Contract
IL DISTACCO TEMPORANEO DEL PERSONALE
DOPO LE NOVITA’ DEL CONTRATTO DI RETE E DELLA CODATORIALITA’
(Le considerazioni che seguono sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non impegnano in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza)
Una riflessione sui contenuti dell’art. 30 del D.L.vo n. 276/2003 che, peraltro, è stato integrato da un passaggio normativo molto interessante previsto nell’art. 7 della legge n. 99/2013, relativo al distacco tra imprenditori legati da un contratto di rete, non può che partire dall’analisi effettuata del Ministero del Lavoro con la circolare n. 3 del 15 gennaio 2004 e dalle integrazioni intervenute su alcuni aspetti particolari attraverso l’istituto dell’interpello.
A prescindere da alcuni chiarimenti amministrativi riferibili, come vedremo, soprattutto ai rapporti tra società collegate dello stesso gruppo, è opportuno sottolineare come il comando (definizione simile a quella di “distacco temporaneo”) avesse trovato, fino alla chiare indicazioni del D.L.vo n. 276/2003, una propria autonoma disciplina normativa nel nostro ordinamento in altre ipotesi ben definite. Ci si riferisce alle figure del comando o del distacco finalizzato ad evitare riduzioni di personale (art. 8, comma 3, della legge n. 236/1993) o al distacco in territorio italiano di lavoratori appartenenti a imprese stabilite in stato membro dell’Unione Europea, diverso dall’Italia (D.L.vo n. 72/2000 che ha dato attuazione alla direttiva 96/71/CE) che, comunque, al di là della terminologia adoperata che è identica, prevede situazioni completamente diverse da quelle oggetto della nostra riflessione.
Ma andiamo con ordine
Nel primo caso ci si trova di fronte ad una soluzione normativa, applicabile nelle procedure collettive di riduzione di personale, finalizzata ad attenuare l’impatto sociale dei licenziamenti. Tale soluzione appare pensata per risolvere situazioni contingenti dell’impresa in crisi e da un punto di vista operativo si può affermare che, nel corso di questi anni, non è stata molto adoperata soprattutto perché il personale in esubero resta, a tutti gli effetti, a carico della stessa sia da un punto di vista retributivo che contributivo. Infatti, questo è l’orientamento seguito sia dalla circolare n. 3 del 18 gennaio 1994 del Ministero del Lavoro che da quella dell’INPS n. 81 del successivo 9 marzo. Da un punto di vista temporale il distacco (anche presso società collegate o facenti capo allo stesso gruppo) può essere di breve o di lunga durata e l’interesse del datore di lavoro (meno stringente di quello ipotizzato ex art. 30 del D.L.vo n. 276/2003) può consistere nella mera necessità di non perdere “capitale umano”, “parcheggiato” temporaneamente presso un altro datore di lavoro, in attesa che passi il momento di crisi che ha trovato un momentaneo sbocco nelle procedure collettive di riduzione di personale.
Il Dicastero del Welfare, con la successiva circolare n. 28 del 24 giugno 2005 parlando di “distacco in alternativa alla integrazione salariale per contrazione di attività”, ha fatto una distinzione confermando il distacco all’interno del “gruppo”, motivato anche dalla realizzazione di uno specifico interesse dell’impresa attraverso le opportunità che derivano dalla struttura integrata tra aziende appartenenti allo stesso gruppo, ma esprimendo perplessità in altra ipotesi (“imprese fuori dal gruppo”) ritenendo che lo stesso fosse fondato sulla sola ragione economica, correlata all’ottenimento del rimborso del costo del lavoro. Aggiungeva, inoltre, il Ministero che l’art. 8, comma 3, della legge n. 236/1993 non poteva avere una interpretazione analogica con l’estensione ai trattamenti integrativi.
L’INPS, con circolare n. 41 del 13 marzo 2006, ha affrontato il problema correlato alla messa in mobilità del personale dell’azienda, a seguito della procedura collettiva di riduzione di
personale e dell’invio, in distacco di un dipendente: la cosa è possibile, come è possibile la revoca del distacco (perché l’interesse è terminato) con l’immissione del lavoratore nella lista di mobilità se in possesso dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti dalla norma. Al contempo, l’Istituto ha esaminato anche la questione relativa al trattamento integrativo salariale per il personale dell’azienda distaccataria, sottolineando che il lavoratore distaccato non ne ha diritto.
Nel secondo caso abbiamo una disciplina speciale, propria del distacco temporaneo da un altro Paese della Comunità. Dopo aver definito il campo di applicazione che riguarda il distacco temporaneo di un dipendente in territorio italiano per un contratto concluso con il destinatario della prestazione di servizi che opera in Italia (la disposizione non si applica al personale navigante di un’impresa mercantile, mentre è riferibile anche alle imprese stabilite in uno Stato non membro che si trovano nelle stesse condizioni), il Decreto Legislativo n. 72/2000, che trae origine dalla Direttiva 96/71/CE offre, all’art. 2, la definizione di “lavoratore distaccato”, mentre al successivo art. 3 ricorda che a quest’ultimo devono essere riconosciute le medesime condizioni di lavoro economiche e normative previste per i soggetti che effettuano prestazioni subordinate nel luogo in cui i lavoratori distaccati svolgono la propria attività in posizione di distacco. Forme di garanzia, in caso di appalto transnazionale di servizi e di responsabilità solidale nel limite di dodici mesi dalla cessazione dell’appalto sono ugualmente previste come è stabilita puntualmente la tutela giurisdizionale (art. 6) che se attuata nel nostro Paese consente, per motivi di celerità, di “by – passare” il tentativo di conciliazione ex art. 410 cpc peraltro, oggi, non più obbligatorio, per effetto della riforma contenuta nella legge n. 183/2010. Parlare di “medesime condizioni di lavoro” significa andare alla interpretazione dell’art. 3 della Direttiva CE: la norma fa riferimento alle condizioni di lavoro e di occupazione previste dalle leggi del luogo di esecuzione delle prestazioni, in materia di periodi massimi di svolgimento delle attività e di periodi di riposo, di ferie annuali, di salute e sicurezza sul lavoro, di non discriminazione tra uomo e donna e di tariffe minime salariali.
Su un argomento diverso che presenta alcune assonanze fu, a suo tempo, presentato un quesito da Confindustria al quale il Ministero del Lavoro rispose, in data 27 giugno 2011, con l’interpello n. 28. In sostanza, si chiedeva una corretta interpretazione dell’art. 27, lettera g), del D.L.vo n. 286/1998 relativo al distacco di lavoratori extra comunitari per lo svolgimento di prestazioni qualificate. La risposta fu che non c’era necessità (come paventato dall’interrogante) di stipulare un contratto di appalto tra impresa distaccante e impresa distaccataria e che, ai fini del nulla osta di ingresso ex art. 40, comma 11, del DPR n. 394/1999 (abbastanza generico nelle definizioni relativi ai diplomi ed alle qualifiche professionali dei lavoratori), fosse soltanto necessario presentare la documentazione attestante sia il rapporto di natura commerciale, sia il limite temporale di svolgimento, nonché il rispetto di tutte le condizioni previste dalla contrattazione collettiva e dalle leggi italiane.
Una ipotesi del tutto diversa è rappresentata dal c.d. “comando” del dipendente pubblico la cui caratteristica essenziale è rappresentata da un atto provvedimentale e che è adottato dal soggetto nella cui organizzazione il lavoratore pubblico viene inserito: quest’ultimo non realizza un interesse riconducibile al proprio datore di lavoro ma quello dell’Amministrazione che lo dispone (ovviamente, c’è il parere positivo di quella di appartenenza). Le differenze tra le due casistiche (“distacco” nel settore privato e “comando” in quello pubblico) si evidenziano anche per altri aspetti non secondari come quello di una eventuale rivendicazione di mansioni superiori per l’attività svolta presso l’Amministrazione “comandataria”: l’eventuale rivendicazione di natura economica non può che essere presentata nei confronti di quest’ultima.
La circolare n. 3 ricorda che la figura del distacco presuppone tre requisiti essenziali: la temporaneità e l’interesse del distaccante, cui se ne aggiunge un terzo che è consequenziale e che prevede l’esecuzione di una determinata attività da parte del lavoratore distaccato. Si tratta di condizioni di legittimità già individuate dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 5102 del 21 maggio 1998 e che il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali fece proprie con le note n. 5/25814/70/VA dell’8 marzo 2001 e n. 5/26183 dell’11 aprile dello stesso anno allorché ritenne, pur in assenza di un preciso disposto normativo, legittimo il comando di lavoratori fra società collegate dello stesso gruppo. Xxxx appare finalizzato oltre che ad una esigenza dell’attività imprenditoriale, anche a razionalizzare ed equilibrare lo sviluppo delle imprese del gruppo.
Ma cosa si intende per temporaneità?
La risposta del Dicastero del Welfare, fornita con la circolare n. 3/2004 va integrata con gli ulteriori chiarimenti espressi nell’interpello n. 1 del 2 febbraio 2011, di risposta ad un quesito della CNA. Essa non deve essere definitiva, occorre una puntuale individuazione delle finalità perseguite e può durare per un arco temporale concettualmente delimitato, pur non essendo determinabile sin dall’inizio. Vanno, in ogni caso, evitate “clausole di stile”, mettendo in evidenza, anche se ciò si riferisce ad aziende facenti parte dello stesso gruppo, la sussistenza di uno specifico interesse. Tali principi si ritrovano nella sentenza della Corte di Cassazione n. 17748 del 2 settembre 2004 la quale non pone limiti circa il momento del distacco (che, in teoria, potrebbe essere anche contestuale all’assunzione) e che sottolinea la presenza effettiva degli altri due requisiti legati all’interesse del datore ed alla prestazione svolta in favore dell’azienda “terza”.
Ma, allora, quale è il significato da dare al concetto di interesse del datore di lavoro?
Anche in questo caso la risposta dell’Amministrazione è piuttosto ampia, in quanto, dopo aver ribadito che l’interesse deve protrarsi per tutta la durata del distacco, afferma che lo stesso trova la propria legittimazione in qualsiasi interesse produttivo del distaccante che non coincida (questo appare l’unico limite) con la mera somministrazione di lavoro ove l’interesse del datore di lavoro distaccante si realizza “sfruttando”, a fini di lucro, il lavoro altrui. E’ questo un principio ancora più specificato nell’interpello sopra citato, laddove si afferma che deve essere specifico, rilevante, concreto e persistente, accertato dall’organo di vigilanza caso per caso.
Il terzo requisito è rappresentato dallo svolgimento di una determinata attività lavorativa da parte del lavoratore distaccato. Il significato è uno soltanto: egli deve svolgere un’attività specifica e funzionale all’interesse del proprio datore di lavoro. L’adibizione ad un altro lavoro porta come conseguenza alla non rispondenza ai requisiti del distacco e ad una possibile ipotesi di somministrazione illecita o irregolare.
Sulla legittimità del ricorso della figura del distacco non incide la dislocazione del lavoratore che non è un elemento indispensabile per valutare un corretto utilizzo dell’istituto: infatti, l’ipotesi più ricorrente è, indubbiamente, quella identificata con la sede del distaccatario, ma non si può escludere che sia un’altra ove, anche temporalmente, viene svolta l’attività. Il luogo, afferma il Ministero del Lavoro, può considerarsi all’interno della modalità della prestazione e non assume particolare rilievo, potendosi, addirittura, in casi limite, identificarsi con la stessa sede del distaccante o anche svolgersi in una o più sedi diverse rispetto a quella dell’azienda presso la quale è stato operato il distacco. E’ il caso, ad esempio, della manutenzione degli impianti, del controllo dei sistemi informatici o delle prestazioni che hanno un contenuto intellettuale.
Il distacco del lavoratore non comporta, in alcun modo, afferma la Cassazione con la sentenza
n. 7049 del 22 marzo 2007, una novazione soggettiva nel rapporto ma soltanto una modificazione nell’esecuzione dello stesso, nel senso che l’obbligazione del lavoratore di prestare la propria attività viene, temporaneamente, soddisfatta con una prestazione resa in favore di un altro soggetto presso mil quale è stato effettuato il distacco
Il comma 2 dell’art. 30 afferma che durante il distacco il trattamento economico e normativo resta a carico del distaccante: ciò è ribadito dalla circolare n. 3/2004 la quale ricorda come anche in passato fosse in uso la prassi consolidata del rimborso delle spese sostenute da parte del distaccatario. Su questa problema le Sezioni Unite della Corte di Cassazione già dal 1989 con la sentenza n. 1751 del 13 aprile avevano chiarito che il rimborso delle spese sostenute non presenta alcuna rilevanza per la qualificazione del c.d. “distacco genuino”. In sostanza, la piena legittimità del rimborso pieno delle spese retributive sostenute per il lavoratore ha il pregio di rendere lineare e trasparente l’imputazione dei costi sostenuti dalle varie imprese (ovviamente, nei limiti di quanto effettivamente speso, perché altrimenti si corre il rischio di scivolare verso la somministrazione indebita).
La disposizione parla di trattamento economico e normativo: ciò significa che, ad esempio, al lavoratore distaccato debbono essere garantiti tutti quegli istituti previsti dal CCNL applicato che si riferiscono agli altri lavoratori dell’impresa da cui dipende.
L’art. 30 non ne parla espressamente ma appare evidente che alla titolarità in capo al distaccante del trattamento economico consegue anche l’onere contributivo il quale, afferma la circolare n. 3, va adempiuto in relazione all’inquadramento del datore di lavoro distaccante. Su questo punto l’interpretazione ministeriale si attesta con quanto pacificamente avviene da quando sono state emanate le circolari del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 4/1994 e dell’INPS n. 81/1994 e n. 41 del 13 marzo 2006. In quest’ultima nota l’Istituto, conferma che gli assegni familiari, l’indennità di maternità, malattia e tubercolosi restano a carico del datore di lavoro distaccante
Anche il problema dell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali, non trattato espressamente dall’art. 30, trova una soluzione: essa è a carico del distaccante ma l’importo va calcolato sulla base dei premi e della tariffa applicati al distaccatario, così come previsto dalla circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 58 del 21 aprile 1994. Il datore di lavoro distaccante rimane obbligato nei confronti dell’INAIL qualora ci si trovi in presenza di un’azione di rivalsa susseguente ad un infortunio del lavoratore in distacco, in quanto, esso viene considerato quale soggetto incaricato della direzione e sorveglianza del lavoro, per effetto dell’art. 10, comma 3, del DPR n. 1124/1965.
La circolare n. 3 affronta, poi, il problema del significato da dare al comma 3 dell’art. 30, laddove si afferma che “il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato”: La chiave di risposta è stata quella della ratifica c.d. “equivalenza delle mansioni”, laddove un mutamento di esse, pur non comportando un demansionamento, implichi una riduzione e/o specializzazione dell’attività svolta, inerente al patrimonio professionale del lavoratore. Con tale soluzione il Dicastero del Welfare non sembra aver seguito la tesi di chi ha sostenuto che con la dizione adoperata si potesse giungere (sia pure temporaneamente e con il consenso del lavoratore che, magari, potrebbe avere un interesse al distacco presso un’altra impresa perché, ad esempio, più vicina ai propri interessi familiari) ad un superamento dell’art. 2103 c.c. . La dizione adoperata dal Legislatore delegato che richiede il consenso del lavoratore soltanto nell’ipotesi in cui vi sia un mutamento delle mansioni, autorizza una lettura della norma secondo la quale se le mansioni sono le
stesse e si resta nell’ambito dei cinquanta chilometri, il distacco può avvenire per scelta unilaterale del datore di lavoro.
L’art. 30 ricorda, inoltre, che l’ipotesi di un distacco presso una unità produttiva ubicata ad oltre cinquanta chilometri dalla sede di attività può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.
La disposizione postula alcune precisazioni: la prima riguarda il concetto di unità produttiva che, nel nostro caso, dal momento che si è parlato sempre di due datori di lavoro va riferita all’impresa distaccataria e non, come si potrebbe pensare, ad una articolazione dell’impresa distaccante in tutto od in parte idonea ad espletare l’attività.
La seconda si riferisce alle comprovate esigenze: qui, ad avviso di chi scrive, si deve trattare di un qualcosa di particolarmente importante (è una disposizione a tutela del lavoratore rispetto a possibili “ripicche” datoriali) che deroga al principio generale che la circolare ha posto alla base del comando, allorquando, dando una interpretazione al requisito dell’”interesse del distaccante”, ne ha fornito una lettura estremamente allargata facendolo coincidere con “qualsiasi interesse produttivo ……. che non coincida con quello della mera somministrazione di lavoro altrui”.
La nota interpretativa del Ministero offre risposte a tre ultimi quesiti.
Il primo riguarda la possibilità che il datore di lavoro distaccante possa stipulare un contratto a termine per la sostituzione del lavoratore distaccato, secondo la previsione del D.L.vo n. 368/2001: ovviamente, la durata dello stesso, comprensiva della proroga, non può superare i trentasei mesi, tranne l’ipotesi, ora fattibile, dopo la legge n. 99/2013 che ha convertito il D.L.
n. 76/2013, del contratto “acausale”, inteso come primo contratto a tempo determinato, che può durare fino a dodici mesi, comprensivi dell’eventuale proroga.
Il secondo si riferisce ad una ipotesi di distacco parziale: ciò è stato ritenuto possibile, alla luce degli orientamenti già espressi dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 5102 del 21 maggio 1998, richiamati dalla nota ministeriale n. 5/26183 dell’11 aprile 2001. Questo comporta, di conseguenza, che il resto della prestazione deve essere svolto presso l’impresa “madre”. Ovviamente, il concetto di “parzialità del distacco” può riverberare i propri effetti sia sulla dislocazione temporale delle prestazioni che anche sull’eventuale “quantum” del rimborso che va rapportato alla effettiva prestazione presso il datore di lavoro distaccatario.
Il terzo riguarda la possibilità che, nella ovvia esistenza dei requisiti indispensabili perché, legittimamente, si possa parlare di distacco, ciò avvenga con un lavoratore con contratto a tempo determinato: il Ministero del Lavoro, rispondendo con un interpello (prot. n. 387 del 12 aprile 2005) ad un quesito della FILT CGIL sul rapporto di lavoro portuale, ha affermato che non vi sono, da un punto di vista legale, controindicazioni a che ciò avvenga con un rapporto a termine.
La circolare del Ministero del Lavoro n.20/2008 emanata in occasione della introduzione del Libro Unico del Lavoro afferma che i lavoratori distaccati (e anche quelli somministrati) vanno registrati dal distaccatario con l’annotazione dei dati identificativi (nome, cognome, codice fiscale, qualifica e livello di inquadramento contrattuale). In caso di inottemperanza, non essendo prevista una specifica sanzione a carico di quest’ultimo, l’ispettore del lavoro potrà adottare un provvedimento di disposizione come previsto dall’art. 14 del D.L.vo n. 124/2004.
C’è, poi, un altro problema che è stato risolto dal Ministero del Lavoro, con l’interpello n. 58 del 10 luglio 2009, di risposta ad un quesito dell’INAIL concernente la possibile richiesta del DURC per un contratto di appalto anche all’impresa distaccante, qualora nello stesso siano adibiti, con la modalità del distacco, lavoratori della stessa. La risposta, in presenza di un
distacco legittimo, è stata negativa, nel senso che l’azienda distaccante è del tutto estranea al contratto.
Con una disposizione contenuta nella legge di conversione n. 99/2013 al D.L. n. 76/2013 è stato aggiunto un comma, il 4-ter all’art. 30 del D.L.vo n. 276/2003: “Qualora il distacco avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di imprese che abbia validità ai sensi dell’art. 5/2009 convertito, con modificazioni, nella legge n. 33/2009, l’interesse del distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete, fatte salve le norme in materia di mobilità del lavoratore previste dall’art. 2103 c.c. . Inoltre, per le stesse imprese è ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto stesso”.
Il distacco di personale si arricchisce, quindi, di una nuova ipotesi la quale non può prescindere dalla conoscenza del contratto di rete. E’ questo un nuovo strumento giuridico che consente alle imprese aggregate forme di collaborazione organizzata che si protraggono nel tempo, ognuna con la propria autonomia ed individualità, usufruendo, al tempo stesso, di una serie di agevolazioni di natura fiscale.
La disciplina originaria, contenuta nell’art. 3, comma 4 – ter, del D.L.vo n. 5/2009, convertito nella legge n. 33/2009 si è arricchita, negli ultimi anni, attraverso le leggi n. 99/2009 (art. 1), n. 122/2010 (art. 42, comma 2 –bis), n. 134/2012 (art. 45) e n. 221/2012, solo per citare le leggi di conversione.
Il concetto di aggregazione, utile per comprendere il contratto di rete, fa riferimento a realtà produttive nelle quali le aziende, piccole, medie o grandi, hanno tra di loro rapporti di collaborazione o interdipendenza (si pensi anche alla rete di “franchising”), diversi ed ulteriori rispetto alla scambio delle prestazioni e dei beni ed alle relazioni di concorrenza di mercato. Il pensiero corre anche alle aggregazioni di imprese che si riscontrano in un “distretto industriale” ove si rinvengono, in un territorio ristretto e ben definito, una serie di piccole imprese specializzate nello stesso settore produttivo (ad esempio, tessile, calzaturiero, ceramico, ecc.).
Una brevissima analisi del contratto di rete non può che partire dalla identificazione degli elementi essenziali e di quelli che tali non sono:
a) Parti: la norma definisce il contratto di rete come un contratto stipulato da più imprenditori. Ciò significa che gli stessi possono esser più di due e che sono, senz’altro, esclusi quei datori di lavoro (ad esempio, titolari di studi professionali, Enti di ricerca, associazioni, fondazioni, ecc.) che non sono tali. Non c’è alcun limite dimensionale alle imprese: è necessario soltanto che le stesse siano iscritte nell’apposito registro presso le Camere di Commercio;
b) Causale: attraverso il contratto di rete le parti “perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato”. Si tratta di elementi di natura economica, di per se stessi abbastanza indeterminati;
c) Oggetto: la disposizione afferma che “le parti si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa”. Ci vuole, quindi, un programma di rete all’interno del quale sono identificabili tre elementi come la collaborazione, lo scambio di informazioni o prestazione e l’esercizio comune di alcune attività rientranti nell’oggetto. Anche in questo caso si tratta di tre formulazioni generiche ed ampie che, ad avviso di chi
scrive, non consentono una definizione specifica del contratto di rete come, in campo lavori stico, avviene, ad esempio, per il contratto di appalto o il contratto d’opera;
d) Contenuto e forma: la norma individua alcune caratteristiche fondamentali del contratto che fanno riferimento alla generalità delle parti contraenti, agli obiettivi, al programma di rete con i diritti e gli obblighi assunti dalle imprese partecipanti ed alle conseguenti modalità di realizzazione, alla durata temporale, alle condizioni per l’adesione eventuale e successiva di altri imprenditori ed alle regole per le decisioni da assumere. Altri elementi non essenziali che, quindi, possono essere o meno inseriti nel contratto, riguardano il fondo patrimoniale, l’organo comune, le ipotesi e le modalità di recesso anticipato e la modificabilità del programma di rete;
e) Pubblicità: il contratto va annotato in ogni registro di impresa nel quale sono iscritte le aziende firmatarie del contratto. Se il contratto prevede un fondo patrimoniale la “rete” può iscriversi come posizione del tutto autonoma presso la sezione ordinaria del registro delle imprese ove insiste la sede. Con questa iscrizione, la “rete” acquista una propria soggettività giuridica;
f) Fondo patrimoniale: è, come detto pocanzi, un elemento “non essenziale”. In ogni caso, se istituito, trovano applicazione gli articoli 2614 e 2615, comma 2, c.c. che disciplinano i consorzi con attività esterna. Esso può essere costituito sia attraverso il conferimento dei beni che con l’apporto di un patrimonio destinato all’uso specifico. Se la “rete” possiede un fondo patrimoniale e un organo comune, viene in risalto una limitazione della libertà patrimoniale per tutte le obbligazioni assunte per l’attività di rete che risponde come fosse una persona giuridica autonoma con una autonomia patrimoniale perfetta;
g) Organo comune: le imprese aderenti al contratto di rete possono individuare un soggetto “incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso”. La norma non si sofferma sulla composizione che, quindi, può essere di persone fisiche o giuridiche, può essere collegiale ma anche individuale e può prevedere la partecipazione anche di soggetti esterni alle imprese che hanno aderito al contratto.
Tale premessa si è resa necessaria per ben comprendere, anche da un punto di vista relativo ad interventi degli organi di vigilanza, le novità della disposizione introdotta con la legge n. 99/2013. In presenza di un contratto di rete (che ha una propria rilevanza pubblica) gli elementi tipici del distacco, la temporaneità, l’interesse del distaccante e l’attività svolta dal lavoratore in favore dell’azienda distaccataria, si presumono che sussistano laddove tale istituto agisca all’interno delle imprese legate tra loro da un contratto di rete. Tutto ciò, indubbiamente, facilita lo sviluppo della collaborazione reciproca postulata da tale tipo di contratto.
Resta da chiarire, tuttavia, un inciso un po’ criptico, inserito nel nuovo comma 4 – ter, ove si fanno salve le disposizioni in materia di mobilità di cui all’art. 2103 c.c. , in base al quale un dipendente non può essere trasferito da una unità produttiva all’altra se non per comprovate esigenze tecniche, organizzative e, produttive. La disposizione sembra pensata per evitare un uso distorto del contratto di rete, tuttavia, il richiedere le “comprovate esigenze” sembra andare in controtendenza con un principio secondo il quale i distacchi si intendono, in via presuntiva, legittimi. Questo aspetto va verificato con un attento esame e, probabilmente, si dovrà intervenire nuovamente sulla norma per renderne più facilmente comprensibile il significato.
Un ultimo passaggio normativo riguarda il concetto di “codatorialità” all’interno del contratto di rete per tutti i lavoratori distaccati: anche in questo caso si tratta di una questione che dovrà
essere approfondita, atteso che la titolarità congiunta (da parte datoriale) relativa al rapporto di lavoro, appartiene a due o più soggetti diversi e che non ci si trova di fronte a due (o più) rapporti a tempo parziale ove ogni datore di lavoro è responsabile del singolo contratto che a lui fa riferimento. Inoltre, l’art. 7, comma 2, afferma che per le imprese con contratto di rete la “codatorialità” dei dipendenti “ingaggiati” (il termine adottato dal Legislatore, non appare molto felice) va disciplinata in base alle regole stabilite nel contratto stesso.
Il tradizionale orientamento della giurisprudenza della Cassazione sul tema della promiscuità delle prestazioni lavorative per più imprenditori, va rapportato alla sempre maggiore integrazione dei cicli produttivi, dei bilanci conglomerati per le imprese ed i gruppi societari, rispetto alle quali problemi non indifferenti sorgono per la gestione dei singoli rapporti di lavoro.
Cercando di fare una breve analisi su alcune norme di riferimento non si può che partire dall’art. 2094 c.c. che riguarda la figura del lavoratore subordinato che è colui che “si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. La norma parla sempre al singolare ma, forse, oggi, il concetto di impresa può essere riferito ad una scelta produttiva oggettiva aggregata (come nel contratto di rete) pur se suddivisa tra più imprenditori, secondo una interpretazione del tutto nuova anche rispetto ad istituti tradizionali. Infatti, la somministrazione, l’appalto, il distacco (ad eccezione, ora, dell’ipotesi del contratto di rete) operano su piani diversi rispetto alla “codatorialità” , nel senso che è la stessa disposizione che distingue nettamente le responsabilità dei singoli soggetti datoriali e lo stesso si può affermare per il divieto di interposizione.
Il problema correlato alla presenza di più datori di lavoro all’interno dello stesso rapporto di lavoro (svolto, nel caso che ci interessa, in distacco all’interno di un contratto di rete), pone questioni delicate: c’è un solo soggetto debitore di lavoro e creditore di retribuzione (e di altre situazioni strettamente correlate) e ci sono due o più datori di lavoro obbligati. Si può parlare, senz’altro, di piena solidarietà per quel che concerne le retribuzioni ed i contributi previdenziali dovuti, compresi i danni subiti dal lavoratore e non indennizzati dall’INAIL (art. 26, comma 4, del D.L.vo n. 81/2008). I datori di lavoro sono debitori sia di quanto scaturisce dal rapporto di lavoro che per la sicurezza: anzi, tutti, ovviamente, per la loro parte, anche per taluni aspetti di natura penale ove la responsabilità è personale, sono tenuti al rispetto degli obblighi, di varia natura, scaturenti dal D.L.vo n. 81/2008 (informazione, formazione, dotazione della strumentazione necessaria, visite mediche, ecc.).
Il concetto di “codatorialità” può avere effetti per i lavoratori distaccati anche sulla gestione del rapporto di lavoro: essere datori “insieme” significa, ad esempio, esaminare se i poteri direttivi, disciplinari e di controllo sono esercitabili da ogni “codatore” e se l’esercizio stesso deve essere congiunto o separato. La risposta, secondo la previsione contenuta nel nuovo comma 4- ter dell’art. 30 del D.L.vo n. 276/2003 è demandata al contratto di rete, ma, in mancanza di una precisa determinazione, sembrerebbe propendere verso la tesi dell’attribuzione ad ogni datore dei poteri scaturenti sia dalla legge che dal contratto collettivo.
Per quel che concerne, invece, l’esercizio autonomo o congiunto, dei poteri sopra indicati non si può, al momento, fornire una interpretazione convincente, atteso che, in mancanza di un indirizzo uniforme regolamentato dal contratto di rete, come ci si regolerà se i diversi datori di lavoro non saranno d’accordo? Xxxx si farà se uno, ad esempio, vuol licenziare o trasferire un lavoratore e l’altro non è d’accordo?
Ovviamente, nel caso in cui i poteri dei “codatori” siano esercitati da uno soltanto (ad esempio, quello che ha instaurato il rapporto di lavoro) non ci sarebbero problemi, nel senso che il lavoratore si troverebbe di fronte ad un solo soggetto.
Altri problemi correlati potrebbero sorgere per l’applicazione di particolari istituti tipici del nostro diritto del lavoro che prevedono il superamento di una determinata soglia numerica (disabili, applicabilità dell’art. 18 della legge n. 300/1970, trattamento di cassa integrazione straordinaria, apprendistato con aliquota contributiva a carico del datore di lavoro “azzerata” – tranne l’1,61% -, ecc.)? Si tratta di argomenti che andranno, necessariamente, approfonditi e rispetto ai quali, al momento, non è possibile fornire una risposta definitiva.
Parte della problematica sopra evidenziata è stata affrontata dal Ministero del Lavoro con la circolare n. 35 del 29 agosto 2013, rivolta al persona ispettivo che esercita l’attività di vigilanza ove è stato affermato che:
a) La verifica dei presupposti di legittimità del contratto si debbono limitare all’accertamento dell’esistenza di un contratto di rete che coinvolge l’impresa distaccante e quella distaccataria;
b) La “codatorialità” “dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete” sta a significare che in relazione a questo personale il potere direttivo potrà essere esercitato da ogni imprenditore che partecipa al contratto di rete;
c) Per quel che riguarda la sanzionabilità scaturente dalla rilevazione degli illeciti, penali, civili ed amministrativi, sarà necessario rifarsi al contratto di rete (che, quindi, potrebbe individuare un soggetto od un organismo comune “responsabile”), senza ujna configurazione “automatica” di solidarietà tra tutti i partecipanti al contratto.
Per completezza di informazione, è opportuno ricordare come il contratto di rete sia individuato, ai fini occupazionali, anche in un altro punto del D.L. n. 76/2013 e nella successiva legge di conversione n. 99/2013 (art. 9, comma 11). Ci si riferisce ad una modifica, introdotta all’interno dell’art. 31 del D.L.vo n. 276/2003, che riguarda i gruppi di imprese e che consente l’assunzione congiunta in agricoltura anche alle imprese legate ad un contratto di rete, con il limite del 50% di adesioni riservate alle imprese agricole (la circolare del Ministero del Lavoro
n. 35/2013, richiama espressamente, per la loro individuazione, l’art. 2135 c.c.). Tutto questo è strettamente correlato dalla norma ad una esplicita responsabilità solidale “delle obbligazioni contrattuali, previdenziali e di legge che scaturiscono dal rapporto di lavoro instaurato”.
Si tratta di una normativa complessivamente agevolatrice per i datori di lavoro del settore che, per la piena operatività, necessita di un decreto ministeriale per la cui emanazione il Legislatore non ha fissato alcun termine.
Ovviamente, per l’argomento che ci interessa, quando tutta la disposizione sarà pienamente operativa, anche il distacco, se avvenuto all’interno di un contratto di rete, seguirà le regole generali.
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Dirigente della Direzione territoriale del Lavoro di Modena