Edizione di lunedì 3 agosto 2015
Edizione di lunedì 3 agosto 2015
EDITORIALI
Un altro passo in avanti per la legge sul Dopo di noi
di Xxxxxx Xxxxxxxxxx
ENTI NON COMMERCIALI
Gli indicatori di fatto per l’individuazione del responsabile in solido per i debiti di un’associazione non riconosciuta
di Xxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxxxx
IVA
Il luogo della cessione nelle triangolazioni comunitarie “improprie”
di Xxxxx Xxxxxxx
IMPOSTE INDIRETTE
La cessione, risoluzione e proroga del contratto di locazione: aspetti generali
di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx
AGEVOLAZIONI
Il bonus ricerca e sviluppo è per tutte le imprese
di Xxxxxxxxxx Xxxxxxx
EDITORIALI
Un altro passo in avanti per la legge sul Dopo di noi
di Xxxxxx Xxxxxxxxxx
Mercoledì scorso – finalmente – la Commissione Affari sociali della Camera ha concluso l’esame del provvedimento legislativo sul Dopo di noi.
Il provvedimento, che era già stato presentato nella precedente legislatura, si pone l’obiettivo di aiutare le persone con disabilità grave che rimangono prive di sostegno familiare.
E’ la famiglia infatti a garantire, nella generalità dei casi, la necessaria assistenza al disabile, a fronte di enormi sacrifici causati anche dal fatto che, in molti casi, i servizi sociali prestati dal “pubblico” non sono idonei a soddisfare le peculiari esigenze di chi è affetto da gravi disabilità.
In queste situazioni è pertanto palpabile l’angoscia dei genitori che si preoccupano di ciò che potrà succedere al figlio disabile nel momento in cui loro non ci saranno più o comunque non saranno più in grado di supportarne l’assistenza adeguatamente.
La problematica ha un fortissimo impatto sociale, atteso che nel nostro Paese sono circa 2 milioni 600 mila le persone che si trovano in questa drammatica situazione e 15 famiglie su 100 condividono, purtroppo, questa enorme preoccupazione.
In considerazione del fatto che oggi quasi l’80% dei disabili adulti sono in istituti dedicati, la legge si pone l’obiettivo di favorire percorsi di deistituzionalizzazione – anche se proprio su questo aspetto sono venute le maggiori critiche da parte di famiglie e operatori del settore -, supportando interventi di residenzialità che riproducano le condizioni abitative e relazionali della casa familiare e la domiciliarità.
A livello fiscale, oltre all’incremento delle detrazioni per le spese sostenute per le polizze assicurative, sono state previste agevolazioni tributarie per i trust istituiti per la tutela delle persone con grave disabilità.
In questo modo è stato riconosciuto a livello legislativo l’importante ruolo che l’istituto del trust può svolgere in questo ambito, soprattutto nell’ottica di dare effettivamente attuazione alle volontà dei genitori del disabile nel momento in cui non si potranno più prendere cura del proprio figlio.
La deputata Xxxxxx Xxxxxxxx, promotrice dell’iniziativa legislativa, ha dedicato il risultato ottenuto al ragazzo disabile ucciso l’anno scorso, insieme alla madre gravemente malata, dal padre terribilmente angosciato per il loro futuro.
Va evidenziato però come, al momento, si sia fatto un passo in avanti, importante ma non risolutivo.
Ora la legge passerà infatti al vaglio della commissione bilancio e poi verrà esaminata dall’aula: secondo Argentin “il grosso è stato fatto, ora non ci saranno più scuse né giustificazioni”.
In situazioni del genere non si sa mai se essere soddisfatti per il progresso fatto oppure indignati perché un provvedimento di tale rilevanza sociale e sul quale non vi possono essere contrapposizioni politiche abbia conosciuto un iter parlamentare così lento e
difficoltoso, atteso che è all’esame della Camera dal 2010.
Avevamo già dedicato lo scorso 16 marzo un editoriale alla legge sul Dopo di noi, ipotizzando, sulla base delle previsioni formulate all’epoca, che l’approvazione da parte della Camera potesse avvenire entro giugno.
Siamo evidentemente in grave ritardo rispetto a quella previsione e soprattutto non è affatto scontato che i successivi passaggi parlamentari portino al risultato atteso da così tante famiglie.
La nuova “tabella di marcia” fissa ora entro l’autunno l’approvazione del provvedimento da parte della Camera, con il successivo passaggio al Senato che dovrebbe portare alla definitiva adozione della legge entro l’anno.
Confidiamo davvero sul fatto che questa volta le previsioni vengano effettivamente rispettate e che non si registrino altri incomprensibili ed ingiustificabili ritardi: non ci dovrebbe essere davvero niente di più importante per i nostri rappresentanti parlamentari rispetto alla possibilità di dare risposte concrete alle drammatiche esigenze dei cittadini più sfortunati ed in difficoltà.
Una volta tanto sarebbe bello se ciò avvenisse effettivamente … penso che sei anni per un provvedimento del genere siano sufficienti!
ENTI NON COMMERCIALI
Gli indicatori di fatto per l’individuazione del responsabile in solido per i debiti di un’associazione non riconosciuta
di Xxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxxxx
La sentenza della Cassazione n. 12473 del 17 giugno scorso, che si inserisce nell’ormai consolidato filone giurisprudenziale che nega, in diretta attuazione dell’ art. 38 del Codice Civile l’automatica individuazione della responsabilità patrimoniale del presidente di associazioni non riconosciute per i debiti di vario genere, anche tributari, gravanti sull’ente, questa volta aggiunge all’enunciazione dei principi di carattere generale anche un minuzioso elenco di elementi di fatto che possono coadiuvare nell’identificazione di colui che di fatto “ ha agito in nome e per contro dell’ente”.
Il giudizio prendeva le mosse da una sentenza della CTR Veneto che, confermando la pronuncia della commissione di primo grado, aveva dichiarato illegittima la cartella esattoriale notificata in qualità di coobbligato in solido al presidente di un circolo culturale in relazione ad un accertamento operato nei confronti del sodalizio per il periodo in cui, da statuto, questi ricopriva la carica di presidente e rappresentante legale dell’ente.
Secondo la Commissione Regionale, chiarito che nel caso di specie trovava applicazione l’art. 38 del Codice Civile valevole anche per le obbligazioni di carattere tributario, dal pvc e dagli atti era emerso che il contribuente, pur formalmente legale rappresentante dell’associazione, non aveva mai assunto alcuna decisione relativa all’effettiva gestione del circolo nè aveva mai svolto attività di amministratore, essendosi limitato a fare da prestanome e, come da carica rivestita, alla mera sottoscrizione dei verbali di approvazione del rendiconto annuale o la firma della dichiarazione, elementi da soli non sufficienti a dimostrare l’esercizio di effettivo potere gestorio e amministrativo come invece richiesto dalla legge.
Impugnava la sentenza l’amministrazione finanziaria rilevando che erroneamente la Commissione Tributaria Regionale aveva tralasciato di considerare alcuni elementi di fatto, non contestati dal presidente, che erano sufficienti ad integrare piena prova in ordine alla responsabilità solidale del presidente che di fatto svolgeva un’attività ben diversa dal mero prestanome responsabile del bar.
Il contribuente intimato non depositava memorie difensive scritte.
La Suprema Corte interviene sulla questione rammentando innanzitutto la ormai stratificata
giurisprudenza della Corte in merito al tema oggetto d’indagine che ha chiarito che la responsabilità personale e solidale, prevista dall’art. 38 c.c. di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta, non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione stessa bensì all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra l’ente ed i terzi. La ratio di una simile previsione è volta a contemperare l’assenza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio dell’ente, con le esigenze di tutela dei creditori che abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio delle persone che hanno operato per l’associazione, e trascende, pertanto, la posizione astrattamente assunta dal soggetto nell’ambito della compagine sociale ricollegandosi piuttosto ad una concreta ingerenza dell’agente nell’attività dell’ente. Ne consegue, dunque, che chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita.
Proprio in relazione alla necessaria prova che l’amministrazione deve essere in grado di fornire per poter invocare la solidarietà del presidente, se da un lato può non essere sufficiente la mera invocazione della carica rivestita, secondo la Cassazione ci sono tutta una serie di elementi che certamente rappresentano forti indicatori di concreto esercizio di potere
gestorio nell’amministrazione di un’associazione che la CTR avrebbe dovuto considerare : “a) la sottoscrizione del rendiconto dell’associazione; b) la riscossione degli incassi delle serate; c) l’avere curato le utenze ricevendo le bollette, nonché l’affitto del locale attraverso il pagamento con proprio bonifico del relativo canone; d) il reperimento delle forniture del bar; e) la conduzione del bar che, statutariamente, rappresentava una delle attività dell’associazione f) la sottoscrizione della dichiarazione”.
Secondo la Corte questi elementi se a vario titolo riscontrabili all’interno degli atti accertativi sono da soli sufficienti a legittimare una responsabilità personale solidale ex art. 38 c.c. in quanto rappresentano chiari indici di esercizio di attività gestoria e devono essere considerati validi anche nell’ipotesi in cui non facciano riferimento al medesimo soggetto in capo al quale da statuto è riconducibile la rappresentanza legale dell’associazione priva del riconoscimento della personalità giuridica.
La sentenza impugnata che non aveva correttamente valutato gli indicatori di solidarietà posti in rilievo dall’Agenzia delle Entrate era, dunque meritevole di essere cassata con rinvio ad altra sezione della CTR per nuovo esame e liquidazione delle spese di lite.
IVA
Il luogo della cessione nelle triangolazioni comunitarie “improprie”
di Xxxxx Xxxxxxx
Tra le operazioni in triangolazione che hanno formato oggetto di uno specifico chiarimento da parte dell’Amministrazione finanziaria è interessante esaminare quella in cui operatore economico italiano acquista i beni da un soggetto comunitario non residente al quale dà l’incarico di consegnarli direttamente al proprio cliente extracomunitario.
Secondo la C.M. 23 febbraio 1994, n. 13-VII-15-464 (§ B.16.3), l’intera operazione non rileva ai fini del pagamento dell’IVA nel territorio dello Stato, in quanto la cessione all’esportazione viene eseguita a partire da un altro Paese comunitario (nella specie, quello del fornitore dell’operatore nazionale).
Rispetto all’Italia, infatti, il soggetto italiano, non effettua né un acquisto intracomunitario, in quanto i beni non hanno, come destinazione finale, un altro Stato membro, né una cessione all’esportazione, in quanto i beni non si trovano in Italia nel momento del trasporto/spedizione a destinazione del cessionario finale extracomunitario.
Alla luce del criterio territoriale di cui all’art. 7-bis, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, non dovrebbero sussistere particolari dubbi in ordine al fatto che la cessione all’esportazione si considera territorialmente rilevante nel Paese UE del fornitore e che, pertanto, il soggetto italiano sia ivi tenuto ad identificarsi ai fini IVA per l’adempimento degli obblighi connessi a tale operazione.
A favore di una diversa soluzione, cioè emissione di fattura non imponibile IVA direttamente da parte dell’impresa italiana, potrebbe osservarsi che la prassi amministrativa ha, in più occasioni, chiarito che la qualificazione di un’operazione come cessione all’esportazione è oggettiva, siccome prescinde dal luogo di partenza dei beni. Ciò che conta, in altri termini, è che la merce sia effettivamente destinata verso un Paese extracomunitario, senza che assuma rilevanza il Paese, situato all’interno della UE, dal quale viene operato il trasferimento (risoluzione dell’Xxxxxxx xxxxx Xxxxxxx 00 dicembre 2010, n. 134, confermata dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate 29 luglio 2011, n. 37, § 5).
Invero, la fattispecie presa in considerazione dall’Agenzia riguarda l’ambito applicativo della non imponibilità IVA prevista per i trasporti e i servizi di spedizione relativi a beni in esportazione, importazione e transito, comprese le relative prestazioni di intermediazione. Dato allora che, nei rapporti “B2B”, i trasporti di beni e le relative intermediazioni, in quanto prestazioni “generiche”, sono territorialmente rilevanti in Italia se il committente è un soggetto passivo ivi stabilito, tali operazioni – se acquistate da soggetti IVA italiani – si considerano
effettuate nel nostro territorio anche se i beni sono esportati a partire da un altro Paese membro.
Va da sé, quindi, che se l’operazione considerata, anziché essere un trasporto di beni, è una cessione all’esportazione, il relativo trattamento di non imponibilità si applica altrettanto oggettivamente, ma avendo riguardo al luogo di effettuazione della cessione, che coincide con il territorio di partenza dei beni, individuato nel momento iniziale del trasporto/spedizione (art. 32 della Direttiva n. 2006/112/CE).
Ne consegue che la cessione all’esportazione eseguita a partire da un altro Paese membro, non essendo territorialmente rilevante in Italia, non può essere fatturata direttamente dall’impresa italiana in regime di non imponibilità ex art. 8, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972. La fattura deve essere, invece, emessa, senza addebito d’imposta, dalla posizione IVA previamente “accesa” in tale Paese membro secondo la procedura dell’identificazione diretta o per mezzo della nomina di un rappresentante fiscale.
Riguardo, invece, alla cessione posta in essere dal fornitore comunitario nei confronti del soggetto italiano, è opportuno chiedersi se quest’ultimo debba attendersi una fattura con addebito dell’IVA locale o se l’acquisto debba essere assoggettato a reverse charge dall’operatore nazionale.
La soluzione si desume dalla stessa C.M. n. 13-VII-15-464/1994 (§ B.16.3), in riferimento alla triangolazione, identica a quella in esame, in cui però l’operatore italiano, anziché essere il promotore della triangolazione, è il primo cedente.
Secondo l’Amministrazione finanziaria, la cessione posta in essere dall’operatore italiano non presenta le caratteristiche proprie delle operazioni intracomunitarie, venendo meno una delle prerogative principali, vale a dire la destinazione – immediata o, comunque, finale – dei beni in altro Stato membro. Di conseguenza, l’operatore nazionale, nei confronti del proprio cliente comunitario non residente, effettua una cessione all’esportazione, non imponibile ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. a) o b), del D.P.R. n. 633/1972, ovvero una cessione “interna”, se i
beni vengono consegnati in Italia direttamente al destinatario finale svizzero.
Ritornando alla triangolazione oggetto di esame, è dato pertanto ritenere che il soggetto italiano non è tenuto ad applicare il meccanismo di reverse charge di cui all’art. 17, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, in quanto il proprio fornitore deve emettere nei suoi confronti una fattura che, se non contiene l’addebito dell’IVA, è solo perché la cessione beneficia del regime di non imponibilità previsto per le esportazioni.
IMPOSTE INDIRETTE
La cessione, risoluzione e proroga del contratto di locazione: aspetti generali
di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx
L’articolo 17 D.P.R. n. 131/1986 disciplina le cessioni, risoluzioni e proroghe, anche tacite, dei contratti di locazione e di affitto di beni immobili, stabilendo al comma 1 che l’imposta dovuta per la registrazione dei contratti di locazione e affitto di beni immobili esistenti nel territorio dello Stato è dovuta anche per le cessioni, risoluzioni e proroghe. Sotto il profilo operativo la stessa disposizione normativa stabilisce che l’imposta è liquidata dalle parti contraenti ed assolta entro 30 giorni successivi dall’evento in questione, versando l’imposta allo stesso concessionario presso il quale è stato eseguito il pagamento al momento della prima registrazione
Dal punto di vista procedurale si ricorda che le proroghe, le risoluzioni e le cessioni dei contratti di locazione vanno comunicate all’Agenzia delle entrate utilizzando RLI (software, ambiente web o modello). Nel caso questo venga fatto in via telematica, le relative imposte sono pagate direttamente utilizzando l’applicativo, con addebito sul proprio c/c.
Qualora, invece, l’adempimento successivo sia comunicato mediante la presentazione del modello in ufficio (che va fatta entro i 20 giorni successivi al versamento), le modalità di pagamento sono le stesse previste per la registrazione (utilizzo del modello F24 Elide).
Sotto il profilo sostanziale l’Agenzia delle entrate con la C.M. 12/E/1998 ha precisato che “anche nelle ipotesi di cessioni, risoluzioni e proroghe dei contratti di locazione e sublocazione e affitto di durata pluriennale, l’imposta dovuta non può essere inferiore alla misura fissa prevista dalla norma”, pari ad € 67,00 ai sensi della nota all’articolo 5 della Tariffa, Parte I, allegata al
D.P.R. n. 131/86, “ciò in quanto (…) il tributo dovuto nelle suddette ipotesi si configura come principale poiché gli atti in oggetto hanno natura autonoma ed innovano rispetto ai precedenti contratti di locazione e sublocazione”.
Una particolare attenzione deve essere rivolta ai contratti di locazione di immobili abitativi, per i quali è stato scelto il regime della cedolare secca. In tali ipotesi, infatti, l’imposta di registro – nei casi di risoluzione o proroga – non è dovuta quando si sceglie la cedolare secca, a condizione che (rispettivamente):
1. alla data della risoluzione anticipata sia in corso l’annualità per la quale è esercitata l’opzione;
2. si eserciti l’opzione per il periodo di durata della proroga.
In caso di cessione del contratto di locazione e sublocazione di immobili urbani di durata pluriennale è necessario operare una distinzione a seconda se l’operazione di cessione sia soggetta ad Iva o meno.
L’Agenzia delle entrate con la C.M. 36/E/2003 ha precisato che, se la cessione del contratto ricade nell’ambito di applicazione dell’Iva ed avviene verso corrispettivo e nell’esercizio di un’impresa commerciale, ovvero di un’arte o professione, il principio di alternatività tra Iva e registro comporta l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa pari ad € 67,00.
Nel caso in cui, invece, la cessione non ricada nell’ambito di applicazione dell’Iva è necessario operare le seguente distinzioni:
– se il contratto è ceduto senza corrispettivo ed è relativo ad immobili urbani con contratti di durata pluriennale alla cessione si applica anche in questo caso l’imposta nella misura fissa (€ 67,00), sia che l’imposta di registro sul contratto di locazione sia stata a suo tempo applicata annualmente che anticipatamente, per l’intera durata del contratto;
– in mancanza anche di uno solo di tali requisiti (cessione con corrispettivo e/o locazione o sublocazione di immobili che non siano urbani con contratti di durata pluriennale), trovano applicazione le disposizioni di cui agli articoli 31 e 43 D.P.R. n. 131/1986, in base alle quali, oltre all’imposta dovuta per le annualità residue in caso di versamento annuale, si dovrà versare un importo pari al 2% (se la cessione ha per oggetto un contratto di locazione di immobile urbano) o allo 0,50% (se la cessione ha per oggetto un contratto di locazione di un fondo rustico) dei canoni che residuano alla scadenza del contratto. Ricordando che in ogni caso l’imposta dovuta non può essere inferiore ad € 67,00.
Per quanto riguarda le risoluzioni dei contratti di locazione di immobili urbani di durata pluriennale, sono soggette all’imposta di registro nella misura fissa di € 67,00. Se il contratto è risolto anticipatamente ed è stato versato l’importo relativo all’intera durata, chi ha pagato ha diritto al rimborso delle annualità successive a quella in corso.
Per quanto concerne infine la proroga del contratto di locazione trovano applicazione le regole previste per la registrazione, ossia corrispondendo l’imposta per la singola annualità oppure per l’intero periodo di durata della proroga.
AGEVOLAZIONI
Il bonus ricerca e sviluppo è per tutte le imprese
di Xxxxxxxxxx Xxxxxxx
Il comma 35 dell’art.1 dell’ultima legge di stabilità (L. n.190/2014) ha ridefinito la disciplina del credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo di cui all’art.3 del D.L. n.145/2013.
Il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 27 maggio 2015, elaborato di concerto con il Ministero dello sviluppo economico e pubblicato sulla G.U. n.174 del 29 luglio 2015, individua, tra le altre cose, le disposizione applicative necessarie per poter dare attuazione al credito d’imposta, le quali verranno qui di seguito analizzate.
Ai fini dell’agevolazione in questione sono considerate attività di ricerca e sviluppo:
1. i lavori sperimentali o teorici svolti finalizzate principalmente all’acquisizione di nuove conoscenze sui fondamenti di fenomeni e di fatti osservabili, senza che siano previste applicazioni o usi commerciali diretti;
2. la ricerca pianificata o le indagini critiche miranti a acquisire nuove conoscenze da utilizzare per mettere a punto nuovi prodotti, processi o servizi o permettere un miglioramento di quelli esistenti ovvero per creare componenti di sistemi complessi necessari per la ricerca industriale;
3. l’acquisizione, la combinazione, la strutturazione e l’utilizzo di conoscenze e capacità esistenti scientifiche, tecnologiche e commerciali al fine di produrre piani, progetti o disegni per prodotti, processi o servizi nuovi, modificati, o migliorati;
4. la produzione e il collaudo di prodotti, processi e servizi, a condizione che non sano impiegati o trasformati in vista di applicazioni industriali o per finalità commerciali.
Di contro, sono esclusi dall’ambito di applicazione del bonus le modifiche ordinarie o periodiche apportate a prodotti, linee di produzione, processi di fabbricazione, servizi esistenti e altre operazioni in corso, anche quando tali modifiche rappresentano miglioramenti.
Possono beneficare dello sconto d’imposta tutte le imprese indipendentemente dalla forma giuridica, dal settore economico di appartenenza e dal regime contabile adottato che effettuano investimenti in attività di ricerca e sviluppo, così come delineate sopra, dal 2015 al 2019 (in caso di coincidenza del periodo d’imposta con l’anno solare). I costi sono ammissibili secondo il principio della competenza di cui all’art.109 del Tuir e solo se sono direttamente connessi con l’attività di ricerca e sviluppo; a tal fine il decreto individua le seguenti fattispecie di costi:
1. le spese effettivamente sostenute per il personale – costituite dalla retribuzione lorda –
altamente qualificato che opera, sia in qualità di dipendente dell’impresa – con esclusione del personale addetto a mansioni amministrative, contabili e commerciali -, sia come collaboratore dell’impresa ma a condizione che l’attività venga svolta presso i locali dell’impresa stessa;
2. le quote di ammortamento relative agli strumenti e attrezzature acquistati, determinate secondo i coefficienti fiscali fissati del D.M. 31 dicembre 1988 e, comunque, in rapporto all’effettivo impiego nelle attività di ricerca e sviluppo. Se il bene è acquistato mediante leasing finanziario le quote capitali dei canoni sono determinate nella misura corrispondente all’importo deducibile ai sensi dell’art.102, comma 7, del Tuir;
3. le spese relative alla ricerca commissionata a università, enti di ricerca e organismi equiparati nonché a altri soggetti comprese le start up innovative (sono esclusi i costi relativi a attività commissionate a società appartenenti allo stesso gruppo). Deve comunque trattarsi di soggetti residenti o localizzati in uno Stato Ue o aderente all’accordo sul SEE o, ancora, in Stati che consentono un adeguato scambio di informazioni;
4. le spese per competenze tecniche e privative industriali relative a un’invenzione, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà di vegetali.
Il credito d’imposta spetta nell’importo massimo annuale di 5 milioni a condizione che la spesa complessiva per investimenti in attività di ricerca e sviluppo per ogni periodo d’imposta per cui si intende fruire del beneficio
1. ammonti almeno a 30.000 euro e
2. ecceda la media degli investimenti della medesima natura realizzati nei tre periodi d’imposta precedenti (o meno in caso di impresa neocostituita) al 2015, quindi negli anni 2012, 2013, 2014 (in ipotesi di coincidenza del periodo d’imposta con l’anno solare).
Verificatisi questi due presupposti, il beneficio è riconosciuto nella misura
1. del 50 per cento della spesa incrementale relativa al personale e alla ricerca commissionata a terzi, ovvero
2. del 25 per cento della spesa incrementale delle quote di ammortamento degli strumenti e attrezzature nonché di quella relativa a competenze tecniche,
stabilito secondo le seguenti modalità
1. dapprima è necessario determinare la spesa incrementale agevolabile per ciascuna delle due categorie sopra evidenziate, confrontando le relative spese sostenute nel periodo per il quale si intende fruire dell’agevolazione con la media annuale riferita ai tre periodi d’imposta precedenti al 2015;
2. qualora entrambe le categorie evidenzino un incremento, il credito d’imposta è calcolato applicando a ciascun incremento la relativa aliquota (50 o 25 per cento),
3. qualora, invece, l’incremento si verifichi solo per una categoria, il credito d’imposta è calcolato applicando l’aliquota relativa a quella categoria alla corrispondente spesa incrementale.
Il credito d’imposta così determinato deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi
relativa al periodo d’imposta di sostenimento dei costi agevolati. Inoltre, il decreto stabilisce:
1. l’irrilevanza fiscale del credito; esso, infatti, non concorre alla formazione della base imponibile Ires, Irpef e Irap dell’impresa, non rileva per il calcolo della quota degli interessi passivi deducibili ai sensi dell’art. 61 Tuir e non rileva per la determinazione della quota di spese deducibile ai sensi dell’art. 109, comma 5, Tuir;
2. che il credito è utilizzabile esclusivamente in compensazione a scomputo dei versamenti dovuti mediante il modello F24 a partire dal periodo d’imposta successivo a quello di sostenimento dei costi agevolati;
3. che ai fini dell’utilizzo del bonus non rileva il limite alla compensazione applicabile ai crediti d’imposta agevolati di 250.000 euro, il limite del tetto annuo generale dei
700.000 euro nonché il divieto di compensare crediti erariali in presenza di somme erariali iscritte a ruolo e scadute per un ammontare superiore a 1.500 euro.