CONTRATTARE, TUTELARE, INSEDIARE. LE TRE SFIDE DEL PROSSIMO FUTURO
Stati Generali della CGIL Lombardia
CONTRATTARE, TUTELARE, INSEDIARE. LE TRE SFIDE DEL PROSSIMO FUTURO
VII Edizione – Cremona 21/22/23 Ottobre 2015
RELAZIONE INTRODUTTIVA: XXXXX XXXXXXXX Segretario Generale CGIL
Lombardia
Care compagne, cari compagni, gentili ospiti
L’edizione 2015 degli Stati Generali della CGIL Lombardia cambia rispetto alle edizionipassate: si tengonoin Lombardia -prima novità- e prova a rendere più protagonisti i territori e le categorie, anziché essere una riflessione con molti contributi esterni –seconda novità-. L’esito di questa tre giorni di riflessione è consegnato a quanto insieme saremo capaci di discutere e progettare, piuttosto che l’approfondimento di un tema, come è stato in tutte le edizioni precedenti.
Usiamo questa occasione come un esperimento, per poter poi decidere tutti insieme se questa impostazione ci è stata utile o è meglio tornare “alle origini”, tornare cioè ad un’occasione formativa per il gruppo dirigente.
Credo però opportuno e necessario dedicare alcuni minuti, prima di delineare la cornice in cui faremo la nostra discussionenei prossimi tre giorni, alla situazione che si apre di fronte a noi: in particolare la Legge di Stabilità 2016 e la stagione dei rinnovi contrattuali, consapevole che questi argomenti e le decisioni conseguenti dovranno trovare a breve un momento di discussione nel Comitato Direttivo. A questo proposito e sugli stessi argomenti è stato convocato ieri il Comitato Direttivo della CGIL il 5 novembre prossimo.
Credo che sia utile farlo anche in ragione della presenza, oggi, del Segretario Generale della CISL Lombardia, Xxxxxxx e di Xxxxxxx Xxxxx, componente della Segreteria Regionale della UIL, che ringraziamo e che sono nostri graditi ospiti, che ascolteremo a conclusione di questa relazione.
Tutte e tre le nostre organizzazioni regionalisono importanti rispetto alla struttura nazionale: questo può – se lo vogliamo e se ci riusciamo- contribuire afavorire il confronto unitario a livello nazionale. Lo abbiamo dimostrato pochi giorni fa costruendo una posizione unitaria sulla previdenza in preparazione dei presidi davanti alle Prefetture, lo facciamo – non nascondendoci le difficoltà di questa fase- ogni giorno quando ci confrontiamo con Regione Lombardia sui diversi tavoli. Dalle politiche sul lavoro, alla sanità, al welfare e inclusione sociale, alla casa, alle politiche dei trasporti: sappiamo tutti che a volte è difficile, ma coscienti del nostro ruolo di rappresentanza, non demordiamo nell’individuare una posizione comune. Credo che potremmo, anche in questa occasione, dirci se possiamo provare a fare qualche passo per favorire la ricomposizione unitaria a livello nazionale, al fine di individuare risposte comuni ai problemi che ci si presentano giànei prossimi giorni. Proviamo a definire il campo di gioco e proviamo a dirci se siamo nella condizione di condividere qualche giudizio e costruire qualche proposta.
Due le priorità: il giudizio e lacostruzione di proposte sulla legge di Stabilità 2016 e la stagione contrattuale, comprensiva della discussione sul modello contrattuale.
La legge di stabilità non hail segno distintivo che avremmo auspicato: non ha il lavoro e la redistribuzione del reddito come priorità, oltre a non contenere sostanzialmente nulla sulla previdenza, come da molti
auspicato, compreso il Presidente INPS. E’ una legge di stabilità che non determina alcuna condizione a favore dello sviluppo del paese, che consegna il sud alla deprivazione, che non afferma la logica degli investimenticome volano perlaripresa. Assume come un indistinto il tema della riduzionedella tassazione cancellando, a prescindere da valore, reddito e patrimonio la tassazione sulla prima casa, distorcendo anche così, e in modo pesante, laprogressività della tassazione, giàmessa pesantemente in discussione per mancanza, in questi anni, di interventi correttivi. Mantiene l’idea che il lavoro si crea finanziando esclusivamenteil sistema delle imprese, non intervenendo con alcun vincolo né sul versante della quantità e qualità dell’occupazionené dell’innovazione. Ne è la riprova, a questo proposito, che quando si tratta di rinnovare i contratti pubblici –derivata diretta della sentenza della Corte Costituzione di qualche mese fa- vengono messe poche briciole adisposizione. Vedo un nesso diretto tra risorse date alle impresee mancato rinnovo dei CCNL pubblici: la condizione dei lavoratori, sul versante economico, dei diritti e delle prestazioni, sono unavariabile dipendente dallesceltedel datore di lavoro, pubblico o privato che sia, oltre a mandare un segnale inequivocabile, al fronte imprenditoriale, che si può fare a meno di rinnovare i contratti nazionali.
Ovviamente questo non solo riduce lo spazio della contrattazione –e non mi riferisco ai tavoli considerati inutili dal Presidente del Consiglio- mafavenir meno l’idea che lacondizionedei lavoratorie lacreazione di lavoro sia un punto di riferimento a cui guardare e a cui assegnare risorse e vincoli.
Questo ritengo sia uno dei nodi cruciali nel rapporto con il Governo: pensare che impresa e lavoratore siano pari, che abbiamo lo stesso potere esercitabile uno sull’altro. Ma noi, tutti noi, sappiamo bene che non è cosi. Lo abbiamo visto ed analizzato sul Jobs Act e i relativi provvedimenti attuativi, lo abbiamo visto nelle tante vertenze di crisi, lo abbiamo visto in molti provvedimenti assunti dal governo.
Tagliare le tasse a tutti, al netto delle critiche giunte anche dall’Europa, significa avere meno risorse da mettere adisposizione perinvestimenti e a protezione dello stato sociale –si veda il taglio alla sanità- ma soprattutto ha il segno che dare a chi ha meno non fa parte delle scelte valoriali di un governo di centro- sinistra. E questa è un’altra rottura su cui credo opportuno riflettere.
Nello stesso capitolo ascrivo la scelta dell’innalzamento della soglia dei pagamenti in contanti: è un messaggio pericoloso e ancora di più incoerente rispetto alla politica per la legalità. Ma è ancora più pericoloso in questa fase di scandali che riguardano l’amministrazione pubblica: rischia di alimentare la politica del disincanto e del disinteresse per il bene pubblico, piuttosto che la rassegnazione silente e la distanza o il voto di pura protesta. Non ho dubbi che la corruzione non passi solo dal “contante”, manon ho altrettanti dubbi nell’affermare che non ci può essere una politica per la legalità a fasi alterne.
Ed infine il capitolo quasi inesistentedella previdenza: sicuramente positiva è l’estensionedella no tax area per i redditi da pensione –rivendicazione che da molti anni vede impegnato il sindacato unitario dei pensionati- che più che nelle quantità introduce il principio di riconoscere anche ai pensionati e alle pensionate una misura di redistribuzione, la norma sui salvaguardati continua nella logica di trovare soluzioni parziali al problema, ma nulla più.
A me non convince quanto annunciato dal premier che intende prendersi del tempo perstudiare il capitolo della riforma della previdenza: se la legge di stabilità non posta risorse in bilancio, le eventuali correzioni al sistema saranno solo una rimodulazione interna, un vantaggio per qualcuno a scapito di altri.
Mi auguro che unitariamente riusciremo a dire che abbiamo bisogno di un profondo ridisegno della previdenza: un cambiamento di segno che parli apiù generazioni, che dia risposte a chi per età (anagrafica o di anzianità di servizio, magari perché lavoratore precoce) è vicino al pensionamento, ma soprattutto a
coloro che, pur lontani dall’età pensionabile, con queste regole non avranno mai diritto a una pensione dignitosa. Che parli al lavoro dipendente ma anche a coloro che versano nella gestione separata –non con la riduzione del versamento previdenziale ma con l’allargamento delle prestazioni- che riconosca il lavoro gravoso, che dia libertà di scelta –magari in un range prefissato- tra lavoro e pensione, senza che questo determini continue e costanti penalizzazioni.
Il sindacato unitario e confederale deve scommettere su questa priorità ed agire di conseguenza per produrre un risultato tangibile: bene i presididavanti alle Prefetturemanon ci possiamo fermare. Noi, tutti noi, non possiamo ripetere la stagione del 2011, certamente più drammatica sul piano economico per il paese di quella attuale, in cui è statavarata la riforma e noi abbiamo costruito una troppo debole risposta.
Non la possiamo ripeterepertante ragioni: non c’è luogo reale o virtuale in cui non ci venga rinfacciato di aver fatto troppo poco o peggio ancora di non averci creduto, non c’è assemblea in cui qualcuno non ci chieda conto su cosa vogliamo fare sulle pensioni, ne va di un pezzo della nostra credibilità. E ancora, con altrettanta franchezza, credo che stia alla nostra capacità di costruire una proposta, di condividerla con lavoratori e pensionati, con giovani e anziani, che parli a tutti: che parli di rivalutazione delle pensioni, di età pensionabile e di flessibilità e che soprattutto parli a coloro che, magari oggi lontani, avranno una pensione interamente calcolata con il sistema contributivo. Credo la costruzione della proposta non sia facile: perle differenzetranoi, per la necessità di costruire conoscenza diffusa, per dare valore anche alla previdenza complementare troppo dimenticata da chi ne avrebbe più bisogno, ma soprattutto perché dobbiamo essere capaci, nella condivisione con i nostri, di parlare al Paese e di far crescere una forza diffusa e collettiva che faccia cambiare idea allapolitica e al governo. Operazione non facile, il cui esito non è scontato (a proposito di risultati e di efficacia dell’azione collettiva) ma su cui credo sia necessario costruire un “patto esplicito” con lavoratori, pensionati, giovani e cittadini, oltre che una forte tenuta unitaria, a partire dalla piattaforma che insieme avevamo costruito.
Altrettanto complicato è il quadro che si presenta sul versante dei rinnovi contrattuali: negli ultimi giorni abbiamo avuto una buona e una cattiva notizia. Quella buona è il rinnovo del contratto chimico- farmaceutico, quella cattivaè l’assoluta impossibilità, con le risorse oggi destinate, di rinnovare i contratti pubblici.
Vorrei su questo tema fare solo alcune brevi ma secche considerazioni, da consegnare anche alla discussione del nostro terzo giorno:
a) Un datore di lavoro, in questo caso il governo, che si presenta con una proposta inferiore ai 10€ lordi mensili, dopo sei anni di mancato rinnovo e dopo la sentenza della Corte che obbliga al rinnovo, è non solo irresponsabile verso i tre milioni di dipendenti pubblici che ogni mattina timbrano il cartellino e spesso in assoluta solitudine offrono servizi alla popolazione, merita una risposta collettiva e di mobilitazione di tutto il movimento sindacale;
b) Il contratto chimico-farmaceutico è la riprova che è possibile, con questo sindacato confederale, trovare una soluzione che soddisfa entrambise non si mettono barriere ideologiche al confronto, e che la contrattazione si dimostra una strada utile per trovare punti di mediazione degli interessi;
c) Che oggi, a fronte del proseguimento del confronto su tutti i tavoli aperti per i rinnovi dei contratti scaduti, si può determinareunacondizionefavorevole per costruire, tra organizzazioni sindacali e con il coinvolgimento pieno di lavoratori e lavoratrici–cosìcome abbiamo scritto nelle regole sulla rappresentanza- una proposta generale sulla contrattazione.
Certo non possiamo nasconderci le difficoltà unitarie su questo terreno: dal rinnovo del contratto dei meccanici, che può però essere favorito rispettando quanto contenuto nel testo unico, all’individuare un terreno comune sul rapporto tra contratto nazionale e contrattazione di secondo livello, piuttosto che individuare criteri utili alle richieste salariali.
Relativamente alla proposta generalesulla contrattazione, daportare alladiscussioneunitaria, che sarà discussa –così come da impegni presi dalla segreteria nazionale- con le categorie e poi nel comitato direttivo, mi permetto di indicare quelli che per me rappresentano alcune coordinate e riferimenti generali che offro ovviamente alla discussione:
a) Riduzione dei CCNL: è unadelle urgenze improcrastinabili del sistema non solo perevitare dumping
–che a volte noi stessi determiniamo- maperricostruire un’idea delleconnessioni oggi esistenti tra settori merceologici e come questi influenzino la quantità e la qualità delle prestazioni. Riduzione ragionata per grandi aggregati di settore o per filiere produttive. Riduzione anche come affermazione del principio che più associazioni d’impresa possono firmare lo stesso contratto, senza che questo riduca la loro rappresentanza. Per questo penso che non possiamo pensare solo ad un accordo con Confindustria, maanche in forma e tempi diversi, l’interlocuzione va aperta con l’insieme delleassociazioniimprenditoriali. Ridurre i contratti portacon sé l’aggregazione dei fondi complementari e della bilateralità, entrambe questioni che necessitano non solo di controllo nel rapporto tra risorse e prestazioni, madi economiedi scala che li rendano più efficienti ed efficaci.
b) CCNL più grandi per dimensione che contengano diritti universali ed esigibili per l’insieme dei lavoratori, subordinati e non, che diano più spazio e più esigibilità alla contrattazione di secondo livello senza passare dalla derogabilità, su materie delegate. Questo fatto di persé determinerebbe più ruolo e partecipazione attiva delle RSU ed anche maggior coinvolgimento di lavoratori e lavoratrici.
c) CCNL che siano il “luogo” della difesa del potere d’acquisto delle retribuzioni. Difficile oggi individuareindicatori universali che reggano nel tempo, anche se la storia degli ultimi anni ci dice che, pur in presenza di un indicatore non condiviso, si sono individuate soluzioni contrattuali che hanno “protetto” le retribuzioni. Non ho una soluzione da proporre penso però che dovremmo agire anche su una contraddizione evidente di questa fase: da una parte si invoca la ripresa dei consumi e della domanda interna per sostenere l’impresa, dall’altra si vogliono tagliare le retribuzioni degli stessi che consumano.
Ricostruire e ridare valore alla contrattazione è anche un modo per fronteggiare una deriva, peraltro presente in tanti paesi europei come il recente congresso della CES hadimostrato, di riduzione del ruolo di rappresentanza degliinteressi, di cancellazione in qualche caso del lavoro dall’agenda politica dei governi. Nella fase di forte crisi di questi anni la contrattazione ha tenuto insieme il paese, ha evitato la disgregazione, la disperazione e spesso la solitudine di chi stava pagando di più, ma ha anche evitato conflitti violenti che in altri paesi abbiamo visto. Lo abbiamo fatto con gli strumenti che avevamo a disposizione e con quelli che abbiamo conquistato: oggi, a fronte di qualche timido segnale di ripresa, dobbiamo essere capaci di non abbandonare nessuno maanche di innovare il sistema di relazioni industriali affinché non vi sia un “far da sé” delle imprese. Innovare nel sistema di confronto sulle scelte strategiche, non escludendo forme più avanzate di decisione e controllo, innovare per determinare, dentro e fuori l’impresa, i diritti universali per chi lavora, smontando e ricomponendo, contro la deriva che abbiamo conosciuto in questi ultimi anni, un’idea di diritti per tutti.
Perfare questo abbiamo bisogno del lavoro di ognuno di noi: quel lavoro prezioso nei luoghi di lavoro che ogni giorno ricostruisce nessi, protezioni e difese, maanche di ripensare radicalmente alle regole generali che sovra-intendono ai rapporti di lavoro. La CGIL ha lanciato l’idea di un nuovo Statuto dei Lavoratori: è prevista laprossima settimana un’ulteriore giornata di approfondimento maabbiamo bisogno di accorciare i tempi, di costruire un canovaccio di lavoro su cui aprire un largo confronto e costruire le condivisioni. Personalmente penso che lanuova “carta dei diritti” non nasca dal pensiero di qualche giurista illuminato, ma dalla condivisione prima di tutto con i lavoratori e le lavoratrici. Nasce e cresce però se anche noi ci crediamo: non possiamo ripetere gli errori anche del recente passato in cui abbiamo lanciato proposte generali e poi solo qualcuno ha lavorato per la sua, a quel punto parziale, riuscita.
La discussionegenerale, la lettura della fase come spesso usiamo dire, e le proposte da costruire stanno a pieno titolo nella discussione che ci apprestiamo a fare in questi tre giorni.
Contrattare, tutelare, insediare sono le tre parole che abbiamo scelto per provare a riposizionare la nostra azione nel territorio. Tre principicardine che possono trovare anche un terreno di lavoro comune con CISL e UIL: la contrattazione in questi anni –nelle imprese, nei territori, con il sistema degli enti locali e con la Regione- è stata unitaria, la condivisione con delegati e strutture è stato un fatto importante. La tutela individuale e collettiva l’abbiamo agita: dalle iniziative dell’anno scorso asostegno dei Patronati –che credo dovremmo riprendere magari in forma diversa visti i tagli previsti nella legge di stabilità- alle tutele verso coloro che hanno perso il lavoro attraverso la contrattazione e l’estensione degli ammortizzatori. E’ di questi giorni l’accordo unitario con le associazioni artigiane per quei lavoratori che non hanno alcuna protezione economica. Infine l’insediamento, a partire dai rinnovi delle RSU nei luoghi di lavoro –vero punto di forza del sindacato confederale italiano- che deve continuare con ancora più slancio e che va esteso in tutti i settori, oltre che dalle centinaia di accordi territoriali con i Comuni, fatti prima di tutto dai nostri sindacati pensionati, che altrettanto determinano la nostra presenza e la nostra rappresentanza. Certo sappiamo bene che ci sono differenze, che non abbiamo gli stessi giudizi e priorità su materie importanti quali le nuove regole del lavoro –il Jobs act a non solo-, abbiamo misurato posizioni diverse nel rapporto con il governo e le controparti sulle scelte fatte, e avolte anche quali sono le priorità su cui agire. Io penso che però non ci possiamo arrendere di fronte alle differenze: dobbiamo, ognuno di noi e ogni organizzazione collettivamente, non chiuderci ognuno nella propria autosufficienza, dobbiamo provare ad ascoltarci, dobbiamo far partecipare di più e con più consapevolezza delegati, iscritti, lavoratori e pensionati, dobbiamo costruire insieme la strada dell’innovazione. In questi tre giorni questo gruppo dirigente vuole provarci, qui in Lombardia, nei suoi territori e nelle sue categorie.
Veniamo dauna Conferenza d’Organizzazione che hadefinito alcune scelte e che anche in questi giorni, con la discussione fatta con le Camere del Lavoro del Sud, del Centro e del Nord, e con le riunioni a livello nazionale con le categorie, sta definendo obiettivi e cambiamenti.
La Conferenza ha assunto, a mio giudizio, tre direttrici:
1.- il ruolo del territorio come baricentro dell’azioneconfederale e delle categorie. Territorio inteso come luoghi di lavoro, luoghi di aggregazione e partecipazione, luoghi in cui esercitare contrattazione e tutela;
2.- l’allargamento della partecipazione alle scelte e alle decisioni, non solo per l’elezione dei gruppi dirigenti, macome strategia di radicamento. Abbiamo bisogno di più sindacato confederale, inteso come sindacato generale. La partecipazione si fonda sulla consapevolezza e sulla conoscenza: il diritto-dovere alla formazione va letto in questa direzione;
3.- tutela individuale e tutela collettiva non possono più essere visti come corpi separati, così come la contrattazione aziendale e territoriale sociale deve trovare una ricomposizione. Per questo il dato del tesseramento deve diventare la chiave con cui interpretare e leggere la nostra capacità di radicarci ed insediarci. Tesseramento come azione che riguarda tutti: dai delegati ai segretari generali.
Su questo le Conferenze delle Camere del Lavoro si sono esercitate, in forme e modi anche diversi, e quel lavoro e quei progetti definiti e decisidebbono ovviamente vivere, essere verificati, produrre risultati. Quei progetti e quelle “buone pratiche” che oggi nel corso della prima giornata saranno presentati –almeno in parte, erano troppi non potevamo presentarli tutti-. Li abbiamo scelti con lo spirito di mettere in luce lo spaccato di quello che facciamo, di quali innovazioni si stanno producendo nella nostra azione, non per dare voti con la penna blu e rossa ma per condividere potenzialità e rischi. Sono la base da cui partire per sviluppare la riflessione e poi le scelte nelle sedi opportune.
Proverò qui ed ora ad indicare la cornice delle scelte, sapendo che le relazioni dei compagni e delle compagne della Segreteria regionale e i responsabili delle tutele individuali svolgeranno, più compiutamente di me, la riflessione e le proposte conseguenti nelle diverse sessioni. Lo farò in modo schematico, per punti, magari anche dando per conosciuti da tutti quanto in parte abbiamo già discusso nelle riunioni dei dipartimenti. Vorrei che la nostra discussione fosse fatta senza ritualità, per poter poi costruire le scelte. Scelte che si fondano su risorse limitate: il tempo e le risorse economiche e non possiamo sprecarle.
Fondo di reinsediamento
L’abbiamo costituito e sperimentato in questi anni, il giudizio è complessivamente positivo ma serve fare un salto di qualità. Se ha avuto inizialmente il senso di provare a costruire un contenitore, alimentato in grande parte da risorse dello SPI, da redistribuire in ragione dei progetti presentati dalle strutture per aiutare il proselitismo e l’insediamento territoriale, oggi è arrivato il momento di concentrare gli sforzi su un asse essenziale: la tutela individuale. Intendiamo con questo non solo l’attività dei servizi ma anche attività congiunte ed integrate anche dellesingole categorie. Tutela individuale che innova nellerisposteda dare, che sceglie verso quali soggetti spingere, che fa dell’integrazione delle risposte e dei servizi offerti i tre indicatori principali. Fondo che intendiamo alimentare con una quota aggiuntiva a carico di CGIL Lombardia, a partire dal 2016, e che dovrà scegliere, con la modalità della condivisione e non della spartizione delle risorse, quale/quali progetti finanziare. Progetti che al di là del luogo in cui si svolgono debbono riguardare tutti: debbono cioè esseremonitoratiperpoter essere, laddovefunzionino, replicati e riprodotti in altri luoghi. Progetti che facciano della qualità dei servizi, dell’incremento del proselitismo, dell’allargamento dell’offerta e dei soggetti a cui si rivolgono, i fattori determinanti.
Attività vertenziale
L’attività vertenziale sta cambiando e cambierà ancor di più nel prossimo futuro: la crisi per un verso e i decreti in materia di mercato del lavoro e licenziamento mutano oggettivamente il senso e la capacità di dare risposte. Accanto a questo non possiamo dimenticare la riforma dell’accesso alla giustizia e i costi del processo che hanno significativamente ridimensionato la capacità di incidere e tutelare i lavoratori. Per contro lacontrattazione e la suaestensione richiede unasempre maggiorcompetenza da parte di delegati ed anche dei sindacalisti: una parte di questa competenza la possiamo ottenere con il diritto-dovere alla formazione macredo che abbiamo bisogno di attrezzarci tutti affinché si abbiano risposte competenti nel tempo in cui servono. Su questi assunti si fonda la proposta di rivisitare l’azione della vertenzialità, di
specializzarla tenendo conto delle esigenze e delle attività delle categorie, a partire dal rapporto tra contrattazione collettiva e vertenzialità individuale, di riqualificare e potenziare il ruolo degli uffici vertenze a sostegno delle categorie, anche in considerazioneche molto spesso vi lavorano giovani laureatie che non sempre “sfruttiamo” tutte le loro potenzialità.
Indennità di disoccupazione
In questi anni si è molto incrementata l’attività del patronato verso i disoccupati: questa attività è stata fonte di conoscenza, proselitismo, accoglienza di tante domande e bisogni, che non sempre siamo riusciti a veicolare poi in una azione contrattuale. E’ stato un significativo bacino di nuovi iscritti per le categorie: certo iscrizioni spesso atempo, con scarsa possibilità di rinnovo, mache ha rappresentato oggettivamente un allargamento della base della nostra rappresentanza non raggiungibile con l’attività tradizionale nei luoghi di lavoro. E’ stato definito, a livello nazionale, il contributo per lo svolgimento di queste attività con un valore superiore a quello da noi praticato: un +0.30 a carico del singolo. Proponiamo che le risorse aggiuntive che si renderanno disponibili in ragione di questo incremento vengano utilizzate dalle Camere del Lavoro per offrire servizi a questi stessi lavoratori (attività di orientamento, sostegno, ecc). Progetti costruiti e definiti, verificabili nel loro esercizio e nel risultato.
Operatore poli-funzionale
Vorrei, su questo argomento, soltanto un paio di considerazioni, consapevole che abbiamo bisogno di discuterne ancora, abbiamo bisogno di approfondimenti e di fare sperimentazioni mirate, a partire però dall’esperienza giàin corso in diverse Camere del Lavoro sull’accoglienza. La prima considerazione riguarda il fatto che essere un soggetto polifunzionale non può riguardare solo i compagni e le compagne della tutela individuale. Capacità di leggere i bisogni, di saper interpretare le domande inespresse, di offrire risposte fa parte del ruolo del sindacalista. Riguarda il militante pensionato che ogni giorno, aprendo la sede, si trova davanti quelli che chiedono risposte e non sono solo pensionati, così come riguarda il sindacalista che spesso, alla finedell’assemblea, vieneavvicinato dalavoratori e lavoratrici che gli pongono domande “personali” acui dare risposte, che spesso necessitano di grande competenza. Intendo che non ce la caviamo più con la risposta politica al problema: ci si chiede competenza e responsabilità nelle risposte, magari anche senza alcuna possibilità di risposta. La seconda considerazione riguarda quale integrazione è possibile per i compagni e le compagne che operano nei servizi: presumo sarà necessario strutturare una griglia di competenze necessarie, di attività integrabili, di definire luoghi e tempi dove procedere con l’integrazione, di coinvolgere le categorieterritoriali per definire le tipologie di intervento. Essere presenti con risposte essenziali incrocia il tema del nostro insediamento.
Insediamento – reinsediamento
Se la forza del sindacato confederale italiano è stata quella di un presidio e di una rappresentanza diffusa, questo principio non possiamo smarrirlo certo ora. Rappresentanza e presidio nei luoghi di lavoro e nel territorio, che hapermesso non solo di crescere nel corso degli anni nel tesseramento, ma che ha plasmato e prodotto lacontrattazione diffusa. Oggi si pone l’urgenza di ripensare alla nostra diffusione, se non altro perché abbiamo qualche vincolo/scarsità in più sulle risorse disponibili ma anche perché una parte del lavoro si è orientato anche fuori i confini del luogo di lavoro tradizionale. Vorrei essere esplicita: non possiamo certo abbandonare i luoghi di lavoro tradizionali, anzi! Abbiamo ancora molte praterie da sindacalizzare, forse può in parte cambiare il modo di come raggiungere queste presenze diffuse nel
territorio e provare ad incontrarli lì, anziché aspettare che arrivino da noi. Per questo abbiamo ritenuto necessario dedicare unasezione specifica di riflessionesu questo, anche facendociaiutare a leggere come è cambiato il territorio lombardo (sarebbe meglio dire i territori lombardi), ma da qui dobbiamo trarne alcune decisioni. Provo su questo ad abbozzare la solita cornice:
a) Non possiamo avere unasoluzione “ideologica” al problema: non c’è un luogo migliore di un altro, gli investimenti di risorse e di uomini e donne per ricalibrare la nostra presenza debbono essere progettati e condivisi, le nostre sedi (tutte quelle che hanno un quadrato rosso, a prescindere da quale sigla di categoria contengono) debbono essere considerati con pari dignità e possono vedere presenze variabili per servizi e categorie, ma debbono fondarsi sulle domande e sui bisogni che quel territorio in prevalenza esprime. E’ anche così che si colloca la figura polivalentedescritta poco più sopra.
b) Ogni CdL, in raccordo con le categorie, sceglie come e dove costruire i luoghi della vecchia e nuova rappresentanza e soprattutto sperimenta come costruire sinergie per la costruzione delle piattaforme, perlaloro validazione e per comporre le delegazioni trattanti nelle variegate forme della contrattazione. Questo al fine non solo di socializzare le esperienze ma per costruire e diffondere, attraverso il coinvolgimento di delegati, giovani ed anziani, la cultura confederale. Nuova cultura confederale che attraversa, senza nulla togliere alle titolarità e prerogative di ogni struttura, ed aumenta il valore del lavoro di ognuno, in una logica di condivisione collettiva.
c) L’insediamento ovviamente deve fare i conti con le trasformazioni istituzionali e trovare forme affinché, al netto del mantenimento delle attuali strutture, si possa effettivamente agire la rappresentanza e lacontrattazione. In questa dimensione abbiamo il tema della costituenda area metropolitana e del necessario coordinamento politico tra strutture coinvolte, che tenga conto del “peso” di ognuno senza mortificare o ridurre a mera presenza solo nelle grandi occasioni altre strutture. Abbiamo cioè un obbligo a lavorare insieme. Ma penso che non sia solo questo il problema: la ridefinizionedelle Camere di Commercio, piuttosto che le modifiche intervenute su alcuni bacini di competenza (due pertutte: viabilità e trasporti, l’abitare) dimostrano come i nostri confini non sempre coincidono e che, oltretutto, gli stessi confini dovrebbero essere variabili sulla base della materia trattata. Ritengo sianecessario assumere l’orientamento che il collegamento a rete tra strutture confederali e di categoria territoriali, le titolarità ma anche le possibili specializzazioni messe a disposizione di tutte le strutture coinvolte potrebbe rappresentare un modo nuovo di interagire, al netto del ruolo dei coordinamenti e dipartimenti regionali.
La contrattazione
Tema ampiamente trattato in ogni angolo e sfaccettatura di questa relazione. Mi sento di proporvi una suggestione: la contrattazione non come autosufficienza di una organizzazione ma come frontiera per ritrovare ed individuare il proprio punto di vista, anche valoriale, per il cambiamento del Paese. Riconoscere anche il limitedi unarappresentanza di unaparte del paese che forse oggi non si riconosce più con la propria connotazione sociale. Cambia il lavoro macambia anche lapercezione del lavoro: l’uso della competenza, del tempo, delle libertà o presunte tali, interroga sicuramente il ruolo della contrattazione e richiede anche innovazione. Anche per questo sarebbe importante leggere in modo mirato e ragionato tutta la contrattazione che facciamo –dai contratti nazionali alla contrattazione territoriale, da quella aziendale alla vertenzialità, dalla contrattazione contro le discriminazioni a quella che riguarda la cura e l’assistenza delle persone-: metterla in relazione, capire achi si rivolge, con quali rapporti di forza l’abbiamo definita, come ridetermina le condizioni e di chi le ridetermina, mi pare un esercizio non solo intellettuale,
ma utile a capire cosa fare. La proposta è quella di provare a costruire un osservatorio integrato della contrattazione: uno strumento damettere adisposizionedei territori e dellecategorie, che faccia interagire le diverse banche dati e le diverse esperienze, che faccia cultura della contrattazione. E che soprattutto sia messa a disposizione di delegati ed attivisti. Solo un esempio per tutti: l’esperienza, con le sue luci ed ombre, fattain occasione di EXPO potrebbe rappresentare un punto di partenza importante per affermare che il dopo-Expo, con tutto il suo portato complesso e con i diversi interessi in gioco, potrebbe rappresentare un terreno di sperimentazioneimportante. Cosi come credo imprescindibile decidere che in ogni CdL si avvii almeno un progetto per la contrattazione di sito. Sfida per noi ma anche sfida unitaria: scegliere il luogo, coinvolgere le categoriee le RSU/RSA, costruire un coordinamento definendone titolarità e co-titolarità, è un esperimento che deve partire se vogliamo, come ci siamo detti più volti, rafforzare la contrattazione, a partire anche da coloro che sono più deboli. Contrattazione di sito con due obiettivi essenziali: ricomprendere l’insieme deilavoratori (subordinati, para subordinati, precari, professionisti) per costruire e contrattare alcune tutele universali nell’esercizio della propria prestazione; l’altra la definizione di regole e condizioni peril sistema degli appalti, apartire dalla responsabilità d’impresa e delle condizioni economiche e normative di tutti coloro che operano.
Tutto questo è un canovaccio di lavoro, è una tela su cui provare a disegnare un quadro collettivo. E’ una traccia che lasegreteria regionale si sente di proporvi, con tutti gli approfondimenti che saranno necessari, ma che qualora condivisi debbono diventare scelte e decisioni.
Su questa tela aggiungo due pennellate personali: un possibile appuntamento e una riflessione collettiva lunga.
Il possibile appuntamento riguarda lacostruzione di una Conferenza dei Servizi, datenersi nella prima parte dell’anno prossimo, che faccia il punto e che fissi, anche in ragione di possibili modifiche che interverranno in ragione della legge di stabilità, criteri, paletti, sperimentazioni ed innovazioni. Un appuntamento che sta nella discussione già aperta e che proseguirà nelle Camere del Lavoro e che può rappresentare, per il tempo che intercorre fino al prossimo congresso, un contributo con le nostre idee e le nostre innovazioni all’insieme dell’organizzazione.
La riflessione collettiva lunga riguarda il ruolo e le funzioni delle strutture regionali, a partire dalla CGIL Lombardia. Non mi interessa ragionare se servono o non servono, se sono o meno istanza congressuale, se hanno una segreteria o un coordinamento. Mi interessa ragionare, ripeto con tempi anche lunghi, se le strutture regionali possono essere un “luogo di servizio e di competenza” utili a supportare l’attività e le iniziativeche la CGIL tuttapromuove nei territori. Possono essere un luogo dove costruire elaborazione e progetti che possono favorire, con risorse economiche e umane, il reinsediamento territoriale. Non è questione di numeri o di percentuali di canalizzazione, ma di funzioni e prerogative che possono essere messe a disposizione.
Ogni dirigente di questa organizzazione è pro-tempore e transitorio, la CGIL , che ha una lunga e significativa storia alle sue spalle, deve, in una fase cosi tumultuosa, provare a contare di più, a rappresentare meglio e tutti, ad essere un’organizzazione che fa della partecipazione attiva di uomini e donne, di ogni etàe di ogni etnia, lasua scommessa perun futuro migliore. Questo dipende anche da tutti e tutte noi, ed è con questo spirito che dobbiamo affrontare questi prossimi tre giorni di lavoro.