Prof. Incaricato di diritto dei contratti pubblici UDA - Pescara
Studio Legale
Avv. Xxxx. XXXXXXX XXXXXXX XXXXXXXX
Prof. Incaricato di diritto dei contratti pubblici XXX - Xxxxxxx
Xxx Xxxxxxx x Xxxxxxxxxx 00 – 00000 Xxxxxxx 08567199 -
I dilemmi legislativi della ricostruzione post-sismica in Abruzzo: la pericolosa prevalenza delle questioni formali sulle esigenze sostanziali.
Sommario
1. “IMMOTA MANET” 1
2. L’ART. 32, LETT. D) DEL D.LGS. N. 163/2006 5
3. La carenza del profilo funzionale. L’appalto pubblico deve essere strumentale alla soddisfazione diretta di un interesse economico dell’Amministrazione 7
4. L’allegato I al D.LGs. n. 163/2006 e la classificazione NACE. Il
PROBLEMA DELL’ECCESSO DI DELEGA 10
5. Sulla distinzione fra sovvenzione e contributo. L’erogazione di cui all’art. 3, del DL 39/2009 è un “aiuto di Stato” ed assolve una funzione esclusivamente risarcitoria 15
6. Sugli aiuti di Stato 17
1. “Immota manet”.
“Immota Manet”; è questo l’inciso che campeggia sul gonfalone della città di L’Aquila. Il suo significato, a prescindere dalla traduzione letterale, è da sempre controverso ed oggi sembrerebbe prestarsi, purtroppo, ad assumere quello più nefasto adattandosi a rappresentare la situazione in cui versa l’apparato pubblico-amministrativo chiamato a fronteggiare la difficile opera di ricostruzione di quella parte del territorio abruzzese colpito dal drammatico evento sismico dell’aprile 20091.
1 Non risulta facile dare un'interpretazione a questo motto che campeggia sullo stemma della città dell'Aquila da almeno 6 secoli soprattutto se lo si considera alla luce del trigamma "PHS" a cui ancor oggi si tenta dare una spiegazione. Il motto “Immota manet” di per sè significa “Resta ferma, ben salda” ed alla luce dei tanti terremoti (1315 - 1349 - 1456- 1461 - 1498 - 1646 - 1702 - 1703 - 1796 - 1813 - 1958 - 2009) che hanno colpito e spesso distrutta questa città potrebbe intendersi il
La ricostruzione dei territori è , come noto, disciplinata dalla L. n. 77/2009 di
"Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 aprile 2009,
n. 39, recante interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile".
Fra le esigenze più pressanti vi era (e purtroppo vi è) quella della ricostruzione e/o ristrutturazione degli immobili di proprietà privata danneggiati dal Sisma. L’art. 3 del citato D.L. 39/2009 si preoccupa della questione disponendo, fra l’altro, che: "1. Per soddisfare le esigenze delle popolazioni colpite dal sisma del 6 aprile 2009 nei territori individuati ai sensi dell'articolo 1 sono disposti, al netto di eventuali risarcimenti assicurativi: a) la concessione di contributi a fondo perduto2 anche con le modalita', su base volontaria, del credito d'imposta e, sempre su base volontaria, di finanziamenti agevolati garantiti dallo Stato, per la ricostruzione o riparazione di immobili adibiti ad abitazione considerata principale ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, distrutti, dichiarati inagibili o danneggiati ovvero per l'acquisto di nuove abitazioni sostitutive dell'abitazione principale distrutta. Il contributo di cui alla presente lettera e' determinato in ogni caso in modo tale da coprire integralmente le spese occorrenti per la riparazione, la ricostruzione o l'acquisto di un alloggio equivalente. L'equivalenza e' attestata secondo le disposizioni dell'autorita' comunale, tenendo conto dell'adeguamento igienico-sanitario e della massima riduzione del rischio sismico. Nel caso di ricostruzione, l'intervento e' da realizzare nell'ambito dello stesso comune.".
La norma in esame prevede, dunque, lo stanziamento di provvidenze statali per la ricostruzione delle abitazioni private danneggiate dal Sisma purchè sussistano le seguenti condizioni:
xxxxxxxxx e la capacità dei suoi abitanti di risorgere dalla distruzione e dalle macerie, ma il "PHS" resta comunque un vero mistero. In mancanza di argomenti validi per sostenere una versione a scapito delle altre mi limito ad elencare le varie interpretazioni lasciando ad ognuno libertà di scelta. "Immota Pubblica Hic Salus manet" o anche nella versione "Immota Pubblica His Salus manet": Resta salda a difesa del pubblico interesse. Altri considerano il trigramma un errore di trascrizione del noto IHS "Iesus Hominum Salvator" (=Xxxx Xxxxxxxxx degli Uomini) di xxx Xxxxxxxxxx xx Xxxxx riportato sullo stemma per onorare il santo che in questa città morì nel maggio del 1440 e pertanto l'interpretazione sarebbe "Immota Per Hoc Signum manet" : Resta salda grazie a questo segno.
2 L’inciso “a fondo perduto” è stato introdotto in sede di conversione del DL, con l’approvazione dell’emendamento del Governo n. 3.500 e del subemendamento del relatore 3.500/100.
- Gli immobili siano adibiti ad abitazione principale;
- Gli immobili siano distrutti o dichiarati inagibili (a causa della calamità).
Si tratta delle medesime condizioni (oggettive e soggettive) richieste (ex art. 2 DL 39/99) per l’assegnazione di alloggi provvisori.
La previsione s’inquadra e giustifica (e non potrebbe essere diversamente) con la logica emergenziale che, peraltro, ispira l’intero provvedimento normativo volto a garantire, con distinte azioni unitariamente avvinte al vincolo funzionale di cui sopra, che i soggetti danneggiati dal Sisma: a) siano ospitati in nuove abitazioni durevoli; b) siano ammessi alla concessione di contributi per la ricostruzione o la riparazione degli immobili che sono la loro abitazione principale.
L’applicazione della disposizione normativa ha presentato, comunque, problematiche applicative di particolare complessità non chiarendo, ad esempio il destino delle unità fondiarie su cui si trovavano le abitazioni distrutte i cui proprietari abbiano optato per le abitazioni sostitutive; né affrontando il nodo di edifici plurifamiliari distrutti i cui proprietari abbiano optato per soluzioni divergenti, gli uni per la ricostruzione in loco, gli altri per l’acquisto di nuove abitazioni sostitutive.
In questo difficile contesto, volto a garantire una corretta attuazione delle norme emergenziali, s’inquadra anche quella (oggetto dell’odierno approfondimento) relativa alla verifica se i lavori di ricostruzione/ristrutturazione delle abitazioni private, che beneficino delle provvigioni statali, debbano o meno essere inquadrati come appalti pubblici di lavori e/o opere ed in quanto tali assoggettati alle procedure di evidenza pubblica di cui al D. Lgs. n. 163/2006. La questione è stata posta con riferimento alla lettura della norma “interna” recata dall’art. 32, lett. d) del citato D.Lgs. n. 163/2006 che colloca nell’ambito dei contratti soggetti alle procedure di evidenza pubblica anche: “lavori, affidati da soggetti privati, di cui all'allegato I, nonché lavori di edilizia relativi ad ospedali, impianti sportivi, ricreativi e per il tempo libero, edifici scolastici e universitari, edifici destinati a funzioni pubbliche amministrative, di importo superiore a un milione di euro, per la cui realizzazione sia previsto, da parte dei soggetti di cui alla lettera a), un contributo diretto e specifico, in conto interessi o in
conto capitale che, attualizzato, superi il 50 per cento dell'importo dei lavori.”.
Oltre al citato profilo di natura formale, l’applicazione dell’art. 32, lett. d) andrebbe a prevenire, tramite appunto l’esperimento delle procedure di evidenza pubblica, il “rischio di un accaparramento di appalti in pochi soggetti”3 peraltro senza alcuna certezza in ordine alla loro affidabilità morale e tecnica.
Inutile nascondere che sotto le ceneri del dibattito si nascondono aspettative di una rivisitazione (l’ennesima) del quadro normativo di riferimento in materia di contratti pubblici che, cavalcando l’onda dell’emergenza tendono ad indebolire i già deboli “lacci” posti alle procedure semplificate. In quest’ottica va collocata la proposta (della Commissione Lavori pubblici del Senato4) di un ampliamento dell’ambito di operatività della procedura negoziata semplificata per gli appalti sotto-soglia di cui all’art. 122 del D.Lgs. n. 163/2006 ovvero la proposta della estensione alla soglia di cinque milioni di Euro (rispetto all’attuale 1 milione di Euro) del finanziamento pubblico per l’assoggettamento alle procedure di evidenza pubblica della selezione dell’appaltatore nel caso di lavori affidati dai privati di cui al già citato art. 32, lett. d). Il rischio è in definitiva che l’intervento normativo pro – sisma sia la causa di un (ulteriore) inabissamento della concorrenza (sotto il profilo della trasparenza dell’operato della p.a).
Le Istituzioni competenti (Regione e Comune) sembrano privilegiare la tesi che l’affidamento dei lavori di ricostruzione non possa che avvenire mediante l’esperimento di procedure di evidenza pubblica di cui al D.Lgs. n. 163/2006 in quanto (sotto l’aspetto giuridico) si tratterebbe di lavori “sovvenzionati” con provvidenze pubbliche per il 100% del loro importo, mentre (sotto l’aspetto sostanziale) così facendo si porrebbe un serio baluardo al rischio di infiltrazioni malavitose nell’acquisizione delle commesse (quello che è stato metaforicamente definito come “l’assalto alla diligenza”5).
3 Così il Presidente della Regione Abruzzo nonché Commissario Delegato in Ed e Territorio n. 30 del 2-7 agosto 2010.
4 Si veda Ed e Terr 28/2010 e 30/2010
5 Ed e Terr. 2-7 agosto 2010 pag 3.
L’effetto paradossale cui conduce detta prospettazione è che, con essa, si rischia di creare più problemi di quanti non se ne risolvano, costringendo il soggetto privato (già sufficientemente provato dall’evento calamitoso) a fronteggiare le difficoltà connesse all’esperimento di una procedura di evidenza pubblica della quale rischia di non avere alcuna esperienza in materia (anzi nella maggior parte dei casi non ha esperienza in materia). Di contro, forse proprio per le difficoltà dianzi evidenziate, la necessità di una gara aprirebbe un mercato parallelo di “consulenti” (più o meno istituzionalizzati) che a fronte di proventi ed incentivi vari, potrebbe proporsi di gestire dette procedure. Il rischio è, per il privato, evidentemente anche maggiore rispetto a quella che soffrirebbe rispetto (al pur deprecabile) appalto di lavori ad imprese “poco affidabili” al quale è possibile ovviare con operazione di minore complessità rispetto a quelle poste in essere.
In quest’ottica sembrano muoversi i tentativi delle white list e del ricorso alla centrale di committenza unica regionale; tuttavia si tratta di espedienti che, a prescindere dalla loro efficacia, rifuggono dal problema serio e vero sollevato dalla vicenda ossia che le sovvenzioni pubbliche stanziate per la ricostruzione degli immobili privati danneggiati e/o distrutti dal sisma non sono in grado, da sole, di integrare la fattispecie di cui all’art. 32, lett. d) del Codice dei Contratti.
Se questo è il problema sembra trovare qui giusta collocazione la famosa frase del giurista tedesco von Xxxxxxxxx, secondo cui “il diritto non è una scienza, dal momento che bastano «tre parole di rettifica del legislatore» perché «intere biblioteche diventino carta straccia”6, il che se da un lato mette anche in risalto la forza del potere legislativo, dall’altro evidenzia che tutte le volte in cui la legge non tuteli le esigenze della collettività, che ne deve fare uso, essa perde inevitabilmente valore.
2. L’ART. 32, LETT. D) DEL D.LGS. N. 163/2006
6 Von Xxxxxxxxx, X.-X., Die Wertlosigkeit der Jurisprudenz als Wissenschaft. citato dall’avvocato generale Xxxxxx Xxxx-Xxxxxx Xxxxxxx nelle proprie conclusione relative alla Causa C 337/2006.
È possibile procedere, dunque, al tentativo di ricostruire la vicenda sotto il profilo normativo. Ciò impone prioritariamente la disamina della ratio sottesa alla norma di cui all’art. 32, lett. d) del D.Lgs. n. 163/2006, quindi la disamina della natura e ratio delle sovvenzioni di cui all’art. 3 DL 39/2009 per poi procedere, infine, ad un raffronto fra le due fattispecie.
L’art. 32 del Codice dei contratti alla lett d) prevede l’assoggettamento a procedure di evidenza pubblica dei: “lavori, affidati da soggetti privati, di cui all'allegato I, nonché lavori di edilizia relativi ad ospedali, impianti sportivi, ricreativi e per il tempo libero, edifici scolastici e universitari, edifici destinati a funzioni pubbliche amministrative, di importo superiore a un milione di euro, per la cui realizzazione sia previsto, da parte dei soggetti di cui alla lettera a), un contributo diretto e specifico, in conto interessi o in conto capitale che, attualizzato, superi il 50 per cento dell'importo dei lavori.”.
Nulla quaestio circa l’asservimento alla funzione pubblica dei lavori diretti alla realizzazione di ospedali, scuole e le altre strutture specificatamente indicate dalla legge, tuttavia (ed è qui, presumibilmente, il problema) il primo capoverso del citato art. 32, lett. d) estende l’ambito di applicazione delle regole dell’evidenza pubblica anche ai lavori individuati nell’Allegato I al D.Lgs. n. 163/2006, qualora essi siano d’importo superiore al milione di Euro, e risultino sovvenzionati con provvigioni pubbliche e sempre che il finanziamento superi il 50% del costo dell’intervento.
L’allegato I contiene la specifica indicazione di una serie di lavori classificati in base alla nomenclatura NACE7 (si tratta di una classificazione di natura statica diretta a ricondurre a denominazioni comuni a livello europeo le diverse attività di natura economica come avviene, ad esempio, con i Codici CPV e CPC).
Non si tratta di una novità assoluta del Codice visto che già il D.Lgs. n. 406/1991 (di recepimento della Direttiva 89/440) nonché la successiva Legge n. 109/1994 esibivano una disposizione di analogo contenuto; tuttavia l’allegato richiamato dall’art. 32 lett. d)) ha una portata assai più
7 Dal francese Nomenclature statistique des activités économiques dans la Communauté européenne. ATECO rappresenta la traduzione italiana della Nomenclatura delle Attività Economiche (NACE). Attualmente è in uso la versione ATECO 2007, entrata in vigore dal 1º gennaio 2008, che sostituisce la precedente ATECO 2002, adottata nel 2002 ad aggiornamento della ATECO 1991.
estesa rispetto agli allegati precedenti richiamando una pluralità di lavorazioni che, seppur genericamente ricomprese nella “divisione 45” del codice NACE (in sintesi le cd “Costruzioni”) non sembrerebbero potersi ricondurre semplicemente alla categoria delle opere di “genio civile” alle quali limitavano il proprio ambito i provvedimenti previgenti.
Lo scenario di fondo propone, dunque, due questioni prioritarie da affrontare: la primo riguarda sicuramente la perimetrazione dell’ambito di operatività della disposizione normativa alla luce di quanto prescritto dall’allegato I.
La seconda questione impone, invece, la disamina della natura del contributo a fondo perduto di cui all’art. 3 del DL 39/2009 ed in particolare se esso debba configurarsi come vero e proprio “contributo” ovvero come un “indennizzo” e/o “sovvenzione” con le evidenti implicazioni che: nel primo caso potrebbe configurarsi l’esistenza di un affidamento del tipo di quello previsto dalla lett. d) dell’art. 32, diversamente da quanto avverrebbe con la seconda soluzione.
3. La carenza del profilo funzionale. L’appalto pubblico deve essere strumentale alla soddisfazione diretta di un interesse economico dell’Amministrazione
In generale le norme del Codice dei contratti pubblici, confermando una tendenza invalsa da tempo presso il legislatore italiano, nel delimitare il proprio ambito di operatività sembrerebbe concedere poca importanza al profilo soggettivo, attraendo nell’ambito pubblicistico fattispecie nelle quali il ruolo di stazione appaltante è rivestito da un soggetto privato (altro soggetto aggiudicatore) facendo leva sul profilo oggettivo della funzionalizzazione al pubblico interesse dei lavori finanziati. Così facendo la normativa intende preservare gli interessi della tutela della concorrenza e dell’interesse all’efficienza nell’uso delle risorse destinate alla realizzazione di opere di rilevanza generale.
7
In proposito si è precisato che: “se, per un verso, con l’attribuzione di denaro pubblico si affida al privato di provvedere all’esecuzione di un compito o munus pubblico…per altro verso, questi, sia pure sulla base di una sua volontaria determinazione, partecipa della funzione pubblica ed acquisisce, in una qualche misurala natura di Ufficio pubblico, ancorchè non
strutturato nell’apparato istituzionale (Cons. St., Sez. V, sent. 31/10/2000, n. 5894).
Del pari si è altresì considerato che “l’attribuzione di pubblico denaro a soggetti privati, che non sia eseguita nell’adempimento di una obbligazione meramente civilistica, rappresenta in ogni caso una delle modalità seguite dal legislatore per affidare la realizzazione di un determinato interesse pubblico” (Cons. St., Sez. V, sent. 31/10/2000, n. 5894).
Alla luce di quanto sopra, dunque, l’art. 32 lett. d), estendendo alle commesse dei soggetti privati sovvenzionati, le regole dell’evidenza pubblica, si prefigge di tutelare l’interesse pubblico sotteso alla realizzazione dei lavori sovvenzionati.
È tuttavia necessario ricordare come la norma s’inquadri nell’ambito della disciplina degli appalti pubblici e, pertanto, l’interesse pubblico al quale il contratto si lega, presenta connotati del tutto peculiari.
Il punto merita un approfondimento.
Occorre prendere atto che nella impostazione comunitaria la nozione di “appalto pubblico di lavori” è, effettivamente, svincolata dall’uso al quale l’opera viene destinata. La Corte di Giustizia CE, ad esempio, ha già statuito che “tale nozione non comprende solo gli appalti che hanno il compito di soddisfare bisogni di interesse generale così come ha ritenuto irrilevante l’intenzione dell’amministrazione aggiudicatrice di adibire l’opera realizzanda ad uso proprio, ovvero di renderla accessibile alla collettività o a singoli terzi interessati. ( Sentenza 15 gennaio 1998, causa X-00/00, Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxx e a. (Racc. pag. I-73, punto 32); nello stesso senso, sentenze 18 novembre 2004, causa C-126/03, Commissione/Germania (Racc. pag. I-11197, punto 18) e 11 gennaio 2005, causa X-00/00, Xxxxx Xxxxx x XXX Xxxxxx (Racc. pag. I-1, punto 26).
Tuttavia la soddisfazione di un pubblico interesse è un elemento indefettibile dell’azione della p.a.
In particolare si è affermato che “…la nozione di «appalti pubblici di lavori», ai sensi dell’art. 1, n. 2, lett. b), della direttiva 2004/18, non esige che i lavori oggetto dell’appalto siano eseguiti materialmente o fisicamente per l’amministrazione aggiudicatrice, ove tali lavori siano eseguiti nell’interesse
economico diretto di tale amministrazione.”. (Corte di Giustizia UE, sent 25/03/2010 C. 451-08, par. 54).
Il profilo pubblicistico dell’appalto è, dunque, soddisfatto con la realizzazione di un “interesse economico diretto” dell’Amministrazione aggiudicatrice; non, dunque, un qualunque interesse pubblico (come potrebbe essere, ad esempio, quello “sociale” al conferimento di un alloggio), ma un interesse suscettivo di esprimere una diretta valenza economica quale corrispettivo del pagamento effettuato.
Detto interesse economico è chiaramente riscontrabile nel caso in cui l’amministrazione aggiudicatrice abbia la proprietà ovvero la disponibilità dei lavori o dell’opera oggetto dell’appalto, (v., in tal senso, sentenza 12/07/2001, causa C-399/98 Ordine degli Architetti e a., cit., punti 67, 71 e
77) ovvero, ancora, (l’interesse economico è riscontrabile) nei vantaggi economici che l’amministrazione aggiudicatrice potrà trarre dal futuro utilizzo o dalla futura cessione dell’opera, o nei rischi che essa assume in caso di fallimento economico dell’opera (v., in tal senso sent 18/01/2007, causa C-220/05, sentenza Xxxxxx e a., punti 13, 17, 18 e 45).
Nel caso di specie occorrerebbe, dunque, verificare se la mera sovvenzione pubblica dei lavori di ristrutturazione e/o ricostruzione degli immobili, di proprietà privata e destinati all’uso privato, che siano stati danneggiati dal Sisma (è questo l’oggetto dell’appalto del privato), sia da sola in grado di soddisfare direttamente un interesse economico della p.a. Non è certo in discussione il fatto che l’operazione complessivamente considerata sia strumentale alla soddisfazione di interessi pubblici, ma ciò che occorre valutare e se i lavori siano in grado di soddisfare direttamente un “interesse suscettivo di valutazione economica della p.a.”.
Ai sensi dell’art. 3 della Legge 77/2009 (di conversione del DL 39/2009) si precisa che l’intervento pubblico è volto a “soddisfare le esigenze delle popolazioni colpite dal sisma del 6 aprile 2009 nei territori individuati ai sensi dell’articolo 1.”. È chiaro, dunque, che l’interesse pubblico perseguito risiede nel generale sostentamento (anche) economico delle popolazioni danneggiate dal Sisma nel cui ambito s’inquadra, ovviamente, anche l’esigenza di ristrutturare gli immobili privati. Tuttavia, ed è questo il punto, l’esercizio di detta potestà pubblica, strumentale al raggiungimento del
predetto interesse generale, sembra non sottintendere la soddisfazione per la p.a. di un interesse suscettivo di diretta valutazione economica proprio per la sua connotazione emergenziale.
Come noto la causa del contratto si identifica con la funzione economico- sociale che il negozio obiettivamente persegue e che il diritto riconosce rilevante ai fini della tutela apprestata. Essa è ontologicamente distinta dallo scopo particolare che ciascuna delle parti persegue, rappresentando lo scopo obiettivo del negozio.
D’altra parte l’onerosità di un contratto “si riferisce alla controprestazione erogata all’imprenditore a motivo della realizzazione delle opere previste dall’amministrazione aggiudicatrice” (Corte di Giustizia CE 18/01/2007 C_220/05, punto 45) e nel caso di specie l’unica corrispettività è quella fra il privato proprietario dell’immobile e l’appaltatore e non certo fra quest’ultimo e l’Ente pubblico.
In conclusione i lavori affidati dai privati ai sensi dell’art. 3 del Dl 39/2009 non sembrano in alcun modo riconducibili alla fattispecie dell’appalto (anche di quella di cui alla lett. d) dell’art. 32) in quanto il contratto stipulato fra il privato e l’appaltatore non soddisfa alcun interesse economico della p.a., quanto meno in forma diretta.
4. L’allegato I al D.LGs. n. 163/2006 e la classificazione NACE. Il problema dell’eccesso di delega
Non è possibile cogliere appieno la portata dell’art. 32, lett. d) del D.Lgs. n. 163/2006 senza esaminarne l’evoluzione storica prendendo le mosse dal D.Lgs. n. 406/1991 (di recepimento della Direttiva 89/440/CEE) il cui art. 3 già presentava una disposizione analoga a quella in esame . In particolare la norma (oggi abrogata dall’art. 256 del D.Lgs. n. 163/2006) prevedeva che: “Le disposizioni del presente decreto si applicano altresì agli enti e soggetti, diversi dalle amministrazioni aggiudicatrici, per gli affidamenti dei lavori di cui al comma 2, qualora tali lavori abbiano ricevuto una sovvenzione, diretta o specifica, o un contributo, in misura superiore al cinquanta per cento del relativo importo da parte delle stesse amministrazioni aggiudicatrici.”. Essa trovava applicazione solamente “per i
lavori di genio civile indicati nell'allegato A), nonché per i lavori edili relativi ad ospedali, impianti sportivi, ricreativi e per il tempo libero, edifici scolastici e universitari, edifici destinati a scopi amministrativi, sempreché l'importo non sia inferiore a quello indicato nell'articolo 1.”.
Dal confronto fra il testo del D.Lgs. n. 406/1991(la cui formulazione è simile
– per quanto di interesse - a quella di cui all’art. 2 della L. n. 109/1994) e quello di cui all’art. 32, lett. d) del D.Lgs. n. 163/2006 emerge una prima sostanziale differenza proprio in ordine all’estensione del loro ambito di operatività. Difatti l’art. 3 del D.Lgs. n. 406/1991, pur recando un esplicito rinvio all’Allegato A, definisce i lavori ivi contenuti come lavori di “genio civile” (conformemente a quanto previsto anche nell’art. 1 bis della Direttiva CEE 71/305 come modificata dalla Direttiva CEE 89/440), mentre questo riferimento non è presente nella formulazione di cui all’art. 32, lett. d) del D.LGS. n. 163/2006. La menzionata circostanza impone di verificare se alla modifica formale del testo segua anche una sostanziale modifica dell’ambito oggettivo della sua operatività ed in particolare occorrerà verificare se la norma, pur nelle sue successive versioni, continui ad applicarsi alle sole opere di genio civile (oltre alle tipologie singolarmente indicate quali: edifici scolastici, universitari ecc) ovvero abbia esteso il proprio ambito oggettivo di operatività. L’accertamento ha una grande importanza ai fini della disamina del caso di specie considerato che i lavori di ricostruzione di immobili di proprietà privata non sono in alcun modo riconducibili alla categoria dei “lavori di genio civile” (né, tantomeno, alle categorie di opere specificatamente indicate nella parte residua della norma).
È di tutta evidenza che un lavoro non può ritenersi pubblico per il sol fatto che sia stato sovvenzionato con “fondi pubblici”; il finanziamento assolve sicuramente una funzione pubblica, ma non per questo conferisce automaticamente una strumentalità all’uso pubblico dei lavori realizzati (come avviene nel caso di specie nel quale gli immobili sono e resteranno di proprietà privata). In merito si è sottolineato che: “…la natura dell'opera non può essere trasformata da privata in pubblica per il solo fatto che lo Stato sia intervenuto apprestando contributi o agevolazioni finanziarie e, conseguentemente, imponendo ai beneficiari determinate cautele
procedimentali nell'affidamento dei lavori, poichè finanziamenti e cautele non danno vita ad una disciplina autoritativa delle attività che il beneficiario intende svolgere, nè creano una riserva esclusiva della medesima a soggetti pubblici, ma sono dettate nell'esclusivo interesse dell'amministrazione e sanzionate, nel caso di inosservanza, con la revoca della sovvenzione o del contributo.” (T.A.R. Lazio Sez. III, 17 novembre 1994, n. 1973 con riferimento all’art. 3 comma 3 d.lg. 19 dicembre 1991 n.
406).
Che l’ambito di operatività della previsione normativa fosse (almeno in origine) circoscritta ai soli lavori ed opere di “genio civile” trova conferma anche nella normativa comunitaria ed in particolare nella Direttiva Ce/18/2004 il cui articolo 8 (peraltro conformemente a quanto prescritto dall’art. 1 bis della Direttiva 71/305) estende l’applicazione delle norme anche agli appalti privati sovvenzionati dalle Amministrazioni pubbliche quando “tali appalti riguardano i lavori di genio civile definiti nell'allegato I;”. In definitiva, dunque, sia il quadro normativo pregresso al Codice dei Contratti che il (vigente) quadro normativo comunitario limitavano e limitano l’assoggettamento alle procedure di evidenza pubblica degli appalti di soggetti privati ai soli casi in cui i lavori finanziati siano configurabili come lavori e/o opere di genio civile (oltre alle specifiche ulteriori tipologie indicate dalla norma di legge).
Orbene l’allegato I al D.Lgs. n. 163/2006 richiama le attività della Sezione F (Costruzioni) dei Codici Nace identificate con i numeri 45.1; 45. 2 e 45.3. In particolare fra le lavorazioni del gruppo 45.2 (Costruzione completa o parziale di edifici; genio civile) sono comprese non solo le opere di Genio civile, ma anche i “lavori di costruzione o edili di qualsiasi tipo” nell’ambito dei quali possono ritenersi ricompresi, quanto meno sotto un profilo oggettivo, i lavori di ricostruzione di cui all’art. 3, Dl 39/2009. Alle medesime conclusioni si perviene ove si sposti l’analisi delle lavorazioni sui Codici CPV in quanto la categoria 45.21 (richiamata dall’Allegato I al Codice dei contratti) comprende le opere di Xxxxx civile ed i lavori edili di qualsiasi tipo. In sostanza, proprio dall’analisi dell’Allegato I al D.Lgs. n. 163/2006, sembrerebbe emergere un ambito oggettivo di applicazione della normativa
in tema di contratti pubblici sicuramente più estesa rispetto alla normativa previgente interna e comunitaria.
Il confronto fra il testo comunitario e quello (apparentemente più ampio) statale, impone alcune considerazioni in ordine alla legittimità di quest’ultimo con riferimento ai contenuti della delega legislativa.
Occorre ricordare che l’art. 25 della L. n. 62/2005 delegava il Governo “…ad adottare, con le modalità di cui all'articolo 1, uno o più decreti legislativi volti a definire un quadro normativo finalizzato al recepimento della direttiva 2004/17/CE del 31 marzo 2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, e della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) compilazione di un unico testo normativo recante le disposizioni legislative in materia di procedure di appalto disciplinate dalle due direttive coordinando anche le altre disposizioni in vigore nel rispetto dei princìpi del Trattato istitutivo dell'Unione europea;…”.
Il Consiglio di Stato – Sezione consultiva per gli atti normativi8, ha chiarito la portata della delega in questione e, pur riconoscendone una potenzialità innovativa (giustificata dalla necessità di adeguare il quadro normativo all’epoca vigente - ossia la legge 109/1994 - alle nuove Direttive comunitarie) precisa che: “le linee direttrici dell’intervento, e quindi i suoi limiti, vanno evidentemente individuati nei criteri dettati dalla norma. Il primo deriva direttamente dalla necessità di adeguare l’ordinamento italiano ad una consistente riforma dell’ordinamento comunitario (lett. a). La direttiva n. 2004/18, in particolare, si sostituisce a tre precedenti direttive, che distinguevano i settori dei lavori, dei servizi e delle forniture, e costruisce un procedimento unitario di appalto in luogo dei tre diversi procedimenti precedenti. Il criterio va letto unitamente all’oggetto stesso della delega (“quadro normativo finalizzato al recepimento delle direttive ...”) e in tal modo emerge come criterio cardine. Se il legislatore precedente,
8 Adunanza del 6 febbraio 2006 - n.sezione 355/06.
infatti, utilizzando i margini di discrezionalità lasciati dalla disciplina comunitaria, aveva compiuto alcune scelte (si pensi alle soluzioni della legge n. 109 del 1994 sull’appalto integrato e sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa), alla stregua di valori e problemi diversi da quello della concorrenza, il legislatore delegante si concentra sul recepimento delle nuove direttive.”. In sintesi, pur premessa la portata sostanzialmente innovativa delle delega legislativa, il Supremo Consesso ne circoscrive la portata nei limiti della conformazione dell'assetto previgente alla normativa comunitaria.
Considerando, come visto sopra, che la legge 109/1994 limitava l’estensione, ai privati, delle regole di evidenza pubblica (per quanto di interesse in questa sede) al solo caso in cui i lavori finanziati fossero riconducibili alle categoria delle opere e/o lavori di genio civile (oltre alle ulteriori categorie specificate dall’art. 29) e dunque fosse perfettamente coerente con la vigente normativa comunitaria dettata dalla Direttiva Ce/18/2004, appare evidente che l’ampliamento operato con l’art. 32, lett. d), volto a giustificare l’applicazione delle procedure di evidenza pubbliche a qualunque lavoro privato sovvenzionato (anche nel caso in cui non fosse classificabile come opera e/o lavoro di genio civile) fosse ultronea rispetto alla (pur ampia) delega conferita dal legislatore e denoti, peraltro, che, per la normativa comunitaria detti lavori non erano e non sono riconducibili alla fattispecie dell’appalto pubblico.
Delle due l’una: o si ritiene che le norme di cui all’art. 32, lett. d) del D.Lgs.
n. 163/2006 siano applicabili, in conformità alle norme comunitarie, ai soli lavori e/o opere di genio civile (oltre alle categorie singolarmente individuate) o la norma presenterebbe un contenuto evidentemente innovativo rispetto al previgente quadro normativo, anche comunitario, (illegittimamente) estendendo a qualunque lavoro edile anche se non
9 Prevedeva l’art. 2, comma 2. Lett. c) della L. n. 109/1994 l’applicazione delle norme in materie di aggiudicazione anche ai: “…ai soggetti privati, relativamente a lavori di cui all'allegato A del decreto legislativo 19 dicembre 1991, n. 406, nonché ai lavori civili relativi ad ospedali, impianti sportivi, ricreativi e per il tempo libero, edifici scolastici ed universitari, edifici destinati a funzioni pubbliche amministrative, di importo superiore a 1 milione di euro, per la cui realizzazione sia previsto, da parte dei soggetti di cui alla lettera a), un contributo diretto e specifico, in conto interessi o in conto capitale che, attualizzato, superi il 50 per cento dell'importo dei lavori; ai predetti soggetti non si applicano gli articoli 7, 14, 19, commi 2 e 2-bis, 27, 32 e 33 della presente legge.”
riconducibile alla categoria delle opere e/o dei lavori di genio civile, la normativa pubblicistica in tema di appalti.
In quest’ultimo caso si porrebbe un evidente problema di legittimità della disposizione, non tanto rispetto al vigente ordinamento comunitario, ma per la sua discrasia rispetto ai contenuti della delega legislativa, apparendo dubbio che essa possa legittimarsi in virtù del richiamo al mero “coordinamento” di cui alla lett. a) dell’art. 25 della legge n. 62 del 2005, o che in tale norma possa ravvisarsi una portata di semplificazione.
5. Sulla distinzione fra sovvenzione e contributo. L’erogazione
di cui all’art. 3, del DL 39/2009 è un “aiuto di Stato” ed assolve una funzione esclusivamente risarcitoria
Prima di procedere ala disamina della natura dell’erogazione statale pubblica di cui all’art. 32, lett. d) del Codice dei contratti è necessario, anche in questo caso, un breve cenno all’evoluzione storica della disciplina. Difatti mentre il D.Lgs. n. 406/1991 faceva menzione delle modalità dell’erogazione del “contributo” e della “sovvenzione”10, già nella legge 109/1994 il riferimento era circoscritto al solo “contributo diretto e specifico in conto capitale ed interessi”. Tale è rimasta la previsione normativa nel D.Lgs. n. 163/2006.
In verità “sovvenzione” e “contributo” non sono termini fungibili ma sottintendono fenomeni distinti.
In particolare l’erogazione di un contributo presuppone che l’Ente erogante verifichi non solo le condizioni di ammissibilità, ma anche le performance del beneficiario; al contrario per la sovvenzione quest’ultimo controllo sulla performance non è richiesto cosicchè, una volta accertato il possesso in capo al candidato dei requisiti occorrenti per l’ammissione al beneficio non sarà necessario più alcun controllo da parte dell’ente erogante.
A scanso di equivoci è bene precisare che per controllo sulle performance s’intende non semplicemente la rispondenza della spesa effettuata alla soddisfazione di un interesse pubblico evidentemente implicita in qualsiasi erogazione di pubblico danaro quale che sia la denominazione formale, ma
10 “una sovvenzione, diretta o specifica, o un contributo,”
deve intendersi un controllo specifico sull’efficacia dell’azione concretamente intrapresa e sulla sua conformità alle condizioni pattuite.
Sotto un profilo contabile le sovvenzioni possono inquadrarsi come erogazioni finanziarie dirette, a carico del bilancio dell’ente erogante. Si tratta di una specie di “donazione a terzi”. L’Autorità committente aggiudica dette sovvenzioni che verranno utilizzate per realizzare progetti o attività di rilevanza pubblica. Esse sono basate sul rimborso dei costi ammissibili ossia dei costi effettivamente sostenuti dai beneficiari che restano proprietari dei risultati delle azioni.
L’art. 32 del Codice dei Contratti Pubblici contempla, dunque, i soli contributi. Premessa la distinzione tecnica fra sovvenzione e contributo e considerando che già la legge 109/1994 conteneva una disposizione dal tenore analogo (sul punto specifico) a quella del citato art. 32 e che essa innovava rispetto all’art. 3 del D.Lgs. n. 406/1991, la novazione normativa non può essere casuale, ma esprime una precisa volontà del legislatore (già di quello del 1994) di condizionare l’applicazione della fattispecie alla sussistenza di un contributo e non anche di una sovvenzione.
È d’uopo dunque chiarire quale sia la natura dell’erogazione prevista dall’art. 3 del DL 39/2009.
Non si nega che la questione della tutela della concorrenza solleciti l’attenzione del legislatore comunitario sul flusso di risorse che dai pubblici bilanci si riversa sul mercato, tuttavia detta attenzione si concentra non solamente sulla disciplina degli appalti pubblici ma anche sulla disciplina degli aiuti di Stato oggi regolamentati dagli artt. 106/109 del cd Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (ex Trattato Ce, ridenominato Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea dal 1° dicemb re 2009 (art. 2, par. 1 del Trattato di Lisbona). In estrema sintesi il legislatore comunitario, anche nel caso in cui l’erogazione pubblica non sia volta a consentire la realizzazione di un’opera pubblica e/o di pubblica utilità, si preoccupa di tutelare il mercato da altri fenomeni distorsivi della concorrenza quali sono gli aiuti di Stato.
È opportuno verificare, dunque, se l’erogazione di denaro pubblico di cui all’art. 3 DL 39/2009 possa o meno concretare un “aiuto di Stato” in quanto, ove la risposta sia affermativa, la ratio che supporta la legittimità di detti
aiuti a livello comunitario, nonché il loro peculiare regime giuridico aiuteranno a comprendere la reale natura dell’erogazione della normativa interna escludendo la sua riconducibilità alla fattispecie di cui all’art. 32 lett. d) del D.Lgs. n. 163/2006.
6. Sugli aiuti di Stato
L’“aiuto” è, come regole generale, vietato in quanto distorsivo della concorrenza (art. 107, par. 1 del TFUE).
Esso si esplica in “qualsiasi forma” quindi anche quella della sovvenzione, contribuzione, sussidio, indennizzo ecc.. In particolare secondo la giurisprudenza il concetto di aiuto vale a designare non soltanto le prestazioni positive del genere delle sovvenzioni, ma anche gli interventi che, in varie forme alleviano gli oneri che normalmente gravano sul bilancio di una impresa e che di conseguenza, senza essere sovvenzioni in senso stretto, ne hanno la stessa natura e producono identici effetti (in questo senso si veda Corte di Giustizia CE 30/11/1993, C 189/91 Kirsammerhack, Banco Exterior de Espana). Ciò che rileva, dunque, ai fini della individuazione di un aiuto di Stato, è l’effetto che esso produce sul mercato ed in particolare come (ma anche per quale ragione) esso incida sulla libera concorrenza.
Secondo una costante giurisprudenza, la qualificazione di una erogazione/sovvenzione pubblica come aiuto esige che siano interamente soddisfatte le seguenti condizioni: 1) deve trattarsi di un intervento dello Stato o effettuato mediante risorse statali; 2) tale intervento deve essere idoneo ad incidere sugli scambi fra Stati membri; 3) esso deve concedere un vantaggio al suo beneficiario; 4) deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza (v. in tal senso, in particolare, sentenze 21 marzo 1990, causa C-142/87, Belgio/Commissione, cosiddetta «Xxxxxxxxx», Racc. pag. I-959, punto 25; Altmark Trans e Regierungspräsidium Magdeburg, cit., punti 74 e 75; Enirisorse, cit., punti 38 e 39; Servizi
Ausiliari Dottori Commercialisti, cit., punti 55 e 56; 1°luglio 2008, cause riunite C-341/06 P e C-342/06 P, Chronopost/UFEX e a., Racc. pag. I-4777,
punti 121 e 122; Essent Netwerk Noord e a., cit., punti 63 e 64, e UTECA, cit., punto 42).
La categoria “aiuto di stato” non è “chiusa” ma “aperta” essendo demandata alla Commissione e/o al Consiglio, sulla base della valutazione delle circostanze del caso concreto, la riconducibilità a detta categoria di una eventuale erogazione.
Il Trattato (art. 87, par. 2 del Trattato CE ed art. 107, par. 2 e 3 del TFUE) individua alcune eccezioni al generale divieto di “aiuti” e fra queste, all’art. 107, par. 2, lett. b) del TFUE espressamente facoltizza: “gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali;”.
Non sembra, dunque, che possa palesarsi alcun dubbio in merito alla riconducibilità della sovvenzione/provvigione/indennizzo/finanziamento di cui all’art. 3 DL 39/2009 nell’alveo della categoria degli “aiuti di stato” ammissibili (ossia compatibili con l’ordinamento comunitario) ai sensi dello stesso art. 107 TFUE e questo a prescindere dall’importo, mentre è bene chiarire come tale riconducibilità incida inevitabilmente sulla natura giuridica della erogazione ed in particolare ne connoti la valenza prettamente risarcitoria (e dunque una sovvenzione) e non quella di contributo.
La Commissione europea (competente a dirimere le questioni circa l’ammissibilità degli aiuti di Stato) ha più volte sottolineato (proprio nei confronti dello Stato Italiano) che rientrano nel campo di applicazione dell’art. 87, par. 2, lett. b) Trattato Ce (oggi art. 107, par. 2, lett. b) TFUE) “…gli aiuti nazionali che compensano perdite materiali di qualsiasi genere conseguenti a terremoti, inondazioni, valanghe e frane….A prescindere dall’entità dei danni tutti questi eventi giustificavano di per sé il risarcimento dei danni arrecati ai privati” (Decisione della Commissione del 09/07/2003
n. C(2003) 2048 relativa al regime di aiuti cui l’Italia ha dato esecuzione per le calamità naturali fino al 31 dicembre 1999 – in particolare si veda il punto 59).
Giova rilevare come il Trattato rechi espressamente la dizione di “aiuti destinati ad ovviare ai danni arrecati…” espressamente sottolineando che la sovvenzione in parola, conferita in presenza di un evento calamitoso come il terremoto, ha carattere esclusivamente risarcitorio. Anche la
Commissione europea, a voler ulteriormente soprassedere sul punto, assegna alle sovvenzioni legate ad eventi calamitosi la natura di indennità risarcitorie.
Una volta soddisfatte le condizioni prescritte dall’art. 107 del TFUE e conseguentemente acclarata la compatibilità della misura con il mercato europeo, l’obiettivo pubblico perseguito dall’Ente pubblico (alla realizzazione del quale deve evidentemente essere legata l’erogazione di denaro pubblico) può ritenersi formalmente soddisfatto ed il privato che ne diviene possessore potrà liberamente spendere detta somma nel rispetto delle finalità prefissate (occorrerà ovviamente che il privato documenti la correttezza della propria spesa).
La configurabilità dell’erogazione come “aiuto” legato alla fattispecie di cui all’art. 107, par. 2, lett. b) del TFUE ne palesa l’assoluta aderenza ai precetti del libero mercato ed esclude, soprattutto, la riconducibilità dei lavori affidati nell’alveo della fattispecie di cui all’art. 32 lett. d del Codice dei contratti non potendosi parlare di lavori sovvenzionati, ma piuttosto di sovvenzione erogata per “aiutare” i cittadini danneggiati dal sisma.
L’erogazione di un contributo a titolo di aiuto legittimo attribuisce al soggetto privato un diritto soggettivo all’uso dello stesso. È d’uopo ricordare come la giurisprudenza abbia da tempo affermato il principio che “nella fase procedimentale successiva all’attribuzione del contributo il beneficiario risulta essere titolare di un diritto soggettivo relativamente alla conservazione dell’erogazione disposta di fronte alla contraria posizione assunta dall’Amministrazione con provvedimenti variamente denominati, per l’asserito inadempimento, da parte del concessionario, della disciplina regolatrice del rapporto”. (non a caso si veda proprio TAR Abruzzo – Aquila sent. 22/10/2009, n. 447 e TAR Pescara sent. nn. 841 e 1039 del 2008).
La giurisprudenza ha, altresì, precisato che una volta erogato il contributo/finanziamento non vi è più necessità di alcuna ponderazione tra l'interesse pubblico e quello privato (come nel momento della decisione di concedere o no il finanziamento) , ma solamente la necessità di valutare se siano stati rispettati gli obblighi presi o imposti (Cass. S.U. 7 maggio 2002
n. 6489). L'attività di verifica e di controllo attiene unicamente alla fase di adempimento degli obblighi assunti dal privato una volta ottenuto il
finanziamento (Cass. 6639/2005 cit.), fase che è paritetica, senza incidere nè sull'atto amministrativo di sovvenzione, nè sul potere discrezionale di concessione del contributo (sez. un 5604/1995 cit.). É dunque evidente che è nella (sola) fase dell’erogazione che emerge l’interesse pubblico che dovrà essere contemperato con quello privato.
Tanto è vero ciò che la disciplina (comunitaria e statale) in tema di procedure di aggiudicazione (la Direttiva 2004/18/Ce art. 55, ma già la Direttiva 93/38/Ce art. 34 par. 5) prende in considerazione la questione dell’aiuto di Stato, ma non certo per affermare che il privato beneficiario debba bandire una gara per l’affidamento di lavori e/o servizi sovvenzionati, ma esclusivamente per verificare se la partecipazione ad una gara pubblica di un privato sovvenzionato con un aiuto di Stato possa ritenersi legittima. Nel disciplinare la questione il legislatore comunitario ha affermato il principio che qualora l’offerta migliore sia presentata da un concorrente che abbia in precedenza beneficiato di un aiuto, detta offerta non possa ritenersi, per ciò solo, anomala qualora l’aggiudicatario dimostri di aver legalmente usufruito di detto aiuto.
Tuttavia salva disposizione contraria dei regolamenti adottati a norma dell'articolo 109 (ex art. 89) del trattato o di altre pertinenti disposizioni dello stesso, ogni progetto di concessione di un nuovo aiuto deve essere notificato tempestivamente alla Commissione dallo Stato membro interessato, il quale ha anche l'obbligo di fornire tutte le informazioni atte a consentire alla Commissione di adottare una decisione. Se ritiene che le informazioni fornite dallo Stato membro siano incomplete, la Commissione potrà chiedere tutte le informazioni complementari di cui ha bisogno. Ogni aiuto, soggetto all'obbligo di notifica, è messo in atto soltanto se la Commissione ha preso o si ritiene che abbia preso una decisione che l'autorizzi (clausola di sospensione o clausola standstill). La notifica va effettuata mediante il formulario di notifica di cui all’allegato I, parte I, del regolamento (CE) n. 794/2004. Con decorrenza dal 1° gennaio 2006, le notifiche vengono trasmesse in forma elettronica, previo accordo della Commissione e dello Stato membro notificante. In particolare, poi, lo Stato è vincolato dal rispetto della clausola.
Il vero problema, allora, nell’attuazione della ricostruzione non è tanto quello di imporre al privato l’obbligo di predisporre una gara di appalto, né tanto meno quello di decidere se il contributo statale sia o meno un indennizzo (esso è comunque un indennizzo), ma molto più semplicemente quello di notiziare la Commissione UE in ordine all’esistenza del DL di conferimento degli aiuti (DL 39/2009).
Una conferma di quanto detto si riviene poi anche nel corpo della legge ed in particolare nell’art. 14, come modificato dal Senato, che nel destinare specifiche risorse agli interventi di ricostruzione e alle altre misure definite dal decreto-legge, precisa che le eventuali risorse economiche destinate dall’Unione europea per il sisma del 6 aprile 2009 debbono considerarsi aggiuntive rispetto a quelle già stanziate dal Governo italiano (comma 5- ter). In caso di calamità naturali il principale strumento che l’Unione europea mette a disposizione è il Fondo di solidarietà (FSUE), istituito dal regolamento (CE) n. 2012/2002. Il FSUE può fornire aiuti finanziari agli Stati membri in caso di catastrofi naturali che provochino danni diretti stimati in oltre 3 mld. di euro o superiori allo 0,6 per cento del RNL dello Stato interessato. In circostanze eccezionali può essere fornito aiuto anche a una regione colpita da una catastrofe straordinaria, che abbia determinato profonde ripercussioni sulle condizioni di vita dei cittadini e sulla stabilità economica della regione. L’intervento del Fondo avviene sotto forma di convenzione, con l'obiettivo di aiutare lo Stato beneficiario ad attuare i seguenti interventi di emergenza: a) ripristino delle infrastrutture nei settori dell'elettricità, delle condutture idriche e fognarie, delle telecomunicazioni, dei trasporti, della sanità e dell'istruzione; b) realizzazione di misure provvisorie di alloggio e organizzazione dei servizi di soccorso; c) messa in sicurezza delle infrastrutture di prevenzione e misure di protezione del patrimonio culturale; d) ripulitura delle zone danneggiate, comprese le zone naturali. La domanda di contributo deve pervenire alla Commissione entro 10 settimane dal primo danno. La parte di sovvenzione non utilizzata entro un anno va rimborsata alla Commissione. Il FSUE dispone di una dotazione annuale di 1 miliardo di euro.
Il richiamo al FSUE lascia trapelare la vera natura delle contribuzioni che, al pari delle erogazioni comunitarie, sono volte a supportare i privati
danneggiati nella laboriosa opera di ricostruzione. Ove così non fosse (ossia ove non vi fosse una identità di intenti e di natura) non vi sarebbe stata alcuna ragione di specificare che i contribuiti in parola sono aggiuntivi a quelli di cui al FSUE.
Avv. Xxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxx