CAPITOLO I CAPITOLO II
IL CONTRATTO COLLETTIVO NEL PUBBLICO IMPIEGO: AMBITO E LIMITI DI APPLICAZIONE
INTRODUZIONE
CAPITOLO I
IL CONTRATTO COLLETTIVO: PROFILI STORICI E DISCIPLINA GIURIDICA
1. Principi fondamentali: excursus normativo dalla Costituzione alla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
2. Rappresentanza dei lavoratori: potere sindacale e contratto collettivo nel settore privato e nel pubblico impiego.
3. Analisi generale del contratto collettivo: natura e funzione.
3.1 Efficacia oggettiva e soggettiva del contratto collettivo.
3.2. L’efficacia nel tempo del contratto collettivo.
4. Il contratto collettivo nella pubblica amministrazione: ricostruzione normativa.
4.1 La legge quadro n. 93 del 1983.
4.2 La legge n. 421 del 1992: piena contrattualizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego.
4.3 Analisi del decreto legislativo n. 29 del 1993.
4.4 Disamina della legge n. 59 del 1997 e del Protocollo di Intesa allegato.
4.5 Testo Unico sul Pubblico Impiego: decreto legislativo n. 165 del 2001.
4.6 Riforma Brunetta: decreto legislativo n. 150 del 2009.
4.7 Novità normative della Riforma Madia: decreto legislativo nn. 74 e 75 del 2017.
CAPITOLO II
IL CONTRATTO COLLETTIVO NEL PUBBLICO IMPIEGO
1. La contrattazione collettiva nazionale: i comparti ed i livelli.
2. Il contratto collettivo integrativo: decentralizzazione della contrattazione.
2.1 Funzione di monitoraggio della contrattazione collettiva integrativa nel pubblico impiego.
2.2 La nullità delle clausole difformi.
2.3 Questioni giurisprudenziali relative al contratto collettivo integrativo con particolare riferimento al c.d. danno da contrattazione collettiva
CAPITOLO III
PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE DEL CONTRATTO COLLETTIVO NEL PUBBLICO IMPIEGO
1. Soggetti coinvolti nella contrattazione collettiva.
1.1 L’ARAN: Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni.
1.2 Comitati di Settore.
1.3 Rappresentanze sindacali.
2. Fase di negoziazione del contratto collettivo.
3. Fase di perfezionamento contrattuale e pubblicazione.
CAPITOLO IV
LIMITI E PROBLEMATICHE APPLICATIVE DEL CONTRATTO COLLETIVO NEL PUBBLICO IMPIEGO
1. Interpretazione del contratto collettivo nel pubblico impiego: strumenti per interpretazione autentica.
2. Questioni di efficacia intertemporale della riforma del pubblico impiego n. 150 del 2009.
3. Ambito e riparto della giurisdizione nella risoluzione delle controversie relative all’applicazione del contratto collettivo nel pubblico impiego.
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA GIURISPRUDENZA
INTRODUZIONE
La trattazione ha quale obiettivo preminente quello di evidenziare i limiti e le velleità del contratto collettivo nel pubblico impiego.
In particolare, attraverso l’analisi delle principali riforme normative si vuole dare luce agli espetti più rilevanti del contratto collettivo nell’ambito pubblico; orbene, a tal fine, nel primo capitolo, come approccio preliminare, si rappresenteranno i principi costituzionali e internazionali relativi alla disciplina del lavoro pubblico nonchè i profili storici della disciplina giuridica inerente il contratto collettivo, evidenziando per le linee essenziali le principali riforme normative che hanno portato alla disciplina attuale vigente in materia.
Nel secondo capitolo viene analizzato il contratto collettivo nel pubblico impiego, relativamente agli aspetti di comparto e dei livelli che danno luogo ad una estrema decentralizzazione della stipula dei contratti nell’ambito del diritto del lavoro pubblico; inoltre, viene analizzato approfonditamente anche il contratto collettivo integrativo. Relativamente a tale ultimo aspetto, anche grazie all’ausilio della giurisprudenza, vengono evidenziati i tratti caratterizzanti come, ad esempio, quelli relativi alla nullità della clausola difforme ovvero la giurisprudenza relativa alla enucleazione del c.d. danno da contrattazione collettiva.
Si evidenzia che una delle principali riforme recenti in materia si è avuta con il decreto legislativo n. 150 del 2009; ed invero, verranno anche evidenziati raffronti normativi al fine di mettere in luce l’odierna volontà del legislatore finalizzata a subordinare fortemente la materia della contrattazione collettiva pubblica ai dettami legislativi, riducendo i margini di autonomia.
Nel terzo capitolo, invece, vengono approfonditi i soggetti protagonisti della contrattazione collettiva nel pubblico impiego; in particolare, l’ARAN, le rappresentanze sindacali, comitati di settore.
Ed ancora, viene analizzata la procedura con la quale si perviene alla stipula del contratto collettivo. Con riferimento a tale aspetto, vengono richiamati gli orientamenti giurisprudenziali che sono andati radicandosi relativamente a ciascuna singola fase della procedura che termina con la stipula del contratto collettivo nel pubblico impiego e la sua conseguente pubblicazione.
Nell’ultimo capitolo, dedicato esclusivamente ad aspetti giurisprudenziali, vengono focalizzati problematiche giurisprudenziali relative al contratto collettivo nel pubblico impiego.
CAPITOLO I
IL CONTRATTO COLLETTIVO: PROFILI STORICI E DISCIPLINA GIURIDICA
1. Principi fondamentali: excursus normativo dalla Costituzione alla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
La particolarità della disciplina lavoristica si rinviene senza dubbio nella coesistenza di fonti eteronome di tipo pubblicistico, con fonti autonome di origine contrattuale, individuale e collettiva derivanti dall’attività di contrattazione collettiva1.
Ed invero, la contrattazione collettiva, in senso stretto, è quel complesso di attività poste in essere dalle parti al fine di (auto)regolamentare i propri interessi, in ambito lavoristico, che sfocia nella stipulazione del contratto collettivo2.
In particolare, l’attività di contrattazione è qualificabile come un processo, un’attività, nella quale convergono molteplici manifestazioni di volontà; di contro, il contratto collettivo è un atto che ne rappresenta la sintesi3.
Nell’analisi di tale materia, pertanto, non può prescindersi dalla valutazione contestuale sia dell’aspetto dinamico (fase di contrattazione), sia dell’aspetto statico (contratto collettivo).
Inoltre, essendo il contratto collettivo basilare nell’ambito lavorativo in qualità di accordo giuridico vincolante, è necessario, nell’analisi che segue, considerare congiuntamente sia la fase della contrattazione collettiva, quale attività prodromica alla stipula, sia il contratto collettivo che ne scaturisce.
1 I testi genericamente di riferimento sono X. XXXXXXXX, X. XXXXX, Contratto e rapporto di lavoro, Padova, 2004, X. XXXXXXXX, Diritto del Lavoro, Milano, 2013.
2 Cfr. X. XXXXXXXXX, La contrattazione collettiva, in Diritto e Processo del Lavoro e della Previdenza Sociale, UTET Giuridica, Assago, 2017, pagg. 2045 – 2082.
3 Tale concetto è espresso in JEAMMEAUD, M. LE XXXXXX, X. XXXX CAEN, L’ordonnancement des relations de travail, pag. 367.
Il contratto collettivo, infatti, è, per eccellenza, la fonte regolatrice del rapporto del lavoro; sia privatistico, sia pubblicistico.
Ed invero, autorevole dottrina ha evidenziato che “di contrattazione collettiva in senso proprio si può parlare quando i contratti collettivi (nazionali aziendali, territoriali di categoria o di mestiere stipulati su base professionale o industriale) perdono il loro carattere occasionale, per entrare in una serie continuata di accordi di tipo affine o in una combinazione plurima di contratti di diverso livello e si configurano come sistema”4. È essenziale, in questa fase introduttiva, l’analisi della materia relativa alla contrattazione collettiva ed al contratto collettivo con riferimento ai principi costituzionali
che regolano la materia.
La libertà sindacale, oggetto di tutela dell’art. 39 Cost.5, si riflette anche sulla disciplina della contrattazione collettiva e si combina con la ricostruzione privatistica, ormai consolidatasi del contratto collettivo, come contratto c.d. di diritto comune, assoggettato, per definizione, al principio di libertà negoziale.
Da ciò, ne consegue che, in ambito privatistico, differentemente dall’ambito pubblicistico, la struttura, i contenuti e le forme della contrattazione collettiva tendono a non essere regolate in via eteronoma esclusivamente da norme di legge, ma risultano rimesse, salvo limiti predeterminati legislativamente, alla autonomia delle parti6.
Con riferimento al settore pubblico; all'opposto, sulla scorta dell’art. 97, comma 1, Cost.7 la materia finisce necessariamente per essere caratterizzata da un considerevole grado di legificazione del sistema di contrattazione collettiva; ad ogni modo, dopo un iniziale favore per la contrattazione collettiva quale fonte di disciplina del rapporto di lavoro pubblico privatizzato, il decreto legislativo n. 150 del 2009 sembra aver trasferito il punto di equilibrio riassegnando alla legge una posizione di maggiore rilevanza8.
4 X. XXXXXXXX, La contrattazione collettiva, Il Mulino, Bologna, 1985, pag. 11.
5 Art. 39 Cost.:” L’organizzazione sindacale è libera.
Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge..
I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”.
6 Cfr. X. XXXXXXXXX, Ibidem, pagg. 2045 – 2082.
7 Art. 97, comma 1, Cost.: “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico”.
8 Cfr. X. X’XXXXXXX, La disciplina del lavoro nelle pubbliche amministrazioni tra pubblico e privato, in Il lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 2012, pagg. 1 ss.
È evidente, tuttavia, come un certo grado di formalizzazione è presente anche nel settore privato nei c.d. accordi interconfederali9 che, nel corso del tempo, hanno regolato la contrattazione collettiva e che trovano sistematica disciplina nel Testo unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 201410.
La Corte Costituzionale ha, in ogni caso, ammesso la presenza di vincoli legali all’autonomia collettiva, volti a garantire la «compatibilità con obiettivi generali di politica economica», riconoscendo la legittimità, e giustificando in situazioni eccezionali ed eminentemente transitorie, allorché sia in gioco la «salvaguardia di superiori interessi generali», la compressione della libertà tutelata dall’art. 39, primo comma, Cost.11.
Fondamentale anche il ruolo della concertazione quale metodo di gestione delle politiche del lavoro e delle relazioni sindacali, affermatosi sin dal 1990 e rafforzatosi dopo la stipula del Protocollo sulla politica dei redditi del 23 luglio 2003, che si caratterizza per la ricerca continua, da parte dell’esecutivo, del confronto con le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro e del loro consenso preventivo circa le decisioni politiche ed economiche che devono essere adottate in materia12.
Sul punto, con riferimento all’art. 39 Cost., la Corte Costituzionale ha individuato che da un lato le prassi relative alla concertazione non violano la Costituzione ed in particolare i processi di decisione politica del Governo e la sovranità del Parlamento allorché la rappresentanza politica resta libera di valutare le proposte presentate dall’esecutivo e resta la sola legittimata ad interpretare la volontà popolare e a realizzare la sintesi degli interessi generali; dall’altro lato, la Consulta ha affermato che gli accordi di concertazione non sono riconducibili nell’area dell’art. 39 Cost. in quanto: in primo luogo, sono diversi dai contratti collettivi sul piano strutturale in quanto accordi di tipo trilaterali; secondo poi, sul piano funzionale, sono distanti dal disposto costituzionale in quanto le parti realizzano uno scambio non solo economico, come nel contratto collettivo, ma anche di tipo politico13.
Ad ogni modo, il principio costituzionale sancito dall’art. 39 Cost. sarà oggetto di approfondita analisi nel proseguo della trattazione.
9 L’accordo interconfederale è l’accordo che definisce le regole generali che riguardano i lavoratori a prescindere dal settore merceologico di appartenenza.
10 Cfr. X. XXXXXXXXX, Ibidem, pagg. 2045 – 2082.
11 Corte Costituzionale, sent. n. 178 del 24 giugno 2015.
12 Con riferimento alla concertazione, confronta xxx.xxxxxxxx.xx.
13 Corte Costituzionale, sent. n. 34 del 7 febbraio 1985.
Con riferimento ai principi di matrice internazionale ed europea.
L’attività di contrattazione collettiva è una libertà tutelata dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo all’art. 1114.
Si veda da ultimo la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 12 novembre 2008 Demir et Baykara c.Turchia; nel caso in esame, il ricorso richiamato riguardava una circolare che vietava a dei dipendenti del settore pubblico di partecipare ad uno sciopero di una giornata, proclamato da un sindacato in vista della conclusione di un contratto collettivo. Con la sentenza, la Corte Europea dei Diritto dell’Uomo ha statuito che il diritto di condurre relazioni contrattuali collettive con il datore di lavoro è un diritto tutelato dalla Convenzione EDU quale mezzo insopprimibile per la tutela della libertà sindacale protetta dall’art. 11.
L’attività di contrattazione collettiva, quale momento preliminare alla stipula del contratto collettivo, unitamente al diritto di organizzazione sindacale, è ulteriormente garantita dalla Convenzione OIL15 n. 98, che risale al 194916 ed è stata oggetto di ratifica da parte di 123 Paesi.
14 Art. 11 Convenzione Europea Diritti dell’Uomo:” Ogni persona ha diritto alla libertà di riunione
pacifica e alla libertà d’associazione, ivi compreso il diritto di partecipare alla costituzione di sindacati e di aderire a essi per la difesa dei propri interessi”.
15 L’OIL è l’unica Agenzia delle Nazioni Unite ad avere una funzione normativa e il sistema di norme internazionali del lavoro rappresenta la pietra miliare dell’Organizzazione.
16 Art. 2 Convenzione OIL n. 98 del 1949: ”I contratti ai quali si applica la presente convenzione dovranno contenere delle clausole che garantiscano ai lavoratori interessati salari (incluse le indennità), durata di lavoro e altre condizioni di lavoro non meno favorevoli di quelle stabilite per un lavoro dello stesso genere nella professione o nell’industria interessate della stessa regione: a) sia per mezzo di contratti collettivi o per mezzo di un’altra procedura concordata di contrattazione fra organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori che rappresentano rispettivamente una proporzione considerevole dei datori di lavoro e dei lavoratori della professione o dell’industria interessate; b) sia per mezzo di sentenza arbitrale; c) sia per mezzo della legislazione nazionale.
Quando le condizioni di lavoro menzionate al paragrafo precedente non siano regolate, nella regione in cui il lavoro viene effettuato, in una delle forme indicate più sopra, le clausole che dovranno essere inserite nei contratti garantiranno ai lavoratori interessati salari (incluse le indennità), durata di lavoro e altre condizioni di lavoro che non siano meno favorevoli: a) delle condizioni stabilite per mezzo di convenzione collettiva o per mezzo di un’altra procedura concordata di contrattazione, per mezzo di sentenza arbitrale per mezzo della legislazione nazionale, per un lavoro dello stesso genere nella professione o nell’industria interessate della regione analoga più vicina; b) del livello generale cui si attengono i datori di lavoro che appartengono alla stessa professione o alla stessa industria della parte con la quale il contratto viene stipulato e che si trovano in analoghe circostanze.
L’autorità competente stabilirà le modalità delle clausole da inserire nei contratti e tutte le modifiche di tali modalità nella forma considerata più appropriata alle condizioni nazionali, previa consultazione con le organizzazioni interessate dei datori di lavoro e dei lavoratori, ove tali organizzazioni esistano.
L’autorità competente adotterà misure appropriate, quali la pubblicazione di annunci relativi ai capitolati d’oneri o qualsiasi altra misura che permetta ai concorrenti di conoscere i termini delle clausole.”
In tale documento, il concetto di contrattazione collettiva è stato identificato in maniera generale dalla convenzione n. 98, come negoziazione volontaria tra datori di lavoro e lavoratori, per il tramite dei loro rappresentanti, con il fine di regolare i termini e le condizioni di lavoro attraverso accordi collettivi generalmente applicabili.
La Convenzione n. 98 è stata poi completata dalla Convenzione n. 154 del 198117, che è stata oggetto di ratifica da parte di 17 Paesi, e dalla Raccomandazione n. 163, che promuove in maniera espressa la contrattazione collettiva.
La Carta Sociale Europea del 1961 all’art. 6 sancisce parimenti il diritto di contrattazione collettiva. Ed in particolare statuisce: “With a view to ensuring the effective exercise of the right to bargain collectively, the Parties undertake: 1) to promote joint consultation between workers and employers; 2) to promote, where necessary and appropriate, machinery for voluntary negotiations between employers or employers’ organisations and workers’ organisations, with a view to the regulation of terms and conditions of employment by means of collective agreements; 3) to promote the establishment and use of appropriate machinery for conciliation and voluntary arbitration for the settlement of labour disputes; and recognise: the right of workers and employers to collective action in cases of conflicts of interest, including the right to strike, subject to obligations that might arise out of collective agreements previously entered into”18.
Proseguendo con la disamina dei principi internazionali in ambito di contrattazione collettiva, l’art. 27 della Carta di Nizza sancisce che ”ai lavoratori o ai loro rappresentanti devono essere garantite, ai livelli appropriati, l'informazione e la consultazione in tempo utile nei casi e alle condizioni previsti dal diritto dell'Unione e
17 Art. 2 Convenzione OIL n. 154 del 1981: “Ai fini della presente Convenzione, il termine «contrattazione collettiva» si applica a tutti i negoziati che avvengono tra un datore di lavoro, un gruppo di datori di lavoro o una o più 1 Traduzione italiana non ufficiale a cura dell’Ufficio ILO di Roma. 1 organizzazioni dei datori di lavoro da una parte, e una o più organizzazioni dei lavoratori dall’altra, al fine di: a) determinare le condizioni di lavoro e di impiego, e/o b) regolare i rapporti tra i datori di lavoro e i lavoratori, e/o c) regolare i rapporti tra i datori di lavoro o le loro organizzazioni e una o più organizzazioni dei lavoratori”. 18 “Al fine di garantire l'effettivo esercizio del diritto alla contrattazione collettiva, le Parti si impegnano:
1) a promuovere la consultazione congiunta tra lavoratori e datori di lavoro;
2) promuovere, ove necessario e opportuno, meccanismi di negoziazione volontaria tra datori di lavoro o organizzazioni di datori di lavoro e organizzazioni di lavoratori, in vista della regolamentazione dei termini e delle condizioni di lavoro mediante contratti collettivi;
3) promuovere l'istituzione e l'utilizzo di appositi macchinari di conciliazione e arbitrato volontario per la risoluzione delle controversie di lavoro; e riconoscere: il diritto dei lavoratori e dei datori di lavoro all'azione collettiva in caso di conflitti di interesse, compreso il diritto di sciopero, fatti salvi gli obblighi che potrebbero derivare da contratti collettivi precedentemente stipulati” (trad. it.).
dalle legislazioni e prassi nazionali”; ed inoltre, l’art. 28 statuisce che “i lavoratori e i datori di lavoro, o le rispettive organizzazioni, hanno, conformemente al diritto dell'Unione e alle legislazioni e prassi nazionali, il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati, e di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei loro interessi, compreso lo sciopero”.
I citati articoli della Carta di Nizza si erigono sui principi statuiti nell'art. 6 della Carta Sociale Europea19 nonché sulla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori (punti da 12 a 14).
Il diritto di azione collettiva, con specifico riferimento alla contrattazione collettiva, è stato riconosciuto, come detto, anche dalla Corte europea dei diritti dell'uomo come uno degli elementi del diritto sindacale sancito dall'articolo 11 della CEDU.
Ad ogni modo, tali articoli rappresentano la disciplina generale in quanto le modalità e i limiti per l'esercizio delle azioni collettive, in ambito giuslavoristico, sono disciplinate dalle singole legislazioni e dalle prassi nazionali, come pure il quesito circa la possibilità di portare avanti trattative, per la stipula di contratti collettivi, in maniera parallela in vari Stati membri20.
A prescindere dalla disciplina positiva fino ad ora analizzata, però, non può non evidenziarsi come la giurisprudenza internazionale, abbia affermato con fermezza la necessità di bilanciare le prerogative sociali con le esigenze economiche e diritti sociali in ambito giuslavoristico.
Ed invero, nella sentenza Viking, al punto 79 e 105, la Corte di Giustizia si è espressa, in maniera generica, in questi termini “poiché dunque la Comunità non ha soltanto una finalità economica ma anche una finalità sociale, i diritti che derivano dalle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali devono essere bilanciati con gli obiettivi perseguiti dalla politica
19 Art. 6 della Carta Sociale Europea: ”Per garantire l’effettivo esercizio del diritto di negoziazione collettiva, le Parti s’impegnano:
1. a favorire consultazioni paritetiche tra lavoratori e datori di lavoro;
2. a promuovere, qualora ciò sia necessario ed utile, le procedure di negoziazione volontaria tra i datori di lavoro e le organizzazioni di datori di lavoro da un lato e le organizzazioni di lavoratori d’altro lato, per disciplinare con convenzioni collettive le condizioni di lavoro;
3. a favorire l’istituzione e l’utilizzazione di adeguate procedure di conciliazione e di arbitrato volontario per la soluzione delle vertenze di lavoro; e riconoscono:
4. il diritto dei lavoratori e dei datori di lavoro d’intraprendere azioni collettive in caso di conflitti d’interesse, compreso il diritto di sciopero, fatti salvi gli obblighi eventualmente derivanti dalle convenzioni collettive in vigore”.
20 Cfr. xxxxx://xxx.xxxxxx.xx/
sociale, tra i quali figurano in particolare, come risulta dall’art. 136, primo comma, CE, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata e il dialogo sociale”21.
2. Rappresentanza dei lavoratori: potere sindacale e contratto collettivo nel settore privato e nel pubblico impiego.
La contrattazione collettiva è connessa alla materia del diritto sindacale: contrattazione e rappresentanza sono due ambiti legati in maniera inscindibile.
Con riferimento alla rappresentanza dei lavoratori, sia pubblici sia privati, è opportuno, in via preliminare analizzare i principi costituzionali in materia.
Xxxxx xxxxxxxx, come già considerato, del diritto sindacale italiano è l’art. 39 della Costituzione, giusta il quale “l’organizzazione sindacale è libera”.
Trattasi del formale riconoscimento della libertà sindacale nel nostro ordinamento che comporta, innanzitutto, che l’attività dei sindacati, finalizzata alla protezione degli interessi degli appartenenti alla categoria rappresentata, può avere luogo in qualsiasi forma lecita, senza alcuna interferenza autoritativa22; in particolare, è assicurata la libertà di autoinquadramento, vale a dire che ogni sindacato sceglie i soggetti che si propone di rappresentare23.
Dal principio di libertà sindacale, derivano corollari quali:
1) libertà di costituire organizzazioni sindacali, anche nell’ambito della medesima categoria processuale;
2) libertà di preferire a quale sindacato aderire (cd. libertà sindacale positiva), ma anche di scegliere di non iscriversi ad alcun sindacato (cd. libertà sindacale negativa);
3) libertà delle associazioni nei confronti dello Stato;
21 X. XXXXXXX, Viking e Laval: la singolare andatura della Corte di giustizia (ovvero, l’autonomia collettiva negata), in Diritti Lavori Mercati, n. 1, 2008, pagg. 151 e ss..
22 Cfr. F. XXX XXXXXXX, X. XXXX, Manuale di diritto del lavoro, ed. Xxxxxx, 2020, pagg. 424 e ss.
23 Vi può essere la possibilità che, all’interno dell’associazione sindacale, singoli sottogruppi, che non si sentano più rappresentati, possono anche liberamente dare vita ad un nuovo soggetto collettivo.
4) libertà di attività sindacale, sostanzialmente attraverso l’esercizio dei diritti sindacali individuati dalla legge e dai contratti collettivi, ovvero anche attraverso l’esercizio del diritto di sciopero24.
Da un punto di vista strutturale, i sindacati sono ricondotti nella categoria delle associazioni non riconosciute, disciplinate dagli artt. 36 ss. Cod. Civ.; trattasi, pertanto, di enti dotati di soggettività giuridica, autonomia patrimoniale imperfetta, ma non di personalità giuridica.
Ed invero, la disciplina prevista dall’art. 39 Cost. è rimasta, ad oggi, inattuata lasciando spazio a legislazioni speciali susseguitesi nel tempo e persistentemente mutate e influenzate dalle condizioni economiche e sociali contingenti.
Il silenzio del legislatore, rispetto all’attuazione dell’art. 39 Cost., è stato giustificato dalla dottrina tramite due ordini di fattori da considerare: di ordine storico e di ordine organizzativo.
Ad esempio, si è avuta la percezione, da parte dei sindacati, che il meccanismo della registrazione avrebbe comportato una forma di controllo statale troppo penetrante, ovvero si è evidenziata la riluttanza, da parte delle esistenti organizzazioni, a collaborare tra di loro. Sul punto, autorevole dottrina, ha sostenuto che “imporre l’unità contrattuale e la regola proporzionale ad organizzazioni ciascuna delle quali contesta, sul terreno dei sommi principi, la genuinità sindacale dell’altra, equivale a negare la stessa ragion d’essere del pluralismo: ed è qui, probabilmente, la più grave contraddizione dell’art. 39, che per garantire l’unità del contratto valido erga omnes impone nel momento delle trattative uno schieramento unitario e proporzionale che, in un certo senso, degrada ciascuna organizzazione sindacale al livello di una “concorrente”25.
È conveniente specificare che, quando si fa riferimento al concetto di “rappresentanza sindacale” in senso lato, non si intende riferirsi in maniera sterile ed esclusiva alla rappresentanza sindacale dei lavoratori in azienda. Ed invero, nonostante il sindacato rinvenga le sue origini nell’ambito della fabbrica, si è dovuto attendere prima di riuscire ad ergersi quale rappresentante dei lavoratori dall’interno.
Ad ogni modo, sin dall’origine, l’obiettivo preminente del sindacato è stato quello di tutela dei lavoratori, quale categoria, “per natura”, più debole rispetto alla controparte
24 Cfr. F. XXX XXXXXXX, X. XXXX, Ibidem, pagg. 424 e ss.
25 X. XXXXXX, Lavoro legge contratti, Bologna, 1989, pag. 88.
datoriale nell’ambito della dialettica lavoristica; la sua attività preminente è, pertanto, quella di permettere ai lavoratori privi di tutela, di poter essere destinatari degli atti compiuti in loro favore.
È opportuno specificare, però, che nella fase iniziale il sindacato, quale rappresentante dei lavorator, si è limitato ad operare quale struttura esterna, attraverso lo strumento della contrattazione collettiva; è indubbio, che con l’introduzione della rappresentanza interna, grazie alla partecipazione più prossima del sindacato, si è pervenuti ad una tutela più vigorosa.
Inoltre, con l’introduzione dello Statuto dei lavoratori la tutela in favore dei lavoratori è divenuta sempre più forte anche grazie ad una rappresentanza normativamente legittimata.
L’art. 19 della legge n. 300 del 1970, dal titolo “Costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali”, quale norma obiettivamente oggetto di numerose critiche e sottoposta al continuo vaglio della Corte Costituzionale nonché a modifiche legislative, non deve essere considerato fra quelli più innovativi e rivoluzionari dello Statuto dei Lavoratori in quanto la costituzione di realtà rappresentative dei lavoratori è stato il frutto di un incessante susseguirsi di istituti.
Ed invero, la rappresentanza sindacale ha origine dalle c.d. Commissioni Interne che hanno costituito la prima forma di rappresentanza dei lavoratori nel luogo di lavoro e, pertanto, la prima reale forma di rappresentanza interna all’azienda; tale tipologia di associazionismo sopravvive per oltre cinquanta anni, sebbene non abbia mai avuto nessuna legittimazione da un punto di vista legislativo.
In particolare, le Commissioni Interne nascono agli inizi del ‘900 quali aggregamenti non stabili di operai, durante rivendicazioni e reclami rispetto alle condizioni lavorative; in tali circostanze veniva designato un portavoce rappresentativo del gruppo di lavoratori che trattasse con il datore di lavoro.
Nello specifico, le attività delle Commissioni Interne, rivolte alla composizione delle controversie insorte in ambito aziendale ed al controllo circa la corretta applicazione dei contratti collettivi, lasciano evidentemente trapelare il forte stampo sindacale dell’istituto.
Nella metà del ‘900, vengono alla luce, in seno alla CISL, le Sezioni Sindacali Aziendali, con il precipuo intento di introdurre il sindacato, in veste ufficiale, all’interno dei luoghi di lavoro, in evidente rivalità con le Commissioni Interne.
Ed invero, mentre le Commissioni Interne erano legate al luogo di lavoro ma solo in maniera indiretta ed erano percepite eccessivamente burocratizzate, le Sezioni Sindacali Aziendali, quale fedele nucleo costituito all’interno dell’azienda, si ponevano maggiormente rappresentative.
Purtroppo, le Sezioni Sindacali Aziendali non arrivano a diffondersi in maniera sufficiente nelle aziende e, quantunque negli anni ‘60 ne sia stata rafforzata l’indipendenza, vengono trascinate dalla carica rivoluzionaria dei delegati prima, dello Statuto dei lavoratori poi26.
Successivamente, venne creata quindi una nuova figura in rappresentanza dei lavoratori; nell’ambito dei c.d. Consigli di Fabbrica viene enucleata la figura del delegato, ancora più vicina ai rappresentati in quanto erano gli stessi lavoratori ad eleggerlo democraticamente.
A seguito della nascita spontanea dei delegati, all’interno delle aziende vennero create delle divisioni sulla base della medesima mansione svolta; all’interno di tale categoria i lavoratori, eleggevano il c.d. delegato di gruppo in grado di fare da portavoce circa le doglianze dei lavoratori, non generalmente intesi, ma appartenenti alle medesime categoria; l’elezione del delegato avveniva su scheda bianca, quindi a prescindere dall’appartenenza sindacale dei candidati.
L’atteggiamento dei sindacati fu, in un primo momento, molto prudente rispetto a questa nuova realtà sindacale; in particolare, i delegati sfuggivano allo stretto controllo del sindacato e contribuivano a far aumentare la sfiducia degli operai. Pertanto, in ragione di tale perdita di campo, i sindacati, in particolare CGIL, CISL, UIL, al fine di riacquistare potere, utilizzarono la strategia di accettazione della figura del delegato. Tale figura è conservata sino ad oggi, seppur con le opportune modifiche, ed è costituita dalle attuali
R.S.A. ed R.S.U..
A seguito di un fenomeno di libertà sindacale oggetto di spontanee modifiche e innovazioni, privo di qualsivoglia disciplina di riferimento, nel 1970 il legislatore, stante
26 Cfr. X. XXXX, Sindacato e rappresentanze aziendali, Il Mulino, 1971, pagg. 34 e ss..
la ormai radicata presenza di istituti di rappresentanza dei lavoratori, emana una normativa di riferimento nell’ambito del c.d. Statuto dei Lavoratori.
Come segnalato, con la legge n. 300 del 1970 il legislatore è intervenuto al fine di disciplinare i rapporti sociali, favorendo e garantendo l’azione sindacale all’interno dell’azienda, ed in particolare conferendo al sindacato alcuni poteri di intervento nella sfera giuridica dell’imprenditore.
Il Titolo III (artt. 14 – 18) dello Statuto contiene proprio l’elencazione ed il contenuto dei diritti sindacali parte della c.d. legislazione promozionale o di sostegno al sindacato.
L’art. 14 della legge n. 300 del 1970 sancisce, in maniera espressa e definitiva, che “il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale, è garantito a tutti i lavoratori all'interno dei luoghi di lavoro”.
Nell’ambito della Pubblica Amministrazione, invece, la disciplina delle rappresentanze sindacali ha subito uno sviluppo piuttosto tormentato; ed invero, l’originario art. 47 del decreto legislativo n. 29 del 199327, “Razionalizzazione della organizzazione delle Amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego”, pur essendo collocato nel titolo dedicato all’attività sindacale, si riferiva soltanto alla disciplina generale inerente la “maggiore rappresentatività” ma era priva di qualsivoglia riferimento inerente le rappresentanze sindacali28.
Nondimeno, l’art. 47 del decreto legislativo n. 29 del 1993, a seguito del referendum tenutosi il 16 giugno 1995, venne abrogata sia perché vi era un rinvio ad un apposito e successivo accordo, tra il Presidente del Consiglio dei Ministri o un suo delegato e le Confederazioni sindacali individuate, per definire i criteri misuratori della rappresentatività, sia perché la formulazione implicava l’applicazione dei criteri operanti antecedentemente alla cd. prima privatizzazione del pubblico impiego considerato,
27 Art. 47, d. lgs. n. 29 del 1993:” La maggiore rappresentatività sul piano nazionale delle confederazioni e delle organizzazioni sindacali è definita con apposito accordo tra il Presidente del Consiglio dei Ministri o un suo delegato e le Confederazioni sindacali individuate ai sensi del comma 2, da recepire con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri.
Fino alla emanazione del decreto di cui al comma 1, restano in vigore e si applicano, anche alle aree di contrattazione di cui all'articolo 46, le disposizioni di cui all'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395, e alle conseguenti direttive emanate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica. Tale normativa resta in vigore e si applica anche in sede decentrata fino a quando non sia data applicazione a quanto previsto dall'articolo 45, comma 8”.
28 Cfr. X. XXXXXXX, L’efficacia soggettiva del contratto collettivo, Quaderni Fondazione Xxxxx Xxxxx, Il Diritto Del Lavoro dopo la Legge n. 148 del 2011, sez. saggi, n. 2/2011, VI, pagg. 1 e ss..
secondo la giurisprudenza della Suprema Corte quale “il rapporto di pubblico impiego, ravvisabile in presenza di un continuativo e non occasionale inserimento del lavoratore nell’organizzazione pubblicistica dell’ente”29.
Successivamente, il decreto legislativo n. 396 del 1997 riscrisse l’art. 4730, collocandovi per la prima volta la disciplina della rappresentanza sindacale vera e propria;
29 Cass. Civ., sez. lav., sent. 6775 del 2017.
30 Art. 6, d. lgs. 396/1997:”Nelle pubbliche amministrazioni la libertà e l’attività sindacale sono tutelate nelle forme previste dalle disposizioni della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni. Fino a quando non vengano emanate norme di carattere generale sulla rappresentatività sindacale che sostituiscano o modifichino tali disposizioni, le pubbliche amministrazioni, in attuazione dei criteri di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, osservano le disposizioni seguenti in materia di rappresentatività delle organizzazioni sindacali ai fini dell'attribuzione dei diritti e delle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro e dell'esercizio della contrattazione collettiva.
In ciascuna amministrazione, ente o struttura amministrativa di cui al comma 8, le organizzazioni sindacali che, in base ai criteri dell'articolo 47 -bis, siano ammesse alle trattative per la sottoscrizione dei contratti collettivi, possono costituire rappresentanze sindacali aziendali ai sensi dell'articolo 19 e seguenti della legge 20 maggio 1970, n. 300. Ad esse spettano, in proporzione alla rappresentatività, le garanzie previste dagli articoli 23, 24 e 30 della medesima legge 20 maggio 1970, n. 300, e le migliori condizioni derivanti dai contratti collettivi nonché' dalla gestione dell'accordo recepito nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 ottobre 1994, n. 770, e dai successivi accordi. In ciascuna amministrazione, ente o struttura amministrativa di cui al comma 8, ad iniziativa anche disgiunta delle organizzazioni sindacali di cui al comma 2, viene altresì costituito, con le modalità di cui ai commi seguenti, un organismo di rappresentanza unitaria del personale mediante elezioni alle quali è garantita la partecipazione di tutti i lavoratori.
Con appositi accordi o contratti collettivi nazionali, tra l'ARAN e le confederazioni o organizzazioni sindacali rappresentative ai sensi dell'articolo 47 -bis, sono definite la composizione dell'organismo di rappresentanza unitaria del personale e le specifiche modalità delle elezioni, prevedendo in ogni caso il voto segreto, il metodo proporzionale e il periodico rinnovo, con esclusione della prorogabilità. Deve essere garantita la facoltà di presentare liste, oltre alle organizzazioni che, in base ai criteri dell'articolo
47 -bis, siano ammesse alle trattative per la sottoscrizione dei contratti collettivi, anche ad altre organizzazioni sindacali, purché' siano costituite in associazione con un proprio statuto e purché' abbiano aderito agli accordi o contratti collettivi che disciplinano l'elezione e il funzionamento dell'organismo. Per la presentazione delle liste, può essere richiesto a tutte le organizzazioni sindacali promotrici un numero di firme di dipendenti con diritto al voto non superiore al 3 per cento del totale dei dipendenti nelle amministrazioni, enti o strutture amministrative fino a duemila dipendenti, e del 2 per cento in quelle di dimensioni superiori.
I medesimi accordi o contratti collettivi possono prevedere che, alle condizioni di cui al comma 8, siano costituite rappresentanze unitarie del personale comuni a più amministrazioni o enti di modeste dimensioni ubicati nel medesimo territorio. Essi possono altresì prevedere che siano costituiti organismi di coordinamento tra le rappresentanze unitarie del personale nelle amministrazioni e enti con pluralità di sedi o strutture di cui al comma 8.
I componenti della rappresentanza unitaria del personale sono equiparati ai dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali ai fini della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni e del presente decreto legislativo. Gli accordi o contratti collettivi che regolano l'elezione e il funzionamento dell'organismo, stabiliscono i criteri e le modalità con cui sono trasferite ai componenti eletti della rappresentanza unitaria del personale le garanzie spettanti alle rappresentanze sindacali aziendali delle organizzazioni sindacali di cui al comma 2 che li abbiano sottoscritti o vi aderiscano.
I medesimi accordi possono disciplinare le modalità con le quali la rappresentanza unitaria del personale esercita in via esclusiva i diritti di informazione e di partecipazione riconosciuti alle rappresentanze sindacali aziendali dall'articolo 10 e successive modificazioni o da altre disposizioni della legge e della contrattazione collettiva. Essi possono altresì prevedere che, ai fini dell'esercizio della contrattazione collettiva integrativa, la rappresentanza unitaria del personale sia integrata da rappresentanti delle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale del comparto.
infine, la materia è stata trasfusa nell’art. 42 del decreto legislativo n. 165 del 200131 che, ad oggi, prevede la disciplina sia delle RSA che delle RSU istituite anche presso le realtà lavorative pubbliche.
Salvo che i contratti collettivi non prevedano, in relazione alle caratteristiche del comparto, diversi criteri dimensionali, gli organismi di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo possono essere costituiti, alle condizioni previste dai commi precedenti, in ciascuna amministrazione o ente che occupi oltre quindici dipendenti. Nel caso di amministrazioni o enti con pluralità di sedi o strutture periferiche, possono essere costituiti anche presso le sedi o strutture periferiche che siano considerate livelli decentrati di contrattazione collettiva dai contratti collettivi nazionali. Fermo restando quanto previsto dal comma 2 per la costituzione di rappresentanze sindacali aziendali ai sensi dell'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, la rappresentanza dei dirigenti nelle amministrazioni, enti o strutture amministrative è disciplinata, in coerenza con la natura delle loro funzioni, dagli accordi o contratti collettivi riguardanti la relativa area contrattuale.
Alle figure professionali per le quali nel contratto collettivo del comparto sia prevista una disciplina distinta ai sensi dell'articolo 45, comma 3, deve essere garantita una adeguata presenza negli organismi di rappresentanza unitaria del personale, anche mediante l'istituzione, tenuto conto della loro incidenza quantitativa e del numero dei componenti dell'organismo, di specifici collegi elettorali.
Per quanto riguarda i diritti e le prerogative sindacali delle organizzazioni sindacali delle minoranze linguistiche, nell'ambito della provincia di Bolzano e della regione Valle d'Aosta, si applica quanto previsto dall'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 6 gennaio 1978, n. 58, e dal decreto legislativo 28 dicembre 1989, n. 430”.
31 Art. 42, d. lgs. n. 165 del 2001:” Nelle pubbliche amministrazioni la libertà e l'attività sindacale sono tutelate nelle forme previste dalle disposizioni della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni. Fino a quando non vengano emanate norme di carattere generale sulla rappresentatività sindacale che sostituiscano o modifichino tali disposizioni, le pubbliche amministrazioni, in attuazione dei criteri di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b) della legge 23 ottobre 1992, n. 421, osservano le disposizioni seguenti in materia di rappresentatività delle organizzazioni sindacali ai fini dell'attribuzione dei diritti e delle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro e dell'esercizio della contrattazione collettiva.
In ciascuna amministrazione, ente o struttura amministrativa di cui al comma 8, le organizzazioni sindacali che, in base ai criteri dell'articolo 43, siano ammesse alle trattative per la sottoscrizione dei contratti collettivi, possono costituire rappresentanze sindacali aziendali ai sensi dell'articolo 19 e seguenti della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni. Ad esse spettano, in proporzione alla rappresentatività, le garanzie previste dagli articoli 23, 24 e 30 della medesima legge n. 300 del 1970, e le migliori condizioni derivanti dai contratti collettivi.
In ciascuna amministrazione, ente o struttura amministrativa di cui al comma 8, ad iniziativa anche disgiunta delle organizzazioni sindacali di cui al comma 2, viene altresì costituito, con le modalità di cui ai commi seguenti, un organismo di rappresentanza unitaria del personale mediante elezioni alle quali è garantita la partecipazione di tutti i lavoratori.
Con appositi accordi o contratti collettivi nazionali, tra l'ARAN e le confederazioni o organizzazioni sindacali rappresentative ai sensi dell'articolo 43, sono definite la composizione dell'organismo di rappresentanza unitaria del personale e le specifiche modalità delle elezioni, prevedendo in ogni caso il voto segreto, il metodo proporzionale e il periodico rinnovo, con esclusione della prorogabilità. Deve essere garantita la facoltà di presentare liste, oltre alle organizzazioni che, in base ai criteri dell'articolo 43, siano ammesse alle trattative per la sottoscrizione dei contratti collettivi, anche ad altre organizzazioni sindacali, purché siano costituite in associazione con un proprio statuto e purché abbiano aderito agli accordi o contratti collettivi che disciplinano l'elezione e il funzionamento dell'organismo. Per la presentazione delle liste, può essere richiesto a tutte le organizzazioni sindacali promotrici un numero di firme di dipendenti con diritto al voto non superiore al 3 per cento del totale dei dipendenti nelle amministrazioni, enti o strutture amministrative fino a duemila dipendenti, e del 2 per cento in quelle di dimensioni superiori.
I medesimi accordi o contratti collettivi possono prevedere che, alle condizioni di cui al comma 8, siano costituite rappresentanze unitarie del personale comuni a più amministrazioni o enti di modeste dimensioni ubicati nel medesimo territorio. Essi possono altresì prevedere che siano costituiti organismi di
Ed invero, anche nel settore pubblico si è in presenza del cd. canale unico in quanto, nell’eventualità in cui vengano costituite RSU, quest’ultime sono finalizzate a sostituire le RSA dei sindacati che abbiano optato per le Rappresentanze unitarie.
Le Rappresentanze sindacali aziendali, conformemente a quanto avviene nel settore privato, sono disciplinate dalla legge. In particolare, l’art. 42 decreto legislativo n. 165 del 2001 prevede che tali organismi possano essere costituiti dai sindacati maggiormente rappresentativi ex art. 43.
In ogni caso, a differenza di quanto previsto per gli organismi operanti nel settore privato e disciplinati dall’art. 19 della l. n. 300 del 1970, l’opportunità di costituzione delle RSA non viene rimessa in maniera esclusiva alla scelta dei lavoratori, piuttosto viene riconosciuta ai sindacati esterni che soddisfino le condizioni di rappresentatività.
coordinamento tra le rappresentanze unitarie del personale nelle amministrazioni e enti con pluralità di sedi o strutture di cui al comma 8.
I componenti della rappresentanza unitaria del personale sono equiparati ai dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali ai fini della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, e del presente decreto. Gli accordi o contratti collettivi che regolano l'elezione e il funzionamento dell'organismo, stabiliscono i criteri e le modalità con cui sono trasferite ai componenti eletti della rappresentanza unitaria del personale le garanzie spettanti alle rappresentanze sindacali aziendali delle organizzazioni sindacali di cui al comma 2 che li abbiano sottoscritti o vi aderiscano.
I medesimi accordi possono disciplinare le modalità con le quali la rappresentanza unitaria del personale esercita in via esclusiva i diritti di informazione e di partecipazione riconosciuti alle rappresentanze sindacali aziendali dall'articolo 9 o da altre disposizioni della legge e della contrattazione collettiva. Essi possono altresì prevedere che, ai fini dell'esercizio della contrattazione collettiva integrativa, la rappresentanza unitaria del personale sia integrata da rappresentanti delle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale del comparto.
Salvo che i contratti collettivi non prevedano, in relazione alle caratteristiche del comparto, diversi criteri dimensionali, gli organismi di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo possono essere costituiti, alle condizioni previste dai commi precedenti, in ciascuna amministrazione o ente che occupi oltre quindici dipendenti. Nel caso di amministrazioni o enti con pluralità di sedi o strutture periferiche, possono essere costituiti anche presso le sedi o strutture periferiche che siano considerate livelli decentrati di contrattazione collettiva dai contratti collettivi nazionali.
Fermo restando quanto previsto dal comma 2, per la costituzione di rappresentanze sindacali aziendali ai sensi dell'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, la rappresentanza dei dirigenti nelle amministrazioni, enti o strutture amministrative è disciplinata, in coerenza con la natura delle loro funzioni, agli accordi o contratti collettivi riguardanti la relativa area contrattuale.
Alle figure professionali per le quali nel contratto collettivo del comparto sia prevista una disciplina distinta ai sensi dell'articolo 40, comma 2, deve essere garantita una adeguata presenza negli organismi di rappresentanza unitaria del personale, anche mediante l'istituzione. tenuto conto della loro incidenza quantitativa e del numero dei componenti dell'organismo, di specifici collegi elettorali.
Per quanto riguarda i diritti e le prerogative sindacali delle organizzazioni sindacali delle minoranze linguistiche, nell'àmbito della provincia di Bolzano e della regione Valle d'Aosta, si applica quanto previsto dall'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 6 gennaio 1978, n. 58, e dal decreto legislativo 28 dicembre 1989 n. 430”.
Inoltre, è opportuno sottolineare che la rappresentatività dei sindacati non è legata alla sottoscrizione o meno di un contratto collettivo applicabile, ma viene calcolata sulla base di parametri prestabiliti dalla legge: invero, la norma richiamata enuclea i criteri legislativamente prefissati al fine di determinare la rappresentatività delle associazioni sindacali ammesse alle trattative per la sottoscrizione dei contratti collettivi.
Sono legittimati, pertanto, a istituire le rappresentanze aziendali idonee a partecipare alla contrattazione solo quei sindacati che, nell’area o nel comparto, hanno una rappresentanza pari al 5%, calcolata sulla base della media tra il dato associativo e il dato elettorale, rispettivamente deducibili dalla percentuale delle deleghe per il versamento dei contributi sindacali rispetto al totale delle deleghe rilasciate, e dalla percentuale dei voti ottenuti durante le elezioni per le rappresentanze unitarie del personale rispetto al totale dei voti.
La rappresentatività è anche rilevante ai fini del riconoscimento delle garanzie previste dagli artt. 23, 24 e 30 della legge n. 300 del 1970, poiché sia i permessi retribuiti che i permessi non retribuiti per trattative sindacali e per le riunioni degli di organi di appartenenza vengono riconosciuti solo in misura proporzionale al grado di rappresentatività verificato.
L’art. 42 decreto legislativo n. 165 del 2001 disciplina anche gli organismi di rappresentanza unitaria del personale, ammettendo la possibilità di istituirli, tramite elezioni a suffragio universale, ad iniziativa anche disgiunta dei sindacati rappresentativi nel medesimo ambito applicativo delle RSA.
In ogni caso, e salvo che i contratti collettivi dispongano diversamente, gli organismi di rappresentanza unitaria possono essere costituiti nelle unità produttive del settore pubblico, a condizione che occupino più di quindici dipendenti e, nel caso di pluralità di sedi, possono essere costituiti anche presso le sedi periferiche, purché esse vengano considerate livelli decentrati di contrattazione da parte della contrattazione collettiva nazionale.
3. Analisi generale del contratto collettivo: natura e funzione.
Il contratto collettivo può essere suddiviso in 4 parti: normativa, obbligatoria, economica e di rinvio, con riferimento a quest’ultima parte se ne tratterà in seguito.
Per quanto attiene la parte normativa, si riferisce ad una regolamentazione dei rapporti tra lavoratore e datore di lavoro prescindendo da eventuali statuizioni di tipo economico; tale disciplina, che può essere distribuita in contratti collettivi di diverso livello, concorre con quella prevista dalla legge e con quella eventualmente stabilita nel contratto individuale.
La parte obbligatoria, invece, è quella che prevede diritti ed obblighi reciproci tra le parti stipulanti il contratto collettivo; secondo l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, sono contenute nella parte obbligatoria anche le c.d. clausole “istituzionali”, cioè quelle clausole che istituiscono enti bilaterali, commissioni paritetiche, fondi di assistenza sanitaria, e simili.
Tali clausole non svolgono un immediato e diretto effetto normativo sui contratti e sui rapporti di lavoro, ma si rivolgono ai sindacati stipulanti obbligandoli a compiere attività che hanno funzione strumentale rispetto agli istituti normativi. Infatti, gli obblighi previsti da tali clausole possono essere attuati soltanto dalle associazioni sindacali, anche se gli effetti che da esse derivano sono destinati a riversarsi sui lavoratori e sui datori di lavoro cui si applica il contratto collettivo32.
Infine, il contratto collettivo è composto da una parte contenente disposizioni esclusivamente di tipo economico.
Il contratto collettivo ha la forza di legge tra le parti e produce i suoi effetti nei confronti delle parti collettive direttamente stipulanti.
Il datore di lavoro, facoltativamente iscritto a un sindacato, ha l’obbligo di applicare il contratto nazionale di lavoro dell’associazione a cui ha aderito.
Nel caso in cui il datore di lavoro volesse inserire nel contratto individuale di lavoro una o più norme di un altro contratto collettivo nazionale, le clausole devono rappresentare un trattamento maggiormente favorevole per il lavoratore.
Al contrario, il datore di lavoro non iscritto ad alcuna associazione sindacale non ha obbligo di applicare un determinato contratto collettivo di diritto comune. In tale fattispecie le ipotesi possibili sono due; il datore di lavoro può, comunque, applicare un contratto collettivo nazionale di lavoro, pur non avendo aderito ad alcuna associazione
32 Cfr. Cass. Civ. n. 5625 del 2000.
sindacale ovvero, in virtù della mancata adesione, non applica alcun contratto collettivo ai rapporti di lavoro e stipula singoli contratti individuali nel rispetto di quelle che sono le statuizioni minime, stabilite anche nell’ambito della contrattazione collettiva, da rispettare a garanzia dei lavoratori.
Sul punto si specifica che se il datore di lavoro stabilisce di non applicare alcun contratto collettivo, deve in ogni caso, nella stipula dei contratti di lavoro individuali, applicare le leggi e le fonti costituzionali volte al rispetto di determinate garanzie per i lavoratori.
Il contratto collettivo nazionale trova applicazione per tutti i lavoratori senza distinzione di mansioni e/o categoria.
Ad integrazione del contratto collettivo nazionale interviene la contrattazione collettiva di secondo livello che si esplicita per il tramite dei c.d. contratti aziendali e territoriali33 definiti anche contratti di prossimità.
Con i contratti di prossimità ogni datore di lavoro può derogare alle norme di legge e del contratto nazionale esclusivamente con riferimento ad aspetti specifici del rapporto di lavoro, disciplinate ex art. art. 8, decreto legge n. 138 del 2011, conv. in l. 148 del 201134, tramite la conclusione di intese che hanno efficacia generale nei confronti di tutti i lavoratori interessati.
33 Il c.d. contratto territoriale e persegue finalità che prescindono dal singolo contesto aziendale; in particolare, consente di integrare la disciplina collettiva nazionale a beneficio dei lavoratori occupati nell’ambito di specifici confini territoriali. La predetta tipologia contrattuale ha preso piede prevalentemente in alcuni settori, come ad esempio quelli edile e artigiano. Il contratto collettivo territoriale può essere sottoscritto tra le associazioni dei datori di lavoro e le organizzazioni sindacali, comparativamente più rappresentative, (distrettuali provinciali e regionali) presenti in un dato territorio.
34 Art. 8, d. lg. n. 138 del 2011, conv. in l. 148/2011:”I contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all'avvio di nuove attività.
Le specifiche intese di cui al comma 1 possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l'organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento:
a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;
b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale; c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;
d) alla disciplina dell'orario di lavoro; e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla
Ad ulteriore integrazione della disciplina regolatrice del rapporto di lavoro nel settore privato, abbiamo il c.d. uso aziendale; per uso aziendale si intende il comportamento spontaneo, reiterato e costante del datore di lavoro nei confronti di tutti i dipendenti circa un trattamento economico e normativo di maggior favore rispetto a quello previsto dal contratto collettivo nazionale di riferimento35.
Generalmente gli usi aziendali si riferiscono a: concessione di gratifiche; premi, indennità, versamenti previdenziali non obbligatori. Affinché sia riconosciuto l’uso, è necessario che il suo campo di applicazione sia esteso a tutti i dipendenti adibiti ad uno o più settori aziendali. Fa eccezione l’ipotesi di estendere i benefici degli usi aziendali ad una sola categoria di lavoratori, ma nell’ambito della stessa categoria, sempre a tutti i lavoratori.
trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento.
Fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro.
Le disposizioni contenute in contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell'accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori.
All’articolo 36, comma 1, del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, sono apportate le seguenti modifiche:
a) all’alinea, le parole: "e la normativa regolamentare, compatibili con la legislazione comunitaria, ed applicate" sono sostituite dalle seguenti: "la normativa regolamentare, compatibili con la legislazione comunitaria, ed applicate";
b) dopo la lettera b), è inserita la seguente: "b-bis) regolazione dei trattamenti di lavoro del personale definiti dalla contrattazione collettiva svolta dalle organizzazioni più rappresentative a livello nazionale”. 35 Secondo Cass. Civ., sent. n. 8342 dell’ 8 aprile 2010:” La reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti che si traduca in trattamento economico o normativo di maggior favore rispetto a quello previsto dai contratti (individuali e collettivi) integra, di per sé, gli estremi dell'uso aziendale, il quale, in ragione della sua appartenenza al novero delle cosiddette fonti sociali - tra le quali vanno considerati sia i contratti collettivi, sia il regolamento d'azienda e che sono definite tali perché, pur non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un'uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un'azienda - agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale.
Ne consegue che ove la modifica "in melius" del trattamento dovuto ai lavoratori trovi origine nell'uso aziendale, ad essa non si applica né l'art. 1340 cod. civ. - che postula la volontà, tacita, delle parti di inserire l'uso o di escluderlo - né, in generale, la disciplina civilistica sui contratti - con esclusione, quindi, di un'indagine sulla volontà del datore di lavoro e dei sindacati - né, comunque, l'art. 2077, comma secondo, cod. civ., con la conseguente legittimazione delle fonti collettive (nazionali e aziendali) di disporre una modifica "in peius" del trattamento in tal modo attribuito”.
L’uso aziendale è considerato fonte esterna al contratto e pertanto con i lavoratori che possano essere assunti in futuro, il datore di lavoro può stipulare patti differenti senza che, su di esse, possano prevalere i diversi e più favorevoli usi aziendali.
Sul punto, anche la giurisprudenza si è espressa sostenendo che “L'uso aziendale, quale fonte di un obbligo unilaterale di carattere collettivo, richiede il protrarsi nel tempo di comportamenti che abbiano carattere generale, in quanto applicati nei confronti di tutti i dipendenti dell'azienda con lo stesso contenuto36.
Ed ancora, con riferimento alla difficoltà di provare in corso di giudizio l’esistenza di un c.d. uso aziendale, la Suprema Corte ha precisato che, in ogni caso, “le richieste caratteristiche di reiterazione nel tempo e di generalità del comportamento devono essere oggetto di specifica allegazione (e conseguente prova)” da parte di coloro che, di tale beneficio, intendono avvalersene37.
Aspetto fondamentale, da analizzare in tale fase iniziale della trattazione, riguarda l’interpretazione del contratto collettivo di diritto comune.
Per quanto attiene l’interpretazione, invero, secondo un consolidato orientamento della Corte di Cassazione, deve ritenersi fondamentale la regola che impone di avere riguardo al significato letterale delle parole, restando precluso, in presenza di dati testuali sufficientemente chiari ed univoci, il ricorso ad altri canoni di interpretazione, ai quali è pertanto riconoscibile natura meramente sussidiaria38.
Ad ogni modo, pur avendo preminente valore l’interpretazione letterale, si è ritenuto che, nel caso di controversie, il giudice deve procedere necessariamente al coordinamento delle varie clausole contrattuali, così come prescritto dall'art. 1363 cod. civ.39, poiché l'espressione “senso letterale delle parole” deve intendersi come riferita all'intera formulazione letterale della dichiarazione negoziale e non già limitata ad una parte soltanto, qual è una singola clausola del contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e confrontare fra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato40.
36 Cass. Civ., sent. n.18263 del 2009.
37 Cass. Civ., sent. n. 27003 del 24 ottobre 2018
38 Cfr. Cass. Civ., sent. n. 16298 del 12 luglio 2010.
39 Art. 1363 cod. civ., “Le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell'atto”.
40 Cfr. Cass. Civ., sent. n. 3685 del 17 febbraio 2010.
3.1 Efficacia oggettiva e soggettiva del contratto collettivo
Con riferimento all’efficacia oggettiva del contratto collettivo in primo luogo è necessario effettuare un preliminare e consolidato distinguo.
In primis, deve considerarsi che il contratto collettivo nazionale di diritto comune estende la sua efficacia nei confronti di tutti gli iscritti alle organizzazioni stipulanti, nell’ambito del territorio nazionale; in secundis, si richiama il contratto collettivo aziendale che estende, invece, la sua efficacia, a tutti gli iscritti o non iscritti alle organizzazioni stipulanti, purché svolgenti l’attività lavorativa nell’ambito della medesima azienda.
Il contratto collettivo di diritto comune oltre ad essere efficace nei confronti delle parti stipulanti nonché nei confronti dei datori di lavoro e dei lavoratori che hanno conferito mandato è, per regola, aperto anche per le parti non iscritte ai sindacati stipulanti che abbiano, però, aderito, secondo le modalità che vedremo di seguito, alla disciplina o l’abbiano in qualunque modo recepita: deriverebbe, a rigore, la mancanza di efficacia erga omnes del contratto collettivo; tale mancanza di efficacia è stata poi contemperata da interventi giurisprudenziali che hanno ritenuto che la volontà del datore di applicare il contratto collettivo possa desumersi anche attraverso fatti o comportamenti concludenti.
Si è sostenuto che “L’erga omnes significa controllo sindacale dell’intero mercato del lavoro inerente ai singoli settori per cui vale il contratto. Senza l’erga omnes, il datore di lavoro potrebbe assumere lavoratori non sindacalizzati fuori delle clausole contrattuali collettive e ciò costituirebbe un incentivo al licenziamento dei lavoratori iscritti al sindacato e comunque uno strumento di pressione su di esso. […] L’erga omnes non è insomma originariamente un’attribuzione di diritti a chi sta fuori dal sindacato, ma è un’imposizione di obblighi al datore di lavoro al fine della autotutela del sindacato”41.
La giurisprudenza, sul punto, ha evidenziato la presenza di due differenti orientamenti.
In una fase iniziale, accettando la tesi dall’efficacia erga omnes del contratto collettivo aziendale, ha sostenuto che tale efficacia generalizzata si fonda
41 G. ZAGREBELSKY, Manuale di Diritto Costituzionale, UTET, Torino, 1987, p. 251.
sull’indivisibilità dell’interesse collettivo, oggetto degli accordi aziendali, e sul fatto che le materie regolate ne impedirebbero una applicazione parziale.
In altre parole, secondo questa interpretazione, i contratti aziendali hanno un’applicazione generalizzata che deve coinvolgere necessariamente tutti i lavoratori salvo la derogabilità per clausole migliorative per il lavoratore42.
In tempi recenti, ha preso piede un differente orientamento giurisprudenziale, che appare ormai predominante, soprattutto in assenza, nel nostro ordinamento, di una norma che preveda l’efficacia generale del contratto collettivo; tale orientamento ammette la possibilità del dissenso individuale.
La giurisprudenza più recente ammette, pertanto, la possibilità del dissenso individuale da parte dei lavoratori non sindacalizzati o aderenti a sindacati non firmatari dell’accordo aziendale, negandone di fatto l’efficacia erga omnes43.
Sotto il profilo dell’efficacia oggettiva ossia della forza del vincolo giuridico, stante la mancanza di disposizioni nel Codice Civile occorre espletare alcune precisazioni.
In merito, la dottrina ha tentato di affermare la prevalenza del contratto collettivo sul contratto individuale facendo riferimento alle disposizioni degli artt. 1723, comma 2,44 e 172645 cod. civ. che prevedono la irrevocabilità del mandato conferito nell’interesse del mandatario individuando nell’atto di adesione sindacale l’asservimento del singolo al potere del sindacato.
Al riguardo è intervenuta la giurisprudenza che ha ritenuto, con riferimento alla valenza, che il contratto collettivo di diritto comune, al pari del precedente contratto corporativo, non può essere derogato dal contratto individuale se non in senso più favorevole al lavoratore.
Tale interpretazione giurisprudenziale è stata poi confermata dal legislatore che ha novellato l’art. 2113 cod. civ. prevedendo, come vedremo meglio a breve, l’invalidità delle eventuali rinunce e transazioni aventi ad oggetto diritti derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti collettivi; così disponendo, il legislatore ha
00 Xxx. Xxxxx Xxxx., sent. n. 96 del 3 aprile 1987; Cass. Civ., n. 19396 del 15 settembre 2014.
43 Cfr. Cass. Civ., sent. n. 1063 del 28 maggio 2009; Cass. Civ., sent. n. 10353 del 28 maggio 2004.
44 Art. 1723, comma 2, cod. civ. “Il mandato conferito anche nell'interesse del mandatario o di terzi non si estingue per revoca da parte del mandante, salvo che sia diversamente stabilito o ricorra una giusta causa di revoca; non si estingue per la morte o per la sopravvenuta incapacità del mandante”.
45 Art. 1726, cod. civ “Se il mandato è stato conferito da più persone con unico atto e per un affare d'interesse comune, la revoca non ha effetto qualora non sia fatta da tutti i mandanti, salvo che ricorra una giusta causa”.
indirettamente riconosciuto alla contrattazione collettiva l’inderogabilità della legge e quindi la prevalenza sulle clausole difformi meno favorevoli.
In altre parole, nel contratto collettivo vengono stabiliti dei limiti minimi al di sotto dei quali il datore di lavoro non può scendere nella determinazione delle condizioni del rapporto di lavoro con il lavoratore.
Sempre con riferimento all’efficacia oggettiva del contratto collettivo, è necessario ora affrontare con maggiore specificità un aspetto già accennato; vale a dire la possibile inderogabilità di questo, da parte dei contratti individuali.
In particolare, si evidenzia come il singolo contratto individuale non può disporre trattamenti economici o normativi peggiorativi rispetto al contratto collettivo della categoria di riferimento. Se ciò accade, oltre al risarcimento per il lavoratore, è prevista un’automatica sostituzione delle clausole peggiorative con quelle previste nel contratto collettivo di riferimento.
Inizialmente l’inderogabilità veniva fondata sull’art. 2077 cod. civ., giusta il quale “i contratti individuali di lavoro tra gli appartenenti alle categorie alle quali si riferisce il contratto collettivo devono uniformarsi alle disposizioni di questo.
Le clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o successivi al contratto collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro”; tale statuizione normativa aveva valenza già per il contratto collettivo di tipo corporativo con la differenza, però, che all’epoca il contratto corporativo rientrava nella sfera dei contratti di tipo pubblicistico al contrario dell’attuale contratto collettivo di diritto comune che viene fatto rientrare nell’ambito del diritto privato46.
Alla fine è stato formulato l’art. 2113, comma 1, cod. civ. ove viene statuito espressamente che “Le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile, non sono valide”.
46 Un orientamento dottrinario sosteneva che il contratto collettivo costituiva prevalentemente espressione di interessi collettivi (imprenditori e lavoratori) e poi di interessi individuali. Pertanto, secondo tale tesi, l’interesse collettivo dovrebbe avere prevalenza rispetto all’interesse individuale; di conseguenza, per rendere revocabile il mandato ai propri rappresentanti, occorrerebbe uscire dalle rispettive associazioni.
Sul punto, la giurisprudenza della Suprema Corte ha specificato che “con riferimento alla disciplina dettata in tema di rinunce e transazioni, di cui all'art. 2113 c.c.,(disponente l'invalidità di tali atti quando hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o dei contratti ed accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'art. 409 c.p.c.), diritti di natura retributiva o risarcitoria indisponibili da parte del lavoratore non devono ritenersi soltanto quelli correlati alla lesione di diritti fondamentali della persona, atteso che la ratio dell'art. 2113 c.c. consiste nella tutela del lavoratore, quale parte più debole del rapporto di lavoro, la cui posizione in via ordinaria viene disciplinata attraverso norme inderogabili, salvo che vi sia espressa previsione contraria. Ne consegue che è annullabile la transazione riguardante diritti di natura retributiva come il compenso per il plus orario e relativi accessori”47.
L’invalidità di cui all’art. 2113 cod. civ. si applica anche alle rinunce e transazioni aventi ad oggetto qualsiasi diritto di natura retributiva o risarcitoria del lavoratore, anche se riconosciuto giudizialmente, atteso che un tale diritto non diviene differente solo perché accertato dal giudice, laddove l’unica differenza è nel regime di prescrizione, che per l’”actio iudicati” è sempre decennale48.
È necessario analizzare ora quanto concerne l’efficacia soggettiva del contratto collettivo a seguito della mancata attuazione dell’art. 39 Cost.; in particolare, il contratto collettivo è stato ricondotto nella tipologia dei contratti di diritto comune e, pertanto, anche la giurisprudenza è stata stimolata ad utilizzare strumenti privatistici per basare l’efficacia dello stesso contratto.
Secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 2665 del 26 marzo 1997, “Il primo comma dell’art. 2070 c.c. [secondo cui l’appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell’applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore] non opera nei riguardi della contrattazione collettiva di diritto comune, che ha efficacia vincolante limitatamente agli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti e a coloro che, esplicitamente o implicitamente, al contratto abbiano prestato adesione.
47 Cass. Civ. sent. n. 2734 del 2004.
48 Cfr. Cass. Civ. sent. n. 27940 del 2017.
Pertanto, nell’ipotesi di contratto di lavoro regolato dal contratto collettivo di diritto comune proprio di un settore non corrispondente a quello dell’attività svolta dell’imprenditore, il lavoratore non può aspirare all’applicazione di un contratto collettivo diverso, se il datore di lavoro non vi è obbligato per appartenenza sindacale, ma solo eventualmente richiamare tale disciplina come termine di riferimento per la determinazione della retribuzione ex art. 36 Cost., deducendo la non conformità al precetto costituzionale del trattamento economico previsto nel contratto applicato”49; in particolare, si evidenzia come venga data risonanza all’elemento della volontà espresso tramite l’iscrizione alle associazioni sindacali che determina la conseguente adesione anche al contratto collettivo eventualmente negoziato dalle rappresentanze.
Sul punto, la giurisprudenza è intervenuta, in mancanza di una normativa espressa e lineare, a definire quali manifestazioni di volontà, da parte dei lavoratori, possano essere considerate idonee a fondare l’adesione al contratto collettivo.
In particolare, nella sentenza sopra citata, la Corte di Cassazione è giunta a ritenere che con l’iscrizione al sindacato, le parti del rapporto di lavoro conferiscano al sindacato la rappresentanza dei propri interessi; in particolare, si ritiene che le parti subordinino i propri interessi individuali all’interesse della collettività in vista di una medesima subordinazione degli interessi individuali dei partecipanti all’interesse collettivo50.
In sostanza, la giurisprudenza evidenzia come i singoli decidano volontariamente di affidare i propri interessi individuali ai sindacati con il fine di migliorare gli interessi collettivi.
Fondamentale il concetto di adesione del lavoratore, che può aversi con modalità differenti, al fine della applicazione, nella sua interezza, del contratto collettivo; ed invero, attraverso le modalità di adesione, espresse o tacite51, considerate modalità di estensione soggettiva del contratto collettivo, è possibile estenderne l’applicabilità anche ai lavoratori non iscritti formalmente al sindacato stipulante.
Dall’adesione discende che “il lavoratore, che abbia beneficiato della parte di un contratto collettivo in virtù di adesione alla relativa disciplina, non può contestare l’applicabilità, nei suoi confronti, della rimanente parte dello stesso contratto, assumendone il carattere meno favorevole rispetto a quello di un precedente, atteso che
49 xxxxx://xxx.xxxxxxxx.xx/xxxxxxxxxx.
50 Cfr. Cass. Civ., Sez. Un. sent. n. 2665 del 26 marzo 1997.
51 Cfr. Cass. Civ., n. 18408 del 2015.
l’adesione comporta necessariamente l’accettazione del nuovo regolamento contrattuale nella sua interezza”52.
Ciò che preme ribadire è che, a prescindere dalle modalità con le quali il lavoratore esprima la subordinazione alla contrattazione collettiva, resta pur sempre libero di aderirvi o meno; da tale libertà discende l’esposizione del lavoratore, in caso di rifiuto, ad eventuali soluzioni contrattualiste alternative, stipulate direttamente con datore di lavoro, che il contratto collettivo mira ad evitare53.
Ad ogni modo vi sono dei meccanismi di estensione circa l’efficacia soggettiva del contratto collettivo che prescindono dalla manifestazione della volontà così come sopra delineata.
Una tra queste modalità di estensione dell’applicazione del contratto collettivo è rinvenibile nella c.d. clausola di rinvio contenuta nel contratto individuale54.
Il rinvio espresso nel contratto individuale al contratto collettivo può essere qualificato come rinvio formale ovvero rinvio materiale.
Nello specifico, con rinvio materiale, o recettizio, ci si riferisce al caso in cui il richiamo riguarda la sola disposizione che ne rappresenta l’oggetto, vale a dire uno specifico contratto collettivo ma non anche alle eventuali modifiche o rinnovi successivi.
Differentemente, con il rinvio formale, invece, si intende un richiamo esteso anche a fonti di produzione e, pertanto, anche ad eventuali modifiche susseguitesi in materia.
Le due tipologie di rinvio sopra menzionate, si distinguono, oltre che per essere riferite ad un oggetto diverso, anche alla tipologia dell’interesse che intendono perseguire.
Sul punto, la giurisprudenza della Suprema Corte ha più volte ribadito che le parti del rapporto di lavoro quando manifestano la volontà di voler applicare, tramite il rinvio materiale, uno specifico contratto collettivo perseguono un interesse quantitativamente e qualitativamente distinto da quello che mirano a perseguire nel caso in cui, con il rinvio formale, dichiarano di voler applicare preventivamente genericamente la contrattazione collettiva vigente nel settore55.
52 Cass. Civ., sent. n. 1965 del 29 marzo 1982.
53 Cfr. X. XXXXXXXXX, Una alternativa al ‘nuovo’ erga omnes: il licenziamento dei dissenzienti, in Pol. Dir., 1985, pagg. 459 e ss..
54 Cfr. X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Efficacia soggettiva del contratto collettivo: accordi separati, dissenso individuale e clausola di rinvio, in Riv. It. Dir. Lav., 2010, I, pagg. 487 e ss..
55 Cfr. Cass. Civ., sent. n. 5285 del 1 dicembre 1989.
Il rinvio materiale può essere definito quale rinvio, ad hoc, di tipo statico, vale a dire il richiamo ad un contratto collettivo vigente in un determinato momento storico; mentre il rinvio formale, di ordine generale, può essere considerato quale rinvio di tipo dinamico in quanto le parte accettano preventivamente anche eventuali modifiche, generali ed astratte, apportate in sede di contrattazione collettiva.
Fondamentale, con riferimento all’efficacia soggettiva del contratto collettivo, il riferimento alla questione giuridica dei c.d. diritti quesiti; ci si riferisce solo alle situazioni che siano entrate a far parte del patrimonio del lavoratore subordinato e non anche quelle situazioni future o in via di consolidamento che sono autonome e suscettibili come tali di essere differentemente regolate in caso di successione di contratti collettivi56.
La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 1576 del 2000, si è espressa sostenendo che “Nell'ambito del rapporto di lavoro sono configurabili diritti quesiti, che non possono essere incisi dalla contrattazione collettiva in mancanza di uno specifico mandato o di una successiva ratifica da parte dei singoli lavoratori, solo con riferimento a situazioni che siano entrate a far parte del patrimonio del lavoratore subordinato, come nel caso dei corrispettivi di prestazioni già rese, e non invece in presenza di quelle situazioni future o in via di consolidamento, che sono frequenti nel contratto di lavoro, da cui scaturisce un rapporto di durata con prestazioni ad esecuzione periodica o continuativa, autonome tra loro e suscettibili come tali di essere differentemente regolate in caso di successione di contratti collettivi”57.
La Suprema Corte, richiamando il proprio consolidato orientamento, ha ricordato che i contratti collettivi nazionali sono liberi di prorogare l’efficacia delle condizioni in esse previste, ma anche di modificarle tanto in senso migliorativo quanto peggiorativo per i dipendenti; anche con riflessioni negative, in quest’ultimo caso, sui precedenti inquadramenti e sulle precedenti retribuzioni.
Ad ogni modo, però, come sono esplicato, restano immutati e definitivamente acquisiti i c.d. diritti quesiti dei lavoratori sulla base della precedente contrattazione collettiva58.
56 Cfr. Cass. Civ., sent. n. 22126 del 29 ottobre 2015.
57 Cass. Civ., sent. n. 1576 del 2000.
58 Cfr. Cass. Civ., sent. n. 3671 del 12 febbraio 2021.
3.2. L’efficacia nel tempo del contratto collettivo.
I contratti collettivi si succedono nel tempo sulla base delle regole contenute primariamente nel Protocollo Ciampi Giugni del 1993 giusta il quale “il CCNL ha durata quadriennale per la materia normativa e biennale per la materia retributiva” e “l’accordo di secondo livello ha durata quadriennale. Nel corso della sua vigenza le parti, nei tempi che saranno ritenuti necessari, svolgeranno procedure di informazione, consultazione, verifica o contrattazione previste dalle leggi, dai CCNL, dagli accordi collettivi e dalla prassi negoziale vigente, per la gestione degli effetti sociali connessi alle trasformazioni aziendali quali le innovazioni tecnologiche, organizzative ed i processi di ristrutturazione che influiscono sulle condizioni di sicurezza, di lavoro e di occupazione, anche in relazione alla legge sulle pari opportunità”59.
In particolare, le trattative per il rinnovo del contratto devono iniziare tre mesi prima della sua scadenza; nel corso di tale periodo e per il mese successivo alla scadenza del contratto, le parti non potranno prendere iniziative dirette (c.d. periodo di tregua)60.
Dopo tre mesi dalla scadenza del contratto collettivo, in mancanza di rinnovo “ai lavoratori dipendenti ai quali si applica il contratto medesimo non ancora rinnovato sarà corrisposto, a partire dal mese successivo ovvero dalla data di presentazione delle piattaforme ove successiva, un elemento provvisorio della retribuzione” la c.d. indennità di vacanza contrattuale; tuttavia, la violazione del periodo di tregua comporta l’anticipazione di tre mesi del termine per l’indennità se procurata dal datore di lavoro o la posticipazione di tre mesi se determinata dal sindacato. La indennità di vacanza contrattuale, secondo la Suprema Corte, “ha la finalità di assicurare un parziale recupero del potere di acquisto del dipendente rispetto all'aumento del costo della vita con riferimento al periodo di mancato rinnovo del contratto collettivo”61.
L’accordo quadro del 2009, sottoscritto dalla CISL (Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori) e dalla UIL (Unione Italiana del Lavoro), ha previsto un sistema di
59 Cfr. Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo (c.d. Protocollo Ciampi-Giugni) del 23.07.1993 in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/.
60 Cfr. Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo (c.d. Protocollo Ciampi-Giugni) del 23.07.1993 in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/.
61 Cass. Civ., sent. n. 554 del 14 gennaio 2021.
relazioni industriali e di contrattazione collettiva che, con carattere sperimentale e per la durata temporanea di quattro anni, si applica in sostituzione delle statuizioni contenute nel Protocollo Ciampi Giugni del 1993.
Secondo tale citato l’accordo del 2009, la durata del contratto collettivo nazionale, sia per la parte economica che per quella normativa, e del contratto collettivo aziendale è pari a 3 anni; parimenti gli accordi di secondo livello hanno valenza triennale.
Le trattative per il rinnovo del contratto devono iniziare necessariamente sei mesi prima della sua scadenza, al fine di pervenire alla scadenza già con la nuova pattuizione collettiva; nel corso di tale periodo, e per il mese successivo alla scadenza del contratto, le parti non potranno prendere iniziative dirette (c.d. tregua sindacale)62.
Il rispetto dei tempi e delle procedure è garantito dall’applicazione di un istituto che, dalla data di scadenza del contratto precedente alla data di raggiungimento dell’accordo di rinnovo, riconosce una copertura economica, stabilita dai contratti collettivi nazionali, in favore dei lavoratori in servizio; inoltre, durante il periodo delle trattative, viene previsto anche l’eventuale interessamento del Comitato paritetico per la gestione dell’accordo interconfederale “per valutare le ragioni che non hanno consentito il raggiungimento dell’accordo per il rinnovo del contratto”63.
Nel momento in cui si analizza l’aspetto dell’efficacia del contratto collettivo nel tempo non può non parlarsi anche dell’ultrattività e della retroattività.
Nello specifico, sull’ultrattività del contratto collettivo, la giurisprudenza e la dottrina, contraddicendo una parte minoritaria che ha affermato l’ultrattività di clausole inerenti la retribuzione ex art. 36 Cost., hanno negato l’applicazione dell’art. 2074 cod. civ..
In particolare, si richiama un consolidato orientamento giurisprudenziale, giusta il quale “I contratti collettivi di diritto comune, costituendo manifestazione dell'autonomia negoziale degli stipulanti, operano esclusivamente entro l'ambito temporale concordato dalle parti, atteso che l'opposto principio di ultrattività della vincolatività del contratto scaduto sino ad un nuovo regolamento collettivo, ponendosi come limite alla libera
62 Cfr. Accordo interconfederale 15 aprile 2009 per l’attuazione dell’accordo-quadro sulla riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009 in xxxx://xxxxx.xx/.
63 Accordo interconfederale 15 aprile 2009 per l’attuazione dell’accordo-quadro sulla riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009 in xxxx://xxxxx.xx/.
volontà delle organizzazioni sindacali, sarebbe in contrasto con la garanzia prevista dall'art. 39 Cost.”64.
Questo problema, da un punto di vista pragmatico, è risolto predisponendo clausole ad hoc che estendono espressamente l’efficacia del contratto collettivo oltre la sua scadenza e fino al momento del rinnovo.
Per quanto attiene la possibilità di applicazione retroattiva del contratto collettivo, si sottolinea che la giurisprudenza e la dottrina hanno evidenziato come la retroattività dei contratti collettivi non incontra il limite sancito nell'art. 11, comma 2, disp. prel. cod. civ. giusta il quale “I contratti collettivi di lavoro possono stabilire per la loro efficacia una data anteriore alla pubblicazione, purché non preceda quella della stipulazione”.
Tale previsione normativa, secondo principi giurisprudenziali, non si ritiene applicabile ai contratti collettivi di diritto comune.
Infine, è opportuno ribadire come vi sia la possibilità tra contratti collettivi dello stesso livello (nazionali o aziendali), da parte del contratto collettivo successivo di derogare, sia in melius che in peius, il contratto collettivo anteriore; il solo limite è rappresentato, come detto, dai c.d. diritti quesiti, ovverosia quei diritti che sono già entrati a far parte della sfera individuale del lavoratore.
4. Il contratto collettivo nella pubblica amministrazione: ricostruzione normativa.
La contrattazione collettiva del lavoro pubblico presenta ancora oggi profonde difformità, sul piano della disciplina e delle concrete dinamiche negoziali, rispetto a quella del settore privato; tale distinzione, è dettata da pregnanti norme costituzionali che delimitano fortemente lo spazio affidato alla contrattazione collettiva nel pubblico impiego65.
La trattazione della disciplina relativa alla contrattazione collettiva nel pubblico impiego richiede sistematicità, in quanto la materia merita di essere trattata in maniera completa ed esaustiva, ponendo contestualmente in relazione più livelli di approfondimento.
64 Cass. Civ., sent. n. 25919 del 2016.
65 Cfr. X. XXXXXXX, Una riforma “conclusa”. Fra norma scritta e prassi applicativa, in Lav. pubb. amm., 2004, pagg. 340 e ss..
In tal senso, si ritiene opportuno ricostruire, anche attraverso l’ausilio di un criterio cronologico, la normativa di riferimento proprio al fine di tentare di comprendere, attraverso le evoluzioni legislative, la ratio sottesa alla disciplina attualmente vigente in materia.
Inizialmente, la materia inerente il pubblico impiego era affidata alla disciplina contenuta nel Decreto Presidente della Repubblica n. 3 del 10 gennaio 1957, sugli impiegati civili dello stato il quale, in sostanza, non aveva apportato nessuna sostanziale innovazione normativa rispetto a quanto già vigente.
Tale regolamentazione, invero, ancora era frutto del modello di una pubblica amministrazione, quale datore di lavoro, assolutistica e dispotica che diversificava profondamente la posizione del dipendente pubblico da quella degli altri lavoratori nel settore privato; questi ultimi, infatti, già godevano delle ordinarie forme di tutela individuale e, allo stesso tempo, delle nuove forme di tutela collettiva, attraverso i diritti riconosciuti costituzionalmente, vale a dire: l’art. 39 Cost. inerente le associazioni sindacali nonché l’art. 40 Cost. presupposto per il diritto di sciopero.
La successiva riforma in materia ha trovato le sue origini nello storico «Rapporto sui principali problemi dell’amministrazione dello Stato» del 1979, presentato alle Camere dal Ministro della Funzione Pubblica, Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxx00.
Il Xxxxxxxx, nel Rapporto sopra richiamato, ha evidenziato l’inadeguatezza e l’arretratezza che caratterizzavano la pubblica amministrazione, maggiormente incline a sé stessa piuttosto che ad attuare i compiti che ad essa riservava l’ordinamento. Tali criticità si riverberavano sull’operato della pubblica amministrazione con evidente frustrazione dell’obiettivo del perseguimento dell’interesse pubblico.
In particolare, si è evidenziato come l’efficienza, l’efficacia e l’economicità, considerati quali cardinali scopi da realizzare, potevano essere concretizzati attuando la parificazione normativa del dipendente pubblico e di quello privato, in modo da garantire le medesime garanzie ad entrambe le tipologie di dipendente 67.
66 Cfr. M. S. XXXXXXXX, Rapporto sui principali problemi dell’amministrazione dello Stato, Roma, 1979, pagg. 7 – 9 in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/.
67 Cfr. M. S. XXXXXXXX, Rapporto sui principali problemi dell’amministrazione dello Stato, Roma, 1979, pagg. 7 – 9 in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/.
4.1 La legge quadro n. 93 del 1983.
La riforma normativa, apportata dalla legge quadro n. 83 del 1983, ha avuto un rilevante impatto innovativo in quanto ha legittimato espressamente gli accordi collettivi nel pubblico impiego; con tale riconoscimento si è affidato un ruolo di spicco alle parti sociali in ambiti tradizionalmente affidati alla legge e ai regolamenti.
Ad ogni modo, tale innovatività non ha avuto una forza tale da intaccare l’assetto tradizionale del sistema; per tali ragioni, si è teorizzato il fenomeno della c.d. “fuga dalla legge quadro”68.
Parte della dottrina, ha rilevato come la seconda grande riforma del pubblico impiego sia nata a seguito della presa di conoscenza dell’insuccesso della legge quadro
n. 93 del 1983 individuabile nella: inflessibilità del procedimento di contrattazione collettiva, nella indeterminatezza nel riparto delle competenze fra legge e contratto, nella brevità della durata dell’efficacia temporale dei contratti collettivi69.
Dalle evidenziate caratteristiche negative derivarono vasti fenomeni patologici.
Tra questi, si ricorda la crescita del sindacalismo autonomo e crisi di rappresentatività del sindacalismo confederale; l’emanazione di una serie di interventi legislativi sporadici ed occasionali; tra i tanti esempi, si richiama la legge n. 207 del 1985, sulla sanatoria mediante inserimento in ruolo dei medici del Servizio Sanitario in posizioni funzionali attribuite su nomina o semplicemente convenzionati con il SSN. Inoltre, si rammenta l'accondiscendenza verso spinte fortemente rivendicative, nei confronti di un datore di lavoro, quale il datore di lavoro pubblico, che non considerava i lavoratori come risorsa molto costosa, da utilizzare, perciò, con riguardo quanto piuttosto come un “cesto” dal quale attingere crescita elettorale per la politica70.
Xx xxxxxx, con la c.d. “privatizzazione” del pubblico impiego, alla quale faticosamente71 si è riusciti a pervenire, si è compiuta la sostituzione dei pesanti fardelli
68 Cfr. X. XXXXXXX, Diritto del lavoro, Commentario diretto da Xxxxxx Xxxxxxx, in art. 70, Milanofiori Assago, 2008, p. 184.
69 Ibidem.
70 Cfr. X. XXXXX, La contrattazione collettiva nel pubblico impiego tra illusioni e delusioni. Dalla legge 421/1992 al d.l. n. 138/2011, Testo della relazione redatta in occasione della Tavola rotonda sul tema “Le Relazioni sindacali nella P. A“, organizzata dalla Fondazione Xxxxxxx X’Xxxxxx a Roma il 4 ottobre 2011.
71 Il “faticosamente” si riferisce al fatto che le modifiche legislative sono state molteplici nell’arco temporale compreso tra il 1983 ed il 2017.
pubblicistici, facendo indossare le più leggere vesti del contratto collettivo nel pubblico impiego, le stesse del lavoro subordinato nell’impresa privata72.
Il filo comune di ogni modifica legislativa in ambito di diritto del lavoro nel settore del pubblico impiego, è rinvenibile, come sopra accennato, nelle norme di diritto costituzionale; in particolare, negli artt. 81 e 97 Cost..
Come vedremo bene in seguito, durante la fase della prima privatizzazione, la necessità di conservare il potere e l’autonomia di gestione nella pubblica amministrazione si è attuata mediante la tecnica dell'esclusione esplicita di materie tassativamente indicate dall’area di competenza della contrattazione collettiva e mediante l'asservimento di queste alla disciplina legislativa.
4.2 La legge n. 421 del 1992: piena contrattualizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego.
La c.d. “privatizzazione” del lavoro pubblico viene ricondotta alla legge delega n. 421 del 23 ottobre 1992, “Delega al governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale”; con la predetta si delegava il Governo a disciplinare i rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni riconducendoli nell’alveo del diritto civile e a prevedere la necessità di predisporre contratti collettivi e individuali; inoltre, innovativa, anche la devoluzione al giudice del lavoro delle controversie relative ai pubblici dipendenti. Da tale devoluzione, rimanevano comunque escluse delle categorie di pubblici dipendenti che, in ragione della peculiare funzione svolta, rimanevano (e restano tuttora73) assoggettati alla giurisdizione del giudice amministrativo.
In tal senso, si è superato, in maniera definitiva, il precedente sistema dell’accordo concluso tramite lo strumento normativo del regolamento; non può non evidenziarsi, però, che restavano comunque fuori dall’ambito contrattuale certune materie o in ragione della riserva di legge ovvero in quanto intrinsecamente connesse alla natura pubblica del datore di lavoro.
72 Cfr. X. XXXXXXX, La nuova contrattazione collettiva nel lavoro pubblico: ambito e limiti, in Le istituzioni del federalismo, sez. I, 5/6, 2009, pagg. 685 – 705.
73 Cfr. art. 3, d. lgs. 165 del 2001.
Xx xxxxxx, l’art. 2, comma 1, lett. c), secondo periodo, della Legge n. 421 del 1992 prevedeva, infatti, che “Sono regolate con legge, ovvero, sulla base della legge o nell'ambito dei princìpi dalla stessa posti, con atti normativi o amministrativi, le seguenti materie:
1) le responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nell'espletamento di procedure amministrative;
2) gli organi, gli uffici, i modi di conferimento della titolarità dei medesimi;
3) i princìpi fondamentali di organizzazione degli uffici;
4) i procedimenti di selezione per l'accesso al lavoro e di avviamento al lavoro;
5) i ruoli e le dotazioni organiche nonché la loro consistenza complessiva. Le dotazioni complessive di ciascuna qualifica sono definite previa informazione alle organizzazioni sindacali interessate maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
6) la garanzia della libertà di insegnamento e l'autonomia professionale nello svolgimento dell'attività didattica, scientifica e di ricerca;
7) la disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra l'impiego pubblico ed altre attività e i casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici”. In tal senso, il legislatore, nella delega, ha espressamente sottratto le predette materie, nell’ambito del pubblico impiego, dalla disciplina mediante contratto collettivo.
Per tale ragione, in questa fase, si parla di “prima privatizzazione” in quanto non può dirsi che il processo sia completo ma, anzi, è in fase del tutto embrionale.
La legge delega n. 421 del 1992, pertanto, è stata emanato con il precipuo scopo di riduzione, ottimizzazione e controllo della spesa nell’ambito del settore del pubblico impiego; se tale presupposto è vero, però, non è men vero che con tale delega si aspirava al potenziamento dell'efficienza e della produttività, oltre che al miglioramento sul piano della riorganizzazione.
Il progetto legislativo, con aspirazioni di privatizzazioni, mirava al miglioramento dell’organizzazione nel pubblico impiego, ad un migliore impiego delle risorse in tale settore nonché al miglioramento delle prerogative dei cittadini e di quelle della Nazione cui fa espresso riferimento l’articolo 98 Cost.74.
74 Cfr. X. XXXXX, La contrattazione collettiva nel pubblico impiego tra illusioni e delusioni. Dalla legge 421/1992 al d.l. n. 138/2011, Testo della relazione svolta in occasione della Tavola rotonda sul tema “Le Relazioni sindacali nella P. A“, organizzata dalla Fondazione Xxxxxxx X’Xxxxxx a Roma il 4 ottobre 2011.
4.3 Analisi del decreto legislativo n. 29 del 1993.
Alla delega conferita al Governo è stata data successiva attuazione mediante l’elaborazione del successivo Decreto Legislativo n. 29 del 3 febbraio 1993, “Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego” che disciplinava i rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni75 al dichiarato scopo di: a) accrescere l'efficienza delle amministrazioni in relazione a quella dei corrispondenti uffici e servizi dei paesi della comunità europea, anche mediante il coordinato sviluppo di sistemi informativi pubblici;
b) razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza pubblica;
c) integrare gradualmente la disciplina del lavoro pubblico con quella del lavoro privato76.
Ai sensi dell’art. 2, comma 4, del Decreto Legislativo n. 29 del 1993 rimanevano, però, escluse dal processo di privatizzazione alcune categorie di dipendenti pubblici tassativamente indicati, in ragione della particolarità delle funzioni pubbliche espletate, quali “i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello stato, il personale militare e delle forze di polizia, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, a partire rispettivamente dalle qualifiche di segretario di legazione e di vice consigliere di prefettura, i dirigenti generali nominati con decreto del presidente della repubblica, previa deliberazione del consiglio dei ministri, e quelli agli stessi equiparati per effetto dell'articolo 2 della legge 8 marzo 1985, n. 72, nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo
75 Art. 1, comma 2, Decreto Legislativo n. 29 del 3 febbraio 1993:”Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, e loro consorzi ed associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale”.
76 Cfr. art. 1, comma 1, Decreto Legislativo n. 29 del 3 febbraio 1993.
1 del decreto legislativo del capo provvisorio dello stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e 10 ottobre 1990, n. 287”77.
Questione dirimente, nell’ambito di questa fase ancora iniziale di privatizzazione, attiene alla possibilità per i dirigenti di portare avanti negoziazioni decentrate.
Xx xxxxxx, la diatriba circa la possibilità di negoziazione dei poteri dei dirigenti pubblici implicava profili di rilievo e tali da condizionare l'equilibrio complessivo del nuovo quadro normativo.
Naturalmente la questione non si pone per i poteri dirigenziali inerenti le materie assoggettate alla disciplina pubblicistica, e quindi alla legge o agli atti unilaterali; in tale circostanza, invero, è stata esclusa qualsivoglia aspirazione di negoziabilità in forza della fondamentale considerazione che, nelle predette materie, non sussistesse a prescindere la competenza della contrattazione collettiva.
Al contrario, con riferimento alla negoziabilità dei poteri dirigenziali sulle materie sottoposte a regime privatistico, sono andate affermandosi molteplici tesi favorevoli o contrarie.
Ad ogni modo, la tesi negazionista circa la possibilità di negoziare i poteri dirigenziali trovava un robusto supporto proprio nella protezione operata dall’art. 10, comma 1, del decreto legislativo n. 29 del 1993, allora vigente, giusta il quale “Le amministrazioni pubbliche informano le rappresentanze sindacali sulla qualità dell'ambiente di lavoro e sulle misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro; su loro richiesta, nei casi previsti dal presente decreto, le incontrano per l'esame delle predette materie, ferme restando l'autonoma determinazione definitiva e la responsabilità dei dirigenti nelle stesse materie.”; in particolare, il citato art. 10, comma 1, d.lgs. n. 29 del 1993 realizzava una clausola di garanzia/salvaguardia del potere unilaterale privatistico del dirigente pubblico78.
Ad oggi, secondo una condivisibile dottrina, vi sono forti argomenti che depongono nella direzione di ritenere non oggetto di contrattazione gli atti organizzativi, anche se di
77 Il testo originario riportato, confluito nell’art.3 del Decreto Legislativo n.165 del 2001, è stato poi modificato prima dal Decreto Legislativo n. 546 del 1993 che ha aggiunto all’elenco del personale in regime di diritto pubblico anche i professori e i ricercatori universitari e successivamente dal Decreto Legislativo
n.80 del 1998 che ha invece eliminato dal medesimo elenco i dirigenti generali per i quali di conseguenza vigono le ordinarie regole del diritto civile valevoli per i rimanenti dipendenti pubblici.
78 Cfr. A BELLAVISTA, Contrattazione collettiva e lavoro pubblico, Working Papers C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT, 48/2007, pag. 3, in xxxx://xxx.xxxx.xxx/.
natura privatistica, e comunque di pervenire alla conclusione che il dirigente pubblico non possa validamente e legittimamente negoziare su materie che, come nel caso del contratto collettivo nazionale, non possono essere oggetto di contrattazione in sede decentrata o integrativa79.
4.4 Disamina della legge n. 59 del 1997 e del Protocollo di Intesa allegato.
Alla prima fase del processo di privatizzazione del pubblico impiego, realizzata con il Decreto Legislativo n. 29 del 1993, fa seguito la c.d. seconda fase della riforma operata con la Legge n. 59 del 15 marzo 1997, "Delega al governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa", la c.d. Legge Bassanini.
In particolare, l’art. 11 della Legge n. 59 del 15 marzo 1997 conferisce al Governo la delega a “a) completare l'integrazione della disciplina del lavoro pubblico con quella del lavoro privato e la conseguente estensione al lavoro pubblico delle disposizioni del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro privato nell'impresa; estendere il regime di diritto privato del rapporto di lavoro anche ai dirigenti generali ed equiparati delle amministrazioni pubbliche, mantenendo ferme le altre esclusioni di cui all'articolo 2, commi 4 e 5, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29;
b) prevedere per i dirigenti, compresi quelli di cui alla lettera a), l'istituzione di un ruolo unico interministeriale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, articolato in modo da garantire la necessaria specificità tecnica;
c) semplificare e rendere più spedite le procedure di contrattazione collettiva; riordinare e potenziare l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) cui è conferita la rappresentanza negoziale delle amministrazioni interessate ai fini della sottoscrizione dei contratti collettivi nazionali, anche consentendo forme di associazione tra amministrazioni, ai fini dell'esercizio del potere di indirizzo e direttiva all'ARAN per i contratti dei rispettivi comparti;
79 Cfr. X. XXXXXXXXXX, Contrattazione collettiva e lavoro pubblico, Working Papers C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT, 48/2007, pag. 5, xxxx://xxx.xxxx.xxx/.
d) prevedere che i decreti legislativi e la contrattazione possano distinguere la disciplina relativa ai dirigenti da quella concernente le specifiche tipologie professionali, fatto salvo quanto previsto per la dirigenza del ruolo sanitario di cui all'articolo 15 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, e stabiliscano altresì una distinta disciplina per gli altri dipendenti pubblici che svolgano qualificate attività professionali, implicanti l'iscrizione ad albi, oppure tecnico-scientifiche e di ricerca;
e) garantire a tutte le amministrazioni pubbliche autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa nel rispetto dei vincoli di bilancio di ciascuna amministrazione; prevedere che per ciascun ambito di contrattazione collettiva le pubbliche amministrazioni, attraverso loro istanze associative o rappresentative, possano costituire un comitato di settore;
f) prevedere che, prima della definitiva sottoscrizione del contratto collettivo, la quantificazione dei costi contrattuali sia dall'ARAN sottoposta, limitatamente alla certificazione delle compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio di cui all'articolo 1-bis della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, alla Corte dei conti, che può richiedere elementi istruttori e di valutazione ad un nucleo di tre esperti, designati, per ciascuna certificazione contrattuale, con provvedimento del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro del tesoro; prevedere che la Corte dei conti si pronunci entro il termine di quindici giorni, decorso il quale la certificazione si intende effettuata; prevedere che la certificazione e il testo dell'accordo siano trasmessi al comitato di settore e, nel caso di amministrazioni statali, al Governo; prevedere che, decorsi quindici giorni dalla trasmissione senza rilievi, il presidente del consiglio direttivo dell'ARAN abbia mandato di sottoscrivere il contratto collettivo il quale produce effetti dalla sottoscrizione definitiva; prevedere che, in ogni caso, tutte le procedure necessarie per consentire all'ARAN la sottoscrizione definitiva debbano essere completate entro il termine di quaranta giorni dalla data di sottoscrizione iniziale dell'ipotesi di accordo;
g) devolvere, entro il 30 giugno 1998, al giudice ordinario, tenuto conto di quanto previsto dalla lettera a), tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ancorché concernenti in via incidentale atti amministrativi presupposti, ai fini della disapplicazione, prevedendo: misure
organizzative e processuali anche di carattere generale atte a prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso; procedure stragiudiziali di conciliazione e arbitrato; infine, la contestuale estensione della giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno, in materia edilizia, urbanistica e di servizi pubblici, prevedendo altresì un regime processuale transitorio per i procedimenti pendenti;
h) prevedere procedure di consultazione delle organizzazioni sindacali firmatarie dei contratti collettivi dei relativi comparti prima dell'adozione degli atti interni di organizzazione aventi riflessi sul rapporto di lavoro; i) prevedere la definizione da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica di un codice di comportamento dei dipendenti della pubblica amministrazione e le modalità di raccordo con la disciplina contrattuale delle sanzioni disciplinari, nonché l'adozione di codici di comportamento da parte delle singole amministrazioni pubbliche; prevedere la costituzione da parte delle singole amministrazioni di organismi di controllo e consulenza sull'applicazione dei codici e le modalità di raccordo degli organismi stessi con il Dipartimento della funzione pubblica”.
L’obiettivo del legislatore, in sostanza, era quello di intervenire ancora nell’ambito del pubblico impiego emanando ulteriori disposizioni integrative e correttive del Decreto Legislativo n. 29 del 1993 al fine di adattarlo alle norme contenute nella legge di delega ed ai decreti previsti dalla legge stessa.
Alla sopracitata Legge n. 59 del 1997 era stato allegato il Protocollo d'Intesa, con il fine di dare massima attuazione a quanto sancito nella Legge di riferimento; in particolare, con il c.d. “Accordo sul lavoro” si è consolidato il processo di privatizzazione del lavoro pubblico impiego nell’ambito del contesto della riforma generale basata sul federalismo amministrativo.
È opportuno evidenziare che il Protocollo d'Intesa ha l’obiettivo di rinforzare quanto stabilito nell'Accordo tra il Governo e le Parti sociali in riferimento al pubblico impiego, alla semplificazione ed all'efficienza della Pubblica Amministrazione.
In particolare, l’esecutivo in una con le organizzazioni sindacali, hanno delineato un sistema finalizzato al miglioramento dell’efficienza della pubblica amministrazione.
Ulteriormente, è stato valorizzato il lavoro pubblico sia nella fase della selezione del personale, sia nell’esecuzione del rapporto di lavoro.
Il pubblico dipendente non è più percepito, così, come un mero mezzo per il funzionamento della pubblica amministrazione ma viene potenziato e apprezzato per l’apporto che egli offre con la propria competenza.
Gli obiettivi delineati nel Protocollo d'Intesa si fondano su politiche di sviluppo; vengono previsti investimenti per la formazione e per la trasformazione dell'organizzazione del lavoro tramite la riassegnazione di funzioni e con la razionalizzazione e la semplificazione amministrativa.
I campi di azione riguardano la formazione professionale, percepita quale strumento idoneo ad attuare la riforma del pubblico impiego e concretizzata con il rinnovamento del momento di istruzione; con la riqualificazione dei percorsi formativi e dei programmi di formazione continua e permanente.
4.5 Testo Unico sul Pubblico Impiego: decreto legislativo n. 165 del 2001
In virtù della citata delega legislativa del 1997, il Governo ha emanato i seguenti decreti legislativi80:
1. Decreto Legislativo n. 396 del 4 novembre 1997, “Modificazioni al decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, in materia di contrattazione collettiva e di rappresentatività sindacale nel settore del pubblico impiego, a norma dell'articolo 11, commi 4 e 6, della legge 15 marzo 1997, n. 59”;
2. Decreto Legislativo n. 80 del 31 marzo 1998, “Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione
80 Il decreto legislativo è un atto avente forza di legge che viene adottato dal Governo, previa legge di delega da parte del Parlamento; il ricorso allo strumento del decreto legislativo risulta utile quando le materie da disciplinare presentano il ricorso allo strumento del decreto legislativo risulta utile quando le materie da disciplinare presentano una complessità e dei tecnicismi tali da non potere essere trattate dal Parlamento se non a pena di un marcato rallentamento della sua attività.
nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell'articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59”;
3. Decreto Legislativo n. 387 del 9 ottobre 1998, “Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80”.
A seguito di tale scelta legislativa, si è reso necessaria in materia l’elaborazione di un Testo Unico che raccogliesse ed ordinasse tutte le disposizioni vigenti in materia; con tale fine è nato il Testo Unico sul Pubblico Impiego di cui al Decreto Legislativo n. 165 del 30 marzo 2001, “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”; la natura di tale testo normativo è prevalentemente compilativa, in quanto raccoglie le disposizioni vigenti in materia di pubblico impiego, e costituisce, ad oggi, con le successive modifiche, il testo di riferimento in materia.
È opportuno specificare che l’analisi, inerente la disciplina della contrattazione collettiva in materia di pubblico impiego, sarà oggetto di approfondito studio nei capitoli successivi; in tale sede, pertanto, verrà sinteticamente esplicata la struttura del testo normativo.
Il Testo Unico, oggetto di studio, è così suddiviso:
- Titolo I (artt. 1-9): contenente i principi generali ispiratori della riforma, la disciplina delle fonti, il personale in regime di diritto pubblico, l’organizzazione e la dotazione organica degli uffici, norme in materia di formazione, gestione e controllo del costo del lavoro, la partecipazione sindacale;
- Titolo II (artt.10-12): contenente regole di trasparenza dell’azione amministrativa; il Capo II è interamente dedicato alla disciplina della dirigenza e contiene il principio di separazione tra politica ed amministrazione, le attribuzioni gestionali e le relative responsabilità, i modi di accesso al ruolo); disciplina della mobilità dell’impiegato pubblico, con passaggio ad amministrazioni diverse ovvero il caso di esuberi del personale (art 30-34), e i modi di reclutamento del personale (art 35-39);
- Titolo III (artt.40-50): contenente norme in materia di contrattazione collettiva e rappresentatività sindacale;
- Titolo IV (artt. 51-57): contenete norme che, in una alle disposizioni civilistiche, disciplinano il rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti (mansioni, incompatibilità, cumulo di impieghi, sanzioni disciplinari);
- Titolo V (artt. 58-61): contenente norme in materia di controllo e razionalizzazione della spesa per il personale della P.A. (spesa che deve essere contenuta entro vincoli di disponibilità stabiliti con la legge di bilancio);
- Titolo VI (artt. 63-66): contenente disposizioni in materia di giurisdizione che stabiliscono in maniera definitiva la competenza del giudice ordinario e forniscono le necessarie norme di raccordo per l’applicazione del rito del lavoro di cui all’ articolo 410 e ss. c.p.c., con riferimento al contenzioso del pubblico impiego;
- Titolo VII (artt. 67-73): contenente norme di chiusura del provvedimento e che sono intese a chiarire il quadro normativo vigente.
Il Testo Unico sul Pubblico Impiego evidenzia il ruolo fondamentale della contrattazione collettiva. L’art. 2 “Fonti” del Testo unico, infatti, prevede espressamente che “Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata non sono ulteriormente applicabili, salvo che la legge disponga espressamente in senso contrario”; in sostanzia si ammette la derogabilità da parte del contratto collettivo ma ne limita, in maniera espressa, la successiva applicabilità. Con tale statuizione si è voluto affidare un valore differente al contratto collettivo nell’ambito del pubblico impiego, rispetto a quanto disposto nel Decreto Legislativo n. 29 del 1993.
Ad ogni modo, stante la natura pubblica della contrattazione il datore di lavoro è sempre obbligato a perseguire fini di pubblico interesse e la cui azione è assoggettata alle norme di legge nonché, in particolare, ai principi costituzionali81.
4.6 Riforma Brunetta: decreto legislativo n. 150 del 2009.
81 Si pensi al sistema di accesso agli impieghi pubblici (art. 35 del Testo unico d’ora in poi Tupi) che, in virtù dell’art. 97 Cost., è sottratto alle regole della privatizzazione e richiede procedure selettive e cioè procedure amministrative di diritto pubblico suscettibili di ricorso al giudice ammnistrativo, fatto salvo il caso delle chiamate numeriche per le assunzioni obbligatorie previste dalla legge sulle assunzioni obbligatorie dei disabili (Legge n. 68/1999).
In via preliminare, con riferimento agli interventi normativi apportati nel 2009, nell’ambito della materia del pubblico impiego, deve valutarsi se questi siano in linea con le precedenti riforme ovvero se i predetti interventi siano da considerarsi in c.d. controtendenza rispetto alla disciplina contenuta nel del d.lgs. n. 165 del 2001.
Come abbiamo potuto apprezzare sino ad ora, l’aspetto che accomuna le varie riforme susseguitesi nel xxxxx xxxxx xxxx, xx xxxxxxx xx xxxxxxxx impiego, hanno avuto quale obiettivo pregnante quello di guidare i pubblici dipendenti dall’area del diritto pubblico a quella del diritto del lavoro.
Con la riforma del 2009, tra le più recenti modifiche legislative, si è posto l’obiettivo di riconsiderare l’assetto strutturale delle fonti, ricreando un differente equilibrio tra la legge e la contrattazione collettiva; in particolare, sul piano delle fonti, si è voluto riaffermare la preminenza della legge sul contratto collettivo di lavoro.
Con tale riassetto, si potrebbe sostenere che il legislatore abbia voluto fare un passo indietro rispetto a quanto, nel corso degli anni, si era tentato di fare; da tale assunto, potremmo dire che trattasi di una riforma in “controtendenza”.
Ad ogni modo, quanto disciplinato dal decreto legislativo n. 150 del 2009, finalizzato a rafforzare la sfera dei controlli istituzionali a detrimento dell’autonomia privata, non può ritenersi una “rivoluzione” in materia, quanto piuttosto una differente e più opportuna soluzione indirizzata ad attuare il controllo di gestione e di spesa, che già erano presenti anche nel testo del decreto legislativo n. 165 del 2001, ma erano espletati con strumenti di tipo privatistico.
Xxxxxx, le modificazioni, inerenti la struttura ed il ruolo della contrattazione collettiva e la volontà di attribuire alla legge un potere in ambito di gestione e controllo, non possono essere considerate come distruttive delle garanzie che, sino al 2009, con il susseguirsi delle riforme, il legislatore ha voluto assicurare ai dipendenti pubblici.
La volontà essenziale della riforma, piuttosto, è rinvenibile nella volontà di voler potenziare una migliore gestione delle risorse economiche, anche nell’ambito del pubblico impiego, nell’interesse pubblico generale.
La modalità per realizzare tale scopo, l’efficienza della pubblica amministrazione, è rinvenibile nella valutazione delle performance individuali e collettive.
Altro profilo spiccante della riforma in esame, è quello di una volontà di modernizzazione del pubblico impiego, tramite la semplificazione delle strutture sovrabbondanti ed il rafforzamento dei servizi per i cittadini.
Le innovazioni hanno quale fine quello di forgiare una pubblica amministrazione più fruttuosa e più controllata, allo stesso tempo più efficiente e meno assenteista con il miglioramento dei servizi per i cittadini.
Un punto in particolare, però, che merita di essere analizzato, e che si palesa in contrasto con la volontà generale della riforma, è quello relativo alla manovra finalizzata a perseguire una corrispondenza degli assetti regolativi del lavoro pubblico con quelli del lavoro privato, con specifico riferimento al sistema delle relazioni sindacali.
In sostanza, da un lato, si è voluto riassoggettare il pubblico impiego al controllo del potere legislativo, sottraendo materie affidate alla contrattazione collettiva; dall’altro lato, paradossalmente, si è tentato di completare l’equiparazione dei diritti sindacali tra il settore privato ed il settore pubblico.
Appunto necessario e preliminare, al fine di affrontare l’analisi del quadro relativo al nuovo assetto della contrattazione collettiva del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, è il dato, come sopra accennato, delle modificazioni sostanziali al sistema delle fonti.
Si evidenzia di notevole calibro la modificazione al previo ordine sulle fonti che disciplinavano la materia; argomento sul quale vi era già una specifica istruzione nell’originaria stesura della norma di cui all’art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, giusta la quale “I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto. Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata non sono ulteriormente applicabili, salvo che la legge disponga espressamente in senso contrario”82.
82 cfr. X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, Commento sub art. 2, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 29 del 1993, in La riforma dell’organizzazione dei rapporti di lavoro e del processo nelle amministrazioni pubbliche, in Nuove Leggi Civili Commentate, 1999, pagg. 1071 e ss.
Precedentemente la riforma del 2009, la norma sopra richiamata, disponeva, espresso un favor nei confronti della contrattazione collettiva quale fonte regolatrice nel pubblico impiego; in sostanza, con il contratto collettivo, si poteva derogare ad eventuali disposizioni di legge, di regolamenti e/o di statuti, che non fossero in linea con quanto stabilito nella stessa contrattazione.
L’art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 costituiva il perno della fase legata alla c.d. “delegificazione”, in quanto riconosceva un ampio ruolo allo strumento della negoziazione collettiva.
In sostanza si riteneva che il contratto collettivo potesse attuare, con modalità più snelle, un “risanamento” di norme non compatibili con i principi sanciti dalla contrattazione collettiva.
Ed invero, l’effetto positivo della norma sopra richiamata, è stato quello di eliminare dall’ordinamento giuridico vigente tutte le disposizioni contraddittorie e superate, non più in armonia con la disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche regolato dal decreto legislativo n. 165 del 2001.
È evidente, dunque, come il sistema delle fonti, prima del 2009, era contraddistinto da una importante connotazione di tipo contrattuale; in sostanza, il lavoro nel pubblico impiego, si avvicinava moltissimo al lavoro privato in quanto, in maniera autonoma, venivano concordate tutte le regole in materia di rapporto di lavoro pubblico, dall’assunzione alla cessazione.
Ed invero, l’unico modo per farle riacquistare il primato era quello di un intervento ex post, che, in senso opposto, doveva affermare il carattere imperativo e inderogabile della legge.
La legge delega n. 15 del 2009 già nell’art. 183, pur statuendo la possibilità di deroga da parte della contrattazione collettiva ha statuito, però, in maniera espressa che tale facoltà sia possibile solo quando appositamente previsto dalla legge.
83 Art. 1, Xxxxx delega n. 15 del 2009:”Il secondo periodo del comma 2 dell’articolo 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è sostituito dal seguente: «Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge».
L’articolo 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applica alle disposizioni emanate o adottate successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge”.
In sostanza, l’opportunità del contratto collettivo di derogare alla legge si evidenziava possibile solo quando era la stessa fonte normativa ad ammettere eventualità. Non può non evidenziarsi, quindi, come tale statuizione vada capovolgere completamente quanto sancito con il decreto legislativo del 2001, riattribuendo alla legge un ruolo essenziale. In particolare, si è data attuazione alla volontà di ristabilire il tradizionale rapporto tra legge e contratto collettivo, assoggettando quest’ultimo alla norma con inevitabile conseguenza di circoscriverne la portata ed il grado di autonomia. Fondamentalmente il legislatore ha voluto limitare il ruolo della contrattazione integrativa decentrata che nel passato, è eccessivamente intervenuta senza tenere conto dei limiti di spesa, imposti dai bilanci pubblici e da dover inevitabilmente considerare
nella pubblica amministrazione.
Ci si è resi conto, in pratica, del manifesto insuccesso di una fonte contrattuale, quale quella della contrattazione collettiva di tipo integrativo, del tutto svincolata dalla legge; è da tale presa di coscienza che nasce l’esigenza di ripristinare il primato di quest’ultima, nel segno di una ridefinizione degli ambiti e dei ruoli.
Altro versante oggetto di modificazioni, con la riforma del 2009, è stato quello dell’ARAN (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni).
Con riferimento alle numerose modifiche apportate dalla contrattazione collettiva integrativa, rispetto alla contrattazione collettiva, non può non evidenziarsi la responsabilità dell’ARAN che ha messo in discussione l’autorevolezza della fonte contrattuale omettendo di controllare eventuali deroghe apportate in ambito integrativo.
Si può sostenere, quindi, che l’ARAN abbia tentato di svolgere un ruolo di rappresentatività degli interessi pubblici.
In sostanza, nell’ambito del pubblico impiego, si inaugura una nuova fase in tema di successione intertemporale tra legge e contratto che, restituisce il potere alla prima, in quanto subordina sempre all’intervento del legislatore la derogabilità delle preesistenti disposizioni di legge, di regolamento o di statuto ad opera di norme negoziali che, quindi, finiscono per assumere in tal modo un ruolo marginale.
Contrariamente, la trascorsa versione dell’art. 2, comma 2, del decreto legislativo
n. 165 del 2001, come visto, disponeva in senso opposto, dando rilevanza all’autonomia
collettiva, prima completamente libera di poter derogare le statuizioni normative salvo che la legge non avesse espressamente previsto in senso contrario.
La riforma del 2009 ha inciso sull’autonomia negoziale. In ogni caso, ogni eventuale limitazione sarebbe stata possibile, come in effetti è stato, solo a seguito di un intervento specifico del legislatore.
La disciplina delineata dal decreto di attuazione della riforma 2009, infatti, mira a “bloccare” volontà contrattuali che non siano state legittimate preventivamente dal legislatore. Si è in presenza di una nuova regola in materia di pubblico impiego: la contrattazione collettiva non potrà più derogare direttamente la legge; perciò, la contrattazione collettiva non potrà più avvalersi dell’originario potere di disapplicazione di norme non conformi.
Tale determinazione, limitatrice del potere derogatorio del contratto collettivo, è valida anche nel caso di eventuali disposizioni più favorevoli ai pubblici dipendenti, necessitando sempre del dictum del legislatore.
D’altro canto, nel testo del decreto attuativo della delega (decreto legislativo n. 150 del 2009), e specificamente nelle disposizioni di cui agli artt. da 53 a 66, viene restituito alla legge, nella forma della concreta applicazione, il ruolo di disciplina primaria e pressoché esclusiva dei profili legati alla gestione e organizzazione delle risorse umane, attribuendosi al contratto collettivo un ruolo secondario, come già si è accennato, prevalentemente incentrato sulla disciplina degli aspetti retributivi di base, preventivamente giustificati, questi ultimi, dalla Corte dei conti e dai Comitati di settore. Diviene indispensabile, però, a questo punto dell’analisi, la necessità di una verifica, articolo per articolo, circa il nuovo ruolo assegnato alla contrattazione collettiva dell’area pubblica, al fine di valutare in concreto riguardo i limiti e la subalternità imposta
a quest’ultima rispetto alla volontà del legislatore.
La nuova disciplina sulla contrattazione collettiva nazionale e integrativa è prevista dalle disposizioni contenute nel capo IV del decreto legislativo n. 150 del 2009, in attuazione della legge delega n. 15 del 2009.
La prima norma è l’art. 53 del decreto citato, giusta il quale “Il presente capo reca disposizioni in materia di contrattazione collettiva e integrativa e di funzionalità delle amministrazioni pubbliche, al fine di conseguire, in coerenza con il modello contrattuale sottoscritto dalle parti sociali, una migliore organizzazione del lavoro e di assicurare il
rispetto della ripartizione tra le materie sottoposte alla legge, nonché', sulla base di questa, ad atti organizzativi e all'autonoma determinazione dei dirigenti, e quelle sottoposte alla contrattazione collettiva”; in particolare, con approccio programmatico, si pone l’obiettivo di una migliore organizzazione del lavoro e di assicurare il rispetto della ripartizione tra le materie sottoposte alla legge.
Con la riforma si è attribuita una estesa delega allo strumento negoziale per intervenire, con il potere di disciplinare il rapporto di lavoro dei singoli comparti e con la necessità di costituire un’area contrattuale autonoma in riferimento alla dirigenza.
Nello specifico, il comma 3, dell’originario testo dell’art. 40, stabiliva che la durata dei contratti collettivi, sia nazionali, sia integrativi, fosse in linea con la durata dei contratti collettivi nel settore privato; inoltre, si è determinata l’attivazione, da parte delle pubbliche amministrazioni, di poteri autonomi e indipendenti nella contrattazione collettiva integrativa, sempre nel rispetto dei vincoli di bilancio.
In particolare, i limiti della contrattazione collettiva integrativa venivano stabiliti dai contratti collettivi che avevano, pertanto, un ruolo di coordinamento e controllo sulla contrattazione decentrata in maniera tale che non si risolvesse quale attività del tutto arbitraria.
Le innovazioni normative, con riferimento alle materie escluse dalla contrattazione collettiva, sono di tutta evidenza.
In particolare, il nuovo intervento elimina esplicitamente dal potere della contrattazione collettiva le materie attinenti all’organizzazione degli uffici, nonché quelle oggetto di partecipazione sindacale, riguardo gli ambiti di misurazione e valutazione della performance individuali. Ulteriormente, restano escluse dall’intervento della contrattazione collettiva le prerogative dirigenziali, le materie riguardanti il conferimento e/o la revoca degli incarichi dirigenziali.
Con riferimento alle materie riguardanti le sanzioni disciplinari, il trattamento accessorio della retribuzione, la mobilità e le progressioni economiche della carriera, la disciplina da parte della contrattazione collettiva è permessa esclusivamente nell’ambito dei limiti previsti dalle norme di legge.
Per quanto attiene la contrattazione aziendale e territoriale, inoltre, con la riforma si pone l’obiettivo di collegare salario e produttività, nel pubblico; tale tecnica, di legare
il salario al raggiungimento degli obiettivi, mira al miglioramento delle performance del dipendente pubblico che è in tal modo incentivato.
Ed invero, ai sensi dell’art. 40 del decreto legislativo n. 165 del 2001, i commi 0
xxx, xxx, xxxxxx, quinquies e sexties dispongono, rispettivamente che:
a) una quota del trattamento accessorio complessivo venga destinato alla produttività individuale, tramite lo strumento della contrattazione integrativa;
b) in caso di mancata sottoscrizione di contratti integrativi, le amministrazioni interessate potranno provvedere provvisoriamente sulle materie dell’accordo, stanco le procedure di controllo sulla compatibilità economico-finanziaria;
c) la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle pubbliche amministrazioni fornisca all’ARAN una graduatoria di performance delle amministrazioni, concentrate su tre livelli di merito;
d) in ogni caso non potranno essere stipulati contratti collettivi integrativi in contrasto con i vincoli e i limiti risultati dal livello nazionale;
e) che è obbligo delle pubbliche amministrazioni stendere una relazione tecnico- finanziaria allegata al contratto integrativo.
Ad ogni modo, secondo tale nuovo delineato assetto, il legislatore è legittimato a individuare tutti i criteri per la fissazione di precisi vincoli alla negoziazione collettiva, e ciò al fine di garantire il rispetto dei parametri di bilancio. In merito, ci si riferisce all’art. 40 bis, comma 1, decreto legislativo n. 165 del 2001, giusta il quale “Il controllo sulla compatibilità dei costi della contrattazione collettiva integrativa con i vincoli di bilancio e quelli derivanti dall'applicazione delle norme di legge, con particolare riferimento alle disposizioni inderogabili che incidono sulla misura e sulla corresponsione dei trattamenti accessori è effettuato dal collegio dei revisori dei conti, dal collegio sindacale, dagli uffici centrali di bilancio o dagli analoghi organi previsti dai rispettivi ordinamenti. Qualora dai contratti integrativi derivino costi non compatibili con i rispettivi vincoli di bilancio delle amministrazioni, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 40, comma 3- quinquies, sesto periodo”.
A tal riguardo, è previsto, il termine del 31 maggio di ogni anno, per le pubbliche amministrazioni, al fine di inviare dettagliate informazioni sui costi e, quindi, sulla compatibilità di spesa dei contratti integrativi. Tale documentazione devono, però, essere certificate dagli organi di controllo interno alla pubblica amministrazione e,
successivamente, inoltrate al Ministero dell’Economia per la raccolta dei dati e la formalizzazione di un livello di rilevazione dei costi, sia pure d’intesa con la Corte dei conti ed il Dipartimento della Funzione Pubblica84.
La norma in esame, al comma 3, che tali informazioni siano necessari per la concreta applicazione di criteri improntati alla premialità. Controllo finale competerà sempre alla Corte dei Conti, la quale avrà il compito di considerare le eventuali ipotesi di responsabilità in caso di scostamenti85.
Disamina ad hoc deve essere fatta con riferimento al ruolo ricoperto dall’ARAN; nella riforma, il suo ruolo è un evidentemente depauperamento con rilievo, invece del ruolo dei Comitati di settore, con la funzione di regolare autonomamente i sistemi di funzionamento delle procedure di contrattazione collettiva, con significativi e concreti limiti sulla libertà sindacale della parte pubblica.
In sostanza, la riforma delineata mette da parte le libertà della contrattazione collettiva verso il perseguimento dell’interesse pubblico, anche tramite la valutazione delle performance nonché della nuova attribuzione alla fonte normativa di poteri limitativi.
84 Art. 40 bis, comma 2, decreto legislativo n. 165 del 2001:”Per le amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, nonché per gli enti pubblici non economici e per gli enti e le istituzioni di ricerca con organico superiore a duecento unità, i contratti integrativi sottoscritti, corredati da una apposita relazione tecnico-finanziaria ed una relazione illustrativa certificate dai competenti organi di controllo previsti dal comma 1, sono trasmessi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, che, entro trenta giorni dalla data di ricevimento, ne accertano, congiuntamente, la compatibilità economico-finanziaria, ai sensi del presente articolo e dell'articolo 40, comma 3-quinquies. Decorso tale termine, che può essere sospeso in caso di richiesta di elementi istruttori, la delegazione di parte pubblica può procedere alla stipula del contratto integrativo. Nel caso in cui il riscontro abbia esito negativo, le parti riprendono le trattative”.
85 Art. 40 bis, comma 3, decreto legislativo n. 165 del 2001:”Le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, inviano entro il 31 maggio di ogni anno, specifiche informazioni sui costi della contrattazione integrativa, certificate dagli organi di controllo interno, al Ministero dell'economia e delle finanze, che predispone, allo scopo, uno specifico modello di rilevazione, d'intesa con la Corte dei conti e con la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica. Tali informazioni sono volte ad accertare, oltre il rispetto dei vincoli finanziari in ordine sia alla consistenza delle risorse assegnate ai fondi per la contrattazione integrativa sia all'evoluzione della consistenza dei fondi e della spesa derivante dai contratti integrativi applicati, anche la concreta definizione ed applicazione di criteri improntati alla premialità, al riconoscimento del merito ed alla valorizzazione dell'impegno e della qualità della performance individuale, con riguardo ai diversi istituti finanziati dalla contrattazione integrativa, nonché a parametri di selettività, con particolare riferimento alle progressioni economiche. Le informazioni sono trasmesse alla Corte dei conti che, ferme restando le ipotesi di responsabilità eventualmente ravvisabili le utilizza, unitamente a quelle trasmesse ai sensi del Titolo V, anche ai fini del referto sul costo del lavoro”.
4.7 Novità normative della Riforma Madia: decreto legislativo nn. 74 e 75 del 2017.
La Legge n. 124 del 2015 recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, meglio conosciuta come Legge Madia di Riforma della Pubblica Amministrazione, è stato pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 187 del 13 agosto 2015.
La legge è costituita da 23 articoli, così suddivisi:
- artt. 1-7: dedicato alle c.d. semplificazioni amministrative;
- artt. 8-10: disciplinante l’organizzazione;
- artt. 11-15: riferito al personale;
- artt. 16-23: contenente deleghe per la semplificazione normativa.
Il provvedimento contiene 14 importanti deleghe legislative: pubblico impiego, riorganizzazione dell’amministrazione statale centrale e periferica, digitalizzazione della PA, semplificazione dei procedimenti amministrativi, razionalizzazione e controllo delle società partecipate, anticorruzione e trasparenza.
In attuazione della Legge delega sopra richiamata, sono stati emanati:
- decreto legislativo n. 74 del 2017, “Modifiche al decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, in attuazione dell’articolo 17, comma 1, lettera r), della legge 7 agosto
2015, n. 124”;
- decreto legislativo n. 75 del 2017,” Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l), m), n), o), q), r), s) e z) della legge 7 agosto 2015, n.124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”.
In attuazione alla riforma c.d. Xxxxx, finalizzata al riordino della disciplina del lavoro nel pubblico impiego con connessi profili di organizzazione amministrativa, si è inteso potenziare la produttività del lavoro pubblico, assicurare l’efficienza e la trasparenza della pubblica amministrazione, garantire un maggior controllo della prestazione lavorativa.
In attuazione delle prerogative della riforma in esame, è stato attribuito al Dipartimento della Funzione Pubblica un ruolo essenziale di controllo finalizzato a rendere omogenea l’applicazione della disciplina, in particolare con riferimento:
all’avanzamento di carriera, alle modalità di svolgimento dei concorsi, alla stringente responsabilità dirigenziale.
In sede di adozione del decreto, l’esecutivo ha circoscritto lo scopo della riforma, ispirata ai principi di semplificazione delle norme in materia di valutazione dei dipendenti pubblici, di razionalizzazione e integrazione dei sistemi di valutazione, di riduzione degli adempimenti in materia di programmazione, di riconoscimento del merito con previsione di premi al raggiungimento di determinati obiettivi e di coordinamento della disciplina in materia di valutazione e controlli interni.
Con riferimento alla trattazione in esame, concentrata sugli aspetti relativi alla contrattazione collettiva nel pubblico impiego, si evidenzia come nei decreti legislativi nn. 74 4 75 del 2017, non vi siano state rilevanti modifiche.
Ad ogni modo, per completezza espositiva, si riportano, per punti ed in maniera del tutto sommaria, le novità legislative introdotte dalla c.d. Riforma Madia.
In particolare, è stato introdotto:
- il superamento del concetto di dotazione organica, considerato come limite alle assunzioni, fermi restando i limiti di spesa, con la creazione del “Piano triennale dei fabbisogni”, nel quale è delineata la definizione di obiettivi di contenimento delle assunzioni differenziati in base agli effettivi fabbisogni;
- l’opportunità di svolgimento di concorsi in forma centralizzata o aggregata e la previsione dell’accertamento della conoscenza della lingua inglese e di altre lingue;
- l'inserimento di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti, rivolte ad accelerare e rendere concreto e certo l’esercizio dell’azione disciplinare;
- la disciplina delle forme di lavoro flessibile;
- prevenzione del precariato, con la previsione di una soluzione transitoria per superare il pregresso;
- la riorganizzazione delle funzioni di accertamento medico legale in caso di assenze per malattia, con l’attribuzione all’I.N.P.S. delle relative competenze;
- la definizione delle materie escluse dalla contrattazione integrativa, anche al fine di assicurare la semplificazione amministrativa, la valorizzazione del merito e la parità di trattamento tra categorie omogenee, nonché di accelerare le procedure negoziali;
- il rispetto delle disposizioni in materia di valutazione costituisce non solo condizione necessaria per l’erogazione di premi, ma rileva anche ai fini del riconoscimento delle progressioni economiche, dell’attribuzione di incarichi di responsabilità al personale e del conferimento degli incarichi dirigenziali; è stato chiarito che la valutazione negativa delle performance;
- la introduzione della categoria degli obiettivi generali, che identificano le priorità in termini di attività delle pubbliche amministrazioni coerentemente con le politiche nazionali, definiti tenendo conto del comparto di contrattazione collettiva di appartenenza;
- gli Organismi indipendenti di valutazione (OIV), tenendo conto delle risultanze dei sistemi di controllo strategico e di gestione presenti nell’amministrazione, dovranno verificare l’andamento delle performance rispetto agli obiettivi programmati durante il periodo di riferimento e segnalare eventuali necessità di interventi correttivi. A tal proposito, sono previsti strumenti e poteri incisivi per garantire il ruolo degli OIV, specie con riferimento al potere ispettivo, al diritto di accesso al sistema informatico e agli atti e documenti degli uffici;
- il riconoscimento di un ruolo attivo dei cittadini ai fini della valutazione della performance organizzativa, mediante la definizione di sistemi di rilevamento della soddisfazione degli utenti in merito alla qualità dei servizi resi;
- introduzione dii nuovi meccanismi di distribuzione delle risorse destinate a remunerare la performance, affidati al contratto collettivo nazionale, che stabilirà la quota delle risorse destinate a remunerare, rispettivamente, la performance organizzativa e quella individuale e i criteri idonei a garantire che alla significativa differenziazione dei giudizi corrisponda un’effettiva diversificazione dei trattamenti economici correlati.
Xxxxxx, espletata una ricostruzione storico – normativa della disciplina, nel proseguo della trattazione, verrà analizzato il contratto collettivo nel pubblico impiego con riferimento agli aspetti strutturali, tecnici e procedurali della disciplina.
CAPITOLO II
IL CONTRATTO COLLETTIVO NEL PUBBLICO IMPIEGO
1. La contrattazione collettiva nazionale: i comparti ed i livelli.
In origine, ai sensi dell’art. 2 dell’Accordo Quadro per la Definizione dei Comparti di Contrattazione del 1997 “I dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 1, sono raggruppati nei seguenti comparti di contrattazione collettiva:
A) Comparto del personale dipendente dai ministeri;
B) Comparto del personale degli enti pubblici non economici;
C) Comparto del personale delle regioni e delle autonomie locali;
D) Comparto del personale del servizio sanitario nazionale;
E) Comparto del personale delle istituzioni e degli enti di ricerca e sperimentazione;
F) Comparto del personale della scuola;
G) Comparto del personale dell’università;
H) Comparto del personale delle aziende e delle amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo”.
Tale suddivisione in comparti si applicava al personale assunto presso la pubblica amministrazione, sia con riferimento al personale non dirigenziale, sia con riferimento al personale dirigenziale appartenente alle relative aree di contrattazione86.
La riforma Brunetta, decreto legislativo n. 150 del 2009, ha previsto una riduzione dei comparti (da 12 a 4), mediante la riformulazione dell’art. 40, comma 2, del decreto legislativo 165 del 2001 giusta il quale “Tramite appositi accordi tra l'ARAN e le Confederazioni rappresentative, secondo le procedure di cui agli articoli 41, comma 5, e 47, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, sono definiti fino a un massimo di quattro comparti di contrattazione collettiva nazionale, cui corrispondono non più di quattro separate aree per la dirigenza. Una apposita area o sezione contrattuale di un'area dirigenziale riguarda la dirigenza del ruolo sanitario del Servizio sanitario
86 Cfr. art. 1 dell’Accordo Quadro per la Definizione dei Comparti di Contrattazione del 1997.
nazionale, per gli effetti di cui all'articolo 15 del decreto legislativo 30 dicembre 1992,
n. 502, e successive modificazioni. Nell'ambito dei comparti di contrattazione possono essere costituite apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità”.
La finalità della riduzione dei comparti è stata essenzialmente quella di attuare uno snellimento della procedura relativa alla contrattazione collettiva; inoltre, essendo ridotti a 4 i comparti sono rese maggiormente chiare ed intellegibili le disposizioni dei contratti collettivi riferiti a ciascun comparto.
La riduzione dei comparti, in ogni caso, comportava il rischio di un’eccessiva omogeneità dei trattamenti rispetto alle differenze funzionali e strutturali delle pubbliche amministrazioni; ciò, da un lato, ha reso verificabile ed omogenea la normativa contrattuale attuabile nelle diverse amministrazioni e, dall’altro, ha evitato che la parte pubblica si facesse portatrice di interessi eccessivamente frazionati e diversificati.
Seppur alle trattative sono ammesse le organizzazioni sindacali in possesso dei requisiti previsti dall’art. 43, comma 1, del decreto legislativo n. 165 del 2001 l’accorpamento dei comparti ha determinato, inoltre, anche l’inevitabile riduzione del numero delle organizzazioni in grado di raggiungere la soglia di rappresentatività necessario (non inferiore al 5 per cento), per la partecipazione alle trattative, prevista dall’art. 43, decreto legislativo n. 165 del 200187.
Il ruolo del sindacato viene valorizzato anche dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo la quale “La posizione del sindacato che intenda partecipare alle trattative costituisce un diritto soggettivo vero e proprio, non degradabile, per effetto di atti autoritativi o unilaterali della p.a. ad interessi legittimi”88.
Il 4 aprile 2016, l’ARAN con le rispettive rappresentanze sindacali si sono riuniti al fine di sottoscrivere, in data 13 luglio 2016, l’accordo attuativo della riforma, contenente la riorganizzazione e la effettiva riduzione dei nuovi comparti ed aree di contrattazione del pubblico impiego; con il predetto accordo le parti sociali hanno definito, pertanto, i nuovi comparti e le nuove aree di contrattazione del pubblico impiego sia sul fronte dirigenziale che sul fronte non dirigenziale.
87 Cfr. art. 10, Accordo ARAN del 13 luglio 2016.
88 Cass. Civ., sez. unite, n. 1398 del 14 febbraio 1997.
L’accordo, firmato dalla gran parte delle confederazioni sindacali, ha avuto luogo a seguito degli indirizzi impartiti all’ARAN, dal Governo e dai Comitati di settore delle Regioni e delle Autonomie locali.
L’Accordo in esame è un atto fondamentale in quanto attua cambiamenti rilevanti nell’assetto del sistema contrattuale pubblico.
I comparti di contrattazione, nell’area non dirigenziale, passano da 12 a 4, come vedremo, in linea con la norma di legge (decreto legislativo n. 150 del 2015) che pone un tetto massimo di quattro al numero dei comparti.
Si realizza, pertanto, un significativo accorpamento degli ambiti sui quali si svolgeranno le trattative per i rinnovi contrattuali nazionali.
L’accordo, in sostanza, ha inteso semplificare l’assetto precedente ma salvaguardando talune differenze che caratterizzano il sistema amministrativo italiano.
In tale ottica, è stata mantenuta la distinzione tra pubblica amministrazione a livello centrale e pubblica amministrazione a livello regionale e locale e si è tenuto conto, in particolare modo con riferimento alle aree dirigenziali, del nuovo profilo dell’organizzazione amministrativa, disegnato nell’ambito della riforma della pubblica amministrazione, in precedenza varata dal Governo.
Al fine di guidare la transizione al nuovo assetto contrattuale, le parti hanno statuito una rapida finestra intertemporale all’interno della quale i sindacati hanno avuto la possibilità di realizzare processi di aggregazione o fusione89. Si tratta di una statuizione che ha il chiaro intento di favorire il percorso verso il nuovo assetto della rappresentatività sindacale del pubblico xxxxxxx00.
89 Cfr. art. 9, comma 4,5, e 6, Accordo ARAN del 13 luglio 2016:”Le organizzazioni sindacali che intendono avvalersi della facoltà di cui al comma 3 devono dimostrare di aver ottemperato a quanto da esso disposto, trasmettendo all’Aran, entro il termine perentorio ivi indicato, “idonea documentazione”, adottata dai competenti organi statutari. Sono escluse mere note di comunicazione non corredate dalle modificazioni statutarie o che, comunque, non diano conto degli elementi di effettività necessari ad attestare che il nuovo soggetto succeda nella titolarità delle deleghe che ad esso vengono imputate.
In via eccezionale, la ratifica da parte degli organismi statutariamente preposti, qualora prevista, può intervenire ed essere inviata all’ARAN entro e non oltre il termine perentorio del 31 dicembre 2017, a condizione che i competenti organismi statutari abbiano adottato e trasmesso all’ARAN, entro il termine di cui al comma 3, tutti gli atti ivi indicati, necessari ad accertare l’avvenuta aggregazione, ma la predetta ratifica non sia ancora intervenuta.
Le organizzazioni sindacali che si avvalgono della facoltà di cui al comma 3, in via eccezionale e limitatamente alle finalità di cui al presente articolo, oltre alle deleghe, possono sommare anche i voti ottenuti singolarmente nelle elezioni delle RSU del 3-5 marzo 2015. Conseguentemente le RSU elette restano in carica fino alla naturale scadenza delle stesse”.
90 Cfr. xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxx.xx/.
Nell’ambito di tali comparti vengono definite le aree di contrattazione riservate alla dirigenza, e tali aree sono speculari ai comparti.
I nuovi comparti sono:
- Funzioni centrali: nel quale convergono i precedenti comparti Ministeri, Agenzie fiscali, Enti pubblici non economici, Enti di cui all’art. 70 del decreto legislativo n. 165 del 2001 (in particolare: Xxxx, Xxxx)00;
- Funzioni Locali: che mantiene il confine del precedente comparto Regioni- autonomie locali92;
91 Art. 3, Accordo ARAN del 4 aprile 2016:”Il comparto di contrattazione collettiva delle Funzioni Centrali, comprende il personale non dirigente, ivi incluso quello di cui all’art. 69, comma 3, del d. lgs. n. 165 del 2001 e quello in servizio nella provincia di Bolzano di cui agli artt. 7 e 8 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976, n. 752, dipendente da:
I. : - Ministeri, Avvocatura Generale dello Stato, Consiglio di Stato, Corte dei Conti e Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro – CNEL;
- Agenzia Italiana del Farmaco - AIFA;
- Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane ICE;
- Agenzia per l’Italia digitale – AGID;
- Altre Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300;
- Centro interforze studi applicazioni militari - CISAM;
- Centro di supporto e sperimentazione navale - CSSN;
II. : - Agenzia delle Entrate;
- Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;
III. : - Accademia nazionale dei Lincei;
- Aero Club d'Italia;
- Agenzia nazionale del turismo - ENIT;
- Agenzia per le erogazioni in agricoltura – AGEA;
- Automobile Club d’Italia – ACI;
- Club Alpino Italiano – CAI;
- Consorzio dell’Adda;
- Consorzio dell'Oglio;
- Consorzio del Ticino;
- Enti Parco nazionali;
- Ente per lo sviluppo dell'irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia Lucania ed Irpinia;
- Ente strumentale della Croce Rossa Italiana;
- Istituto nazionale assicurazione contro gli infortuni sul lavoro - INAIL;
- Istituto nazionale di previdenza sociale – INPS;
- Lega italiana per la lotta contro i tumori;
- Lega navale italiana;
- Ordini e collegi professionali e relative federazioni, consigli e collegi nazionali;
- Ulteriori enti pubblici non economici comunque sottoposti alla vigilanza dello Stato;
IV. : - Ente nazionale aviazione civile – ENAC;
- Agenzia Nazionale per la sicurezza delle ferrovie;
- Agenzia Nazionale per la sicurezza del volo – ANSV”.
92 Art. 4, Accordo ARAN del 4 aprile 2016:”Il comparto di contrattazione collettiva delle Funzioni Locali, comprende il personale non dirigente dipendente da:
- Regioni a statuto ordinario e dagli Enti pubblici non economici dalle stesse dipendenti
- Province, Città metropolitane, Enti di area vasta, Liberi consorzi comunali di cui alla legge 4 agosto 2015, n. 15 della regione Sicilia;
- Comuni;
- Comunità montane;
- Istruzione e ricerca: nel quale sono ricompresi quelli che erano i precedenti comparti Scuola, Accademie e conservatori, Università, Enti pubblici di ricerca, Enti di cui all’art. 70 del decreto legislativo n. 165 del 2001 (in particolare, Agenzia spaziale italiana)93;
- Sanità: questo ultimo comparto, a differenza degli altri, non ha mutato la propria fisionomia in quanto ricomprende gli enti ed aziende del precedente comparto Sanità.
Il comparto Funzioni centrali, secondo la stima dell’ARAN, espletata nel 2016, avrebbe contato circa 247.000 occupati; il comparto Funzioni locali, 457.000; il comparto Istruzione e ricerca, 1.111.000; il comparto Sanità, 531.00094.
- ex Istituti autonomi per le case popolari comunque denominati;
- Consorzi e associazioni, incluse le Unioni di Comuni;
- Aziende pubbliche di servizi alla persona (ex IPAB), che svolgono prevalentemente funzioni assistenziali;
- Università agrarie ed associazioni agrarie dipendenti dagli enti locali;
- Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura;
- Autorità di bacino, ai sensi della legge 21 ottobre 1994, n. 584”.
93 Art. 5, Accordo ARAN del 4 aprile 2016:“Il comparto di contrattazione collettiva dell’Istruzione e della ricerca comprende il personale non dirigente, ivi incluso quello di cui all’art. 69, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, dipendente da:
I. : - Scuole statali dell’infanzia, primarie, secondarie ed artistiche, istituzioni educative e scuole speciali, nonché ogni altro tipo di scuola statale;
II. : - Accademie di belle arti, Accademia nazionale di danza, Accademia nazionale di arte drammatica, Istituti superiori per le industrie artistiche – ISIA, Conservatori di musica e Istituti musicali pareggiati;
III. : - Università, Istituzioni Universitarie e le Aziende ospedaliero-universitarie di cui alla lett.
a) dell’art. 2 del d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517;
IV. : - Consiglio nazionale delle ricerche – CNR;
- Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria – CREA;
- Consorzio Laboratorio di monitoraggio e modellistica ambientale per lo sviluppo sostenibile - LAMMA
- Consorzio per l’area di ricerca scientifica e tecnologica di Trieste - (AREA Science Park);
- Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente – ENEA;
- Istituto italiano di studi germanici – IISG;
- Istituto nazionale di alta matematica “Xxxxxxxxx Xxxxxx”;
- Istituto nazionale di astrofisica – INAF;
- Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa - INDIRE;
- Istituto nazionale di fisica nucleare – INFN;
- Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia – INGV;
- Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale – OGS;
- Istituto nazionale di ricerca metrologica – INRIM;
- Istituto nazionale di statistica – ISTAT;
- Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione –INVALSI;
- Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori – ISFOL;
- Istituto superiore di sanità – ISS;
- Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – ISPRA;
- Museo storico della fisica e centro di studi e ricerche “Xxxxxx Xxxxx”;
- Stazione zoologica “Xxxxxxx Xxxxx”;
V. : - Agenzia spaziale italiana – ASI”.
94 Dati riferiti al 2014, Elaborazione ARAN su dati conto annuale RGS, cfr. xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxx.xx/.
In stretto collegamento con i quattro comparti, l’Accordo ha anche operato una ridefinizione delle aree dirigenziali, cioè degli ambiti sui quali devono essere trattati gli specifici accordi riguardanti la dirigenza pubblica.
Le nuove aree dirigenziali, corrispondenti ai comparti, sono:
- Area delle Funzioni centrali, comprendente i dirigenti delle amministrazioni che confluiscono nel comparto Funzione centrali, cui si aggiungono i professionisti e i medici degli enti pubblici non economici;
- Area delle Funzioni locali, nel quale trovano collocazione i dirigenti degli enti del comparto Funzioni locali; i dirigenti amministrativi, tecnici e professionali degli enti ed aziende del comparto Sanità; i segretari comunali e provinciali;
- Area dell’Istruzione e della ricerca, comprendente i dirigenti del comparto Istruzione e ricerca;
- Area della Sanità, all’interno del quale sono collocati i dirigenti degli enti ed aziende del comparto Sanità, ad eccezione dei dirigenti amministrativi, tecnici e professionali95.
Quanto detto, altro non è se non una traduzione di un processo di semplificazione delle aree di contrattazione, che passano dai precedenti 11 comparti di contrattazione per il personale non dirigenziale ed 8 comparti per le aree dirigenziali (con la conseguente conclusione di 38 accordi ogni 4 anni, ad 8 (di cui 4 comparti di contrattazione per il personale non dirigenziale e 4 per il personale dirigenziale), per un triennio contrattuale96.
Ad ogni modo, come vedremo, una semplificazione normativa non sempre corrisponde ad una effettiva semplificazione procedurale.
In sostanza, cosa si intende quando ci si riferisce al comparto?
È inteso quale unità fondamentale della contrattazione collettiva nel pubblico impiego; ad oggi, le amministrazioni ricomprese in ciascuno dei singoli comparti sono stabilite dai contratti quadro (c.d. CCNQ), conclusi fra l’ARAN e le varie confederazioni sindacali, i quali regolamento aspetti trasversali, rispetto ai singoli contratti collettivi (come la rappresentanza sindacale, le procedure di conciliazione ed arbitrato)97.
95 Art. 7, Accordo ARAN del 4 aprile 2016.
96 Cfr. X. XXXXX, I comparti della Pa scendono da 11 a 4, 2016, in xxxxx://xx.xxxxxx00xxx.xxx/.
97 A livello interconfederale si concludono “accordi-quadro”, che definiscono o modificano comparti e aree dirigenziali o regolano istituti comuni a più comparti ai sensi dell’art. 40, comma 2, decreto legislativo n. 165 del 2001.
Con riferimento ai livelli di contrattazione collettiva nel pubblico impiego.
Il legislatore ha articolato la contrattazione collettiva, nel pubblico impiego, in due livelli: il livello di contrattazione su base nazionale ed il livello di contrattazione di tipo integrativo.
Viene, inoltre, stabilito che la contrattazione collettiva, nel disciplinare la durata dei contratti nazionali e integrativi, preveda la coincidenza tra vigenza della disciplina giuridica e della disciplina economica ai sensi dell’art. 40, comma 3, decreto legislativo n. 165 del 2001.
Come già esplicato in precedenza, la contrattazione collettiva nazionale determina i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro con riferimento al trattamento economico, la classificazione, l’orario di lavoro, le mansioni, la sicurezza sul lavoro, le materie relative alle relazioni ed alle prerogative sindacali.
La contrattazione collettiva, con riferimento alle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, alla mobilità ed alle progressioni economiche, è consentita esclusivamente nei limiti previsti dalle norme di legge.
Ulteriori limiti sono previsti, inoltre, da norme speciali, e pertanto inderogabili, sancite da decreto legislativo n. 165 del 2001 riguardanti peculiari aspetti del rapporto di lavoro; ad esempio, trattamento di malattia, procedimento disciplinare.
Ed ancora, sono escluse dalla contrattazione collettive collettiva: l’organizzazione degli uffici; le materie oggetto di partecipazione sindacale ai sensi dell’art. 5, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001; gli atti di gestione dei rapporti di lavoro; il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali.
Infine, è stata confermata l’esclusione dalla contrattazione collettiva delle materie previste nell’art. 2, comma 1, lett. c, legge n. 421 del 1992, sulle seguenti materie: “1) le responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nell'espletamento di procedure amministrative;
2) gli organi, gli uffici, i modi di conferimento della titolarità dei medesimi;
3) i princìpi fondamentali di organizzazione degli uffici;
4) i procedimenti di selezione per l'accesso al lavoro e di avviamento al lavoro;
5) i ruoli e le dotazioni organiche nonché la loro consistenza complessiva. Le dotazioni complessive di ciascuna qualifica sono definite previa informazione alle organizzazioni sindacali interessate maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
6) la garanzia della libertà di insegnamento e l'autonomia professionale nello svolgimento dell'attività didattica, scientifica e di ricerca;
7) la disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra l'impiego pubblico ed altre attività e i casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici”.
2. Il contratto collettivo integrativo: decentralizzazione della contrattazione.
A tale punto della trattazione, è opportuno trattare in maniera specifica aspetti peculiari relativi alla contrattazione integrativa nel pubblico impiego.
La disciplina previgente, dettata in ambito di contrattazione collettiva di secondo livello, nel pubblico impiego, aveva fondamento su due pilastri essenziali:
- la necessaria conformazione, da un punto di vista strutturale, del secondo livello alle scelte effettuate in sede di contrattazione nazionale;
- la subordinazione della contrattazione decentrata alle direttive provenienti dalla Presidenza del Consiglio e, per essa, dall’ARAN sia con riferimento alla rappresentanza sindacale che con riferimento alla rappresentanza negoziale.
In linea con quanto sopra, emergeva che la contrattazione in sede decentrata era da considerare una sorta di contrattazione “ingabbiata” dal momento che questa, da un lato, poteva svolgersi esclusivamente alle materie e nei limiti sanciti nel contratto nazionale mentre, da altro lato, era stabilito il divieto di autorizzare la sottoscrizione dei contratti decentrati implicanti impegni di spesa che eccedevano le disponibilità finanziarie definite dal contratto collettivo nazionale.
Orbene da tale assunto è evidente come la tutela del principio di economicità nella pubblica amministrazione sia sempre stata presente sin dall’origine della disciplina decentrata. Pertanto, in questo contesto era dunque ragionevole affermare che l’intero
sistema legale risultava impregnato da una sorta di “diffidenza” nei confronti del decentramento negoziale98.
La prima legge quadro, che aveva disciplinato la materia della contrattazione decentrata precedentemente la prima riforma, era rivolta prevalentemente al soddisfacimento degli interessi decentrati, sempre più prossimi al lavoratore, piuttosto che alla realizzazione dei supremi intenti di produttività ed efficienza della pubblica amministrazione.
Xxxxx restando quanto sopra detto, è evidente come l’obiettivo del legislatore della prima riforma fosse concentrato sul tentativo di riacquistare il controllo sulla contrattazione decentrata al fine di tenere a bada la spesa pubblica; tale finalità, era perseguibile attraverso la realizzazione di condizioni per un proporzionato bilanciamento fra esigenze di stabilità giuridica del sistema contrattuale, prevedibilità degli effetti economici della contrattazione e valorizzazione dell’autonomia contrattuale.; tale obiettivo, come accennato, era perseguibile attraverso l’attribuzione alla contrattazione a livello nazionale di un ruolo determinante nella regolamentazione del pubblico impiego, soprattutto nell’articolazione dei livelli ed infine nell’individuazione delle materie negoziabili in sede decentrata.
Ed invero, nella fase iniziale della prima riforma, l’unica materia rilevante attribuita alla negoziazione in sede decentrata era stata quella relativa alla definizione dei c.d. criteri generali di applicazione, in sede locale, degli istituti retributivi accessori collegati sia alla produttività collettiva, sia alla produttività individuale. In tale fase, la struttura essenziale degli istituti rimaneva oggetto di disciplina nell’ambito della contrattazione in sede nazionale.
In questo contesto, caratterizzato da un controllo centralizzato delle risorse finanziarie, gli unici tentativi di ampliare gli spazi di contrattazione decentrata risultavano segnati dall’art. 32 del contratto per il comparto degli enti locali e dall’art. 36, comma 6, del contratto per il personale degli enti pubblici non economici; in particolare, il primo permetteva la redistribuzione delle economie di gestione e delle risorse aggiuntive mentre, il secondo, assegnava alla contrattazione decentrata a livello di ente la facoltà di affidare “la gestione di una quota del fondo” per la produttività collettiva e per il
98 Cfr. X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXX, Contratti integrativi e flessibilità nel lavoro pubblico. Rapporto conclusivo, 2005, pag. 12 in xxxxx://xxx.xxx.xx/.
miglioramento dei servizi “a ciascuna unità funzionale per la realizzazione di obiettivi definiti localmente sulla base di priorità, indirizzi e limiti stabiliti a livello nazionale”99.
Xxxxxx, nella prima fase della riforma in materia, con riferimento alla contrattazione collettiva decentrata, deve rilevarsi che:
1) il sistema contrattuale nel pubblico impiego risultava articolato in due livelli: nazionale e decentrato;
2) la contrattazione decentrata avrebbe dovuto svolgersi sulle materie e nei limiti stabiliti dalla contrattazione nazionale;
3) essa era finalizzata al contemperamento tra esigenze organizzative, tutela dei dipendenti e interesse degli utenti con un approccio più concreto alle esigenze dei pubblici dipendenti impiegati in una singola amministrazione;
4) la sua stipulazione era commissionata, per la parte pubblica, ad una delegazione composta dal titolare del potere di rappresentanza delle singole amministrazioni nonché dalle rappresentanze dei titolari degli uffici interessati; normalmente, infatti, la contrattazione decentrata non risultava affidata all’Agenzia per la rappresentanza negoziale. In ogni caso, le amministrazioni pubbliche avrebbero dovuto comunque attenersi alle direttive dell’Agenzia la quale interveniva in assistenza nel caso in cui fosse stata interpellata;
5) ci si riferiva alla contrattazione nazionale, con riferimento alla parte sindacale, per l’individuazione delle modalità di composizione della rappresentanza autorizzata alle trattative;
6) la contrattazione decentrata vincolava le amministrazioni, obbligate ad osservare gli obblighi assunti e ad adempiervi nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti;
7) la sottoscrizione del contratto collettivo integrativo era consentita con atto dell’organo di vertice previsto dagli ordinamenti interni delle singole amministrazioni; e che, tale autorizzazione alla sottoscrizione era, essa stessa, sottomessa ad un preventivo controllo da parte degli organi interni competenti;
8) l’autorizzazione alla sottoscrizione, in particolare, in sede di controllo, era condizionata alla verifica del rispetto dei limiti di cui all’art. 45, comma 4, del decreto
99 Per la ricostruzione dell’evoluzione normativa riferita alla disciplina della contrattazione in sede decentrata si è tenuto in considerazione, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXX, Contratti integrativi e flessibilità nel lavoro pubblico. Rapporto conclusivo, 2005, pag. 14, in xxxxx://xxx.xxx.xx/.
legislativo n. 29 del 1993100 ed inoltre era rimessa al rispetto del limite di spesa definito dai contratti collettivi; in ogni caso, doveva prevedersi la congruità con le linee generali di programmazione economica e finanziaria;
9) da ultimo, copia del contratto avrebbe dovuto essere inoltrata all’Agenzia per la rappresentanza negoziale, al Dipartimento della funzione pubblica ed al Ministero del tesoro, allo scopo precipuo di consentirne la preventiva verifica del costo e degli effetti della medesima sulla efficacia dell’azione amministrativa.
Successivamente la materia della contrattazione collettiva è stata oggetto di una nuova riforma che ha avuto luogo in una fase precedente a quella attuale; trattasi del decreto legislativo n. 165 del 2001 che, nella sua formulazione originaria:
- prevedeva, la possibilità, per la prima volta, per le pubbliche amministrazioni, di attivare dei livelli autonomi di contrattazione collettiva; in sostanza, le pubbliche amministrazioni adempiono agli obblighi assunti con il contratto dalla data della sottoscrizione definitiva e ne assicurano l’osservanza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti; in particolare, nell’art. 42, comma 8, del decreto legislativo n. 165 del 2001 (testo previgente) 101 “Nel caso di amministrazioni o enti con pluralità di sedi o strutture periferiche, possono essere costituiti anche presso le sedi o struttura periferiche che siano considerate livelli decentrati di contrattazione collettiva dai contratti collettivi nazionali”; il legislatore, con tale formulazione, ha espletato un diretto ed inequivocabile richiamo ad altri livelli di contrattazione;
- con riferimento alla contrattazione nazionale, nell’art. 40, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001, veniva stabilito che “La contrattazione collettiva disciplina, in coerenza con il settore privato, la durata dei contratti collettivi nazionali e integrativi, la struttura contrattuale e i rapporti tra i diversi livelli, le pubbliche amministrazioni attivano autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa, nel
100 Art. 45, comma 4, del decreto legislativo n. 29 del 1993 “La contrattazione collettiva disciplina, in coerenza con il settore privato, la durata dei contratti collettivi nazionali e integrativi, la struttura contrattuale e i rapporti tra i diversi livelli. Le pubbliche amministrazioni attivano autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa, nel rispetto dei vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. La contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono; essa può avere ambito territoriale e riguardare piu' amministrazioni. Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate“.
101 Il testo previgente è stato consultato su xxxxx://xxx.xxxxxxxxxx.xx/.
rispetto dei vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione”;
- inoltre, nell’art. 40, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001, con riferimento alle materie oggetto di contrattazione integrativa, si preveda che “La contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono”;
- ed ancora, la contrattazione integrativa, secondo la previgente formulazione, era attuata in ambito territoriale e doveva riguardare più amministrazioni (art. 40, comma 3, terzo periodo);
- un aspetto fondamentale, già sussistente fin dall’entrata in vigore dell’istituto, era il diretto riferimento al rispetto dei vincoli di bilancio; ed invero, ai sensi dell’art. 40, comma 3, decreto legislativo 165 del 2001 “Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione”;
- le clausole dei contratti integrativi c.d. difformi, poiché in contrasto la contrattazione nazionale, come già visto nella disciplina precedente, erano da considerarsi nulle e non potevano essere applicate;
- con riferimento all’aspetto economico – fiscale, inerente il rispetto dei vincoli, deve tenersi in considerazione il precedente art. 48, decreto legislativo n. 165 del 2001102;
102 Art. 48, decreto legislativo n. 165 del 2001 “1. Il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, quantifica, in coerenza con i parametri previsti dagli strumenti di programmazione e di bilancio di cui all'articolo 1-bis della legge 5 agosto 1978, n. 468 e successive modificazioni e integrazioni. l'onere derivante dalla contrattazione collettiva nazionale a carico del bilancio dello Stato con apposita norma da inserire nella legge finanziaria ai sensi dell'articolo 11 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni ed integrazioni. Allo stesso modo sono determinati gli eventuali oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato per la contrattazione integrativa delle amministrazioni dello Stato di cui all'articolo 40, comma 3.
2. Per le altre pubbliche amministrazioni gli oneri derivanti dalla contrattazione collettiva nazionale sono determinati a carico dei rispettivi bilanci in coerenza con i medesimi parametri di cui al comma 1.
3. I contratti collettivi sono corredati da prospetti contenenti la quantificazione degli oneri nonché' l'indicazione della copertura complessiva per l'intero periodo di validità, prevedendo con apposite clausole la possibilità di prorogare l'efficacia temporale del contratto ovvero di sospenderne l'esecuzione parziale o totale in caso di' accertata esorbitanza dai limiti di spesa.
4. La spesa posta a carico del bilancio dello Stato è iscritta in apposito fondo dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica in ragione dell'ammontare complessivo. In esito alla sottoscrizione dei singoli contratti di comparto, il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è autorizzato a ripartire, con propri decreti, le somme destinate a ciascun compatto mediante assegnazione diretta a favore dei competenti capitoli di
- come in precedenza, le pubbliche amministrazioni, anche collettivamente e su base convenzionale, ai sensi dell’art. 46, comma 2, potevano “avvalersi dell'assistenza dell'ARAN ai fini della contrattazione integrativa. Sulla base di apposite intese, l'assistenza può essere assicurata anche collettivamente ad amministrazioni dello stesso tipo o ubicate nello stesso ambito territoriale. Su richiesta dei comitati di settore, in relazione all'articolazione della contrattazione collettiva integrativa nel comparto ed alle specifiche esigenze delle pubbliche amministrazioni interessate, possono essere costituite, anche per periodi determinati, delegazioni dell'ARAN su base regionale o pluriregionale”;
- infine, in attuazione dell’art. 46, comma 5, decreto legislativo n. 165 del 2001103 in capo alle pubbliche amministrazioni era imposta la trasmissione all’ARAN entro cinque giorni dalla sottoscrizione il testo del contratto e le indicazioni sulle modalità di copertura dei relativi oneri con riferimento agli strumenti annuali e pluriennali di bilancio; a tal fine, ai sensi dell’art. 46, comma 4, “Per il monitoraggio sull'applicazione dei contratti collettivi nazionali e sulla contrattazione collettiva integrativa, viene istituito presso l'ARAN un apposito osservatorio a composizione paritetica. I suoi componenti sono designati dall'ARAN, dai comitati di settore e dalle organizzazioni sindacali firmatarie dei contratti collettivi nazionali.”.
bilancio, anche di nuova istituzione, per il personale dell'amministrazione statale, ovvero mediante trasferimento ai bilanci delle amministrazioni autonome e degli enti in favore dei quali sia previsto l'apporto finanziario dello Stato a copertura dei relativi oneri. Per le amministrazioni diverse dalle amministrazioni dello Stato e per gli altri enti cui si applica il presente decreto, l’autorizzazione di spesa relativa al rinnovo dei contratti collettivi è disposta nelle stesse forme con cui vengono approvati i bilanci, con distinta indicazione dei mezzi di copertura.
5. Le somme provenienti dai trasferimenti di cui al comma 4 devono trovare specifica allocazione nelle entrate dei bilanci delle amministrazioni ed enti beneficiari, per essere assegnate ai pertinenti capitoli di spesa dei medesimi bilanci. I relativi stanziamenti sia in entrata che in uscita non possono essere incrementati se non con apposita autorizzazione legislativa.
6. Il controllo sulla compatibilità dei costi della contrattazione collettiva integrativa con i vincoli di bilancio ai sensi dell’articolo 40, comma 3, è effettuato dal collegio dei revisori dei conti ovvero, laddove tale organo non sia previsto, dai nuclei di valutazione o dai servizi di controllo interno ai sensi del d.lgs. 30luglio 1999, n.286.
7. Ferme restando le disposizioni di cui al titolo V del presente decreto, la Corte dei conti, anche nelle sue articolazioni regionali di controllo, verifica periodicamente gli andamenti della spesa per il personale delle pubbliche amministrazioni, utilizzando, per ciascun comparto, insiemi significativi di amministrazioni. A tal fine, la Corte dei conti può avvalersi, oltre che dei servizi di controllo interno o nuclei di valutazione, di esperti designati a sua richiesta da amministrazioni ed enti pubblici”. 103 Art. 46, comma 5, decreto legislativo n. 165 del 2001 “Per il monitoraggio sull'applicazione dei contratti collettivi nazionali e sulla contrattazione collettiva integrativa, viene istituito presso l'ARAN un apposito osservatorio a composizione paritetica. I suoi componenti sono designati dall'ARAN, dai comitati di settore e dalle organizzazioni sindacali firmatarie dei contratti collettivi nazionali”
A tal riguardo, è opportuno evidenziare che l’art. 17 della legge n. 448 del 28 dicembre 2001 ha introdotto l’art. 40 bis, comma 1, del decreto legislativo n. 165 del 2001 al fine di rafforzare la funzione di controllo e monitoraggio; in particolare, la norma ha imposto ai Comitati di settore ed al Governo di procedere a “verifica congiunta in merito alle implicazioni finanziarie complessive della contrattazione integrativa di comparto, definendo metodologie e criteri di riscontro anche a campione sui contratti integrativi delle singole amministrazioni”; inoltre, al comma 2, del predetto articolo, è stato previsto che “Gli organi di controllo interno indicati all'articolo 48, comma 6, inviano annualmente specifiche informazioni sui costi della contrattazione integrativa al Ministero dell'economia e delle finanze, che predispone, allo scopo, uno specifico modello di rilevazione, d'intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica”.
Xxxxxx, dopo aver analizzato la disciplina vigente, in materia di contrattazione collettiva, prima dell’avvento della più recente riforma, è possibile affermare che il bilancio, relativo alle modalità applicative della stessa, non sia positivo; ed invero, non può certo affermarsi che il sistema delineato e sperato dal legislatore abbia funzionato come previsto.
La dottrina, sul punto, ha evidenziato una serie di problematiche; in particolare, tra le due linee di pensiero, ha avuto la meglio quella che inquadra la contrattazione decentrata nel settore del pubblico impiego, alla stregua di una fonte di spese non giustificate e con riverberi negativi sul piano dell’efficacia ed efficienza della gestione del lavoro e delle amministrazioni104.
Le ragioni di tale esito negativo sono certamente differenti, ma la ragione ultima e più generale è stata rintracciata nel fallimento della scommessa di affidare alle prerogative manageriali della dirigenza delle singole amministrazioni, la corretta gestione delle relazioni sindacali con particolare riguardo allo strumento negoziale in sede decentrata.
In linea con quanto affermato, secondo parte della dottrina, era facile aspettarsi che Governo e Parlamento intervenissero ad “effettuare lavori di rafforzamento degli argini ad evitare ulteriori e più gravi esondazioni in sede decentrata”105.
104 Cfr. X. XXXXXXX, La nuova contrattazione collettiva nel lavoro pubblico: ambito e limiti, in Le istituzioni del federalismo, sez. I, 5/6, 2009, pagg. 694.
105 Ibidem
Tali valutazioni sul previgente sistema normativo, ha condotto a modificare alcune disposizioni del decreto legislativo n. 165 del 2001; la finalità principale è stata quella di ridurre il flusso finanziario spendibile in sede decentrata e, soprattutto, di potenziare i controlli esterni, con assegnazione di compiti e poteri di sorveglianza, sempre più pregnanti, alla Xxxxx xxx Xxxxx000; in sostanza si è voluto porre sotto massima tutela la contrattazione integrativa107.
Tale volontà riformatrice del legislatore, nella materia del pubblico impiego, lasciava pronosticare i contenuti della più recente riforma del 2009, con riferimento alle fonti di disciplina del lavoro pubblico, con particolare riguardo alla contrattazione integrativa.
Xxxxxx, accertato che la contrattazione integrativa, è rivolta a disciplinare specifiche materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, è opportuno ora evidenziare gli intenti della riforma del 2009, attualmente vigente in materia.
Attraverso l’analisi della Relazione illustrativa al decreto di attuazione della Riforma del 2009, è possibile dedurre la volontà del legislatore di dare impulso ad un processo di convergenza (col settore privato) non solo di tipo normativo, ma anche di tipo sostanziale; in tale ottica, si inserisce la valutazione delle performance individuali e collettive e la trasparenza degli atti, delle valutazioni e dei risultati108; ed invero, viene rappresentato che “L’asse della riforma è la forte accentuazione della selettività nell’attribuzione degli incentivi economici e di carriera, in modo da premiare i capaci e i meritevoli, incoraggiare l’impegno sul lavoro e scoraggiare comportamenti di segno opposto. Il tutto in un contesto di piena affermazione di quella cultura della valutazione la cui carenza ha sino a oggi frenato ogni possibilità di produrre un tangibile miglioramento della performance delle amministrazioni pubbliche (…).
Il ciclo di gestione della performance offre alle amministrazioni un quadro di azione che realizza il passaggio dalla cultura di mezzi (input) a quella di risultati (output ed outcome) auspicato dalle riforme precedenti. Per facilitare questo passaggio occorre:
106 Con riferimento ai controlli esterni, è intervenuta la L. n. 133 del 2008.
000 Xxx. X. XXXXXXX, Xx nuova contrattazione collettiva nel lavoro pubblico: ambito e limiti, in Le istituzioni del federalismo, sez. I, 5/6, 2009, pagg. 695.
108 Relazione illustrativa del decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, pag. 5, in xxxx://xxx.xxxxxx-xxxxxx.xx/.
- aiutare le amministrazioni ad assimilare questa nuova logica (Piano e relazione di performance, sistemi di valutazione, Commissione ed Organismi indipendenti di valutazione); - mettere il cittadino al centro della programmazione (customer satisfaction) e della rendicontazione (trasparenza); - rafforzare il collegamento tra retribuzione e performance (premialità selettiva). Il decreto definisce ogni fase del ciclo di gestione con un livello di precisione allo stesso tempo sufficiente per garantirne l’omogeneità, e flessibile, per coprire l’intera realtà delle amministrazioni pubbliche. A livello amministrativo, perché ciò avvenga, occorrono principalmente sforzi: pianificare meglio, controllare e misurare meglio, rendicontare meglio.”109.
Con particolare riferimento alla contrattazione collettiva di tipo integrativo, viene esplicato che “sempre ai fini di una maggiore efficienza ed efficacia della contrattazione collettiva, il decreto dispone che ogni accordo decentrato sia accompagnato da una relazione tecnica e da una relazione illustrativa, entrambe rese accessibili tanto agli organi di controllo quanto al pubblico. L’ultima, in particolare, deve essere redatta in modo tale da consentire al pubblico di valutare quanto la contrattazione decentrata sia effettivamente improntata al principio di premiare la produttività e l’efficienza nell’offerta di servizi pubblici, anche in relazione alle effettive richieste dei cittadini, che dovranno essere raccolte attraverso modelli di rilevazione standardizzati e tecniche di rilevazione della customer satisfaction (art. 57, comma 1)”.
Da tale assunto è evidente, la volontà di costruire un impianto sistematico che sia funzionale ma anche facilmente controllabile da terzi organi e che abbia quale obiettivo quello mirato alla “valorizzazione delle risorse umane lavorative, fondata sul miglioramento delle competenze professionali, sul contributo al supporto dei processi di innovazione ed organizzativi a fini di efficienza, secondo criteri selettivi di premialità, merito e qualità della prestazione, oltre a perseguire, questo il punto, “principi di equità retributiva e sociale””110.
Un aspetto fondamentale, che rappresenta la costante di tutte le riforme legislative in materia, è il vincolo di bilancio nelle contrattazioni in sede decentrata dando, però, l’opportunità di predisporre risorse integrative da parte delle amministrazioni locali; ed
109 Relazione illustrativa del decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, pag. 2 - 3, in xxxx://xxx.xxxxxx-xxxxxx.xx/.
110 Trib. Siena, sent, sez. lav., del 13 maggio 2015.
invero, nella Relazione illustrativa in oggetto si evidenzia che “La contrattazione integrativa sarà comunque sottoposta a vincoli di spesa cogenti, definiti dalla contrattazione nazionale sulla base degli obiettivi e delle compatibilità di finanza pubblica. Per le amministrazioni delle autonomie locali, sono previsti vincoli di approvazione preventiva meno stringenti che per le amministrazioni centrali, ma comunque nel rispetto dei patti di stabilità e dei limiti fissati dai bilanci pluriennali. Le amministrazioni locali, peraltro, possono eventualmente aggiungere risorse proprie a quelle definite dalla contrattazione nazionale a favore della contrattazione integrativa, sempre nel rispetto dei limiti indicati.”.
Avendo presente quanto affermato nella Relazione illustrativa, è evidente che il legislatore delegante, oltre ai vincoli concernenti la contrattazione nazionale, ma che comunque si ripercuotono anche su quella decentrata, ha predisposto, quali criteri specifici per la contrattazione integrativa:
- la previsione, ai fini dell’accertamento dei costi della contrattazione integrativa, uno schema standardizzato di relazione tecnica recante i contenuti minimi necessari per la valutazione degli organi di controllo sulla compatibilità economico finanziaria, nonché adeguate forme di pubblicizzazione ai fini della valutazione, da parte dell’utenza, dell’impatto della contrattazione integrativa sul funzionamento evidenziando le richieste e le previsioni di interesse per la collettività (cfr. lett. f, art. 3);
- il riordino delle procedure di contrattazione collettiva nazionale, nonché quelle della contrattazione integrativa (cfr. lett. h, art. 3), in funzione di obiettivi specifici, tra i quali il rafforzamento del regime dei vigenti controlli sui contratti collettivi integrativi;
- la previsione di specifiche responsabilità della parte contraente pubblica e degli organismi deputati al controllo sulla compatibilità dei costi (cfr. lett. h, n. 6, art. 3)111.
111 Art. 3, legge n. 15 del 2009”1. L’esercizio della delega nella materia di cui al presente articolo è finalizzato a modificare la disciplina della contrattazione collettiva nel settore pubblico al fine di conseguire una migliore organizzazione del lavoro e ad assicurare il rispetto della ripartizione tra le materie sottoposte alla legge, nonché, sulla base di questa, ad atti organizzativi e all’autonoma determinazione dei dirigenti, e quelle sottoposte alla contrattazione collettiva.
2. Nell’esercizio della delega nella materia di cui al presente articolo il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) precisare, ai sensi dell’articolo 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato, da ultimo, dall’articolo 1 della presente legge, gli ambiti della disciplina del rapporto di lavoro pubblico riservati rispettivamente alla contrattazione collettiva e alla legge, fermo restando che è riservata alla contrattazione collettiva la determinazione dei diritti e delle obbligazioni direttamente pertinenti al rapporto di lavoro;
b) fare in ogni caso salvo quanto previsto dagli articoli 2, comma 2, secondo periodo, e 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni;
c) prevedere meccanismi di monitoraggio sull’effettività e congruenza della ripartizione delle materie attribuite alla regolazione della legge o dei contratti collettivi;
d) prevedere l’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile, in caso di nullità delle clausole contrattuali per violazione di norme imperative e dei limiti fissati alla contrattazione collettiva;
e) individuare criteri per la fissazione di vincoli alla contrattazione collettiva al fine di assicurare il rispetto dei vincoli di bilancio, anche mediante limiti massimi di spesa ovvero limiti minimi e massimi di spesa;
f) prevedere, ai fini dell’accertamento dei costi della contrattazione integrativa, uno schema standardizzato di relazione tecnica recante i contenuti minimi necessari per la valutazione degli organi di controllo sulla compatibilità economico-finanziaria, nonché adeguate forme di pubblicizzazione ai fini della valutazione, da parte dell’utenza, dell’impatto della contrattazione integrativa sul funzionamento evidenziando le richieste e
le previsioni di interesse per la collettività;
g) potenziare le amministrazioni interessate al controllo attraverso il trasferimento di personale in mobilità ai sensi dell’articolo 17, comma 14, della legge 15 maggio 1997, n. 127;
h) riordinare le procedure di contrattazione collettiva nazionale, in coerenza con il settore privato e nella salvaguardia delle specificità sussistenti nel settore pubblico, nonché quelle della contrattazione integrativa e riformare, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), con particolare riguardo alle competenze, alla struttura ed agli organi della medesima Agenzia, secondo i seguenti criteri
1) rafforzamento dell’indipendenza dell’ARAN dalle organizzazioni sindacali anche attraverso la revisione dei requisiti soggettivi e delle incompatibilità dei componenti dei relativi organi, con particolare riferimento ai periodi antecedenti e successivi allo svolgimento dell’incarico, e del personale dell’Agenzia;
2) potenziamento del potere di rappresentanza delle regioni e degli enti locali;
3) ridefinizione della struttura e delle competenze dei comitati di settore, rafforzandone il potere direttivo nei confronti dell’ARAN;
4) riduzione del numero dei comparti e delle aree di contrattazione, ferma restando la competenza della contrattazione collettiva per l’individuazione della relativa composizione, anche con riferimento alle aziende ed enti di cui all’articolo 70, comma 4, del decreto legislativo n. 165 del 2001, e successive modificazioni;
5) modificazione, in coerenza con il settore privato, della durata dei contratti al fine di ridurre i tempi e i ritardi dei rinnovi e di far coincidere il periodo di regolamentazione giuridica con quello di regolamentazione economica;
6) rafforzamento del regime dei vigenti controlli sui contratti collettivi integrativi, in particolare prevedendo specifiche responsabilità della parte contraente pubblica e degli organismi deputati al controllo sulla compatibilità dei costi;
7) semplificazione del procedimento di contrattazione anche attraverso l’eliminazione di quei controlli che non sono strettamente funzionali a verificare la compatibilità dei costi degli accordi collettivi;
i) introdurre norme di raccordo per armonizzare con gli interventi di cui alla lettera h) i procedimenti negoziali, di contrattazione e di concertazione di cui all’articolo 112 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, e ai decreti legislativi 12 maggio 1995, n. 195, 19 maggio 2000, n. 139, 13 ottobre 2005, n. 217, e 15 febbraio 2006, n. 63;
l) prevedere che le pubbliche amministrazioni attivino autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa, nel rispetto dei vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione, sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, con possibilità di ambito territoriale e di riferimento a più amministrazioni;
m) prevedere l’imputabilità della spesa per il personale rispetto ai servizi erogati e definire le modalità di pubblicità degli atti riguardanti la spesa per il personale e dei contratti attraverso gli istituti e gli strumenti previsti dal codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82;
n) prevedere, al fine di ridurre il ricorso a contratti di lavoro a termine, a consulenze e a collaborazioni, disposizioni dirette ad agevolare i processi di mobilità, anche volontaria, finalizzati a garantire lo svolgimento delle funzioni pubbliche di competenza da parte delle amministrazioni che presentino carenza di organico;
o) prevedere, al fine di favorire i processi di mobilità intercompartimentale del personale delle pubbliche amministrazioni, criteri per la definizione mediante regolamento di una tabella di comparazione fra i livelli di inquadramento previsti dai contratti collettivi relativi ai diversi comparti di contrattazione.”.
A tal riguardo, deve considerarsi, quale perno della disciplina l’art. 40, comma 0 xxx, xxx xxxxxxx legislativo n. 165 del 2001, giusta il quale ”Le pubbliche amministrazioni attivano autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa, nel rispetto dell'articolo 7, comma 5, e dei vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. La contrattazione collettiva integrativa assicura adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l'impegno e la qualità della performance, destinandovi, per l'ottimale perseguimento degli obiettivi organizzativi ed individuali, una quota prevalente delle risorse finalizzate ai trattamenti economici accessori comunque denominati ai sensi dell'articolo 45, comma 3. La predetta quota è collegata alle risorse variabili determinate per l'anno di riferimento. La contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono; essa può avere ambito territoriale e riguardare più amministrazioni. I contratti collettivi nazionali definiscono il termine delle sessioni negoziali in sede decentrata. Alla scadenza del termine le parti riassumono le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e decisione”.
Sul punto, sin dall’entrata in vigore della Riforma del 2009, si è espressa la giurisprudenza della Suprema Corte che ha statuito che in tema di pubblico impiego contrattualizzato, l'art. 40, comma 3, decreto legislativo n. 165 del 2001 (nel testo vigente prima delle modifiche apportate dal decreto legislativo del 27 ottobre 2009, n. 150, applicabile “ratione temporis”), nel prevedere che la contrattazione collettiva integrativa si svolge esclusivamente “sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali”, con divieto, a pena di nullità, di sottoscrivere accordi in contrasto con i vincoli risultanti da questi ultimi, si riferisce a vincoli specifici, connessi a determinate materie e ad ambiti di disciplina espressamente esclusi dalla contrattazione collettiva nazionale e ad essa riservati, dovendosi escludere che integri un tale limite la previsione di cui all'art. 45, comma 1, decreto legislativo n. 165 del 2001, secondo il quale “il trattamento economico fondamentale e accessorio è definito dai contratti collettivi”, limitandosi la disposizione ad introdurre una riserva di regolamentazione collettiva in materia di trattamento economico dei pubblici dipendenti112.
112 Cfr. Cass. Civ., sez. lav., sent. n. 26493 del 30 dicembre 2010.
Ed ancora, ai sensi dell’art. 40, comma 3 ter, decreto legislativo n. 165 del 2001, “Nel caso in cui non si raggiunga l'accordo per la stipulazione di un contratto collettivo integrativo, qualora il protrarsi delle trattative determini un pregiudizio alla funzionalità dell'azione amministrativa, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede fra le parti, l'amministrazione interessata può provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo fino alla successiva sottoscrizione e prosegue le trattative al fine di pervenire in tempi celeri alla conclusione dell'accordo. Xxxx atti adottati unilateralmente si applicano le procedure di controllo di compatibilità economico- finanziaria previste dall'articolo 40-bis. I contratti collettivi nazionali possono individuare un termine minimo di durata delle sessioni negoziali in sede decentrata, decorso il quale l'amministrazione interessata può in ogni caso provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo. È istituito presso l'ARAN, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, un osservatorio a composizione paritetica con il compito di monitorare i casi e le modalità con cui ciascuna amministrazione adotta gli atti di cui al primo periodo. L'osservatorio verifica altresì che tali atti siano adeguatamente motivati in ordine alla sussistenza del pregiudizio alla funzionalità dell'azione amministrativa. Ai componenti non spettano compensi, gettoni, emolumenti, indennità o rimborsi di spese comunque denominati”.
Orbene, tale ultima previsione normativa, nel caso della contrattazione integrativa, determina che ove vi sia la necessità dell’intervento legislativo, questo influenzerà e renderà difficilmente gestibile tale istituto.
Ed invero, in tale ipotesi, si potrebbe supporre l’eventuale mancanza di interesse per le pubbliche amministrazioni di raggiungere un accordo, in sede integrativa, con le organizzazioni sindacali, essendovi l’opportunità di provvedere in forma autonoma su tutte le materie oggetto del mancato raggiungimento dell’accordo.
Inoltre, come visto anche dal testo normativo, la competenza della contrattazione integrativa risulta fortemente limitata anche con riferimento alla materia relativa ai trattamenti economici.
Infatti, una parte rilevante dei fondi unici di ciascuna pubblica amministrazione dovrà necessariamente essere destinata al sistema premiale delle performance individuali che è sottratto alla gestione diretta del contratto integrativo, se non per quanto attiene il suo potenziamento, ed è rimesso, in via esclusiva, alla valutazione del dirigente.
In particolare, come accennato, la contrattazione collettiva, deve garantire adeguati livelli di produttività ed efficienza dei servizi pubblici, incentivando l’impegno e la qualità della performance; tale fine è perseguito attraverso la determinazione di un trattamento economico accessorio, connesso alla performance. Sul punto, si rappresenta che, in ogni caso “La valutazione dell'operato del dipendente che la amministrazione effettua, ai fini della progressione in carriera, può essere sindacata in sede giudiziale solo sotto il profilo del mancato rispetto delle regole procedimentali o della violazione degli obblighi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., i quali implicano il divieto di perseguire intenti discriminatori o di ritorsione e di determinarsi sulla base di motivazioni non ragionevoli. Il giudice, pertanto, può sindacare il merito del provvedimento adottato solo nei limiti sopra indicati, e lì dove non emergano comportamenti discriminatori o contrari ai principi di correttezza e buona fede, nè si evidenzi una manifesta illogicità delle determinazioni adottate, deve arrestare la propria indagine poiché, altrimenti, finirebbe per sostituirsi al datore di lavoro nella valutazione del dipendente, annullando il potere discrezionale che è proprio dello stesso”113. Pertanto, la valutazione delle performance è prerogativa rimessa al giudizio del datore di lavoro114 e, in sede giudiziale, residua un controllo, soggetto ai limiti specificati, finalizzato prevalentemente a tutelare il dipendente da eventuali discriminazioni.
Inoltre, sempre con riferimento alla valutazione delle performance dei dipendenti pubblici, deve rappresentarsi che la giurisprudenza della Corte dei Conti, con il fine di rendere effettiva la valutazione, ha affermato la sussistenza del c.d. danno erariale nel caso in cui la Pubblica Amministrazione di appartenenza non effettui una differenziazione nella valutazione dei dipendenti; ed invero “L’illiceità dell’erogazione del trattamento stipendiale accessorio (in particolare dell’indennità di risultato dirigenziale) in assenza di una differenziazione basata sull’analisi dei risultati gestionali costituisce ius receptum nella giurisprudenza della Corte dei conti (tra i tanti pronunciamenti, si vedano Corte dei conti, Sez. I App. n.241/2018; id. sez. III App. n.609/2016; id., Sez. Puglia, n.217/2019; id., III App., n.301/2015; id, Sez. Veneto, n.481/2009), con conseguente perfezionamento, nel caso di specie, di un’ipotesi di responsabilità erariale”, nello specifico “il fondamento dell’illecito consiste nell’aver sostanzialmente
113 Trib. Pistoia, sent. n. 209 del 04 settembre 2018.
114 Cfr. Cass. Civ., sent. 9392 del 2017.
annientato la valutazione dei dirigenti ed aver disposto, in palese assenza di motivazione ed a fronte, per contro, della laboriosa istruttoria precedentemente espletata con riguardo alle attività svolte all’interno dei singoli settori (ancorchè rivelatasi carente ed insufficiente secondo i rappresentanti del Nucleo di Valutazione) un giudizio di attribuzione del massimo punteggio a tutti i dirigenti in posizione organizzativa”115. Tale valutazione giurisprudenziale mette in evidenza l’importanza nella valutazione dei dipendenti che non può essere espletata, nell’ottica del decreto legislativo n. 150 del 2009, in maniera indifferenziata ma deve mettere in luce le prestazioni lavorative di ognuno.
2.1 Funzione di monitoraggio della contrattazione collettiva integrativa nel pubblico impiego.
L’art. 46, comma 4, del decreto legislativo n. 165 del 2001, stabilisce che “L'ARAN effettua il monitoraggio sull'applicazione dei contratti collettivi nazionali e sulla contrattazione collettiva integrativa e presenta annualmente al Dipartimento della funzione pubblica, al Ministero dell'economia e delle finanze nonché' ai comitati di settore, un rapporto in cui verifica l’effettività e la congruenza della ripartizione fra le materie regolate dalla legge, quelle di competenza della contrattazione nazionale e quelle di competenza dei contratti integrativi nonché le principali criticità emerse in sede di contrattazione collettiva nazionale ed integrativa”.
Orbene, l’attività di monitoraggio, posta in essere dall’ARAN rispetto alla contrattazione collettiva integrativa nel pubblico impiego, è da ritenersi di fondamentale importanza in quanto è qualificabile come un feedback delle novità normative introdotte in materia.
L’ultima attività di monitoraggio, pubblicata nel luglio 2020, è documentata nell’ottavo Rapporto ARAN sul monitoraggio della contrattazione integrativa; tale Rapporto offre un resoconto dell’attività relativa all’anno 2018 e 2019.
La volontà di esaminare in maniera congiunta due anni, sorge dal fatto che il 2018 ed il 2019 di riferimento hanno evidenziato la ripresa, nel pubblico impiego, delle
115 Corte dei Conti, sez. Lombardia, sent. n. 132 del 27 agosto 2020.
effettive relazioni sindacali, successivamente ad un periodo di blocco della contrattazione nazionale.
Ed invero, nell’anno 2018, sono stati sottoscritti i contratti nazionali di tutti e quattro i nuovi comparti di contrattazione collettiva (Funzioni centrali, Funzioni locali, Istruzione e ricerca e Sanità) ed il contratto di una delle aree dirigenziali (Istruzione e ricerca); mentre, nel 2019, sono stati sottoscritti i contratti di altre due aree dirigenziali (Funzioni centrali e Sanità).
In sostanza, nel biennio 2018-2019 sono stati oggetto di conclusione la più parte dei contratti collettivi relativi al 2016-2018116.
Ovviamente, essendo interconnessa la contrattazione collettiva ordinaria con la contrattazione collettiva integrativa, la conclusione degli accordi a livello nazionale, ha avuto ripercussioni anche sulla contrattazione integrativa.
A tal riguardo, il rapporto ARAN rende manifesto ed oggettivo tale tipo di collegamento tra i due livelli negoziali; in particolare, viene evidenziata una forte ripresa della contrattazione integrativa, anche se, nel 2018, le novità contrattuali nazionali hanno richiesto una fase dedicata all’analisi ed allo studio ed una sorta di “riscaldamento dei motori”, anche questo tutto sommato fisiologico e prevedibile.
Con riferimento al numero dei contratti integrativi stipulati in ciascun anno si vede che, a fronte dei circa 13.200 contratti pervenuti nel 2016, nel 2018 ne sono stati stipulati 14.000, fino ad arrivare a circa 16.900 nel 2019117.
Fondamentale anche segnalare l’aumento in percentuale dei contratti normativi (il 55% del totale). Anche tale ultimo dato va messo in relazione con la conclusione dei contratti collettivi nazionali e con il fatto che questi ultimi, definendo regole unitarie, ha permesso alle parti contrattuali, in sede decentrata, di lavorare ad accordo con una durata maggiore.
Inoltre, non può non rilevarsi come il numero di atti unilaterali, cioè degli atti adottati dalle amministrazioni in caso di mancato accordo, siano stati obiettivamente limitati rispetto agli anni precedenti; rappresentano, infatti, nel 2019 solo lo 0,9% del totale mentre erano l’1,2% nel 2018 e l’1,5% nel 2017.
116 Cfr. xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxx.xx/.
117 Cfr. xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxx.xx/.
Dall’analisi del monitoraggio emerge, dunque, che nel 2018 vi è stata una attitudine alla “contrattualizzazione” di alcune materie oggetto di sola partecipazione sindacale nonché la diffusione della prassi di sottoscrivere contratti integrativi valevoli per tutti nel tentativo di incidere anche su norme di livello nazionale.
La contrattazione integrativa ha ripreso, pertanto, con una certa vivacità.
Pur non essendo uscito il nuovo monitoraggio, i primi dati del 2020 riportati dall’ARAN, hanno evidenziato che seppur in una situazione in cui la pandemia da COVID-19 ha inciso anche sulle contrattazioni in sede locale, si è dimostrato un significativo interesse per questo strumento118.
Il monitoraggio ARAN 2018 – 2019, per ogni contratto integrativo ha rilevato “diverse informazioni:
1. la tipologia contrattuale di riferimento, distinguendo tra: contratto annuale economico, quadriennale normativo ed economico, triennale normativo ed economico, altra periodicità;
2. l’anno di riferimento del contratto;
3. la data di sottoscrizione;
4. le materie trattate, oggetto di specifiche e successive elaborazioni ed analisi”119. Inoltre sono state enucleate Tavole di studio, relativamente a:
- Tavola 12: Amministrazioni monitorate ed amministrazioni che hanno inviato almeno un contratto integrativo relativo al personale non dirigente.
- Tavola 13: Amministrazioni con uno o più contratti integrativi relativi al personale non dirigente; in particolare, concernente il numero di amministrazioni che, nell’arco dell’anno, hanno sottoscritto e inviato all’ARAN più di un contratto.
Tale dato, pari al 17%, mira ad indicare il grado di frammentazione dell’attività contrattuale; molto più basso rispetto alle precedenti rilevazioni. Xxxx, però, considerarsi che è credibile che molte amministrazioni, a seguito dei nuovi contratti collettivi nazionali di lavoro, si siano concentrate o su contratti complessivi a carattere normativo o su contratti economici (legati alla precedente normativa contrattuale) senza basarsi su singoli argomenti.
118 Cfr. xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxx.xx/.
119 Rapporto Monitoraggio della contrattazione integrativa nel lavoro pubblico (2018 – 2019), pag. 22
- Tavola 14: Contratti integrativi relativi al personale non dirigente pervenuti all'Aran: distribuzione per periodo di sottoscrizione.
Tale rilevazione mira ad evidenziare la tempistica dell’attività negoziale e la conclusione della contrattazione. È importante notare come il terzo trimestre oggetto di rilievo sia quello caratterizzato dal più basso numero di contratti stipulati. In particolare, ciò è dovuto al fatto che ricomprende il periodo estivo ma anche, “probabilmente, al fatto sia il periodo più a ridosso della conclusione di alcuni CCNL e quindi ancora caratterizzato dallo studio delle novità contrattuali e da una fase non brevissima di trattative caratterizzate appunto dal confrontarsi su tematiche e questioni nuove o caratterizzate da diverse impostazioni rispetto a prima e su cui il confronto delle parti si sviluppa di pari passo con la conoscenza e l’analisi delle nuove previsioni”120.
Il monitoraggio ha espletato uno studio riferito anche alla ripartizione geografica della contrattazione collettiva; in particolare, si è evidenziato dai contratti siglati e trasmessi all’ARAN che, anche per il 2019 come per tutti gli anni analizzati finora, la regione Lombardia ha una elevata propensione alla contrattazione decentrata.
2.2 La nullità delle clausole difformi.
Nel testo originario del decreto legislativo n. 165 del 2001, art. 40, comma 3, ultimo periodo, con riferimento al contratto collettivo, di tipo integrativo, si enuncia “Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate”; orbene, tale assunto che statuisce la nullità di clausole difformi, contenute nel contratto collettivo integrativo, mette in chiara evidenza la volontà del legislatore di non ammettere eventuali clausole difformi, contenute nella negoziazione decentrata, con uno spiccato favor per la contrattazione nazionale la quale, a sua volta, resta subordinata alla fonte legislativa.
Con l'introduzione del decreto legislativo n. 150 del 2009, oltre ad essere stato intrinsecamente modificata la disciplina delle fonti della contrattazione nel pubblico impiego in favore di una maggiore regolamentazione legale nel pubblico impiego e ridotto il ricorso alla partecipazione sindacale al solo strumento della informazione, è stata avviata una peculiare disciplina con riferimento all’adeguamento ed all’efficacia dei
120 Rapporto Monitoraggio della contrattazione integrativa nel lavoro pubblico (2018 – 2019), pag. 25.
contratti collettivi integrativi in materia di trattamenti accessori, merito e premi ed incentivi al personale.
Dalla Relazione illustrativa del decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, emerge che “Viene comunque potenziato il sistema dei controlli sulla spesa, che richiede alle amministrazioni centrali di inviare annualmente e pubblicare su proprio sito informazioni certificate sul costo degli accordi integrativi al Ministero dell’economia, e da questo alla Corte dei conti (art. 53). Nei casi di violazione dei vincoli e dei limiti di competenza imposti dalla contrattazione nazionale o dalle norme di legge, le parti contraenti sono soggette a sanzione, le clausole sono nulle, non possono essere applicate e sono sostituite. È fatto altresì obbligo di recupero nell'ambito della sessione negoziale successiva delle spese eccedenti i limiti (art. 52)”121.
In linea con quanto sopra enunciato, la riforma sopra indicata si pone in controtendenza rispetto alla precedente stagione delle riforme in quanto riassegna un ruolo cruciale alla fonte normativa nell’ambito della disciplina del pubblico impiego nonché ad un efficiente sistema di controlli ex post che evidenzia eventuali irregolarità, che comportano la nullità, con conseguente sostituzione automatica.
In linea con quanto detto, analizziamo i peculiari istituti introdotti in materia.
Primo fra tutti, merita di essere considerato l’istituto della sostituzione automatica delle clausole dei contratti collettivi difformi in violazione alle norme imperative di legge, prevedendo inoltre i termini di applicabilità, dei contratti stipulati secondo le nuove regole, differenziati per i due livelli di contrattazione, nazionale ed integrativo.
Tali mutamenti hanno determinato inevitabili problemi interpretativi.
In particolare, in conseguenza del variato rapporto tra fonti, il decreto legislativo n. 150 del 2009 introduce il principio di inserimento automatico di clausole contrattuali in sostituzione di quelle difformi in caso di eventuale contrasto tra atti di autonomia collettiva e legge inderogabile; a seguito di ciò, si verifica la nullità totale o la nullità parziale dei contratti collettivi122.
121 Relazione illustrativa del decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, pag. 7, in xxxx://xxx.xxxxxx-xxxxxx.xx/.
122 Cfr. X. XXXXXXXXXX, Contrattazione collettiva nel settore del pubblico impiego privatizzato: problemi e nodi irrisolti della riforma brunetta (a proposito dell'art. 65), vol. 5, n. 3, in xxxxxxxxxx.xx – internet synopsis of labour law and social security law.
Si tratta, dunque, di un istituto che mira a rafforzare il primato della legge sul contratto collettivo. In sostanza, si ha l’asseveramento dell’autonomia contrattuale alla fonte normativa.
In tal senso va citato, primariamente, l’art. 33, comma l, del decreto legislativo n. 150 del 2009, dove si provvede ad integrare il testo dell’art. 2, comma 2, primo periodo, del decreto legislativo n. 165 del 2001123.
Dalla lettura della norma, è possibile dedurre il principio generale giusta il quale i rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici sono disciplinati, in primis, dalle disposizioni
123 Art. 2, decreto legislativo n. 165 del 2001 “1. Le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; determinano le dotazioni organiche complessive. Esse ispirano la loro organizzazione ai seguenti criteri:
a) funzionalità rispetto ai compiti e ai programmi di attività, nel perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità. A tal fine, periodicamente e comunque all'atto della definizione dei programmi operativi e dell'assegnazione delle risorse, si procede a specifica verifica e ad eventuale revisione;
b) ampia flessibilità, garantendo adeguati margini alle determinazioni operative e gestionali da assumersi ai sensi dell'articolo 5, comma 2;
c) collegamento delle attività degli uffici, adeguandosi al dovere di comunicazione interna ed esterna, ed interconnessione mediante sistemi informatici e statistici pubblici;
d) garanzia dell'imparzialità e della trasparenza dell'azione amministrativa, anche attraverso l'istituzione di apposite strutture per l'informazione ai cittadini e attribuzione ad un unico ufficio, per ciascun procedimento, della responsabilità complessiva dello stesso;
e) armonizzazione degli orari di servizio e di apertura degli uffici con le esigenze dell'utenza e con gli orari delle amministrazioni pubbliche dei Paesi dell'Unione europea.
1-bis. I criteri di organizzazione di cui al presente articolo sono attuati nel rispetto della disciplina in materia di trattamento dei dati personali.
2. I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo. Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano o che abbiano introdotto discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate nelle materie affidate alla contrattazione collettiva ai sensi dell’articolo 40, comma 1, e nel rispetto dei principi stabiliti dal presente decreto, da successivi contratti o accordi collettivi nazionali e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili.
3. I rapporti individuali di lavoro di cui al comma 2 sono regolati contrattualmente. I contratti collettivi sono stipulati secondo i criteri e le modalità previste nel titolo III del presente decreto; i contratti individuali devono conformarsi ai principi di cui all'articolo 45, comma 2. L'attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi e salvo i casi previsti dal comma 3-ter e 3-quater dell'articolo 40 e le ipotesi di tutela delle retribuzioni di cui all'articolo 47-bis, o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali. Le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti cessano di avere efficacia a far data dall'entrata in vigore dal relativo rinnovo contrattuale. I trattamenti economici più favorevoli in godimento sono riassorbiti con le modalità e nelle misure previste dai contratti collettivi e i risparmi di spesa che ne conseguono incrementano le risorse disponibili per la contrattazione collettiva.
3-bis. Nel caso di nullità delle disposizioni contrattuali per violazione di norme imperative o dei limiti fissati alla contrattazione collettiva, si applicano gli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile”.
del codice civile e delle leggi generali sul lavoro nell’impresa, fatte salve le differenti disposizioni contenute nel decreto legislativo, n. 165 del 2001.
Nello specifico, nell’art. 2, comma 3 del decreto legislativo n. 165 del 2001, viene espressamente statuito “fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo”; è opportuno rimarcare, però, che, in realtà, l’inderogabilità delle norme di legge, derivante dalla imperatività, sussisteva anche prima della riforma del 2009, ed a prescindere da questa statuizione.
Tale riforma, però, ha avuto il chiaro ed evidente intento di rafforzare tale supremazia della legge nel sistema delle fonti riguardante la disciplina del pubblico impiego; ed invero, expressis verbis, si è sancita la definitiva imperatività, nonché inderogabilità delle norme di legge rispetto alla fonte contrattuale.
Ad ogni modo, la dottrina ha espresso qualche perplessità in merito.
Ed invero, è stata evidenziata la presenza di qualche dubbio rispetto all’effettiva portata di quanto statuito nell’art. 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001, se posto in relazione con altre indicazioni del decreto legislativo n. 150 del 2009.
Da un lato, il dato letterale spinge a ritenere che si sia inteso definire come imperative tutte le norme ricomprese nel decreto legislativo, in qualità di Testo Unico, che regola in generale il lavoro nelle pubbliche amministrazioni; ma, dall’altro lato, se così fosse, non si comprende il senso e il valore di altre disposizioni del decreto legislativo
n. 165 (come, ad esempio quelle dell’art. 29, in tema di merito e premi, e soprattutto degli articoli 68 e 69, che inseriscono nel decreto legislativo n. 165 del 2001 un complesso di disposizioni su sanzioni e procedure disciplinari), le quali conferiscono l’imperatività, e la conseguente inderogabilità, ad altre specifiche norme o a gruppi di norme124.
Ad ogni modo, volendo optare, pur con questi elementi di indecisione, per l’interpretazione che conferisce il connotato di norme imperative all’insieme delle previsioni del decreto legislativo n. 165 del 2001, deve tenersi presente che l’art. 33 del decreto legislativo n. 150 del 2009125 supporta tale previsione tramite un’altra correzione
124 Cfr. X. X’XXXXXXX, Le fonti del rapporto di lavoro pubblico, in (a cura di) X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX,
La riforma nel lavoro pubblico, Roma, 2010, pag. 15.
125 Art. 33, decreto legislativo n. 150 del 2009 “1. All'articolo 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 2, alla fine del primo periodo, sono inserite le seguenti parole: «, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo»;
all’art. 2 del decreto del 2001; ed invero, viene, infatti, inserito un nuovo comma 3 bis, con l’intento anch’esso di incidere sul rapporto fra regole contrattuali e regole legislative, “nel quale – riprendendo quanto previsto dall’art. 3, comma 2, lettera d), della legge delega n. 15/2009 - si stabilisce che “nel caso di nullità delle disposizioni contrattuali per violazione di norme imperative o dei limiti fissati alla contrattazione collettiva, si applicano gli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile”. Pertanto, laddove il contratto contempli disposizioni che siano in contrasto con quelle a carattere “imperativo” dettate dalla legge (cioè, in base a quanto sopra rilevato, tutte quelle ricomprese nel d. lgs. n. 165/2001, con le successive modifiche e integrazioni) o che fuoriescano dai limiti posti alla contrattazione dall’art. 40 del d. lgs. n. 165/2001, come riformulato dall’art. 54 del d. lgs. n. 150/2009 (…), le sue clausole saranno automaticamente sostituite dalle norme legislative. In ordine all’introduzione di questo meccanismo di inserzione automatica nei contratti delle previsioni di legge, in luogo delle disposizioni contrattuali affette da nullità, sono stati sollevati due diversi ordini di questioni”126.
Ed invero, in linea con quanto sopra, secondo una prima linea interpretativa consolidata e sostanzialmente maggioritaria, mentre nel campo del lavoro privato il riferimento alle norme codicistiche sulla sostituzione di diritto delle clausole contrattuali nulle è stato utilizzato per difendere la posizione del lavoratore, considerato soggetto debole del contratto inerente il rapporto contrattuale, nella recente riforma del lavoro pubblico è stato visibilmente concepito come un meccanismo volto a proteggere lo spazio deputato alla legge e le prerogative dell’amministrazione da possibili sconfinamenti da parte della contrattazione collettiva; quindi, solo in ultima istanza, l’istituto è posto a tutela della parte datoriale.
Da questo assunto, parte della dottrina, ha dedotto un possibile snaturamento dello strumento, alla quale si è replicato affermando che nelle relazioni di lavoro nel settore
b) al comma 3, dopo le parole: «mediante contratti collettivi» sono inserite le seguenti: «e salvo i casi previsti dal comma 3-ter e 3-quater dell'articolo 40 e le ipotesi di tutela delle retribuzioni di cui all'articolo 47-bis,»;
c) dopo il comma 3 è aggiunto il seguente:
«3-bis. Nel caso di nullità delle disposizioni contrattuali per violazione di norme imperative o dei limiti fissati alla contrattazione collettiva, si applicano gli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile»”.
126 X. X’XXXXXXX, Le fonti del rapporto di lavoro pubblico, in (a cura di) X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, La riforma nel lavoro pubblico, Roma, 2010, pag. 17.
pubblico in concreto, sussiste una condizione di “debolezza” dei rappresentanti della parte pubblica rispetto alle richieste e pressioni sindacali, e che, in ogni caso, il bisogno preminente è quello di proteggere i principi di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione127.
Fermo restando tale aspetto di ordine puramente concettuale, è stato messo in evidenza, inoltre, un notevole problema di tipo applicativo, in sostanza “la sostituzione diretta delle previsioni contrattuali con quelle di legge (con particolare riferimento a quelle contenute nello stesso decreto) spesso risulta problematica, se non tecnicamente impossibile, in quanto “le disposizioni del decreto legislativo destinate a ‘prendere il posto’ delle clausole contrattuali nulle sono spesso formulate non alla stregua di proposizioni normative suscettibili di immediata trasposizione nel corpo dei contratti, ma come disposizioni che attribuiscono poteri…ovvero indicano modalità, strumenti o percorsi procedimentali…, anche con rinvio alla contrattazione collettiva…”128.
Pertanto, può verificarsi che la nullità di una clausola si traduca non nella sua sostituzione ex lege con un’altra clausola, ma con una clausola c.d. in bianco, cioè da colmare con una decisione dell’amministrazione o, addirittura, da formare oggetto di contrattazione con i sindacati che non è, però, predeterminata dalla dal legislatore ex ante129.
In buona sostanza, il decreto legislativo n. 150 del 2009 è partito con il chiaro intento di proteggere l’impianto amministrativo, restituendolo ai principi di economicità e perseguimento del pubblico interesse; ad ogni modo, la modalità con la quale è stata costruita la Riforma ha comportato un inevitabile detrimento del potere sindacale sia a seguito della sottrazione di determinate materie dalla contrattazione collettiva, sia a seguito della previsione di sostituzione delle clausole incompatibili con norme predeterminate legislativamente.
Il rapporto tra contratto collettivo nazionale e contratto collettivo integrativo è stato oggetto anche di pronunce della Corte Costituzionale che ha interpretato chiaramente la disciplina in materia in linea con quanto sopra delineato; vale a dire è stata affermata la
127 Cfr. X. X’XXXXXXX, Le fonti del rapporto di lavoro pubblico, in (a cura di) X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, La riforma nel lavoro pubblico, Roma, 2010, pag. 18.
128 Ibidem.
129 Ibidem.
subordinazione del contratto integrativo alle statuizioni de contratto collettivo nazionale, nonché la subordinazione ai vincoli di bilancio sovraimposti.
Ed invero, a titolo meramente esemplificato, si richiama una recente pronuncia della Consulta del 2009, giusta la quale “Particolare rilievo assume il ricordato richiamo, operato dall'art. 4 della legge n. 412 del 1991, all'art. 40 (Contratti collettivi nazionali e integrativi) del d.lgs. n. 165 del 2001, in materia di rapporto tra i diversi livelli di negoziazione collettiva (nazionale, regionale e aziendale), secondo cui la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono. A garanzia del rispetto di tali stringenti vincoli, lo stesso art. 40 dispone la nullità e l’inapplicabilità di clausole dei contratti collettivi integrativi difformi dalle previsioni del livello nazionale. In tal senso, le previsioni già presenti nell'originario testo dell'art. 40 sono state poi rafforzate dalle modifiche introdotte dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150”130.
In linea con quanto sopra evidenziato, anche la dottrina prevalente è orientata nel senso di interpretare queste regole come caratterizzanti il ruolo ordinante e centrale del contratto nazionale rispetto al contratto decentrato; inoltre, anche una giurisprudenza costante ha definito i rapporti esistenti tra le fonti contrattuali di primo e secondo livello attribuendo alla contrattazione nazionale un ruolo preminente così come stabilito dalla disciplina del decreto legislativo n. 165 del 2001 che all’art. 40 prevede una norma di carattere inderogabile131.
2.3 Questioni giurisprudenziali relative al contratto collettivo integrativo con particolare riferimento al c.d. danno da contrattazione collettiva.
In merito alla contrattazione collettiva integrativa, stante la penuria legislativa al riguardo, sono sorte problematiche interpretative rimesse poi al vaglio della giurisprudenza di merito e di legittimità.
130 Corte Cost., sent. n. 157 del 17 aprile 2019.
131 Cfr. “I contratti collettivi integrativi. Gli orientamenti della Corte di Cassazione e della Corte dei conti”, Arannewsletter, nn. 4 – 5, luglio/ottobre 2008, pag. 22, in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/.
In primis, nell’analisi della rassegna giurisprudenziale, non può prescindersi dall’analisi della giurisprudenza che, in linea con quanto sopra affermato, ha sempre costruito una gerarchia contrattuale nella quale l’accordo integrativo è collocato in una posizione subordinata rispetto all’accordo nazionale; sul punto, infatti, la Suprema Corte ha respinto “la domanda della Regione volta a sentir dichiarare la prevalenza del contratto collettivo integrativo, espressione del metodo contrattuale adottato dalla regione Sicilia per il personale alle sue dipendenze, negando all’Ente la libertà di scegliere se, e in qual misura, recepire la disciplina del rapporto, derivandola dal contratto collettivo integrativo piuttosto che dalla contrattazione collettiva nazionale del settore.
Che la sentenza ha sostenuto che nel pubblico impiego contrattualizzato, quando si controverte di materia riservata per legge all’autonomia collettiva a livello nazionale, gli atti amministrativi di recepimento, imposti dal legislatore al fine di dare ingresso alla disciplina contrattuale nell’ordinamento giuridico regionale, retrocedono a meri strumenti esecutivi, rispetto ai quali gli organi preposti non esercitano alcun potere autonomo. Che l’intervento diretto della contrattazione collettiva nazionale nell’ordinamento regionale, non costituisce un’indebita invasione nel potere delle parti sociali di disporre contratti integrativi, in ragione del rapporto gerarchico esistente tra i diversi livelli di contrattazione”132.
In sostanza, la pronuncia in esame ha qualificato il contratto collettivo integrativo quale mero strumento esecutivo, privo di autonomia, rispetto alle statuizioni contenute nel contratto collettivo nazionale.
Altra questione di fondamentale importanza, non precisata dal legislatore e, pertanto, oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali, è quella relativa alle organizzazioni sindacali ammesse alla sottoscrizione del contratto collettivo integrativo.
Con il decreto n. 70407 del 17 luglio 2018, presso il Tribunale di Roma, il Giudice del Lavoro ha rigettato il ricorso ex art. 700 c.p.c., proposto dallo SNALS al fine di ottenere il riconoscimento del proprio diritto a partecipare alla contrattazione integrativa a livello nazionale, regionale e nelle istituzioni scolastiche.
Il Tribunale ha accolto le tesi difensive proposte, fra gli altri, dagli Uffici legali nazionali di Flc CGIL, CISL Scuola e UIL Scuola, affermando che quanto contenuto
132 Corte di Cass., ord. n. 30711 del 21 dicembre 2017.
nelle norme contrattuali è conforme alle disposizioni di legge con le quali "il legislatore ha sancito soltanto il diritto all'Organizzazione Sindacale che possiede il requisito della rappresentatività a partecipare alle trattative sindacali con riferimento alla sola contrattazione collettiva nazionale, mentre ha rimesso alle parti sociali che sottoscrivono il suddetto contratto l'individuazione dei soggetti ammessi alla contrattazione integrativa"133.
In tale sede, il Giudice del Lavoro, ha rigettato anche la richiesta di rimessione alla Corte Costituzionale della normativa richiamata nel ricorso; il Giudice ha infatti ritenuto infondata la questione di costituzionalità, in quanto “Il sistema delineato dal legislatore nell’ambito del pubblico impiego in merito al rapporto fra la contrattazione nazionale ed integrativa, che è congeniato in modo tale che la contrattazione decentrata sia del tutto vincolata a quella nazionale, tanto che le clausole difformi sono nulle (Cass. 9146/2009); unitamente all’attribuzione delle prerogative sindacali sul presupposto oggettivo della rappresentatività, appare del tutto coerente e ragionevole.
Infatti, in un contesto in cui le prerogative sindacali di cui all’art. 19 Stat. Lav. sono attribuite all’o.s. sul presupposto del dato oggettivo della rappresentatività e dunque indipendentemente dalla sottoscrizione del contratto collettivo (art. 42 T.U.), come già ritenuto dal Tribunale di Milano in identica fattispecie, “è proprio il carattere di specificità della contrattazione integrativa nel pubblico impiego e il suo rapporto per così dire “di derivazione” dalla contrattazione nazionale a far viceversa apparire ragionevole e conforme al dettato dall’art. 39 Cost. la scelta legislativa di demandare integralmente al CCNL l’individuazione dei soggetti legittimati a partecipare ai livelli integrativi di contrattazione. Una volta garantito alla associazione sindacale rappresentativa, ex art. 39 Cost., il diritto di partecipare alle trattative in sede nazionale; una volta che la medesima associazione abbia legittimamente ritenuto di non sottoscrivere un CCNL reputato non condivisibile (CCNL che, come visto, è tuttavia la fonte che individua anche i successivi ambiti della contrattazione integrativa), non può poi ritenersi contraria agli art. 3 e 39 Cost. l’esclusione di quella stessa associazione da quelle fasi contrattuali che traggono fondamento dal CCNL non sottoscritto, garantendosi in ogni caso agli organismi di rappresentanza unitaria del personale la partecipazione alla contrattazione integrativa, ed alle ooss dotate di rappresentatività,
133 Trib. Roma, decr. n. 70407 del 17 luglio 2018.
quale appunto il sindacato ricorrente, le prerogative sindacali di cui all’art. 19 Stat. Lav.”134.
In tale pronuncia trova piena conferma, in sostanza, il principio per cui spetta alla contrattazione collettiva definire al suo interno norme volte a tutelare e difendere il merito delle scelte contrattuali, in quanto le parti delegate alla contrattazione integrativa sono inevitabilmente funzionali alle scelte compiute con la sottoscrizione del contrattato collettivo nazionale di comparto.
Inoltre, la Suprema Corte è intervenuta sui rapporti esistenti tra contrattazione collettiva nazionale e contrattazione integrativa, nel settore pubblico, ribadendo che in virtù degli artt. 40 e 40-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001, i contratti integrativi sono sanzionati in caso di difformità delle clausole rispetto, come visto nel paragrafo precedente, ai predetti vincoli sovraimposti con la conseguente ed inevitabile nullità135.
Il caso concreto riguarda l’accoglimento del ricorso presentato dal Comune di Salerno contro la sentenza della Corte territoriale che aveva condannato l’Ente all’esecuzione della richiesta dei dipendenti, volta ad ottenere un diverso inquadramento professionale, in attuazione della previsione di una clausola del contratto integrativo decentrato.
I dipendenti vantavano il diritto ad un nuovo inquadramento in attuazione di una norma inserita nel contratto integrativo stipulato in sede decentrata. La pretesa era fondata sul ragionamento giusta il quale il contratto collettivo nazionale rinviava ai contratti decentrati l’integrazione della disciplina relativa all’ordinamento professionale.
Su tale ultimo punto, la Corte di Cassazione è intervenuta con una posizione netta sulla definizione dei rapporti esistenti tra contrattazione nazionale e contrattazione decentrata.
In particolare, la Suprema Corte ha richiamato le norme inderogabili in base alle quali la contrattazione collettiva integrativa si svolge nelle materie e nei limiti stabiliti dalle norme dei contratti nazionali ed ha riaffermato che le pubbliche amministrazioni non possono concludere, in sede decentrata, contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti nazionali o che comportino oneri non previsti negli
134 Trib. Roma, decr. n. 70407 del 17 luglio 2018.
135 Cfr. “I contratti collettivi integrativi. Gli orientamenti della Corte di Cassazione e della Corte dei conti”, Arannewsletter, nn. 4 – 5, luglio/ottobre 2008, pag. 22, in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/.
strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Ed invero, in caso di violazione dei limiti, le clausole difformi sono nulle.
Nel caso in esame, la Corte di Cassazione ha manifestato come i rapporti tra i diversi livelli di contrattazione siano regolati unicamente da una fonte normativa esterna rispetto al contratto e cioè la legge, e nello specifico la disciplina inderogabile prevista dal decreto legislativo n. 165 del 2001 che costruisce un sistema contrattuale, come già visto, di tipo gerarchico, nel quale la contrattazione integrativa è subordinata rispetto alla contrattazione nazionale, in quanto i vincoli, le materie, i destinatari sono definiti esclusivamente da quest’ultima136.
Dalla sentenza richiamata, è possibile dedurre che il sistema delineato dal decreto legislativo n. 165 del 2001 assoggetta alla sanzione della nullità delle clausole del contratto integrativo, per violazione del contratto nazionale, al controllo del giudice; ed invero, è quest’ultimo l’unico soggetto abilitato a dichiararne tale nullità.
Le sentenze della Corte di Cassazione riportate analizzano la previsione dell’art. 63, comma 5, del decreto legislativo n. 165 del 2001, secondo cui “Nelle controversie di cui ai commi 1 e 3 e nel caso di cui all'articolo 64, comma 3, il ricorso per cassazione può essere proposto anche per violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di cui all'articolo 40”.
Secondo quanto rappresentato, è evidente, come il sistema delineato dal decreto legislativo n. 165 del 2001, se da un lato mira a potenziare fortemente la contrattazione di secondo livello dall’altro inserisce una serie di elementi di controllo tra cui deve menzionarsi proprio il controllo giurisdizionale.
Altra tipologia di fondamentale controllo giurisdizionale, è rappresentata dall’attività espletata dalla Corte dei Conti pur se esso, come chiarito più oltre, emerge prevalentemente nella responsabilità per danno erariale e non ha il fine di accertare la nullità dei contratti integrativi nonché eventuali responsabilità derivanti dalla stipulazione e dall’applicazione di una clausola nulla, anche in considerazione di una recente giurisprudenza della Corte dei Conti che incolpa e condanna per c.d. danno da contrattazione collettiva, così brevemente qualificandosi il danno erariale scaturente dalla stipulazione ed applicazione di clausole integrative nulle ai sensi delle norme fin qui citate.
136 Cfr. Cass. Civ., sent. n. 10099 del 2007.
Secondo parte della dottrina137, si potrebbe addirittura ipotizzare l’emergere di un
c.d. danno da relazioni sindacali “unfair”, se si considera che la Corte dei Conti, sezione Campania, ha condannato gli amministratori di una Comunità Montana incolpati dalla Procura per “responsabilità amministrativo-contabile sostanziatesi nell’omessa attivazione delle procedure di concertazione sindacale e nella successiva resistenza in giudizio avverso il ricorso ex art. 28 Stat. Lav. promosso dai rappresentanti sindacali” (resistenza considerata dalla Procura, addirittura, “ad esito sfavorevole certo” e dalla Corte valutata “inutile e, se non temeraria, comunque chiaramente dilatoria”138) per un danno pari all’importo delle spese processuali. Ma vi è anche da dire, sul punto, che tale orientamento è coerente con l’indirizzo consolidato della giurisprudenza contabile sul danno erariale da lite temeraria.
In tal senso, è opportuno esaminare come, a seguito dell’intervento della legge n. 133 del 2008, nonché decreto legge n. 112 del 2008 la Corte dei Conti è abilitata ad usare i suoi più penetranti poteri nella materia contrattuale relativamente al pubblico impiego privatizzato.
In particolare, il decreto legge n. 112 del 2008 ha previsto un nuovo sistema per la verifica e i controlli sui contratti collettivi decentrati che vengono siglati a livello di singolo ente; la disciplina di riferimento è prevista all’art. 67139.
Le disposizioni sono state introdotte in attuazione ai principi di responsabilizzazione e di efficienza della pubblica amministrazione; ed invero, la consapevolezza del controllo ex post viene considerata quale deterrente, per le pubbliche amministrazioni, affinché non stipulino, in sede decentrata, accordi che vadano a violare, soprattutto con riferimento ai vincoli di bilancio, quanto contenuto nel contratto collettivo nazionale.
Ed invero, è innegabile come negli ultimi anni, nella maggior parte degli enti locali, le risorse per la contrattazione decentrata siano notevolmente incrementate ed in alcuni casi senza avere l’aumento correlato delle prestazioni; per tale ragione, il legislatore, ha voluto costruire un complesso sistema di controlli volto a monitorare regolarmente sia le
137 Per la ricostruzione giurisprudenziale, X. XXXXXXX, Contrattazione integrativa, nullità della clausola difforme e responsabilità e responsabilità “diffusa”, pag. 14, xxxxx://xxx.xxxxxxx0.xx/.
138 Corte Conti, sez. Campania, sent. n. 1346 del 17 novembre 2005.
139 Art. 67, decreto legge n. 112 del 2008.
procedure, sia le risorse, sia i compensi correlati al salario accessorio che le pubbliche amministrazioni quantificano con gli accordi integrativi.
I dati trasmessi, ai sensi dell’art. 67 del decreto legge n. 112 del 2008140, serviranno alla Corte dei Conti per indicare tempestivamente interventi correttivi a livello di comparto o del singolo ente; e questo avverrà prevalentemente nei casi di esorbitanza delle spese contenute nel fondo delle risorse decentrate rispetto ai limiti di finanza pubblica e alle norme contenute nei contratti nazionali.
Fondamentale, quindi, la relazione che ciascun ente è tenuto a redigere in fase di costituzione ed utilizzo del fondo al fine di “spiegare” gli importi e le indennità previste dai singoli contratti decentrati. Il termine esorbitante infatti significa oltre i limiti del giusto, eccessivo, esagerato che è appunto il contrario degli aggettivi congruo e razionale che dovrebbero contraddistinguere costantemente l’operato degli enti locali in materia di contrattazione (e non solo)141.
Nel caso in cui la Corte dei Conti verificasse il superamento dei vincoli contrattuali scatteranno, oltre alle responsabilità previste dalla normativa vigente, anche la sospensione delle clausole difformi con obbligo di recuperare durante la sessione negoziale successiva le somme erroneamente rese disponibili e/o erogate142. Pertanto, questione diversa è invece quella del danno correlato alla nullità delle clausole contrattuali.
Sul punto, la più risalente giurisprudenza della Corte dei Conti ha qualificato come errata l’imputazione al bilancio dell’ente anziché al fondo contrattuale di una parte delle somme destinate a finanziare la retribuzione per le posizioni organizzative, operata dal contratto integrativo, nel caso di specie riferito ad una azienda ospedaliera, in difformità da quanto previsto dal contratto nazionale che prevede un apposito fondo.
In tal caso, evidenziato il dannoso disavanzo d’amministrazione derivante a tale errata imputazione contabile, la Corte dei Conti ha colpevolizzato, provvedendo a
140 Le indicazioni che la Corte dei Conti può fornire in ordine al superamento dei vincoli posti alla contrattazione integrativa non possono che conseguire allo svolgimento delle indagini programmate dalle Sezioni regionali di controllo.
141 Cfr. X. XXXXXXXX, Il controllo il controllo della corte dei conti della corte dei conti sui contratti integrativi decentrati, in Gli Approfondimenti di Publika, n. 8, pag. 3, in xxxxx://xxx.xxxxxxx.xx/.
142 Ciascun ente, in ossequio al principio di imparzialità e trasparenza, dovrà inoltre pubblicizzare sul proprio sito internet le medesime schede informative che vengono annualmente trasmesse agli organi di controllo in materia di contrattazione integrativa.
La violazione delle disposizioni comporterà la mancata erogazione dei trasferimenti erariali e l’impossibilità di adeguare ulteriormente le risorse destinate alla contrattazione integrativa.
ripartire il danno, i seguenti soggetti: il direttore generale, autore delle delibere di conferimento degli incarichi di posizione organizzativa e responsabile della corretta gestione delle risorse aziendali; il direttore amministrativo, in quanto garante della regolarità degli atti ed autore di pareri favorevoli sulle delibere; i componenti del collegio dei revisori che non avevano rilevato vizi negli accordi negoziali; ed infine il dirigente della unità operativa trattamento economico e normativo, che “per la sua specifica preparazione lavoristica, per la apicale qualifica rivestita e le specifiche mansioni svolte, doveva essere a doverosa conoscenza” della non conformità del contratto integrativo a quello nazionale143.
Rispetto a tale delineato sistema di controlli, la Sezione giurisdizionale per la Lombardia si è pronunciata su una questione che ha suscitato particolare interesse144.
Il caso di specie riguardava la pretesa risarcitoria azionata dalla Procura della Corte dei Conti, nei confronti di un piccolo Comune lombardo per il danno derivante dall’illegittima riduzione dell’orario di lavoro attuata tramite la sottoscrizione un contratto decentrato mantenendo, però, intatta la retribuzione.
Nello specifico, il riferimento è al Comune di Inzago, nel quale la Procura della Corte dei Conti avviava una pretesa risarcitoria nei confronti del Segretario comunale e dei componenti la delegazione trattante (composta da un funzionario e da un assessore), per il danno erariale derivante dalla riduzione generalizzata dell’orario settimanale “in non corretta applicazione di previsioni ostative alla generalizzata restrizione oraria contenute in sovraordinate fonti contrattuali nazionali”145.
In buona sostanza, con un contratto integrativo dell’ente locale, l’orario di lavoro era stato ridotto, per tutti i dipendenti, di un’ora settimanale, in applicazione non corretta della clausola nazionale che consente la riduzione di orario soltanto a beneficio dei soli dipendenti adibiti a regimi turnazione o di programmazione plurisettimanale.
Nel merito la Corte dei Xxxxx ha osservato che “tale condotta è frutto di una evidente colpa grave delle parti stipulanti l’accordo decentrato, stante l’inequivoca
143 Cfr. Corte dei Conti, sez. Lombardia, sent. del 10 marzo 2006 n. 172 in X. XXXXXXX, Contrattazione integrativa, nullità della clausola difforme e responsabilità e responsabilità “diffusa”, pag. 16, xxxxx://xxx.xxxxxxx0.xx/.
144 Per il caso preso in esame, vedasi “I contratti collettivi integrativi. Gli orientamenti della Corte di Cassazione e della Corte dei conti”, Arannewsletter, nn. 4 – 5, luglio/ottobre 2008, pag. 25, in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/.
000 Xxxxx xxx Xxxxx, sez. Lombardia, sent. n. 372 del 2006.
formulazione della sovraordinata e inderogabile previsione contrattuale nazionale, che non si prestava, per la sua chiarezza, ad alcun dubbio interpretativo, consentendo la contrazione oraria de qua solo a favore di lavoratori adibiti a regimi di orario articolato in più turni (…) pertanto tale colpevole condotta è ascrivibile, in modo decisamente prevalente, 60% del danno, ai firmatari del cennato accordo decentrato, conditio sine qua non del successivo intervento della Giunta, volto a sollecitare i responsabili di settore a dare piena attuazione all’illegittimo disposto contrattuale decentrato”146.
L’Avvocatura di Stato, nel parere espresso nel quale si richiedeva chi dovesse essere ritenuto responsabile nel caso in esame, ha ritenuto di individuare tra i soggetti responsabili coloro che in sede di contrattazione decentrata rappresentano l’amministrazione locale; in particolare, il presidente ed i componenti della delegazione, l’organo di governo che ha autorizzato la definitiva sottoscrizione del contratto, ed anche la dirigenza che aveva promosso provvedimenti applicativi di norme contrattuali nulle in quanto difformi alla disciplina nazionale; nello specifico, si tratta dei soggetti più direttamente interessati in quanto ad essi concretamente può ricondursi la formazione di quelle scelte che si siano tradotte in clausole contrattuali successivamente dichiarate nulle o, comunque, ritenute causa di danno erariale.
Ma la parte più interessante della sentenza della Corte dei Conti è il riferimento che viene fatto alle controparti sindacali “poiché, sul piano causale, il danno de quo trae origine, in via prevalente, dall’accordo decentrato 19.1.2000, un evidente contributo etiologico è stato dato anche dai componenti della controparte sindacale (RSU) che ebbero a sottoscrivere tale accordo, atto bilaterale e non unilaterale. Quale che sia la natura, pubblica o privata di tale rappresentanza sindacale, (…), è innegabile che se da un atto negoziale derivi un danno, del relativo risarcimento debbano rispondere in modo paritetico tutte le parti contraenti. Ne consegue che, dal danno ipotizzato dalla Procura, una quota addebitabile ai componenti della RSU debba essere necessariamente scomputata (da quanto dovuto) dai responsabili dell’amministrazione. Quindi ancorché i rappresentanti sindacali non siano stati citati in giudizio, per motivi procedurali chiariti in sentenza ma su cui è inutile, allo stato, soffermarsi, è importante il principio affermato
146 Ibidem.
dalla Corte che potrebbe anche essere ripreso dalle procure della Corte dei conti con possibili estensioni dei soggetti responsabili”147.
Nella sentenza in esame, i giudici della Corte dei Conti escludono qualunque responsabilità nei confronti dell’ARAN precisando che “nessun contributo causale (con portata decurtante sul danno predetto) può invece essere ascritto all’Aran, in quanto l’Agenzia, pur destinataria della trasmissione del teso contrattuale decentrato ex art. 46 co.5 del D. Lgs. n. 165/2001, non ha per legge alcun potere di direttiva né di sindacato sulla validità delle clausole negoziali ivi contenute, né gode di poteri interdittivi sulla efficacia del contratto stesso. L’unico potere residuo dell’Agenzia, in un sistema di contrattazione integrativa ispirato ad un coinvolgimento diretto delle amministrazioni nella cura delle relazioni sindacali decentrate, attiene alla definizione, in sede di contrattazione nazionale, degli spazi da concedere alla contrattazione integrativa (art. 40 e 46 co. 1 D. Lgs. n. 165/2001) e al mero monitoraggio sull’applicazione dei contratti nazionali da parte di quelli integrativi (art. 46, co.4, D. Lgs. 165/2001). Né vi è stata, nel caso di specie, alcuna richiesta di assistenza dell’Aran da parte del Comune di Indago in sede di contrattazione integrativa, come sarebbe stato possibile in base all’art. 46, co. 2, D. Lgs. 165 cit, con conseguente esclusione di coinvolgimenti dell’Agenzia nella illegittima scelta negoziale”148.
Infine, la sentenza della Corte dei Conti, chiarisce, come già sopra anticipato, l’assenza di un suo potere di intervento di declaratoria di nullità del contratto integrativo per violazione del contratto nazionale, ma “il sindacato della Corte sulle predette previsioni contrattuali o su provvedimenti amministrativi non avviene principaliter, ma incidenter tantum, al solo fine di cogliere, in caso di acclarata macroscopica violazione del dettato normativo o di sovrastanti fonti contrattuali nazionali da parte dei convenuti che ne dovevano fare retta e legittima applicazione in sede di contrattazione decentrata, profili di illiceità comportamentale forieri di danno erariale. In altre parole, questa Corte non si sostituisce né si aggiunge agli organi giurisdizionali (a.g.o.) o istituzionali (controparti sindacali) preposti ex lege al sindacato o all’interpretazione autentica di clausole dei CCNL, ma si limita a verificare la corretta e ragionevole applicazione di detti contratti collettivi, la cui inosservanza (o la cui cattiva osservanza) da parte di
147 Corte dei Conti, sez. Lombardia, sent. n. 372 del 2006.
148 Ibidem.
amministratori o funzionari pubblici può tradursi in un danno erariale. D’altro canto una condotta dannosa per le casse pubbliche può trarre origine sia dall’adozione di atti amministrativi illegittimi da parte di amministratori o dipendenti pubblici, sia dalla sottoscrizione da parte degli stessi di contratti (quali quelli lavoristici) non conformi a legge o, come nel caso sub iudice, a sovrastanti fonti negoziali: in entrambi i casi, quale che sia lo strumento, unilaterale o consensuale, adottato, ciò che in sede giuscontabile viene in rilievo è il “comportamento gestionale” dannoso tradottosi in tale manifestazione volitiva, pubblicistica o privatistica e non già l’annullamento o la modifica di quest’ultima, sindacata, si ripete, solo incidenter tantum da questa Corte”149.
Altra sentenza, sempre sulla stessa materia, è stata emessa dalla sezione trentina della Corte. Nel caso di specie, il contratto integrativo di ente (Autorità di Bacino Nazionale del Fiume Adige) aveva individuato come criterio di quantificazione della dotazione finanziaria del Fondo per le politiche di sviluppo del personale non quello del numero dei dipendenti in servizio (all’epoca solo quattordici) ma quello dei dipendenti previsti in organico (sessanta unità).
In particolare, la Corte dei Conti rimprovera agli incolpati:
a) la “illegittimità finanziaria” del criterio adottato in sede integrativa, che ha prodotto un “maggiore e ingiustificato aggravio per l’ente” non rispettando le modalità di costituzione del Fondo previste dal contratto nazionale ancora, secondo la Corte, al personale in servizio;
b) “il mancato apprestamento di talune indispensabili misure di accorta cautela, quale, prima fra tutte la espressa richiesta all’Aran di fruire di assistenza alla contrattazione decentrata integrativa, ai sensi dell’art. 46, comma 1, d.lg. 165”150.
Altra problematica di matrice giurisprudenziale è quella relativa all’interpretazione del contratto collettivo integrativo.
Sul punto, si è espressa la Corte di Cassazione che, nel tempo, ha consolidato un orientamento giusta il quale “in caso di contratto collettivo integrativo non è consentito alla Suprema Corte procedere ad un’interpretazione diretta della clausola contrattuale denunciata. Ciò in quanto l’attuale formulazione dell’art. 360 codice di procedura civile prevede la possibilità della denuncia della violazione o falsa applicazione dei contratti
149 Ibidem.
150 Corte dei Conti, sez. Trentino Alto Adige, sent. n. 6 del 12 febbraio 2007.
xxxxxxxxxx, ma riguarda esclusivamente i contratti nazionali di lavoro. Quindi, l’interpretazione del contratto collettivo integrativo è rimasta riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria alla logica oppure incongrua”151; ed invero, in tal senso si è espressa anche la più recente giurisprudenza affermando che “i contratti integrativi, attivati dalle amministrazioni sulle singole materie e nei limiti stabiliti dal contratto nazionale, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, hanno una dimensione di carattere decentrato rispetto ai comparto, con la conseguenza che la loro interpretazione è riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizio di motivazione, nei limiti fissati dall'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione temporis”152.
Dall’analisi della giurisprudenza in materia, è possibile dedurre come la disciplina inerente la contrattazione collettiva integrativa, seppur non del tutto recente, è ancora in una fase di assestamento soprattutto con riguardo alle specifiche attribuzioni; il dato certo è quello relativo all’ampio potere giurisdizionale, anche della Corte dei Conti, finalizzato precipuamente a correggere eventuali sconfinamenti in sede decentrata.
151 Cass. Civ., sez. lav., sent. n. 27062 del 3 dicembre 2013.
152 Cass. Civ., sez. lav., sent. n. 2979 del 8 febbraio 2021.
CAPITOLO III
PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE DEL CONTRATTO COLLETTIVO NEL PUBBLICO IMPIEGO
1. Soggetti coinvolti nella contrattazione collettiva.
Nel presente capitolo verrà approfondito il procedimento di formazione del contratto collettivo di comparto, anche con riferimento ai contratti integrativi, relativamente al settore pubblico impiego; a tal riguardo, è opportuno partire dall’analisi dei soggetti che vengono coinvolti nella fase negoziale.
Come visto sino ad ora, la contrattazione collettiva nel settore pubblico è stata oggetto di numerose riforme che hanno, in sostanza, stravolto i caratteri fondativi della prima fase della privatizzazione.
Similmente, anche il sistema delle relazioni sindacali, tanto nel settore pubblico che in quello privato, ha subito gli effetti di un rinnovato unilateralismo che ha posto duramente in discussione il modello di mediazione sociale sino ad ora esistente.
A tale processo di assoggettamento a continue riforme della disciplina, ha tuttavia fatto seguito, una recente ed ulteriore correzione del sistema.
Sembra, però, scomparsa la protezione strutturale, anche con riferimento al settore sindacale, di cui ha goduto il pubblico impiego come soggetto c.d. di diritto speciale.
Ed invero, con riferimento alle relazioni sindacali, è divenuto meno potente il potere di mediazione sociale delle organizzazioni sindacali, che ha conosciuto un drastico ridimensionamento dopo quanto accaduto nell’ultimo decennio del secolo.
Infine, la stessa struttura della contrattazione collettiva, tuttora ordinata sul modello bipolare formalizzato nell’Accordo sulla politica dei redditi del 1993 (e ribadito con l’accordo disgiunto del 22 gennaio 2009), sembra richiedere qualche aggiustamento, quanto meno per verificare competenza e contenuti della contrattazione integrativa, sistematicamente sviata dagli obiettivi che normativamente le sono imposti; in particolare