento degli oneri contributivi, ecc.);
e) a prevedere che i contratti di servizio indichino tutte le clausole necessarie a tutelare l’utenza ed in particolare che alle associazioni rappresentative degli utenti sia consentito di accedere liberamente ai servizi ed ai presidi conferiti in gestione per effettuare ogni opportuna verifica sulle reali condizioni di permanenza degli assistiti;
f) a rendere vincolante l’adozione della “Carta dei Servizi” conferiti in gestione da parte delle cooperative aggiudicatarie.
3. Le Amministrazioni locali – in ottemperanza alla D.G.R 22 maggio 2006, n.79/2953, “Legge regionale 8 gennaio 2004 n.1, art.31 – Atto di indirizzo per regolamentare i rapporti tra gli Enti Pubblici e il Terzo Settore: Approvazione” e nelle more della emanazione degli ulteriori provvedimenti contenenti la disciplina di dettaglio relativa ai sistemi di “Accreditamento e affidamento a terzi” dei servizi alla persona ed alla “Corresponsione di tariffe” – individuano nell’accreditamento realizzato attraverso le procedure previste dall’istituto della concessione amministrativa lo strumento che consente di coniugare efficacemente il principio di sussidiarietà - che prevede il coinvolgimento del terzo settore nella programmazione e nella gestione dei servizi - con la necessità di affermare che la titolarità – e quindi la responsabilità – dei servizi preposti ad erogare prestazioni di livello essenziale deve rimanere pubblica La concessione è infatti uno strumento che garantisce, all’Amministrazione locale, penetranti poteri di intervento, specie in merito ai criteri gestionali generali, nei confronti dei soggetti privati chiamati ad espletare i servizi non gestiti direttamente dalla struttura pubblica.
ART.6
MODALITA’ DI INTEGRAZIONE CON IL VOLONTARIATO E L’ASSOCIAZIONISMO
1. I Comuni, il Consorzio e l’Azienda sanitaria concordano sulla necessità di operare per lo sviluppo a livello locale di un’etica della responsabilità che rappresenta la condizione indispensabile perché i diritti siano esigibili per tutti, ma ognuno fruisca di ciò che è disponibile tenendo conto dei suoi reali bisogni e delle sue personali risorse.
2. Occorre perciò favorire la crescita della comunità locale, aiutandola a riconoscere e selezionare le proprie necessità e bisogni, stimolando la partecipazione e facendo crescere le risorse locali e la responsabilizzazione dei cittadini nella programmazione e verifica dei servizi, affinché essi possano esprimersi autonomamente: nella convinzione che quello che accade è responsabilità di tutti.
3. La realizzazione delle azioni previste dal Piano di Zona richiede dunque un sistema di governo allargato nel quale, accanto alla promozione ed alla regolazione pubblica, conviva la co - progettazione che coinvolge soggetti pubblici, privati e del privato sociale con un esercizio di responsabilità comuni.
4. A tal fine le associazioni coinvolte nella pianificazione zonale e le organizzazioni del volontariato - che già operano in raccordo con i servizi socio sanitari anche attraverso lo strumento delle convenzioni - vengono chiamate a partecipare ai tavoli di concertazione in coincidenza con le scadenze di programmazione annuale e pluriennale delle Amministrazioni firmatarie del Piano di Zona.
5. Viene inoltre prevista la convocazione di tavoli “specifici” ove si renda necessario decidere dell’allocazione di nuove risorse e/o di effettuare riduzioni di spesa in ordine ad azioni che coinvolgono direttamente tali soggetti nell’attuazione del Piano.
ART.7
FINANZIAMENTO DEL PIANO DI ZONA
1. I Comuni, il Consorzio e l’Azienda sanitaria locale n. 5 contribuiscono al finanziamento delle azioni previste dal piano mediante lo stanziamento per gli anni 2006, 2007 e 2008 delle somme indicate nella tabella successiva.
IMPEGNI FINANZIARI | 2006 | 2007 | 2008 |
COMUNE DI COLLEGNO | 7.636.242,00 | 7.636.242,00 | 7.636.242,00 |
COMUNE DI GRUGLIASCO | 4.932.458,84, | 4.940.558,56 | 4.940.558,56 |
CISAP | 6.439.398,00 | 5.525.810,94 | 5.525.810,94 |
ASL - DISTRETTO | 5.304.137,00 | 5.304.137,00 | 5.304.137,00 |
TOTALE | 24.312.235,84 | 23.406748,50 | 23.406748,50 |
2. . Le Amministrazioni suddette si impegnano inoltre a sviluppare ogni azione utile al reperimento di ulteriori finanziamenti anche attraverso altri enti ed il privato sociale.
ART.8
DURATA DELL’ACCORDO E CLAUSOLA DI AGGIORNAMENTO
1. Ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge regionale 1/2004 il presente accordo di Programma è approvato dal legale rappresentante del Consorzio Intercomunale dei Servizi alla Persona che provvede alla pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte.
2. Il piano di zona oggetto dell’accordo ha validità per gli anni 2006, 2007 e 2008 e rimarrà comunque efficace fino all’entrata in vigore del piano successivo. Durante il periodo di vigenza del piano è fatta salva la possibilità di procedere all’adozione di modifiche dello stesso, nonché delle disposizioni di cui al presente accordo.
3. Il Comitato dei Sindaci del Distretto n. 1 - integrato con la presenza del Direttore generale dell’Azienda sanitaria locale n. 5 – è autorizzato ad adottare gli aggiornamenti che si rendono necessari previa concertazione con i soggetti di cui all’articolo 3 del presente accordo.
ART.9
COLLEGIO DI VIGILANZA
1. Si conviene di attribuire al Comitato dei Sindaci del Distretto n. 1 - integrato con la presenza del Direttore generale dell’Azienda sanitaria locale n. 5 – la funzione di vigilanza sullo stato di attuazione del piano di zona.
2. Il Collegio di Xxxxxxxxx svolge funzioni di indirizzo strategico e di controllo sul piano, governando il processo di attuazione avvalendosi dell’Ufficio di piano di cui all’articolo 4 del presente accordo.
3. L’attività di vigilanza verrà espletata attraverso la periodica verifica dei risultati del monitoraggio sullo stato di attuazione raccolti dall’Ufficio di piano.
4. Il Collegio di Xxxxxxxxx, una volta riscontrata la presenza di ritardi o negligenze nella realizzazione delle azioni, provvede a darne comunicazione a tutti i soggetti firmatari dell’accordo al fine di concordare le soluzioni o gli interventi da adottare.
5. In ogni caso il Collegio dovrà relazionare a tutte le Amministrazioni interessate in ordine allo stato di fatto del processo di attuazione con cadenza annuale.
ART.10 CONTROVERSIE E NORME DI RINVIO
1. Ogni controversia derivante dall’esecuzione del presente accordo di programma, che non venga definita bonariamente del Collegio di Vigilanza ai sensi del precedente articolo, sarà devoluta ad un collegio arbitrale: in tal caso, ciascuna parte designa un arbitro; gli arbitri così nominati designano a loro volta un altro arbitro, che presiederà il Collegio arbitrale. Il Collegio giudicherà la questione entro trenta giorni dall’avvio dell’esame. In tema di arbitrato si applicano le disposizioni di cui agli articoli 806 e seguenti del Codice di Procedura Civile. Per ogni controversia è competente il foro di Torino.
2. Per quanto non previsto dal presente accordo si rinvia alla vigente disciplina dell’accordo di programma di cui all’articolo 34 TUEL (D.Lgs.267/2000 e s.m.i) nonché, in via residuale, alle disposizioni di cui agli articoli 11 e 15 della legge 241/1990 e s.m.i.
Collegno, li
In fede ed in piena conferma di quanto sopra, le parti sottoscrivono come segue:
il Presidente della Provincia di Torino Xxxxxxxx Xxxxxx
Il Sindaco del Comune di Collegno Xxxxxxx Xxxxxxxxx
Il Sindaco del Comune di Grigliasco Xxxxxxxx Xxxxx’
Il Commissario dell’Azienda sanitaria n. 5 Xxxxxxx Xxxxxx
Il Presidente del C.I.S.A.P Xxxxxxx Xxxx.
VERBALE DELLA CONFERENZA PREVISTA DAL 3°COMMA DELL’ART.34 DEL DECRETO LEGISLATIVO 18 AGOSTO 2000, N.267.
OGGETTO: ACCORDO DI PROGRAMMA, ai sensi dell’art.34 del D.Lgs.18 agosto 2000, n. 267, tra la Provincia di Torino, il Comune di Collegno, il Comune di Grugliasco, l’Azienda sanitaria locale n. 5 e il Consorzio Intercomunale dei Servizi Alla Persona – C.I.S.A.P. - finalizzato all’approvazione ed all’attuazione del Piano di Zona del Distretto n.1 ai sensi dell’art.17 della legge regionale 1/2004.
Ai sensi di quanto previsto dall’art.5 della direttiva della Giunta Regionale del Piemonte relativa al procedimento amministrativo sugli Accordi di Programma, si riuniscono i soggetti coinvolti per la conferenza prevista dal 3° comma dell’art.34 del D.Lgs.18 agosto 2000, n.267, al fine di verificare preliminarmente il contenuto dell’accordo stesso.
Sono presenti:
il Presidente della Provincia di Torino Xxxxxxxx Xxxxxx Il Sindaco del Comune di Xxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxxx Il Sindaco del Comune di Grigliasco Xxxxxxxx Xxxxx’
Il Commissario dell’Azienda sanitaria n. 5 Xxxxxxx Xxxxxx Il Presidente del C.I.S.A.P Xxxxxxx Xxxx.
I convenuti, dopo ampio dibattito, hanno espresso il proprio consenso unanime sulla bozza di Accordo elaborata, condividendone i contenuti e più in generale condividendo l’iniziativa, obiettivo del presente Accordo di Programma.
Il presente verbale viene redatto a cura del Dott. Funzionario del Consorzio
CISAP, in qualità di responsabile del procedimento di stipulazione dell’Accordo. Collegno, li
Letto, confermato e sottoscritto
Il Presidente della Provincia di Torino Xxxxxxxx Xxxxxx
Il Sindaco del Comune di Collegno Xxxxxxx Xxxxxxxxx
Il Sindaco del Comune di Grugliasco Xxxxxxxx Xxxxx’
Il Commissario dell’Azienda sanitaria n. 5 Xxxxxxx Xxxxxx
Il Presidente del C.I.S.A.P Xxxxxxx Xxxx.
I N D I C E
IL PROCESSO E IL METODO 4
La prima fase dei lavori 4
La seconda fase dei lavori 5
La fase conclusiva 6
ANALISI DEL CONTESTO TERRITORIALE 7
Collegno 7
Grugliasco 9
ANALISI DEL CONTESTO DEMOGRAFICO 12
GLI ANNI ‘80. 12
GLI ANNI ‘90. 13
IL QUINQUENNIO 2001 - 2005. 14
ANALISI DEI BISOGNI E DELLE RISORSE LOCALI 20
Responsabilità genitoriali 20
Il quadro interpretativo. 20
Le indicazioni strategiche. 22
Il giudizio sulla coerenza della programmazione in atto. 26
Giovani 27
Il quadro interpretativo. 27
Le indicazioni strategiche. 29
Il giudizio sulla coerenza della programmazione in atto. 34
Adulti in difficoltà 35
Il quadro interpretativo. 35
Le indicazioni strategiche. 36
Il giudizio sulla coerenza della programmazione in atto. 40
Disabilità 41
Il quadro interpretativo. 41
Le indicazioni strategiche. 43
Il giudizio sulla coerenza della programmazione in atto. 49
Anziani 50
Il quadro interpretativo. 50
Le indicazioni strategiche. 53
Il giudizio sulla coerenza della programmazione in atto. 55
LE STRATEGIE E LE PRIORITA’ DI INTERVENTO LOCALI 56
Promuovere una migliore qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione 56
Assicurare il diritto all’assistenza sociale 59
Assicurare il diritto alle prestazioni socio sanitarie 61
GLI OBIETTIVI E LE AZIONI RISPETTO ALLE PRIORITA’ DEFINITE 64
Le politiche locali per la promozione di una migliore qualità di vita 64
Gli obiettivi delle Amministrazioni Comunali. 64
Comune di Collegno: i destinatari degli interventi e le azioni da realizzare. 65
Comune di Grugliasco: i destinatari degli interventi e le azioni da realizzare. 70
Le politiche per la tutela del diritto all’assistenza sociale 79
Gli obiettivi 79
I destinatari degli interventi. 80
Le azioni da realizzare. 80
Le politiche per la tutela del diritto alle prestazioni socio sanitarie 84
Gli obiettivi 84
I destinatari degli interventi. 86
Le azioni da realizzare. 87
Il quadro riassuntivo delle azioni, dei soggetti attuatori e degli interventi 92
LE MODALITA’ DI INTEGRAZIONE TRA GLI ATTORI DEL SISTEMA 106
Il metodo della concertazione 106
L’integrazione tra i soggetti istituzionali. 106
L’integrazione tra le istituzioni locali e la cooperazione sociale. 108
L’integrazione tra le istituzioni locali, il volontariato e l’associazionismo. 111
LE RISORSE STRUMENTALI, PROFESSIONALI E FINANZIARIE 113
Il Comune di Collegno 113
Le risorse strumentali. 113
Le risorse umane e professionali. 114
Le risorse finanziarie. 115
Il Comune di Grugliasco 119
Le risorse strumentali. 119
Le risorse umane e professionali. 120
Le risorse finanziarie. 120
Il Consorzio intercomunale dei Servizi alla Persona 128
Le risorse strumentali. 128
Le risorse umane e professionali. 131
Le risorse finanziarie. 132
IL DISTRETTO N.1 DELL’AZIENDA SANITARIA 5. 136
Le risorse strumentali. 136
Le risorse umane e professionali. 137
Le risorse finanziarie. 138
Il quadro riassuntivo degli impegni finanziari per la realizzazione delle azioni 140
IL SISTEMA INFORMATIVO: MONITORAGGIO, VALUTAZIONE E COMUNICAZIONE 141
Le finalità del sistema informativo 141
La struttura informativa. 141
Le azioni per l’attivazione del sistema. 142
Sistema informativo e valutazione partecipata. 143
Sistema informativo e comunicazione sociale. 144
LA FORMAZIONE DI BASE E PERMANENTE 147
Le finalità del sistema formativo 147
La formazione alla cittadinanza attiva. 147
La formazione di base. 148
La formazione permanente e l’aggiornamento. 149
IL PROCESSO E IL METODO
La prima fase dei lavori.
La costruzione del Piano di Zona dei Comuni di Collegno e Grugliasco prende avvio con una deliberazione di indirizzo approvata dal Comitato dei Sindaci del Distretto n.1 – ASL 5 in data 19 dicembre 2002. All’approvazione della deliberazione fa seguito l’attivazione di un tavolo di coordinamento istituzionale - che assume la guida del percorso - composto dagli Assessori alle Politiche Sociali e dai Dirigenti di settore dei Comuni, dal Presidente e dal Direttore del CISAP, dal Direttore del Distretto n.11.
Il processo di pianificazione inizia - in assenza della legislazione regionale di attuazione della legge 328/2000 – nel mese di maggio 2003 con la presentazione pubblica della prima fase del percorso che prevede la costituzione di 5 tavoli tematici (anziani; disabilità; responsabilità genitoriali; adolescenti e giovani; adulti in difficoltà). Ai lavori dei tavoli – avviati nel gennaio 2004 in concomitanza con l’approvazione della legge regionale 1/2004 di attuazione della riforma nazionale - partecipano le associazioni, le cooperative sociali, le istituzioni scolastiche, i consigli di circolo, le organizzazioni sindacali, i patronati che operano a livello territoriale. Obiettivo dei soggetti coinvolti: effettuare una ricognizione dell’esistente, provvedere ad una analisi dei bisogni del territorio, operare per la formazione di una “visione comune” sulle problematiche da affrontare. I lavori dei tavoli si concludono nel giugno del 2004 con la produzione di documenti, contenenti analisi ed indicazioni, che vengono sottoposti all’esame del tavolo di coordinamento politico istituzionale.
In parallelo ai lavori dei gruppi tematici si sviluppa un processo di concertazione tra l’ASL 5 e gli Enti gestori delle funzioni socio assistenziali ad essa afferenti, finalizzato all’applicazione, in ambito territoriale, della DGR 51 – 11389 del 23 dicembre 2003 sui Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) all’area dell’integrazione socio sanitaria. Tale processo si rende necessario in quanto la legge regionale 1/2004 (intervenuta, come si è detto, a lavori di pianificazione avviati) prevede che la parte dei piani di zona relativa all’integrazione socio sanitaria sia oggetto di preventiva intesa tra le ASL ed i Comuni – singoli o associati – chiamati dall’articolo 17 a definire e ad approvare i piani stessi.
L’accordo di programma sull’applicazione dei LEA – la cui attuazione ha comportato la revisione di tutti i regolamenti delle attività socio sanitarie e la riorganizzazione degli interventi su base distrettuale – giunge ad una prima conclusione nel mese di settembre del 2004.
Intanto la Regione Piemonte - con la D.G.R 51/13234 del 3 agosto 2004 – approva finalmente le “Linee guida per la redazione dei piani di zona”. Con la D.G.R. - che contiene indicazioni di carattere essenzialmente procedurale - non viene però risolto il nodo critico rappresentato dalla mancata predisposizione del “piano regionale degli interventi e dei servizi sociali” (di cui all’articolo 16 della legge regionale 1/2004) strumento necessario per orientare in modo omogeneo la pianificazione zonale.
In carenza di precisi riferimenti normativi regionali - relativamente all’individuazione delle aree e delle azioni prioritarie d’intervento, ai criteri di verifica, di valutazione e di finanziamento del piano – il Comitato dei Sindaci - con deliberazione n. 2 del 9.9.2005 – assume la decisione di procedere – nella seconda fase dei lavori - con prudente realismo.
Alle Amministrazioni Comunali, all’Azienda sanitaria, al Consorzio e alla Provincia di Torino (nel frattempo entrata a far parte del tavolo di coordinamento) viene richiesto di farsi carico della
1 Il tavolo istituzionale è stato supportato – durante tutta la prima fase di pianificazione - dall’Associazione Servizi Nuovi
preventiva definizione degli ambiti all’interno dei quali deve muoversi la seconda fase di pianificazione locale. Ambiti che devono essere necessariamente interni al complesso delle politiche sociali e socio sanitarie già programmate a livello territoriale. Nella realtà territoriale di Collegno e Grugliasco il piano di zona non rappresenta, infatti, il primo evento di pianificazione partecipata ma, semmai, una ulteriore importante occasione per sottoporre ad una più sistematica ed organica verifica i programmi pluriennali di attività già in atto.
In ogni caso - a fronte delle scarse risorse disponibili – costituisce obiettivo prioritario del Piano di Zona la “difesa” dell’attuale livello di servizi e prestazioni. Ogni ulteriore sviluppo del sistema non può che dipendere, infatti, dall’esito delle azioni comuni che verranno pianificate per promuovere il finanziamento di nuove attività. Si tratta dunque, in sintesi, di perseguire l’efficacia, l’efficienza e l’economicità del sistema locale sviluppando – nel contempo - un ruolo promozionale nei confronti del livello regionale, al fine di concertare le politiche di sviluppo ed implementazione del sistema dei servizi sociali rivolti alla cittadinanza.
La seconda fase dei lavori.
Dall’esame dei documenti elaborati dai tavoli tematici nella prima fase dei lavori si coglie un giudizio complessivamente positivo sulla programmazione locale e sulla qualità dei servizi resi alla popolazione. Ed anche le indicazioni strategiche fornite dai gruppi di lavoro, appaiono sostanzialmente coerenti con i documenti programmatici approvati dalle Amministrazioni locali.
Nella seconda fase viene perciò richiesto ai tavoli di “comparare” le analisi effettuate con gli indirizzi e le programmazioni che caratterizzano le politiche sociali locali. In base alla verifica sui programmi viene richiesto ai gruppi di apportare – nel quadro delle risorse date e/o di quelle acquisibili - i necessari correttivi: Si richiede inoltre di individuare le azioni, relative alle diverse tipologie di utenza, da realizzare con priorità per il perseguimento dei tre obiettivi strategici del Piano indicati dal Comitato dei Sindaci con la deliberazione di indirizzo n. 2 del 9.9.2005:
❖ promuovere una migliore qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione;
❖ assicurare il diritto all’assistenza sociale;
❖ assicurare il diritto alle prestazioni socio sanitarie.
Con la seconda fase del lavoro di pianificazione (avviata con la riconvocazione dei tavoli il 30 settembre 2005) si è perseguita proprio questa finalità e ciò ha comportato la preventiva fornitura ai tavoli delle informazioni e delle conoscenze necessarie a svolgere il compito assegnato. Sono pertanto stati elaborati i seguenti materiali di lavoro per le riunioni dei gruppi:
❖ analisi del contesto territoriale;
❖ analisi del contesto demografico;
❖ analisi dei bisogni (effettuata dai gruppi tematici nella prima fase), quadro riassuntivo dell’offerta e quadro riassuntivo delle valutazioni sui servizi offerti (redatto dalla “Servizi Nuovi” attraverso interviste a testimoni privilegiati);
❖ le strategie e le priorità di intervento contenute nei programmi delle Amministrazioni locali;
❖ gli obiettivi gestionali assegnati in base alle priorità contenute nei programmi;
❖ il quadro delle risorse strumentali, professionali e finanziarie locali disponibili per il triennio di programmazione.
Al termine della seconda fase dei lavori dei gruppi si è pertanto definito un quadro programmatico – declinato in obiettivi ed azioni specifiche – condiviso tra i soggetti (istituzionali e non) che hanno aderito al processo di pianificazione.
La fase conclusiva.
Nella ultima fase si è posta l’ulteriore necessità di definire le modalità di integrazione tra gli attori del sistema nel triennio di attuazione del piano. Ciò ha comportato la definizione delle azioni finalizzate ad attivare un sistema informativo che consenta di supportare i processi di valutazione e di comunicazione sociale. La pianificazione partecipata è infatti efficace nella misura in cui i soggetti che vi partecipano si dotano degli strumenti informativi necessari alla puntuale verifica e valutazione, in corso d’opera, dei programmi, dei progetti e delle azioni che costituiscono l’articolato delle politiche sociali locali. Valutazione che deve assumere come oggetto anche il rispetto degli impegni che ogni attore del sistema si è assunto per la realizzazione del piano.
Altra incombenza affrontata è stata la predisposizione di un piano di formazione finalizzato ad accompagnare la realizzazione del Piano di Zona da parte degli attori coinvolti.
La realizzazione dei suddetti obiettivi, è stata perseguita con una metodologia di lavoro in cui l’aggregazione tra i soggetti partecipanti al piano non è più avvenuta per aree tematiche (di analisi dei problemi e delle risposte), ma attraverso:
❖ “gruppi di lavoro”, espressi dall’ufficio di piano, per la definizione degli aspetti tecnici connessi all’integrazione operativa, al sistema formativo e informativo, alla metodologia di valutazione ed al piano di comunicazione;
❖ “tavoli di concertazione” - tra i diversi soggetti istituzionali e tra questi e le organizzazioni rappresentative dei cittadini, della cooperazione, dell’associazionismo e del volontariato – finalizzati alla conclusione di accordi di collaborazione e di partenariato.
L’obiettivo finale dell’ultima fase è stato infatti di definire il quadro delle responsabilità che ogni attore del sistema si rende disponibile ad assumere nei confronti degli altri e – più in generale – nei confronti della cittadinanza.
ANALISI DEL CONTESTO TERRITORIALE
Fonte: Consorzio AASTER – Protocollo d’intesa del Patto Territoriale della Zona Ovest.
Il territorio dei Comuni di Collegno e Grugliasco si estende su una superficie di 31,24 Km2 collocata al confine ovest del Comune di Torino. I due comuni hanno una grande omogeneità dal punto di vista orografico, economico, culturale, con una storia per molti versi comune. Sono comuni di medie dimensioni, cresciuti vertiginosamente tra gli anni 60 e 70 per assorbire le ondate migratorie dal Nord Est e dal Sud d’Italia e, negli anni ’80, soprattutto per accogliere residenti in uscita da Torino.
L’area dei due comuni è caratterizzata da un’alta densità di insediamenti industriali ed artigianali con forte specializzazione produttiva nel settore metalmeccanico. ll triangolo Collegno, Grugliasco, Rivoli ospita aziende metalmeccaniche, con tassi di sindacalizzazione superiore alla media, quali Pininfarina, Bertone, Sandretto, la Marelli ed il Comau. Ci sono, o c’erano fino a qualche anno fa, le fabbriche che, tra le prime in Italia, nella Collegno operaia ottennero i “consigli di fabbrica”: Borgonova, Mandelli, Pianelli & Traversa.
Il tessuto produttivo locale è stato ed è ancora sostanzialmente legato all’indotto dell’auto ed ha subito pesantemente la crisi della siderurgia, la crisi e ristrutturazione della FIAT, del suo indotto e del comparto meccanico ad alta specializzazione. La situazione attuale del sistema industriale ed artigianale locale si caratterizza per la compresenza di importanti realtà aziendali
- competitive (Comau, Pininfarina, Elbi, Amp Italia, Sandretto ecc.) ed attente ai processi di innovazione tecnologica - con una moltitudine di piccole e piccolissime imprese sub fornitrici, molte delle quali di tipo artigianale, a conduzione familiare o con un numero di addetti variabile tra le due e le tre unità, in generale poco disposte ad innovare e ad investire in formazione ed in qualità.
Collegno.
Fonte utilizzata: “Deliberazione Programmatica - Nuovo Piano Regolatore Collegno”.
Si estende senza soluzioni di continuità da Torino a Rivoli lungo l’asse di Corso Francia su una superficie di 18,12 Km2. Addentrandosi nella città si nota una suddivisione in quartieri che nasce dalla configurazione morfologica e mette in luce una città con profonde differenze. Le separazioni create dalla barriera del fiume Dora, dalla ferrovia, dallo stesso Corso Francia delimitano due territori - il territorio agricolo e la città di residenza - lasciando al centro un vuoto delimitato dai confini sfrangiati della città che ha interrotto la sua espansione.
La città è strutturata amministrativamente in sei quartieri - alcuni dei quali comprendono borgate con caratteristiche peculiari - diversi fra loro per dimensioni, morfologia, e popolazione insediata.
Terracorta – Leumann.
Terracorta si colloca tra corso Francia e la linea ferroviaria a ridosso del confine con il Comune di Rivoli. Il quartiere nasce originariamente dalla lottizzazione dei terreni della cascina di proprietà Maggiora, composto di villette delimitate da strade poco frequentate e silenziose, originariamente ad uno o due piani con giardino, spesso trasformate successivamente in piccoli condomini mono o pluri familiari.
Immediatamente al di sotto di Corso Francia si situa il Villaggio Leumann, nato tra il 1896 e il 1912 dalla volontà dell’industriale di cui porta il nome, è definito di interesse storico artistico dalla città di Collegno solo nel 1972 ed acquisito al patrimonio comunale attraverso finanziamento della Regione Piemonte nel 1975.
Santa Xxxxx.
Corso Togliatti e Viale XXIV Maggio delimitano i confini del quartiere Santa Xxxxx, anch’esso attraversato da Corso Francia. Il quartiere si caratterizza per la presenza di un tessuto di edilizia ad alta densità con palazzi multipiano costruiti negli anni settanta, periodo nel quale venne rilocalizzato il Palazzo Municipale, trasferito dal centro storico all’attuale sede, e la risistemazione di Piazza della Repubblica. Accanto ai palazzi vi è il tessuto preesistente di case più basse con adiacenti locali accessori e piccole attività. Fa eccezione Corso Francia lungo il quale si collocano palazzi dai cinque agli undici piani.
Xxxxxx Xxxxxxxxxx.
Il quartiere è caratterizzato dalla presenza di un vasto patrimonio industriale dismesso. Gli ambiti abitativi sono assai simili - da un punto di vista morfologico - a quelli di Santa Xxxxx per costruzione degli spazi urbani e per caratteristiche degli edifici: alti verso il Corso, a villette verso l’interno.
Borgata Paradiso.
E’ divisa tra Collegno, Grugliasco e Torino e, ancora, da Corso Francia, vive una situazione di non appartenenza ai tre comuni anche a causa delle barriere fisiche che la separano (la ferrovia, le grandi strade con notevole traffico, il cavalcavia). Il quartiere è caratterizzato da spazi pubblici non disegnati frutto dell’accostamento, di parti di città costruite secondo principi insediativi tra loro molto differenti e dalla presenza del Campo Volo. Paradiso è composto da diverse morfologie urbane con una commistione di funzioni non sempre compatibili tra industria (anche di grande impatto soprattutto fisico) e residenza. Lungo le vie principali le case sono alte e di più recente costruzione, nelle vie strette e nella parte sud le abitazioni sono piccole per lo più con giardino.
Centro storico: Borgo Nuovo Oltre Dora
Il quartiere si compone di tre realtà tra loro profondamente differenti.
Centro Storico è il più antico insediamento urbano della città di Collegno, organizzato intorno al corso della Dora, e si caratterizza distinguendo tra la città costruita entro il percorso della cinta delle mura fortificate ed il tessuto esterno alla traccia dei camminamenti, dove si trovano le cascine ed il terreno agricolo che degrada verso il fiume. Il patrimonio architettonico, pur conservando la traccia degli edifici medioevali, è riconducibile, nel suo complesso ad edificazioni del secolo scorso.
Borgo Nuovo è luogo di più recente crescita della città così come Oltre Dora e Savonera, tutti quartieri, assimilabili per la stessa morfologia urbana, costituiti da edifici plurifamiliari alti, con un elevato rapporto tra spazio libero e costruito. Il quartiere è composto da edifici di edilizia residenziale pubblica - sorti a partire dagli anni settanta - da più recenti case costruite in edilizia convenzionata ed infine da ulteriori insediamenti di edilizia residenziale pubblica ultimati tra il 1982 e il 1986, nei quali hanno trovato alloggio famiglie prevalentemente provenienti da Torino.
Oltre Dora – localizzata al di la del fiume - nasce inizialmente oltre il bastione medioevale del centro storico con la lottizzazione di Villaggio Fiorito agli inizi degli anni 70, caratterizzata da villette uni e bifamiliari su lotto singolo, tra la Dora e la Via Allegri. Il nuovo quartiere - composto da case di edilizia residenziale pubblica ultimate nel 1982 e da case costruite da cooperative caratterizzate da edifici alti ed anonimi - è dotato di servizi pubblici superiori, per superficie, alla media cittadina e agli standard definiti dalla legge: le strade sono larghe e gli alberi ed i parcheggi densificano uno spazio assai rarefatto dal punto di vista della percezione urbana. Ma il naturale spaesamento provocato da un innesto forzoso di numerosi nuovi abitanti (anch’essi provenienti da Torino), con nuclei familiari, classe d’età e ceto sociale omogenei ha causato, al
di là della “qualità ambientale” dell’insediamento, gravi situazioni di disagio sociale fra gli abitanti.
Savonera.
Si configura più come una frazione che come un quartiere della città di Collegno. Risulta, infatti, estremamente decentrata dal nucleo urbano centrale essendo immersa nel territorio agricolo ai confini con il Comune di Venaria. Sono presenti abitazioni rurali oltre ad edifici privati, sorti negli anni 60. La recente espansione edilizia ha trasformato la piccola frazione preesistente in un insediamento di dimensioni consistenti che, persa la propria caratteristica originaria legata alla struttura agricola del territorio, fatica a ridefinirsi in termini di qualità urbana.
Grugliasco.
Fonte utilizzata: “Deliberazione Programmatica - Contributo Tecnico: Piano Regolatore Grugliasco”.
Grugliasco si estende su una superficie di 13,12 Km2. Era un piccolo agglomerato urbano con funzioni meramente agricole: così è stato fino a tempi recenti, almeno fino al dopoguerra. Il fenomeno di metropolizzazione che ha investito l’insieme dell’area torinese ne ha distrutto la condizione autonoma e ne ha fatto una periferia dello sviluppo di Torino.
La condizione di periferia urbana che caratterizza la realtà territoriale di Grugliasco mostra alcune singolarità, tali per cui non può essere espresso un giudizio complessivo se non considerando questa realtà per parti.
Un nucleo tradizionale assai ridotto nella sua consistenza specifica. Due nuclei periferici – le borgate Paradiso e Lesna – molto problematici. Un tessuto urbano lungo Corso Francia, molto compatto. Due grandi agglomerati ad est ed a ovest del centro storico (quartieri di edilizia economica popolare). Una grande area industriale a nord e a sud di Corso Allamano. Una serie di grandi vuoti agricoli interstiziali fra Torino e Grugliasco. Un grande centro commerciale (Euromercato – Ikea). Un territorio che conserva numerose tracce dell’antico insediamento agricolo (ville e cascine di notevole importanza).
Una realtà non strutturata, ricca di servizi, in particolare scolastici, con notevoli valenze aperte e pur tuttavia compromessa e “chiusa” da ogni lato: a est da Torino, a nord dall’asse di Corso Francia che è una sorta di barriera che è vissuta come invalicabile, a sud dall’area CIM-CAAT con lo scalo delle XX.XX e dal grande cimitero di Torino sud. Solo a ovest vi sono valenze aperte di possibile integrazione con il tessuto urbano di Rivoli, peraltro compromessa, tale integrazione, dalla presenza, a confine, dell’area industriale di Rivoli.
Dalle interviste ad una serie di “testimoni privilegiati” realizzate nell’ambito di un’indagine commissionata dal Comune al fine di definire un quadro attendibile della situazione sociale (febbr. 1996) emerge in particolare la situazione di disagio sociale che caratterizza in particolare le borgate Lesna, Paradiso Fabbrichetta – X. Xxxxxxx e che evidenzia la necessità di interventi di riqualificazione necessari per modificare l’idea “negativa” della situazione fisica.
Santa Xxxxx, San Xxxxxxx, Borgata Fabbrichetta.
La zona è caratterizzata da numerosi insediamenti di abitazioni di edilizia residenziale pubblica realizzati tra gli anni 1976 e 1980. Nel periodo di questi primi insediamenti risultava molto carente la cosiddetta “urbanizzazione primaria”. Negli anni successivi la realizzazione delle opere necessarie ha consentito il superamento di situazioni di profondo disagio abitativo. Tra il 1990 ed il 1993 si è verificata un’espansione notevole degli insediamenti residenziali di edilizia privata/convenzionata agevolata. Questi alloggi sono stati acquistati da nuclei famigliari con buoni livelli di reddito e si è pertanto realizzata una proficua mescolanza di condizioni tra gli abitanti.
Tutta l’area ad ovest del Centro è denominata Fabbrichetta ed è caratterizzata da confini piuttosto incerti, in tal senso è utilizzata spesso la denominazione San Xxxxxxx per la parte meridionale (coincidente con le case popolari a sud ovest del centro storico).Abbastanza incerto appare anche il confine con Santa Xxxxx. La situazione della borgata appare di più complessa definizione rispetto alle altre due borgate (Lesna e Paradiso) indicate come problematiche. E’ in atto un processo di “transizione” (da area problematica a quartiere residenziale) favorito dai confini geografici creati dagli insediamenti che appaiono più incerti ed articolati al proprio interno (con la Via Don Caustico come ideale spartiacque tra una zona nord più tranquilla e residenziale ed una zona sud più problematica).
Xxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxx Xxx Xxxx.
Quartiere Centro: è stato in gran parte edificato fino al 1945 e nel decennio 1961 – 1971. Altri insediamenti sono stati realizzati tra il 1981 e il 1986. Negli ultimi anni vi sono stati interventi di ristrutturazione di alloggi degradati e di riqualificazione del quartiere. Il Centro risulta indubbiamente la zona cittadina più apprezzata dai grugliaschesi. Viene percepito come il cuore della città, la sua memoria storica; dotato di un tessuto urbano di abitazioni di dimensioni ridotte (contrapposti ai palazzoni delle borgate popolari) ma, anche, come “l’unica cosa che c’è a Grugliasco”.
Borgata Fornaci: è stata edificata in gran parte tra il 1961 e il 1975 con ulteriori insediamenti tra l’81 e l’86. Fornaci come San Remo (altra denominazione utilizzata è San Xxxxxxxxx) è compresa grosso modo tra Viale Gramsci e Via Xxxxxxxx xx Xxxxx che la distinguono dal Xxxxxx x xx Xxxxx Xxxxx.
Xxxxx Xxx Xxxx: è stato edificato tra il 1946 e il 1971 nella misura dell’85% circa. Altri insediamenti sono stati realizzati tra il 1971 e il 1981.
Borgo Santa Xxxxx è stato edificato per l’85% tra il 1946 e il 1971. Viene percepito come una sorta di appendice del cento storico. Ritenuto uno dei luoghi migliori della città dopo il Centro, poiché zona tranquilla, “ben abitata”, Santa Xxxxx gode di una situazione di vantaggio in considerazione della sua vicinanza ai servizi del Centro Storico.
Gerbido, Lesna, Paradiso, Quaglia.
I quattro nuclei abitativi orientali di Grugliasco sono scollegati tra di loro e maggiormente collegati con le zone limitrofe di Torino.
Quartiere Gerbido: è una zona di insediamenti di edilizia privata, vi è una rilevante presenza di operai ed impiegati. E’ territorialmente collegata a Torino e molto disgiunta da Grugliasco centro e dalle zone limitrofe. La condizione abitativa del quartiere appare complessivamente adeguata, l’area nel suo complesso è vivibile, dotata di verde.
Borgata Lesna: zona di primo insediamento di edilizia popolare (1968 – 1975) sul territorio comunale. L’insediamento è fortemente isolato in termini fisici da quattro barriere: industrie ad ovest e sud, ferrovia. Nonostante la popolazione sia radicata, nella zona permangono caratteristiche di svantaggio socioeconomico e culturale.
Borgata Paradiso: è zona di più recente costruzione (1980) In particolare dal 1982 sono stati realizzati massicci insediamenti di edilizia residenziale pubblica (CIT). Già nel 1986 la popolazione di Paradiso rappresentava il 14,4% della popolazione complessiva dell’aggregato di quartieri qui esaminato. Le assegnazioni degli alloggi sono state determinate da condizioni di sfratto, handicap, e a giovani coppie provenienti spesso dal centro storico di Torino. Questi insediamenti, avvenuti in stabili visibilmente separati dal nucleo originario di Paradiso e dalle nuove abitazioni in edilizia convenzionata ed agevolata aventi caratteristiche socio economiche e culturali diverse, hanno determinato evidenti separazioni tra gli abitanti della zona. Emerge come il quartiere più problematico di Grugliasco ma, al tempo stesso, anche più ricco di
potenzialità (rispetto ad esempio a Lesna) dotato di un tessuto culturale vivace anche per merito delle attività delle scuole e delle iniziative locali sostenute dalla Amministrazione Comunale.
Zona Quaglia: è molto circoscritta, caratterizzata da abitazioni private anche uni o bifamiliari, con caratteristiche socioeconomiche di medio livello.
Nei capitoli che seguono si cerca di delineare, per tratti generali, il contesto sociale nel quale si sono sviluppate le politiche comunali per la costruzione del sistema locale dei servizi sociali.
ANALISI DEL CONTESTO DEMOGRAFICO
Gli anni ‘80.
Fonti utilizzate: “Deliberazione Programmatica - Contributo Tecnico: Piano Regolatore Grugliasco” “Deliberazione Programmatica - Nuovo Piano Regolatore Collegno”.
Per valutare le condizioni di Collegno e di Grugliasco nella realtà dell’area metropolitana torinese occorre riferirsi all’insieme Grugliasco - Rivoli - Collegno: una città di circa 150.000 abitanti - il 18% degli abitanti dei Comuni della prima e della seconda cintura torinese - con una estensione territoriale di 60,76 Km2.
I tre Comuni presentano dinamiche, nel decennio inter censuario 1981 - 1991, di natura parzialmente differenziata rispetto al resto dell’area metropolitana. Infatti, mentre Torino perde popolazione (-13,84%), i tre Comuni registrano un aumento ancora consistente (+7,8%), superiore a quello medio dei Comuni della prima cintura (+6.34%).
Variazione % popolazione | 1961-1971 | 1971-1981 | 1981-1991 |
Torino | 13,86 | -4,35 | -13,84 |
I^ cintura | 94,61 | 10,77 | 6,34 |
II^ cintura | 50,69 | 23,39 | 4,44 |
Comuni contermini | 14,02 | 12,78 | 7,71 |
Non si tratta più dei ritmi dei due decenni precedenti, ma è evidente una fuoriuscita da Torino, generata anche dai massicci interventi di Edilizia Economica e Popolare (Alloggi finanziati tra il 1978 e il 1992: X.000/00 Xxxxxxxxxx 1.444; Collegno 751; Rivoli 654. Interventi straordinari – esclusi alloggi acquistati - Grugliasco 483; Collegno 853; Rivoli 325).
La quantità di abitazioni è cresciuta, nel decennio inter censuario, nei tre comuni, del 17,7%. La crescita più rilevante si registra a Grugliasco (30,55%) che aumenta la popolazione del 18,93%. La caratteristica sociale della crescita è connessa all’utenza dei complessi residenziali sovvenzionati nel decennio: la tradizionale utenza operaia si tramuta in ceto impiegatizio, in rapporto con la trasformazione post – industriale che contraddistingue il periodo di transizione rappresentato dagli anni ‘80. E’ dunque l’offerta a determinare il cambiamento (gli alloggi finanziati a Grugliasco con il Piano Decennale e con gli altri interventi straordinari sono quasi duemila).
A Collegno, con riferimento alla crescita della popolazione, si possono rilevare due distinti periodi. Un primo periodo – tra il 1971 (41.948 abitanti) ed il 1985 (49.349 abitanti) - in cui l’aumento è molto forte (tasso di crescita di circa il 15%) anche sull’onda dello sviluppo iniziato negli anni sessanta (dal 1961 al 1971 la popolazione cresce di 22.638 abitanti). Una fase successiva - tra il 1985 (49.349 abitanti) ed il 1990 (47.455 abitanti) in cui la crescita della popolazione si arresta subendo un decremento (il tasso di crescita negativo è del 3,8%).
Dai dati relativi all’attività edilizia del Comune di Collegno risulta infatti come il grande sviluppo residenziale della città avviene tra il 1961 ed il 1981. Al 1991 il patrimonio edilizio complessivo è di 17.360 abitazioni occupate pari a 61.003 vani di cui il 43,1% è stato realizzato tra il 1961 e il 1971 (26.319 vani); il 23,8% tra il 1971 e il 1981 (14.560 vani).
ABITANTI | 1971 | 1981 | 1991 |
Collegno | 41.948 | 46.333 | 47.912 |
Grugliasco | 29.807 | 34.572 | 41.115 |
Totale | 71.755 | 80.905 | 89.027 |
In sintesi si può affermare che i fenomeni di trasformazione che hanno caratterizzato l’area metropolitana torinese nel suo insieme sono di natura assai diversa da quelli del decennio 1971
- 1981, ed in particolare da quelli dei decenni ancora precedenti.
Torino conferma un decremento consistente a favore, solo in parte, dell’area metropolitana. Le dinamiche dell’area ovest risultano nel complesso più “resistenti” ma il quadro è comunque radicalmente cambiato. Alla crescita impetuosa del decennio 1961 - 1971 ha fatto seguito un rallentamento forte nel decennio 1971 - 1981 che però ha registrato un maggior dinamismo nella seconda cintura: un fenomeno metropolitano di scala mondiale che si è spento nel decennio 1981 - 1991.
A partire dagli anni ’80 l’area territoriale intercomunale ha dunque vissuto profonde trasformazioni economiche e sociali. L’aumento della popolazione, più contenuto rispetto al decennio precedente, si è accompagnato all’invecchiamento degli abitanti. L’industria si è ristrutturata e, pur rimanendo il settore portante dell’economia locale, ha perso posti di lavoro; il terziario ha accresciuto il suo peso anche in termini di occupazione; la disoccupazione, sia pur con fasi alterne è cresciuta ed ha interessato soprattutto i giovani e le fasce deboli della forza lavoro.
Gli anni ‘90.
Gli anni ’90 si aprono nello scenario della fase recessiva che caratterizza il primo quinquennio, cui si accompagnano la diffusa riorganizzazione dei processi produttivi ed organizzativi della trasformazione industriale che comportano la perdita di posti di lavoro, in particolare nel settore dell’industria.
Nel primo quinquennio la popolazione dell’ambito intercomunale diminuisce dell’1,26%. Nella seconda metà degli anni ’90 la popolazione cresce a Collegno stabilizzandosi sui livelli del 1991, mentre continua in modo costante la flessione a Grugliasco. Con riferimento all’ambito intercomunale il saldo del periodo 1991 – 2000 indica una diminuzione dell’1,79 %.
ABITANTI | 1991 | 1995 | 2000 |
Collegno | 47.912 | 46.980 | 47.943 |
Grugliasco | 41.115 | 40.920 | 39.488 |
Totale. | 89.027 | 87.900 | 87.431 |
Nella prima metà degli anni ’90 si evidenzia la tendenza all’invecchiamento della popolazione, tendenza che resterà costante anche negli anni successivi. In particolare è da rilevare il più accelerato processo di invecchiamento della popolazione di Grugliasco. A Collegno si rileva un aumento delle nascite mentre a Grugliasco si registra una flessione. Dall’esame dei dati demografici dell’ambito intercomunale si evidenzia la seguente situazione
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Popolazione per fasce d’età | 1991 | 2000 | Variazione % 1991/2000 | |||
Totali | % | Totali | % | |||
Collegno | Nati | 356 | 0,76 | 460 | 0,96 | +22,60 |
0 – 17 | 8.315 | 17,67 | 7.246 | 15,11 | -12,85 | |
18 - 64 | 33.700 | 70,34 | 32.762 | 68,34 | -2,78 | |
65 e oltre | 5.897 | 12,53 | 7.926 | 16,53 | +25,59 | |
75 e oltre | 2.424 | 5,15 | 3.107 | 6,48 | +21,98 | |
80 e oltre | 1.204 | 2,56 | 1.512 | 3,15 | +20,37 | |
90 e oltre | 100 | 0,21 | 217 | 0,45 | +53,91 | |
Grugliasco | Nati | 322 | 0,78 | 307 | 0,78 | -4,65 |
0 – 17 | 8.630 | 20,99 | 6.073 | 15,38 | -29,62 | |
18 - 64 | 28.866 | 70,21 | 27.834 | 70,49 | - 3,57 | |
65 e oltre | 3.619 | 8,8 | 5.581 | 14,13 | +35,15 | |
75 e oltre | 1.421 | 3,46 | 1.964 | 4,97 | +27,64 | |
80 e oltre | 733 | 1,78 | 957 | 2,42 | +23,4 | |
90 e oltre | 65 | 0,16 | 148 | 0,37 | +56,08 |
Popolazione per fasce d’età | 1991 | 2000 | Variazione % 1991/2000 | |||
Totali | % | Totali | % | |||
Ambito intercomunale | Nati | 678 | 0,8 | 767 | 0,88 | +11,6 |
0 – 17 | 16.945 | 19,2 | 13.319 | 15,23 | -37,61 | |
18 - 64 | 62.566 | 70,28 | 60.605 | 69,32 | - 3,13 | |
65 e oltre | 9.516 | 10,8 | 13.507 | 15,45 | +29,54 | |
75 e oltre | 3.845 | 4,4 | 5.071 | 5,80 | +24,17 | |
80 e oltre | 1.937 | 2,2 | 2.469 | 2,82 | +21,54 | |
90 e oltre | 165 | 0,2 | 365 | 0,42 | +54,79 |
Il quinquennio 2001 - 2005.
Nel primo quinquennio degli anni 2000 la popolazione dell’ambito intercomunale rimane sostanzialmente stabile. La popolazione cresce però in modo significativo a Collegno mentre continua la flessione a Grugliasco.
ABITANTI | 2001 | 0000 | 0000 | 0000 | 0000 |
Collegno | 47.945 | 48.234 | 49.196 | 49.543 | 49.605 |
Grugliasco | 39.118 | 38.625 | 38.353 | 38.066 | 37.722 |
Totale. | 87.063 | 86.859 | 87.549 | 87.609 | 87.327 |
Nel quinquennio esaminato si evidenzia la costante tendenza all’invecchiamento della popolazione che risulta più accentuata a Grugliasco. A Collegno continuano a crescere le nascite e si inverte la tendenza alla diminuzione della fascia dei minori. Gli adulti diminuiscono leggermente (1, 34). A Grugliasco si registra una diminuzione delle nascite e la fascia minorile è in flessione come quella degli adulti. Dall’esame dei dati demografici dell’ambito intercomunale si evidenzia la seguente situazione:
Popolazione per fasce d’età | 2001 | 2005 | Variazione % 2001/2005 | |||
Totali | % | Totali | % | |||
Collegno | Nati | 397 | 0,83 | 477 | 0,97 | + 20,16 |
0 – 17 | 7.222 | 15,07 | 7.934 | 16,00 | + 9,86 | |
18 - 64 | 32.529 | 67,85 | 32.094 | 64,70 | - 1,34 | |
65 e oltre | 8.194 | 17,09 | 9.577 | 19,31 | + 16,88 | |
75 e oltre | 3.247 | 6,78 | 3.854 | 7,77 | + 18,70 | |
80 e oltre | 1.615 | 3,37 | 2.013 | 4,06 | + 24,65 | |
90 e oltre | 227 | 0,48 | 316 | 0,64 | + 29,21 | |
Grugliasco | Nati | 280 | 0,72 | 261 | 0,70 | - 6,79 |
0 – 17 | 5.928 | 15,16 | 5.527 | 14,66 | - 6,77 | |
18 - 64 | 27.387 | 70,02 | 25.153 | 66,68 | - 9,63 | |
65 e oltre | 5.803 | 14,84 | 7.042 | 18,67 | + 21,36 | |
75 e oltre | 2.078 | 5,32 | 2.614 | 6,93 | + 25,80 | |
80 e oltre | 1.011 | 2,59 | 1.307 | 3,47 | + 29,28 | |
90 e oltre | 155 | 0,40 | 214 | 0,57 | + 38,07 |
Popolazione per fasce d’età | 2001 | 2005 | Variazione % 2001/2005 | |||
Totali | % | Totali | % | |||
Ambito intercomunale | Nati | 677 | 0,78 | 738 | 0,85 | + 9,01 |
0 – 17 | 13.150 | 15,11 | 13.461 | 15,42 | + 2.37 | |
18 - 64 | 59.916 | 68,82 | 57.247 | 65,56 | - 4,46 | |
65 e oltre | 13.997 | 16,08 | 16.619 | 19,03 | + 18,74 | |
75 e oltre | 5.325 | 6,12 | 6.468 | 7,41 | + 21,47 | |
80 e oltre | 2.626 | 3,02 | 3.320 | 3,81 | + 26,43 | |
90 e oltre | 382 | 0,44 | 530 | 0,61 | + 38,75 |
A completamento dei dati relativi alla popolazione si forniscono, di seguito, alcuni indici di riferimento:
SALDO NATURALE | 2001 | 2005 |
Collegno | 19 | 56 |
Grugliasco | 39 | - 27 |
Ambito intercomunale | 58 | 29 |
SALDO MIGRATORIO | 2001 | 2005 |
Collegno | - 246 | - 285 |
Grugliasco | - 429 | - 332 |
Ambito intercomunale | - 675 | - 617 |
La progressiva maggior presenza di soggetti anziani rispetto ai giovanissimi viene evidenziato dall’andamento dell’indice di vecchiaia generale:
VECCHIAIA | 2001 | 2005 |
Collegno | 0,94 | 1,11 |
Grugliasco | 0,77 | 1,06 |
Ambito intercomunale | 0,86 | 1,09 |
Significativamente al processo di invecchiamento si accompagna l’aumento dell’indice di dipendenza che viene considerato un indicatore di rilevanza economica e sociale. Il numeratore è composto dalla popolazione che, a causa dell’età, si ritiene essere non autonoma – cioè dipendente – e il denominatore dalla fascia di popolazione che, essendo in attività, dovrebbe provvedere al suo sostentamento. E’ un indicatore che risente della struttura economica della popolazione: nelle strutture più avanzate, una parte degli individui considerati nell’indice al denominatore sono in realtà dipendenti in quanto studenti o disoccupati.
DIPENDENZA | 2001 | 2005 |
Collegno | 0,35 | 0,37 |
Grugliasco | 0,34 | 0,36 |
Ambito intercomunale | 0,35 | 0,37 |
Il rapporto tra coloro che stanno per lasciare, a causa dell’età, il mondo del lavoro e coloro che vi stanno per entrare viene misurato dall’indice di ricambio. Anche questo indice risente del problema della struttura economica della popolazione. Quando il valore stimato è molto inferiore al 100% si può creare un aumento della tendenza alla disoccupazione dei giovani in cerca di prima occupazione a causa del fatto che “pochi” anziani rendono liberi i posti di lavoro entrando nell’età pensionabile.
RICAMBIO | 2001 | 2005 |
Collegno | 0,43 | 0,44 |
Grugliasco | 0,36 | 0,42 |
Ambito intercomunale | 0,40 | 0,43 |
Altri indici significativi per comprendere i cambiamenti avvenuti in seno alla popolazione sono rappresentati nelle tabelle che seguono:
CARICO PER DONNA FECONDA | 2001 | 2005 |
Collegno | 1,84 | 2,28 |
Grugliasco | 1,63 | 1,86 |
Ambito intercomunale | 1,74 | 2,09 |
NATALITÀ | 2001 | 2005 |
Collegno | 0,01 | 0,01 |
Grugliasco | 0,01 | 0,01 |
Ambito intercomunale | 0,01 | 0,01 |
MORTALITÀ | 2001 | 2005 |
Collegno | 0,02 | 0,02 |
Grugliasco | 0,02 | 0,02 |
Ambito intercomunale | 0,02 | 0,02 |
Si forniscono infine, i dati relativi alla composizione dei nuclei familiari/convivenze:
NUCLEI | 2001 | 2005 | Variazione % | |
Collegno | Numero complessivo nuclei | 19.908 | 21.168 | + 6,33 |
Numero nuclei con 1 componente | 5.109 | 5.830 | + 14,12 | |
Numero nuclei con 2 componenti | 6.168 | 6.710 | + 8,79 | |
Numero nuclei con 3 componenti | 4.875 | 4.890 | + 0,31 | |
Numero nuclei con 4 componenti | 3.197 | 3.184 | - 0,41 | |
Numero nuclei con 5 componenti | 444 | 432 | - 2,71 | |
Numero nuclei con 6 componenti | 77 | 89 | + 15,59 | |
Numero nuclei con 7 e più componenti | 38 | 33 | - 13,16 | |
Numero nuclei con 3 o più figli età 0/17 | 200 | 214 | + 7,00 | |
Numero nuclei con figli nati nell’anno | 392 | 468 | + 19,39 |
NUCLEI | 2001 | 2005 | Variazione % | |
Grugliasco | Numero complessivo nuclei | 15.168 | 15.359 | + 1,26 |
Numero nuclei con 1 componente | 3.123 | 3.619 | + 15,89 | |
Numero nuclei con 2 componenti | 4.556 | 4.896 | + 7,47 | |
Numero nuclei con 3 componenti | 3.973 | 3.844 | - 3,25 | |
Numero nuclei con 4 componenti | 2.933 | 2.538 | - 13,47 | |
Numero nuclei con 5 componenti | 494 | 389 | - 21,26 | |
Numero nuclei con 6 componenti | 60 | 60 | / | |
Numero nuclei con 7 e più componenti | 29 | 13 | - 55,18 | |
Numero nuclei con 3 o più figli età 0/17 | 160 | 155 | - 3,13 | |
Numero nuclei con figli nati nell’anno | 274 | 258 | - 5,84 |
NUCLEI | 2001 | 2005 | Variazione % | |
Ambito intercomunale | Numero complessivo nuclei | 35.076 | 36.527 | + 4,14 |
Numero nuclei con 1 componente | 8.232 | 9.449 | + 14,79 | |
Numero nuclei con 2 componenti | 10.724 | 11.606 | + 8,23 | |
Numero nuclei con 3 componenti | 8.848 | 8.734 | - 1,29 | |
Numero nuclei con 4 componenti | 6.130 | 5.722 | - 6,66 | |
Numero nuclei con 5 componenti | 938 | 821 | - 12,48 | |
Numero nuclei con 6 componenti | 137 | 149 | + 8,76 | |
Numero nuclei con 7 e più componenti | 67 | 46 | - 31,35 | |
Numero nuclei con 3 o più figli età 0/17 | 360 | 369 | + 2,50 | |
Numero nuclei con figli nati nell’anno | 666 | 726 | + 9,01 |
Al 31 dicembre 2005 il quadro della popolazione residente risulta così composto:
Dati popolazione 2005 | Collegno | Grugliasco | Ambito intercomunale | |||
N° cittadini maschi | 23.968 | 49.605 | 18.303 | 37.722 | 42.271 | 87.327 |
N° cittadini femmine | 25.6370 | 19.419 | 45.056 | |||
N° cittadini immigrati maschi | 793 | 1.590 | 561 | 1.120 | 1.354 | 2.710 |
N° cittadini immigrati femmine | 797 | 559 | 1.356 | |||
N° cittadini emigrati maschi | 953 | 1.8754 | 727 | 1.452 | 1.680 | 3.327 |
N° cittadini emigrati femmine | 922 | 725 | 1.647 | |||
N° cittadini nati nell’anno maschi | 226 | 477 | 122 | 261 | 348 | 738 |
N° cittadini nati nell’anno femmine | 251 | 139 | 390 |
N° deceduti nell’anno maschi | 216 | 421 | 151 | 288 | 367 | 709 |
N° deceduti nell’anno femmine | 205 | 137 | 342 |
ANALISI DEI BISOGNI E DELLE RISORSE LOCALI
Responsabilità genitoriali.
Fonte: Documento prodotto dal tavolo “responsabilità genitoriali”.
Il quadro interpretativo.
Essere madri e padri non è mai stato facile; ma oggi, di certo, lo è ancor meno di ieri. Dal lavoro del Xxxxxx è emersa una ricca fenomenologia dei problemi attualmente vissuti dai genitori di figli piccoli2, e da essa, ragionevolmente, conviene prendere le mosse. Nel presentarla, tuttavia, corre l’obbligo di due avvertenze. In primo luogo, il fatto che l’attenzione si sia concentrata sugli aspetti problematici dell’esperienza genitoriale, non deve far pensare che ne sia emersa una visione pessimistica. Al contrario, sebbene non esplicitamente messo a tema, il senso positivo dell’essere madri e padri è sempre stato presente all’attività del Tavolo come un sentimento di base condiviso da tutti i partecipanti, e si anche riflesso – sembra di poter dire – nel clima di lavoro, sereno, vivace, talvolta perfino allegro. Comprensibilmente, insomma, ci si è occupati di ciò che “fa problema”; ma non per questo, nella realtà, non si registrano altro che problemi. In secondo luogo la maggior parte dell’attività del Tavolo si è concentrata sulla “comune” difficoltà di essere genitori, dalla quale ben pochi, in effetti, possono dirsi esenti. Più precisamente, l’attenzione è stata rivolta soprattutto alle situazioni “normali”, piuttosto che ai casi di disagio acuto e conclamato: scelta imputabile proprio alla convinzione che anche la “normalità”, oggi più di ieri, sia densa di problemi.
L’argomento ha innanzi tutto una dimensione “materiale” dalla quale, in ogni caso, non si può prescindere. Si tratta appunto della difficoltà con cui attualmente si riescono a conciliare le responsabilità legate al ruolo di genitori e quelle legate agli impegni professionali: questione che, notoriamente, si pone in modo particolarmente acuto nel caso delle donne, a maggior ragione per il fatto che la loro partecipazione al lavoro costituisce ancora, per tanti aspetti, un valore da promuovere. In realtà, anche sul piano degli orientamenti ideali, il diritto di una madre a una soddisfacente vita professionale non è affatto un dato che possa dirsi ormai acquisito;. e d’altra parte, oggi, molto difficilmente una famiglia può guadagnare abbastanza senza che lavorino entrambi i genitori, tanto più se ci sono figli. Il punto da sottolineare, casomai, è che le condizioni di precarietà determinatesi sul mercato del lavoro (con riguardo alla continuità e al livello dei redditi) costringono a scelte particolarmente gravose, che ancora una volta riguardano innanzi tutto le donne, spesso di nuovo in fabbrica o in ufficio prima della fine del periodo di maternità per timore di perdere il posto (ma più in generale si deve osservare che la “flessibilità” dei ritmi e degli orari di lavoro addossa alle famiglie, ossia a tutti i loro componenti, costi di “agenda” sempre più elevati). Le stesse politiche sociali non sono esenti dai contraccolpi di questa situazione: se è vero che a Xxxxxxxx e Xxxxxxxxxx esistono molti servizi di supporto alla funzione genitoriale, è anche vero che spesso, ai destinatari, manca il tempo per fruirne.
Tuttavia il conflitto tra i “tempi di vita” e i “tempi di lavoro” – come un po’ approssimativamente si usa dire – non esaurisce il quadro dei problemi. Su di esso, infatti, si innestano difficoltà di carattere più propriamente “soggettivo” che la complicata organizzazione della vita quotidiana, certamente, non aiuta a superare, ma neppure determina.
In questo senso, il primo dato da segnalare è una diffusa condizione psicologica di insicurezza. Una certa maggiore consapevolezza dei problemi legati alla crescita dei figli ha prodotto una situazione singolare: per un verso i genitori sentono la necessità di essere all’altezza di “richieste” impegnative; per un altro fanno fatica a individuare modelli di comportamento realmente praticabili, che non siano “immagini” superficiali e stereotipate. Spesso portano ai
2Questo, appunto, l’ambito tematico del Tavolo, con qualche allargamento in direzione del rapporto con gli adolescenti.
servizi i problemi dei bambini, ma in realtà hanno bisogno di essere confortati circa la propria adeguatezza. Le madri, in particolare, si sentono costantemente “sotto esame”, ovunque – a casa, al lavoro, a scuola – osservate e giudicate circa il modo in cui riescono a conciliare le diverse responsabilità che devono fronteggiare. Con notevole pregiudizio della serenità, e anche della “privatezza”, del rapporto con i figli.
Un fenomeno specifico, poi, è la difficoltà di percepire correttamente i tempi di crescita dei bambini, ovvero la tendenza ad accelerarli, a considerare i figli già grandi quando ancora non lo sono; forse, anche qui, per l’ansia di vedere realizzati i passaggi previsti da standard evolutivi ai quali si ritiene di doversi, comunque, conformare. Salvo rinviare, per delegarli alle istituzioni, quelli che comportano maggiore fatica ed eventuali motivi di tensione (ad esempio, è riscontrabile una tendenza abbastanza diffusa a ritardare e lasciar fare all’asilo il passaggio dal cibo liquido - omogeneizzato a quello solido, vissuto appunto come un compito gravoso, possibilmente da evitare).
Delega alle istituzioni e rimozione dei motivi di tensione, d’altra parte, sono aspetti di un problema più generale, che sta proprio nel cuore del discorso. La difficoltà che emerge, qui, è proprio quella di riconoscersi in un ruolo che prevede (anche) il dovere di stabilire regole e di affrontare i conflitti che possono derivarne. In questo senso anche la tendenza, abbastanza diffusa, a stabilire con i figli un rapporto “paritario”, “da amici”, nasconde una strategia di aggiramento del nucleo “autoritativo” della funzione genitoriale, il quale tuttavia non può essere disatteso senza provocare danni di notevole portata. La crescita di un bambino – per la verità anche di un adolescente – richiede un contesto che sia al tempo stesso accogliente e normativo, che generi fiducia e, insieme, senso di responsabilità: se il secondo aspetto è assente o troppo debole, le personalità in corso di formazione vengono private di riferimenti essenziali e subiscono un complessivo effetto di disorientamento. Non per niente, del resto, sono proprio i figli che in vari modi - alcuni, certo, non di facile interpretazione - domandano genitori che non si limitino ad "assecondarli" ma siano anche capaci di confronti serrati e non del tutto pacifici.
Come accennato, con questo siamo all'aspetto più grave e delicato di tutto il discorso, che bisogna stare attenti a non semplificare troppo. Non imporre regole ed evitare il rischio di conflitti, certo, è anche "comodo", perché i comportamenti opposti richiedono un considerevole impiego di tempo e di energie. Altrettanto certamente, però, il problema è più complesso. In parte, forse, i genitori sentono di dedicarsi ai figli meno di quanto dovrebbero (perché, di nuovo, non hanno tempo ed energie sufficienti) e si ritengono quindi poco "legittimati" ad avanzare, nei loro confronti, richieste impegnative: difficile essere esigenti quando ci si stente in colpa. Ma probabilmente, al fondo, esiste una resistenza all'esercizio dell'autorità in quanto tale, che deriva dal percepire se stessi, in certa misura, ancora "dalla parte dei giovani", dalla tendenza a confermare una distribuzione dei ruoli all'interno della quale, ancora, non si è "cambiato posto". Insomma un problema di rapporto con la dimensione adulta, che precede e determina quello riguardante la funzione genitoriale, sebbene questo, comprensibilmente, lo metta a nudo.
Quanto alle cause della situazione appena descritta, sorgono naturalmente molte difficoltà interpretative (anche di tipo metodologico). Quanto emerso dal lavoro del Tavolo, tuttavia, può essere riassunto nell'indicazione che esistono importanti elementi di contesto sui quali concentrare l'attenzione. Due, in particolare, i profili rilevanti.
In primo luogo gli attuali genitori di figli piccoli si sono formati all'interno di famiglie che già presentavano una struttura nucleare ristretta e nelle quali, pertanto, i canali di trasmissione dei ruoli e dei modelli di comportamento che qui ci interessano erano limitati alla propria personale esperienza della relazione genitori/figli. Naturalmente, l’elaborazione del rapporto con i propri genitori resta una fondamentale fonte di indicazioni (anche) ai fini dell'assunzione del ruolo di padri e di madri. Ma sta di fatto che oggi la maggior parte delle persone può ricavarne indicazioni alquanto problematiche: perché è venuta meno la possibilità di leggere la propria l’esperienza nel quadro delle tante altre che si confrontavano all'interno delle famiglie allargate; perché lo stesso rapporto con propri i genitori è stato condizionato dalla scarsa presenza di altri adulti di riferimento, spesso così importanti al fine stemperarne le tensioni; e anche perché la
scarsità o l'assenza di fratelli e sorelle ha impedito di guardare alla funzione genitoriale in modo meno “soggettivo”. Oggi, in effetti, il caso dei genitori - figli unici, tutt'altro che infrequente, testimonia con particolare evidenza il peso delle condizioni di "isolamento" nelle quali, per diversi aspetti, le più recenti generazioni di padri e di madri si sono avvicinate alle responsabilità che hanno assunto, del resto secondo una tendenza che in assenza di contromisure è destinata a proseguire e intensificarsi nel futuro.
In secondo luogo, queste stesse "cause" risultano enfatizzate da un’importante caratteristica del tessuto sociale di Collegno e di Grugliasco. Negli ultimi 40-50 anni la popolazione dei due comuni si è decuplicata per effetto, soprattutto, di forti flussi migratori (prima) dal Nord Est e (poi) dal Mezzogiorno. Gran parte dei residenti, pertanto, sono persone che hanno abbandonato i luoghi di origine e vivono cospicui problemi di "radicamento". Anche per questo tanti genitori sono soli, privi di reti parentali e di legami sociali, incerti quanto ai modelli culturali cui fare riferimento.
Le indicazioni strategiche.
A fronte delle considerazioni che precedono, il Tavolo ritiene opportuno sottolineare l’importanza:
❖ delle esperienze di mutuo aiuto riguardanti l’esercizio della funzione genitoriale già realizzate in entrambi i comuni;
❖ del progetto La città universitaria della conciliazione del Comune di Grugliasco;
❖ della continuità assistenziale del Percorso nascita, con particolare attenzione all’ascolto e all’accoglienza della coppia madre - bambino e della nuova famiglia;
❖ del modello educativo posto a base dei servizi di cura dell’infanzia e delle possibilità di ulteriore sviluppo e diversificazione di questi ultimi;
❖ dell’attenzione riservata alle situazioni maggiormente “a rischio”.
Delle prime si richiama innanzi tutto l'idea centrale: all’interno di un gruppo formato da genitori che vivono gli stessi problemi, l’esperienza di ogni partecipante può costituire una risorsa per tutti gli altri, proprio a partire dalla possibilità di constatare che tanti problemi, in effetti, sono diffusi, comuni, condivisi, e rientrano quindi in un quadro di “normalità”. [Come pure centrale è la possibilità che ognuno, raccontando la propria esperienza, se ne appropri in modo più maturo e consapevole.]
Dunque una logica di rapporti reciproci, per quanto con il concorso, decisivo, di specifiche figure professionali, della quale va sottolineato il nesso con quello che si è detto nel paragrafo precedente e che qui riassumiamo nell’osservazione che per molti aspetti le difficoltà registrate nell’esercizio della funzione genitoriale dipendono da modificazioni intervenute nel quadro delle relazioni sociali primarie – nella composizione dei nuclei familiari, nel tessuto dei rapporti informali, nella disponibilità di modelli culturali condivisi. Certamente, allora, processi di tale natura e di tale portata non si prestano a essere affrontati in termini, tout court, di “servizi pubblici”, quasi che questi possano effettivamente fornire tutti i fattori di integrazione di cui vi è bisogno: invero, un tentativo del genere esporrebbe le istituzioni pubbliche a un "sovraccarico di domanda" affatto insostenibile e, soprattutto, sarebbe un’operazione fondamentalmente impropria, dal momento che nell’ambito dei servizi pubblici non possono riprodursi le situazioni di "mondo vitale" che pure sono indispensabili affinchè gli individui sviluppino validamente le proprie identità sociali. Proprio per questo, a partire da mutamenti che interessano la sfera delle relazioni primarie, la forma di intervento appropriata va cercata nella creazione di spazi di socialità, al cui interno i cittadini possano attivare rapporti reciproci e procedere, autonomamente, a nuove attribuzioni di senso. Tale, appunto, la logica dei gruppi di mutuo aiuto riguardanti l’esercizio della funzione genitoriale, nei quali i partecipanti si scambiano le proprie ordinarie e “private” esperienze di vita, restituendo alla quotidianità il valore di un comune orizzonte esistenziale. Non a caso, del resto, i gruppi tendono a generare altri momenti
di incontro, occasioni di frequentazione e, talvolta, veri e propri rapporti di amicizia, che testimoniano efficacemente la natura delle dinamiche attivate.
Tutto ciò, d’altra parte, non significa affidarsi a processi di carattere “spontaneo”. Come risulta dalle esperienze già realizzate, i gruppi di mutuo aiuto hanno bisogno di attività promozionali, meccanismi di start up, interventi di facilitazione, punti di riferimento organizzativi e altre condizioni che è compito delle istituzioni garantire in misura e forme adeguate. Pertanto, quando si parla di obiettivi che non possono essere perseguiti in termini di “servizi pubblici”, non si intende affatto sostenere che questi ultimi non siano necessari, bensì che la loro presenza non coincide, direttamente, con la soluzione dei problemi, contando piuttosto per i processi che riesce mettere in moto presso i “diretti interessati”. Dunque – è importante insistere su questo punto – nessun “arretramento” delle responsabilità assunte nell’ambito delle politiche sociali, bensì il perseguimento di una strategia diversamente articolata, che “scommette” sui propri destinatari e proprio in questo trova specifici motivi di appropriatezza. E anche, certamente, di sostenibilità. A ben vedere, infatti, la circostanza che nei gruppi di mutuo aiuto la “risorsa” fondamentale sia costituita dagli stessi partecipanti – dalle loro esperienze e dalla disponibilità a condividerle – è anche la ragione per la quale, di fatto, le iniziative hanno potuto realizzarsi con oneri a carico delle amministrazioni particolarmente limitati (sebbene abbiano coinvolto un elevato numero di persone): in breve, un rapporto costi/benefici particolarmente favorevole, che dipende proprio dalla possibilità che i cittadini, in condizioni adeguate, si aiutino a vicenda.
Per tutti questi motivi, la prima indicazione strategica che il Tavolo delle responsabilità genitoriali consegna al livello della decisione politica è che occorre proseguire, consolidare ed estendere le esperienze di mutuo aiuto riguardanti l’esercizio della funzione genitoriale.
Al tempo stesso, proprio a tal fine, il Tavolo richiama l’attenzione su alcuni aspetti problematici, meritevoli di ulteriori considerazioni.
❖ Le iniziative finora realizzate con successo hanno riguardato famiglie che non presentavano situazioni di disagio particolarmente gravi. Questa circostanza non viene citata in senso critico: sia perchè volutamente, fin dall’inizio, il loro bersaglio è stato proprio il “normale” disagio della condizione genitoriale; sia perchè la loro realizzazione va anche apprezzata in chiave “preventiva”, in quanto creazione di contesti che rendono meno “probabile” l’insorgere di vere e proprie situazioni patologiche. D’altra parte, la possibilità di impiegare la formula dei gruppi di mutuo aiuto anche a fronte di casi “difficili” merita una riflessione specifica.
❖ Quest’ultima deve iniziare con l’osservazione che l’argomento, a tutta prima, si presenta nella forma di un circolo vizioso. Non solo perchè i gruppi di mutuo aiuto richiedono un certo livello di consapevolezza iniziale, quasi per definizione assente nei casi più problematici; ma anche perchè, in particolare, il loro strumento di lavoro è, fondamentalmente, la parola, mentre le situazioni di maggior disagio, in genere, comprendono anche elementi di deprivazione culturale che a loro volta, tipicamente, si manifestano in una accentuata povertà della dimensione simbolica e, in specie, proprio in un limitato sviluppo delle capacità di comunicazione verbale. Le esperienze che sono state tentate con gruppi di genitori gravemente inadeguati, non più in corso, hanno confermato l’esistenza di tali difficoltà.
❖ Dalle considerazioni che precedono, tuttavia, si può anche ricavare un’indicazione di carattere positivo. Premesso che con ogni probabilità, in effetti, i casi estremi non possono essere affrontati nella logica delle esperienze di mutuo aiuto (si pensi ad esempio ai genitori di figli allontanati), il tentativo di “agganciare” situazioni meno drammatiche, ma pur sempre gravi, sembra affidabile alla scelta di un punto di partenza “pratico”, ovvero a una strategia che in primo luogo proponga alle famiglie di lavorare attorno alla soluzione di un problema “materiale” e solo in un secondo momento, su questa base, solleciti attività di carattere “riflessivo”, discorsivamente ordinate al conseguimento di una maggiore consapevolezza dei problemi. In altri termini, se lo spazio della parola è peculiarmente ristretto, si può
cominciare dal “fare”, accumulando in tal modo un patrimonio di “vissuti” sul quale, poi, costruire esperienze di comunicazione diversamente complesse e produttive.
❖ Anche in situazioni di “normalità”, del resto, la fase di aggancio dei potenziali partecipanti merita strategie oculate. Le difficoltà riscontrate in alcune esperienze mostrano come una cattiva o insufficiente informazione iniziale possa in effetti pregiudicare sviluppi altrimenti plausibili. Al riguardo, l’indicazione generale che si può fornire verte sulla necessità che gli inviti alla partecipazione siano formulati in contesti di interazione reale, già significativi e già contrassegnati da un certo livello di fiducia, come sono, ad esempio, quelli scolastici (e neppure è un caso che l’unica esperienza ancora portata avanti nell’area del disagio grave abbia potuto beneficiare dei rapporti che si sono stabiliti attorno all’attività di una comunità diurna). Dunque informazioni molto mirate, anch’esse fondamentalmente affidate alla parola detta, possibilmente già fornite dai futuri conduttori dei gruppi e impostate in modo da prefigurare i rapporti che si realizzeranno al loro interno.
❖ Infine, la progettazione delle nuove esperienze potrebbe utilmente prevedere soluzioni che rimuovano gli ostacoli alla partecipazione imputabili a problemi di tipo organizzativo, in modo che i gruppi, per quanto possibile, non scontino le stesse difficoltà di cui si discute al loro interno.
Il progetto La città universitaria della conciliazione ha espressamente, al centro del proprio sviluppo, l’obiettivo di migliorare il rapporto tra responsabilità familiari e professionali, in particolare nei riguardi del personale che sarà impiegato nel nuovo Polo delle facoltà scientifiche dell’Università di Torino compreso nel territorio del comune di Grugliasco. L’iniziativa prefigura un aumento dell’offerta di servizi all’infanzia – in relazione, appunto, al previsto aumento della domanda – caratterizzato da specifici elementi di qualità. Di questi, alcuni prendono forma sul piano del modello psico - pedagogico di riferimento e coincidono quindi con orientamenti culturali pertinenti all’insieme dei servizi all’infanzia (cfr. paragrafo successivo); altri, sebbene “riproducibili”, sono più strettamente legati alle particolari caratteristiche del progetto.
Per quanto riguarda questi ultimi, in primo luogo va segnalato l’obiettivo di “coinvolgere gli operatori economici”, nella fattispecie rappresentati dall’Università, “nei processi di sostegno all’educazione in quanto co - partecipi del contesto educativo e culturale dell’area in cui sono insediati”. Naturalmente non si tratta di ripristinare antiche forme di “paternalismo aziendale”; casomai, anzi, si tratta di chiamare le imprese a un’assunzione di responsabilità circa gli “effetti esterni” generati dalle attività produttive, in un quadro di concertazione saldamente presidiato dalle istituzioni pubbliche (che in ogni caso devono garantire la qualità dell’offerta educativa) e nella convinzione, d’altra parte, che il livello di coesione sociale costituisce anche un fondamentale fattore di efficienza (di produttività del lavoro) e che la suddetta assunzione di responsabilità possa quindi avvenire in termini economicamente “compatibili”.
In secondo luogo, il progetto La città universitaria della conciliazione si caratterizza per una strategia di accentuata diversificazione e, al tempo stesso, di elevata concentrazione delle opportunità rese disponibili, fino a prefigurare un vero e proprio “spazio di servizi integrati”. Non si tratta, infatti, soltanto della possibilità di “avere l’asilo nido vicino al lavoro”, bensì della disponibilità, vicino al lavoro, di molteplici “risorse” variamente riferibili alla dimensione della cura (dei figli, di se stessi, delle relazioni con gli altri, ecc.): dunque, secondo l’ipotesi, un “ambiente” complessivamente “amico”, nel quale i diversi motivi di interesse si intrecciano e si potenziano a vicenda, dando luogo a un nuovo standard di benessere. Senza neppure trascurare la circostanza che il nuovo spazio di servizi, se visto dall’interno determina appunto un importante “effetto ambiente”, visto dall’esterno determina piuttosto un vero e proprio “effetto città”, affermandosi – sempre secondo l’ipotesi – come un cospicuo elemento di pregio del contesto urbano.
Per tutti questi motivi, la seconda indicazione strategica che il Tavolo delle responsabilità genitoriali consegna al livello della decisione politica è che il progetto La città universitaria della conciliazione deve essere assunto come parte integrante del Piano di Zona e che quest’ultimo deve verificare la possibilità di valorizzarne i motivi ispiratori in relazione all’intera questione dei “tempi di vita e di lavoro”.
Da sempre, i Servizi territoriali pediatrici del Distretto 1 dell’ASL5 si configurano anche come uno spazio – o meglio un luogo – dove le madri, ma anche i padri, ricercano una conferma, un confronto, una semplice chiacchierata con persone competenti e disponibili.
Quest’attenzione dei Servizi si esprime attraverso momenti sia individuali sia di piccolo gruppo, con possibilità di scambi d’esperienze (per esempio il corso di massaggio infantile, gruppi su temi di puericultura, visite domiciliari) in un’ottica, da parte delle infermiere pediatriche, d’ascolto dei problemi e soprattutto di conferma delle capacità genitoriali attraverso la valorizzazione delle potenzialità - conoscenze che ogni genitore ha in sé. Attraverso la possibilità di “parlarsi”, le mamme, ma anche i padri, sconfiggono in parte un isolamento di cui spesso le famiglie, in particolar modo le donne, soffrono e che caratterizza l’ambiente di vita quotidiano e l’attuale realtà sociale.
Più in particolare, quest’ottica dei Servizi opera in modo molto puntuale e utile nei primissimi giorni di vita del neonato, contenendo le ansie, i dubbi e le paure che ogni nascita, insieme alla gioia dell’evento, reca naturalmente in sé: una situazione che spesso i neo genitori vivono come momento di disorientamento anziché come tappa di crescita individuale e di coppia. Inoltre le attività rivolte ai neonati vanno anche a colmare il breve ma cruciale vuoto assistenziale che separa la nascita del bambino dalla possibilità di scelta del pediatra di famiglia, legata a tempi burocratici più lunghi.
Anche in seguito, comunque, le madri, la coppia genitoriale e i nonni, riconoscono questi “luoghi-servizi” come un punto di riferimento nelle varie fasi di sviluppo dei bambini e bambine, dimostrando di saperli utilizzare, riconoscendo loro uno specifico ambito e offrendo alle Operatrici che vi lavorano un continuo feed-back, tanto gratificante quanto indispensabile per comprendere ciò che accade e ciò che si trasforma intorno ai Servizi.
Come accennato, lo stesso progetto La città universitaria della conciliazione affronta, in modo ampio e impegnativo, la questione del modello psico-pedagogico che deve orientare i servizi all’infanzia, definendo, in particolare, le seguenti linee-guida:
❖ dare priorità alle relazioni interpersonali: è sulla relazione che si basa un buon metodo educativo;
❖ formare del personale qualificato, adeguato alla peculiarità di ogni servizio e attento tanto a progettare quanto ad adeguare i progetti;
❖ promuovere il lavoro di gruppo, dove la pluralità diventa sempre più ricchezza per ciascuno;
❖ aumentare la flessibilità delle prestazioni, che, se finalizzata, non porta al caos, bensì a un’organizzazione pronta a vedere nei problemi anche delle opportunità;
❖ promuovere la partecipazione dei genitori, per favorire il loro suolo anche all’interno dei servizi: con la collaborazione si supera l’effetto delega;
❖ offrire spazi di incontro tra genitori, perchè la condivisione delle esperienze è maturazione e crescita personale;
❖ avere sempre i mente che ogni esperienza fatta dal/dalla bambino/a è per lui/lei, nel bene e nel male, sempre significativa;
❖ dare un/impronta aperta ai servizi, collegandoli in rete con altri servizi e con la città.
Sulla base di tali indicazioni – che hanno già trovato espressione in un panorama di attività discretamente diversificato, tanto nel comune di Grugliasco quanto in quello di Collegno – il Tavolo ritiene opportuno sottolineare, in particolare, i seguenti aspetti.
❖ Il servizio di asilo nido costituisce un imprescindibile punto di forza delle politiche rivolte all’infanzia: del resto è stata proprio l’esperienza maturata nel mondo dei nidi a generare altre risposte alle esigenze delle famiglie con figli/e piccoli/e, secondo una linea di maggiore articolazione delle tipologie di offerta riscontrabile, come accennato, anche a Collegno e Grugliasco. Al tempo stesso il Tavolo rileva che, nonostante tutto, mancano informazioni sufficienti per valutare in modo adeguato il “posizionamento” del servizio: in particolare sembra necessario acquisire elementi che consentano di interpretare con maggiore sicurezza il rapporto, particolarmente basso, tra popolazione servita e popolazione di riferimento, soprattutto per quanto riguarda l’incidenza dei fenomeni di scoraggiamento che possono essere determinati dai vincoli esistenti dal lato dell’offerta. In altri termini si tratta di stabilire quanto le famiglie con figli/e fino a 3 anni che non accedono al servizio, e neppure sono in lista di attesa, esprimano un’effettiva preferenza per altre forme di cura o scontino un esito negativo dell’eventuale richiesta. Viene quindi raccomandata un’indagine che consenta di rispondere a tale domanda e, conseguentemente, di verificare il livello di adeguatezza delle risorse disponibili.
❖ Parimenti, il Tavolo ritiene necessario che la tendenza alla diversificazione dell’offerta educativa – sia con attività comunque facenti capo ai nidi, sia in contesti diversamente organizzati – sia confermata e ulteriormente “affinata”, in modo da corrispondere sempre meglio alle esigenze delle famiglie.
❖ Massimo rilievo, infine, deve essere dato a tutte le esperienze di “collaborazione” tra “servizi” e genitori, orientandole a vere e proprie forme di condivisione delle responsabilità educative
Nelle famiglie in cui il disagio sociale è più marcato, ma spesso anche in situazioni sociali apparentemente più “normali”, si assiste al doloroso fenomeno del maltrattamento e dell’abuso nei confronti dei bambini, quasi sempre ad opera dei familiari stessi. Il Progetto “Maltrattanti, Maltrattati & rete sociale” del CISAP, finanziato dalla L.285/97, ha affrontato tale fenomeno in questi ultimi anni sia in termini di prevenzione e rilevazione precoce, sia in termini di trattamento delle singole situazioni.
La nascita su questo territorio dell’Osservatorio sull’infanzia maltrattata, a cui partecipano tutti gli Enti (CISAP, ASL 5, Comuni, Scuole…) e le Agenzie che si occupano di infanzia (Cooperative sociali, Parrocchie, Associazioni…) vuole dare continuità al lavoro avviato col Progetto “Maltrattanti, Maltrattati & rete sociale”, nella parte relativa alla “rete sociale”, fondamentale per individuare e mettere in pratica strategie comuni di prevenzione e contrasto generale del fenomeno .
Con la fine del finanziamento X.000/00, xxxxxxx invece di interrompersi la parte di lavoro relativa alla presa in carico delle singole situazioni, sia dei minori-vittime sia dei loro genitori . Senza un trattamento efficace sul piano terapeutico e sul piano sociale delle situazioni rilevate, si rischierebbe di compiere un ulteriore mal-trattamento nei confronti del bambino/a. Sarebbe un po’ come alzare il coperchio di una pentola, “vederne” il contenuto, e poi richiuderlo, lasciando il bambino e la famiglia nella situazione di partenza o, addirittura, in una situazione ancora peggiore, dove si sono evidenziati i problemi, ma poi non si sono offerti strumenti per superarli.
Si ritiene pertanto che non solo la rilevazione, ma anche e soprattutto la protezione delle vittime ed il trattamento delle situazioni di abuso e maltrattamento, debbano restare una priorità di intervento per tutti gli Enti , anche sperimentando strumenti nuovi , oltre al lavoro sul singolo nucleo familiare, come ad esempio la possibilità di attivare gruppi “terapeutici” di tipo multifamiliare (gruppi con madri o gruppi con coppie genitoriali…), in sintonia ed in linea con il lavoro di sostegno, anche gruppale, alla genitorialità in senso più ampio.
Il giudizio sulla coerenza della programmazione in atto.
Nella seconda fase dei lavori, il Tavolo ha focalizzato la propria attenzione sull’analisi del documento proposto dal Comitato dei Sindaci3.
In tale contesto il Tavolo ha rilevato una adeguata coerenza tra le indicazioni strategiche fornite nella prima fase e i Programmi in atto. A conclusione dei lavori il gruppo ha proposto di operare, attraverso un confronto tra i diversi attori del sistema, per:
• la ricerca di standard ed indicatori per la definizione ed il monitoraggio della qualità dei Servizi: il tema è stato messo in primo piano, in quanto risulta pressante l’esigenza di un confronto e di una progettazione comune per la gestione dei Servizi presenti sul territorio, attraverso l’offerta quotidiana di una qualità reale e percepibile, più che ideale e irraggiungibile;
• La conciliazione dei tempi e dell’educazione dei bambini con i tempi del lavoro degli adulti: rientra fra le indicazioni strategiche già descritte precedentemente dal Tavolo;
• Il potenziamento delle competenze comunicative degli operatori: è un tema delicato, non nuovo, tuttavia è stato individuato come fondamentale per garantire l’efficacia e l’efficienza delle azioni, in quanto la comunicazione è il più delle volte lo spartiacque che consente ai servizi di nuotare o di affogare. Infatti, non sono le rivoluzioni o i grandi progetti che generano i reali cambiamenti, ma il passaparola di storie ed esperienze non “dette” ma “raccontate” dalle persone;
• La “cura” nell’accompagnare le persone ai servizi e nei percorsi intrapresi: questa tematica è strettamente correlata alla precedente. Alla competenza comunicativa si aggiunge la motivazione dell’operatore e la consapevolezza che i servizi sono “fatti di persone” e sono rivolti “a persone” che molte volte si perdono nei servizi stessi. E’ lo stretto legame esistente fra persone, attività e comunicazioni che può supportare (o inconsapevolmente impedire) la crescita del singolo e del gruppo;
• La diffusione di una “cultura” della famiglia: è una tematica ad ampio raggio di tempi e di luoghi che può sembrare in parte utopistica, tuttavia la lettura che il tavolo ha proposto è quella di diffondere una cura delle piccole azioni, più che delle grandi, un’attenzione alle regole, peraltro necessarie, ma soprattutto ai valori che le sostengono, una cultura volta alla costruzione non solo di opere, ma soprattutto di senso e di significati.
Giovani.
Fonte: Documento prodotto dal tavolo “giovani”.
Il quadro interpretativo.
Il punto di partenza dell’attività del Tavolo è stata una riflessione, particolarmente impegnativa, intorno al “modello educativo” da porre a fondamento delle politiche sociali rivolte ai giovani. In realtà, la stessa idea che queste ultime debbano “avere alle spalle” un modello educativo appare tutt’altro che scontata, poichè in ogni caso il risultato non deve essere un’offerta di percorsi evolutivi preordinati, già disegnati dal mondo degli adulti. La formula “accompagnare senza guidare”, che fin dall’inizio ha orientato la riflessione del Tavolo, esprime appunto la consapevolezza di questo rischio – e della necessità di evitarlo. D’altra parte la scelta di fare
3 Deliberazione del Comitato dei Sindaci n. 2 del 9.9.2005 “Indirizzi per la seconda fase di pianificazione e materiali per la redazione del Piano di Zona dell’Ambito territoriale di Collegno e Grugliasco”.
riferimento a un modello educativo non implica affatto, di per sé, un approccio, anche involontariamente, “paternalistico”. In un certo senso, anzi, è vero il contrario.
In effetti, l’esistenza di una “proposta culturale” degna di questo nome sembra una condizione necessaria affinchè i giovani non si trovino alle prese con un mondo degli adulti sfuggente, con il quale neppure è possibile confrontarsi perchè, di fatto, non prende posizione. Nel succedersi delle generazioni, occorre appunto che gli adulti si assumano la responsabilità di offrire ai giovani ipotesi definite – e però “falsificabili” – intorno ai valori e agli stilli di vita, consentendo loro, in questo modo, di sperimentare la propria autonomia nel valutarne, criticamente, la validità. Detto altrimenti, sono proprio le nuove generazioni che hanno bisogno di “modelli” – perchè soltanto in relazione a questi possono esprimere le capacità di giudizio delle quali sono portatrici.
Da questo punto di vista, viceversa, è stato osservato che le agenzie educative mostrano una crescente difficoltà a formulare proposte esplicite e pregnanti. Soprattutto, la necessità di un modello educativo in grado di “interloquire” con le attese presenti nel mondo giovanile sembra mal conciliabile con un orientamento che privilegi la moltiplicazione delle iniziative rispetto alla qualità di ognuna di esse. In questo senso, la logica da mettere in discussione è proprio quella di un “catalogo” che punti in primo luogo sull’ampiezza dell’offerta: naturalmente non perchè la molteplicità delle iniziative non sia, essa stessa, un valore, ma perchè il vincolo deve comunque essere costituito dalla realizzazione di iniziative “spesse”, impegnative, di profilo elevato – le uniche, appunto, in grado di trasmettere messaggi che davvero risultino pregnanti. E siccome in un quadro di risorse scarse quantità e qualità possono di fatto essere in concorrenza, l’indicazione di garantire innanzi tutto la seconda va tenuta sempre ben presente. Insomma, per così dire, e naturalmente entro certi limiti, “meglio meno ma meglio”.
Per quanto riguarda i contenuti del modello educativo da rendere operante, la discussione ha fatto emergere vari elementi che qui proviamo a riportare per punti, sebbene in un certo senso dicano tutti la stessa cosa, come del resto è logico che accada, perché un modello educativo deve vivere di un’intuizione unitaria e coerente.
❖ Il primo riguarda l’importanza delle relazioni nei processi di formazione della personalità: non solo delle relazioni con il mondo degli adulti, già chiamate in causa da quello che precede (nonché oggetto, in particolare, del Tavolo “Responsabilità genitoriali”), ma anche di quelle “tra pari”. Il fatto, appunto, è che le stesse identità individuali possono diventare davvero consistenti (non fragili) soltanto se prendono forma “sfruttando” possibilità di socializzazione sufficientemente ampie e significative. Argomento certamente non nuovo, che tuttavia conviene non dare per scontato, perchè attualmente potenti fattori tendono piuttosto a restringere lo spazio delle relazioni reciproche che i giovani possono, di fatto, intrattenere (“i figli unici tutelati e ultraprotetti non sanno più stare insieme”, è stato detto).
❖ Abbiamo appena sostenuto che le possibilità di socializzazione devono risultare sufficientemente ampie e significative. Il secondo aspetto merita in effetti particolare attenzione. Si prenda ad esempio il caso delle “Gru”. In gran parte, per i giovani, si tratta proprio di uno spazio d’incontro, di relazioni, diciamo pure di “socializzazione”; tuttavia si tratta anche di uno spazio che non prevede motivi di interesse diversi da quelli iscritti nella natura commerciale del luogo, dove i giovani (al pari degli adulti) sono accolti in quanto consumatori, con inevitabili effetti sulla qualità delle relazioni che vi stabiliscono. Soprattutto, nel contesto in questione, non potrà mai prendere forma alcuna relazione che abbia il senso di un “fare insieme”, osservazione con la quale si vuole richiamare l’attenzione sulla presenza, nei giovani, di fondamentali bisogni espressivi, i quali, pure, tendono a essere mortificati da fattori operanti su larga scala e in particolare, appunto, da sollecitazioni di tipo acquisitivo. Non si tratta di introdurre nel discorso note di tipo moralistico; e neppure di sostenere che i processi di socializzazione, per risultare significativi, devono necessariamente essere “finalizzati” a una qualche “realizzazione”. Tuttavia resta vero che un tratto caratteristico delle politiche sociali rivolte ai giovani – e però di un modello educativo all’altezza della situazione – può e deve essere l’invito a impegnarsi in esperienze di auto-realizzazione, contro la quali le attuali tendenze economico-sociali sembrano aver organizzato una sorta di “congiura”.
❖ Così, ad allargarlo ancora un po’, l’argomento che prende forma è quello dell’autenticità delle esperienze di vita che possono essere compiute dai giovani, le quali, per risultare appunto autentiche, devono essere frutto delle loro capacità di dar forma a obiettivi, interessi, iniziative. Con due aggiunte importanti. In primo luogo il tema dei bisogni espressivi, se inteso con sufficiente ampiezza, conferisce piena legittimità anche a obiettivi che non stanno sul piano dell’“utilità pratica”, a competenze il cui valore non si misura in termini di “ritorni” economici, perchè si tratta piuttosto di esigenze socio-affettive, ludiche, estetiche. Naturalmente nessuno negherebbe mai, in modo esplicito, l’importanza di queste cose; ma altro è darle per scontate, altro è ravvisarvi un elemento effettivamente essenziale ai processi di formazione della personalità e determinare le condizioni di pratiche coerenti con il loro contenuto. In secondo luogo, il tema del “fare insieme” consente anche di sperimentare e coltivare rapporti solidali, sottratti al modello competitivo che tanta presa esercita, oggi, sulla società. E al tempo stesso, unita alla dimensione del “fare”, la solidarietà assume un carattere peculiarmente costruttivo, includendo, oltre alle relazioni d’aiuto, la realizzazione di “imprese comuni”, poste sotto il segno di un agire cooperativo.
❖ Infine, tutto ciò ha molto a che vedere con l’operazione, che ogni generazione deve compiere, di “risignificare” l’esistente e con la possibilità di guardare al futuro in termini “progettuali”. Anche qui va segnalato un rapporto, in parte ambiguo, con le tendenze presenti nelle attuali dinamiche economico - sociali. L’aspetto forse più insidioso dei processi di “commercializzazione” dell’esistenza che caratterizzano il nostro tempo, e ai quali i giovani sono massimamente esposti, è che si tratta di processi che, di fatto, forniscono significati, e però significati “preconfezionati”, ai quali i giovani sono sollecitati ad adeguarsi (appunto attraverso specifici atti di consumo): grosso modo, il contrario dell’elaborazione “in proprio” di valori originali e (quindi) autentici. A dir meglio, il fatto è che l’attribuzione di significati è una dimensione esistenziale assolutamente ineludibile e che proprio per questo, nella misura in cui riescono a presidiarla, le offerte commerciali acquistano un rilevantissimo punto di forza: sicchè il problema è precisamente quello di riappropriarsene. E ancora, da questo punto di vista, va richiamato il tema delle relazioni, perchè qualsiasi significato è, per definizione, un fatto sociale e qualsiasi operazione di “risignificazione” dell’esistente non può essere compiuta se non collettivamente; così come, per converso, la produzione di significati condivisi sembra il modo migliore per ragionare sull’idea di comunità, ove mai si volesse farla entrare nel discorso.
In quello che precede, a ben vedere, si tratta sempre, ancora, dell’obiettivo di promuovere reali condizioni di autonomia. Il riferimento a questo valore, dunque, costituisce sia un argomento – decisivo – a favore dell’esistenza di un modello educativo “falsificabile”, sia la “materia prima” della sua costruzione. Si tratta appunto di proporre un “certo modo” di guardare alla realtà e alla propria vita, nel quale, come si è visto, sono in primo piano i temi della socialità, del “fare” e del “fare insieme”, dell’autenticità delle esperienze, dell’attribuzione di significati all’esistente: ma tutti questi valori possono vivere soltanto nella misura in cui i giovani vi si riconoscano e diano luogo, essi stessi, a processi in grado di renderli operanti. Il nucleo del modello educativo, se si vuole, sta nell’invito a immaginare e realizzare “progetti di vita” umanamente ricchi, che non sacrifichino le persone alle cose; ma tali possono essere soltanto progetti dei giovani, nel senso più impegnativo dell’affermazione. D’altra parte, neppure si tratta di “esortarli” a qualcosa. La scommessa, piuttosto, è che i valori di cui sopra non corrispondano a un “dover essere” estraneo alle loro propensioni, ovvero che in condizioni appropriate le loro aspirazioni e le loro energie siano più che sufficienti a generare sviluppi coerenti con il “modello”. E proprio questo – realizzare le condizioni che servono – è il compito delle politiche sociali, nella convinzione, di nuovo, che i giovani siano autonomamente in grado di sfruttarle nel modo migliore.
Le indicazioni strategiche.
Nel merito, la prima realtà presa in considerazione è stata quella dei centri giovani, che certamente offrono ampie possibilità di "applicazione" degli orientamenti generali appena delineati.
Innanzi tutto non v'è dubbio che i centri giovani abbiano nel proprio "codice genetico" l'obiettivo di allargare lo spazio delle relazioni – e che lo interpretino in modo molto puntuale. Il fatto, si vuol dire, è che le relazioni hanno proprio bisogno di spazi - o meglio di luoghi, nel senso fisico del termine - nei quali potersi intrecciare e sviluppare: proprio oggi, anzi, insieme al valore delle straordinarie possibilità di comunicazione offerte dalla tecnologia, occorre riaffermare il valore dei rapporti vissuti "faccia a faccia", come fatti di interazione personale diretta, piuttosto che attraverso media di tipo strumentale. In altri termini, al tema generale della socializzazione i centri giovani aggiungono un connotato di particolare "concretezza", che fa tutt'uno con il carattere non virtuale degli incontri che rendono possibili.
Qui, casomai, conviene osservare che il bisogno di relazioni nel tempo e nello spazio reali non può essere ritenuto una questione che riguarda soltanto i centri - giovani, bensì un criterio da far valere con riferimento al complesso delle politiche pubbliche (particolarmente di quelle che governano l’uso del territorio). Un parco ben fatto, con diversi punti di ritrovo e di ristoro, come pure un’area attrezzata con le cose “giuste” e mantenuta con cura, sono di per sé luoghi di socializzazione, il cui valore è tanto maggiore in quanto inseriti nel tessuto insediativo quotidianamente presente ai cittadini.
D'altra parte, appunto, si tratta di offrire opportunità, spazi, strumenti e materiali di base: appartiene alla logica stessa di quello che si è detto che i contenuti determinati delle attività da sviluppare all’interno dei centri (ludiche, ricreative, culturali, laboratoriali, ecc.) siano, il più possibile, frutto di scelte compiute dai “diretti interessati”, piuttosto che risultati di interventi più o meno esplicitamente “direttivi”. Il che, si noti, resta vero anche quando si ravvisi la necessità di interventi specificamente educativi e perfino “di sostegno”, perchè questi pure devono puntare, centralmente, sull’attivazione delle risorse possedute dai destinatari, sul riconoscimento e sulla valorizzazione delle loro competenze: ossia su una restituzione di fiducia ai giovani che per vari motivi hanno subito una mortificazione del naturale desiderio di apprendere - per quanto difficili siano le condizioni in cui ciò deve essere fatto e per quanto ciò richieda un difficile esercizio “maieutico”.
In questo senso, i centri giovani devono - ma soprattutto, per loro natura, possono - essere concepiti come luoghi specificamente destinati a fornire l’opportunità di attivare processi dei quali, e nei quali, sia possibile riconoscersi come protagonisti. Sicchè, ancora, la loro realtà deve e può essere messa in relazione - in modo puntuale e stringente - al tema che si è detto dei bisogni espressivi e agli altri che vi si connettono, sull'asse del binomio autenticità/significati.
Le principali implicazioni sul piano delle scelte "strutturali" sono le seguenti.
❖ Centri la cui missione faccia propri i termini “relazioni”, “bisogni espressivi” e “ri- significazione dell’esistente” non vanno pensati tanto come “servizi” – o luoghi di servizi – quanto come piattaforme, termine che vuole appunto suggerire la predisposizione di contesti idonei allo svolgimento di attività largamente autogestite o comunque autodeterminate. L’assetto istituzionale deve riflettere questo orientamento, puntando a realizzare condizioni nelle quali le strutture siano effettivamente “messe in mano ai giovani”
– d’altra parte senza pretendere che essi esercitino capacità “amministrative” che ragionevolmente non possono possedere.
❖ La missione indicata riguarda i problemi della popolazione giovanile nel suo complesso, e solo a questo livello, anzi, può essere definita in termini propri. La conseguenza è che i centri non devono in alcun modo essere pensati come strutture “riservate” alle fasce “deboli” della popolazione giovanile (“gli sfigati”), bensì come luoghi che cercano di entrare nel suo “immaginario”, così come questo si forma in modo irriflesso e diffuso.
❖ Per raggiungere questo risultato – ossia, alla fine, per essere luoghi davvero attraenti, interessanti – sembra necessario che i centri offrano una gamma sufficientemente ampia e diversificata di opportunità e prestino moltissima attenzione agli aspetti di lay out. In questo senso, con le dovute cautele, la metafora del “supermercato” può anche avere un senso –
mentre ovviamente, per altro verso, suggerisce esattamente l’opposto di quello che si deve fare.
❖ Per molti aspetti, la missione indicata non può che tradursi in attività portate avanti da gruppi di giovani relativamente ristretti, che consentano interazioni sufficientemente frequenti e “intense”. D’altra parte, in linea di principio, ciò non significa affatto scegliere di lavorare su “piccoli numeri”, perché gruppi relativamente ristretti possono ben moltiplicarsi nel loro numero e possono anche sviluppare iniziative e attività che, di volta in volta, si rivolgono a platee diversamente ampie.
❖ I centri possono essere pensati come luoghi aperti alla frequentazione da parte di altre fasce di popolazione (il tema dell’“intergenerazionalità”), e anzi si possono anche immaginare attività e momenti specificamente orientati in questo senso. Il riferimento alla popolazione giovanile, tuttavia, dovrebbe restare nettamente privilegiato e chiaramente leggibile. Massima attenzione, piuttosto, va riservata alla diversificazione delle opportunità per le diverse fasce d'età presenti all'interno della stessa popolazione giovanile, ognuna delle quali presenta certamente esigenze specifiche.
❖ Ciò che si è detto circa il carattere autodeterminato e (possibilmente) autogestito delle attività non toglie affatto la necessità della presenza di operatori che svolgano ruoli di accompagnamento, facilitazione e simili. L’ipotesi, casomai, è che il ruolo degli operatori possa, come deve, crescere di intensità, senza per questo tradire il senso di una strategia di empowerment. Né vi è alcun motivo di escludere che all’interno di realtà ampiamente diversificate trovino posto vere e proprie attività educative o anche, come si diceva, di sostegno.
❖ La principale difficoltà a procedere nella direzione indicata sta nel fatto che difficilmente ogni singolo centro può trovare al proprio interno tutte le risorse e le competenze necessarie: in effetti, la prospettiva delineata è pittosto "complessa" e la sua implementazione pone quindi rilevanti problemi di "soglia". Al tempo stesso, senza dubbio, la pluralità dei centri costituisce un valore da preservare, soprattutto per ragioni riguardanti il rapporto con i contesti nei quali sono inseriti: ovvero, sia per il valore delle loro presenza in termini di "qualità urbana", sia per la possibilità di aderire in modo adeguato alle diverse esigenze presenti nelle varie parti del territorio. Due, allora, le indicazioni che si possono fornire. La prima riguarda la necessità di alzare il livello di interlocuzione con le amministrazioni comunali, che devono offrire una "sponda" più consistente - anche in termini di disponibilità finanziarie - alle capacità d'iniziativa presenti nelle singole realtà. Per questo aspetto si tratta di lavorare alla definizione di un quadro di rapporti che risulti più impegnativo ed "esigente" per tutte le parti in causa, con l'obiettivo, anche qui, di realizzare una politica che abbia un diverso "spessore". La seconda indicazione riguarda la possibilità di utilizzare, seriamente, il paradigma della "rete", ovvero di immaginare che i vari centri - pur conservando, ognuno, la propria autonomia - condividano tuttavia alcune risorse, sfruttando un effetto di "massa critica" che singolarmente non possono ottenere. Naturalmente si tratta di un'ipotesi, come si dice, "tutta da verificare", rispetto alla quale il ruolo delle amministrazioni sarebbe, nuovamente, decisivo.
Anche le iniziative poste sotto il titolo cittadinanza attiva sono puntualmente riferibili agli orientamenti delineati nella prima parte di questo documento e anzi, per diversi aspetti, ne arricchiscono il quadro con elementi di notevole interesse.
Così è, innanzi tutto, per la convinzione che i giovani possono esprimere capacità rilevanti dal punto di vista della collettività alla quale appartengono. In tal modo, infatti, il tema delle loro esigenze di auto-realizzazione si allarga alla possibilità di assumere ruoli socialmente “produttivi”, con importanti effetti sul piano delle esigenze di riconoscimento che tanta parte formano di un equilibrato sviluppo della personalità. Vissuta in termini di cittadinanza attiva, l’esperienza delle proprie competenze può appunto avvalersi della conferma “oggettiva” derivante dalla partecipazione alla vita della comunità locale: se si vuole, una dimensione di “realtà” che in effetti è attingibile soltanto in un quadro di rapporti sociali allargati. D’altra parte –
anche questo va notato – si tratta proprio di competenze, di abilità possedute e messe a frutto. La prospettiva della cittadinanza attiva, cioè, non sollecita soltanto il codice dell’“impegno sociale” ma anche, e in un certo senso soprattutto, una riflessione circa i propri “talenti” e i modi in cui, impegnandoli, si può contribuire al benessere comune: e infatti, a essere sollecitate, sono innanzi tutto capacità ideative e “di proposta”.
In secondo luogo le iniziative in esame tendono anche a superare l’eccessiva rigidità con la quale la nostra cultura separa le attività professionali e lavorative da tutte le altre manifestazioni di capacità. Piuttosto, i giovani sono invitati a compiere esperienze alle quali possono attribuire vari significati. In primo luogo, certamente, quello direttamente legato al contenuto di “cittadinanza” delle attività svolte, per altro, come si è detto, declinate in modo da corrispondere ai loro bisogni espressivi: ossia in modo che risultino interessanti e possibilmente, per qualche aspetto, divertenti. Ma poi, al tempo stesso, quello di esperienze che in generale potranno “tornare utili” come presa di contatto con la sfera delle responsabilità sociali e anche come occasione di sviluppo di capacità spendibili sul mercato del lavoro: se si vuole, il significato di un arricchimento del proprio curriculum, che oggi più di ieri deve essere costruito in modo “creativo”.
Infine, abbastanza chiaramente, si tratta di iniziative che sottraggono le politiche sociali rivolte ai giovani a un limite “categoriale” – o “settoriale” – incomprensivo della possibilità di inserirle nella più ampia prospettiva dello “sviluppo di comunità”.
Per tutti questi motivi, l’approccio della cittadinanza attiva merita di essere confermato e ulteriormente rafforzato nei “dispositivi” che presiedono alla sua messa in opera. In questo senso, tra l’altro, specifica attenzione deve essere riservata alla possibilità di impiegare più largamente la formula dei “giovani consulenti” che finora ha fatto registrare soltanto qualche limitato tentativo di applicazione. Al riguardo, non vanno trascurati i rischi intrinsecamente connessi alla scelta di “eleggere” alcuni cittadini – giovani o non giovani – a interlocutori privilegiati delle politiche sociali (a causa degli obiettivi di status che possono sovrapporsi al senso della loro funzione e degli effetti di “cattura” nella logica delle istituzioni che pure possono determinarsi). Tuttavia, per questo stesso motivo, e tenuto conto di un potenziale di innovazione che appare comunque assai rilevante, una più ampia sperimentazione appare senz’altro raccomandabile.
In tutto quello che precede ci si è sempre riferiti a situazioni “normali”. Ma, al di là di queste, le politiche sociali si confrontano con l’area del disagio acuto, talvolta estremo. L’atteggiamento iperprotettivo largamente diffuso tra le più recenti generazioni di padri e di madri – per di più, ma non a caso, applicato in prevalenza a figli unici – costituisce un problema meritevole della massima attenzione; ma un intero settore di attività riguarda piuttosto famiglie ipoprotettive, nelle quali i padri e le madri falliscono rispetto alle più elementari responsabilità connesse al loro ruolo.
Con riguardo dunque ai servizi che intervengono nelle situazioni gravi, e in genere multiproblematiche, il Tavolo ha condiviso le seguenti conclusioni.
❖ L’orientamento a evitare, nella massima misura possibile, i provvedimenti di allontanamento dalle famiglie va considerato un punto acquisito. La sua giustificazione non ha niente a che vedere con un’indebita enfatizzazione, che talvolta si registra, dei “legami di sangue”; né si può escludere che in un certo numero di casi l’allontanamento dalla famiglia sia, di fatto, inevitabile. Tuttavia, anche rispetto alle minori remore di un passato non lontanissimo, si tratta appunto di sottolinearne il carattere di provvedimento estremo, da adottare soltanto quando tutte le altre possibilità siano state convintamente esplorate e si siano dimostrate impraticabili. Tanto meno si tratta di privilegiare le ragioni delle “famiglie” rispetto a quelle dei minori. Il punto, piuttosto, è che il primo diritto dei minori è proprio quello di vivere nelle famiglie dove sono nati, come del resto testimonia il vissuto dei diretti interessati: spesso si è dovuto constatare che dopo l’allontanamento le situazioni di sofferenza non si sono alleggerite, bensì acuite, e si registrano casi di giovani che a 18 anni hanno voluto tornare a casa dopo aver passato metà della loro vita in comunità. Senza dubbio, inoltre, la
conservazione del senso di appartenenza alla propria famiglia – il riconoscimento, in essa, di radici significative – è un elemento decisivo per la formazione dell’identità adulta.
❖ Dunque occorre lavorare sulle, o meglio con le famiglie, per metterle in grado, nei limiti del possibile, di affrontare positivamente le proprie responsabilità. Di nuovo, non si tratta in alcun modo di trascurare il lavoro a diretto contatto con i minori, bensì di affrontare tutti i lati del problema, in un’ottica compiutamente relazionale. Anche questo, che è immediatamente connesso a quello precedente, costituisce ormai un orientamento acquisito. La questione aperta, piuttosto, è quella dei modi in cui implementarlo efficacemente, perché in effetti siamo in presenza di un approccio affermato in linea di principio che tuttavia deve ancora trovare strumenti adeguati alla sua concreta messa in opera. La figura prevalente nei servizi in esame è quella dell’educatore. Ma tale figura, per l’essenziale, ha preso forma in relazione al compito di intervenire sugli adolescenti (o sui bambini), sicchè a tutt’oggi non sono disponibili risposte sufficientemente chiare alla domanda circa le forme in cui è possibile intervenire “educativamente” (anche) sugli adulti (e infatti, in gran parte, si lavora ancora con i minori). La raccomandazione che esce dal Tavolo, pertanto, è quella di affrontare questo problema con un massimo di rigore e di spregiudicatezza: nella convinzione che risposte credibili siano in effetti individuabili, ma anche nella consapevolezza che esse saranno tanto più credibili quanto più le difficoltà non saranno “messe tra parentesi”. E nella consapevolezza, ancora, che la formulazione di indicazioni credibili sul piano delle pratiche da adottare è una condizione indispensabile affinchè la scelta di “lavorare con le famiglie” possa davvero essere tenuta ferma sul piano dei principi.
❖ Non era compito del Tavolo procedere oltre questa raccomandazione di carattere generale. Alcuni elementi di merito, tuttavia, sono emersi e vengono qui riportati, se non altro, come spunti utilizzabili per impostare una ricerca diversamente organica.
Il primo riguarda la necessità di evitare equilibri “omeostatici”, ovvero situazioni nelle quali l’intervento dei servizi non sia in grado di generare dinamiche che lo rendano via via meno necessario. Ciò – è stato osservato – non significa che gli interventi non debbano scontrare “tempi lunghi”, che però sono accettabili solo in quanto venga definito un possibile punto di arrivo e i passi di avvicinamento siano, in qualche modo, controllabili: sostanzialmente, un problema di qualità (anche “formale”) dei progetti d’intervento, che in effetti costituisce buona parte della generale necessità di metodologie adeguate al principio che si vuole affermare.
Il secondo riguarda la necessità di spezzare il circolo vizioso per il quale, non a caso, le famiglie più bisognose di intervento sono anche quelle meno propense a farsi aiutare. Sostanzialmente, una difficoltà di “aggancio”, per superare la quale occorre appunto confrontarsi con la circostanza che una più o meno grave mancanza di consapevolezza è parte integrante del problema da risolvere, e soprattutto che una maggiore consapevolezza difficilmente può essere ottenuta per via “razionale”, “spiegando” la situazione. Tipicamente, infatti, le situazioni nelle quali occorre sono caratterizzate, tra l’altro, da una peculiare ristrettezza dello spazio che può essere occupato dall’interazione verbale, con la conseguenza che il “colloquio” – la modalità d’intervento che i servizi sono più abituati a utilizzare – risulta spesso scarsamente efficace. Pertanto la generale necessità di metodologie adeguate al principio che si vuole affermare comprende anche la ricerca di altre forme di rapporto, più aperte al gioco delle emozioni, alla dimensione esperienziale e anche, probabilmente, alla soddisfazione di esigenze pratiche.
In terzo luogo si tratta di intervenire, nella massima misura possibile, in chiave preventiva, ossia molto presto, poiché vi è ragione di ritenere che la maggior parte dei problemi si determini nei primi anni della relazione genitori-figli. Naturalmente, da questo punto vista, si registra un’ulteriore accentuazione delle difficoltà di cui al punto precedente, ma l’argomento è tanto importante da meritare un massimo di impegno nel tentativo di superarle.
Infine due osservazioni su due argomenti diversi.
La prima riguarda il Consultorio giovani, del quale – in base agli elementi emersi – può dirsi che costituisce un buon esempio della possibilità di applicare i principi contenuti nella prima parte di questo documento. Certamente, infatti, la sua attività fa riferimento a un “modello educativo” al centro del quale stanno valori di autonomia e di responsabilità e che pertanto non può essere in alcun modo imposto alle giovani generazioni: nella fattispecie – come è stato osservato – nessuno può essere “mandato” al Consultorio, perché occorre piuttosto che i giovani maturino la scelta di fruire del servizio. Il quale, dunque, è presente come una condizione della possibilità di adottare “stili di vita” più maturi, consapevoli e avvertiti di quelli sollecitati dalle attuali tendenze della società – e però, in questo, contiene un “messaggio”, niente affatto “debole”, che il mondo degli adulti invia alle nuove generazioni. Conferme, inoltre, vengono anche sul piano degli aspetti più propriamente organizzativi (in senso lato): l’attenzione al momento dell’ascolto, resa concretamente operante dall’assidua presenza di un numero limitato di educatori (la possibilità, per i giovani, di non trovare sempre “facce nuove”); l’attitudine a rispettare i tempi di maturazione dei problemi e delle convinzioni circa il modo di affrontarli; la cura degli aspetti di comfort, con una particolare attenzione a non presentare un volto “sanitario” (prendendo sul serio il passaggio dalla nozione di utente a quella di cliente, troppo spesso oggetto di una declinazione puramente retorica); il rifiuto della logica delle “campagne” di sensibilizzazione, per privilegiare, invece, un “lavoro di comunità”, fatto di interventi mirati in contesti significativi, come sono, ad esempio, le scuole. Di nuovo, insomma, una preferenza per la qualità piuttosto che per la quantità, per la “profondità” delle relazioni piuttosto che per il numero dei “contatti”.
Il riferimento alle scuole introduce la seconda osservazione. Il Tavolo ha dovuto registrare una loro sostanziale assenza, che non sembra giustificabile, soltanto, da problemi di ordine pratico (gli orari degli incontri), visto che almeno i dirigenti hanno una piena disponibilità del proprio tempo di lavoro. Da un lato, quindi, si ritiene necessario, e della massima importanza, che il Piano di zona includa tra i propri obiettivi un’iniziativa organica nei confronti delle istituzioni formative, affinché, per il futuro, si creino le condizioni di una loro diversa partecipazione: per questo aspetto, innanzi tutto, si raccomanda un’azione “politica”, che non manchi di energia e incisività. D’altro canto, però, il Tavolo si è anche interrogato sulle le caratteristiche di una strategia di approccio alle scuole che voglia risultare davvero efficace. E anche in questo caso uno dei punti-chiave sembra essere costituito dall’esigenza di evitare un moltiplicarsi, disordinato, delle iniziative, a vantaggio di un lavoro diversamente intenso e mirato, che effettivamente consenta di realizzare momenti di approfondimento e di condivisione intorno alla questione, centrale, del “modello educativo” e dei modi di proporlo alle giovani generazioni.
Il giudizio sulla coerenza della programmazione in atto.
Nella seconda fase dei lavori, il Tavolo ha focalizzato la propria attenzione sull’analisi del documento proposto dal Comitato dei Sindaci4.
Stante il giudizio complessivamente positivo sulla programmazione relativa al triennio di piano, il gruppo ha proposto di operare, attraverso un confronto tra i diversi attori del sistema, per:
• Implementare le azioni già in atto relative all’orientamento scolastico e professionale dei giovani e migliorare la circolazione delle informazioni tra i soggetti coinvolti;
• Sperimentare le attuali équipe tecniche (Progetto Xxxxxxxx Xxxxxxx e Relax) in un lavoro congiunto fra i due Comuni;
• Coinvolgere maggiormente il privato sociale nella progettazione;
4 Deliberazione del Comitato dei Sindaci n. 2 del 9.9.2005 “Indirizzi per la seconda fase di pianificazione e materiali per la redazione del Piano di Zona dell’Ambito territoriale di Collegno e Grugliasco”.
• Riflettere sul ruolo svolto dai centri sportivi ed impostare azioni di coinvolgimento delle associazioni con riferimento alle funzioni educative che queste possono svolgere;
• Promuovere un utilizzo coordinato del complesso delle risorse umane e finanziarie disponibili (“prescindendo” dai singoli bilanci);
• Promuovere informazione capillare (forum telematico, portale sulle politiche giovanili);
• Promuovere un maggior coinvolgimento della scuola (individuazione referenti).
Adulti in difficoltà.
Fonte: Documento prodotto dal tavolo “adulti in difficoltà”.
Il quadro interpretativo.
È acquisizione ormai consolidata che i problemi della povertà, del disagio, della marginalità presentano oggi profili di complessità assai maggiori rispetto al passato. Al riguardo, il primo elemento da sottolineare è che la visione tradizionale, incentrata sull’insufficienza dei redditi monetari, non corrisponde più alla reale configurazione dei fenomeni e non è in grado di dar conto delle dinamiche che li determinano. In questo senso il Tavolo ha ritenuto corretta la tesi che i problemi oggi prevalenti “si caratterizzano come prolungati processi di indebolimento delle risorse personali e familiari, attraverso eventi shock di varia natura, economica, professionale, sanitaria, di mancata integrazione sociale, che determinano l’ingresso in una situazione di ‘emarginazione di cui la povertà economica è solo una delle componenti”. La stessa insufficienza del reddito “può essere l’esito di un percorso di esclusione da altri beni – l’istruzione per esempio – il cui possesso è un requisito indispensabile per accedere alle informazioni e alle conoscenze necessarie per [trovare e] svolgere un lavoro decente”. Così come la carenza di reddito, a sua volta, può far sì che una persona non sia in grado di accedere a servizi cui pure avrebbe diritto – ad esempio sanitari – con il conseguente insorgere di problemi di salute che si ripercuotono ulteriormente sulle capacità di lavoro e di guadagno.
Per un verso, dunque, i fattori che possono “innescare” percorsi di progressivo impoverimento economico e relazionale, lungo i quali vengono sempre più intaccate le capacità di inserimento sociale di sopravvivenza fisica e mentale, vanno tenuti presenti in tutta la loro molteplicità. L’insorgere del disagio può derivare dal passaggio della persona di riferimento della famiglia dalla condizione di lavoratore a quella di disoccupato o ritirato dal lavoro. Ma a incidere negativamente sulla condizione economica familiare può anche essere la nascita di un figlio, soprattutto nel passaggio dalla situazione di single a quella di mono genitore, così come le separazioni e la vedovanza influiscono soprattutto sulle coppie con figli minori. Ancora, ulteriori cause di difficoltà possono essere rappresentate dall’acquisto dell’abitazione, dalla malattia di un congiunto, dall’avvio o dal fallimento dell’impresa familiare.
Al tempo stesso, insieme alla pluralità delle “cause scatenanti”, occorre tenere presente che sempre più i problemi si manifestano come “intrecci” di condizioni di diverso genere. In sintesi, quindi, nella società contemporanea la povertà deve essere compresa come un fenomeno dinamico e multi dimensionale, nel quale le componenti economiche, relazionali e sociali in senso lato interagiscono nel quadro di processi cumulativi; con l’ulteriore conseguenza che gli indicatori normalmente utilizzati per rilevarla (reddito, istruzione, condizione abitativa, ecc.) non vanno considerati separatamente secondo logiche di causa – effetto, bensì “letti” congiuntamente, prestando attenzione alle connessioni che si sviluppano, nel tempo, tra i fattori relativi alla situazione personale, alle risorse disponibili, alle capacità dei soggetti di conoscerle e utilizzarle, alla percezione di sé e all’autostima, all’etichettamento sociale.
L’approccio appena delineato consente anche di articolare meglio il campo di intervento. Le cause che possono determinare l’insorgere di una situazione problematica hanno oggi un raggio d’azione molto ampio. Sotto diversi punti di vista, infatti, l’evoluzione delle strutture
economiche, dei rapporti sociali e anche degli “stili di vita” ha determinato un consistente aumento dei fattori di rischio che devono essere fronteggiati da ogni individuo (basti pensare, appunto, alla precarietà dei rapporti di lavoro). Di conseguenza, in una prima “area” si possono comprendere tutte le situazioni nelle quali eventi o condizioni di vario genere danno luogo a “stati di bisogno” che mettono alla prova le capacità di “tenuta” delle persone, ovvero tutte le situazioni - problema che comportano reazioni impegnative e determinanti in ordine all’evoluzione complessiva di una vicenda personale. L’espressione “adulti in difficoltà” identifica appunto questa dimensione – e la stessa genericità del termine “adulti” sottolinea la circostanza che nella “società del rischio” larga parte della popolazione (a rigore tutta) può venire a trovarsi nelle condizioni ipotizzate.
D’altra parte, la stessa evoluzione che ha determinato la moltiplicazione dei fattori di rischio ha anche prodotto un indebolimento delle reti di protezione che consentono di gestirne l’incidenza: più concretamente, di affrontare i problemi una volta che siano insorti. È su questo sfondo, in effetti, che prendono forma i già citati processi cumulativi e ne aumenta, per così dire, la probabilità: quando all’insorgere di un problema non si accompagna la possibilità di affrontarlo “trasferendo risorse” da altri contesti, ancora caratterizzati da elementi di solidità, accade piuttosto il contrario, ovvero che la difficoltà iniziale influenzi il quadro complessivo delle performance e delle relazioni, già debole, generando effetti “diversificati” che a loro volta retroagiscono su di essa. Grosso modo sono dinamiche di questo genere che possono trasformare una condizione problematica in un vera e propria situazione di marginalità, ossia in uno stato di esclusione – a carattere tendenzialmente permanente – dalle opportunità di integrazione offerte da una comunità. Ne risulta una seconda “area” nella quale trovano posto i comportamenti autodistruttivi, i fenomeni di devianza, le situazioni di vera e propria deprivazione materiale (perlopiù legate all’assenza di un’abitazione), i casi estremi di isolamento e solitudine, [gli stranieri]. Naturalmente si tratta di un’area più ristretta della prima, quella degli “adulti in difficoltà”, la quale però – conviene ribadire – costituisce in certo modo la “matrice” delle varie forme di marginalità appena indicate e presenta al suo interno condizioni che tendono ad alimentare i processi che le generano.
Delle reti di protezione, inoltre, e particolarmente delle reti di relazioni primarie, va anche messo in evidenza il ruolo sul piano delle dinamiche di tipo propriamente “soggettivo”. Senza farne una regola che non ammetta eccezioni, la frequenza con cui le situazioni di marginalità sono associate a una diminuzione dei livelli di self - confidence (fiducia in se stessi) – e, più al fondo, a una riduzione del grado di auto stima – consente di affermare che tali elementi ne costituiscono un tratto ricorrente e caratteristico: in larga misura, del resto, proprio a essi si deve imputare l’ulteriore caratteristica della cronicità, che pure, tipicamente, concorre a delinearle. Oltre un certo limite, in effetti, lo stabilizzarsi di un’identità marginale costituisce il principale fattore di conferma, nel tempo, delle condizioni di esclusione, inibendo le motivazioni a superarle. Ma prima ancora occorre osservare che le strategie con le quali gli individui reagiscono al determinarsi di una situazione problematica dipendono largamente dal modo in cui, soggettivamente, percepiscono le proprie possibilità di “riuscita” e, più al fondo, dalle “immagini” che hanno di se stessi: variabili che a loro volta sono largamente influenzate dalle dinamiche interpersonali delle quali sono partecipi e dal grado di coesione che sperimentano nel proprio ambiente. Così, relazioni e ambienti in grado di generare una sufficiente “fiducia di base” costituiscono un generale fattore di contrasto dei processi che possono “esitare” in situazioni di marginalità; le quali, per converso, si determinano con tanta maggiore facilità quanto più contesti di vita eccessivamente aleatori impediscano agli individui di sviluppare atteggiamenti “positivi”.
Le indicazioni strategiche.
Le considerazioni che precedono consentono in primo luogo di formulare alcune indicazioni di carattere generale.
La prima è che il peso delle situazioni di maggiore gravità non deve impedire di inquadrare, al tempo stesso, l’area delle difficoltà meno acute e “complessive” che potenzialmente, però,
riguardano ampi strati della popolazione: date le tendenze osservate, soltanto in questo modo si può evitare di assistere a un progressivo peggioramento degli equilibri sui quali, poi, si deve intervenire.
La seconda è che grande attenzione deve essere riservata alla “cura” dei tessuti sociali che possono offrire agli individui risorse – materiali e “morali” – in grado di aiutarli a fronteggiare validamente l’insorgere di una situazione problematica, evitando che degeneri nel circolo vizioso della marginalità. Inoltre, poichè le risorse in questione coincidono di per sè con fondamentali fattori di benessere, tale obiettivo coincide di fatto con una strategia di promozione dell’agio intesa (anche) come misura di prevenzione del disagio. Naturalmente, il Tavolo è ben consapevole che alcune determinanti dei rischi cui è sottoposta la popolazione superano le possibilità di intervento del Piano di Zona (si pensi, di nuovo, al mercato del lavoro). Al tempo stesso, però, è importante osservare che l’esistenza di tali limiti non significa che le politiche sociali di contrasto della povertà e della marginalità debbano ridursi a un insieme di interventi ex post, essenzialmente “riparativi”: ad esempio, il rafforzamento delle reti formate dalle relazioni primarie (parentali, comunitarie, di prossimità, ecc.) costituisce in effetti un orientamento che potrebbe dirsi di prevenzione – anche qui, con singolare coincidenza dei termini – primaria (e che non a caso è interpretabile anche come una strategia di promozione del benessere, riguardante una classe di fattori protettivi della “salute” sociale).
Ancora, circa il rafforzamento dei tessuti sociali, tanto più in quanto si tratti di relazioni primarie, conviene precisare che ad essi compete uno specifico profilo di autonomia, in ragione del quale non se ne può certo immaginare una “produzione” nell’ambito delle politiche di intervento pubblico. I tessuti sociali, appunto, sono posti in essere dagli individui secondo “obbligazioni” liberamente vissute come proprie, che non si prestano a forme di garanzia “giuridica”. Al tempo stesso, sembra evidente che numerosi processi, largamente sottratti alle possibilità di controllo degli individui, tendono a lacerarli o a comprometterne la vitalità. Tale, allora, è il motivo per il quale le istituzioni pubbliche sono comunque chiamate a intervenire. Di fatto, rafforzare un tessuto sociale significa creare condizioni favorevoli al suo sviluppo, eliminando o compensando i pertinenti ostacoli, nella convinzione che la stessa autonomia degli attori sociali, in presenza di adeguate possibilità di espressione, determini i risultati attesi: la morfologia degli insediamenti urbani offre al riguardo un cospicuo materiale esemplificativo (e testimonia come, talvolta, anche le istituzioni pubbliche non siano esenti da colpe).
Infine, il profilo “soggettivo” delle condizioni di marginalità implica una specifica attenzione alle modalità di accesso alle prestazioni. In moltissimi casi parte integrante del problema è costituita dal fatto che i destinatari delle politiche non si recano autonomamente ai servizi, non sono in grado di rappresentare i propri bisogni e di esigere i propri diritti (si pensi, oltre che all’assistenza, alla sanità). Occorre quindi interrogarsi circa le strategie più adeguate per intercettare e “agganciare” i portatori di domande che neppure si manifestano come tali, abbassando le “soglie” e limitando, per quanto possibile, gli adempimenti formali: spesso la difficoltà a rispettare un appuntamento, che pure sembra riguardare un fatto elementare, racchiude in certo modo l’intero problema da risolvere.
Nel quadro delle considerazioni svolte nel primo paragrafo il Xxxxxx ha altresì proceduto a un esame di specifiche problematiche settoriali. Di seguito vengono riportate le conclusioni cui si è giunti, a loro volta distinte tra indicazioni di carattere generale e specifico.
1. La tematica della casa.
Indicazioni di carattere generale:
❖ Evitare nuovi insediamenti di ERP caratterizzati da un alta concentrazione di situazioni di disagio sociale acuto.
❖ Promuovere una cultura della casa popolare come opportunità che richiede comportamenti responsabili; migliorare il sistema di verifica della permanenza dei requisiti; agevolare il rilascio di case ATC con nuovi programmi di edilizia agevolata.
❖ Regolamentare l’utilizzo di quote degli oneri urbanistici a fini “abitativi sociali”.
Indicazioni di carattere specifico:
❖ Definizione di strategie comuni relativamente agli sfratti, anche attraverso la definizione di parametri equi e realistici di morosità colpevole/incolpevole, applicando, nel secondo caso, strumenti del tipo “piani di rientro”.
❖ Rinegoziare i rapporti politici con l’A.T.C, anche ai fini di cui al punto precedente.
❖ Prestare particolare attenzione a soggetti /situazioni che non rientrano nei requisiti d’accesso ATC quali: donne sole con figli, stranieri, disabili inseriti al lavoro, giovani che vogliono autonomizzarsi dalle famiglie, pazienti in residenze protette e alloggi supportati.
❖ Promuovere nella massima misura possibile l’applicazione dello strumento “contratti concordati”, attribuendo ai Comuni compiti di garanzia degli accordi.
❖ Per quanto riguarda i senza fissa dimora (residenti in V. della Casa Comunale): a) valutare in termini quali - quantitativi i centri di accoglienza esistenti e, più in generale, le politiche finora messe in opera; b) cercare soluzioni e opportunità senza creare concentrazioni di situazioni problematiche complesse; c) in ogni caso escludere qualsiasi ipotesi di “dormitorio”.
2. La tematica del lavoro.
Indicazioni di carattere generale.
❖ Fare “sistema” tra tutti i soggetti coinvolti per evitare sovrapposizioni o interventi “a pioggia”; integrare le diversità; costruire e manutenere reti governate dalle istituzioni pubbliche (Centro per l’Impiego, Patto territoriale Zona ovest, ..), al cui interno promuovere forme di responsabilità sociale d’impresa.
Indicazioni di carattere specifico.
❖ Promuovere “buone pratiche” che sostengano una maggiore autonomia e progettualità delle persone (donne, giovani, stranieri..) quali ad es.: l’esperienza di inserimento di donne straniere con titolo di studio elevato realizzata a Grugliasco con il concorso del Comune, del sindacato e dell’IKEA; il pagamento di contributi previdenziali a donne a basso reddito e con lavori part time/precari per consentire l’astensione di maternità oltre il periodo obbligatorio; la realizzazione di progetti come “Un anno con...” finalizzato al sostegno economico delle donne a basso reddito che scelgono di stare a casa nel primo anno di vita del bambino; i corsi di abilità sociale con la formula di gruppi di auto- mutuo aiuto per l’inserimento di soggetti xxxxxx.
❖ Assicurare continuità e valorizzare i nidi comunali come servizi a sostegno dei genitori che lavorano (con particolare riguardo alle situazioni di precarietà socio-economica) e come opportunità di integrazione e stimolo di reti di auto e mutuo aiuto, nonchè di prevenzione primaria.
❖ Rafforzare le forme di economia protetta tipo cantieri di lavoro destinate a coloro le cui caratteristiche non consentono strategie di vero e proprio reinserimento nel mercato del lavoro (ultra cinquantenni senza specializzazioni, ecc.).
❖ Nel rispetto dell’obiettivo di creare condizioni che consentano reali inserimenti lavorativi di fasce deboli di popolazione (adolescenti svantaggiati, adulti in difficoltà, disabili, soggetti con storie di dipendenza), e all’interno di più ampie strategie formative che evitino il rischio di un utilizzo assistenziale fine a se stesso, assicurare continuità a interventi di sostegno quali le borse lavoro.
3. La tematica della salute.
Indicazioni di carattere generale.
❖ Denunciare in tutte le sedi di confronto e di negoziazione le politiche nazionali e regionali sui ticket, che determinano costi insostenibili per fasce di popolazione sempre più ampie; aumentare le opportunità di cura (riduzione delle liste di attesa) attraverso un migliore utilizzo delle risorse umane e professionali e delle attrezzature sanitarie.
❖ In presenza di un rilevante aumento dei fenomeni di disagio psicologico (lutti, separazioni, problemi legati al ruolo genitoriale, cambiamenti esistenziali come il pensionamento, ecc.), avviare un processo di adeguamento delle risorse professionali disponibili sia presso i servizi di Salute mentale e di Psicologia dell’età evolutiva, sia al di fuori di contesti dedicati, potenzialmente stigmatizzanti.
❖ Promuovere politiche di valorizzazione e riconoscimento delle Medicine Non Convenzionali (riferimento legge 25 del 24/10/2002 Regione Piemonte).
❖ Promuovere progettualità e percorsi che attivino e garantiscano l’agio e il benessere dei cittadini come cardine di prevenzione primaria e valore aggiunto alla qualità della vita secondo il principio per cui la salute non è assenza di malattia bensì bene - stare e bene - essere; valorizzare le esperienze di realtà che promuovono lo sviluppo di reti di inclusione e sostegno attraverso strumenti, metodi ed approcci non medicalizzanti o classificatori rispetto alla malattia, bensì capaci di attivare le risorse personali e sociali.
❖ Nei riguardi delle persone in condizioni di disagio acuto, realizzare strategie di avvicinamento e forme di rapporto che siano il più possibile esenti da vincoli e regole di tipo burocratico, in modo da massimizzare le possibilità di stabilire contatti iniziali sui quali, successivamente, lavorare.
Indicazioni di carattere specifico:
❖ In materia di disagio psicologico e sociale, migliorare e flessibilizzare la presa in carico di situazioni “non conclamate” o “a scavalco” con altri servizi, quali anziani, disabili, cittadini stranieri (si attua l’accoglienza ed il ricovero ma poi mancano gli interventi riabilitativi, come ad es. l’inserimento in comunità, ecc.); migliorare altresì le strategie di “aggancio” delle persone sofferenti ma non consapevoli del loro disagio o con difficoltà a “portarlo” ad un servizio che temono stigmatizzante.
❖ In materia di promozione dell’agio dell’adulto che ha responsabilità di minori, realizzare o ampliare sportelli di ascolto per genitori, progetti di sostegno alla genitorialità (vedi ad esempio X.XX.XX), progetti di educazione alla relazione e alla gestione del conflitto, che vedano coinvolte scuola e famiglia; realizzare altresì progetti di formazione e consulenza per insegnanti che lavorano in zone cosiddette a rischio, dove devono
confrontarsi con problematiche nuove (violenza assistita, sessualità precoce, genitori che chiedono aiuto...).
❖ In materia di salute dei cittadini stranieri, promuovere un maggiore collegamento con i servizi sanitari territoriali, superando le criticità presenti nelle fasi di “aggancio” e accoglienza (anche in conseguenza della normativa che prevede l’accesso ai servizi esclusivamente ai residenti).
❖ In materia di salute delle persone con problematiche di dipendenza, contrastare il rischio di diminuzione o chiusura di molti interventi/servizi (es. borse lavoro, accoglienza notturna, interventi di riduzione del danno, ecc, ) a causa del “taglio” dei fondi finalizzati.
❖ Oltre alle strategie di prevenzione primaria di cui a uno dei punti precedenti, aumentare le risorse destinate a specifici programmi di prevenzione, dei quali si riscontra oggi una grave carenza.
❖ Assicurare investimenti e particolare attenzione quali - quantitativa ai servizi relativi alla salute riproduttiva (sanitaria, psico - sociale, ecc.) per l’intrinseca valenza preventiva che essi rappresentano.
4. La tematica dei migranti.
Indicazioni di carattere generale:
❖ Creare e manutenere maggiori collegamenti tra i servizi sociali e sanitari territoriali in ordine alla problematica migranti.
❖ Utilizzare strumenti innovativi e realizzare nuovi progetti per l’inclusione e l’interculturalità (ad es. laboratori espressivi e teatrali), al fine di promuovere un’integrazione che elimini le cause culturali e stereotipiche dei fenomeni di esclusione. (ad es. promuovere corsi gratuiti di lingua e cultura araba, rumena - cinese, ecc.).
Indicazioni di carattere specifico:
❖ Xxxxxxxxx la Scuola affinché si attrezzi per garantire accoglienza e diritto allo studio alle famiglie ed agli alunni stranieri, in particolare con corsi di aggiornamento dedicati agli operatori delle segreterie e corsi di formazione dedicati al corpo docente; sostenere la “messa in rete” degli istituti scolastici del territorio affinché utilizzino in modo sinergico le risorse finalizzate (ad es. fondi della legge 40) al fine di aumentare la presenza a scuola di figure come i mediatori linguistico - culturali; in particolare, potenziare gli interventi sulle scuole elementari.
❖ Facilitare l’accesso dei cittadini stranieri ai servizi anche con modalità di contatto specifiche (spesso i moduli da compilare e i formati da riempire allontanano gli stranieri che non conoscono le “regole del gioco”).
❖ Formare gli operatori di tutti i servizi all’accoglienza di persone portatrici di altre culture.
❖ Realizzare specifiche iniziative di indagine al fine di valutare la consistenza del “sommerso”.
Il giudizio sulla coerenza della programmazione in atto.
Nella seconda fase dei lavori, il Tavolo ha focalizzato la propria attenzione sull’analisi del documento proposto dal Comitato dei Sindaci5.
Stante il giudizio complessivamente positivo sulla programmazione relativa al triennio di piano, il gruppo ha proposto di operare, attraverso un confronto tra i diversi attori del sistema, per:
• Promuovere azioni coordinate sul versante del sostegno economico e dell’inserimento occupazionale delle fasce deboli nell’ambito territoriale del Patto Territoriale della Zona Ovest;
• Promuovere azioni finalizzate all’occupazione – in particolare femminile - anche attraverso lo sviluppo dei servizi alla persona (ad esempio attraverso la copertura previdenziale per i familiari che assistono parenti anziani);
• Strutturare rapporti stabili tra l’Azienda sanitaria, i Comuni, i loro enti strumentali e le società da essi partecipate ed il settore della cooperazione di tipo B al fine di raccordare l’affidamento di lavori con azioni specifiche di inserimento occupazionale;
• Prevedere che nel conferimento all’esterno dei servizi da parte delle amministrazioni locali si presti particolare attenzione alla ricerca di standard operativi adeguati e nella tutela dell’inquadramento contrattuale degli operatori addetti.
Disabilità.
Fonte: Documento prodotto dal tavolo “disabilità”.
Il quadro interpretativo.
Nella storia del rapporto tra società e disabilità non è difficile osservare come il succedersi di concezioni e mentalità diverse abbia prodotto analoghe differenze sul piano degli assetti istituzionali e delle pratiche di volta in volta prevalenti. Pertanto, consapevole degli effetti “reali” del modo in cui si “guarda” al problema della disabilità, il Tavolo ha ritenuto necessario assumere – e propone – un esplicito orientamento culturale, facendo proprio, in particolare, il più recente approccio elaborato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, noto come ICF (acronimo abbreviato di International Classification of Functionings, Disability and Health.).
Questo stesso approccio, d’altra parte, può essere meglio compreso nei suoi elementi caratteristici e nel suo valore tenendo conto dei mutamenti intervenuti nella “visione sociale” della disabilità; i quali, inoltre, meritano attenzione anche perché le concezioni del passato sono ancora parzialmente operanti nel presente. In effetti, il rapporto tra società e disabilità che caratterizza la realtà di Xxxxxxxx e Xxxxxxxxxx – come ogni altra – è simile a una “stratificazione geologica” nella quale sono rintracciabili materiali di epoche diverse: così è per quanto riguarda le iniziative in corso, le posizioni delle istituzioni, le opinioni dei cittadini, il gergo che adoperiamo, le memorie condivise, le risorse umane disponibili, il livello di impegno in sede educativa e formativa.
Senza rifarsi a epoche lontane, la storia più recente fa registrare il succedersi di tre diverse impostazioni.
5 Deliberazione del Comitato dei Sindaci n. 2 del 9.9.2005 “Indirizzi per la seconda fase di pianificazione e materiali per la redazione del Piano di Zona dell’Ambito territoriale di Collegno e Grugliasco”.
❖ La prima, operante fino agli ’60, può’ dirsi di tipo segregativo-emendativo. In base a essa nascono le grandi istituzioni asilari, destinate ai disabili psichici e, spesso, anche a quelli fisici più gravi: per certi versi un progresso rispetto ai tempi in cui si procedeva senz’altro all’internamento negli ospedali psichiatrici, ma un progresso di portata minima, visti gli scopi eminentemente contenitivi comunque legati al modello asilare. Due, in sostanza, gli elementi costitutivi dell’approccio. In primo luogo la percezione dei disabili come persone “subnormali”, che una società “moderna” ha il compito, se non proprio il dovere, di avvicinare per quanto possibile al livello delle altre: un atteggiamento per certi versi “pietoso”, che tuttavia non lasciava alcuno spazio alla possibilità di accogliere i disabili per quello che sono, modificando piuttosto l’ambiente in cui vivono, né a strategie abilitative e riabilitative orientate al riconoscimento e alla valorizzazione delle loro capacità, comunque esistenti, piuttosto che a obiettivi di tipo correttivo o riparativo. In secondo luogo l’importanza accordata all’esigenza di “sollevare” le famiglie, a fronte della quale gli effetti di sradicamento e la rinuncia a qualsiasi prospettiva di inserimento sociale erano considerati aspetti secondari. Ancora oggi, sebbene su basi metodologiche diverse dal passato, il modello asilare costituisce in molti paesi la principale, se non l’unica, forma di intervento sulla disabilità psichica e psico-fisica. Le ragioni non sono soltanto di tipo economico e organizzativo, coinvolgendo anche questioni d’ordine psicologico e sociale (i livelli di accettazione della disabilità, i riflessi sulla vita delle famiglie, il tipo di rapporti con le istituzioni pubbliche) che effettivamente si aprono – e non sempre, poi, si chiudono – quando si supera la logica della segregazione (cfr. oltre).
❖ La seconda impostazione, operante a cavallo degli anni ’60 e ’70, si può’ definire emendativo-socializzante, e di fatto ha costituito un ponte tra l’epoca precedente e quella successiva.
❖ La terza impostazione, infine, oggi prevalente, è incentrata sul mainstreaming e la socializzazione. Il punto di partenza è stato la critica della grande struttura asilare, responsabile di non determinare reali vantaggi nel progresso delle persone disabili (anzi di essere, essa stessa, patogena), di estraniarle ed emarginarle dalla vita sociale, di generare costi enormi e difficilmente controllabili, di diseducare al confronto con la disabilità le persone che ne sono (realmente o apparentemente) esenti. E il punto di approdo, coerentemente, è stato l’idea che le persone disabili, come tutte, devono poter sperimentare una condizione di radicamento territoriale (rispetto alla residenza), sociale (rispetto al rapporto con tutte le altre persone) e affettivo (rispetto ai legami familiari). Passaggi fondamentali, in questo senso, sono stati l’abolizione delle classi differenziali e delle scuole speciali (non a caso seguita, poco dopo, dalla legge 180), nonché le più recenti leggi 104/92 e 68/99; unitamente, appunto, allo sviluppo delle strutture di accoglienza territoriale, residenziali e semiresidenziali.
Il principio che si è affermato, dunque, è che la responsabilità della società nei confronti dei cittadini disabili deve commisurarsi al loro diritto di vivere in seno alle proprie famiglie (ovvero di costituirne una), di sviluppare le proprie abilità, di accedere all’intera gamma delle opportunità sociali (istruzione, formazione, lavoro, ecc.): ovvero, complessivamente, di vedere realizzato il proprio progetto di vita al pari di tutti gli altri cittadini. Non sempre, però, questo cambiamento di approccio è stato accompagnato dalla predisposizione di adeguati strumenti economici, organizzativi e formativi, nonché dallo sviluppo di adeguate tecniche di miglioramento e recupero delle abilità individuali; e anzi, su quest’ultimo piano, in alcuni casi si è registrata una notevole sottovalutazione della necessità di individuare con chiarezza gli specifici modelli e le specifiche strategie riabilitative da utilizzare. Perlomeno in alcuni settori, ne sono derivate condizioni di difficoltà, di precarietà e di facile contestabilità delle scelte compiute.
All’esito di questo excursus, dunque, si può già indicare un obiettivo di carattere generale: portare a coerenza l’impostazione incentrata sul mainstreaming e la socializzazione che si è affermata a partire dalla fine degli anni ’70, superando le difficoltà che si sono manifestate nella sua concreta messa in opera. E proprio in relazione a tale obiettivo il Xxxxxx ritiene opportuno adottare “formalmente” l’approccio ICF, che dell’impostazione in questione consente una formulazione particolarmente rigorosa e stringente.
In questo senso, il primo elemento da mettere in evidenza è che in base all’ICF l’analisi delle condizioni di un soggetto disabile viene completamente sovrapposta a quella delle condizioni di un soggetto non disabile. La griglia di lettura della quale si propone l’utilizzo, infatti, è composta dall’insieme di tutti i “funzionamenti” che una persona, in generale, può sperimentare, dove “funzionamenti” è un termine-ombrello che comprende i seguenti “dominii”: le funzioni del corpo, incluse quelle mentali e psicologiche, che a loro volta rinviano alle sue strutture; le attività, vale a dire l’esecuzione di compiti o di azioni; la partecipazione, vale a dire il coinvolgimento nelle situazioni della vita. Su questa base – la quale, conviene ripetere, può essere impiegata per descrivere la situazione di qualsiasi persona – “disabilità” risulta a sua volta un termine-ombrello comprensivo dei seguenti profili: (a) menomazioni (perdite o deviazioni significative a carico delle funzioni e delle strutture del corpo); (b) limitazioni delle attività (difficoltà incontrate nell’esecuzione di compiti o azioni); (c) restrizioni della partecipazione (problemi sperimentati rispetto al coinvolgimento nelle situazioni della vita). Il risultato, da un lato, è che la classificazione non riguarda le persone, bensì i vari aspetti della loro esistenza, e dall’altro che ogni capacità di funzionamento può comunque essere registrata nella sua consistenza.
In secondo luogo, la suddetta articolazione della nozione di disabilità consente di mettere in evidenza il ruolo, decisivo, dei fattori ambientali – che infatti formano parte integrante dell’ICF – senza per questo smarrire la sostanza “sanitaria” dei problemi. Quando si parla di disabilità, il punto di partenza è pur sempre costituito da una “condizione di salute”, altro termine-ombrello che sta a indicare una malattia (acuta o cronica), un disturbo, una lesione o un trauma. Tuttavia, la misura in cui problemi di questo genere si traducono in menomazioni e soprattutto in limitazioni delle attività e restrizioni della partecipazione dipende in modo cruciale dal contesto nel quale sono vissuti, con la conseguenza, di evidente importanza, che la disabilità non può essere concepita come una qualità delle persone, bensì, appunto, come una condizione che si determina nel rapporto tra una persona (portatrice di un problema di salute) e l’ambiente che la circonda6. Il quale, a sua volta, va inteso in senso ampio, comprendendo l’ambiente fisico e le sue caratteristiche, la disponibilità di prodotti e tecnologie, i comportamenti delle persone “significative” (secondo diverse relazioni e in diversi ruoli), gli atteggiamenti e i valori prevalenti, i sistemi e i servizi sociali, le politiche, le regole, le leggi.
In sintesi, a scopo esemplificativo, possiamo quindi osservare che il diritto di una persona disabile a vivere in seno a una famiglia, ovvero a partecipare alla vita sociale, resta stabilito in quanto nella vita familiare e nella vita sociale si riconoscono modi di “funzionamento” essenziali all’esistenza di ogni persona – e la completezza dell’elenco dei funzionamenti, espressamente perseguita dall’ICF, evita il rischio di “dimenticarsi” di diritti importanti. Inoltre, ognuno dei diritti così stabiliti dovrà comunque essere perseguito a partire dalle capacità non compromesse dallo stato di salute, predisponendo un ambiente che consenta di esercitarle nel modo più produttivo possibile: il che, in concreto, significa “munire” l’ambiente di specifici fattori facilitanti e rimuovere da esso vari tipi di barriere. Naturalmente, sotto questo profilo, i risultati ottenuti dipenderanno dalle risorse effettivamente destinate agli interventi, la cui consistenza riflette l’impegno con cui ogni comunità si fa carico dei problemi vissuti dai propri membri disabili: questione essenzialmente politica, che certo non può essere decisa con lo strumento dell’ICF, il quale, nondimeno, consente a una comunità di comprendere in modo adeguato i problemi da risolvere e di orientare, efficacemente, gli sforzi che intende compiere.
Le indicazioni strategiche.
In base alle considerazioni che precedono, l’obiettivo generale delle politiche rivolte alla popolazione disabile può essere riformulato come segue: limitare le limitazioni alle attività e restringere le restrizioni alla partecipazione generate dalle menomazioni presenti a livello delle funzioni e delle strutture corporee. In questa chiave, il Xxxxxx ha quindi preso in esame i servizi
6 Questo è presente fin dal 1980.
attualmente forniti dalle istituzioni pubbliche, i quali non soltanto fanno parte dell’ambiente che circonda i disabili, ma ne costituiscono la componente che più di ogni altra è chiamata a influire positivamente sui loro livelli di funzionamento. Nel corso di tale esame, per altro, sono anche venuti in evidenza alcuni fenomeni di carattere propriamente sociale (in quanto distinti, appunto, dai risultati imputabili all’intervento delle istituzioni pubbliche), e precisamente:
❖ un’evoluzione dell’atteggiamento nei confronti della disabilità che ha portato a una minore frequenza di comportamenti discriminatori e stigmatizzanti, soprattutto presso le giovani generazioni;
❖ una minore propensione, da parte delle famiglie, a “nascondere” i problemi, e anzi
❖ un elevato livello d’iniziativa da parte delle associazioni che le rappresentano e, più in generale, una considerevole propensione all’affermazione delle proprie esigenze.
Come si vede, si tratta sempre di fenomeni positivi. Questo, naturalmente, non significa che in seno alla società non permangano problemi, tendenze alla rimozione, ecc. Piuttosto, la circostanza che il Tavolo abbia registrato dati di segno positivo va interpretata come una messa a fuoco, soprattutto, delle variazioni che sono intervenute nel passato più recente, le quali, in effetti, riflettono una certa maturazione della coscienza civile e della sensibilità sociale: anche sul piano del sentire comune, insomma, la terza fase di cui al paragrafo precedente non è passata invano.
Il quadro generale dei servizi presi in esame è articolato qui di seguito nei punti di forza e di debolezza emersi dalla discussione.
❖ Le strutture residenziali presentano caratteristiche (localizzative, tipologiche, funzionali, ecc.) complessivamente coerenti con l’obiettivo di garantire soluzioni normalmente inserite nel tessuto abitativo. L’assenza di liste d’attesa testimonia un sostanziale equilibrio tra domanda e offerta; inoltre, la prevista realizzazione di una nuova struttura a Collegno consentirà di fronteggiare l’aumento della domanda che presumibilmente si verificherà per ragioni demografiche. Dal lato dei problemi, l’associazione “La Scintilla” ha sostenuto la necessità che i contesti abitativi siano maggiormente integrati con i servizi di tipo sanitario. Più in particolare: ha chiesto una maggiore presenza di personale della A.S.L., ed ha sottolineato l’importanza che i medici che intervengono nelle comunità abbiano conoscenza della patologia e della storia del disabile; ha collegato a questa osservazione la richiesta che le famiglie possano verificare le cartelle sanitarie; ha affermato l’esigenza che l’A.S.L. e il C.I.S.A.P individuino degli spazi specifici nei quali realizzare una accoglienza ad alta valenza sanitaria, da destinare a disabili affetti da patologie croniche invalidanti o comunque non autosufficienti. Infine ha chiesto che la possibilità di accesso da parte della commissione di controllo, oggi prevista soltanto per la comunità alloggio (oltre che per i centri diurni), sia estesa a tutte le strutture. Inoltre è stata rilevata la necessità di attivare iniziative che si connotino come interventi di “tregua e di sollievo”, in relazione a specifici momenti vissuti dal soggetto e dalla sua famiglia.
❖ Il programma SAVI (Servizio di aiuto alla vita indipendente) è stato oggetto di largo apprezzamento, soprattutto per la scelta, che lo caratterizza, di “mettere in primo piano la persona”, ovvero di riconoscere la capacità di gestire autonomamente l’acquisizione di assistenza personale anche quando si versi in condizioni di disabilità molto gravi (sebbene questo, naturalmente, limiti i possibili destinatari dell’intervento a persone che, per quanto gravi siano le loro menomazioni, possono comunque compiere valutazioni, scelte, ecc.). Almeno sul piano del “modello” di intervento non sono emerse criticità (segnalata anche la possibilità di integrazione con prestazioni di tipo sanitario). Piuttosto – proprio in termini di “funzionamenti” – sembra ulteriormente da sottolineare il profilo, appunto, dell’indipendenza, strettamente legato al carattere “privato” della situazione abitativa: quest’ultimo è connesso forse alla circostanza che i destinatari dell’assegno presentano livelli di disabilità meno gravi di quelli fatti registrare dagli ospiti delle strutture residenziali, ma una variabile importante è costituita sicuramente anche dalla disponibilità di un alloggio
adeguato alle necessità. Il livello di apprezzamento del programma fornisce una giustificazione dell’elevato costo unitario degli interventi (seppure ciò determini in alcuni delle critiche, in relazione ad aspetti di equità nella distribuzione delle risorse); ma la questione, probabilmente, merita un approfondimento in futuro sotto tutti i versanti, ivi compreso quello del suo “consolidamento”, che va proseguito e reso permanente superando una logica “sperimentale”, ed eventualmente estendendolo anche alle persone al di sopra dei 65 anni. L’associazione “Consequor” sottolinea che in realtà tale progetto si propone ad un alto livello di qualità erogata e percepita, e che il rapporto costi / benefici risulta a suo parere particolarmente favorevole. Nel corso della discussione su questo tema sono stati approfonditi vari aspetti, tra cui anche quello del rapporto che viene a stabilirsi tra CISAP e soggetto beneficiario nel corso della corresponsione dell’assegno, mettendo in evidenza che l’aspetto cardine è l’autonomia della persona disabile, superando posizioni dogmatiche circa il ruolo dei servizi nella gestione dei progetti. Resta ferma la loro disponibilità all’assistenza e la responsabilità nel monitoraggio del progetto stesso come previsto dalla legge.
❖ Anche il programma “Verso casa” è stato oggetto di valutazioni largamente positive. Il riferimento all’area delle relazioni familiari va letto tenendo conto del fatto che le politiche rivolte ai disabili riguardano sempre, appunto, anche i loro familiari. Qui, in effetti, il funzionamento di cui si tratta è innanzi tutto il funzionamento come genitori di coloro ai quali è nato un figlio o una figlia con uno stato di salute che “annuncia” un problema di disabilità
– padri e madri “sfidate” dalle circostanze (per concedere qualcosa al linguaggio degli americani) non meno dei neonati. D’altra parte, “lavorare” sulle possibilità di funzionamento dei genitori significa lavorare ipso facto, sebbene mediatamente, su quelle dei figli, a partire dalle garanzie di cui hanno bisogno sul piano delle funzioni corporee, per arrivare al modo in cui si formano le loro percezioni del mondo esterno (soprattutto del suo grado di affidabilità). Gli elementi portati a supporto della valutazione positiva sono: la tempestività e la continuità dell’intervento di sostegno, che inizia subito, al momento del parto, e poi si configura come un vero e proprio accompagnamento (“verso casa”, appunto); la consistenza dei supporti domiciliari resi disponibili; la capacità di generare forme di collaborazione tra i genitori (ovvero di condivisione e di mutuo aiuto), che diventano una preziosa risorsa “aggiuntiva” a quanto messo in opera nell’ambito del programma; la possibilità, offerta in particolare alle madri, di continuare la vita lavorativa; la testimonianza della possibilità di realizzare efficaci forme di cooperazione tra operatori diversi (Ospedale, Servizi di fisiatria, fisioterapia e logopedia, Unità Operativa di Riabilitazione Psicosociale e Neuropsichiatria Infantile dell’A.S.L. 5, C.I.S.A.P, cooperativa affidataria dell’assistenza domiciliare). Dal lato dei problemi è stata segnalata la scarsa conoscenza del programma e, soprattutto, la sensazione di abbandono che si determina quando la famiglia esce dal medesimo per raggiunti limiti di età del bambino (3 anni). Un limite è anche la carenza delle attività di riabilitazione (fisiatria, psicomotricità), giudicate decisamente insufficienti. Infine, valgono considerazioni analoghe a quelle del caso precedente circa il rapporto tra il livello di apprezzamento e il costo degli interventi.
❖ Più complessa la valutazione dei centri diurni. Per un verso la loro importanza è stata sottolineata in modo convinto: di preciso, è stato affermato che una volta finita la scuola “non ci sono altro che i centri” (sul piano, s’intende, delle opportunità educative e di socializzazione), almeno per la fascia di persone che non presenta possibilità di inserimento lavorativo ex legge 68 o di inserimento non finalizzato all’assunzione, ossia di tipo socio – occupazionale. Anche nel caso dei centri diurni, inoltre, l’assenza di liste d’attesa indica un sostanziale equilibrio tra domanda e offerta. Sul piano “metodologico”, la formula dei progetti personali, definiti in collaborazione con le famiglie, sembra stabilmente affermata (e più in generale la continuità del rapporto con le famiglie è stata indicata come un tratto saliente di tutta l’attività dei centri). Al tempo stesso, anche in questo caso, è emerso da parte delle associazioni l’esigenza di una maggiore integrazione con i servizi sanitari, denunciando, al riguardo, una modificazione dell’organizzazione rispetto al passato. I centri sono bensì luoghi di socializzazione, educazione e riabilitazione, materie che rientrano nell’area dell’“assistenza”; nondimeno coloro che frequentano i centri hanno anche rilevanti problemi di tipo sanitario, oltretutto generalmente destinati ad aggravarsi nel
tempo, che andrebbero affrontati (anche) nel contesto dei centri. Quindi, in particolare: a) il personale della A.S.L. dovrebbe intervenire (anche) all’interno dei centri per compiere verifiche periodiche sugli aspetti riguardanti la salute, con un’accentuazione dei risultati che in tal modo si potrebbero ottenere sul piano della prevenzione (in concreto il personale della
A.S.L. dovrebbe essere più presente nella definizione e nella supervisione dei progetti individuali e di gruppo); b) inoltre, a partire dai rapporti così stabiliti, dovrebbero essere garantiti percorsi privilegiati che evitino alle famiglie la necessità di estenuanti trafile all’interno dei presidi sanitari. L’esigenza, dunque, è complessivamente quella di “essere seguiti” in modo unitario e con maggiore continuità rispetto ai problemi della salute. D’altra parte è fondamentale che la previsione di percorsi privilegiati non sortisca effetti “stigmatizzati”, riducendo il diritto e la prassi della maggior integrazione possibile per le persone disabili. Infine, con riferimento ai casi più gravi, una associazione ha anche avanzato la richiesta di un rapporto 1:1 tra operatori e fruitori del centro.
❖ Gli interventi nel contesto scolastico fanno registrare una situazione che, per punti, può essere riassunta come segue: (i) una significativa presenza di personale messo a disposizione dai comuni, soprattutto negli asili nido e nelle scuole d’infanzia; (ii) modalità di intervento abbastanza ben delineate, unite però a sensibili carenze quantitative e a problemi di implementazione, per quanto riguarda gli insegnanti di sostegno; (iii) una situazione che ha dato luogo a condizioni contrastanti per quanto riguarda il ruolo degli “ausiliari”; (iv) un rapporto ancora insoddisfacente tra il personale scolastico e i “referenti” della ASL; (v) la fase critica vissuta dagli interventi specificamente destinati all’orientamento. La logica dell’intervento, almeno in linea di principio, non “guarda” soltanto al disabile, ma alle dinamiche che complessivamente si realizzano attorno alla sua persona, con un massimo di attenzione, dunque, agli aspetti relazionali. In altri termini, si cerca di intervenire non tanto sul “caso”, quanto sulla classe, puntando a confermare, rafforzare e valorizzare la tendenza delle generazioni più giovani, già constatata, a una maggiore “apertura” nei confronti dei coetanei con problemi di disabilità: insomma “far leva” sulla sensibilità dei bambini, tenendo conto del fatto che “spesso i coetanei sanno aiutare i bambini diversamente abili meglio degli adulti”. Il personale messo a disposizione dai comuni nei vari tipi di scuola è formato da figure varie (educatori professionali, obiettori di coscienza, giovani in servizio civile volontario) che svolgono funzioni di accoglienza, inserimento e integrazione. Il livello di integrazione dell’alunno disabile ha raggiunto nelle scuole del territorio un valore elevato ed abitualmente riconosciuto dalle famiglie. In tal senso particolare rilievo ha avuto lo sviluppo di specifiche buone prassi che la scuola ha condiviso anche con le altre istituzioni del territorio. All’interno delle scuole del primo ciclo sono stati realizzati in un numero significativo di casi progetti di continuità per garantire passaggi di scuola corretti e sostenuti. Dal lato delle difficoltà è stata rilevata la necessità, oggi disattesa, che gli educatori assumano responsabilità più complessive, ovvero che siano messi in grado di operare anche in assenza dell’insegnante di sostegno (ad esempio sono state portate le attività di accompagnamento). Il percorso che mette capo all’assegnazione degli insegnanti di sostegno sembra, nel complesso, soddisfacente7. Punto dolente è il loro limitato numero. Oltre a questo, che resta il problema principale, ne sono poi stati indicati altri due, di diverso tenore. Il primo riguarda il livello di preparazione, giudicato insufficiente, anche per mancanza del titolo di specializzazione, in un non trascurabile numero di casi. Il secondo rinvia, per negativo, a quanto già osservato circa le caratteristiche di una strategia di integrazione che possa effettivamente dirsi adeguata: in
7 Il primo passo è la diagnosi funzionale compiuta dalla competente Unità Multidisciplinare (che nel contesto locale è già orientata alla fase di integrazione), cui fa seguito la definizione del profilo dinamico funzionale dell’alunno e del progetto educativo individuale (sottoscritto dal referente del caso, dalla famiglia e dalla scuola). Su questa base, avviene assegnazione degli insegnanti, che per altro non è un’assegnazione agli studenti, bensì alle scuole, che a loro volta, poi, con il concorso del GLH, assegnano un certo numero di ore alle classi. Gli insegnanti di sostegno fanno parte a tutti gli effetti dell’organico d’istituto e partecipano a tutte le attività (comprese quelle di valutazione del profitto). Da notare, per altro, che la procedura di certificazione, talvolta, “spaventa” le famiglie, che nei casi di disabilità lieve tendono a rinunciare alla richiesta del sostegno. Almeno in parte, la presenza degli educatori consente di intervenire anche in queste situazioni.
un certo numero di casi il bambino disabile è considerato ancora un problema, appunto, dell’insegnante di sostegno, piuttosto che di tutti i docenti e della classe, con grave pregiudizio dei risultati che si ottengono, mentre sarebbe auspicabile una generalizzazione del lavoro per team. Al personale ausiliario (A.T.A. - i “bidelli”) sono assegnate funzioni “di base” – perlopiù di carattere pratico, ma non per questo poco delicate – sulla cui importanza non esistono dubbi. I problemi, anche qui, sono di tipo quantitativo (si tratta di personale che ha subito consistenti riduzioni), aggravati dal fatto che la composizione per genere e per età è a volte incoerente con i compiti da svolgere. Inoltre la distribuzione per scuole degli alunni disabili non è omogenea e può determinare sproporzioni rispetto alle dimensioni della scuola stessa. La disponibilità “soggettiva”, comunque necessaria, a volte risulta molto elevata, altre insufficiente. Complessivamente non sembra si possa dire che il coinvolgimento delle figure in questione basti a coprire le quotidiane esigenze di assistenza degli studenti disabili, tant’è che ciò sollecita a volte l’esigenza di soluzioni alternative. Una vera e propria criticità è stata poi denunciata per quanto riguarda il “rapporto con gli esperti”, vale a dire l’interazione tra il personale sanitario dell’A.S.L. referente dei casi e il personale scolastico. Il punto è che, in teoria, dovrebbe trattarsi di cogestione delle situazioni, mentre per motivi di varia natura, ciò accade ancora troppo raramente, nonostante la firma di un accordo di programma in merito, che richiede di essere maggiormente valorizzato ed applicato. Altra questione delicata è quella dei trasporti, anche per quanto riguarda la partecipazione alle attività che non si svolgono strettamente nell’ambito scolastico (ad esempio le gite, tanto più se di lunga durata). Esistono bensì varie forme d’intervento, ma complessivamente la situazione viene giudicata ancora in modo negativo. L’orientamento scolastico ha avuto a partire dal Progetto Horizon “Itinera” un notevole sviluppo e una affermazione giudicata molto positivamente sia dagli alunni e dalle loro famiglie, sia dagli operatori di tutti i settori coinvolti. Esso ha rappresentato anzi uno dei punti di forza nel rapporto tra operatori socio - sanitari e scolastici e tra scuola, agenzie formative e famiglie, offrendo supporto in un momento strategico per il futuro dei giovani allievi. È però fondamentale che esso possa godere di una organizzazione e di finanziamenti stabilizzati e certi, per renderlo fruibile con sicurezza e per poter consolidare una prassi e che rientri in maniera formale e definitiva nella programmazione delle attività di tutti i soggetti istituzionali interessati. Riguardo a tutto il personale che opera in rapporto all’alunno disabile è emersa complessivamente la necessità di valorizzare maggiormente e di potenziare gli aspetti formativi, sia in riferimento alle singole professionalità, sia nell’ottica di formazioni interdisciplinari, che costruiscano linguaggi, assunti ed impostazioni comuni, superando situazioni settoriali che rischiano di frammentare e rendere meno efficace l’intervento complessivo. In tale prospettiva si colloca anche le valorizzazione delle competenze delle famiglie, nell’ottica della pedagogia dei genitori. Il modello di formazione interdisciplinare risulta peraltro essere già stato sperimentato nel territorio di Collegno e Grugliasco, nell’ambito del già citato progetto Horizon “Itinera” con ottimi risultati. Si tratta pertanto di riprenderne alcune parti e di aggiornarle.
❖ Per quanto riguarda gli interventi di inserimento lavorativo, sembra che l’impostazione metodologica possa senz’altro essere giudicata in modo positivo. Gli elementi a supporto di questa affermazione sono: un lavoro rigorosamente impostato per progetti personalizzati; il peso attribuito al rapporto con le famiglie (anche se non sono emersi elementi circa il modo in cui si realizzano), le modalità di svolgimento della fase di valutazione dei casi (che attribuisce un peso elevato ai test e ai colloqui, cioè a modalità di interazione diretta con gli interessati, con una nota polemica, mi è parso di capire, nei confronti del programma Match), l’orientamento a consigliare innanzi tutto la prosecuzione del percorso formativo nel caso delle persone più giovani, la gradualità del processo di inserimento (legata alla possibilità di tirocini propedeutici), la continuità del rapporto con il SIIL anche dopo l’inserimento (e anche, più o meno informalmente, dopo i 6 mesi di accompagnamento comunque previsti), gli strumenti di valutazione dell’attività (con un peso elevato della componente in itinere). A conferma di un processo ben impostato, si può citare il fatto che i casi di fallimento successivi all’assunzione, per incompatibilità con l’ambiente o le mansioni, sono piuttosto rari. I problemi – rilevanti – dipendono da alcune condizioni di contesto e soprattutto: dalla disponibilità di posti di lavoro, che nel complesso è scarsa a causa dalla crisi economica (tra l’altro le aziende in cassa integrazione e mobilità non sono soggette
agli obblighi di assunzione) e spesso incoerente con le caratteristiche delle persone da inserire (per livelli di formazione richiesti e per ragioni di genere); dall’importanza assunta dall’autonomia negli spostamenti in presenza di notevolissime difficoltà per quanto riguarda i trasporti. Quest’ultimo aspetto, anzi, ha ricevuto ancor più attenzione del precedente, forse anche perché potenzialmente (o meglio in linea di principio) più aggredibile alla scala di un piano di zona. Segnalati anche problemi di “integrazione e rapporto tra i servizi”. Nel complesso, le politiche di inserimento lavorativo sono state giudicate molto importanti: “spesso – è stato detto – il lavoro non è un punto di arrivo ma di partenza: attraverso il lavoro, infatti, molte persone disabili conquistano spazi prima mai avuti”. E in effetti, per vari aspetti, le politiche di inserimento lavorativo si “sposano” particolarmente bene con l’approccio ICF. Considerazioni analoghe – per tutti gli aspetti considerati: impostazione metodologica, incidenza delle condizioni di contesto, importanza dello strumento – valgono per gli inserimenti socio-occupazionali . Tali interventi sono previsti per persone per le quali non sia proponibile un percorso formativo o lavorativo ma che al tempo stesso non richiedano un intervento ad alto livello assistenziale (come ad esempio l'inserimento in centro diurno). Nello specifico si persegue l'obiettivo dell'integrazione sociale mediante l'inserimento di persone in contesti reali (associazioni, circoli, parrocchie, scuole, coop. sociali) in cui possano svolgere semplici compiti allo scopo di incrementare le capacità e le autonomie individuali. La persona entra così a far parte del contesto in cui opera acquisendo un ruolo ed un riconoscimento delle proprie capacità creando così le condizioni per un effettivo inserimento nel tessuto sociale. A questo scopo diventa fondamentale la collaborazione con tutte le agenzie che sul territorio possono diventare "risorse" utili alla costruzione di una rete aperta alle tematiche espresse dal presente tavolo di lavoro, anche grazie ad una adeguata e generalizzata opera di informazione e sensibilizzazione. Si sottolinea quindi il fatto che l'inidoneità a fornire un vero e proprio contributo produttivo non pregiudichi la possibilità di “avere rapporti” con il tessuto sociale, e che ciò va certamente considerato un obiettivo “avanzato”. Il sussidio previsto a riconoscimento dell'attività svolta e la sua funzione “educativa”, inoltre, si prestano bene a essere messi in relazione con il funzionamento relativo alla gestione delle “transazioni economiche semplici” (ICF-d8600).
❖ Il tema dei trasporti si è già affacciato, in posizione - chiave, nell’esame di alcune delle problematiche prese in esame nei punti precedenti. Questa circostanza è di per sé altamente significativa: in effetti, le possibilità di spostamento sono un fattore di benessere
– o malessere – tipicamente “orizzontale”, che produce effetti largamente pervasivi rispetto a moltissimi funzionamenti (anzi, a essere precisi, le condizioni che si realizzano sotto il profilo della mobilità vanno considerate come un vero e proprio fattore di “limitazione ecologica”, stabilendo i confini dell’ambiente fisico con il quale un individuo, di fatto, entra in relazione). Proprio questa considerazione, d’altra parte, induce a non limitare il ragionamento ai singoli casi già venuti in evidenza e dà conto dell’enfasi con cui il Tavolo ha sollevato il problema. La situazione, insomma, sembra la seguente: qua e là si registra qualche intervento, collegato a esigenze specifiche (cfr. schema), tuttavia (a) gli interventi che si registrano sono insufficienti anche per quanto riguarda le specifiche esigenze alle quali sono ordinati, e soprattutto (b) la “questione trasporti” va sollevata in tutta la sua ampiezza, come un problema di carattere propriamente generale. L’argomento, inoltre, va inquadrato in quello, ancora più complessivo, delle condizioni di accessibilità alle diverse parti del territorio e degli spazi costruiti, includendo quindi il tema delle “barriere architettoniche” (inclusa la questione dei posti riservati e della loro effettiva “protezione”), rispetto al quale, pure, la situazione è stata giudicata parzialmente soddisfacente.
❖ Di tempo libero – espressione alquanto stereotipata e insoddisfacente, che in effetti rinvia a molteplici e fondamentali esigenze di ricreazione, svago, divertimento, incontro, convivialità, arricchimento personale, ecc. – il Tavolo non ha discusso in modo organico. Tra le cose dette, l’unica che almeno in parte può essere ritenuta pertinente è la richiesta, avanzata dall’Associazione “La Scintilla”, di una piscina opportunamente attrezzata, del resto già in programma. In generale, del resto, l’argomento del modo in cui i disabili possono vivere il proprio tempo libero (continuiamo a dire così, ferma restando la suddetta esigenza di
“tematizzazione”8) sembra consegnato a un destino di marginalità, quasi si trattasse di un “lusso”. Moltissime ragioni, invece, consigliano di ribaltare questa tendenza. Circa il concetto globale di fruibilità del territorio infine, va sottolineato che esso, insieme quello di valorizzazione dell’ambiente, non è limitato agli aspetti architettonici ed ai trasporti. Un territorio diventa fruibile se offre risorse che potenzino attività e partecipazione dei singoli individui. Sotto questo aspetto pare doveroso evidenziare la necessità di una maggior sensibilizzazione dei soggetti pubblici e privati e dei singoli cittadini alle tematiche della disabilità. L’accoglienza delle persone disabili nei contesti associativi e nelle situazioni di svago e di tempo libero pare ancora oggi limitata, così come la disponibilità di centri ed associazioni ad offrirsi come risorsa per gli inserimenti socio – occupazionali. Sono aspetti diversi, che ma presumono entrambi una maggiore sensibilizzazione al tema. Nel primo caso, la ricaduta è evidente nella difficoltà incontrata dalle persone disabili a vivere esperienze di socialità e svago comuni agli altri cittadini, e non costrette ad una sorta di obbligata auto – segregazione (non di spazi ma di relazioni). Nel secondo caso appare evidente l’importanza che la disponibilità di offerte di inserimento socio – occupazionale (che di fatto nulla costano a chi si rende disponibile) ha nel costruire un percorso di integrazione sociale fuori dai centri diurni, così come evidenziato in precedenza. Il sottile rischio che deve essere evitato è lo svilupparsi di una concezione secondo cui, ottenuti i servizi indispensabili, tutto il resto sia accessorio. Pare questa una concezione in totale contraddizione con linee che hanno informato la nascita e lo sviluppo del Tavolo, che presumono il diritto alla piena realizzazione di ogni cittadino in egual modo, ed il dovere della comunità di valorizzare e sostenere in maniera speciale chi presenta condizioni di maggior difficoltà. È per questo che nell’ambito della fruibilità ambientale devono essere sostenute anche le iniziative di informazione delle persone disabili circa i loro diritti e le loro opportunità (apprezzamento per l’attività svolta dall’Informahandicap e per la neswsletter che esso produce e necessità di un suo consolidamento, visti come sostegno nel funzionamento “progettare la propria vita”), ma anche, al contempo, quelle di informazione e sensibilizzazione della comunità locale circa le problematiche della disabilità
Il giudizio sulla coerenza della programmazione in atto.
Nella seconda fase dei lavori, il Tavolo ha focalizzato la propria attenzione sull’analisi del documento proposto dal Comitato dei Sindaci9.
Stante il giudizio complessivamente positivo sulla programmazione relativa al triennio di piano, il gruppo ha proposto di operare, attraverso un confronto tra i diversi attori del sistema, per:
• Dare piena e completa attuazione all’Accordo di Programma Azienda sanitaria n.5 ed Enti Gestori per la parte relativa all’handicap;
• Assicurare la messa a regime della rete delle strutture diurne e residenziali personalizzando i servizi in funzione dei bisogni espressi dalle persone,
• Evitare il formarsi di liste d’attesa relativamente agli interventi rivolti ai disabili;
• Assumere iniziative raccordate tra i Comuni, la Provincia, ed il Patto Territoriale per il potenziamento delle attività di inserimenti mirato e per la piena attuazione della legge 68.
8 Rispetto alla quale è utile il riferimento a ICF-920.
9 Deliberazione del Comitato dei Sindaci n. 2 del 9.9.2005 “Indirizzi per la seconda fase di pianificazione e materiali per la redazione del Piano di Zona dell’Ambito territoriale di Collegno e Grugliasco”.
Anziani.
Fonte: Documento prodotto dal tavolo “anziani”.
Il quadro interpretativo.
Il quadro interpretativo nel quale leggere le politiche e le dinamiche sociali inerenti la popolazione anziana di Xxxxxxxx e Xxxxxxxxxx si definisce intorno ad alcune considerazioni di carattere più generale. È anzitutto valutabile un complessivo aumento della popolazione ultra sessantacinquenne. Aumento che, spesso, comporta il prevalere di atteggiamenti di preoccupazione, poco conciliabili con un equilibrato e lucido occuparsi delle condizioni – anche molto problematiche – che si determinano con l’aumentare della vita vissuta.
Una seconda chiave di lettura è costituita dall’assunzione consapevole del carattere multi dimensionale delle problematiche che insistono sulla condizione delle persone anziane. Limitazioni di autonomia funzionale, cognitiva, depauperazione delle reti relazionali significative e significanti, solitudine, diminuzione del potere d’acquisto del reddito rispetto al costo della vita (si pensi al problema del mantenimento dell’abitazione): sono queste alcune delle dimensioni che, in misura diversa, si possono accumulare sulle spalle, particolarmente fragili, delle persone anziane.
La pertinenza della risposta di un sistema integrato di servizi socio assistenziali e sanitari a quest’ordine di problemi non può, ovviamente, prescindere dalle sue capacità di lettura e valutazione – densa – del singolo caso nel suo ambiente di vita – il contesto sociale. È importante, poi, assumere in senso proprio una terza asserzione, spesso enfatizzata, ma raramente presa in considerazione e ponderata nei suoi significati e nelle sue possibilità reali: l’anziano come patrimonio di saggezza ed esperienze, l’anziano come risorsa.
Non si può, infatti, fare a meno di notare che su tale affermazione si sono accumulati “strati” di retorica, che hanno appannato il senso e sminuito le concrete possibilità e opportunità di vivere in modo pieno – anche per la società – l’età più matura della vita.
Il tavolo tematico “Anziani”, ha analizzato e discusso alcuni aspetti centrali relativi alle politiche, ai servizi e alle dinamiche sociali riguardanti la popolazione anziana di Collegno e Grugliasco. È un quadro senz’altro complesso e tutt’altro che scontato quello si è delineato mano a mano che il discorso si andava approfondendo, condividendo le informazioni, scavando sui vissuti e sulle contingenze per far emergere punti di forza e di debolezza, giudizi di valore capaci di descrivere
– problematizzandolo – il sistema dei servizi. Un contesto, questo, in cui agiscono, in modo già discriminante, scelte strategiche coerenti con una visione delle politiche – sociali, sanitarie, culturali – rivolte agli anziani, intese, da un lato, come strumenti volti a garantire una reale tutela dei diritti, dall’altro, come occasioni per sperimentare un reale coinvolgimento delle persone anziane nelle strategie di miglioramento della qualità della vita – loro e della comunità.
Un quadro che, ovviamente, presenta ancora zone scure e, in alcuni casi, molto confuse. Il grado di coscienza di tali difficoltà, debolezze organizzative o carenze culturali, permette, però, di far emergere alcune indicazioni che, in parte confermando scelte ed esperienze pregresse, consentono di definire una visione complessiva della realtà sociale.
La composizione stessa del tavolo tematico ha permesso di tenere sempre presenti, nell’osservazione delle azioni e delle politiche, diversi punti di interesse, rispetto ai quali le varie realtà partecipanti sono, in misura diversa, più attente. La sfera relazionale, culturale, organizzativa, sanitaria, la sfera relativa alla qualità della vita “materiale”, alla partecipazione: tutti aspetti che, come si è detto, concorrono alla promozione della qualità della vita.
Così, per quanto riguarda il tema centrale e problematico della non autosufficienza, si considera il valore e il positivo impatto dei diversi servizi a sostegno della domiciliarità, sia quelli di carattere socio - assistenziale che quelli più specificatamente sanitari, servizi altamente differenziati e ad “accesso variabile”, erogati sulla base di progetti individuali di assistenza. Tale approccio alla non autosufficienza assume diverse valenze. Esso deriva dalla constatazione
che, alla multi dimensionalità della non autosufficienza, occorre rispondere con interventi puntuali e in grado di affrontare le diverse dimensioni che concorrono a definire ogni singola situazione.
Assegni di cura, assistenza domiciliare socio - assistenziale e infermieristica, erogazione di pasti o di buoni pasto, centri diurni – per citare alcune delle possibili forme di sostegno alla domiciliarità già disponibili per la popolazione di Collegno e Grugliasco – affrontano le diverse forme in cui si può concretare la mancanza di autonomia.
Ovviamente questa attenzione alla non autosufficienza in chiave “progressiva” non può esimersi dal valutare il peso delle situazioni di maggiore gravità: al contrario, deve permettere di raggiungere una maggiore adeguatezza degli interventi attivabili in ogni caso, supportando famiglie e reti primarie nelle mansioni di cura che, sempre impegnative, possono portare a situazioni insostenibili, ad esempio nelle coppie di “grandi anziani”, o per figli anziani che si occupano di genitori ottuagenari. Ed è proprio per la popolazione anziana gravemente non autosufficiente che gli enti gestori e le cooperative accreditate riescono a garantire il maggiore livello di copertura della domanda. L’introduzione di un sistema di mercato amministrato entro il quale agenzie accreditate offrono i servizi alla persona ha permesso, infatti, di aumentare il numero delle erogazioni assistenziali e di approfondire modalità di lavoro su progetti individualizzati. Xxxxxxxxx, malgrado l’impegno degli enti gestori e delle cooperative accreditate a favore della popolazione anziana gravemente non autosufficiente, resta il fatto che l’aumento dei bisogni e le carenti risorse della sanità determinano soltanto una parziale copertura della domanda.
È importante notare come un approccio di questo tipo – domiciliarità, presa in carico del caso, definizione di progetti individualizzati di assistenza – tende spontaneamente a non limitare la propria attenzione alle situazioni più gravi – assumendo così una valenza preventiva fin dalle lievi forme di non autosufficienza. Sono vincoli di bilancio (ora soggetti a ulteriori riallocazioni dovute all’introduzione dei LEA) ad aver determinato la concentrazione e l’esaurimento delle risorse disponibili per affrontare le situazioni di grave limitazione dell’autonomia.
Questo “sistema” di servizi, che, come è noto, ha conosciuto negli ultimi anni profonde trasformazioni, deve fare i conti anche con le ansie e le insicurezze di un “pianeta anziani” consapevole del generale invecchiamento della società e preoccupato per l’insicurezza che prospetta un futuro comunque incerto. Tale preoccupazione riflette e riporta un’altra serie di problemi che esprimono chiaramente i limiti e le dimensioni delle zone d’ombra che, ancora, caratterizzano il sistema dei servizi per le persone anziane, i punti irrisolti e migliorabili.
C’è, anzitutto, un problema di conoscenza delle diverse opportunità assistenziali e dei canali di accesso. Spesso, la richiesta di supporto per persone non autosufficienti si palesa solo quando la famiglia è ormai stremata dagli oneri della cura e non vede altre possibilità – anche perché non ne sospetta l’esistenza – al di fuori del ricovero. Questo aspetto, oltre ad essere una delle “cause” di quello che è stato definito “effetto prenotazione” per la struttura residenziale assistita, rimanda direttamente al problema più generale dell’ansia che affligge le persone con l’aumentare degli anni: ancora una volta, si tratta di male - essere con cause multidimensionali, dovute alla consapevolezza della progressiva fragilità del proprio esistere.
Se, quindi, tale problema non può essere liquidato semplicemente come “sanitario”, è pur vero che, proprio per la cognizione diretta dell’invecchiamento fisico, il rapporto con il “medico” è di centrale importanza per la serenità e sicurezza della persona anziana. La diffusione di notizie sullo stato di salute attraverso i media comporta l’aumento sia dell’ansia, sia delle aspettative nei confronti di una scienza medica troppo spesso indicata come deus ex machina rispetto ai mali del vivere. La frustrazione di tali aspettative sembra accentuata da una reciproca incapacità di ascolto – di decifrazione del messaggio – nella comunicazione tra medico e assistito: “apprensivi” gli anziani, “superficiali e sbrigativi” i medici.
Vi è, inoltre, un problema, pur affrontato nella prassi dagli operatori degli enti erogatori, di valutazione unitaria della richiesta di sostegno. La pluralità dei soggetti responsabili dei servizi
per la non autosufficienza – di qualsiasi tipo e natura essi siano – non deve essere causa di una poco funzionale modalità d’accesso. Per quanto concerne le strutture residenziali, il livello di spesa dell’ASL è fra i più bassi della regione, con gravi conseguenze sulle liste d’attesa (177 unità a marzo 2004) e i tempi di inserimento (superiori ai 2 anni): dati che anche depurati del cosiddetto “effetto prenotazioni” sono fra i più elevati della provincia. Nel Distretto 1 le limitate risorse aggiuntive stanziate nel 2003 dalla Regione Piemonte per tutte le ASL sono state dirottate sulla domiciliarità; tuttavia, anche sommando i posti letto in RSA/RAF e le soluzioni alternative al ricovero, il Distretto 1 dell’ASL 5 risulta nettamente al di sotto dei valori di riferimento fissati a livello regionale. Si sottolinea comunque l’apprezzamento delle due strutture residenziali presenti nel territorio distrettuale: a “misura d’uomo”, garantiscono standard qualitativi elevati.
Ma l’attenzione per i problemi della non autosufficienza non può limitarsi ai pur rilevanti aspetti funzionali e sanitari. Vi è una dimensione relazionale e sociale che sollecita uno sforzo maggiore – culturale, anzitutto – volto a rompere l’isolamento delle persone in difficoltà. La sfera relazionale è, spesso, gravemente compromessa sia dalle “chiusure” dei contesti di socializzazione nei confronti delle persone con limitata autonomia funzionale, sia dall’atteggiamento di chi vive la propria condizione con vergogna e senso di inadeguatezza.
Si tratta di affrontare la divaricazione tra le politiche rivolte alla promozione dell’agio e quelle a contrasto del disagio: di per sé la scelta della domiciliarità rappresenta una chiara opzione in questo senso, promuove infatti il benessere dell’assistito e del suo “contorno” e, facendo ciò, contribuisce a prevenire, o appunto a contrastare, l’inasprirsi delle condizioni di non autosufficienza. È altresì importante perseguire con impegno e convinzione una maggiore contaminazione tra contesti e occasioni in cui si concretano le due dimensioni delle politiche sociali – promozione del benessere e contrasto del disagio nelle sue forme più acute.
Le attività socializzanti, aggreganti e ricreative, mobilitano, d’altronde, una buona fetta delle risorse fisiche e morali messe in gioco dalle strutture del volontariato. Questo dato, da solo, è indice del valore intrinseco della sfera relazionale e del ruolo che le relazioni giocano nella definizione di una situazione di benessere. I centri sociali, le associazioni culturali e di promozione sociale offrono altrettante occasioni di stare insieme e fare insieme. Per quanto riguarda i Centri, significativa esperienza di auto-organizzazione degli anziani, lo stare, spesso, prevale sul fare che può rischiare di attestarsi su una routine fatta di gioco delle carte e delle bocce. In generale, la funzione dei Centri è, in prima istanza, di contrasto alla solitudine: la vocazione di centri d’incontro è primaria rispetto ai fini culturali e di promozione sociale, maggiormente limitati dalle disponibilità materiali, “morali”, e di tempo dei nuclei di volontariato che ne organizzano la vita. Infatti, pur nella diversità delle modalità organizzative, in molti casi, i Centri sono gestiti direttamente da associazioni di anziani, cui le Amministrazioni affidano i locali nei quali svolgere le attività. E sono proprio questi gruppi di “animatori sociali”, pur non professionisti, ad indicare, da un lato lo squilibrio, nel territorio intercomunale, della distribuzione di luoghi di aggregazione accessibili agli anziani, dall’altro i punti deboli dell’esperienza dei Centri: talune modalità di gestione che non prevedono la condivisione delle finalità del Centro tra conduttori e utenza; il bisogno di occasioni di formazione e informazione; la necessità di promuovere una maggiore apertura verso “l’esterno” da parte di gruppi di frequentatori che vivono il Centro come cosa loro (apertura, come ricordato già, particolarmente difficile proprio nei confronti di coloro che, per problemi di autonomia ridotta o perché in gravi situazioni di disagio, non partecipano affatto ad attività ricreative e socializzanti).
È tuttavia possibile affermare, proprio a partire dalle esperienze maturate in alcuni di questi Centri, che tale modello organizzativo “autogestito”, se adeguatamente accompagnato e supportato dalle Amministrazioni, può portare a buoni risultati e a concrete possibilità di crescita in termini di attività proposte – fisiche, ricreative, socializzanti. Le prospettive e gli spazi per far crescere queste realtà devono, quindi, avvalersi di un patrimonio esperienziale che, opportunamente valutato e sulla base di precisi progetti di lavoro, può diventare manifestazione concreta e ri-significante del troppo abusato, quanto frustrato, concetto di risorsa anziani.
I Centri, peraltro, non sono le uniche occasioni in cui persone anziane di Xxxxxxxx e Grugliasco svolgono attività di volontariato. Il buon livello di dialogo e collaborazione tra forme della cittadinanza organizzata e Amministrazioni locali – siano le prime associazioni culturali, di promozione sociale o di assistenza agli anziani e alle persone in difficoltà – ha già permesso di realizzare iniziative che, se approfondite, possono contribuire in modo significativo al sistema dei servizi sociali (attività di informazione e mediazione tra cittadini e istituzioni, esperienze semplici, ma importanti, di accompagnamento e sostegno). Collaborazioni tra “pubblico” e volontariato, peraltro, sono già in atto e rappresentano una valida base di sapere pratico per eventuali sviluppi. Consorzio e Amministrazioni comunali, d’altronde, ritengono fondamentale costruire con le associazioni di volontariato un rapporto che non si limiti ad una dialettica di tipo “rivendicativo” ma che, al contrario, sia improntato su un utile confronto capace di trasformare esigenze e possibilità in progettualità. Si tratta, come è normale nelle situazioni di volontariato, di un lavoro lungo, fatto di esperienze che sedimentano e che non possono prevedere gli oneri e gli obblighi tipici dei rapporti di mercato, ma la cui portata non deve essere sminuita.
Il volontariato, nei Centri, nelle associazioni culturali o di promozione sociale, è senz’altro un buon antidoto alla solitudine, “malattia” tra le più drammatiche che colpiscono gli anziani. E ciò vale in modo particolare per le persone che vivono lontane dai figli, vedove, reduci da un repentino e non preparato passaggio dalla condizione lavorativa a quella di pensionato – in questi casi è lampante il vuoto di politiche di prevenzione primaria, nonostante l’ormai verificato aumento dei casi di “depressione reattiva” dovuti proprio alla difficoltà di ridefinire il proprio ruolo in un mutato contesto sociale.
Spesso le persone che vivono in queste gravi situazioni di solitudine non conoscono o non raggiungono – per motivazioni diverse che rinviano alla dimensione cumulativa del disagio – i luoghi e le occasioni di relazione e socializzazione. La testimonianza e il lavoro di ascolto e “patronato di bassa soglia” che, in questi ambiti, svolgono alcune realtà del volontariato, sono una preziosa risorsa e possibilità di raggiungere, anche per i Servizi, situazioni altrimenti “invisibili”.
Il quartiere stesso, come dimensione sociale e relazionale, ha un peso determinante nel mantenimento e nella promozione della qualità della vita delle persone anziane. La creazione di reti di solidarietà, la riattivazione dei rapporti di vicinato sono modalità – in via di sperimentazione – di supporto, per le persone con difficoltà, e di ri - significazione per chi ci si impegna. Come pure è ormai generalmente condivisa l’importanza di continuare a vivere nella propria casa. A questo proposito, però, si registra un preoccupante ridimensionamento del fondo destinato ai contributi per il mantenimento dell’alloggio, che potrà incidere pesantemente sulla già delicata questione “casa”.
La palese insufficienza della rete dei trasporti pubblici determina problemi di isolamento condivisi da buona parte della popolazione anziana e in particolare dalle persone con difficoltà di deambulazione. Si tratta di un problema serio e senz’altro condiviso da altre fasce di popolazione non indipendente sotto il profilo della mobilità urbana. Problema che merita l’attenzione delle Amministrazioni interessate, ma che sovrasta l’ambito del Piano di Zona. Certamente, però, per affrontare tale nodo in modo realistico e utile, non si può prescindere dalla valutazione di alcuni bisogni primari come, ad esempio, il raggiungimento dell’ospedale di Rivoli e delle sedi dei Servizi, particolarmente difficile per chi vive in determinati quartieri delle città.
Le indicazioni strategiche.
Tenuto conto delle considerazioni che precedono, è possibile formulare alcune indicazioni di lavoro.
Si conferma l’importanza della domiciliarità come opzione strategica per affrontare – fin quando è possibile – i problemi della non autosufficienza delle persone anziane. Tale orientamento non può che avvalersi delle esperienze già realizzate, anche per quanto riguarda forme di intervento
“sperimentali” – da studiare e approfondire – che coinvolgano anche le reti primarie e di vicinato, forme organizzate del volontariato e strutture del quartiere.
Tuttavia l’insufficienza sia della domiciliarità alternativa al ricovero (70 anziani in lista d’attesa per l’assegno di cura) sia dei posti letto convenzionati in RSA/RAF richiede un impegno su entrambi i fronti. Pertanto, al fine di assicurare i LEA previsti per la non autosufficienza grave, è necessario perseguire un potenziamento della residenzialità convenzionata e delle forme di domiciliarità alternative al ricovero.
Occorre affrontare in modo razionale e meditato il problema dell’informazione e della conoscenza delle opportunità e dei servizi. Tale lavoro può avvalersi delle competenze ed esperienze accumulate dai già sperimentati sportelli, per capire quali siano i mezzi più efficaci per raggiungere tale obiettivo.
Risulta importante studiare una modalità di accesso e presa in carico per le persone non autosufficienti che unifichi gli sportelli e le competenze di case management. Tale lavoro dovrebbe coinvolgere il Distretto e il Cisap – che, per altro, sta elaborando l’ipotesi di un’agenzia unificata per quanto concerne le informazioni sui servizi di cui è gestore. L’obiettivo di fondo è quello di rendere operante un vero e proprio servizio di Segretariato sociale che, tra l’altro, metta in rete i vari centri d’informazione esistenti e attivabili, nel quadro di un complessivo processo di semplificazione burocratica.
Si ritiene utile pensare ad un progetto di formazione e sensibilizzazione rivolto ai medici per quanto concerne il rapporto con i pazienti anziani. Tale progetto dovrebbe mirare a migliorare le capacità di ascolto e comunicazione, in modo particolare per i problemi conseguenti all’ansia dovuta alla paura della perdita di autonomia. A tal proposito si segnala di valutare l’opportunità di prevedere la presenza, nell’ambito distrettuale, di un medico geriatra.
Sempre sul piano della prevenzione, è utile pensare a progetti di preparazione al pensionamento per chi si appresta ad entrare in questa nuova fase della propria vita.
È emersa la necessità di riqualificare i centri anziani, sia sotto il profilo culturale che sotto quello della solidarietà.
Cultura intesa come proposte culturali in senso proprio (superare il centro come luogo dove si gioca a carte), ma anche come capacità di dialogo e confronto, attenzione – nelle pratiche – al valore e al significato dello stare insieme per vivere con protagonismo anche la vecchiaia.
Solidarietà a partire dalla definizione di progetti volti a promuovere una maggiore apertura e attenzione dei Centri – nelle loro attività, negli atteggiamenti dei frequentatori – verso le persone che si trovano in uno stato di maggior disagio (fisico, sociale…).
È anche importante prevedere un percorso di confronto e di scambio tra le diverse esperienze organizzative dei Centri, perseguendo un maggiore livello di uniformità per quanto riguarda le modalità di accesso.
Possono essere progettate “esperienze” ponte tra agio e disagio che, attraverso le diverse forme di volontariato, rendano operante una solidarietà di quartiere, che si inneschi sulle attività e i luoghi di socializzazione, promuovendo l’inclusione e la partecipazione. A tal fine sono già state manifestate le disponibilità, oltre che di alcuni Centri, anche della Casa Cottolengo (coop. san Xxxxxxxx).
Per quanto riguarda le situazioni di povertà conviene innanzi tutto ricordare che i dati INPS segnalano che, all’inizio del 2002, a Collegno e Xxxxxxxxxx vivono 6.000 pensionati con meno di 536 Euro mensili e altri 4.000 che non superano i 750. In particolare la povertà rappresenta un grave problema per la fascia d’anziani con più di 70 anni, tanto più che spesso la carenza di reddito è accompagnata da condizioni di solitudine e da problemi di salute; soprattutto i costi della casa e delle cure sanitarie risultano, per molti, insostenibili. Le proposte di intervento, da perseguire sulla base del reddito complessivo e utilizzando l’ISEE, riguardano:
❖ l’integrazione degli affitti e il sostegno alla morosità incolpevole;
❖ l’eliminazione dei ticket sanitari;
❖ la previsione di esenzioni o agevolazioni per i trasporti pubblici, nonché sulle tariffe e i tributi locali;
È importante studiare e predisporre progetti che promuovano il volontariato di quartiere e di vicinato. Tale lavoro, se organizzato in modo puntuale e sulla base di obiettivi realistici, può concorrere a migliorare e qualificare le esperienze già in corso (compagnia, accompagnamento), elevando sia il grado di responsabilità che quello di gratificazione delle persone coinvolte. L’impegno delle Amministrazioni – oltre la fase di progettazione – deve essere di accompagnamento costante. E ancora, in materia di volontariato, è stata sottolineata con forza – da parte delle stesse organizzazioni del settore – l’esigenza di cospicui interventi formativi, che consentano l’assunzione di ruoli più ampi e incisivi.
Infine, un’ipotesi emersa dal dibattito è la realizzazione di politiche intese ad agevolare i trasferimenti di residenza che consentono un avvicinamento tra gli anziani e i loro familiari: una sorta di “ricongiungimento” su base locale, del quale si sottolinea l’importanza per aumentare le capacità di sostegno delle “reti primarie”.
Il giudizio sulla coerenza della programmazione in atto.
Nella seconda fase dei lavori, il Tavolo ha focalizzato la propria attenzione sull’analisi del documento proposto dal Comitato dei Sindaci10.
Stante il giudizio complessivamente positivo sulla programmazione relativa al triennio di piano, il gruppo ha proposto di operare, attraverso un confronto tra i diversi attori del sistema, per:
• Aumentare i fondi per gli assegni di cura;
• Potenziare l’assistenza domiciliare integrata;
• Incrementare i ricoveri di sollievo e i Centri Diurni;
• Elaborare progetti individualizzati e concordati con la famiglia e l’anziano con l’individuazione di un unico interlocutore pubblico di riferimento (case manager);
• Sostenere la realizzazione di case adeguate;
• Individuare eventuali esenzioni sui trasporti pubblici;
• Sostenere le associazioni di volontariato;
• Sostenere l’anziano nei periodi estivi.
In particolare il Tavolo individua come prioritarie le azioni finalizzate alla prevenzione della non autosufficienza ed alla applicazione dei LEA. Sottolinea inoltre l’importanza di azioni volte all’informazione sulle opportunità e sui diritti dei cittadini. Per quanto attiene al reperimento dei posti residenziali, deve esser fatta salva la possibilità di collocazione degli anziani non autosufficienti in ambiti territoriali della Regione Piemonte diversi da quello del distretto di residenza in presenza di motivata richiesta (avvicinamento ai familiari).
10 Deliberazione del Comitato dei Sindaci n. 2 del 9.9.2005 “Indirizzi per la seconda fase di pianificazione e materiali per la redazione del Piano di Zona dell’Ambito territoriale di Collegno e Grugliasco”.
LE STRATEGIE E LE PRIORITA’ DI INTERVENTO LOCALI
Promuovere una migliore qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione.
Se si considera la casistica che dà luogo alla necessità di assistenza, risulta chiaramente che “una prevenzione reale si realizza solo attraverso concrete riforme che assicurino il lavoro con salari adeguati, prevedano pensioni sufficienti, rendano disponibili a tutti i minori i servizi prescolastici e scolastici (frequenza degli asili nido, delle scuole materne e dell’obbligo anche agli handicappati, gravi compresi), garantiscano a tutti una casa adeguata, forniscano idonei servizi sanitari compresi quelli curativi e riabilitativi a tutta la popolazione e in particolare agli handicappati ed agli anziani cronici oggi troppo spesso costretti a ricorrere agli istituti pubblici e soprattutto a quelli privati di assistenza”11.
In sostanza la prevenzione si attua, oltre che con la piena occupazione, garantendo ai cittadini di accedere al complesso dei “servizi alla persona e alla comunità” indicati dal titolo IV del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112 ed in particolare a quelli preposti alla “tutela della salute”, alla “istruzione scolastica”, alla “formazione professionale”, ai “beni e attività culturali”, allo “spettacolo” ed allo “sport”.
Un discorso a parte va fatto per i “servizi sociali”, anch’essi compresi nel titolo IV. Come più volte ribadito nei documenti programmatici del Consorzio, risulta mistificante comprendere tra i servizi sociali destinati a tutti i cittadini anche quelli che – più propriamente – dovrebbero essere definiti assistenziali ed andrebbero garantiti solamente a coloro che necessitano “di qualcosa in più” per evitare l’emarginazione sociale.
Inoltre è opportuno sottolineare – con riferimento alle situazioni di disagio sociale conclamato - che i servizi socio assistenziali hanno pochissimi strumenti per svolgere azioni dirette ad eliminare le cause che provocano le richieste di intervento. Al massimo possono individuare le situazioni “a rischio” e cioè tutte quelle carenze che, se non colmate, provocano o favoriscono la richiesta di assistenza. Da ciò consegue che la prevenzione del bisogno assistenziale non può, con riferimento a tali situazioni, rappresentare una funzione del settore dei servizi di assistenza sociale.
Tuttavia i servizi socio assistenziali – proprio perché hanno a che fare con gli effetti dell’esclusione ed hanno la possibilità di individuarne puntualmente le cause – devono operare in senso promozionale, nei confronti degli altri settori coinvolti nelle politiche sociali (specie locali), per far sì che vengano introdotti i cambiamenti occorrenti per eliminare, o almeno per ridurre, i fattori che generano difficoltà e disagio sociale ed al fine di evitare che, agli utenti dell’assistenza, venga negato il diritto di accedere alle risorse rese disponibili dal sistema di sicurezza sociale nel suo complesso (casa, scuola, sanità, previdenza ecc.).
E’ infatti doveroso pretendere che gli altri “servizi alla persona e alla comunità” siano davvero onnicomprensivi. Infatti “se si vuole veramente una società a misura d’uomo, di tutti gli uomini, che tenga cioè anche conto delle esigenze dei bambini, degli anziani e degli handicappati è indispensabile che i servizi non siano predisposti per questa o quella categoria, ma siano aperti a tutti. Di qui anche la necessità di evitare ogni carattere selettivo”12
Stante la necessità di una corretta pratica di “inclusione sociale” - che consenta alla maggioranza degli individui di trascorrere tutta l’esistenza senza dover ricorrere alle prestazioni
11 Xxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx: “Interventi alternativi al ricovero assistenziale”, edizioni Controcittà, 1980 p.104
12 Idem, p.112
dell’assistenza sociale – va tuttavia considerato che “vi è – e purtroppo vi sarà anche in futuro – una parte degli abitanti (in via di larghissima approssimazione il 2 – 3 % della popolazione, e cioè da 1 milione a 1 milione e mezzo di persone) che, a causa delle carenze del proprio nucleo familiare (minori del tutto o in parte privi dell’indispensabile protezione parentale) o a seguito di difficoltà personali (insufficienza mentale e altri gravi handicap ecc.) non sono capaci, pur utilizzando le risorse sociali (sanità, casa, scuola ecc.) di inserirsi autonomamente nella vita comunitaria. In questi casi, o interviene adeguatamente l’assistenza, o le persone subiscono le deleterie conseguenze dell’emarginazione e dell’esclusione che si ripercuotono, a volte pesantemente, sulla loro qualità di vita”.13
Condizioni di emarginazione e di esclusione – quelle delle quali i servizi socio assistenziali sono chiamati ad occuparsi – che, secondo le acquisizioni delle scienze umane contemporanee, sembrano essere sempre più strutturali alle forme della organizzazione sociale. Non costituiscono cioè errori, ma sono parti costituenti di un sistema.
Per interrompere il “processo reificante che fa pagare al più debole l’esigenza di funzionamento dell’organizzazione sociale” – è dunque necessario operare per una modificazione radicale. Modificazione che “si potrà avviare soltanto quando le situazioni create dai fenomeni devianti siano lette in termini globali, ricercandone le cause più profonde e verificando il senso dei rapporti esistenti; questo implica che i ‘fruitori’ dell’assistenza, in prima persona, siano coinvolti nella scoperta delle cause e nella gestione dei problemi e tutta la comunità locale si conquisti e mantenga aperto lo spazio per assumere in proprio le contraddizioni che la dinamica sociale produce".14
Il tema della rappresentanza dei bisogni delle persone più deboli (che si coniuga con quello della partecipazione) costituisce una sfida per gli amministratori, gli operatori dei servizi sociali e di quelli sanitari così come per le organizzazioni del terzo settore. L’adozione del “metodo della pluralità dei soggetti per la promozione del benessere” comporta un generale ripensamento sui ruoli e sui modi di operare da parte di tutti gli attori del sistema.
L’affermazione ricorrente, secondo la quale “Lo stato di salute e la sua evoluzione nel tempo sono fortemente influenzati dalla condizione sociale delle persone, delle famiglie, dei gruppi sociali” e che – a sua volta – “la condizione sociale è fortemente influenzata dallo stato di salute”15, è assolutamente condivisibile. Non bisogna però dimenticare che il concetto può essere egualmente applicato – ad esempio – al grado di istruzione, al livello culturale, alla collocazione lavorativa ed a quella abitativa.
Tutti i fattori che determinano condizione di vita di una persona hanno a che fare, in sostanza, con la collocazione della stessa nella società e viceversa. Eppure è anche sulla base di tale considerazione che, nell’ambito del sistema sanitario, si è giustificata la creazione di una “area dei servizi socio sanitari” (come settore in qualche modo “a parte” rispetto a quello sanitario).
Se la motivazione fosse valida dovremmo – per logica – prevedere altrettante aree per i servizi preposti all’istruzione, al lavoro, alla casa, alla promozione culturale e dello sport. Dovremmo cioè teorizzare una collocazione “differenziale” delle persone nei servizi - che lo stato sociale deve fornire, “per diritto”, a tutti i cittadini – sulla base di una lettura distorta e strumentale dei loro bisogni.
13 Xxxxx Xxxxxx Xxxxx, Xxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, “La riforma dell’assistenza e dei servizi sociali”, Utet Libreria, anno 2001, p.49.
14F.Xxxxxxxx, X.Xxxxxx, X.Xxxxx, X. Xxxxxxxxx, X.Xxxxx Xxxxx, “Gli orfani dell’assistenza”, Il Mulino, anno 1973, p.159.
15 Xxxxxxxx Xxxxx Xxxxxxxx: “Il rapporto tra servizi sociali e servizi sanitari” in Xxxxxxxxx Xxxx: “La riforma dei servizi sociali in Italia” Xxxxxxx editore, p.116
Dalla constatazione che “l’evoluzione epidemiologica evidenzia la costante crescita di situazioni complesse che esprimono un bisogno di interventi di assistenza tanto sociale che sanitaria”16 (come nel caso delle patologie cronico – stabilizzate e cronico - degenerative) si dovrebbe, invece, trarre la giusta conclusione che il sistema sanitario deve farsi carico degli uni e degli altri, proprio perché la persona è unica e la salute non è semplicemente una “non malattia”.
In realtà accade esattamente il contrario: è infatti ormai dilagante una impostazione “culturale” secondo la quale è prerogativa del servizio sanitario assicurare la cura della malattia nelle sue fasi acute, mentre la cronicità, in tutte le sue manifestazioni, viene espulsa dalla pienezza del diritto alla salute. In sostanza vengono considerate “sanitarie” solamente le prestazioni “mediche” e non il complesso degli interventi – forse complementari, ma indispensabili – finalizzati ad assicurare la tutela complessiva del malato come persona.
Il servizio sanitario, invece, non può che “essere sociale” se intende perseguire – nell’ambito del sistema complessivo di sicurezza sociale – la tutela della salute. E’ dunque profondamente sbagliato confondere la necessità di una integrazione delle competenze professionali e delle relative prestazioni (sanitarie e sociali, quando necessarie) con la delega al settore socio assistenziale (e quindi ai Comuni) di tutti gli interventi non strettamente medici o infermieristici.
Alla sanità è richiesto – in sintesi - di assumere direttamente tutte le valenze umane, relazionali e sociali nell’ambito delle attività di prevenzione, cura e riabilitazione che il sistema sanitario è chiamato a svolgere a beneficio di tutta la popolazione, senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti dei servizi.
L’assunzione della finalità di promuovere lo sviluppo della persona, richiede che l’attività della Regione, della Provincia e dei Comuni si concretizzi attraverso la realizzazione di politiche di sicurezza sociale (un tempo prerogativa pressoché esclusiva dello Stato) finalizzate a garantire la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale, quale condizione necessaria per l’effettivo godimento dei diritti civili e politici.
Il nuovo quadro normativo fa coincidere con l’ambito regionale e con quello locale, amministrato dai comuni, un’ampia parte della politica sociale volta alla tutela della cittadinanza. Le leggi più recenti assumono infatti inequivocabilmente la scelta della sussidiarietà. Ai comuni e alle regioni viene dunque assegnato il compito di operare per lo sviluppo delle comunità amministrate promuovendo interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza.
Le Amministrazioni locali devono dunque di produrre “politiche di comunità” che attraverso la partecipazione favoriscano il “sentirsi parte di un insieme”, di una società civile con regole comuni, da tutti rispettate e condivise, adatte a consentire una vita quotidiana più controllabile e gestibile.
Al governo locale spetta il compito di produrre politiche che promuovano inclusione e questo vuol dire, sul piano della programmazione territoriale, la capacità di considerare le porzioni di territorio a rischio di emarginazione e di abbandono come luoghi nei quali è possibile investire, per ricomprenderli nei processi di trasformazione delle città; avendo a monte una concezione del territorio non come condizione geografica ma come ambito di vita e di relazione di individui e gruppi. Ciò richiede una progettazione partecipata che riconosca - ai soggetti ed alle organizzazioni di rappresentanza che hanno concorso alla definizione dei progetti - responsabilità diretta nella gestione degli interventi di riqualificazione, di miglioramento della “qualità del vivere quotidiano” e della sicurezza di vita in generale.
16 Idem, p.116
La corretta applicazione del principio di responsabilità - ribadito più volte dalla legge di riforma nazionale e dalla normativa regionale – comporta decentramento del potere, riconoscimento di nuove sedi di partecipazione che siano anche luogo di condivisione delle responsabilità in fase di attuazione. La qualità dei servizi alle persone e alle famiglie non può infatti compiutamente realizzarsi se non si coniugano i saperi professionali con i saperi sociali ; se non si promuove una “cittadinanza attiva e competente” ben sapendo che ciò comporta l’accettazione del rischio di una sfida alle regole consolidate della partecipazione locale e di momenti di conflitto con le Amministrazioni ed i servizi locali.
In questo senso è opportuno sottolineare che anche alle organizzazioni sociali, del terzo settore ed alla cooperazione sociale si richiede una riflessione.
Con la produzione legislativa degli ultimi anni sono state poste le premesse per un passaggio dal welfare state al welfare community secondo il principio della stretta correlazione tra risorse e servizi. Alla necessità di dare puntuale risposta a vecchi e nuovi bisogni si accompagna, infatti, la limitatezza delle risorse disponibili e la conseguente necessità di far sì che la comunità locale sia coinvolta appieno nel community care, che si attrezzi cioè a “prendersi cura” di se stessa.
E’ evidente, a questo proposito, l’importanza che le organizzazioni sociali vengono ad assumere nel sistema dei servizi. Va infatti rimarcato che la legge di riforma prevede che gli Enti Locali riconoscano ed agevolino il ruolo del Terzo Settore non solo nella gestione - come già avviene – ma anche nella programmazione e nella organizzazione del sistema integrato che ha, tra gli altri scopi, la promozione della solidarietà sociale. Solidarietà (politica, economica e sociale) che l’art.2 della Costituzione definisce come dovere inderogabile dei cittadini e delle formazioni sociali che essi esprimono.
La considerazione che emerge da questa lettura delle leggi nazionali e regionali di settore è che alle organizzazioni sociali e del Terzo Settore è richiesto un nuovo protagonismo – imprenditoriale ma anche politico - non solo a livello nazionale e regionale ma anche nell’ambito della comunità locale.
Queste formazioni sociali hanno infatti la possibilità di denunciare i vuoti (antichi e recenti) di risposte sul piano delle politiche sociali e di contrastare le tendenze (presenti e future) a perseguire uno snaturamento e una strumentalizzazione del Terzo Settore in maniera funzionale allo smantellamento dello Stato Sociale e dell’universalità dei diritti sociali e di cittadinanza.
Le organizzazioni sociali potranno inoltre favorire un nuovo protagonismo di cittadinanza lavorando per la costruzione di una democrazia diffusa a livello della comunità locale; assumendosi delle responsabilità di rappresentanza; promuovendo tavoli per una assunzione condivisa delle decisioni; stimolando tutti i soggetti coinvolti a non considerarsi autosufficienti nella lettura del territorio e nell’individuazione e nella realizzazione degli interventi necessari.
Assicurare il diritto all’assistenza sociale.
Secondo l’impostazione voluta dai Comuni di Collegno e Grugliasco, l’attività del CISAP deve essere espletata a beneficio della comunità locale nel suo complesso ed a tal fine deve concretizzarsi nella fornitura di prestazioni e servizi – gratuiti o a pagamento – a tutti i cittadini in condizioni di difficoltà personale o famigliare.
Tutela dei diritti ed offerta di opportunità sono dunque gli elementi sui quali si è incentrata l’attenzione del consorzio. Diritti esigibili per i (relativamente pochi) cittadini in condizioni di grave disagio ed opportunità per i cittadini (potenzialmente “tutti”) che, pur essendo in difficoltà personale o familiare, sono in grado di “mettere in campo” risorse proprie.
Proprio sulla questione della tutela del diritto all’assistenza sociale si è focalizzata l’attenzione di chi auspicava – ed è il caso del consorzio – che con la tanto attesa riforma del settore, allora
in discussione in Parlamento, venissero affrontate, in modo definitivo, due questioni tra loro connesse: quella della reale esigibilità di tale diritto costituzionale da parte dei cittadini e quella (annosa) della difficoltà a coniugare il diritto alle prestazioni con le risorse disponibili.
Sin dalla prima fase di attività del consorzio è infatti apparso chiaro che l’estensione dell’area d’utenza comportava una implementazione del sistema in una congiuntura espansiva dei servizi e la necessità di investire risorse per il loro sviluppo.
La riforma del titolo V° della Costituzione – intervenuta dopo l’approvazione della L.328/2000 – ha assegnato alle regioni la competenza legislativa esclusiva in materia di “assistenza sociale”. Le regioni possono pertanto approvare norme difformi dalla legge quadro nazionale. Con la legge di riforma costituzionale vengono inoltre definitivamente trasferite al welfare municipale le responsabilità gestionali e finanziarie del welfare di stato, accentuando in tal modo i processi di differenziazione dei livelli di prestazioni fornite sia a livello delle regioni che dei comuni.
In attesa che lo Stato - avvalendosi della competenza legislativa esclusiva – determini livelli essenziali delle prestazioni socio assistenziali da garantire su tutto il territorio nazionale - più definiti e cogenti di quelli genericamente elencati all’articolo 22 della legge 328/2000 – spetta al legislatore regionale garantire il pieno rispetto del dettato dell’articolo 38 della Costituzione. Il diritto soggettivo “al mantenimento e all’assistenza sociale” di “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere” non può però venire subordinato alle risorse perché, in tal caso, si configurerebbe semplicemente come un “non diritto”. Giova infatti ricordare che “Il diritto soggettivo si differenzia dal semplice interesse o dalla semplice aspettativa per il fatto di essere esigibile, cioè per l’esistenza nell’ordinamento di mezzi che ne garantiscano l’attuazione”17.
La legge 328/2000 – ponendo il limite delle risorse finanziarie e patrimoniali disponibili alla programmazione ed organizzazione del sistema integrato – non assicura la piena esigibilità di tale diritto da parte di cittadini individuati dall’articolo 38 Cost. ma si limita ad assumere il criterio della priorità di accesso per “i soggetti in condizioni di povertà o con limitato reddito o con incapacità totale o parziale di provvedere alle proprie esigenze per inabilità di ordine fisico e psichico, con difficoltà di inserimento nella vita sociale attiva e nel mercato del lavoro, nonché i soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria che rendano necessari interventi assistenziali”18. A questi cittadini non basta però assicurare che non verranno esclusi e che non saranno ostacolati da barriere informative, culturali o fisiche nell’accesso ai servizi19.
La Regione Piemonte si è mossa in tal senso e, con la legge 8 gennaio 2004 n. 1 che detta le “Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di riferimento”, ha identificato nel bisogno il criterio di accesso al sistema integrato ed ha riconosciuto al cittadino il diritto esigere - secondo le modalità previste dall’ente gestore istituzionale - le prestazioni sociali di livello essenziale di cui all’articolo 18 della legge, previa valutazione dell’ente medesimo che deve fornire i servizi e le prestazioni.
Allo scopo di ottemperare al disposto della legge regionale – che impone di prevedere le modalità attraverso le quali rendere effettivo il diritto dei cittadini in condizioni di bisogno di esigere le necessarie prestazioni sociali di livello essenziale i Comuni di Collegno e Grugliasco hanno impegnato il Consorzio ad assicurare alle persone in condizione di maggiore debolezza il diritto all’assistenza non in via prioritaria, ma in regime di certezza.
17 “ Xxxxx Xxxxxx “La salute: fortuna o diritto?” in Animazione sociale n.12 dicembre 2001. 18 Articolo 2, comma 3, della legge 328/2000
19 Decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 2001 “Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001 – 2003”, parte 1 ”Le radici delle nuove politiche sociali”.
Con la deliberazione n. 2 dell’Assemblea dei Sindaci del 22.02.2006 si è infatti provveduto alla “Individuazione dei destinatari degli interventi e dei servizi sociali consortili e definizione dei loro diritti” e si è inoltre assunto l’impegno a provvedere annualmente alla puntuale quantificazione delle risorse finanziarie, umane e patrimoniali che devono venire obbligatoriamente destinate alla realizzazione di tali servizi da parte dei Comuni titolari delle funzioni sociali.
Assicurare il diritto alle prestazioni socio sanitarie.
Il Piano sanitario nazionale 2003 – 200520 individua – tra gli obiettivi generali di salute assegnati al sistema sanitario – quello relativo alla “La salute nel sociale”. Il target di tale obiettivo è rappresentato dai poveri ed emarginati; dai minori in generale, e da quelli vittime di maltrattamento ed abuso in particolare; dalle persone con problemi di salute mentale; dai tossicodipendenti; dalle persone detenute; dagli immigrati.
A fronte di tale “popolazione obiettivo “ non sorprende che, prima di declinare l’obiettivo generale nei sub obiettivi specifici, si precisi che “Nessun sistema sanitario, per quanto tecnicamente avanzato, può soddisfare a pieno la propria missione se non è rispettoso dei principi fondamentali di solidarietà sociale e di integrazione socio – sanitaria”.
I “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”- sanciti dall’articolo 2 della nostra Costituzione – devono dunque tradursi in diritti esigibili alle prestazioni, in particolare per le fasce più deboli della popolazione. Anche perché – in materia di integrazione socio sanitaria
– le “questioni di principio” hanno una immediata ricaduta in termini di sostanza. Non è infatti indifferente – per il cittadino - se una determinata prestazione compete istituzionalmente al sistema sanitario o a quello socio assistenziale. Nel primo caso si può parlare di diritto soggettivo a beneficiare di prestazioni erogate nell’ambito di livelli essenziali di assistenza definiti, nel secondo caso no (almeno sino a quando non verranno definiti i livelli essenziali di assistenza relativamente al comparto sociale).
Per quanto attiene alla esigibilità delle prestazioni inserite tra i livelli essenziali di assistenza è dunque rassicurante constatare che la legge 8 gennaio 2004 n. 1 della Regione Piemonte recepisce quanto disposto dalla normativa nazionale in materia socio sanitaria.
Con riferimento alle “Funzioni delle Aziende sanitarie locali” nell’articolo 7, comma 1, della L.R. 1/2004 si precisa infatti che queste ultime: “assicurano, secondo la normativa vigente e secondo le modalità individuate nei piani attuativi aziendali, nei programmi delle attività territoriali e nei piani di zona, le attività sanitarie a rilievo sociale e le prestazioni ad elevata integrazione sanitaria garantendone l’integrazione, su base distrettuale, con le attività sociali a rilievo sanitario di competenza dei comuni”.
Coerentemente con tale impostazione l’articolo 9, comma 5, della legge regionale assegna alla competenza dei soggetti gestori dei servizi sociali: “le attività sociali a rilievo sanitario” con l’obbligo di garantirne “l’integrazione, su base distrettuale, con le attività sanitarie a rilievo sociale e con le prestazioni ad elevata integrazione sanitaria di competenza delle ASL”.
Dato atto che viene finalmente chiarito lo scenario delle competenze istituzionali si tratta dunque di perseguire una stabile integrazione operativa tra i servizi e le professionalità coinvolte negli interventi afferenti all’area socio – sanitaria. Ciò al fine di consentire ai cittadini che si rivolgono ai punti di accesso del sistema dei servizi sociali o di quelli sanitari di vedere considerato e poi trattato il loro bisogno nel suo insieme, senza doversi essi stessi fare carico di ricomporre le valutazioni e i conseguenti interventi offerti da due diversi sistemi. La mancata integrazione, infatti, non solo produce disservizi e sprechi, ma in molti casi mina la stessa valutazione adeguata del bisogno e la conseguente programmazione di un intervento appropriato.
20 Decreto del Presidente della Repubblica 23 maggio 2003 “Approvazione del Piano sanitario nazionale 2003 – 2005”
Al cittadino deve dunque esser data la possibilità di interloquire con un’unica istituzione (quella competente ad assicurare le prestazioni afferenti all’area socio sanitaria, e cioè l’Azienda sanitaria) e con un’unica struttura organizzativa nella quale i servizi e le diverse professionalità siano diretti in modo univoco. A tal fine è opportuno individuare un modello organizzativo dell’integrazione socio sanitaria incardinato su Unità Valutative pluri professionali che devono, necessariamente, configurarsi come organismi preposti alla “presa in carico” e – in quanto tali – rappresentare lo strumento operativo di un distretto socio sanitario in grado di governare i processi di cura.
Per costituire “una struttura distrettuale funzionale per le attività integrate cui venga assegnata la gestione unitaria degli interventi socio – sanitari, anche in termini di budget e il coordinamento delle unità di produzione multidisciplinari” occorre , in primo luogo, prevedere la rigorosa applicazione delle disposizioni normative vigenti (la DGR 80/ 200021 è oggi quasi totalmente disattesa dalle Aziende sanitarie) ed in secondo luogo assumere - come riferimento concettuale – che l’integrazione dei servizi per la salute è – secondo la definizione dell’O.M.S - “un processo che conduce organizzazioni e professionisti differenti a svolgere alcune azioni in modo coordinato, allo scopo di risolvere problemi comuni, di sviluppare un impegno a condividere punti di vista e obiettivi di salute, di usare in comune risorse e tecnologie per raggiungerli”.
La scelta di questo modello – necessariamente incrementale - non può dunque che rappresentare il punto di partenza di un percorso che potrà migliorare e modificarsi nel tempo in base alla valutazione delle esperienze e dei risultati.
Tuttavia, il modello può essere considerato un “modello forte” solo se viene caratterizzato e definito, individuando e scegliendo forme di rapporto tra i sistemi (sociale e sanitario) che assicurino, sin d’ora, una più solida integrazione istituzionale e più efficaci modalità di collaborazione a livello gestionale.
In particolare occorre prevedere:
• la stipula di “Protocolli operativi” (quali strumenti attuativi dell’Accordo di Programma sul Piano di Zona) tra il Consorzio e l’Azienda sanitaria che definiscano le strutture organizzative integrate di riferimento per le varie tipologie di utenti delle attività socio - sanitarie, i loro obiettivi, la composizione e le regole di funzionamento, le metodologie di lavoro e gli strumenti di valutazione delle attività svolte, i comuni progetti di formazione professionale, le tipologie assistenziali erogabili dal Consorzio e dal Distretto e le risorse finanziarie certe da destinarvi, sviluppando i percorsi avviati con l’applicazione dell’accordo regionale sui LEA;
• la costituzione di “Unità valutative integrate” tra Ente socio assistenziale e distretto che gestiscano in modo unitario la documentazione, la valutazione del bisogno, la definizione delle responsabilità nel lavoro integrato, la continuità assistenziale, la predisposizione di percorsi assistenziali integrati, la gestione di progetti personalizzati e appropriati alle esigenze della persona e della sua famiglia;
• la definizione dei meccanismi di coordinamento e di comunicazione interna all’Ente gestore e al Distretto per garantire anche l’integrazione operativa tra “Unità valutative integrate” e altri servizi gestiti dai due soggetti (ad esempio i “gruppi di cure primarie”): condizione indispensabile per assicurare una corretta gestione dei piani di continuità assistenziale nelle diverse fasi del ciclo di vita dei “progetti personalizzati” e per garantire il pieno rispetto dell’unitarietà della persona.
21 Deliberazione della Giunta Regionale 11 dicembre 2000, n.80 – 1700 “Art. 3, comma 1- bis del D.Lgs. 502/1999 e
s.m.i. Principi e criteri per l’adozione dell’atto aziendale, per l’organizzazione ed il funzionamento delle Aziende Sanitarie Regionali”.
Questo modello di integrazione gestionale, come qualsiasi altro modello, presuppone:
• un numero di operatori sociali, sanitari e amministrativi adeguato ai “carichi di lavoro” assegnati alle varie unità operative integrate;
• l’assunzione, da parte della Regione, in stretta collaborazione con la Provincia, di un ruolo guida nella verifica dei processi di programmazione locale per consentire una valutazione omogenea dei livelli di servizi raggiunti in relazione agli obiettivi del PSSR;
• risorse finanziarie derivanti, sia per i Consorzi che per i distretti, dal nuovo fondo regionale socio - sanitario che si propone di costituire per destinare risorse certe e garantite per tutta la durata del piano.
L’aspetto fondamentale che viene evidenziato dall’assetto istituzionale ed organizzativo proposto è la necessità di rendere realmente integrabili - a favore del cittadino e della completezza assistenziale - le prestazioni socio sanitarie offerte in ambito distrettuale. Ciò al fine di assicurare l’esigibilità delle prestazioni inserite tra i livelli essenziali attraverso l’adozione di un modello operativo delle attività aziendali e distrettuali finalizzato alla tempestiva presa in carico delle persone alle quali si intende garantire la continuità delle cure.
E’ però evidente che se si condivide l’obiettivo di spostare l’asse di tutela della salute a sostegno della qualità di assistenza – salvaguardando, come giusto, l’esigenza di economizzare la spesa – non bisogna dividere le forze ma integrarle e coordinarle.
Avendo chiara nozione che - per garantire la reale esigibilità dei servizi afferenti all’area socio sanitaria – è necessario far convergere gli obiettivi della pianificazione regionale e territoriale verso la tutela sostanziale del diritto alla salute ed all’assistenza e che - dall’assunzione di tale scelta – consegue l’obbligo di definire adeguati standard di prestazione e di stanziare le risorse necessarie ad erogarle.
GLI OBIETTIVI E LE AZIONI RISPETTO ALLE PRIORITA’ DEFINITE
Le politiche locali per la promozione di una migliore qualità di vita.
La promozione del benessere sociale si realizza – almeno al livello locale – sviluppando il complesso dei “servizi alla persona e alla comunità” e non semplicemente agendo sul versante dei “servizi sanitari” e di quelli “socio assistenziali”. Questi servizi possono infatti solamente contribuire a migliorare una “qualità della vita” dei cittadini che viene però in molta parte determinata dalle politiche sociali dei comuni in quanto tali.
Da ciò consegue che i servizi sanitari e quelli socio assistenziali devono integrarsi tra loro, ma devono anche connettersi con gli interventi dell’istruzione, con le politiche attive della formazione, del lavoro, della casa ecc.
Ma se si condivide la considerazione che è nell’ambito del complesso delle politiche sociali (regionali e locali) che va ricercata la promozione del benessere (finalizzata, tra l’altro, alla tutela della salute) allora si deve convenire che sono i Comuni in prima persona che devono interloquire direttamente con la Regione e con le Province per quanto attiene alla pianificazione sociale “allargata” ed ai relativi flussi di finanziamento ad essa destinati.
In buona sostanza il Piano di zona – attraverso il quale si pianificano non solo le politiche “del disagio” ma anche quelle “dell’agio”, espressamente finalizzate alla prevenzione ed all’inclusione sociale – deve prevedere il ruolo centrale dei Comuni, in quanto istituzioni responsabili del complesso dei “servizi alla persona e alla comunità”. Opportunamente rimarcando che - così come il PSSR ed il “Piano sociale” regionale devono essere tra loro integrati - anche gli strumenti di programmazione zonale (PEPS22, PAT e Piano di Zona) devono tra loro raccordarsi, al fine di perseguire, efficacemente, la tutela della salute attraverso la prevenzione e la promozione del benessere sociale.
Gli obiettivi delle Amministrazioni Comunali.
Le Amministrazioni delle Città di Collegno e di Grugliasco intendono perseguire:
❑ il metodo del confronto e della partecipazione delle cittadine e dei cittadini e la concertazione tra le parti sociali quale elemento portante della pianificazione e della programmazione;
❑ il rilancio di politiche volte a garantire i diritti fondamentali quali la salute, la scuola, il lavoro, lo sport e la cultura. Tenendo ferme le politiche di integrazione sociale e di acquisizione dei diritti civili che si concretizzano attraverso la pratica dell’accoglienza e della solidarietà finalizzata alla costruzione di pari opportunità per tutti i cittadini;
❑ la realizzare di un sistema integrato di interventi sociali finalizzato a promuovere un Welfare delle Città che non si limiti al contrasto delle situazioni di disagio acuto, ma affermi nuovi standard di benessere riferibili alle condizioni di vita comunemente sperimentate da tutti i cittadini, come previsto dalla nostra Costituzione. Un Welfare per le famiglie e per
22 La bozza regionale di Piano Socio sanitario individua i “Profili e piani di salute” (PEPS) come:” strumento partecipato di programmazione integrata delle politiche sociali e sanitarie a livello distrettuale, che si coordina, attraverso i suoi progetti, con gli strumenti di programmazione e di indirizzo locali e con gli strumenti amministrativi di competenza dei comuni nei settori che incidono sulle condizioni di salute della popolazione”.
l’inclusione dei bambini, delle persone disabili, degli immigrati, dei giovani e che rappresenti la crescita naturale dell’intera comunità locale;
❑ il mantenimento ed il potenziamento di servizi sociali di qualità che non rappresentino un carico per la spesa pubblica ma al contrario siano elemento di sviluppo economico e di aumento della occupazione. In tal senso assume un ruolo fondamentale il settore della cooperazione sociale (di tipo A e B) non solo nella gestione ma anche nella programmazione e nella verifica sui servizi.
Comune di Collegno: i destinatari degli interventi e le azioni da realizzare.
RESPONSABILITÀ GENITORIALI. E’ necessario perseguire una politica di sostegno alle famiglie, quali soggetti ed interlocutori privilegiati per la realizzazione di interventi di prevenzione e promozione sociale ed in particolare nei confronti delle famiglie più deboli, nelle seguenti direzioni, ad integrazione della rete di asili nido, scuole dell’infanzia, centri estivi nonché dell’offerta della mensa scolastica:
❑ intervenire per il sostegno e la tutela della maternità, in particolare nei riguardi delle giovani coppie e neo mamme, implementando gli interventi di carattere preventivo quali i “Gruppi di Auto Mutuo Aiuto” e incentivando alcuni servizi per l’infanzia, come gli asili nido, gli “Spazi Famiglia” e i “Punti Gioco”;
❑ praticare strategie che favoriscano la conciliazione tra tempi di cura e tempi di lavoro, che favoriscano l’esercizio delle responsabilità genitoriali, ivi compresa la ricerca di forme organizzative per l’estensione dell’orario di apertura dei nidi;
❑ condurre iniziative di valorizzazione delle competenze genitoriali, attraverso il Centro documentazione e ricerca “Pedagogia dei Genitori”;
❑ partecipare ai progetti “Madri si diventa” e “Verso Casa” proseguendo la collaborazione con il Comune di Grugliasco, l’ASL ed il CISAP;
❑ sostenere le associazioni e le istituzioni che si occupano delle famiglie in condizioni di disagio, all’interno di processi concepiti in modo unitario;
❑ incentivare l’affido familiare per i minori in difficoltà attraverso campagne di sensibilizzazione e con l’ausilio dell’Osservatorio minori;
❑ potenziare le strutture di prima accoglienza, in collaborazione con il volontariato.
GIOVANI. Le politiche avviate in questi anni hanno condotto a promuovere una nuova “contrattualità” tra giovani e amministrazione, a “scommettere” ed investire su capacità e vocazioni delle giovani generazioni. Tale scommessa vuole puntare su un rapporto teso a sviluppare percorsi di autonomia, cittadinanza attiva, sostegno e incubazione di imprenditività giovanile ovvero sostenere progetti “con” i giovani e non solo “per” i giovani.
Una città a misura di giovane deve necessariamente vedere coinvolti i giovani stessi, deve indurre l’Amministrazione ad affidare loro il ruolo di protagonisti attivi della gestione dei servizi, osservatori privilegiati del mondo giovanile, nonché co - progettatori e artefici del sistema di relazioni sociali della città. Tali politiche si rafforzano attraverso relazioni con i comuni del Patto Territoriale ed, in modo particolare, con le agenzie che si rivolgono ai giovani o che dagli stessi sono gestite e frequentate.
L’Amministrazione Comunale valuta positivamente l’esperienza del Progetto Xxxxxxxx Xxxxxxx che dal 1990 ha attivato progetti di prevenzione del disagio e di promozione dell’agio in favore dei giovani e degli adolescenti; oggi tale progetto è il contenitore e l’incubatore della progettualità complessiva attraverso: Osservatorio del Mondo Giovanile, Coordinamento
Cittadino - Équipe Tecnica - Coordinamenti di Zona - Gruppo di Progetto progettazione sociale partecipata, supporto e manutenzione della rete sociale. Pertanto l’Amministrazione conferma il lavoro svolto in questi anni, connesso con istituzioni quali: ASL 5 Consultorio giovani; Sert; Educazione alla salute del Distretto 1 ed il CISAP (assistenti sociali) e Privato sociale (cooperative ed associazioni).
Le principali progettualità si esplicano attraverso attività di Animazione del Territorio. L’Animazione di Territorio è il progetto di sviluppo di comunità e di empowerment socioculturale e di relazione tra attori sociali (associazioni, comitati e singoli cittadini). In tal senso si intendono implementare le seguenti azioni:
❑ orientamento scolastico e professionale, monitoraggio della dispersione scolastica, la formazione alla cittadinanza e alle relazioni, Peer education con studenti e docenti delle scuole superiori e in particolare il nuovo liceo collegnese (anche con il sostegno della L.R. 16/95 “Progetti ed iniziative a favore dei giovani”);
❑ prevenzione delle tossicodipendenze attraverso interventi di animazione e formazione alla cittadinanza e alla relazione per giovani e docenti delle scuole superiori – Peer Education.
❑ “Promozione diritti e opportunità per l’infanzia e l’adolescenza” attraverso laboratori educativi e cantieri di lavoro per adolescenti (L. 285/97);
❑ percorsi e progetti di sostegno, promozione e valorizzazione della creatività, dell’imprenditività e dell’ingegno giovanile (Servizio Civile Locale e Giovani Idee a Torino);
❑ animazione sportiva nelle aree gioco libero e promozione dello sport per tutti qualificando e implementando gli spazi gioco per tutte le età e con particolare riguardo agli adolescenti (Da Passport ai Playground);
❑ PASS 15: carnet di proposte gratuite rivolte ai “quindicenni” per un accesso autonomo ma accompagnato e propiziato alle opportunità offerte dalla città metropolitana: stadio, teatro, musica, aggregazione;
❑ scambi, soggiorni e stage nazionali e internazionali, per avvicinare i giovani alla multiculturalità, per fornire occasioni educative e formative significative. Tali iniziative potranno avvenire anche in accordo con altri Enti locali dell’area metropolitana in attuazione di programmi comunitari, valorizzando l’esperienza dei gemellaggi;
❑ Servizio Civile locale e volontario, continuare nella progettualità intrapresa che consente alla Città di beneficiare del contributo dei giovani come occasione privilegiata di cittadinanza attiva, di utilità sociale, di responsabilità civile, elemento del welfare municipale;
❑ centri di incontro realizzati con il coinvolgimento della rete sociale cittadina e gestiti in convenzione con le associazioni e i comitati di quartiere. Sono attivi ad oggi sei centri d’incontro: Villaggio Leumann - Centro di Incontro, Informagiovani e Info Point 2006, Villaggio Dora - Centroanchio – Km.0 e Casa Wiwa emporio di economia conviviale, Borgonuovo – Centro C’E’ e Xxxx Xxxxx Xxxxxxxx -, Xxxxxxxx - Xxxxxx 00, Xxxxxx - Xxxxxxxxxx 14 – Santa Xxxxx E-volution Cyber Cafè. Sono stati offerti alla Città, con formule diverse, sei luoghi di incontro, aggregazione, formazione e produzione culturale, con una modalità innovativa che fa incontrare obiettivi "privati" associativi e di pubblico interesse ripercorrendo l’esperienza della “gestione partecipata” dei centri sportivi. Occorrerà quindi sostenere con decisione tale progettualità, rara nel panorama nazionale delle politiche giovanili, per poter consentire a centri, giovani e associazioni di crescere in qualità e quantità di frequentazione nonché di attività proposte. E’ prevista la riqualificazione del Centro di Borgo nuovo e sarà valutata la fattibilità di un nuovo centro a Savonera.
❑ Servizio Civile Nazionale volontario, qualificazione e ampliamento di questa opportunità formativa e di servizio cittadino per i giovani.
❑ Realizzazione, accompagnamento e auto promozione di esperienze di stage negli Enti pubblici e privati, come occasione di avvicinamento dei giovani (16 – 30 anni) alle istituzioni ed al mondo adulto (operatori, funzionari, impiegati).
❑ Condurre attività di animazione in co - progettazione con il Comune di Grugliasco.
ADULTI IN DIFFICOLTA’. Per contrastare i fenomeni emergenti di marginalità sociale e le nuove povertà, ritenendo il diritto all’abitazione prioritario per ogni individuo, è necessario operare per:
❑ mantenere inalterate le esenzioni sulle entrate comunali agli indigenti assistiti;
❑ introdurre agevolazioni sulla Tassa raccolta rifiuti a favore delle persone con reddito minimi;
❑ verificare, per quanto riguarda l’edilizia popolare, le convenzioni in atto e le procedure di accesso e di sfratto, prevedendo la risoluzione dei casi di morosità incolpevole delle utenze domestiche e dei canoni di affitto;
❑ operare con efficienza per la gestione amministrativa dei provvedimenti di decadenza nei casi di morosità colpevole, cronica e priva di iniziativa personale per la normalizzazione dei pagamenti;
❑ integrare gli affitti alle famiglie con bassi redditi anche al fine di prevenire le morosità;
❑ valutare l’attuazione di soluzioni in grado di intercettare il problema dei senza fissa dimora;
❑ garantire il diritto alla casa individuando abitazioni dedicate a fasce di popolazione mirate;
❑ fornire alle famiglie mono - reddito in cassa integrazione il sostegno economico del Comune attraverso l’anticipo della cassa integrazione;
❑ mettere a disposizione ai cittadini in situazioni di indigenza gli alimenti che costituiscono il surplus della ristorazione collettiva;
Con riferimento alle tematiche della salute si dovrà inoltre:
❑ stimolare ed aiutare i gruppi di Auto Mutuo Aiuto delle famiglie con componenti affetti da patologie psichiatriche e sostenere i Gruppi Appartamento Assistiti, al fine di favorire una adeguata assistenza e un sollievo alle famiglie;
❑ elaborare ed attuare il progetto “Città sane”. I principi ispiratori del progetto “Città Sane”, per sviluppare a tutti i livelli una corretta cultura della salute, sono quelli della progettazione integrata, per un Piano della Salute della Città di Collegno che non si soffermi solo sui dati sanitari in senso stretto, ma evidenzi l'insieme dei fattori determinanti lo stato di salute individuale (fisici, mentali, sociali, relazionali, ambientali, degli stili di vita…) e la prevenzione dei rischi sul lavoro, degli incidenti stradali e domestici. Per l'elaborazione di questo progetto è necessario costruire dei “profili di salute” che fotografino lo stato di salute della città per attivare un ampio coinvolgimento di cittadini, tecnici, rappresentanze sociali e politiche con la costituzione di un “Forum della Salute”.
Sulla sanità nel territorio, l’Amministrazione comunale di Collegno intende inoltre promuovere la costituzione dell'Ufficio della Conferenza dei Sindaci, per consentire agli amministratori locali di esercitare in modo compiuto il loro ruolo all’interno del sistema sanitario, al fine di:
❑ rafforzare i Distretti socio - sanitari;
❑ concordare programmi per la promozione della salute e della prevenzione;
❑ ridurre i tempi d'attesa per ricoveri, visite e prestazioni;
❑ collocare il servizio di guardia medica in una sede adeguata e facilmente accessibile;
❑ promuovere il potenziamento dei servizi sanitari del territorio.
Occorre inoltre:
❑ continuare a sostenere le modalità di collaborazione e progettazione integrata con il Ser.T., che prevedono azioni educative e di animazione dirette principalmente a fornire opportunità concorrenziali con i percorsi di dipendenza per i giovani a rischio. Sugli abusi di alcol, tabacco, cibo, farmaci si auspica una mirata informazione - formazione educativa alla salute, con campagne informative appropriate.
Per quanto attiene alle iniziative in materia di sicurezza si tratta di dare continuità alle attività già sviluppate. La Città di Collegno ha infatti cercato, in questi anni, di rispondere alle molteplici domande dei cittadini, agendo sull’insieme dei fattori che producono insicurezza. Si è pertanto lavorato, oltre che sulla repressione dei reati, sulla prevenzione attraverso il controllo delle forze dell’ordine, l’adeguata progettazione del territorio, la manutenzione del verde, degli arredi, dell’illuminazione, la mediazione dei conflitti, l’educazione alla legalità. Particolare impegno è stato inoltre profuso al fine di promuovere percezioni di sicurezza attraverso la riattivazione dei rapporti di solidarietà, di cittadinanza e costruzione di una cultura della legalità. In questa logica, recentemente l’Amministrazione ha attivato il sostegno ai cittadini anziani vittime di reati.
CITTADINI STRANIERI E NOMADI. Nella Città di Collegno sono oggi residenti circa 2.500 cittadini stranieri, mentre è difficilmente quantificabile il numero dei clandestini. Si tratta di cittadini che provengono da ogni parte del mondo, portatori di culture e tradizione diverse tra loro, per i quali spesso il primo contatto con la Città avviene attraverso l’inserimento scolastico dei figli e il mondo del lavoro. L’Amministrazione ritiene necessario:
❑ operare per la piena integrazione e partecipazione alla vita sociale collegnese dei cittadini stranieri, favorendo occasioni d’incontro e scambio culturale;
❑ implementare l’attività correlata al Patto per la Scuola che - attraverso il tavolo tematico dell’intercultura - si occupa del miglior inserimento dei bambini stranieri e il Centro di formazione permanente che svolge corsi di italiano per gli adulti;
❑ riservare in via prioritaria alla popolazione residente presso il campo nomadi iniziative di inclusione sociale (borse lavoro, agevolazione tariffe, ecc.);
❑ promuovere la costituzione di una “Consulta Stranieri” in cui siano rappresentate tutte le etnie presenti sul territorio cittadino, avvalendosi della collaborazione di competenti mediatori culturali.
Nella Città esiste da circa trent’anni un campo nomadi attrezzato che viene gestito dagli stessi residenti supportati da una cooperativa sociale. Il lavoro fin qui condotto è stato faticoso ma ha anche prodotto risultati positivi, soprattutto per quanto riguarda il pieno inserimento scolastico dei minori. Si dovrà pertanto:
❑ proseguire nel processo di integrazione investendo sulle giovani generazioni e sulle effettive possibilità di inserirsi nel mondo del lavoro. Resta da verificare con la Prefettura e il Ministero degli Interni la questione dell’ottenimento della cittadinanza, e dei diritti conseguenti, per i nomadi nati a Collegno.
DISABILITA’. Obiettivo dell’Amministrazione sarà la garanzia del pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona disabile promovendo la sua piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nella società, prevedendo e rimuovendo le condizioni invalidanti e le forme di emarginazione che impediscono lo sviluppo della persona umana. L’impegno sarà volto a:
❑ sostenere le attività delle comunità alloggio e delle convivenze guidate, completando la rete dei servizi esistenti;
❑ continuare a garantire il trasporto per i disabili inseriti nelle scuole;
❑ favorire l’inserimento lavorativo degli adulti con disabilità, anche attraverso il contributo per il trasporto;
❑ garantire la piena integrazione scolastica e formativa, fornendo i supporti necessari e ispirandosi alla Pedagogia dei Genitori;
❑ proseguire nell’azione di abbattimento delle barriere architettoniche esistenti e promuovere progettazioni di nuove strutture accessibili a tutti.
ANZIANI. L’innalzamento della vita media fa proporzionalmente aumentare il numero degli anziani soli, con le problematiche legate alla salute, alla condizione economica, alla dipendenza da altri, alle povertà. Questo mutamento sociale presenta due aspetti anche divergenti fra loro: da un lato la maggior richiesta di servizi, dall’altro la risorsa del tempo che gli anziani possono dedicare a sé stessi ed agli altri. Occorre dunque agire da un lato con interventi di prevenzione e presa in carico delle persone non autosufficienti, dall’altro offrire variegate opportunità per valorizzare l’importante risorsa sociale che rappresentano. Data la positiva esperienza condotta, si confermano gli interventi domiciliari che hanno già assunto un peso notevole nel quadro delle politiche agli anziani, con l’indicazione di esplorare tutte le possibilità di aumentare ulteriormente la percentuale di anziani assistiti a casa propria. L’aumento della non autosufficienza e il conseguente protrarsi dei tempi d’attesa per l’accesso ai servizi rende necessario:
❑ aumentare i fondi destinati agli “assegni di cura” per il sostegno alle famiglie, garantendo una capillare azione informativa;
❑ potenziare l’assistenza domiciliare integrata (specialistica ed infermieristica);
❑ promuovere presso l’Asl 5 la richiesta di aumento dei posti letto in convenzione, attualmente al di sotto degli standard regionali;
❑ incrementare i ricoveri di sollievo e i centri diurni;
❑ valutare la possibilità di ridisegnare le procedure di presa in carico dell’anziano e della sua famiglia con l’obiettivo di formulare progetti personalizzati e concordati che migliorino la soddisfazione dei suoi bisogni e consentano di ottimizzare la gestione delle risorse finanziare attraverso l’individuazione di un unico interlocutore pubblico di riferimento (Case Manager);
❑ sostenere la realizzazione di abitazioni adeguate che favoriscano la vita indipendente dell’anziano;
❑ introdurre esenzioni sui trasporti pubblici per anziani con reddito minimo;
❑ sostenere l’integrazione delle attività del volontariato all’interno della rete dei servizi, in particolare nelle situazioni di non autosufficienza parziale ed a contrasto della solitudine;
❑ sostenere l’anziano durante i periodi estivi in cui la città ha meno disponibilità di servizi aperti.
Strategici rimangono gli interventi sui Centri Xxxxxxx per i quali si opererà una riqualificazione progettuale insieme ai loro frequentatori con il supporto della Consulta Xxxxxxx e dell’Informanziani. Sarà, inoltre, indispensabile continuare a promuovere attività ricreative e culturali, in particolare con la collaborazione dell’UNITRE e di altre associazioni cittadine.
Comune di Grugliasco: i destinatari degli interventi e le azioni da realizzare.
RESPONSABILITÀ GENITORIALI. Il sostegno all’esercizio delle responsabilità dei genitori rientra tra le dimensioni che attengono alla formazione permanente ed alla crescita dei cittadini, in un preciso tempo del ciclo vitale dei medesimi. Il tema delle responsabilità genitoriali ha assunto rilevanza politico - istituzionale a partire dai progetti attivati dalla Legge n. 285/97. Accanto alle tradizionali offerte dei Servizi per la Prima Infanzia, rappresentate da Asili Nido, Scuole Materne, Centri Estivi, attività Sportive e Ludoteche -Biblioteche, è emersa la necessità di promuovere e sperimentare modelli di supporto alle funzioni genitoriali più flessibili, più universali e maggiormente legati alla promozione di una cultura del benessere di tutti gli appartenenti al sistema - famiglia ed alla comunità di appartenenza, in senso lato. Vengono indicate , di seguito, le azioni che il Comune intende promuovere.
❑ Erogazione del servizio Xxxxx Xxxx che consente a n. 135 bambini dai 7 mesi ai tre anni di età residenti ed alle loro famiglie di usufruire per circa undici mesi l’anno di un servizio educativo, aperto per 51,15 ore settimanali. Il servizio realizza anche la gestione dei Centri Estivi per i bambini frequentanti gli Asili Nido e un Centro Estivo per i bambini della Scuola Materna. Questo investimento di risorse, umane ed economiche, nel periodo estivo, favorisce una maggior presenza sul territorio del servizio, dando continuità progettuale ai percorsi educativi intrapresi da tempo. Particolare attenzione deve essere rivolta alla partecipazione ed al coinvolgimento dei genitori, nella realizzazione della programmazione educativa, attraverso incontri aggregativi, riunioni organizzativi e colloqui individuali. Il riconoscimento e la consapevolezza che la famiglia è una risorsa educativa, va infatti posta a fondamento del progetto pedagogico, riconoscendola e valorizzandola. La progettazione educativa ed amministrativa deve pertanto essere orientata a:
❖ proseguire i progetti già iniziati, volti alla conciliazione fra i tempi di cura del bambino ed i tempi lavorativi della famiglia;
❖ individuare le esigenze emergenti delle famiglie e del territorio, ampliando l'offerta educativa, pur mantenendo il collegamento e la complementarietà con i Servizi Educativi cittadini;
❖ individuare le forme organizzative e gestionali più idonee, per ottimizzare l'equilibrio fra le proposte educative ed i costi di questa tipologia di Servizi, in Collaborare con Enti e agenzie educative territoriali ed extraterritoriali.
❑ Implementazione de “I colori della crescita” quale sotto progetto de “Il Diritto all’Educazione”
- attivato per anni sei, finanziato fino al 2004 dalla Provincia di Torino, con i fondi previsti dalla Legge n. 285/97 con il quale si intende:
❖ sostenere la famiglia attraverso un’educazione famigliare precipua, per prevenire il disagio minorile e situazioni evolutive a rischio, seguendo le seguenti strategie;
❖ promuovere le risorse delle famiglie;
❖ sostenere i genitori nel loro compito evolutivo;
❖ mettere in relazione i diversi sistemi in cui si svolge la vita dei soggetti in età evolutiva.
❖ offrire un luogo “per tutti”, ove elaborare la difficoltà del crescere, non come limite, ma come opportunità di sviluppo;
❖ utilizzare l’aiuto dell’esperto e del gruppo, quali elementi di ricchezza e di punti di vista, finalizzati alla ricerca delle migliori soluzioni possibili, intese come processi e non come soluzioni preconfezionate;
❖ utilizzare le forme artistiche del teatro, attività manuali e tecniche - espressive per acquisire competenze relazionali, al fine del miglioramento delle pratiche di accudimento e di ascolto dei piccoli, utilizzando il gioco e il “fare insieme”, come modalità fondamentali;
❖ avvalersi dei più diversi ambiti epistemologici per garantire a tutte le componenti cittadine modalità di espressione e di condivisione.
❑ Implementazione del “Punto gioco” quale sotto progetto de “Il Diritto all’Educazione”. L’iniziativa "Libro…libera tutti!" consiste nell’estensione oraria del servizio Asilo Nido, al sabato mattina, con attività sensoriali, manuali, espressive e teatrali, realizzato dal Personale in forza presso gli Asili Nido, fino al 30/6/2005. La partecipazione delle famiglie alle attività proposte è un obiettivo prioritario del progetto.
❑ Implementazione del progetto “A Grugliasco la Città Universitaria della Conciliazione”: volto alla realizzazione di un servizio innovativo per l’infanzia, di elevati standard qualitativi, alla conciliazione dei tempi di cura del bambino con i tempi della famiglia, in collaborazione con l’Università degli Studi di Torino ed il Politecnico di Torino.
❑ Partecipazione ai Progetti "Maltrattanti, maltrattati e rete sociale", "Madri si diventa", "Verso Casa", proseguendo la collaborazione con il CISAP e l'ASL.
GIOVANI. La Città di Grugliasco, per i suoi connotati attuali e per lo sviluppo previsto, nel prossimo futuro si classificherà sempre più come città degli studenti. Sul lungo periodo si assisterà all’insediamento di tutte le facoltà scientifiche attualmente ospitate a Torino. A questa situazione si aggiunge la presenza di tre Istituti di scuola secondaria superiore e di due Enti di formazione professionale, che complessivamente determinano una importante qualità e quantità di offerta formativa per il nostro territorio. Si sta dando corso ad un progetto di integrazione tra il mondo della scuola e la città che costituisca una piattaforma di lancio per le nostre future generazioni. In questa prospettiva la scuola pubblica è un valore ed il lavoro nella scuola una risorsa necessaria da sostenere e garantire, per favorire la crescita culturale, sociale e umana dei giovani.
È da queste fondamentali considerazioni che bisogna partire per delineare un “Progetto Formazione della Città di Grugliasco”, concernente tutta la filiera dei “saperi”. Partendo dalla scuola dell’infanzia per arrivare alla Formazione Professionale e all’Università. La città sta infatti valorizzando le opportunità presenti nel territorio, per qualificare i sistemi di istruzione pubblica, affinché il sapere non venga ridotto a merce, separando rigidamente coloro che saranno destinati al lavoro da chi sarà destinato a proseguire gli studi. Accanto all’attenzione rivolta al valorizzare l’integrazione tra mondo dell’istruzione e città, occorre però investire nella scuola, garantendo strutture e locali adeguati in cui far studiare i ragazzi, accessibili, sicuri, tecnologicamente avanzati. Ciò è già stato positivamente avviato nel corso degli ultimi anni con importanti interventi di manutenzione straordinaria, di bonifica dall’amianto e di ammodernamento tecnologico, di cui i laboratori multimediali sono la testimonianza più chiara. L’Amministrazione proseguirà in quest’opera di qualificazione delle strutture scolastiche, sia per le parti più tecnologiche, laboratori informatici, linguistici, sia per le parti strutturali con particolare riferimento alle palestre scolastiche, delle quali si prevede un utilizzo sempre più intensivo e armonizzato con le Istituzioni scolastiche.
L’Amministrazione Comunale consapevole di questa complessità, intende impostare una politica che persegua l’integrazione Città – Università. La Città, già sede delle Facoltà di Medicina Veterinaria e di Agraria, si appresta ad ospitare il nuovo insediamento delle Facoltà scientifiche dell’Università di Torino. L’ubicazione dell’insediamento, previsto tra la zona centrale e il quartiere di Borgata Paradiso, dovrà inserirsi a cerniera tra le due realtà, connettendole. L’Amministrazione comunale, conscia del forte impatto che l’insediamento potrà avere sulla città e sull’hinterland, tanto da modificarne nel tempo l’identità, intende potenziare e promuovere le seguenti azioni:
❑ sportello informativo: È stato attivato presso la segreteria studenti di Agraria e Veterinaria ed è gestito attraverso l’impiego di volontarie del Servizio Civile. Lo sportello si propone di far conoscere le proposte della città agli studenti, agli operatori ed ai docenti dell’Università, raccogliendo, altresì, a livello di feed - back, riscontri e suggerimenti.
❑ attivazione di programmi di conciliazione. Rilevante risulta l’interesse suscitato dalla necessità di accompagnare il trasferimento di una significativa parte di studenti e dipendenti dell’Università da Torino ad una cittadina dell’area metropolitana, con servizi di supporto alla qualità della vita degli interessati. La sinergia attivata dalla Città di Grugliasco con il Comitato parti opportunità dell’Università per la realizzazione di servizi all’infanzia, adeguati ai mutati bisogni dei lavoratori e a quelli specifici degli studenti, ha già ottenuto l’adesione di partner significativi ed un finanziamento da parte della Regione Piemonte per la realizzazione di uno studio di fattibilità del progetto denominato “Città Universitaria della Conciliazione”. La Città di Grugliasco, unitamente ad altri soggetti promotori, si è candidata ed ha ottenuto ulteriori finanziamenti dalla Regione Piemonte e dalla Università di Torino per la realizzazione del complesso destinato a tali scopi ed aperto ai lavoratori e alle lavoratrici.
❑ Consolidamento della rete tra i sistemi scolastico – formativo – economico. In qualità di Comune capofila, Grugliasco tende a garantire il consolidamento organizzativo del tavolo permanente del “Protocollo dei saperi”, avviato nell’ambito del Patto Territoriale Zona ovest. Si intende proseguire lungo le linee di attività, già impostate in collaborazione con la Provincia di Torino, rivolte all’orientamento e alla formazione professionale, in sinergia con le iniziative dei Centri per l’impiego di Rivoli e Venaria.
❑ Progetto Giovani e nuove attività. Con il progetto Giovani si intende sviluppare e dare visibilità alle politiche orientate a favorire la piena partecipazione giovanile alla vita pubblica e sociale. Si darà corso ad iniziative che sappiano cogliere le diversità dei bisogni e siano in grado di coniugarle con le opportunità offerte dalle normative regionali, nazionali e dell’Unione Europea. Gli interventi rivolti al mondo giovanile sono caratterizzati da diversi livelli di intervento, tra cui si evidenziano:
❖ la pluralità degli aspetti relativi alla condizione giovanile (il lavoro, l’istruzione, la formazione professionale, la salute, la cultura, lo sport, i fenomeni di devianza, ecc.);
❖ la pluralità di attori pubblici a livello nazionale e locale e attori privati, associazioni, cooperative, ecc., che a vario titolo realizzano azioni per i giovani.
Si prevede, in collaborazione con la Società Le Serre, di potenziare le attività svolte presso Epicentro e di definire un piano di interventi educativi, in integrazione con le scuole e la rete dei servizi sociali del territorio.
Il Progetto Xxxxxxx ha l’intento di favorire nei ragazzi una maggiore sensibilità ed attenzione alle diversificate opportunità informative ed orientative presenti sul territorio. Il progetto intende sostenere e stimolare i giovani alla mobilità ed alla flessibilità, indirizzandoli ad una ricerca più consapevole delle opportunità lavorative e formative in Italia e/o all’estero. Si vogliono promuovere iniziative di socializzazione legate alla crescita culturale ed al recupero dei principi di cittadinanza e di imprenditorialità di se stessi che portino, da un lato,
alla riscoperta ed al riavvicinamento alla propria città e dall'altro all'autostima ed alla “voglia di fare” per crescere e rimanere sempre al passo con i tempi.
Il progetto Giovani si avvale di un metodo che si ispira ai seguenti criteri:
❖ l’integrazione sistemica delle realtà territoriali (connessione, valutazione e monitoraggio delle iniziative per e con i giovani);
❖ la co-progettazione interna ed esterna all’Ente (implementazione del lavoro in rete tra istituzioni pubbliche e realtà associazionistiche);
❖ la costituzione di una “cabina di regia” inter-assessorile e inter-comunale che garantisca un coordinamento di servizi e di strategie comunicative relative al mondo giovanile e un aggiornamento costante in merito al quadro normativo italiano ed europeo sulle linee di finanziamento in materia.
Conseguentemente si intende:
❖ promuovere il senso della cittadinanza attiva attraverso: il Consiglio Comunale dei Ragazzi, il Progetto Ragazzi 2006, le iniziative di Peer Education e la collaborazione dei “Giovani Consulenti”;
❖ partecipare al progetto “Giovani idee” della Città di Torino con azioni di supporto alla creatività giovanile mediante l’offerta di spazi di trasformazione della città per gli stessi giovani e con la collaborazione dell’Università;
❖ supportare l’associazionismo giovanile, secondo le indicazioni precisate nel programma 53 - progetto 1, relativamente al centro polivalente, denominato “Epicentro”, sito in via Fratelli Cervi;
❖ sviluppare, come momento e occasione di stimolo al protagonismo giovanile, i progetti facenti capo al Servizio Civile Xxxxxxxxxx.Xx prossimo anno vedrà integrate, presso la stessa struttura amministrativa, tanto la tradizionale gestione degli obiettori che quella concernente il nuovo Servizio civile volontario. In questo senso si provvederà a partecipare ai bandi pubblicizzati dall’Ufficio centrale per il SCV, sviluppando ed ampliando le linee progettuali e d’impiego, già avviate nel corso dell’anno precedente;
❖ proseguire il progetto di prevenzione e animazione di territorio per adolescenti nelle borgate denominato “Rela.X.” realizzato mediante affidamento incarico a cooperative sociali e in partnerscip con il CISAP e l’ASL5, gli Istituti Scolastici e le Associazioni.
❑ Attività per la promozione di pace e legalità. Si intendono organizzare: incontri, stages, laboratori rivolti alle scuole, nel quadro delle attività volte a promuovere la pace e la legalità, in collaborazione con le Associazioni culturali, sociali e ricreative della Città. Si sostengono e si partecipa alla progettazione di iniziative, attraverso l'adesione al Coordinamento dei Comuni per la Pace (XX.XX.XX.). Si attuano interventi di educazione alla tolleranza e alla mondialità nelle Scuole dell'obbligo e superiori. Nello stesso spirito si muove anche la promozione ed il sostegno al Consiglio Comunale dei Ragazzi (CCR) mediante affidamento a Cooperativa Sociale e con il coinvolgimento degli istituti scolastici. Si segnalano, in tal senso, le seguenti attività:
❖ acquisizione delle richieste di intervento ad integrazione dei singoli POF (Piano offerta formativa);
❖ elaborazione e gestione degli interventi;
❖ elaborazione e presentazione dei progetti da parte dei ragazzi delle scuole elementari e medie;
❖ adesione alla marcia pacifista Perugia- Assisi;
❖ partecipazione del CCR al Colle del Lys con il progetto Eurolys e contributo alla manifestazione internazionale del 3-4 luglio al Colle del Lys per la commemorazione dei giovani martiri della Resistenza dell’eccidio del 1944;
❑ Coordinamento e promozione di attività per i giovani del servizio civile volontario nazionale: Attività di promozione e sensibilizzazione dei giovani alle iniziative che propone l'Amministrazione. Progettazione sulla linea di finanziamento L.R. n. 16/95 per l’ottenimento di contributo regionale. Promozione di interventi inseriti nel piano Servizio Civile Volontario (SCVN). Si segnalano, in tal senso, le seguenti attività:
❖ mantenimento della convenzione con la Città di Torino per il progetto PASS 15;
❖ raccolta proposte delle associazioni per il carnet delle offerte;
❖ redazione, attivazione e Valutazione del progetto Progetto "Speriment-Azioni" rivolto ai giovani finanziato dalla Provincia;
❖ progettazione azioni SCVN. n. 16 posti, per l'ottenimento dei finanziamenti ministeriali;
❖ raccolta candidature SCVN tra i giovani;
❖ avvio gestione e monitoraggio dell'attività formativa dei volontari del SCVN.
❑ Potenziamento delle strutture fruibili dai giovani della città. Si è inaugurato il Centro Culturale Giovanile denominato "Epicentro" di via Fratelli Cervi, affidandone la gestione, a decorrere dal 1 settembre 2004, alla Società Le Serre Unipersonale SrL, per la durata di anni 5. Il centro culturale polivalente ha realizzato, a tutt’oggi, circa n. 60 iniziative giovanili: serate musicali, feste etniche, dibattiti su temi di attualità, promozione giovani artisti e gruppi musicali emergenti.
ADULTI IN DIFFICOLTÀ. E’ ormai da tempo evidente che l’incidenza e l’intensità della povertà e/o delle nuove povertà sono un elemento di freno o di sviluppo per la crescita di un’area socio
- geografica . Alla luce dello scenario su riportato, con la consapevolezza della limitatezza delle risorse pubbliche, si è resa necessaria, a livello tecnico - politico, una riflessione ed una ridefinizione dei criteri di accesso da parte dei cittadini adulti ai servizi ad ai benefici, al fine di ottimizzare ciò che è disponibile. Tale processo ha anche consolidato una prassi di approccio al problema, che ritiene possibile e congruo intervenire su bisogni di adulti in difficoltà, attraverso risposte integrate e multifattoriali.
Di fronte alle emergenze quotidiane, le politiche pubbliche tendono a concentrarsi sulle situazioni di disagio estremo e di conclamata esclusione, senza pre - occuparsi delle persone e dei cittadini che, avendo precluso l’accesso alle opportunità presenti nella società, a causa di varie debolezze e limiti individuali o di contesto, non riescono ad “alzare lo sguardo“ per migliorare la loro condizione di vita.
Gli indirizzi forniti dall’Assessorato alle Politiche Sociali per la definizione degli obiettivi e degli strumenti nel sostenere gli adulti in difficoltà, tendono ad ordinare e razionalizzare gli interventi e i servizi, nel modo più complementare possibile ai servizi del territorio, in particolare, legandoli alle politiche di sviluppo e di urbanizzazione del territorio.
La chiave di lettura sopra individuata si è rilevata importante soprattutto per quanto riguarda le politiche abitative e tende a superare la vecchia logica di intervento sulla richiesta del singolo,
ove si è verificato che gli “svantaggi pagano”. Infatti, spesso le politiche abitative hanno premiato l’inattività, le condizioni croniche di morosità, la drammatizzazione delle situazioni, i comportamenti di ricatto e minaccia all’Ente Pubblico. La concessione a vita di una casa popolare, paradossalmente, per alcuni nuclei non ha inciso sulla disuguaglianza e/o vulnerabilità sociale, ma ha implementato la cronicizzazione e l’emulazione dei comportamenti da parte degli esclusi.
Le politiche di inclusione sociale, conseguentemente, si sono orientate sulle seguenti azioni:
❑ la gestione e l’erogazione delle borse lavoro: inserimenti lavorativi (I.L.), tirocini osservativi formativi (TOF) e borse lavoro minori, a supporto di vari progetti di inclusione realizzati dai servizi sanitari e sociali territoriali. Tale attività è attualmente svolta in surroga alle competenze attribuite alla Provincia con l’istituzione dei centri per l’impiego;
❑ l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica l’anno, con gestione amministrativa delle graduatorie riservate a cittadini sfrattati e a soggetti in carico ai servizi socio assistenziali. Il grado di soddisfacimento della graduatoria sfrattati, aventi titolo, è pari al 90%, mentre le situazioni socialmente gravi vengono soddisfatte per il 20%;
❑ l’assegnazione di alloggi, a nuclei familiari definiti da una sommatoria di punteggi derivanti da problematiche familiari e/o economiche, attingendo dalla graduatoria del Bando Generale che si aggiorna ogni due anni. Il totale della domande pervenute per gli anni 2005
–2006, per l’ambito di Collegno e Grugliasco, è di n. 315, la percentuale di soddisfacimento delle richieste è pari a 1,6%;
❑ l’individuazione della colpevolezza ed incolpevolezza delle morosità accumulate da parte degli inquilini occupanti alloggi di edilizia popolare, che già fruiscono di affitti agevolati rapportati al loro reddito, attraverso lo strumento del fondo sociale regionale;
❑ la gestione amministrativa dei decreti di decadenza, emessi nei confronti di assegnatari di alloggi e.r.p. per i casi di morosità colpevole cronica e priva di un progetto di miglioramento socio - economico e personale;
❑ la presa in carico dei fascicoli personali di nuclei con difficoltà o non volontà di risoluzione del pagamento dell’affitto a tariffa agevolata che vede anche qui il proliferare della cronicità in quanto la gran arte dei nuclei presenta debiti pregressi anche di 10 anni e con quote individuali che arrivano anche a 50.000;
❑ la collaborazione con il servizio Urbanistica per l’individuazione di criteri da utilizzarsi nella definizione del PEEP, relativo all’urbanizzazione del Borgo, che tenga conto di soluzioni premianti per gli adulti in difficoltà a causa di bisogni abitativi.
Il metodo utilizzato è il lavoro integrato di rete, supportato da orientamenti sistemico - relazionali, con presa in carico non tanto del soggetto, ma delle vulnerabilità individuali e /o familiari e /o del contesto, finalizzate a costruire percorsi e carriere premianti da parte dei servizi. Scopo degli interventi è favorire nei soggetti appartenenti a nuclei in difficoltà, processi di rivalutazione del sé e delle proprie potenzialità e autonomie e promuovere il cambiamento stabile rispetto all’approccio nella soluzione dei problemi.
DISABILITA’. Il Comune di Grugliasco ha tra i sui obiettivi fondamentali la promozione di politiche di integrazione a favore delle persone disabili (La “Città Abile”). Politiche che consentano di permettere l’esercizio dei diritti di cittadinanza a tutti i cittadini, a prescindere dallo loro condizione di salute, sociale ed economica. Finalizzare l’impegno dell’Amministrazione nella prospettiva di rendere sempre più Grugliasco “Città Abile” vuol dire operare affinché a tutti vengano concesse pari opportunità: nell’integrazione scolastica, lavorativa, sociale e nella possibilità di poter utilizzare pienamente i servizi della Città.
In questa prospettiva la metodologia adottata prevede prioritariamente l’integrazione dei servizi comunali, consistente nell’integrazione tra il settore sociale e tutti i settori del Comune che per competenza sono coinvolti negli interventi a favore dei cittadini disabili. In particolare per quanto riguarda: il superamento delle barriere architettoniche, l’accesso ai trasporti, oltre che l’integrazione scolastica, sociale, lavorativa e del tempo libero.
Analoga importanza riveste l’integrazione con i servizi socio - sanitari dell’ASL 5 e del CISAP, la Provincia e il mondo della scuola attraverso la realizzazione dell’accordo di programma, ai sensi della Legge n. 104/92.
Si tratta quindi, di attuare tutte quelle azioni che permettano di realizzare concretamente l’obiettivo dell’integrazione, partendo in primo luogo dai servizi e, successivamente, dalle attività che coinvolgono direttamente il cittadino disabile:
❑ interventi a sostegno dell’integrazione sociale. I servizi per disabili presenti in locali comunali sono numerosi ed i soggetti gestori operano in regime di concessione. Tra le attività da implementare si evidenzia il monitoraggio delle convenzioni e delle concessioni sottoscritte con i soggetti gestori, individuati mediante gare ad evidenza pubblica, tra le Cooperative sociali in relazione alle seguenti strutture:
❖ Centro Polifunzionale per Anziani, sito in via Cotta n. 20;
❖ Presidio socio - assistenziale per disabili e Centro Civico, sito nei xxxxxx xx xxxxx Xxxxxx,
x. 0;
❖ Centri Diurni e Centri Civici siti in xxx Xx Xxxxx x. 00 e via La Salle n. 6.
❑ interventi a sostegno dell’integrazione sociale. Adempimenti per realizzazione del progetto denominato “P.R.A. Punto Residenziale Accoglienza” a seguito del finanziamento di circa € 122.000,00, a carico del Ministero del Welfare, presso i locali siti in xxx Xxxxxxx Xxxxx x. 00. E’ previsto anche un sostegno economico comunale, tramite prestito, all’Associazione “l’Isola che non c’è” finalizzato alla ristrutturazione dei locali concessi in comodato trentennale;
❑ interventi a sostegno dell’integrazione sociale. Individuazione dei criteri e delle modalità di accesso a benefici ed eventuali interventi di sostegno economico a favore dei soggetti economicamente più deboli;
❑ Interventi a sostegno dell’integrazione sociale. Sotegno alle persone portatrici di handicap, mediante rimborso chilometrico, con le modalità e l’importo previsto per l’anno 2004, con deliberazione di Giunta Comunale n. 27 del 28/1/2003, riguardanti, in particolare, le spese effettuate per recarsi la lavoro e in luoghi di socializzazione.
❑ Interventi a sostegno dell’integrazione scolastica. Promuovere politiche di integrazione nell’ambito della disabilità, tra il settore istruzione e tutti i settori del Comune che per competenza sono coinvolti. In particolare per quanto riguarda il superamento delle barriere architettoniche oltre che gli inserimenti sociali e lavorativi.
❑ Interventi a sostegno dell’integrazione scolastica. Garantire il trasporto scolastico alla totalità degli alunni disabili per favorire il diritto allo studio, con priorità per la frequenza della scuola dell’infanzia e dell’obbligo.
❑ Interventi a sostegno dell’integrazione scolastica. Garantire l’assistenza all'autonomia e alla comunicazione ai minori residenti in Grugliasco e frequentanti la scuola dell’obbligo, nelle forme previste dall'Accordo di Programma.
❑ Interventi a sostegno dell’integrazione scolastica. Effettuare interventi di assistenza qualificata nei riguardi dei frequentanti le scuole dell’infanzia, negli asili nido e nei Centri estivi.
❑ Interventi a sostegno dell’integrazione scolastica. Gestire, per quanto di competenza, il nuovo Accordo di Programma ex Legge n. 104/92 e del conseguente Protocollo di intesa sull’orientamento scolastico alunni disabili, mediante il coordinamento del Tavolo interistituzionale.
❑ Interventi a sostegno dell’integrazione scolastica. Sviluppare il progetto di Servizio Civile volontario, mirato all’integrazione scolastica dell’handicap, consistente nell’attivazione di risorse adeguate per l’affiancamento degli alunni disabili, in collaborazione con gli insegnati della scuola.
❑ Interventi a sostegno dell’integrazione scolastica. Promuovere processi di collaborazione con le Associazioni di volontariato del territorio per l’attuazione di convenzioni su attività effettuate dal Servizio Istruzione riguardanti i servizi alla persona.
❑ Interventi a sostegno dell’integrazione scolastica. Programmare e coordinare il servizio di trasporto scolastico e dei centri estivi; acquisire le richieste di assistenza specialistica da parte delle famiglie tramite le Istituzioni scolastiche; ripartire le ore di assistenza del personale comunale; gestire l’assistenza agli alunni disabili, in forma esternalizzata, attraverso Cooperative sociali.
ANZIANI. In una società che progressivamente invecchia, l’Amministrazione Comunale di Grugliasco ritiene indispensabile avere particolare cura dei propri anziani, provvedendo a realizzare spazi ed iniziative che consentano loro di sentirsi inclusi nei processi di cambiamento della città.
L’Amministrazione, come per il passato, ritiene ottimale la gestione in forma associata dei servizi socio - assistenziali tramite il C.I.S.A.P. in quanto tale forma consente una gestione integrata dei servizi sociali tra le due città Grugliasco e Collegno e notevoli vantaggi a livello di efficacia, efficienza ed economicità.
Rispetto a tale fascia d’età l’Amministrazione Comunale ha individuato nel proprio programma politico le linee di intervento che mirano ad un miglioramento della qualità della vita e ad azioni di inclusione sociale, coinvolgendo tutti i settori per realizzare una politica integrata, attraverso:
❑ l’implementazione e differenziazione dei servizi alla popolazione anziana;
❑ la realizzazione di piani di recupero urbano nelle aree maggiormente depresse, con particolare attenzione alla facilitazione dei collegamenti tra borgate;
❑ la capillarizzazione sul territorio dei servizi e delle iniziative, attraverso l’apertura di centri civici in ogni borgata, la realizzazione di iniziative e manifestazioni itineranti (punti verdi, sportelli informativi, supporto ad associazioni locali, ecc.. );
❑ il sostegno ad iniziative promosse e co-progettazione con le associazioni di anziani per la gestione di aree o spazi di uso collettivo;
❑ l’attivazione attraverso forme artistiche e teatrali delle abilità e/o linguaggi appartenenti alle culture d’origine e ad oggi rimossi o dimenticati.
Gli orientamenti su evidenziati vengono attuati attraverso una localizzazione territoriale legata alla tradizionale articolazione in borgate del territorio. Sono presenti in vari punti della città diversi Centri Civici, nello specifico nelle Borgate di Paradiso, Lesna, Fabbrichetta, Gerbido e Centro. In essi operano, con modalità diversificate molte realtà, tra cui: associazionismo, privato
sociale, sindacati, servizi sociali. La componente degli anziani è prevalente, ma non esclusiva, in quanto l’Assessorato alle politiche sociali ha promosso attraverso il modello di lavoro sociale, la cultura dell’utilizzo dei beni e servizi pubblici con l’ottica dello sviluppo della comunità locale, che vede tra i suoi elementi sostanziali la coesione intergenerazionale.
Quanto sopra si concretizza nelle seguenti azioni:
❑ soggiorni marini per la terza età, realizzati nella località di Rimini, strutturati su tre turni per un totale di circa 532 persone coinvolte. Inoltre nell’ottica della partecipazione attiva dell’associazionismo, è affidata ad un’associazione locale, costituita prevalentemente da anziani, il servizio di accompagnatori;
❑ punti Informativi di supporto allo Sportello alla Città. Viene previsto un decentramento dell’informazione primaria e della distribuzione della modulistica, attraverso la realizzazione di sportelli informativi da parte della popolazione anziana dei territori decentrati. Tale iniziativa permette di potenziare i legami già esistenti con i luoghi pubblici delle diverse zone e di utilizzare il passa-parola come forma di comunicazione, che ben risponde ai bisogni degli anziani;
❑ cicli di incontri, su tematiche di comune interesse, sono realizzati con il supporto delle Associazioni locali, che individuano al loro interno o mediante la loro rete di conoscenze e di esperienze, gli esperti ed i testimoni privilegiati per la realizzane delle conferenze;
❑ momenti ricreativi e culturali realizzati con il supporto delle Associazioni locali, in particolare nei momenti forti dell’anno, quali Natale, Carnevale e l’Estate;
❑ progetto “estate sicura”, realizzato in sinergia con il CISAP, l’ASL5 e le Associazioni di volontariato, volto a creare un rete di informazione e di supporto a cui rivolgersi nei mesi caldi, durante i quali è più difficile reperire servizi e assistenza;
❑ disponibilità di n. 7 mini-alloggi, finalizzati al mantenimento dell’autonomia personale, pur in un contesto protetto, all’interno di una villa settecentesca in centro città, restaurata ed adattata a Centro polifunzionale di servizi per anziani;
❑ concessione in autogestione di n. 5 campi da bocce con utilizzo di piccoli pre-fabbricati, onde poter sviluppare, sia un’attività fisico - sportiva adeguata agli interessi degli anziani, sia a diventare un luogo animato foriero di incontri, in un’ottica di occupazione positiva e partecipata degli spazi pubblici.
Tra i programmi che attendono specifiche risorse e nuove modalità organizzative si annovera il servizio civile per anziani, costituito da n. 2 azioni, le cui aree di intervento sono:
❑ informazione e orientamento culturale e urbano;
❑ assistenza ai minori e ai disabili sugli scuolabus.
Inoltre è in grande espansione l’attenzione alle iniziative culturali da parte degli anziani, in qualità di attori e/o spettatori, sia in ambito teatrale, sia in ambito musicale che in ambito artistico. Il processo di attivazione delle risorse e delle attitudini personali ha risultati significativi nella sfera affettivo - relazionale dell’anziano. Tale dimensione legata “all’essere” si ritiene possa contribuire al benessere psico - fisico dell’anziano e alla qualità della vita anche del suo nucleo familiare quale, valore aggiunto alla partecipazione alle singole attività, apparentemente orientate al “fare”.
Le politiche per la tutela del diritto all’assistenza sociale.
Gli obiettivi.
Al Consorzio - in quanto ente delegato - è richiesto di esercitare le funzioni comunali concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale di all’articolo 6, commi 1 e 2, della legge regionale 1/2004 e, nell’ambito di queste, di:
❑ programmare e realizzare il sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali a rete, stabilendone le forme di organizzazione e di coordinamento, i criteri gestionali e le modalità operative ed erogare i relativi servizi secondo i principi individuati dalla legge regionale 1/2004 al fine di realizzare un sistema di interventi omogeneamente distribuiti sul territorio;
❑ supportare – per quanto di competenza – i Sindaci nell’esercizio delle funzioni di tutela socio sanitaria e del diritto alla salute per i loro cittadini in applicazione di quanto disposto dal D.Lgs. 502/1002 e successive modificazioni;
❑ esercitare le funzioni in materia di servizi sociali già di competenza delle province, ai sensi dell’articolo 8, comma 5, della legge 328/2000 e secondo quanto previsto dall’articolo 5 della legge regionale 1/2004;
❑ esercitare le funzioni amministrative relative all’organizzazione e gestione delle attività formative di base, riqualificazione e formazione permanente per gli operatori dei servizi sociali, individuate nei piani di zona di cui all’articolo 17 della legge regionale 1/2004;
❑ esercitare le funzioni amministrative relative all’autorizzazione, alla vigilanza e all’accreditamento dei servizi sociali e delle strutture a ciclo residenziale o semi residenziale;
❑ elaborare ed adottare, mediante accordo di programma, i piani di zona relativi agli ambiti territoriali di competenza, garantendo, nella realizzazione del sistema dei servizi sociali, l’integrazione e la collaborazione di tutti i soggetti, pubblici e privati, che concorrono alla programmazione, alla gestione e allo sviluppo dei servizi;
❑ promuovere lo sviluppo di interventi di auto aiuto e favorire la reciprocità tra i cittadini nell’ambito della vita comunitaria;
❑ coordinare programmi, attività e progetti dei vari soggetti che operano nell’ambito territoriale di competenza per la realizzazione di interventi sociali integrati;
❑ adottare ed aggiornare la carta dei servizi di cui all’articolo 24 della legge regionale 1/2004;
❑ garantire ai cittadini l’informazione sui servizi attivati, l’accesso ai medesimi e il diritto di partecipazione alla verifica della qualità dei servizi erogati.
Il perseguimento della tutela del diritto all’assistenza sociale nell’ambito intercomunale comporta l’assunzione – da parte del Consorzio – dell’esercizio doveroso delle funzioni delegate a beneficio dei destinatari degli interventi e dei servizi sociali - individuati in base ai criteri indicati dal titolo V° della legge regionale 1/2004 - al fine di renderne effettivi i diritti.
In particolare al Consorzio è richiesto di:
❑ assicurare a ciascun cittadino che ne abbia titolo ai sensi dell’articolo 22, comma 2, della legge regionale 1/2004 e che sia residente nell’ambito consortile il diritto di esigere – secondo le modalità e con i criteri previsti dai regolamenti del consorzio – le prestazioni
sociali di livello essenziale di cui all’articolo 18 della legge regionale 1/2004 garantendo ad esso il ricorso per opposizione contro l’eventuale motivato diniego ad erogare le prestazioni richieste;
❑ assicurare priorità di accesso ai servizi e alle prestazioni erogate dal sistema integrato di interventi e servizi sociali locali ai soggetti in condizione di povertà o con limitato reddito o con incapacità totale o parziale di provvedere alle proprie esigenze per inabilità di ordine fisico e psichico, con difficoltà di inserimento nella vita sociale attiva e nel mercato del lavoro, nonché ai soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria che rendono necessari interventi assistenziali;
❑ assicurare il diritto di tutti i cittadini dell’ambito consortile ad avere informazioni sui servizi, sui livelli essenziali di prestazioni sociali e socio sanitarie erogabili, sulle modalità di accesso e sulle tariffe praticate nonché a partecipare a forme di consultazione e di valutazione dei servizi sociali e socio sanitari;
❑ assicurare ai singoli utenti ed alle loro famiglie il diritto a partecipare alla definizione del progetto personalizzato e al relativo contratto informato.
I destinatari degli interventi.
Al fine di evitare divaricazioni tra diritti proclamati e diritti effettivamente esigibili è necessario procedere alla preventiva definizione dei parametri di valutazione delle condizioni di difficoltà che, rientrando nell’area della tutela del diritto all’assistenza sociale, richiedono interventi assistenziali garantiti e livelli di servizi atti a tutelare efficacemente le posizioni soggettive ed a rendere esigibili i diritti soggettivi riconosciuti. Tali condizioni sono individuate come segue:
❑ I minori in tutto o in parte privi delle indispensabili cure familiari, siano essi nati nel o fuori del matrimonio;
❑ Le persone con handicap intellettivi totalmente o gravemente prive di autonomia che necessitino di sostegno per la permanenza in famiglia o di inserimento in comunità alloggio;
❑ I soggetti colpiti da altri handicap, anche plurimi, che necessitano di aiuti specifici per poter acquistare la massima autonomia possibile nel rispetto del diritto all’autodeterminazione;
❑ Gli anziani che non sono in grado di provvedere alle proprie esigenze di vita;
❑ Le gestanti e madri in grave difficoltà personale alle quali va altresì fornita la necessaria consulenza psico sociale per il loro reinserimento e per il responsabile riconoscimento o non riconoscimento dei loro nati;
❑ Le persone che vogliono uscire dalla schiavitù della prostituzione;
❑ I soggetti senza fissa dimora;
❑ Gli altri individui che necessitano di prestazioni specifiche se si vuole evitare la loro emarginazione.
Le azioni da realizzare.
I cittadini che si trovano nelle sopra elencate condizioni hanno diritto di accedere ai servizi e alle prestazioni di cui all’art. 18 della legge regionale 1/2004 ed a misure ed interventi socio assistenziali e sociali a rilevanza sanitaria volti:
❑ all’informazione ed alla consulenza corrette e complete alle persone e alle famiglie per la fruizione dei servizi (art. 18, comma 1, lettera h) della L.R. 1/2004);
❑ al superamento delle carenze del reddito familiare e di contrasto della povertà (art. 18, comma 1, lettera a) della L.R. 1/2004);
❑ a favorire il mantenimento al domicilio delle persone e lo sviluppo della loro autonomia (art. 18, comma 1, lettera b) della L.R. 1/2004);
❑ al superamento – per quanto di competenza consortile – degli stati di disagio sociale derivanti da forme di dipendenza (art. 18, comma 1, lettera g) della L.R. 1/2004);
❑ al sostegno e alla promozione dell’infanzia, della adolescenza e delle responsabilità familiari e alla tutela dei diritti del minore e della donna in difficoltà (art. 18, comma 1, lettere d) ed e) della L.R. 1/2004);
❑ alla piena integrazione delle persone disabili e al soddisfacimento delle loro esigenze di tutela residenziale e semi residenziale in quanto persone non autonome e/o non autosufficienti (art. 18, comma 1, lettere f) ed c) della L.R. 1/2004);
❑ al soddisfacimento delle esigenze di tutela residenziale e semi residenziale delle persone adulte o anziane non autonome e non autosufficienti (art. 18, comma 1, lettera c) della L.R. 1/2004);
Il Consorzio assicura inoltre ogni altro intervento qualificato quale prestazione sociale o sociale a rilevanza sanitaria ed inserito tra i livelli di assistenza, secondo la legislazione vigente.
In particolare sono individuate le seguenti prestazioni essenziali che vengono assicurate alle persone rientranti nell’area della tutela del diritto all’assistenza sociale:
❑ Segretariato sociale: gli operatori addetti forniscono informazioni sui servizi erogati dal Consorzio ed orientano il cittadino all’utilizzo dei servizi sociali, educativi e sanitari del territorio.
❑ Assistenza sociale professionale: l’assistente sociale accoglie il cittadino in difficoltà con il quale concorda un progetto di intervento finalizzato a sostenerlo attraverso l’erogazione delle prestazioni necessarie. Nel progetto – a richiesta dell’interessato – viene coinvolto anche il nucleo di appartenenza dell’utente.
❑ Assistenza economica ed esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria: il servizio eroga sussidi economici – continuativi, temporanei o straordinari - ed esenzioni dal pagamento dei ticket sanitari in favore di persone singole o di famiglie con redditi insufficienti a garantire condizioni minime di sussistenza.
❑ Assistenza domiciliare e personale autogestita: attraverso un apposito “sportello socio sanitario distrettuale” vengono forniti servizi di aiuto alla persona ed alle famiglie per cittadini in condizioni di autonomia ridotta o compromessa. In alternativa all’utilizzo di prestazioni fornite attraverso le cooperative - concessionarie del servizio - al cittadino è offerta la possibilità di fruire di contributi finalizzati all’assunzione diretta degli assistenti familiari o personali.
❑ Assistenza educativa individuale e di strada: il servizio educativo individuale viene attivato direttamente dal consorzio – anche a seguito di provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria - ed è finalizzato al sostegno dei minori appartenenti a famiglie con gravi carenze nell’esercizio delle funzioni genitoriali o in condizioni di particolare difficoltà. L’educativa di strada è rivolta a gruppi di giovanissimi e di giovani che tendono ad avere comportamenti di tipo marginale o deviante.
❑ Interventi per minori ed incapaci in collaborazione con l’Autorità Giudiziaria: l’attività è finalizzata alla tutela dei minori - su mandato dell’Autorità Giudiziaria competente - ed al sostegno delle persone adulte incapaci nei cui confronti venga disposta una amministrazione di sostegno o sia promosso un procedimento di inabilitazione o di interdizione.
❑ Affidamenti educativi diurni e residenziali di minori e adozioni: l’affidamento è un servizio di sostegno alla famiglia con gravi difficoltà sociali ed educative e viene prestato, volontariamente, da un’altra famiglia per il periodo di tempo strettamente necessario a superare la situazione problematica. L’affidamento può essere a parenti o a terzi (adulti non legati da rapporti di parentela con l’affidato) e può essere “diurno” - quando limitato a poche ore durante la giornata – o “residenziale” quando il minore va a vivere, temporaneamente, presso la famiglia affidataria. L’adozione è un provvedimento disposto dal Tribunale per i minorenni in favore di minori in stato di abbandono e che sono stati dichiarati adottabili.
❑ Affidamenti intra - familiari, di vicinato e residenziali di persone anziane o disabili: il Consorzio riconosce il volontariato intra – famigliare. Alle famiglie che continuano a farsi carico di un congiunto ultra diciottenne in situazione di particolare gravità e frequentante i centri diurni o di una persona ultra sessantacinquenne in condizioni di non autosufficienza, viene fornito un contributo mensile, a titolo di rimborso forfetario delle spese vive sostenute, comprese quelle derivanti dalla necessità di provvedere a brevi sostituzioni dei familiari nelle funzioni di aiuto alla persona.
❑ Inserimenti in centri diurni e in strutture residenziali: il Consorzio e l’Azienda sanitaria provvedono – nell’ambito delle rispettive competenze e sulla base di specifici accordi – all’inserimento in centri diurni, in gruppi appartamento ed in comunità alloggio dei disabili intellettivi, sulla base di un apposito progetto assistenziale individuale predisposto dalla competente Unità di Valutazione. In modo analogo si procede per gli adulti ed anziani parzialmente o totalmente non autosufficienti che richiedono l’inserimento in centri diurni o in residenze sanitarie assistenziali. Il Consorzio provvede inoltre direttamente all’inserimento in attività educative diurne e in comunità dei minori per i quali tali interventi si rendano necessari.
Le prestazioni essenziali di assistenza sociale vengono erogate sulla base di specifici regolamenti consortili - e/o dell’Azienda sanitaria competente per territorio - che stabiliscono i diritti ed i doveri da rispettare nel rapporto tra il cittadino e gli operatori addetti al fine di assicurare il migliore funzionamento dei servizi di assistenza sociale e di aiuto alla persona ed alle famiglie ed in particolare:
❑ requisiti e criteri di accesso alla prestazione e tempi di erogazione (chi ha diritto ed a che cosa, entro quanto tempo);
❑ eventuale concorso al costo dei servizi in base al reddito (quanto si deve pagare e per quali prestazioni);
❑ partecipazione del cittadino nella scelta delle prestazioni che gli necessitano (chi fa che cosa, come e per quanto tempo);
❑ verifica con il cittadino dei risultati attesi (come e quanto è migliorata la situazione problematica):
❑ vincoli al rispetto delle regole stabilite e forme di controllo (finalizzate ad accertare la veridicità delle informazioni fornite ai servizi);
A tutela dei diritti dei cittadini ogni regolamento del Consorzio deve, in ogni caso, prevedere:
❑ che nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunichi tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. I cittadini richiedenti, entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, hanno diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine dei dieci giorni. Dell’eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale;23
❑ che al cittadino richiedente sia data la possibilità di ricorrere, in caso di xxxxxxx alla richiesta di servizi o prestazioni, al Presidente del Consorzio entro trenta giorni dalla comunicazione scritta che deve essere obbligatoriamente inviata all’interessato. Nella comunicazione deve essere altresì indicato il provvedimento adottato e fornita ogni indicazione utile alla presentazione del ricorso. Il Presidente provvede a fornire risposta scritta entro i termini previsti dalle leggi vigenti e dai regolamenti del Consorzio.
Una ulteriore tutela dei diritti dei cittadini è rappresentata dalla possibilità di formulare osservazioni e reclami. L’osservazione ed il reclamo servono infatti al miglioramento continuo dei servizi consortili e sono il segno dell’interesse per l’attività e per i servizi offerti.
Le osservazioni ed i reclami da parte dei cittadini vengono raccolti dalle segreterie delle sedi del Consorzio alle quali vengono rivolte e trasmesse alle direzioni dei servizi interessati che provvedono ad effettuare le opportune verifiche. Il direttore provvede a correggere l’errore segnalato; all’eventuale variazione della procedura adottata al fine di non ripetere l’errore; a fornire risposta scritta al cittadino che ha inoltrato il reclamo entro un massimo di quindici giorni dalla ricezione. I reclami sono quindi trasmessi alla direzione del Consorzio che provvede all’archiviazione su carta e su banca dati.
L’Assemblea Consortile provvede annualmente – in sede di approvazione del bilancio di previsione annuale e pluriennale - a destinare le risorse finanziarie, umane e patrimoniali necessarie ad assicurare l’erogazione delle prestazioni essenziali ai soggetti aventi diritto.
Per quanto attiene alla contribuzione al costo dei servizi e delle prestazioni posta a carico degli aventi diritto il Consorzio opera in ossequio alle vigenti disposizioni ed in particolare:
❑ all’articolo433 e seguenti del codice civile ed all’articolo 2, comma 6, del decreto legislativo 109/1998 come modificato dal decreto legislativo 130/2000 che prevedono che gli alimenti possano essere richiesti esclusivamente dai congiunti interessati o dai loro tutori;
❑ all’articolo 3, comma 2 ter, del decreto legislativo 109/1998 come modificato dal decreto legislativo 130/2000, in base al quale nessun contributo economico può essere richiesto ai parenti, compresi quelli conviventi, degli ultra sessantacinquenni dichiarati non autosufficienti dalle Unità di Valutazione Geriatriche. Nei confronti dei suddetti soggetti e delle persone con handicap in situazione di gravità, la norma sopracitata stabilisce che essi devono contribuire al pagamento dei servizi esclusivamente sulla base delle loro personali risorse economiche (reddito e beni) senza alcun onere per i congiunti.
Fatto salvo il rispetto delle norme sopra citate, l’eventuale concorso al costo dei servizi in base al reddito degli aventi diritto viene determinato secondo i criteri e le modalità previste dai regolamenti consortili relativi alle specifiche prestazioni di livello essenziale.
23 Così come previsto dall’articolo 6, comma 1, della legge 11 febbraio 2005, n. 15 “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa”
Le politiche per la tutela del diritto alle prestazioni socio sanitarie.
Gli obiettivi.
A seguito della firma dell’Accordo di programma tra l’Azienda Sanitaria Locale n. 5 e gli Enti Gestori dei Comuni dell’area ovest di Torino24 - finalizzato all’applicazione dei livelli essenziali di assistenza relativi all’articolazione delle cure domiciliari e dell’assistenza territoriale, semi residenziale e residenziale degli anziani non autosufficienti e dei disabili - si è resa necessaria una riflessione sul modello organizzativo del Distretto sanitario n. 1 dell’A.S.L 5. L’analisi delle criticità dei processi decisionali ed operativi che caratterizzano i servizi socio sanitari distrettuali è stata condotta dalle Direzioni del Consorzio Intercomunale dei Servizi Alla Persona (C.I.S.A.P) e del Distretto sanitario n. 1 che – alla luce del quadro normativo regionale - hanno formulato una proposta per la definizione di un modello organizzativo atto a consentire una più efficace gestione delle attività socio sanitarie nell’ambito del Distretto sanitario di Collegno e Grugliasco.
La proposta di riorganizzazione è stata successivamente esaminata dalla Direzione Generale dell’A.S.L 5 e dal Consiglio di Amministrazione del C.I.S.A.P che hanno espresso parere favorevole all’attuazione del nuovo modello organizzativo previa adozione – da parte del Comitato dei Sindaci – dell’atto di indirizzo approvato con deliberazione n.3 del 13.12.2004. Coerentemente con le strategie e le priorità definite, alle direzioni del Consorzio e del Distretto
n.1 è pertanto assegnato – quale obiettivo – la realizzazione del modello organizzativo del distretto secondo le indicazioni di seguito fornite.
❑ Il Comitato dei Sindaci, la Direzione Generale dell’A.S.L 5 ed il Consiglio di Amministrazione del C.I.S.A.P, individuano nello sportello socio sanitario distrettuale – da gestire in forma integrata attraverso le strutture operative Consortili e del Distretto 1 X.XX. 525 - lo strumento idoneo ad assicurare ai cittadini un unico punto di accesso al complesso delle prestazioni sanitarie, sanitarie a rilevanza sociale e sociali a rilevanza sanitaria - di cui all’articolo 3 septies del D.Lgs 502/1992 e s.m.i – che l’allegato 1, Punto 1.C del D.P.C.M. 29.11.2001 “Definizione dei livelli essenziali di assistenza “ ed il D.P.C.M. 10.02.2001 “Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio sanitarie” assegnano, rispettivamente, alla titolarità del S.S.N. ed a quella dei Comuni che esercitano le funzioni ad essi attribuite tramite i propri Enti Gestori. L’attivazione dello sportello distrettuale consente di fornire una puntuale informazione sulle diverse opportunità di cura offerte dalla rete dei servizi domiciliari, semi residenziali e residenziali del Distretto 1 dell’ASL 5 e sui criteri e le procedure previsti per la richiesta e l’erogazione degli interventi. Lo sportello svolge inoltre una funzione di orientamento della domanda attraverso il sostegno del cittadino che manifesta l’esigenza di essere coadiuvato nell’assunzione di una decisione consapevole in merito al piano assistenziale da attivare per sé o per i congiunti in difficoltà.
24 Il testo dell’Accordo è pubblicato sul sito del Consorzio Intercomunale dei Servizi Alla Persona – C.I.S.A.P – xxx.xxxxx.xx.xx
25Il gruppo degli operatori addetti allo sportello - composto da personale amministrativo appartenente comparto
sanitario ed al Consorzio – viene integrato con gli operatori (di cooperativa) che hanno maturato esperienza pluriennale nella gestione degli sportelli delle agenzie accreditate dal Consorzio per la fornitura dei servizi di assistenza domiciliare nell’area intercomunale.
❑ Altro importante obiettivo da perseguire è la gestione unificata delle procedure amministrative (sanitarie e consortili) connesse all’erogazione degli interventi (dalla istruttoria delle richieste, alla valutazione, sino alla definizione degli impegni economici). Al cittadino viene in tal modo offerta la possibilità di interloquire con un’unica struttura per quanto attiene allo svolgimento delle procedure finalizzate alla determinazione del valore del buono di servizio o dell’assegno di cura da utilizzare per l’acquisto delle prestazioni domiciliari non erogate direttamente da operatori sanitari e del valore dell’integrazione della retta da porre a carico dell’ASL/Utente/Consorzio nei casi di attivazione di interventi semi residenziali/residenziali.
❑ Infine è opportuno che vengano garantite le funzioni di consulenza e sostegno necessarie al reperimento e al regolare inquadramento contrattuale delle persone addette all’assistenza dei titolari di assegni di cura ed il successivo controllo sulla regolarità del rapporto di lavoro instaurato tra assistente ed assistito prima di autorizzare la liquidazione dell’assegno.
❑ Allo sportello distrettuale viene richiesto – in buona sostanza - di porsi come tramite tra il cittadino e la rete dei “case manager” (gli assistenti sociali del consorzio e i responsabili delle cooperative che forniscono i servizi) e dei “care giver” (gli assistenti familiari privati e quelli dei fornitori accreditati) offrendo inoltre consulenza ai “care giver informali” (familiari) al fine di agevolarli nella fruizione delle prestazioni offerte nell’ambito della rete distrettuale. In questo senso compete allo sportello fornire indirizzo, “connessione” e sostegno con riferimento sia alle risposte offerte dal privato accreditato che da quelle offerte “dal pubblico” (“assegni di cura”, contributi finalizzati all’acquisto di assistenza autogestita nell’ambito del progetto SAVI, affidamenti intra familiari ecc.).
❑ L’obiettivo sostanziale della struttura organizzativa integrata distrettuale è rappresentato dalla tutela del diritto alla valutazione. In tal senso allo sportello è richiesto di operare in stretto raccordo con le Unità di Valutazione Distrettuali che devono:
❖ individuare, attraverso la valutazione multi dimensionale, i bisogni sanitari e socio sanitari dei cittadini indicando le risposte più idonee al loro soddisfacimento e privilegiando – ove possibile – il mantenimento al domicilio delle persone che lo desiderino;
❖ garantire completa informazione – anche mediante documentazione scritta – alle persone ed alle famiglie sui loro diritti e relativamente alle procedure per fruire del complesso delle prestazioni sanitarie, socio sanitarie e sociali erogabili dal Sistema Sanitario e Sociale della Regione Piemonte;
❖ predisporre e/o approvare il Progetto Assistenziale Individuale (P.A.I) identificando la fascia d’intensità assistenziale ed il livello di prestazioni adeguato;
❖ assicurare il monitoraggio e l’eventuale revisione dei Progetti Assistenziali attivati.
❑ All’Unità di Valutazione Geriatrica è assegnato il compito di intervenire anche per pazienti di età inferiore ai 65 anni avvalendosi della consulenza delle figure professionali competenti nella patologia individuata ed operando attraverso il raccordo con le altre Unità di Valutazione territoriali.
❑ Come definito nell’Accordo di programma tra l’Azienda Sanitaria Locale n. 5 e gli Enti Gestori dei Comuni dell’area ovest di Torino le Unità di Valutazione Distrettuali sono chiamate a svolgere le funzioni ad esse attribuite avvalendosi dei Nuclei Interdisciplinari preposti all’assistenza territoriale domiciliare, semi residenziale e residenziale degli anziani e dei disabili. I Nuclei rappresentano una modalità operativa dell’Unità di Valutazione, sono composti da figure professionali sanitarie e sociali individuate dalle Direzioni Distrettuali e degli Enti Gestori e costituiscono un “gruppo operativo” al quale è assegnato il compito di svolgere le attività istruttorie finalizzate alla valutazione delle situazioni ed alla definizione dei progetti individuali da sottoporre all’Unità di Valutazione che settimanalmente viene
chiamata a riunirsi con la presenza di tutti i componenti. Ciò al fine di evitare eccessive lungaggini nello svolgimento dei processi di valutazione finalizzati ad assicurare gli interventi. Gli operatori dei Nuclei devono inoltre svolgere le funzioni di referenza e monitoraggio dei progetti individualizzati approvati dall’Unità di Valutazione ed assegnati ai responsabili del caso individuati nell’ambito della rete dei servizi distrettuali.
❑ Il principio che deve ispirare il modello organizzativo distrettuale è rappresentato dalla continuità delle cure per le persone malate e non autosufficienti. Nell’ambito dei posti letto RSA convenzionati è pertanto opportuno prevedere una riserva di posti per la continuità assistenziale ai pazienti ricoverati in ospedale (dimissioni protette) e per sollevare temporaneamente la famiglia dal carico assistenziale di un congiunto assistito al domicilio.
❑ Nel caso di trasferimento da un reparto di acuzie ad un reparto di post acuzie (lungo degenza, lungo degenza riabilitativa, medicina riabilitativa) o all’assistenza territoriale (domicilio o struttura residenziale) la scelta deve corrispondere alle necessità del paziente poiché le diverse opzioni non sono sovrapponibili in quanto ognuna risponde a bisogni assistenziali di natura diversa. La proposta di trasferimento dall’ospedale ad un reparto post acuzie o nell’assistenza territoriale deve essere pertanto il frutto di un accordo tra chi dimette il paziente (ospedale) chi lo accoglie (distretto). A tal fine la proposta deve essere recepita dalla segreteria distrettuale che deve provvedere a raccordare il Medico del reparto che dimette, con il Medico AST e/o il coordinatore infermieristico addetti alle cure domiciliari e con l’Unità di Valutazione distrettuale. Qualora non ricorrano le condizioni per l’erogazione delle cure domiciliari, l’Unità di Valutazione deve operare per l’inserimento del paziente in uno dei posti aziendali riservati alla dimissione protetta dei ricoverati in ospedale.
❑ In via ordinaria si deve prevedere che l’accesso alle cure domiciliari (ADI, ADP,SID) avvenga a seguito della segnalazione effettuata dal medico di medicina generale, dal servizio sociale, dall’utente o dai congiunti. In tale fattispecie il Medico AST e/o il coordinatore infermieristico visionano la segnalazione, contattano il medico (qualora la segnalazione non sia effettuata dal curante) ed eventualmente il servizio sociale. Per l’attivazione degli interventi è in ogni caso opportuno formalizzare il pieno coinvolgimento del medico di medicina generale. In sede di definizione del piano assistenziale, si dovrà procedere alla quantificazione del peso sanitario ed eventualmente sociale in base al quale il paziente accede alla fase intensiva/estensiva o direttamente alla fase di lungo assistenza. Nel caso di accesso diretto alla lungo assistenza deve essere coinvolta l’Unità di Valutazione che - avvalendosi del Nucleo Interdisciplinare Xxxxxxx – definisce il piano assistenziale individuando il referente deputato al monitoraggio degli interventi ed il responsabile del caso assegnato ai servizi domiciliari. Qualora in un progetto in fase intensiva/estensiva vengano rilevate variazioni della complessità assistenziale, tali da configurare un regime di lungo assistenza, si dovrà provvedere – da parte del Nucleo Interdisciplinare - a definire un nuovo piano assistenziale da sottoporre alla competente Unità di Valutazione Distrettuale. In attesa dell’attivazione del nuovo piano assistenziale all’utente deve essere garantita la continuità delle cure in atto.
I destinatari degli interventi.
❑ Il sistema di erogazione delle prestazioni afferenti all’area socio sanitaria è regolamentato solo in parte, essendosi espressa la normativa regionale relativamente alle sole tipologie di intervento in ambito semi residenziale e residenziale per gli anziani non autosufficienti e per i disabili e nell’ambito delle cure domiciliari (anche queste relativamente all’area della lungo assistenza). Resta dunque da risolvere la questione dell’applicazione dei LEA socio sanitari alla psichiatria, alle tossico dipendenze, ai malati di AIDS.
❑ Per quanto riguarda i minori vittime di abuso – anch’essi fuori dal regime di applicazione dei LEA - la rete dei servizi sociali e sanitari chiamati ad intervenire è regolata dalle “linee guida per la segnalazione e la presa in carico dei casi di abuso sessuale e maltrattamento ai
danni di minori da parte dei servizi socio assistenziali e sanitari” approvate nel maggio 2000. Dall’esame dell’impianto delle linee guida relative ai minori si evidenzia la necessità di adottare modalità ed organismi di valutazione e presa in carico analoghi a quelli relativi agli anziani ed ai disabili, pur con le necessarie specificità.
❑ E’ altresì necessario prevedere un percorso integrato di concertazione tra tutti i servizi coinvolti per la definizione dei processi di presa in carico con riferimento alla psichiatria, alle tossico dipendenze ed ai malati di AIDS. Ovvero con quelle aree in cui la costituzione di una Unità di Valutazione è superflua in quanto l’individuazione della condizione dell’utente è necessariamente demandata al solo servizio sanitario specialistico competente. Fatto salvo che la componente sociale può essere chiamata ad interagire nella concertazione degli interventi necessari per quanto attiene alle proprie, specifiche, competenze.
Le azioni da realizzare.
❑ Articolazione dell’assistenza a favore degli anziani parzialmente o totalmente non auto sufficienti.
Alle persone anziane che necessitano di prestazioni socio sanitarie deve esser data la possibilità di rivolgersi allo sportello del distretto che, oltre a svolgere funzioni di informazione ed orientamento, deve proporsi come riferimento unico per l’attivazione delle risposte socio sanitarie che comportano una valutazione da parte dell’Unità di Valutazione Geriatrica e l’erogazione di prestazioni socio sanitarie a livello domiciliare, semi residenziale e residenziale.
Per quanto attiene alle strutture semi residenziali e residenziali è opportuno che l’Azienda sanitaria provveda ad individuarle – prioritariamente – tra quelle accreditate/convenzionate nel territorio del distretto sanitario. Nelle more del reperimento dei posti residenziali necessari al fabbisogno distrettuale si dovrà transitoriamente operare in ambito territoriale aziendale. Deve esser comunque fatta salva la possibilità di collocazione in ambiti territoriali della Regione Piemonte diversi da quello del distretto di residenza, degli aventi diritto che ne facciano motivata richiesta (es. avvicinamento a familiari).
All’Azienda sanitaria si richiede inoltre di definire – nell’ambito delle convenzioni stipulate con i gestori delle strutture – regole precise e vincolanti in ordine alla continuità della cure tra residenza assistenziale ed ospedale (e viceversa). Agli anziani ospiti delle strutture deve essere in sostanza garantito - all’insorgere di stati patologici che lo richiedano – il ricovero in ospedale con accompagnamento (ed eventuale sostegno durante la degenza) da parte degli operatori della residenza. Deve essere altresì evitata ogni richiesta di “assistenza aggiuntiva” agli utenti ed ai loro familiari o tutori, sia durante il ricovero ospedaliero che in regime di permanenza presso le strutture residenziali convenzionate o affidate in gestione.
Con specifico riferimento alla collocazione semi residenziale delle persone affette da Alzheimer o da gravi demenze senili è opportuno che l’Azienda sanitaria preveda il potenziamento degli interventi al fine di eliminare le liste d’attesa. Ciò comporta la definizione di criteri d’accesso concertati tra l’Azienda, le Direzioni distrettuali e quelle degli Enti Gestori e l’assegnazione all’Unità di Valutazione Geriatrica di un preciso mandato a definire i relativi Progetti Individuali Assistenziali. Al fine di favorire l’ampliamento degli interventi il Comitato dei Sindaci del Distretto n.1 propone che parte dei posti disponibili presso il Centro Diurno di via Cotta a Grugliasco vengano utilizzati per inserire i malati di Alzheimer residenti in Collegno e Grugliasco.
Per accedere ad alcune delle prestazioni socio sanitarie rivolte agli anziani non autosufficienti è necessario il preventivo accordo tra l’utente e il servizio sociale – come nel caso degli affidamenti intra ed etero familiari o per l’attivazione del tele soccorso – per altre, sono possibili due opzioni: l’accompagnamento da parte servizio sociale territoriale o la
richiesta diretta della prestazione allo sportello distrettuale che provvede, successivamente, a coinvolgere il servizio sociale per lo svolgimento della parte del procedimento di competenza dei servizi consortili.
Fatta salva la possibilità dell’anziano o dei suoi congiunti di scegliere liberamente le modalità di accesso alle prestazioni, si ritiene auspicabile che le sedi territoriali di servizio sociale sviluppino la funzione di accompagnamento, perché, in tal modo, si velocizza la procedura (la relazione del servizio sociale per l’Unità di Valutazione viene prodotta contestualmente alla presentazione della domanda) e la scelta della prestazione viene effettuata nell’ambito di progetto individualizzato concordato ed organico.
In ogni caso è opportuno che le domande, formulate su apposito modulo, vengano inoltrate (direttamente dall’interessato/suo familiare o attraverso il servizio sociale) allo sportello distrettuale che provvede a protocollarle ed a trasmetterle alla Direzione del Distretto che individua il responsabile del procedimento26. La domanda - corredata dalla scheda medica compilata dal medico di medicina generale o da altro medico curante; dall’auto certificazione della residenza e del reddito; dalla copia del verbale di invalidità, se posseduto; da eventuali certificati medici e/o copie di cartelle cliniche – viene successivamente istruita dal Nucleo Interdisciplinare Anziani che esamina la documentazione, effettua le necessarie verifiche sulla condizione del richiedente (direttamente e/o per tramite degli operatori territoriali), attiva il medico di medicina generale del richiedente e le necessarie consulenze (geriatra, psichiatra, neurologo), formula una proposta di progetto individualizzato da sottoporre all’Unità di Valutazione.
L’esito della valutazione deve essere comunicato in forma scritta all’interessato dal responsabile del procedimento entro un termine massimo dalla ricezione della domanda (corredata dalla documentazione) che il Comitato dei Sindaci auspica non superiore a trenta giorni. All’interessato deve esser data facoltà di presentare ricorso contro le decisioni dell’Unità di Valutazione.
❑ Le prestazioni essenziali socio sanitarie che l’Unità di Valutazione deve poter fornire alle persone anziane non autosufficienti, in ottemperanza a quanto stabilito dall’Accordo di Programma tra l’ASL n. 5 e gli Enti Gestori ad essa afferenti, sono:
❖ Affidamento intra ed etero familiare. L’Azienda sanitaria ed il CISAP si impegnano a regolamentare ed a promuovere l’intervento quale valida alternativa all’inserimento in strutture residenziali degli anziani non autosufficienti che vengono assistiti dai familiari conviventi o da soggetti terzi. L’Azienda sanitaria si impegna a condividere con il CISAP la gestione economica degli affidi ed assume l’obiettivo programmatico di giungere ad una compartecipazione sanitaria alla spesa sino ad un massimo del 50%, con modalità progressiva, nel triennio.
❖ Cure domiciliari con compartecipazione sanitaria alla spesa relativa al singolo intervento nella misura del 100% nelle fasi intensive ed estensive e del 50% nella fase di lungo assistenza. L’azienda sanitaria assume l’obiettivo programmatico di estendere la compartecipazione sanitaria alla spesa sostenuta dagli utenti con modalità progressiva nel triennio. Qualora il beneficiario degli interventi non sia in grado di
26 Il responsabile del procedimento - secondo quanto previsto dall’articolo 6 della legge 241/1990 – dovrà valutare, a fini istruttori, i requisiti di legittimazione, le condizioni di ammissibilità ed i presupposti che siano rilevanti per l’erogazione dei provvedimenti; dovrà accertare i fatti compiendo a tal fine tutti gli atti necessari per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria; potrà proporre l’indizione di conferenze di servizi, curerà le comunicazioni e le eventuali pubblicazioni e notificazioni; infine, ove ne abbia competenza, adotterà il provvedimento finale, ovvero ne promuoverà l’adozione da parte dell’organo competente.
sostenere, in tutto o in parte, la spesa residua posta a sua carico, il consorzio provvede all’integrazione con i criteri fissati dall’apposito regolamento.
❖ Assegno di servizio alternativo al ricovero - purché rispondente a spese documentate e con il rispetto di ogni obbligo di legge - con compartecipazione sanitaria alla spesa nella misura del 50% del valore dell’assegno. Qualora il beneficiario degli interventi non sia in grado di sostenere, in tutto o in parte, la spesa residua posta a sua carico, il consorzio provvede all’integrazione con criteri da definirsi con apposito regolamento concordato ed approvato dall’Azienda sanitaria e dal Consorzio.
❖ Inserimento in Centri Diurni per anziani parzialmente o totalmente non autosufficienti con compartecipazione sanitaria alla spesa nella misura del 50%. Qualora il beneficiario degli interventi non sia in grado di sostenere, in tutto o in parte, la spesa residua posta a sua carico, il consorzio provvede all’integrazione con i criteri fissati dall’apposito regolamento.
❖ Inserimento in Centri Diurni malati di Alzheimer con spesa a carico del fondo sanitario. L’Azienda sanitaria assume l’obiettivo programmatico di ridurre progressivamente le liste d’attesa per la fruizione del servizio, con l’obiettivo tendenziale di esaurirle.
❖ Inserimenti in strutture residenziali per non autosufficienti con compartecipazione sanitaria alla spesa e con eventuale integrazione del CISAP secondo la normativa regionale vigente. L’Azienda sanitaria assume l’obiettivo programmatico di assicurare una risposta - in termini di lungo assistenza tutelare in regime residenziale o ad esso alternativo – al 2% degli anziani ultra sessantacinquenni residenti nell’ambito distrettuale. Tale obiettivo verrà perseguito in modo progressivo nel triennio di piano.
❖ Servizio di Tele soccorso e Tele assistenza con compartecipazione sanitaria alla spesa nella misura del 50%. . Tale obiettivo verrà perseguito dall’Azienda sanitaria in modo progressivo nel triennio di piano. Qualora il beneficiario degli interventi non sia in grado di sostenere, in tutto o in parte, la spesa residua posta a sua carico, il consorzio provvede all’integrazione con i criteri fissati dall’apposito regolamento.
❑ Articolazione dell’assistenza a favore dei disabili.
Lo sportello del distretto è riferimento unico anche per l’attivazione delle risposte socio sanitarie che comportano una valutazione da parte dell’Unità di Valutazione Disabili. Compito dell’Unità è la valutazione della situazione psichica e fisica dei soggetti disabili di ogni età con esclusione degli ultra sessantacinquenni - che rientrano nelle competenze dell’Unità di Valutazione Geriatrica – su richiesta dei soggetti stessi, degli esercenti la potestà genitoriale, degli eventuali tutori, al fine di individuare soluzioni progettuali individualizzate atte ad assicurare adeguato sostegno alla persona ed alla sua famiglia evitando, ove possibile, il ricorso all’istituzionalizzazione.
Le strutture semi residenziali e residenziali devono venire individuate – di norma – tra quelle accreditate/convenzionate nel territorio del distretto sanitario. Anche ai disabili ospiti delle strutture deve essere garantito l’accompagnamento in caso di ricovero in ospedale e tutta l’assistenza personale necessaria, evitando ogni richiesta di “assistenza aggiuntiva”, sia durante il ricovero ospedaliero che in regime di permanenza presso le strutture residenziali convenzionate o affidate in gestione.
Come nel caso degli anziani cronici non autosufficienti, le richieste di valutazione/intervento devono essere formulate su apposito modulo indicante le autorizzazioni ed i consensi informati previsti per legge nonché lo spazio per l’espressione del consenso ad eventuali processi di rivalutazione, richiesti dai soggetti coinvolti nel progetto individualizzato, fermo restando il diritto del cittadino ad opporsi a conclusioni della rivalutazione con le quali non concordasse.
Per la ricezione delle domande, l’individuazione del responsabile del procedimento e lo svolgimento della fase istruttoria è opportuno che si proceda in modo analogo a quanto definito per gli anziani. Con specifico riferimento alle persone disabili è inoltre necessario che L’Unità di Valutazione individui - oltre al referente del progetto assistenziale individuale (funzione svolta mediante gli operatori dei Nuclei Interdisciplinari sia per gli anziani che per i disabili) - un referente sanitario per ogni persona seguita che assuma la responsabilità sul piano clinico – riabilitativo garantendo il rapporto con gli altri soggetti sanitari coinvolti.
Anche per quanto attiene ai disabili, l’esito della valutazione deve essere comunicato in forma scritta all’interessato dal responsabile del procedimento, entro un massimo di trenta giorni dalla ricezione della domanda corredata dalla documentazione, ed all’interessato deve esser data facoltà di presentare ricorso contro le decisioni dell’Unità di Valutazione.
L’aspetto fondamentale che si intende evidenziare è la necessità di rendere realmente integrabili - a favore del cittadino e della completezza assistenziale - le prestazioni socio sanitarie offerte in ambito distrettuale. Ciò al fine di assicurare l’esigibilità delle prestazioni inserite tra i livelli essenziali attraverso l’adozione di un modello operativo delle attività aziendali e distrettuali finalizzato alla tempestiva presa in carico delle persone in condizioni di non autosufficienza o con problematiche connesse all’handicap alle quali si intende garantire la continuità delle cure.
Coerentemente con tale impostazione ad ogni persona valutata deve esser data facoltà di richiedere uno o più interventi - tra quelli indicati nell’Accordo di Programma tra Azienda sanitaria ed Enti Gestori - e non obbligatoriamente il ricovero in struttura. Inoltre - dal momento della presa in carico con l’intervento ritenuto più idoneo in sede di valutazione - deve esser garantito all’assistito il costante monitoraggio della sua situazione, prevedendo di rispondere agli aggravamenti con la proposizione degli interventi di volta in volta più adeguati all’evoluzione della situazione. In tal modo non sarà necessario “prenotarsi” per avere garanzia di un futuro ricovero, in quanto agli assistiti con interventi alternativi viene assicurata priorità nell’inserimento residenziale nel caso in cui l’aggravamento della condizione lo richieda.
In modo analogo è auspicabile che si proceda per i disabili assicurando una precoce presa in carico alla quale far seguire una articolazione degli interventi da sviluppare nel tempo senza soluzioni di continuità. Da questo punto di vista l’esperienza sin qui condotta con il progetto “Verso casa”27 costituisce una utile indicazione per lo sviluppo futuro di interventi centrati sulla precoce presa in carico, sulla continuità degli interventi e, quindi, sulla qualità complessiva dell’assistenza fornita.
❑ Le prestazioni essenziali socio sanitarie che l’Unità di Valutazione deve poter fornire alle persone disabili, in ottemperanza a quanto stabilito dall’Accordo di Programma tra l’ASL n. 5 e gli Enti Gestori ad essa afferenti, sono:
❖ Affidamento intra ed etero familiare. Si riconoscono le azioni di promozione già messe in campo dal CISAP riguardanti gli affidamenti etero ed intra familiare di disabili in carico ai centri diurni quale valida alternativa all’inserimento in strutture residenziali. L’Azienda sanitaria si impegna a condividere con il CISAP la gestione economica degli interventi e pone questo come obiettivo programmatico per giungere ad una compartecipazione sanitaria alla spesa, con modalità progressiva, nel triennio sino ad un massimo del 50%.
27 Il progetto “Verso casa” si rivolge ai bambini con handicap diagnosticato alla nascita ed alle loro famiglie e prevede l’accompagnamento del nucleo dall’ospedale a casa ed il sostegno sino al compimento del terzo anno di vita del bambino. In prospettiva si intende “abbattere” la barriera dei tre anni mantenendo costante la presa in carico nel xxxxx xxx xxxxxxxxxx xxxxxxxx xx xxxx xxx xxxxxxx x xxxxx xxx xxxxxxxx.