FONDAZIONE STUDI
FONDAZIONE STUDI
CONSIGLIO NAZIONALE DEI CONSULENTI DEL LAVORO
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Commissione dei principi interpretativi delle leggi in materia di lavoro
**** PRINCIPIO N. 11
“Contratto a tempo determinato”
1. Profili generali
L’articolo unico, commi da 39 a 43 della legge 24 dicembre 2007 n. 247 apporta significative modifiche al decreto legislativo
n. 368/2001 in materia di contratto a termine.
In via generale il comma 39 inserisce all’art. 1 del D.Lgs 368/2001 la seguente locuzione “Il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato”.
Tale previsione normativa codifica l’indirizzo prevalente della dottrina, secondo cui le ragioni giustificatrici del contratto a termine devono riferirsi a esigenze di carattere temporaneo o, comunque, non stabili.
Non è, pertanto, ipotizzabile la stipula di un contratto di lavoro a tempo determinato per soddisfare occasioni permanenti di lavoro. In base alla stessa previsione, la nullità della clausola sul termine comporta la conversione del contratto a termine in un rapporto a tempo indeterminato.
In ogni caso, le ragioni che determinano l’apposizione del termine devono essere oggettive e verificabili, per evitare comportamenti fraudolenti da parte del datore di lavoro, e devono sussistere al momento della stipula del contratto, poiché la sopravvenuta stabilità dell’esigenza non può incidere sulla legittimità del contratto di lavoro e del suo termine.
L’onere della prova dell’effettiva sussistenza delle ragioni che giustificano l’apposizione del termine grava sul datore di lavoro, secondo la regola generale contenuta nell’articolo 2697 del Codice civile.
Le ragioni che giustificano il ricorso al contratto a termine devono essere specificate per iscritto nell’atto di assunzione (articolo 1, comma 2, decreto legislativo 368/2001). La specificazione delle ragioni permette di assicurare al lavoratore la conoscenza dei motivi dell’assunzione a termine, di “cristallizzare” la causale di assunzione, rendendola immodificabile nel corso del rapporto, nonché di consentire il controllo giurisdizionale, volto a verificare l’effettiva sussistenza del nesso di causalità tra le ragioni addotte e la specifica assunzione a tempo determinato.
Pertanto, come è stato rilevato dalla giurisprudenza, le parti, in sede di stipula del contratto, non potranno limitarsi a ripetere semplicemente la formula normativa, ma dovranno indicare le ragioni dell’assunzione a termine con sufficiente descrizione.
2. Il limite dei 36 mesi
Il nuovo comma 4-bis dell’articolo 5 introduce un limite di 36 mesi alla successione e reiterazione di contratti a termine superato il quale il rapporto “si considera a tempo indeterminato”. E’ espressamente previsto che nel computo si debbano comprendere le proroghe o i rinnovi.
Ne consegue che la nuova previsione non si applica al primo contratto tra le parti il quale può essere anche di durata superiore ai 36 mesi.
Oltre il limite di 36 mesi si applica il periodo di tolleranza di venti giorni, e la corrispondente maggiorazione retributiva, di cui all’articolo 5, comma 2 del D.Lgs. n. 368/2001.
Si computano nel nuovo limite di 36 mesi i periodi di lavoro svolti con le stesse mansioni ovvero con quelle “equivalenti”. Ciò sta a significare che periodi di lavoro caratterizzati dall’espletamento di mansioni “non equivalenti” concorrono ad un specifico e separato contatore.
Sul concetto di equivalenza si ritiene debba intendersi quella caratterizzata da un legame di equivalenza professionale generalmente regolamentato dai contratti collettivi applicati. Diversamente occorre fare riferimento ai lavori che rientrano in un ambito di omogenea professionalità e da mansioni che abbiano una loro funzionale coerenza nel delineare il profilo professionale del lavoratore.
In considerazione del fatto che la norma fa riferimento ad un limite di “trentasei mesi” si pone il problema della conversione di periodi non coincidenti con il mese esatto o con multipli dello stesso, cioè rapporti inferiori al mese ovvero superiori.
Al riguardo si ritiene che il computo debba essere fatto seguendo la regola del calendario comune convertendo in giorni complessivi il periodo di trentasei mesi stabilito dalla norma (Cassazione 12.09.1991, n. 9536). Pertanto, il limite dei 36 mesi coincidono ad un periodo complessivo di 1.095 giorni (365 giorni x 3 anni).
In deroga alla previsione generale, la norma consente che oltre il limite di 36 mesi possa essere stipulato un solo contratto ulteriore, “da sottoscriversi presso la Direzione provinciale del lavoro competente per territorio con l’assistenza di un rappresentante di una delle Organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato”.
L’assistenza sindacale a favore del lavoratore deve ritenersi obbligatoria al fine di perfezionare il contratto in deroga al limite dei 36 mesi.
La procedura di convalida serve unicamente ad accertare la sussistenza di una libera volontà del lavoratore a stipulare l’ulteriore contratto e non vale come garanzia di genuinità del contratto, cioè quale conferma della effettiva presenza delle condizioni legali che lo giustificano.
Per avere una congrua garanzia in tal senso al limite si potrà ricorrere all’istituto della certificazione ex artt.75-81 del D.Lgs 276/2003.
L’art. 5, comma 4-ter del D.Lgs 368/2001 introduce due deroghe esplicite al limite di 36 mesi. Non sono soggette a limitazioni:
1) Le attività stagionali di cui al DPR 7 ottobre 1963 n. 1525.
2) Ulteriori attività qualora individuate dalla contrattazione collettiva.
In ordine alle attività sub 1) si ritiene che, stante il tenore perentorio della legge, non siano possibili interpretazioni “estensive” del concetto di “stagionalità”, diverse da quelle contemplate nell’ambito del richiamato DPR.
Sono altresì esclusi dal computo dei 36 mesi i dirigenti con i quali, per effetto delle modifiche apportato all’articolo 10, comma 4 del D.Lgs. n. 368/2001, è consentita la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato, purché di durata non superiore a cinque anni.
Considerato che il limite dei 36 mesi ha origine nell’articolo 5 del D.Lgs. n. 368/2001 si ritiene che esso si applichi computando i rapporti contrattuali avviati sulla base di questa regolamentazione legale e in base a quella prevista dalla legge n. 230/1962.
L’articolo 10 del medesimo D.Lgs 368/2001 esclude dall’ambito di applicazione del decreto in quanto già disciplinati da specifiche normative, e quindi sono esclusi dal nuovo limite:
• contratti di lavoro temporaneo di cui alla legge 24 giugno 1997, n. 196, e successive modificazioni (e conseguentemente i successivi contratti di somministrazione disciplinati dal D.Lgs. 276/2003);
• contratti di formazione e lavoro;
• contratti avviati dalle liste di mobilità ai sensi della legge 223/91;
• contratti con i dirigenti;
• i rapporti di apprendistato, nonché le tipologie contrattuali legate a fenomeni di formazione attraverso il lavoro che, pur caratterizzate dall'apposizione di un termine, non costituiscono rapporti di lavoro” (stages, tirocini, ecc.);
• i rapporti di lavoro in agricoltura e gli operai a tempo determinato ex art.12, comma 2, del D.Lgs 375/1993.
Sono da ritenere esclusi anche i rapporti del settore turismo e dei pubblici esercizi in cui è ammessa l'assunzione diretta di manodopera per l'esecuzione di speciali servizi di durata non superiore a tre giorni, nonché i contratti di inserimento tenuto conto della natura speciale del contratto.
Si comprendono, invece, nel computo dei 36 mesi i contratti in sostituzione per maternità.
In caso di trasferimento d’azienda cui si applica la disciplina contenuta nell’articolo 2112 cod.civ. si ritiene che debba computarsi un nuovo limite di 36 mesi con riferimento al cessionario. Ciò in quanto la legge 247/2007 fa esplicito riferimento allo “stesso datore di lavoro”.
Una diversa lettura della norma porterebbe il datore di lavoro cessionario a rispondere di comportamenti posti in essere da altri soggetti (cedente) e dei quali potrebbe non avere conoscenza, soprattutto se risalenti nel tempo.
3. Il diritto di precedenza
Il comma 40 apporta una significativa modifica al testo dell’art. 5 del D.Lgs n. 368/2001 in materia di diritti di precedenza dei lavoratori occupati a tempo determinato rispetto a future assunzioni sia a termine che a tempo indeterminato.
In precedenza il legislatore aveva affidato “ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, la individuazione di un diritto di precedenza nella assunzione presso la stessa azienda e con la medesima qualifica” ed aveva posto espliciti limiti a tale diritto “esclusivamente a favore dei lavoratori che abbiano prestato attività lavorativa con contratto a tempo determinato per le ipotesi già previste dall'articolo 23, comma 2, della legge 28 febbraio 1987, n. 56” (articolo 10, comma 9 del D.Lgs. 368/2001).
La problematica è anche passata al vaglio della Corte Costituzionale, ordinanza n. 252/2006, che aveva considerato il trasferimento di competenze operato dal D.Lgs 368/01 dalla legge al CCNL legittimo stabilendo che “… la legge di delega del 2000, nel dare attuazione alla direttiva comunitaria n. 1999/1970 ha inteso regolamentare ex novo l'intera disciplina del lavoro a termine, aggiungendo che le norme impugnate, sia perché la devoluzione alla contrattazione collettiva nazionale dei casi in cui è esercitabile il diritto di precedenza si inserisce in un costante trend normativo che privilegia il rinvio della legge alla disciplina collettiva, sia perché il termine annuale per l'esercizio del diritto di precedenza era implicitamente operante anche per il passato, non introducono modifiche peggiorative della posizione dei lavoratori interessati.”
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 44/2008 depositata il 4 marzo 2008 è tornata sull’argomento ed ha stabilito un profilo di incostituzionalità dell'art. 10, commi 9 e 10, nonché dell'art. 11, comma 1, del D.Lgs. 368/2001 nella parte in cui abroga l'articolo 23, comma 2, della legge 28 febbraio 1987, n. 56.
A partire dal 1 gennaio 2008 è possibile individuare nel D.Lgs. n. 368/2001 due possibili diritti di precedenza:
• il lavoratore che, nell’esecuzione di uno o più contratti a termine presso la stessa azienda, abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi ha diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine (articolo 5, comma 4 quater);
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• il lavoratore assunto a termine per lo svolgimento di attività stagionali ha diritto di precedenza, rispetto a nuove assunzioni a termine da parte dello stesso datore di lavoro per le medesime attività stagionali.(articolo 5, comma 4-quinques).
3.1 La generalità delle imprese
Il comma 4-quater, che riguarda la generalità delle aziende, dispone il diritto di precedenza ai lavoratori assunti con un contratto a termine in caso di nuove assunzioni a tempo indeterminato. Il diritto è subordinato all’esistenza di due condizioni:
• aver prestato attività lavorativa anche con più contratti a termine per almeno sei mesi
• le mansioni richieste per l’assunzione a tempo indeterminato siano quelle effettivamente già svolte dal lavoratore.
Quanto alle mansioni del lavoratore, il riferimento legislativo fa intendere che le stesse debbano essere quelle effettivamente espletate, le stesse mansioni svolte e non solamente mansioni equivalenti. Le mansioni svolte nel lavoro a termine debbono essere identiche rispetto a quelle richieste nell’attività a tempo indeterminato.
La complicazione operativa può avvenire se, nell’ambito della successione di contratti a termine utili per il raggiungimento del semestre di occupazione richiesto, il lavoratore sia stato adibito a mansioni diverse. In questo caso, quindi va individuato un autonomo contatore riferito a ciascuna mansione svolta. Si pone, inoltre, il problema del rapporto tra le nuove disposizioni di legge e le eventuali norme della contrattazione collettiva esistenti.
Si ritiene che le norme contrattuali conservino la loro efficacia solo se compatibili con le nuove disposizioni di legge.
3.2 Le imprese stagionali
Il comma 4-quinques disciplina il diritto di precedenza con specifico riferimento alle aziende stagionali. Sulla base della norma del 2001 alcuni contratti collettivi di settore già disciplinano tale diritto. Infatti, il CCNL delle imprese alberghiere, per esempio, prevede nel caso di aziende stagionali all’art. 81 che “I lavoratori che abbiano prestato attività lavorativa con contratto a tempo determinato nelle ipotesi di cui agli articoli 77 e 78 hanno diritto di precedenza nella riassunzione presso la stessa unità produttiva e con la medesima qualifica … il diritto di precedenza non si applica ai lavoratori in possesso dei requisiti pensionistici di vecchiaia e ai lavoratori che siano stati licenziati dalla stessa azienda per giusta causa. La contrattazione integrativa può individuare ulteriori casi di non applicazione”.
La nuova disciplina legale, invece, non fa riferimento alla medesima qualifica di assunzione, bensì fa riferimento alla “medesima attività stagionale”.
Questa nuova previsione sembra limitare l’ambito di esercizio del diritto all’unità produttiva ove il lavoratore era stato precedentemente impiegato.
Inoltre, per esercitare il diritto di precedenza da parte del lavoratore stagionale è necessario che il datore di lavoro che assume sia il medesimo, rispetto a quello esistente nella stagione precedente.
Il diritto di precedenza, sia nei casi di nuovi contratti a tempo indeterminato che in caso di successione di contratti per stagionalità, opera esclusivamente su richiesta del lavoratore interessato che deve essere espressa dal lavoratore con qualsiasi forma, rispettivamente, entro 6 mesi ovvero 3 mesi dalla scadenza del contratto.
E’ possibile da parte del lavoratore manifestare il diritto di precedenza anche durante lo svolgimento del contratto a termine. Il diritto in questione si estingue in ogni caso dopo 12 mesi dalla scadenza del contratto.
In caso di mancato rispetto del diritto di precedenza da parte del datore di lavoro è ammessa la richiesta del risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1218 cc.
Infatti, la Cassazione 26 agosto 2003, n. 12505 ha stabilito che “I lavoratori che abbiano prestato attività a carattere stagionale con contratto a tempo determinato(nella specie nel settore turistico), ai sensi dell'art. 8 bis del D.L. n. 17 del 1983 hanno diritto (se hanno manifestato la volontà di esercitarlo nel termine previsto) ad essere preferiti come contraenti nel caso in cui il datore di lavoro decida di procedere a nuove assunzioni, pertanto, nel caso di assunzione di soggetti diversi, dall'inadempimento del datore di lavoro consegue, ai sensi dell'art. 1218 del cod. civ., il diritto al risarcimento del danno; nella liquidazione di tale danno non può non assumersi come parametro di riferimento quanto il lavoratore avrebbe ricevuto se fosse stato parte del contratto di lavoro stipulato con soggetti diversi.”
Le disposizioni sul diritto di precedenza entrano sono in vigore dal 1 gennaio 2008 per tutte le tipologie di rapporto a tempo determinato non sussistendo alcun regime transitorio specifico.
4. Le modifiche alla disciplina dei limiti quantitativi
L’art. 10, comma 7 e 8 del D.Lgs. n. 368/2001 delega alla contrattazione collettiva la fissazione di limiti quantitativi per il ricorso al lavoro a tempo determinato.
Affinché la stipula del contratto a termine sia legittima, dunque, non è sufficiente che essa sia effettivamente motivata, sulla base di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, ma è anche necessario che il datore di lavoro rispetti il limite massimo di contratti stipulabili fissato dalla contrattazione collettiva.
Il legislatore ha, peraltro, previsto alcune ipotesi di deroga ai predetti limiti quantitativi, nelle quali al datore di lavoro è consentito assumere in numero illimitato lavoratori a termine: si tratta di situazioni di particolare necessità, come ad esempio le ipotesi di sostituzione dei lavoratori assenti.
L'art. 1, comma 41 della legge 247/2007 interviene sulla disposizione richiamata, limitando le ipotesi nelle quali è possibile assumere con contratto a termine senza rispettare gli specifici limiti numerici fissati dalla contrattazione collettiva.
In particolare, la disciplina in vigore fino al 31 dicembre 2007 prevedeva la conclusione di contratti a termine senza limiti nelle seguenti ipotesi tassativamente fissate dalla legge:
a) nella fase di avvio di nuove attività per i periodi che saranno definiti dai contratti collettivi nazionali di lavoro anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici;
b) per ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità, ivi comprese le attività già previste nell'elenco allegato al decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525 e successive modificazioni;
c) per l'intensificazione dell'attività lavorativa in determinati periodo dell'anno;
d) per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi
e) per i contratti a tempo determinato stipulati a conclusione di un periodo di tirocinio o di stage, allo scopo di facilitare l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro
f) contratti stipulati con lavoratori di età superiore ai cinquantacinque anni,
g) contratti conclusi quando l'assunzione abbia luogo per l'esecuzione di un'opera o di un servizio definiti o predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario o occasionale;
h) contratti a tempo determinato di durata non superiore ai sette mesi, compresa la eventuale proroga, ovvero non superiore alla maggiore durata definita dalla contrattazione collettiva con riferimento a situazioni di difficoltà occupazionale per specifiche aree geografiche.
A partire dal 1 gennaio 2008 sono state soppresse le ipotesi indicate nelle lettere c), e), h).
5. Il periodo transitorio
La legge n. 247/07 regolamenta un regime transitorio ai fini del computo dei periodi di lavoro per il raggiungimento del limite dei 36 mesi.
In particolare:
• “a) i contratti a termine in corso alla data di entrata in vigore della presente legge continuano fino al termine previsto dal contratto, anche in deroga alle disposizioni di cui al comma 4-bis dell’articolo 5 del decreto legislativo 6 settembre 2001,
n. 368, introdotto dal presente articolo”.
Questa disposizione va interpretata nel senso che in contratti in corso al 1 gennaio 2008 possono superare legittimamente sia il limite dei 36 mesi sia il termine del regime transitorio stabilito al 31 marzo 2009 senza alcun rischio di conversione in contratto a tempo indeterminato;
• “b) il periodo di lavoro già effettuato alla data di entrata in vigore della presente legge si computa, insieme ai periodi successivi di attività ai fini della determinazione del periodo massimo di cui al citato comma 4-bis, decorsi quindici mesi dalla medesima data”.
Per la previsione della lettera b) non si procede alla verifica del superamento del limite massimo dei 36 mesi nel periodo intercorrente tra il 1° gennaio 2008 ed il 31 marzo 2009, periodo durante il quale per effetto della successione di contratti a termine il rapporto di
lavoro può superare il suddetto limite senza alcuna conseguenza. Qualora, invece, il rapporto avviato durante il periodo transitorio si protragga oltre il 31 marzo 2009 superando, per sommatoria con il periodo già lavorato entro il 31 dicembre 2007, ai sensi dell’articolo 5, comma 4-bis del D.Lgs. 368/2001 esso deve considerarsi a tempo indeterminato.
Roma, 6 marzo 2008
I contenuti del presente documento sono stati elaborati con l’unanimità dai seguenti componenti della Commissione:
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Fondazione Studi (Il Presidente)