DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
Cattedra di Diritto Privato II
LA LOCAZIONE FINANZIARIA ALLA LUCE DELLA LEGGE 124/2017. SVILUPPO ANOMALO DELLA VICENDA NEGOZIALE E OBBLIGO DI RINEGOZIAZIONE DEL CONTRATTO
RELATORE CANDIDATA
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx
Xxxxxxx Xxxxxx Xxxx. 135963
CORRELATORE
Xxxxx.xx Xxxx.
Xxxxxxx Xxxxxxxx
Anno Accademico 2019-2020
Indice
IL CONTRATTO DI LEASING FINANZIARIO: STORIA ED EVOLUZIONE
1. Le origini del contratto di leasing finanziario quale operazione “socialmente tipica” 10
2. Primi riferimenti normativi e processo di “tipizzazione” giurisprudenziale 13
2.1 Leasing immobiliare abitativo 16
2.2 La tipizzazione del leasing finanziario ad opera della c.d. Legge Concorrenza del 2017 19
2.4 Sale and lease back: profili di criticità in relazione al divieto del patto commissorio 24
3. Leasing internazionale e locazione finanziaria: un confronto 28
LEASING FINANZIARIO: PROFILI QUALIFICATORI DELLA FATTISPECIE
1. Elementi strutturali della fattispecie: cenni 33
2. La posizione contrattuale delle parti 35
2.1 La qualificazione soggettiva dell’utilizzatore e la dibattuta configurabilità del c.d. leasing al consumo 35
2.2 Diritti ed obblighi del lessee. Traslazione del rischio in caso di evizione o di vizi della res 39
2.3 Diritti ed obblighi del lessor 43
3. Qualificazione giuridica della fattispecie di leasing finanziario 47
3.1 Assimilazione della fattispecie alla locazione ordinaria e alla vendita con riserva di proprietà. Pronunce della giurisprudenza di legittimità e profili problematici 48
3.2 Il nuovo filone giurisprudenziale inaugurato dalle c.d. “sentenze gemelle” del 1989. La dicotomia tra leasing “di godimento” e leasing “traslativo” 53
3.3 Gli interessi facenti capo alle parti e l’individuazione di una autonoma causa di finanziamento 58
4. La tutela del lessor nelle ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento del lessee 61
4.1 Le posizioni della giurisprudenza di legittimità 62
4.2 L’introduzione di una normativa ad hoc ad opera della legge n. 124 del 2017
4.3 L’incidenza della novella del 2017 sui rapporti giuridici pendenti 71
5. Le sorti del contratto di leasing finanziario a seguito della dichiarazione di fallimento 76
LA STRUTTURA DELL’OPERAZIONE ECONOMICA E LA CONNESSA QUESTIONE DELLA TUTELA DEL LESSEE
1. Profili strutturali della fattispecie: due distinte ricostruzioni 82
1.1 L’operazione di leasing quale contratto unitario plurilaterale 83
1.2 Trilateralità dell’operazione economica ed ipotesi di collegamento negoziale
1.3 Le varianti introdotte dalla Suprema Corte: dalla causa concreta “unitaria” al collegamento negoziale “atipico” 93
2. Inadempimento del fornitore del bene: la controversa ammissibilità di una tutela diretta a favore del lessee 99
2.1 Prime ricostruzioni proposte da dottrina e giurisprudenza 102
2.2 L’incidenza della sentenza a Sezioni Unite n. 24772 del 2008 in tema di mandato senza rappresentanza 107
2.3 L’arresto giurisprudenziale sul tema operato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 19785 del 2015 110
3. Perduranti criticità e nuove (possibili) riflessioni alla luce della tipizzazione operata dalla c.d. Legge Concorrenza del 2017 119
4. La rinegoziazione: strumento di governo delle sopravvenienze contrattuali 123
4.1 Obbligo legale di rinegoziazione del contratto 127
4.2 Violazione dell’obbligo di rinegoziare: quali rimedi possibili? 135
4.3 Rinegoziazione del contratto di locazione finanziaria 138
CONCLUSIONI 142
BIBLIOGRAFIA 147
La presente trattazione si colloca ad ormai quasi sessant’anni dalla diffusione del leasing finanziario nel nostro ordinamento. Sviluppatosi quale moderna tecnica di finanziamento delle imprese negli Stati Uniti d’America già nei primi anni Cinquanta del secolo scorso, la locazione finanziaria ha velocemente conquistato il mercato europeo, ponendo agli interpreti grandi sfide concettuali e dogmatiche relative alla necessità di adattare un istituto tipico degli ordinamenti di common law alla tradizione giuridica continentale. La portata quasi “esplosiva” del contratto in esame testimonia, ancora una volta, la “corsa” del diritto che, con difficoltà sempre crescenti, tenta di adeguarsi (e conformarsi) alle esigenze di una realtà economica sempre più dinamica ed in continua evoluzione.
Il leasing finanziario è stato, in questi decenni, oggetto di una crescente (ed a tratti eccessiva) attenzione da parte di dottrina e giurisprudenza, che si sono affannate nel tentativo di operare una sistematizzazione del negozio entro i confini, spesso angusti, degli istituti tradizionali del diritto civile, arrivando talvolta ad operare forzature che hanno finito con lo svilire la sua enorme portata innovativa.
L’esigenza, fortemente avvertita dagli interpreti, di delineare la cornice normativa del leasing, si è a lungo scontrata con l’indifferenza (o forse il timore?) del legislatore nazionale, che si è inizialmente sottratto alle istanze di quanti invocavano la tipizzazione dell’istituto al fine di conferirgli autonoma dignità rispetto ad altre fattispecie. La locazione finanziaria è stata dunque, per lungo tempo, un contratto solo socialmente tipico, i cui elementi costitutivi sono stati pazientemente enucleati dalla dottrina e dalla giurisprudenza (soprattutto di legittimità): queste, non senza accesi contrasti, hanno affrontato gli aspetti maggiormente problematici dell’istituto, tentando di offrire soluzioni rispettose degli interessi economici sottesi all’operazione e, al contempo, volte a tutelare i paciscenti da possibili abusi della controparte.
Nonostante gli sforzi profusi, alcune importanti tematiche rimangono tuttora controverse e oggetto di accese discussioni: fra tutte, fortemente dibattuta rimane la questione relativa alla tutela del soggetto utilizzatore nelle ipotesi di inadempimento del fornitore del bene.
Il vivace dibattitto sviluppatosi intorno al leasing finanziario non si è affatto sopito all’indomani della tipizzazione dell’istituto ad opera della c.d. Legge annuale per il mercato e la concorrenza del 2017 (legge 4 agosto 2017, n. 124), che ha (infine) elevato la fattispecie de qua al rango di “tipo” legale. La disciplina in esame, seppur nell’apprezzabile tentativo di sistematizzare i numerosi interventi settoriali in tema di locazione finanziaria succedutisi nel corso degli anni, è tuttavia poco innovativa: la normativa recepisce soluzioni in gran parte già individuate dalla prassi contrattuale e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, lasciando viceversa insoluti alcuni importanti nodi problematici.
A tal proposito, tra le questioni ancora fortemente dibattute si inserisce la qualificazione giuridica dell’operazione economica di leasing finanziario considerata nel suo complesso, soprattutto alla luce della pronuncia a Sezioni Unite della Corte di Cassazione (SS. UU. n. 19785 del 2015) che, con un inaspettato revirement, ha escluso la sussistenza del collegamento negoziale “tecnico” tra i negozi di compravendita e quello di leasing. Ulteriore profilo (parimenti controverso) indagato dai giudici nella pronuncia in commento attiene alla tutela dell’utilizzatore nelle ipotesi di inadempimento del fornitore del bene, stante la problematica individuazione delle azioni esperibili dal lessee: in particolare, ci si interroga in ordine alla possibilità di dare spazio a strumenti “manutentivi” del contratto, in sostituzione dei tradizionali rimedi ablativi.
Il persistere di nodi problematici relativi alla locazione finanziaria impone, ad avviso di chi scrive, una ricognizione delle principali “tappe” evolutive dell’istituto, che sarà condotta attraverso un’analisi dei profili qualificatori e strutturali della fattispecie e mediante la disamina delle molteplici soluzioni proposte da dottrina e giurisprudenza in relazione a tali temi. Il presente lavoro avrà dunque la finalità di offrire un quadro sistematico ed organico rispetto alle principali questioni rimaste insolute, tentando al contempo di offrire un contributo personale ed originale delle stesse.
CAPITOLO I
IL CONTRATTO DI LEASING FINANZIARIO: STORIA ED EVOLUZIONE
Sommario: 1. Le origini del contratto di leasing finanziario quale operazione “socialmente tipica”. – 2. Primi riferimenti normativi e processo di “tipizzazione” giurisprudenziale. – 2.1. Leasing immobiliare abitativo. – 2.2 La tipizzazione del leasing finanziario ad opera della c.d. Legge Concorrenza del 2017. – 2.3 Leasing c.d. operativo.
– 2.4 Sale and lease back: profili di criticità in relazione al divieto del patto commissorio. – 3. Leasing
internazionale e locazione finanziaria: un confronto.
1. Le origini del contratto di leasing finanziario quale operazione “socialmente tipica”
Il financial leasing (dall’inglese to lease = prendere o dare in locazione) nasce quale moderna tecnica di finanziamento delle imprese1 nella prassi contrattuale degli Stati Uniti d’America: storicamente, la sua diffusione si attesta già alla fine del XIX secolo2; tuttavia, è solo intorno agli anni Cinquanta del secolo scorso – periodo di significativa espansione economica – che l’adozione del leasing si consolida, dapprima nel mercato immobiliare e, successivamente, in quello mobiliare dei macchinari industriali3. La fortuna di tale operazione economica, caratterizzata da
1 Per una ricostruzione storica approfondita dell’istituto cfr. XXXXXXX F., Per la storia del leasing in Italia, Bologna, 2008; CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing, factoring, in Trattato di diritto commerciale, diretto da X. XXXXXXXXX, XX, 0, Xxxxxx, 0000; RUOZI R., Il leasing: origine, evoluzione e sviluppi futuri, in RUOZI R., XXXXXXXX A. (a cura di), Manuale del leasing, Milano, 1984.
2 In tale contesto storico, i contratti di leasing avevano solitamente ad oggetto macchinari industriali.
3 Risale al 1952 la costituzione della prima società di leasing, grazie all’intuizione dell’imprenditore americano D.P. Xxxxxx Xx., proprietario di una fabbrica di prodotti alimentari in California.
estrema flessibilità, portò ben presto alla sua diffusione oltreoceano, in tutta l’Europa continentale e, all’inizio degli anni Sessanta, anche in Italia4.
Sotto un profilo squisitamente economico-funzionale, il financial leasing si presenta quale tecnica di finanziamento sui generis, alternativa ai tradizionali canali bancari: mediante la stipula del negozio de quo le imprese ottengono la disponibilità di beni strumentali allo svolgimento dell’attività imprenditoriale (immobili e/o macchinari industriali) e risultano, al contempo, esonerate dalla necessità di mobilizzare ingenti capitali per il loro acquisto.
Proprio muovendo da siffatte considerazioni, molti autori collocano il financial leasing all’interno dell’ampio genus dei contratti d’impresa. Benché l’autonomia di tale categoria contrattuale risulti, a tutt’oggi, oggetto di un acceso dibattito – tanto in dottrina quanto in giurisprudenza –, la conferma dell’appartenenza del leasing finanziario a tale categoria sembra potersi individuare nella Legge annuale per il mercato e la concorrenza del 2017 (legge 4 agosto 2017, n. 124, d’ora in poi: Legge Concorrenza del 2017): la normativa in questione individua, quale requisito soggettivo della società concedente, l’essere questa una «banca o l’intermediario finanziario iscritto nell’albo di cui all’articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385». A tale circostanza si aggiunge, poi, la peculiare previsione contenuta nel summenzionato testo normativo – peraltro già recepita dalla prassi contrattuale –, con la quale il legislatore “scarica” sul soggetto utilizzatore ogni tipo di rischio connesso all’utilizzo del bene, ivi compreso la presenza di vizi e l’evizione5. Siffatte disposizioni trovano certamente giustificazione nel quadro di un contesto imprenditoriale, nel quale l’utilizzatore-imprenditore si accolla il rischio d’impresa; difficilmente, invece, potrebbero trovare spazio in un rapporto che coinvolga un privato-consumatore, stante il loro insanabile contrasto rispetto al sistema di tutele garantite dalla disciplina consumeristica6.
4 La rapida diffusione del leasing nel contesto economico europeo si deve principalmente all’esportazione di tale modello contrattuale ad opera di importanti società nordamericane operanti nel settore industriale.
5 Per ulteriori approfondimenti si rinvia a quanto si dirà infra, cap. II, § 2.
6 A conferma di ciò sembrerebbe porsi l’arresto giurisprudenziale Cass. civ., sez. un., 5 ottobre 2015, n. 19785, secondo cui «[…] nella prassi mercantile, tende ad affermare (come s’è visto) l’esonero del concedente da responsabilità per vizi della cosa ed il corrispondente obbligo dell’utilizzatore di accertare la conformità del bene in sede di consegna (eventualmente rifiutandolo). Ciò a garanzia della
Tanto premesso, appare opportuno procedere ad una preliminare descrizione dello schema contrattuale del leasing finanziario, che si caratterizza per una notevole complessità strutturale derivante dalla natura trilaterale del rapporto. In proposito, larga parte della dottrina e della giurisprudenza concordano sull’opportunità di adottare la locuzione “operazione economica”7, in luogo dell’espressione “schema negoziale”, stante la difficoltà di ricondurre la complessità del leasing in una fattispecie contrattuale unitaria. Peraltro, il dibattito sul tema ha trovato terreno fertile: le origini della figura contrattuale de qua in un ordinamento di common law la rendono distante dalla tradizione giuridica dei Paesi di civil law; ne discende, allora, una notevole difficoltà di inquadramento giuridico ed una problematica riconduzione dello schema negoziale tra le fattispecie tradizionali di diritto interno.
Preliminare rispetto alla descrizione della struttura del leasing finanziario è l’identificazione dei soggetti coinvolti nell’operazione: la società di leasing (detta anche società concedente o lessor), l’utilizzatore del bene (definito anche concessionario o lessee) e l’impresa fornitrice (o costruttrice) del bene oggetto del contratto; molteplici e complesse sono le relazioni che intercorrono tra i summenzionati soggetti, non prive di aspetti problematici.
Secondo lo schema negoziale “tipico”, il lessor stipula con una società fornitrice un contratto di compravendita e/o appalto avente ad oggetto l’acquisto (o la realizzazione) di un bene, mobile o immobile, individuato su scelta e secondo le indicazioni del futuro utilizzatore. Il bene viene concesso in godimento al lessee, il quale corrisponde alla concedente un canone periodico e si assume tutti i rischi relativi al bene. Alla scadenza del contratto, l’utilizzatore potrà esercitare un’opzione di acquisto sulla res versando il prezzo prestabilito nel negozio di financial leasing.
A monte della conclusione del contratto di leasing finanziario (stipulato da società concedente ed utilizzatore) si collocano una serie di operazioni preliminari, che rivelano la trilateralità dell’operazione economica complessivamente considerata: i) l’individuazione della società fornitrice e/o costruttrice del bene ad opera dell’utilizzatore; ii) la scelta del bene oggetto del negozio di compravendita e del
separazione tra rischio finanziario e rischio operativo che sottende la vicenda economica in questione, la quale vuole che l’esecuzione del piano di ammortamento del credito sia indipendente da qualsiasi contestazione concernente la qualità e la conformità della fornitura».
7 Cfr. XXXXXXXXX X., «Operazione economica» e teoria del contratto. Studi, Milano, 2013.
successivo contratto di leasing; iii) la proposta di finanziamento della società di leasing diretta all’utilizzatore. L’operazione si caratterizza, dunque, per l’unicità del fine economico, che tuttavia osta ad un agevole inquadramento giuridico della fattispecie: a tale riguardo, gran parte della dottrina ritiene più appropriato definire il leasing finanziario con il termine “operazione”, proprio per sottolineare l’intrinseca trilateralità del rapporto e l’unitaria finalizzazione economica8; il termine “contratto” è, invece, idoneo ad indicare il solo rapporto giuridico intercorrente tra la società concedente e l’utilizzatore.
2. Primi riferimenti normativi e processo di “tipizzazione” giurisprudenziale
Nonostante il difetto nel nostro ordinamento – almeno fino alla Legge Concorrenza del 2017 – di una tipizzazione legale dell’operazione di leasing finanziario di respiro generale, non sono mancati numerosi interventi settoriali in materia, preceduti da un acceso dibattito dottrinale9 sul tema e da numerose pronunce della giurisprudenza (sia di merito sia di legittimità), che hanno contribuito a rendere “tipica”, almeno socialmente, la figura in esame.
Parte della dottrina non ha mancato di sottolineare come l’assenza di un intervento legislativo organico relativo al leasing finanziario potesse ragionevolmente ricondursi al (fondato) timore che la cristallizzazione della relativa disciplina giuridica potesse – paradossalmente – incidere negativamente sul suo successo economico; la “fortuna” ottenuta da questa tecnica di finanziamento, spesso adoperata nell’ambito di importanti operazioni economiche internazionali, è senza dubbio dovuta alla notevole flessibilità che la caratterizza. Ed ancora, diversi Autori hanno evidenziato come la necessità di una tipizzazione normativa del leasing finanziario costituisca in realtà un
8 Cfr. CLARIZIA R., I contratti di finanziamento. Leasing e factoring, Torino, 1989.
9 Fin dalla sua apparizione nello scenario economico italiano, il financial leasing ha alimentato intensi dibattiti sulla sua natura peculiare giuridica; peraltro, si segnala la tendenza ad “ingabbiare” l’istituto in esame entro gli angusti confini dei tipi contrattuali tradizionali, quali vendita con riserva di proprietà, locazione e mutuo. Tali tentativi, ad opera di dottrina e giurisprudenza, si sono spesso risolti in uno svilimento delle peculiarità del leasing.
“non problema”10, non rappresentando certo una condicio sine qua non per il suo utilizzo.
Il “vuoto” legislativo in tema di locazione finanziaria, infatti, non ha impedito agli interpreti di ricostruire i caratteri fondamentali dell’istituto, avvalendosi a tal fine delle (numerose) pronunce giurisprudenziali in materia e delle raccolte di prassi commerciali stilate dalle Camere di Commercio (in particolar modo da quella di Milano)11. Queste ultime, nell’operare una ricognizione sistematica degli usi e delle prassi contrattuali relative al leasing finanziario, hanno fornito una importante fonte cui attingere per una prima ricostruzione dello schema negoziale. Inoltre, un ulteriore e fondamentale contributo è rintracciabile nella predisposizione di modelli contrattuali “tipo”, adottati nel tempo dalla maggior parte delle imprese che operano nel settore.
Ruolo non secondario è stato svolto dalle Corti di merito12 e di legittimità, le quali hanno in parte colmato il vuoto normativo in materia delineando i contorni fondamentali della fattispecie ed arginando possibili abusi in materia da parte delle società di leasing (vagliando, ad esempio, la validità delle clausole predisposte nei formulari e nei contratti-tipo). L’adozione del leasing finanziario da parte degli operatori economici ha, inoltre, reso frequente l’insorgere di controversie, sulle quali i giudici erano chiamati a pronunciarsi, “creando” soluzioni adatte al caso di specie. Il consolidarsi di determinati orientamenti giurisprudenziali in merito agli aspetti più controversi ha finito col determinarne, nei fatti, una tipizzazione socio- giurisprudenziale13 del financial leasing.
È bene precisare, per correttezza espositiva, che già a partire dagli anni Settanta del secolo scorso non sono mancati tentativi del legislatore di disciplinare organicamente la materia, sebbene siano rimasti incompiuti14. Viceversa, sono
10 Cfr. SERRA M., Il contratto di leasing, in AA.VV. Dei singoli contratti in Commentario del Codice civile, diretto da X. XXXXXXXXX, Torino, 2011.
11 CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., pp. 204 ss.
12 Tra le pronunce di merito maggiormente rilevanti in tema di qualificazione giuridica del leasing finanziario vi è quella del Tribunale di Vigevano, 14 dicembre 1972, della quale si dirà più approfonditamente infra, capitolo II, § 3.
13 Cfr. XXXXX X., Il contratto, II ed., Milano, 2011, pp. 400 ss.
14 Cfr., fra gli altri, il d.d.l. X’Xxxxxx, presentato il 25 ottobre 1973; il d.d.l. presentato dal senatore Xx Xxxxxxx ed altri il 13 aprile 1977; il progetto di disciplina legislativa della locazione finanziaria elaborato nel luglio del 1980 dal Xxxx. Xxxxx Xxxxxxxxxxx e quello predisposto nel luglio del 1981 dal Prof. Xxxxxxx
numerosi gli interventi normativi a carattere settoriale15: uno dei principali esempi è certamente l’art. 17, comma 2, della legge 2 maggio 1976, n. 183 in tema di locazione finanziaria agevolata di impianti industriali. Merito della normativa in esame è l’avere fornito una prima definizione dell’operazione di leasing finanziario16 che, benché sia limitata allo specifico settore dell’industria, è tuttavia organica e di ampio respiro.
Da segnalare è, infine, l’acceso dibattito (che ha coinvolto gran parte della dottrina) in ordine all’opportunità di operare una traduzione del termine anglosassone leasing. Secondo alcuni Autori17, la dizione leasing sarebbe formalmente più corretta in quanto rivelatrice della matrice anglosassone dell’istituto e, di conseguenza, aiuterebbe ad evitare fraintendimenti o improprie assimilazioni con le tradizionali figure codicistiche, in primis la locazione. Altra parte della dottrina è invece propensa ad adottare la trasposizione italiana “locazione finanziaria”: l’espressione, maggiormente precisa e circostanziata, eviterebbe di ingenerare confusione rispetto ai diversi tipi e modelli di leasing (genericamente identificati dal medesimo lemma inglese). Benché il legislatore non si sia espresso in maniera univoca sul punto, non può non sottolinearsi che la principale definizione dell’istituto, ad oggi contenuta nella Legge Concorrenza del 2017, adotti la locuzione in lingua italiana “locazione finanziaria”.
Vicentini; il d.d.l. di iniziativa dei senatori Xxxxxxxx ed altri presentato il 31 luglio 1997. Tali progetti di legge perseguivano il comune scopo di delineare una disciplina compiuta ed organica del leasing, nel tentativo peraltro di garantire l’autonomia normativa dell’istituto.
15 Ex multis, l’art. 15, l. 24 maggio 1977, n. 227; l’art. 17, lett. b, l. 21 maggio 1981, n. 240; l’art. 7, l. 2
maggio 1983, n. 178; gli artt. 00 x 000, x.xxx. 00 xxxxxx 0000, x. 000; la l. 7 marzo 1996, n. 108. Il leasing finanziario è, peraltro, richiamato in recenti interventi normativi in materia di credito al consumo, fallimento ed in campo fiscale e tributario.
16 La normativa in questione, recante la “Disciplina dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno per il quinquennio 1976-80”, riportava al comma 2 dell’art. 17 una definizione dell’operazione di locazione finanziaria, seppur circoscritta alla peculiare figura del leasing agevolato di impianti industriali:
«operazioni di locazione finanziaria si intendono le operazioni di locazione di beni mobili e immobili, acquistati o fatti costruire dal locatore, su scelta e indicazione del conduttore, che ne assume tutti i rischi, e con facoltà per quest’ultimo di divenire proprietario dei beni locati al termine della locazione, dietro versamento di un prezzo prestabilito». La normativa è stata abrogata dal d.l. 25 giugno 2008 n. 112, convertito con modificazioni dalla l. 6 agosto 2008 n. 133.
17 Cfr. DE NOVA G., voce Leasing, in Digesto discipline privatistiche, X, Torino, 1993, p. 462.
2.1 Leasing immobiliare abitativo
La definizione di locazione finanziaria di cui alla Legge Concorrenza del 2017 trova un importante precedente normativo nel «contratto di locazione finanziaria di immobile da adibire ad abitazione principale», contenuto all’art. 1, commi 76-84, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (c.d. Legge di stabilità per il 2016)18. La descrizione della fattispecie de qua – che sarà pedissequamente riprodotta all’art.1, comma 136, della Legge Concorrenza del 2017 – qualifica il c.d. leasing immobiliare abitativo come il contratto con il quale «la banca o l’intermediario finanziario iscritto nell’albo di cui all’articolo 106 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, si obbliga ad acquistare o a far costruire l’immobile su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, che se ne assume tutti i rischi, anche di perimento, e lo mette a disposizione per un dato tempo verso un determinato corrispettivo che tenga conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto. Alla scadenza del contratto l’utilizzatore ha la facoltà di acquistare la proprietà del bene a un prezzo prestabilito».
Il contratto de quo, costituendo una species della locazione finanziaria immobiliare – i cui elementi differenziali rispetto al leasing finanziario risiedono, da un lato, nell’avere questo ad oggetto un bene immobile, acquistato o fatto costruire dalla società concedente secondo i desiderata dell’utilizzatore e, dall’altro, la qualificazione soggettiva del lessee quale persona fisica –, conserva alcuni profili problematici di quest’ultima: in particolare, dottrina e giurisprudenza si sono a lungo interrogate sulla assoggettabilità del negozio al regime della trascrizione (artt. 2643 ss. c.c.), al fine di rendere opponibile ai terzi (ai quali il concedente abbia eventualmente ceduto la proprietà del bene medio tempore) il diritto di godimento dell’utilizzatore
18 Il tema del c.d. leasing immobiliare abitativo è stato oggetto di analisi da parte di diversi Autori; ex multis, BONFATTI S., Dal leasing abitativo giovanile la riforma della disciplina della locazione finanziaria, in Rivista di diritto bancario, 2, 2016, pp. 1 ss.; CLARIZIA R., La locazione finanziaria di immobile da adibire ad abitazione principale nella legge di stabilità 2016: problemi di qualificazione e di coerenza sistematica, in CLARIZIA R., CUFFARO V. e XXXXX A. (a cura di), I nuovi contratti immobiliari: rent to buy e leasing abitativo, Padova, 2017, pp. 81 ss.; XXXXX M., Il contratto di leasing, cit., pp. 60 ss.; VITI V., La locazione finanziaria tra tipicità legale e sottotipi, Roma, 2018, pp. 137 ss.
sulla res e, parimenti, consentire a quest’ultimo di esercitare il diritto di opzione alla scadenza del contratto19.
Altra questione rimasta insoluta riguarda l’individuazione della parte soggetta alla responsabilità civile per danni cagionati a terzi dalla rovina dell’immobile ex art. 2053 c.c.: in particolare, si è discusso in ordine alla possibilità di estendere la disciplina de qua (che individua una ipotesi di responsabilità c.d. “oggettiva” a carico del proprietario del bene) anche all’utilizzatore-conduttore dell’immobile, in considerazione della diretta relazione materiale di quest’ultimo con la res – relazione dalla quale discenderebbe anche a carico di costui un obbligo di vigilanza.
Tratto peculiare del c.d. leasing immobiliare abitativo è la destinazione del bene ad una funzione abitativa: in tale ottica si spiegano le previsioni di evidente favore nei confronti dell’utilizzatore-conduttore, non solo di ordine fiscale (commi 82-84 dell’art. 1 della Legge di stabilità 2016) ma anche relative alla sospensione del pagamento dei canoni periodici per le ipotesi di sopravvenuta cessazione del rapporto di lavoro subordinato o dei rapporti di lavoro di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c. (commi 79 e 80 dell’art. 1 della Legge di stabilità 2016). Tuttavia, a fronte di tali agevolazioni, la normativa trasla espressamente in capo al lessee tutti i rischi inerenti al bene, compreso quello di perimento (comma 76 dell’art. 1).
Tale ultima circostanza ha generato problemi di compatibilità della disciplina in questione rispetto all’articolato sistema di tutele previsto a protezione del consumatore, parte “debole” del rapporto: in particolare, a fronte della traslazione dei rischi in capo all’utilizzatore ad opera di una normativa di rango primario, una clausola contrattuale di analogo contenuto non potrebbe considerarsi vessatoria ex art. 34,
19 Il problema si è posto in quanto l’elenco delle fattispecie assoggettabili a trascrizione ha carattere tassativo ed il legislatore non ha provveduto ad introdurre una disposizione ad hoc che consenta la trascrivibilità del contratto di locazione finanziaria immobiliare. Alcuni Autori hanno suggerito di estendere il disposto dell’art. 2643, n. 8, c.c. per giustificare la trascrivibilità del contratto de quo nelle ipotesi di durata ultranovennale. Altri hanno invece sostenuto la trascrivibilità dell’opzione di acquisto in forza di una interpretazione estensiva dell’art. 2645 bis c.c.
Sul problema della trascrivibilità cfr. XXXXXXXXX X., Considerazioni sulla natura del leasing immobiliare e loro riflessi in tema di pubblicità e responsabilità civile, in Rivista di diritto civile, 1984, pp. 272 ss.; XXXXXXXX E., Pubblicità per i contratti di leasing?, in Rivista italiana leasing, 1986, p. 482; CLARIZIA R., La locazione finanziaria di un immobile da costruire, in Rivista italiana leasing, 1986, pp. 224 ss.
comma 3, cod. cons.20. Non è chiaro, peraltro, su quale base si fondi una tale disparità di trattamento tra l’utilizzatore-consumatore ed il consumatore in generale, risultando difficilmente argomentabile che tale differenziazione del quadro delle tutele possa trovare giustificazione nel tipo di bene oggetto del contratto; tale manifesta irragionevolezza rispetto alla diversità di trattamento ha spinto alcuni ad interrogarsi in ordine alla legittimità costituzionale della normativa in esame21.
Prendendo le mosse dall’art. 1, comma 81, della Legge di stabilità 2016 – che attribuisce al concedente la possibilità di avvalersi del procedimento di convalida di sfratto per ottenere il rilascio dell’immobile di cui agli artt. 657 ss. c.p.c. (riservato ai soli contratti di locazione di immobili adibiti ad abitazione) – alcuni Autori hanno valorizzato la causa di godimento del contratto di leasing immobiliare abitativo in contrapposizione alla funzione di finanziamento del leasing finanziario, arrivando ad affermare che questo costituisca una fattispecie autonoma e distinta dalla locazione finanziaria22. Il tema della qualificazione giuridica del c.d. leasing immobiliare ad uso abitativo è, tuttora, uno dei più controversi in dottrina, divisa tra coloro che riconducono il contratto summenzionato nell’alveo della locazione finanziaria23 e quanti, viceversa, sostengono sia una fattispecie contrattuale dotata di piena autonomia, anche sotto il profilo causale.
Per quanto attiene alla risoluzione del contratto nell’ipotesi di inadempimento dell’utilizzatore, la normativa in commento anticipa il meccanismo c.d. marciano “al contrario” inserito dal legislatore nella Legge Concorrenza del 2017 (v. infra, cap. II,
§§ 4.2) prevendendo, al comma 78 dell’art. 1 che: «In caso di risoluzione del contratto di locazione finanziaria per inadempimento dell’utilizzatore, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato
20 A tal proposito, alcuni rilevano che, al fine di sanare l’inconciliabilità della disciplina di cui alla Legge di stabilità del 2016 e la normativa consumeristica, la vessatorietà delle clausole che pongono a carico dell’utilizzatore tutti i rischi inerenti al bene debba essere confermata. Cfr. sul punto CLARIZIA R., La locazione finanziaria di immobile da adibire ad abitazione principale nella legge di stabilità 2016: problemi di qualificazione e di coerenza sistematica, cit., pp. 81 ss.
21 VITI V., La locazione finanziaria tra tipicità legale e sottotipi, cit., pp. 145-146.
22 Cfr. CLARIZIA R., La locazione finanziaria di immobile da adibire ad abitazione principale nella legge di stabilità 2016: problemi di qualificazione e di coerenza sistematica, cit., pp. 81 ss.
23 Cfr. sul punto DE MARTINIS P., Procedimento e leasing abitativo: verso il tramonto del leasing traslativo?, in CLARIZIA R., XXXXXXX V. e MUSIO A. (a cura di), I nuovi contratti immobiliari: rent to buy e leasing abitativo, Padova, 2017, pp. 97 ss.
dalla vendita o da altra collocazione del bene avvenute a valori di mercato, dedotta la somma dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere attualizzati e del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto».
2.2 La tipizzazione del leasing finanziario ad opera della c.d. Legge Concorrenza del 2017
La tipizzazione del leasing finanziario – da molti auspicata al fine di dare organicità e sistematicità alla materia e dirimere alcuni punti nodali divenuti oggetto di un vivace dibattito giurisprudenziale – è stata infine operata dal legislatore con la Legge annuale per il mercato e la concorrenza del 2017 (legge 4 agosto 2017, n. 124, in vigore dal 29 agosto 2017), che ha in larga misura recepito il portato della tipizzazione socio-giurisprudenziale degli ultimi decenni.
La normativa in questione si presenta piuttosto scarna, limitandosi a soli cinque commi contenuti nell’unico articolo del testo di legge (art. 1, commi 136-140): questi ultimi contengono una definizione organica della fattispecie, prevedono il coordinamento con la disciplina fallimentare e risolvono lo spinoso problema della risoluzione del contrato di leasing per inadempimento dell’utilizzatore24. Merito della nuova disciplina è, sicuramente, l’aver operato una “perimetrazione” del tipo contrattuale25, che ha consentito di superare definitivamente la scissione dell’istituto – operata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione – nelle due figure di leasing traslativo e leasing di godimento26. Non può non rilevarsi, peraltro, come la normativa in commento manchi di originalità, essendosi limitata, in gran parte, a recepire i
24 L’introduzione di una disciplina ad hoc, avente ad oggetto la risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore (art. 1, comma 138, L. n. 124 del 2017), rappresenta sicuramente l’apporto più significativo della Legge Concorrenza del 2017. Per un approfondimento, si rinvia a quanto si dirà infra, capitolo II, § 4.
25 Cfr. XXXX S., Leasing finanziario e tutela dell’utilizzatore: profili evolutivi nella transizione dalla prassi al tipo, in I Contratti, 3, 2018.
26 Tale suddivisione della figura del leasing è stata da più parti criticata, avendo introdotto una forzata difformità circa la disciplina applicabile; per ulteriori approfondimenti in ordine a tale profilo si rinvia infra, cap. II, §§ 3.2.
caratteri strutturali di una fattispecie ormai largamente tipizzata27. Proprio sulla base di tale rilievo, alcuni Autori si sono spinti ad affermare che, già da tempo, non si fosse in presenza di un contratto propriamente “atipico”28. Pare allora opportuno procedere ad una disamina della nuova disciplina, al fine di individuare gli elementi di maggiore innovatività.
Il comma 136 dell’art. 1 della Legge Concorrenza del 2017 fornisce la definizione della figura negoziale in esame, statuendo che per locazione finanziaria «si intende il contratto con il quale la banca o l’intermediario finanziario iscritto nell’albo di cui all’articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, che ne assume tutti i rischi, anche di perimento, e lo fa mettere a disposizione per un dato tempo verso un determinato corrispettivo che tiene conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto. Alla scadenza del contratto l’utilizzatore ha diritto di acquistare la proprietà del bene ad un prezzo prestabilito ovvero, in caso di mancato esercizio del diritto, l’obbligo di restituirlo».
Appare opportuno enucleare gli aspetti di maggior rilievo desumibili dalla definizione in esame: emerge, in prima battuta, la trilateralità dell’operazione economica, che coinvolge la società fornitrice e/o costruttrice del bene oggetto del contratto, il soggetto utilizzatore e la società di leasing. Quest’ultima è stata
27 Estremamente critico sul punto CLARIZIA R., I contratti di finanziamento e la crisi delle “categorie”, contributo per gli Scritti in memoria di XXXXXXXXXXX (inedito): «E il colpo finale alla confusione interpretativa è data dalla legge 4 agosto 2017, n. 124 che all’art. 1, commi 136 e seguenti disciplina la locazione finanziaria in generale. Infatti, questa legge invece di chiarire quali siano gli elementi strutturali dell’operazione, la sua causa, i caratteri distintivi rispetto ad altre fattispecie contrattuali, ha contribuito a maggiormente confondere le idee. A mio parere, ha in gran parte deluso le aspettative di tutti, operatori, giudici e studiosi: si aspettava una chiara presa di posizione sulla causa, una disciplina del lease back, e invece, niente di tutto ciò. Dal punto di vista soggettivo non è qualificato l’utilizzatore
– e quindi permane l’equivocità della sua possibile natura di privato/consumatore – offre una eccessivamente analitica disciplina delle conseguenze della risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore, e nell’ultimo comma 140 richiama – inutilmente e senza una svelata giustificazione – l’applicazione di una serie di norme riguardanti la locazione finanziaria e vigenti in contesti specifici».
28 Cfr. CLARIZIA R., Il contratto tra tipico e atipico: la distinzione serve ancora?, in CASSANO G. e CLARIZIA R. (a cura di), I singoli contratti, Milano, 2017, il quale, a proposito della nota distinzione tra contratti tipici e atipici, scrive: «non è tanto se quel contratto sia tipico o atipico nel senso tradizionale del termine, quanto se abbia una propria radicata regolamentazione, diffusa nella pratica operativa in ragione di una asseverazione legislativa, amministrativa, giurisprudenziale o anche soltanto sociale, nel senso di una sua affermazione nel mercato».
soggettivamente qualificata, poiché l’esercizio dell’attività di finanziamento viene circoscritto alle banche e agli intermediari finanziari iscritti nell’apposito albo di cui all’art. 106 t.u.b.
A contrario, nulla è stato detto in ordine alla caratterizzazione soggettiva dell’utilizzatore: quest’ultimo è, di regola, un imprenditore, il quale stipula il contratto di leasing finanziario al fine di procurarsi la disponibilità di un bene strumentale all’esercizio dell’attività d’impresa; tuttavia, in assenza di una espressa previsione sul punto, è stato da più parti evidenziato che non potrebbe escludersi l’ammissibilità di un lessee-consumatore29. Sul punto, si è sviluppato, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, un vivace dibattito sulla configurabilità di una autonoma fattispecie contrattuale di leasing c.d. “al consumo” (sul punto, x. xxxxx, xxx. XX, §§ 0.0).
Per ciò che attiene al bene oggetto del contratto, questo viene acquistato dalla società concedente su «scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore», il quale sarà gravato dall’onere di sopportare eventuali rischi connessi a qualità, vizi o inidoneità della res. Il soggetto utilizzatore ha diritto ad ottenere la materiale disponibilità del bene ed avrà l’obbligo di corrispondere alla società di leasing un canone periodico; quest’ultimo, tuttavia, non si configura quale corrispettivo del mero godimento della res – al pari di una locazione ordinaria – ma costituisce il rimborso della somma anticipata dal finanziatore-concedente per il suo acquisto, comprensiva perciò degli interessi. A conferma di tale circostanza soccorre il dato letterale, che rapporta l’ammontare del canone al «prezzo di acquisto o di costruzione del bene ed alla durata del contratto».
Da ultimo, elemento imprescindibile del contratto di locazione finanziaria è costituito dalla presenza di un diritto di opzione per l’acquisto del bene: la somma che l’utilizzatore dovrà versare per esercitare tale diritto è predeterminata fin dal momento della conclusione del contratto di leasing. Le parti non potranno pattuire che il prezzo d’opzione sia quantificato successivamente, né potranno ancorare tale somma al valore di mercato che residuerà per la res alla scadenza del contratto. L’utilizzatore avrà invece l’obbligo di restituire il bene qualora decida di non esercitare il relativo diritto di opzione.
29 Sul punto cfr. DI XXXX X., La disciplina della locazione finanziaria nella prima legge annuale per il mercato e la concorrenza, in I Contratti, 2, 2018, pp. 218 ss.
Dal quadro normativo così delineato, emerge un inestricabile intreccio di interessi facenti capo a ciascuna delle parti dell’operazione economica: un interesse di tipo finanziario in capo al concedente; quello dell’utilizzatore di godere di un bene senza necessità di impegnare un ingente capitale per il suo acquisto; infine, l’interesse del fornitore-produttore ad allocare sul mercato i propri prodotti.
2.3 Leasing c.d. operativo
Prima di procedere ad una disamina più approfondita della disciplina del leasing finanziario (v. infra, capp. II e III), è opportuno evidenziare come il termine leasing sia in realtà assai generico, poiché accomuna una molteplicità di istituti giuridici dai caratteri molto diversi fra loro.
In primis, occorre operare una netta distinzione tra il leasing finanziario ed il leasing “operativo” (definito anche leasing diretto o del produttore): quest’ultimo, che costituisce senza dubbio la forma più antica, si caratterizza per la circostanza che il produttore del bene sia, al contempo, il soggetto che lo concede in godimento all’utilizzatore verso il pagamento di un canone periodico. La struttura di questa tipologia di leasing è, perciò, meno articolata rispetto a quella del financial leasing, essendo contrassegnata da uno schema negoziale bilaterale (produttore-concedente ed utilizzatore).
Con la sentenza 28 ottobre 1983, n. 6390, la Corte di Cassazione ha evidenziato per la prima volta la distinzione tra le due figure, asserendo che: «Il leasing operativo è caratterizzato dalla bilateralità del rapporto, in quanto viene posto in essere direttamente dal produttore o fornitore dei beni oggetto del contratto […] dalla particolare natura dei beni, solamente si tratta di beni mobili durevoli con una lunghissima obsolescenza, che consente di rilocarli più volte a differenti utilizzatori; dalla mancanza di un’opzione finale di acquisto30».
30 Sul punto, particolarmente significativa è una pronuncia del Tribunale di Milano, che precede di qualche anno la summenzionata sentenza della Suprema Corte. Il giudice di primo grado rileva che «nel leasing operativo l’industria produttrice di beni, che hanno generalmente caratteristiche standardizzate, o un’impresa specializzata nella locazione di alcune categorie di tali beni, danno direttamente in locazione il bene stesso con la possibilità per il locatario, previo preavviso, di restituire il bene, ponendo così termine alla esecuzione del contratto. In tale forma di leasing il canone corrisponde alla entità dei servizi offerti dal bene dato in locazione e non è in relazione alla durata economica del bene. La
Da questo breve estratto della pronuncia, emergono chiaramente le principali differenze del leasing operativo rispetto alla locazione finanziaria, che possono in estrema sintesi sintetizzarsi: i) bilateralità del rapporto, a fronte della trilateralità dell’operazione di leasing finanziario; ii) l’oggetto del contratto è costituito da beni standardizzati a lunga obsolescenza, che solitamente mantengono un valore elevato al termine del contratto; iii) il canone periodico corrisposto dall’utilizzatore costituisce il corrispettivo del godimento del bene e dei servizi collaterali (assistenza, manutenzione etc.) che la concedente si impegna a garantire ed è, di conseguenza, solitamente minore rispetto alle ipotesi di leasing finanziario; iv) poiché l’ammontare del canone non è tale da consentire alla concedente di recuperare l’intera somma investita (c.d. non full payout model), questa mira ad un successivo ricollocamento del bene sul mercato; v) è frequente l’inserimento di clausole volte a favorire il ricollocamento del bene alla scadenza del contratto ovvero a scoraggiare la mancata restituzione dello stesso da parte dell’utilizzatore31; vi) l’assenza di una opzione finale di acquisto a favore dell’utilizzatore: alla scadenza del contratto quest’ultimo dovrà restituire il bene o chiedere il rinnovo del negozio; vii) il contratto ha, solitamente, breve durata; viii) non vi è traslazione del rischio di perimento del bene dal produttore-concedente all’utilizzatore.
L’analisi dei tratti caratterizzanti il leasing operativo ha orientato la dottrina ad identificare la presenza di una causa di natura squisitamente locativa, con conseguente assimilazione della figura in esame allo schema negoziale della locazione ordinaria e relativa applicabilità della disciplina codicistica di cui agli artt. 1571 ss. c.c.
Rilevata la causa locativa del negozio, si è posto il quesito in ordine alla possibilità per gli intermediari finanziari di stipulare siffatto contratto, stante la previsione contenuta nell’art. 106, comma 2, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385)32 che circoscrive l’attività di
conseguenza è che, non recuperando il locatore il valore della cosa durante l’esecuzione del contratto, viene a gravare su di lui il rischio che al termine del contratto il bene sia obsoleto». Cfr. Trib. Milano, 15 maggio 0000, xx XX XXXX X., Xx contratto di leasing, Milano, 1985.
31 Un esempio, frequente nella prassi, è la clausola di lease holdover, con la quale le parti stabiliscono che, nelle ipotesi in cui l’utilizzatore non restituisca tempestivamente il bene alla scadenza del contratto, questo si intenderà automaticamente prorogato per un ulteriore periodo di tempo.
32 Art. 106 t.u.b.: Albo degli intermediari finanziari
questi ultimi ad un ambito strettamente finanziario. Sulla questione si è espresso positivamente il “Comitato ex legge n.197/1991”, istituito in seno al Ministero del Tesoro, con una serie di pareri33, che hanno tuttavia subordinato a stringenti condizioni lo svolgimento di tale attività. Da ultimo, sul punto si è espressa la Banca d’Italia34 la quale, pur confermando la posizione del “Comitato ex legge n.197/1991”, ha al contempo tracciato precisi limiti cui gli intermediari finanziari debbono attenersi nello svolgimento dell’attività di leasing operativo. In particolare, il vincolo più stringente riguarda l’obbligo, posto a carico degli operatori finanziari, di stipulare con un soggetto terzo un contratto, mediante il quale quest’ultimo si impegni a garantire servizi di manutenzione all’utilizzatore ed assuma, in aggiunta, l’obbligo di acquistare il bene alla scadenza del contratto di leasing35 – ciò al fine di neutralizzare il rischio che l’intermediario finanziario debba adoperarsi per ricollocare il bene sul mercato.
2.4 Sale and lease back: profili di criticità in relazione al divieto del patto commissorio
Figura contrattuale rimasta esclusa dalla tipizzazione operata dal legislatore con la Legge Concorrenza del 2017 è quella del sale and lease back (detto anche lease
«1. L’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma è riservato agli intermediari finanziari autorizzati, iscritti in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia.
2. Oltre alle attività di cui al comma 1 gli intermediari finanziari possono:
a) emettere moneta elettronica e prestare servizi di pagamento a condizione che siano a ciò autorizzati ai sensi dell’articolo 114-quinquies, comma 4, e iscritti nel relativo albo, oppure prestare solo servizi di pagamento a condizione che siano a ciò autorizzati ai sensi dell’articolo 114-novies, comma 4, e iscritti nel relativo albo;
b) prestare servizi di investimento se autorizzati ai sensi dell’articolo 18, comma 3, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58;
c) esercitare le altre attività a loro eventualmente consentite dalla legge nonché attività connesse o strumentali, nel rispetto delle disposizioni dettate dalla Banca d’Italia.
3. Il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Banca d’Italia, specifica il contenuto delle attività indicate nel comma 1, nonché in quali circostanze ricorra l’esercizio nei confronti del pubblico».
33 Il primo parere (n. 19) è stato rilasciato in data 6 febbraio 1995; successivamente, il Comitato ex legge n.197/1991 si è espresso con il parere n. 48 dell’8 novembre 1996.
34 La Banca d’Italia ha infatti adottato le Istruzioni di vigilanza per gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale (Capitolo II, Parte I).
35 Per un approfondimento cfr. SERRA M., Il contratto di leasing, cit. e CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., p. 171.
back o leasing di ritorno), la cui liceità è stata per lungo tempo oggetto di un acceso dibattito tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, stante la forte analogia con la vendita con patto di riscatto o di retrovendita a scopo di garanzia (schema negoziale illecito in quanto contrario al divieto di patto commissorio sancito dall’art. 2744 c.c.
36).
L’operazione economica del lease back si articola in due distinti “momenti” contrattuali: una parte, solitamente una impresa o un lavoratore autonomo, stipula con una società di leasing un contratto di compravendita, avente ad oggetto la cessione di un bene (mobile o immobile) strumentale per l’esercizio dell’attività di impresa. Il bene in questione viene contestualmente concesso in godimento (a fronte del pagamento di un canone periodico) dalla società di leasing-acquirente allo stesso alienante mediante la stipulazione di un contratto di leasing; alla scadenza del negozio, l’utilizzatore avrà facoltà di riacquistare il bene originariamente ceduto ad un prezzo prestabilito, esercitando un diritto di opzione.
36 Ai sensi dell’art. 2744 c.c. «È nullo il patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo anche se posteriore alla costituzione dell’ipoteca o del pegno».
Dibattuta è, peraltro, la ratio della disposizione: le tesi tradizionali la individuano nell’esigenza di tutelare la parte debitoria da possibili abusi e coercizioni del soggetto creditore; altri sottolineano come la previsione costituisca un baluardo a tutela del principio della par condicio creditorum. Altri ancora ne individuano la logica nel contrasto a meccanismi di autotutela, stante l’esclusiva statale in materia esecutiva.
Dottrina e giurisprudenza hanno esteso la nullità sancita dall’art. 2744 c.c. anche al c.d. patto commissorio “autonomo”: mediante tale clausola – solitamente inserita in un contratto di compravendita
– le parti (già legate da un precedente rapporto obbligatorio) prevedono che il trasferimento del diritto di proprietà di un determinato bene libero da “pesi” (dunque non concesso in pegno né gravato da ipoteca) all’acquirente-creditore sia subordinato al verificarsi dell’inadempimento del venditore- debitore. In tale ipotesi, l’acquirente-creditore non sarà tenuto a versare il prezzo, in quanto il passaggio di proprietà sarà funzionale a “compensare” l’inadempimento dell’obbligazione del precedente rapporto. In caso di corretto adempimento del precedente debito, il venditore-debitore avrà invece diritto a riscattare il bene alienato.
La giurisprudenza di legittimità è inoltre concorde nel ritenere che il divieto di cui all’art. 2744 c.c. si estenda ad ogni pattuizione, contratto ovvero pluralità di negozi fra loro collegati che, pur formalmente leciti, siano impiegati per perseguire, in concreto, il risultato vietato dalla disposizione de qua (si pensi, ad es., ad una procura a vendere conferita al creditore il quale, in caso di inadempimento del mandante- debitore, acquisti il bene ad un prezzo vile).
A differenza del leasing finanziario, lo schema negoziale in esame si caratterizza per una struttura bilaterale37, poiché i soggetti protagonisti dell’intera operazione economica rivestono, contemporaneamente, la qualifica di parti in due differenti contratti (di compravendita e di leasing), seppur inseriti in una unitaria operazione economica. La cessione del bene, infatti, consente all’alienante-utilizzatore di ottenere immediata liquidità, senza privarsi della disponibilità del bene e garantendosi al contempo la possibilità di un futuro riacquisto alla scadenza del contratto di leasing. L’operazione si presenta, dunque, strutturalmente complessa: sembrerebbe emergere una valenza finanziaria, in quanto il contratto di compravendita costituisce presupposto indefettibile per la stipula del successivo contratto di leasing e per l’integrale soddisfacimento dell’interesse perseguito dall’alienante-utilizzatore.
Tale circostanza, a parere della più recente giurisprudenza, diversificherebbe tale alienazione (funzionalmente inserita nell’ambito di una più articolata operazione economica) da quei trasferimenti di proprietà posti in essere in funzione di garanzia di un preesistente o concomitante contratto di mutuo38. In quest’ultima ipotesi, infatti, ci si troverebbe in presenza di una operazione di finanziamento, con possibile conseguente violazione del divieto di patto commissorio ai sensi dell’art. 2744 c.c.39. A tal proposito, il punto nodale della questione sarebbe costituito proprio dall’individuazione della funzione perseguita dalle parti attraverso il contratto di compravendita, elemento da cui far discendere l’ammissibilità ovvero la radicale illiceità dell’operazione di sale and lease back. Il recente atteggiamento della
37 La trilateralità dell’operazione di sale and lease back è invece sostenuta da CLARIZIA R., I contratti nuovi. Factoring, locazione finanziaria, in Trattato di diritto privato, diretto da XXXXXXX M., XV, Torino, 1999, p. 229: «in quanto la circostanza che lo stesso soggetto cumuli fisicamente la qualità di venditore e di utilizzatore in leasing non incide sul ruolo di intermediario finanziario del concedente né sui contratti di vendita e di locazione finanziaria funzionalmente collegati tra loro che modificano appunto la natura del diritto in base al quale lo stesso soggetto dispone giuridicamente del bene, prima come proprietario poi come detentore».
38 Cfr. VITI V., La locazione finanziaria tra tipicità legale e sottotipi, cit., p. 153.
39 Le Sezioni Unite, con le sentenze n. 1611 e n. 1907 del 1989, hanno statuito che nella vendita con patto di riscatto o di retrovendita a scopo di garanzia il trasferimento della proprietà assurge a causa del contratto, trovando esclusiva giustificazione nella finalità di garanzia del creditore. Di conseguenza, mediante tale schema contrattuale si determina uno scollamento tra la causa astratta del negozio di compravendita (da individuarsi nel trasferimento della proprietà a fronte del pagamento di un prezzo) e quella concretamente perseguita dalle parti (ovverosia il rafforzamento della posizione creditoria), eludendo di fatto il divieto posto dall’art. 2744 c.c. Cfr. Xxxx. xxx., sez. un., 3 aprile 1989, n. 1611 e Cass. civ, sez. un., 21 aprile 1989, n. 1907.
giurisprudenza, meno intransigente in ordine alla sua ammissibilità, costituisce invero l’approdo finale di una lunga riflessione sul tema: per lungo tempo, le Corti di merito hanno infatti escluso in radice la liceità di tale negozio40, sulla base di articolati percorsi argomentativi condivisi (spesso) anche in sede di legittimità.
Una inversione di tale orientamento è stata coraggiosamente operata dalla Suprema Corte con la sentenza 16 ottobre 1995, n. 10805, nella quale i giudici riconoscono una autonomia strutturale e funzionale al lease back, negando che possa essere considerata a priori un’operazione illecita41. Il passaggio logico fondamentale su cui tale assunto si fonda è stato individuato, anzitutto, sulla rilevata atipicità del contratto in esame, che non ne consente la sovrapposizione alle figure tipiche del Codice civile (quali compravendita, mutuo ovvero locazione).
Da tale premessa la Suprema Corte enuclea le specifiche finalità dell’operazione economica nel suo complesso – definita “socialmente tipica” e rientrante tra i contratti d’impresa – e gli interessi ad essa sottesi, in particolare quello del venditore-utilizzatore ad ottenere immediata liquidità pur mantenendo la disponibilità materiale del bene alienato; il contratto supera, dunque, il giudizio di meritevolezza di tutela ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c.
Tuttavia, precisa la Corte di Cassazione, poiché l’istituto si presta a possibili utilizzi fraudolenti ad opera delle parti – volti ad eludere in concreto il divieto di patto commissorio posto dall’art. 2744 c.c. – è necessario che il giudice di merito operi un’indagine circa la effettiva rispondenza tra il contratto astrattamente considerato e la concreta finalità perseguita dai paciscenti.
A tal proposito, la giurisprudenza ha elaborato diversi indici rivelatori del possibile utilizzo “anomalo” del lease back, da applicare al singolo caso di specie. Fra questi, vengono enucleati: i) difficoltà economico-finanziarie dell’impresa venditrice,
40 Cfr., in merito, ex multis Trib. Verona, 15 dicembre 1988, in Foro it., I, 1989, p. 1250; Trib. Roma, 7 maggio 1990, in Temi Rom., 1990, p. 137; Trib. Genova, 30 gennaio 1992, in Giur. comm., II, 1993,
p. 427.
41 Cass. civ., 16 ottobre 1995, n. 10805: «[…] lo schema negoziale socialmente tipico del lease back presenta autonomia strutturale e funzionale, quale contratto d’impresa, e caratteri peculiari, di natura soggettiva ed oggettiva, che non consentono di ritenere che esso integri, per sua natura, e nel suo fisiologico operare, una fattispecie negoziale fraudolenta sanzionabile ai sensi degli artt. c.c. (ovvero, quale negozio atipico, affetto da illiceità della causa concreta, ex art. 1343 x.x., xxx xxxxxxxxxx 0000 x 0000 xx xxxxx xxxxxxxxxx, e cioè dell’art. 2744 c.c.)».
con possibile approfittamento ad opera della concedente; ii) situazione di debito- credito fra l’impresa alienante e la società di leasing; iii) valutazione economica dell’affare, in termini di non adeguatezza e sproporzione delle rispettive prestazioni;
iv) l’assenza di uno o più elementi caratterizzanti il “tipo” contrattuale; v) arbitrarietà dei criteri adottati per la stima del prezzo di vendita del bene, per la determinazione dei canoni del leasing e per la quantificazione del prezzo di opzione.
La presenza di almeno uno degli elementi indicati è idonea a palesare l’uso illecito dello strumento del lease back, con conseguente dichiarazione di nullità del relativo contratto ai sensi dell’art. 1344 c.c. in relazione all’art. 1418, comma 2, c.c.42.
3. Leasing internazionale e locazione finanziaria: un confronto
La locuzione “leasing internazionale” non individua una peculiare tipologia di locazione finanziaria, ma indica quelle fattispecie negoziali nelle quali i soggetti contraenti appartengono ad ordinamenti giuridici differenti. Nella prassi economica, le fattispecie ipotizzabili sono molteplici, ma una delle ricostruzioni più diffuse adotta uno schema tripartito43: i) c.d. foreign to foreign o cross-border leasing, in cui i soggetti dell’operazione appartengono tutti a Stati diversi; ii) c.d. export leasing, caratterizzato dalla circostanza che concedente e fornitore appartengono al medesimo ordinamento statale; iii) operazioni in cui è prevista la costituzione di una società ad hoc.
Stante la diffusione e l’importanza del leasing nell’ambito degli scambi commerciali internazionali, sin dagli anni Settanta del secolo scorso è sorta l’esigenza di elaborare una disciplina uniforme, capace di coniugare e comporre le molteplici normative in vigore negli ordinamenti di civil law e common law. Proprio in questa direzione si è orientato il lavoro dell’Istituto Internazionale per l’Unificazione del Diritto Privato (UNIDROIT), culminato con la sottoscrizione della Convenzione Unidroit sul leasing finanziario internazionale (Convention on International Financial
42 Da ultimo, cfr. Cass. civ., 11 settembre 2017, n. 21042, in Rep. Foro it., 2017, voce Contratto in genere, n. 177.
43 Cfr. XXXXXXX X., XXXXXX P., I contratti nuovi. Casi e materiali di dottrina e giurisprudenza. Leasing, factoring, franchising, Milano, 1989.
Leasing), firmata ad Ottawa il 28 maggio 1988 e resa esecutiva in Italia con legge 14 luglio 1993, n. 259 (poi entrata in vigore il 1° maggio 1995).
L’art. 1 della Convenzione Unidroit reca la definizione della financial leasing transaction, che si articola nella stipula di due distinti contratti: il primo, the supply agreement, intercorre tra il concedente ed il fornitore del bene; il secondo, the leasing agreement, è invece stipulato tra soggetto concedente ed utilizzatore. La disposizione de qua enuclea, inoltre, i tratti caratterizzanti dell’operazione negoziale44, circoscrivendo l’applicabilità della normativa convenzionale alle operazioni di leasing aventi ad oggetto beni strumentali per l’esercizio dell’attività d’impresa, con conseguente esclusione dei beni adoperati per uso personale, familiare o domestico – sancendo di fatto l’inapplicabilità della Convenzione al leasing avente ad oggetto beni immobili ed al c.d. leasing al consumo. Spicca, infine, l’assenza del diritto di opzione quale elemento essenziale della fattispecie: la ratio è individuabile nell’esigenza di rendere compatibile la figura in esame con l’ordinamento inglese, il quale non prevede l’opzione di acquisto quale connotato del leasing finanziario45.
La descrizione della fattispecie di financial leasing transaction operata dall’art.
1 della Convenzione Unidroit non consente di ricondurre nel suo ambito di applicazione le figure di sale and lease back ed il leasing operativo, stante la difformità strutturale e funzionale di queste ultime rispetto al leasing finanziario.
Per quanto concerne l’ambito soggettivo di applicazione, emerge chiaramente la necessità di un elemento di “internazionalità” connotante l’operazione economica: l’art. 3 della Convenzione Unidroit, infatti, circoscrive l’applicabilità della disciplina in esame alle operazioni di leasing intercorrenti tra soggetti aventi la loro sede d’affari
44 Ai sensi dell’art. 1, § 2, della Convenzione Unidroit: «L’operazione di leasing finanziario, di cui al paragrafo precedente, è un’operazione che presenta le seguenti caratteristiche:
a) l’utilizzatore sceglie il bene ed il relativo fornitore senza fare primario affidamento sulla capacità di giudizio del concedente;
b) il bene è acquistato dal concedente in collegamento con un contratto di leasing, stipulato o da stipulare tra concedente ed utilizzatore e di cui il fornitore è a conoscenza;
c) i canoni fissati nel contratto di leasing sono calcolati tenendo conto in particolare dell’ammortamento di tutto o di una parte sostanziale del costo del bene».
Rilevante differenza rispetto alla disciplina interna risulta essere l’assenza di una opzione di acquisto esercitabile dall’utilizzatore alla scadenza del contratto.
45 Cfr. SEMPRINI A., Tutela dell’utilizzatore nel leasing finanziario: nuovi profili in tema di buona fede integrativa e giustizia contrattuale, in I Contratti, 4, 2016, pp. 440 ss.
in Stati diversi (purché firmatari della Convenzione) ovvero nelle ipotesi in cui il contratto di fornitura ed il contratto di leasing siano sottoposti alla legislazione di uno Stato contraente. Merita di essere evidenziato che, affinché sia integrato il requisito della internazionalità, si debba tener conto esclusivamente dell’ordinamento di appartenenza della società concedente e dell’utilizzatore, risultando invece irrilevante quello del fornitore del bene.
L’applicabilità della disciplina convenzionale alle operazioni di leasing finanziario che ne soddisfino i requisiti risulta automatica; tuttavia, le parti possono concordemente escludere l’applicazione della Convenzione nel suo insieme al contratto di fornitura ed al contratto di leasing (art. 5, § 1, Convenzione Unidroit); hanno, parimenti, facoltà di derogare e/o modificare le singole disposizioni in essa contenute (art. 5, § 2, Convenzione Unidroit), fatta eccezione per alcune previsioni di carattere imperativo46.
Gli artt. 7-9 della Convenzione Unidroit sono dedicati ai diritti ed agli obblighi delle parti contraenti: il soggetto utilizzatore, oltre alla corresponsione del canone, ha l’obbligo di avere cura del bene, di «usarlo in modo ragionevole e conservarlo nello stato in cui gli è stato consegnato, fatta eccezione per la normale usura e per ogni modificazione del bene concordata tra le parti47». Il concedente deve, da parte sua, garantire il pacifico godimento del bene all’utilizzatore.
La disposizione di cui all’art. 10 della Convenzione merita particolare attenzione, poiché attribuisce all’utilizzatore la facoltà di far valere gli obblighi del fornitore, discendenti dal negozio di fornitura da questi stipulato con il concedente, in via diretta, nonostante la sua formale estraneità a tale contratto. In particolare, l’utilizzatore potrà agire direttamente nei confronti del fornitore al fine di ottenere l’esatto adempimento del contratto, l’eliminazione dei vizi ed il risarcimento del danno. Tuttavia, a tutela della posizione del concedente, la normativa richiede il suo consenso espresso affinché l’utilizzatore possa procedere alla risoluzione ovvero
46 Ci si riferisce, in particolare, alle previsioni della Convenzione Unidroit riguardanti: la garanzia di pacifico godimento dell’utilizzatore da parte del concedente (art. 8, § 3); l’ammontare dell’eventuale clausola penale prevista nel contratto in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore (art. 13,
§ 3, alinea b); divieto di prevedere una clausola che permetta al concedente di ottenere, da parte dell’utilizzatore, il pagamento anticipato dei canoni non ancora scaduti (art. 13, § 4).
47 Art. 9, § 1, della Convenzione Unidroit.
all’annullamento del contratto di fornitura, negando la legittimazione autonoma del
lessee alla proposizione delle azioni de quibus.
Nonostante la terzietà dell’utilizzatore rispetto al rapporto contrattuale intercorrente tra società di leasing e fornitore, la sua posizione risulta assimilata a quella del concedente48: tale equiparazione è giustificata dall’esigenza di garantire al lessee una tutela diretta ed efficace nei confronti del fornitore per le ipotesi di inadempimento di quest’ultimo. La Convenzione riconosce, dunque, la natura trilaterale ed unitaria dell’operazione di locazione finanziaria, a dispetto della formale presenza di due autonomi contratti (l’uno di fornitura, l’altro di leasing). L’esigenza di una tutela diretta dell’utilizzatore per le ipotesi di inadempimento del fornitore, chiaramente avvertita in ambito internazionale, non ha invece trovato – fino ad ora – un riscontro normativo nell’ordinamento interno: dottrina e giurisprudenza hanno cercato di colmare tale vuoto di tutela, elaborando differenti soluzioni volte a garantire una protezione effettiva per l’utilizzatore49.
La consegna del bene è disciplinata dall’art. 12 della Convenzione: questa è oggetto di un’obbligazione gravante sul concedente; la mancata o ritardata consegna, così come la non conformità del bene rispetto al contratto, costituiscono il presupposto affinché l’utilizzatore possa rifiutare la consegna ovvero risolvere il negozio di leasing. Nel primo caso, l’utilizzatore avrà facoltà di «trattenere i canoni dovuti in base al contratto di leasing fino a che il concedente non abbia rimediato al suo inadempimento all’obbligo di consegnare il bene in conformità al contratto di fornitura50»; nella seconda ipotesi, potrà pretendere la restituzione dei canoni già versati e di eventuali altre somme anticipate, tenuto però conto dei benefici goduti51. Da tali disposizioni emerge una ulteriore differenza rispetto alla disciplina interna, che scarica
48 Art. 10, § 1, della Convenzione Unidroit: «Gli obblighi del fornitore in base al contratto di fornitura potranno essere fatti valere anche dall’utilizzatore come se egli stesso fosse parte di tale contratto e come se il bene gli dovesse essere fornito direttamente. Tuttavia il fornitore non sarà responsabile nei confronti sia del concedente che dell’utilizzatore per il medesimo danno».
49 La Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. un., 5 ottobre 2015, n. 19785), pur ribadendo la non applicabilità della disciplina convenzionale a fattispecie negoziali domestiche, si è certamente ispirata alla soluzione adottata dalla Convenzione Unidroit per giustificare l’ammissibilità (al ricorrere di determinate condizioni) di una tutela diretta dell’utilizzatore nelle ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento del fornitore. Per un approfondimento del tema, vedi infra, cap. III, § 2.
50 Art. 12, § 3, della Convenzione Unidroit.
51 Art. 12, § 4, della Convenzione Unidroit.
sull’utilizzatore tutti i rischi connessi al bene, compreso quello di evizione e quelli relativi alla presenza di vizi o difformità.
Ulteriore disposizione che merita particolare attenzione è l’art. 13 della Convenzione Unidroit in tema di inadempimento dell’utilizzatore: la normativa distingue le ipotesi di “mero” inadempimento da quelle di inadempimento “sostanziale”. Nella prima ipotesi, il concedente ha diritto ad ottenere il pagamento dei canoni scaduti e non pagati, a cui devono essere aggiunti gli interessi di mora ed il risarcimento degli eventuali danni subiti (art. 13, § 1, della Convenzione Unidroit).
Nelle ipotesi di inadempimento “sostanziale”, invece, il concedente dispone di una duplice alternativa: può «esigere il pagamento anticipato del valore dei canoni non ancora scaduti» (art. 13, § 2, della Convenzione Unidroit), solamente ove sia stato espressamente previsto dal contratto di leasing; ovvero potrà risolvere il contratto, recuperando il bene ed ottenendo il diritto al risarcimento del danno. Quest’ultimo dovrà essere calcolato in modo tale che il concedente si trovi «nella stessa situazione nella quale egli si sarebbe trovato se l’utilizzatore avesse esattamente adempiuto al contratto di leasing» (art. 13, § 2, alinea b, della Convenzione Unidroit). Parzialmente diverso è, invece, il meccanismo di tutela della società concedente per le ipotesi di inadempimento dell’utilizzatore predisposto dal legislatore italiano con la Legge Concorrenza del 2017, del quale si darà conto infra, cap. II, § 4.
CAPITOLO II
LEASING FINANZIARIO: PROFILI QUALIFICATORI DELLA FATTISPECIE
Sommario: 1. Elementi strutturali della fattispecie: cenni. – 2. La posizione contrattuale delle parti. – 2.1 La qualificazione soggettiva dell’utilizzatore e la dibattuta configurabilità del c.d. leasing al consumo. – 2.2 Diritti ed obblighi del lessee. Traslazione del rischio in caso di evizione o di vizi della res. – 2.3 Diritti ed obblighi del lessor.
– 3. Qualificazione giuridica della fattispecie di leasing finanziario. – 3.1 Assimilazione della fattispecie alla locazione ordinaria e alla vendita con riserva di proprietà. Pronunce della giurisprudenza di legittimità e profili problematici. – 3.2 Il nuovo filone giurisprudenziale inaugurato dalle c.d. “sentenze gemelle” del 1989. La dicotomia tra leasing “di godimento” e leasing “traslativo”. – 3.3 Gli interessi facenti capo alle parti e l’individuazione di una autonoma causa di finanziamento. – 4. La tutela del lessor nelle ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento del lessee. – 4.1 Le posizioni della giurisprudenza di legittimità. – 4.2 L’introduzione di una normativa ad hoc ad opera della legge n. 124 del 2017. – 4.3 L’incidenza della novella del 2017 sui rapporti giuridici pendenti. – 5. Le sorti del contratto di leasing finanziario a seguito della dichiarazione di fallimento.
1. Elementi strutturali della fattispecie: cenni
Rinviando a quanto si dirà più approfonditamente infra, cap. III, § 1, appare opportuno un breve cenno alla controversa questione dei profili strutturali dell’operazione di locazione finanziaria. Il tema ha suscitato intensi dibattiti tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, le quali si sono confrontate sul punto anche alla luce delle rilevanti ripercussioni relative all’ammissibilità di una tutela diretta del lessee a fronte dell’inadempimento del fornitore.
In merito, è possibile individuare due distinti orientamenti: il primo, più risalente e rimasto isolato in dottrina, ricostruisce l’operazione di leasing finanziario in termini di contratto unitario plurilaterale, individuando una perfetta coincidenza tra i soggetti coinvolti nell’operazione economica e le parti del negozio giuridico. In tale ottica, questa dottrina ricostruisce il processo genetico del contratto secondo lo schema della fattispecie a formazione progressiva: i “contatti” tra utilizzatore e fornitore, volti
ad individuare il bene oggetto del contratto e le relative caratteristiche (tipologia, prezzo, etc.), non costituirebbero mere trattative precontrattuali, ma si sostanzierebbero piuttosto in un accordo sospensivamente condizionato all’adesione dell’intermediario finanziario. Né varrebbe ad inficiare tale ricostruzione della fattispecie la circostanza che le parti scompongono la sequenza negoziale, sottoscrivendo atti e documenti formalmente distinti: ciò risponderebbe ad una mera esigenza pratica, inidonea in sé ad alterare l’unitarietà giuridico-economico del contratto.
Una diversa dottrina, prendendo le mosse dalla critica alla ricostruzione della locazione finanziaria in termini di contratto unitario plurilaterale, scinde il piano economico da quello strettamente giuridico: sotto il primo profilo, l’operazione ha indubbiamente natura trilaterale, in quanto coinvolge tre distinti soggetti (il fornitore del bene, la società di leasing ed il futuro utilizzatore); tuttavia, spostando l’attenzione su un piano più squisitamente tecnico-giuridico, è innegabile la presenza di due distinti ed autonomi contratti (l’uno di fornitura, l’altro di leasing in senso stretto). Tale orientamento, pur individuando siffatta duplicità di negozi, valorizza lo stretto legame intercorrente tra questi qualificandolo in termini di collegamento negoziale funzionale. Tale fenomeno si sostanzia nella creazione di un legame – per volontà delle parti ovvero ad opera della legge – fra due o più negozi i quali, pur mantenendo una loro autonomia sotto il profilo strutturale e causale, risultano preordinati al raggiungimento di un interesse unitario.
La giurisprudenza di legittimità ha aderito, fin dagli anni Novanta del secolo scorso, a tale ultimo orientamento, elaborando tuttavia soluzioni parzialmente divergenti: in un primo momento ha applicato alla locazione finanziaria la nozione tradizionale di collegamento negoziale, ritenendo sussistenti tanto l’elemento oggettivo integrato dalla connessione tra i contratti, tanto quello soggettivo della comune volontà delle parti di istituire il nesso. In una pronuncia del 2006, la Suprema Corte si è poi spinta a riconoscere la presenza di una “sovra-causa” concreta, che si aggiunge (o sostituisce?) i profili causali dei due negozi collegati; infine, con un arresto giurisprudenziale del 2015, le Sezioni Unite si sono espresse nel senso di ritenere sussistente il collegamento negoziale tra il contratto di fornitura e quello di leasing,
ma tale nesso è stato configurato come “atecnico”, stante la carenza dell’elemento soggettivo (costituito dalla comune volontà delle parti).
2. La posizione contrattuale delle parti
La disamina dei profili qualificatori della fattispecie di leasing finanziario (v. infra, § 3) necessita di una preliminare ricognizione rispetto alla posizione contrattuale delle parti del suddetto negozio, al fine di mettere in luce il delicato equilibrio del sinallagma contrattuale ed i relativi profili di criticità.
2.1 La qualificazione soggettiva dell’utilizzatore e la dibattuta configurabilità del c.d. leasing al consumo
Si è già accennato (v. supra, cap. I, §§ 2.2) come, a differenza del soggetto concedente – la cui attività professionale è stata riservata dalla Legge Concorrenza del 2017 alle sole banche ed agli intermediari finanziari – la figura dell’utilizzatore non è specificamente connotata sotto il profilo soggettivo: il recente intervento normativo de quo non ha introdotto significative novità sul punto, lasciando di fatto ancora aperto l’interrogativo sulla necessità che l’utilizzatore svolga un’attività imprenditoriale1 – con la conseguenza, in caso di risposta affermativa, che il bene oggetto del contratto di leasing debba essere strumentale all’esercizio della stessa.
Il quesito è sorto in ragione del diffondersi di una (anomala) prassi contrattuale tra gli operatori del settore, i quali si servono dello schema contrattuale della locazione finanziaria per concedere in godimento anche beni standardizzati e di largo consumo, in (apparente?) contrasto con la causa originaria del negozio2 (concepito quale tecnica di finanziamento per le imprese, v. supra, cap. I, § 1).
1 Il tema è trattato con particolare attenzione da VITI V., La locazione finanziaria tra tipicità legale e sottotipi, cit., pp. 105 ss.
2 La dottrina è divisa sul punto: alcuni Autori ritengono irrilevante la qualificazione soggettiva dell’utilizzatore e la natura strumentale del bene oggetto del contratto. In tal senso si sono espressi DI XXXX X., Autonomia contrattuale e attività d’impresa, Torino, 2010, pp. 68 ss. e IURILLI C., Autonomia contrattuale e garanzie nella vendita di beni di consumo, Milano, 2004, pp. 98 ss., secondo il quale «nel nostro ordinamento non vi è alcuna norma che vieti ad un utilizzatore persona fisica di stipulare un contratto di locazione finanziaria, e che altresì imponga una qualificazione ai beni che ne possono fare oggetto, in relazione al loro utilizzo per scopi necessariamente professionali». In senso contrario, ex
In particolare, il profilo maggiormente problematico risiede nella difficoltà di conciliare la disciplina legale della traslazione del rischio in capo al soggetto utilizzatore (con conseguente esonero della società di leasing da ogni responsabilità) con la normativa consumeristica posta a protezione del contraente debole – in questo caso proprio l’utilizzatore-consumatore. Dottrina e giurisprudenza prevalenti concordano nel ritenere che le clausole di esonero da responsabilità a favore della società concedente siano non solo pienamente legittime3, ma costituiscano finanche elemento essenziale e caratterizzante della locazione finanziaria intesa in senso ampio quale operazione economica trilaterale. L’assunto è stato da ultimo recepito dallo stesso legislatore nella previsione di cui all’art. 1, comma 136, della Legge Concorrenza del 2017, ai sensi del quale l’utilizzatore «assume tutti i rischi, anche di perimento» del bene che gli viene concesso in godimento.
La ripartizione dei rischi connessi all’operazione economica de qua, fortemente sbilanciata a favore dell’intermediario finanziario, si pone in un contrasto insanabile con la normativa contenuta nel t.u.b. in materia di “credito al consumo”4 e,
multis, XXXXXXX XXXXXXXXXX F., Variazioni civilistiche sul leasing, in Ordinamento e diritto civile. Ultimi saggi, Napoli, 1988, pp. 221 ss., GORGONI M., Credito al consumo e “leasing” traslativo al consumo, in Rivista trimestrale diritto e procedura civile, 1992, pp. 1125 ss., DI NELLA L., Le Sezioni unite e “i” leasing, in Rassegna di diritto civile, 1995, pp. 328 ss.
3 La prevalente giurisprudenza di legittimità ha ritenuto la peculiare ripartizione dei rischi tra le parti e le clausole che esonerano la concedente dalla responsabilità per vizi quali elementi connaturati al contratto di leasing finanziario, stante l’intrinseca finanziarietà dell’operazione e la qualifica di intermediario finanziario della società concedente. In tal senso si sono espresse Cass. civ., 17 maggio 1991, n. 5571; Cass. civ., 11 luglio 1995, n. 7595; Cass. civ., 2 agosto 1995, n.8464, in Foro it., I, 1996,
p. 164; Cass. civ., 30 giugno 1998, n. 6412.
In dottrina, la validità di tali clausole è sostenuta da DE NOVA G., Il contratto di leasing, cit., p. 29 e da CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., p.
288. Più problematica è, invece, la legittimità delle clausole di inversione del rischio nelle ipotesi di mancata consegna del bene. Per un approfondimento vedi infra, cap. II, §§ 2.2.
4 Ci si riferisce agli artt. 121 ss. del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 e, in particolare, gli artt. 122, comma 3 e 125 quinquies, comma 3, come modificati dalla novella legislativa di cui al d.lgs. 13 agosto 2010,
n. 141, i quali contengono ora un esplicito riferimento al c.d. leasing al consumo. L’applicabilità della normativa in materia di “credito al consumo” alle ipotesi di leasing finanziario in cui il soggetto utilizzatore sia un privato (e, dunque, un consumatore) era già stata sostenuta da parte della dottrina prima della novella del 2010. Ex multis, cfr. GORGONI M., Credito al consumo e “leasing” traslativo al consumo, cit., pp. 1137 ss.; DI NELLA L., Le Sezioni Unite e “i” leasing, cit., pp. 331 ss.; XXXXXXXX R., I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., pp. 362 ss.; ACIERNO M. e XXXXXXX A., Il leasing al consumo fra atipicità e controllo dell’autonomia privata, in Responsabilità comunicazione impresa, 3, 2004, pp. 355 ss.
parimenti, con le disposizioni del Codice del consumo in tema di clausole vessatorie (artt. 33 ss. del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206)5.
In particolare, ai sensi dell’art. 125 quinquies, comma 3, t.u.b. «il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore dei beni o dei servizi, può chiedere al finanziatore di agire per la risoluzione del contratto. La richiesta al fornitore determina la sospensione del pagamento dei canoni». La ripartizione dei rischi tra finanziatore ed utilizzatore-consumatore, connessi ad un eventuale inadempimento del fornitore, è dunque radicalmente differente da quella delineata dalla Legge Concorrenza del 2017 per i “tradizionali” contratti di locazione finanziaria: la normativa, infatti, accolla ogni rischio connesso al bene al lessee, il quale non sarà in nessun caso esonerato dall’obbligo di corrispondere i canoni periodici all’intermediario finanziario.
In tema di clausole vessatorie (artt. 33 ss. cod. cons.), la prevalente dottrina ha ricondotto le pattuizioni contrattuali di inversione del rischio nelle ipotesi di ritardata o mancata consegna del bene da parte del fornitore – con conseguente impossibilità, per l’utilizzatore, di sospendere il pagamento dei canoni periodici – alla previsione di cui all’art. 33, comma 2, lett. b), cod. cons., ai sensi del quale sono considerate vessatorie, salvo prova contraria, le clausole volte ad «escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista»6.
5 L’applicabilità al c.d. leasing al consumo della normativa in tema di clausole vessatorie contenuta nel cod. cons. è stata sostenuta, fra gli altri, da DI NELLA L., Le Sezioni Unite e “i” leasing, cit., pp. 333 ss.; XXXXXXXX R., I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., pp. 362 ss.; XXXXXXXXXX S., Xx leasing, in ALPA G. e XXXXXXX M. (a cura di), I contratti in generale, Agg. 1991-1998, II, in BIGIAVI W. (fondata da), Giurisprudenza sistematica diritto civile e commerciale, Torino, 1999, pp. 924, il quale rileva che «legittimamente si pone il problema della vessatorietà della maggior parte delle clausole dei contratti di leasing […]».
6 Xxxxx sostenuto siffatta ricostruzione CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., pp. 364 ss. e ACIERNO M. e XXXXXXX A., Il leasing al consumo fra atipicità e controllo dell’autonomia privata, cit., p. 369. Altra parte della dottrina ha invece dubitato che si possa predicare la vessatorietà di tali clausole, basandosi sulla previsione di cui all’art. 34, comma 1, cod. cons., ai sensi del quale «La vessatorietà di una clausola è valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende». In tal senso, la natura finanziaria e la particolare struttura dell’operazione economica nel suo
Alla luce delle considerazioni svolte, gli interpreti si sono lungamente interrogati relativamente alla possibilità di configurare il c.d. leasing al consumo quale fattispecie contrattuale autonoma ed indipendente rispetto alla locazione finanziaria “tradizionale”, stante la profonda diversità strutturale che intercorre tra i due negozi.
Una risposta negativa al quesito è stata inizialmente fornita da una dottrina ormai risalente, la quale osservava che la traslazione dei rischi in capo all’utilizzatore e la natura strumentale del bene oggetto del contratto costituirebbero «semplici tratti caratterizzanti che possono però in concreto mancare7», di talché la supposta difformità strutturale tra locazione finanziaria “tradizionale” ed il c.d. leasing al consumo non investirebbe in realtà elementi costitutivi della fattispecie (con conseguente impossibilità di desumere l’autonomia di tale negozio).
La tipizzazione del leasing finanziario operata dalla Legge Concorrenza del 2017 ha tuttavia chiarito che l’accollo di tutti i rischi connessi al bene in capo all’utilizzatore rappresenta un elemento costitutivo e caratterizzante della fattispecie, come peraltro già evidenziato dalla prevalente giurisprudenza di legittimità.
Le considerazioni sin qui svolte inducono a prediligere la tesi seguita da quella parte della dottrina8 che affranca il c.d. leasing al consumo dalla locazione finanziaria, conferendogli piena autonomia come “tipo” contrattuale. Si sottolinea, infatti, la profonda diversità strutturale tra i contratti de quibus, dovendosi perciò ritenere che la natura imprenditoriale (o, lato sensu, professionale) del soggetto utilizzatore costituisca tratto essenziale ai fini della configurabilità della locazione finanziaria “tradizionale”. Sotto un profilo funzionale, non emergerebbe, a contrario, una difformità tra i due negozi, rimanendo comune ad entrambi la prevalente causa di finanziamento9.
complesso sarebbero indici idonei ad escludere la vessatorietà delle clausole di inversione del rischio e di esonero da responsabilità della società concedente.
7 Si esprime in tal senso LUMINOSO A., I contratti tipici e atipici. Contratti di alienazione, di godimento, di credito, in Tratt. dir. priv., IUDICA G. – XXXXX X. (a cura di), Milano, 1995, pp. 418 ss.
8 In tal senso si esprime CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., p. 365, secondo il quale «[…] la disciplina applicabile [al leasing al consumo] ai sensi della normativa sulle clausole vessatorie ci consegna una fattispecie contrattuale assolutamente diversa e distinta dalla locazione finanziaria vera e propria»; dello stesso avviso VITI V., La locazione finanziaria tra tipicità legale e sottotipi, cit., pp. 135-136.
9 Cfr. CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., p. 365.
2.2 Diritti ed obblighi del lessee. Traslazione del rischio in caso di evizione o di vizi della res
Al fine di delineare correttamente la posizione contrattuale dell’utilizzatore, è opportuno procedere ad un esame congiunto della disciplina legislativa attualmente in vigore e delle clausole standard contenute nei formulari di contratti-tipo solitamente adottati dalle società di leasing.
Focalizzando l’attenzione sugli obblighi gravanti in capo all’utilizzatore, il principale di questi attiene al pagamento dei canoni pattuiti nel rispetto delle scadenze previste. Peraltro, l’art. 1, comma 137, della Legge Concorrenza del 2017, ha qualificato come grave inadempimento dell’utilizzatore «il mancato pagamento di almeno sei canoni mensili o due canoni trimestrali anche non consecutivi o un importo equivalente per i leasing immobiliari, ovvero di quattro canoni mensili anche non consecutivi o un importo equivalente per gli altri contratti di locazione finanziaria.10». In precedenza, la maggior parte dei formulari standard conteneva clausole – la cui validità era generalmente riconosciuta sia in dottrina sia in giurisprudenza – che attribuivano alla società concedente il diritto di risolvere il contratto a seguito del mancato pagamento anche di un solo canone.
È opportuno evidenziare, inoltre, che l’obbligo di corresponsione dei canoni non viene meno qualora la res presenti vizi, difformità ovvero si riveli del tutto inidonea all’uso, stante l’integrale traslazione dei rischi connessi al bene in capo al soggetto utilizzatore.
Gravano inoltre sul lessee gli obblighi di custodia del bene: l’utilizzatore è tenuto ad averne cura, a provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria, ad utilizzarlo in modo appropriato e idoneo all’uso cui è destinato; gli è fatto poi assoluto divieto di modificarne la destinazione economica e l’ubicazione senza il consenso della concedente. La giurisprudenza è ormai concorde nel riconoscere gli obblighi di custodia e di corretto utilizzo del bene quali parti integranti del contratto di leasing.
L’utilizzatore si assume, oltre ai suddetti obblighi, anche il rischio connesso alla perdita o al perimento del bene: è consolidata la prassi di prevedere clausole
10 Art. 1, comma 137, legge n. 124 del 2017. Per un approfondimento in merito alla disciplina della risoluzione del contratto di leasing finanziario per grave inadempimento dell’utilizzatore si rinvia infra, cap. II, § 4.
standard che scaricano sul lessee ogni rischio in caso di perimento – anche fortuito – del bene; in tali ipotesi l’utilizzatore dovrà continuare a versare i canoni previsti dal contratto ovvero corrispondere un’indennità alla società concedente ovvero ancora provvedere all’autonoma sostituzione del bene11.
Il problema della ripartizione dei rischi fra società concedente ed utilizzatore era spesso minuziosamente regolato nei formulari standardizzati delle grandi società di leasing, in origine adottati per sopperire alla mancanza di specifiche previsioni legislative; tuttavia, le clausole ivi contenute risultavano spesso fortemente sbilanciate a favore della concedente, esonerandola da ogni rischio connesso al bene12.
Un esempio erano le c.d. “clausole di inversione del rischio”, le quali ponevano a carico dell’utilizzatore una serie di rischi connessi a molteplici fattispecie, quali: i) la mancata o ritardata consegna del bene da parte del fornitore; ii) la presenza di vizi o difformità del bene rispetto al contratto ovvero il perimento della res; iii) l’ipotesi di evizione; iv) turbative o molestie da parte di terzi volti ad ostacolare l’esercizio del diritto.
Tali clausole, ancora presenti nei contratti di financial leasing, risultano tutt’oggi particolarmente squilibrate, soprattutto alla luce della disciplina legislativa vigente: anche a seguito della novella di cui alla Legge Concorrenza del 2017, la normativa non contempla uno strumento di azione diretta dell’utilizzatore nei confronti del fornitore inadempiente. Il lessee potrà agire in via diretta avverso il fornitore nei soli casi in cui il contratto di leasing contenga una previsione ad hoc in tal senso.
Alcuni Autori13 hanno giustificato la traslazione di tutti i rischi connessi al bene in capo all’utilizzatore argomentando che l’intermediario finanziario (ovverosia la società concedente) debba già sopportare il rischio finanziario connesso all’eventuale inadempimento del lessee ed alla conseguente mancata riscossione dei canoni. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità si è mostrata più cauta, distinguendo da un lato
11 Cfr. SERRA M., Il contratto di leasing, cit., pp. 45 ss.
12 Cfr. XXXXXXX X., XXXXXX P., I contratti nuovi. Casi e materiali di dottrina e giurisprudenza. Leasing, factoring, franchising, cit., pp. 107 ss.; CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., pp. 249 ss.; XXXXX N., Autonomia privata e causa di finanziamento, Milano, 1990, pp. 204 ss.
13 Cfr. CLARIZIA R., La locazione finanziaria, in Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, II, 1985, p. 37.
le pattuizioni che esonerano la società di leasing da ogni responsabilità per i vizi inerenti al bene o per inidoneità dello stesso all’uso convenuto; dall’altro, le clausole di inversione del rischio per le ipotesi di mancata consegna della res.
Per quanto attiene la prima tipologia, la Suprema Corte si è generalmente pronunciata nel senso di ammettere la validità di tali pattuizioni, argomentando che queste sono strettamente connesse alla natura finanziaria del contratto ed al ruolo di intermediario finanziario della società di leasing14.
Con riguardo alla seconda categoria di clausole, a partire dalla fine degli anni Novanta la Cassazione ha adottato una posizione più rigorosa15, ritenendo che la società concedente non possa essere esonerata da ogni responsabilità: le clausole di inversione del rischio per le ipotesi di mancata consegna sono state perciò ritenute invalide, seppur sulla base di argomentazioni differenti. In base all’interpretazione proposta in alcune pronunce più risalenti16, l’illegittimità di tali pattuizioni veniva fatta discendere dalla violazione dell’art. 1463 c.c. letto in combinato disposto con il generale dovere di leale collaborazione e di buona fede nell’esecuzione del contratto ex art. 1375 c.c. – dal quale discende l’obbligo per l’intermediario di verificare l’avvenuto adempimento da parte del fornitore della prestazione di consegna, prima di procedere al versamento del corrispettivo pattuito.
Alcune pronunce successive17 fondano l’invalidità delle clausole de quibus
sulla circostanza che, nelle ipotesi di mancata consegna, lo scopo di godimento
14 Cfr., tra le altre, Cass. civ., 17 maggio 1991, n. 5571; Cass. civ., 11 luglio 1995, n. 7595; Cass. civ.,
2 agosto 1995, n. 8464, in Foro it., I, 1996, p. 164.
15 Prima degli anni Novanta, la Suprema Corte aveva ammesso in via generale la validità di tali clausole, fondando tale assunto sulla considerazione della funzione di finanziamento connotante il leasing finanziario. In tal senso cfr. Cass. civ., 21 giugno 1993, n. 6862; Cass. civ., 2 agosto 1995, n. 8464, in Foro it., I, 1996, p. 164.
16 A tal proposito, la giurisprudenza ha riconosciuto la legittimazione dell’utilizzatore a sospendere il pagamento dei canoni alla società concedente e ad eccepire l’impossibilità sopravvenuta della prestazione ex art. 1463 c.c. Sul punto cfr., ex multis, Cass. civ., 2 novembre 1998, n. 10926; Cass. civ., 6 giugno 2002, n. 8222; Cass. civ., 29 aprile 2004, n. 8218; Cass. civ., 19 febbraio 2008, n. 4235.
17 Cfr. Cass. civ., 23 maggio 2012, n. 8101: «[…] nel contratto di leasing, se il concedente imputa all’utilizzatore l’inadempimento costituito dalla sospensione del pagamento dei canoni e se l’utilizzatore eccepisce l’inadempimento del fornitore all’obbligazione di consegna, l’accoglimento dell’eccezione, che deve avvenire sulla base dell’art. 1463 c.c., non può trovare ostacolo nel fatto che il contratto di leasing contenga una clausola che riversi sull’utilizzatore il rischio della mancata consegna, dovendosi ritenere invalide siffatte clausole, ma se – come nella specie – l’utilizzatore accetta di sottoscrivere senza riserve il verbale di consegna, pure a fronte di una incompleta o a fortiori mancata
perseguito dal lessee risulta interamente frustrato: alla base di tale ragionamento vi è il riconoscimento di una causa “mista” del contratto di leasing, non prettamente finanziaria ma inclusiva altresì di una funzione di scambio (che si esaurisce, tuttavia, nella fase iniziale del rapporto a seguito dell’avvenuta consegna della res).
La traslazione del rischio di perimento della res in capo all’utilizzatore, già ampiamente consolidata nella prassi contrattuale, è stato pienamente legittimato dalla disciplina legislativa di cui alla Legge Concorrenza del 201718: l’art. 1, comma 136, prevede espressamente che l’utilizzatore debba sopportare ogni rischio connesso al bene, ivi compreso quello di perimento.
Spostando poi l’attenzione sul dibattito relativo alla validità delle clausole che traslano il rischio di evizione in capo all’utilizzatore, si segnala la posizione favorevole espressa dalla Cassazione19, la quale ha argomentato che tale rischio costituisca un minus già ricompreso tra le ipotesi di inadempimento del fornitore. Parte della dottrina20 sottolinea, invece, che sia la stessa società concedente, in quanto proprietaria del bene, ad essere titolare della garanzia per evizione nei confronti del fornitore.
Un ulteriore profilo da indagare riguarda l’obbligo, gravante sull’utilizzatore, di ricevere la consegna del bene da parte del fornitore e di sottoscrivere il relativo verbale; il lessee è tenuto, altresì, a comunicare alla società concedente la mancata consegna ovvero il ritardo di questa da parte del fornitore. È opportuno precisare che l’utilizzatore sia obbligato a rifiutare la consegna della res nel caso in cui questa presenti vizi o difformità rispetto a quanto stabilito nel contratto e ad informare tempestivamente la concedente, affinché possa sospendere il pagamento del prezzo al fornitore. La giurisprudenza di legittimità ha precisato che tali comportamenti integrano un obbligo per l’utilizzatore – e non un mero onere– in quanto tutelano, di riflesso, l’interesse della concedente: questi si inscrivono, infatti, nel più generale
consegna da parte del fornitore (invece di rifiutare la prestazione e far constatare il rifiuto nel relativo verbale), egli pone il concedente nelle condizioni di dover adempiere la propria obbligazione verso il fornitore; con la conseguenza che in tal caso non gli può essere consentito di opporre al concedente che la consegna non è stata completa o che non c’è stata, né di fondare su ciò il diritto di sospendere il pagamento dei canoni».
18 Art. 1, comma 136, legge n. 124 del 2017: «Per locazione finanziaria si intende il contratto con il quale la banca o l’intermediario finanziario […], si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, che ne assume tutti i rischi, anche di perimento […]». 19 Cass. civ., 17 maggio 1991, n. 5571.
20 Cfr. XXXXXXX D., La locazione finanziaria. Leasing, Padova, 1998.
dovere di buona fede e di leale collaborazione fra le parti. Qualora l’utilizzatore, in conformità al suddetto obbligo, non informi tempestivamente la concedente dell’inadempimento del fornitore, non potrà chiedere la risoluzione del contratto di leasing né sottrarsi alle obbligazioni che da questo derivano.
Alla scadenza del contratto di locazione finanziaria, l’utilizzatore avrà l’obbligo di restituire il bene nel caso in cui non intenda esercitare il diritto di opzione; viceversa, nell’ipotesi in cui intenda avvalersi di tale diritto, dovrà versare il prezzo residuo concordato per l’acquisto del bene. A tal proposito, l’art. 1, comma 136, della Legge Concorrenza si limita a prevedere che «[…] l’utilizzatore ha diritto di acquistare la proprietà del bene ad un prezzo prestabilito […]», senza tuttavia specificare se l’effetto traslativo della proprietà della res si produca automaticamente, in seguito alla comunicazione da parte del lessee di voler esercitare il diritto d’opzione, ovvero se sia necessario, a tal fine, il versamento del prezzo21. La disposizione de qua, inoltre, non chiarisce la forma dell’atto né il termine entro il quale l’utilizzatore debba esercitare l’opzione, affidando tali aspetti alla regolamentazione pattizia. In ogni caso, deve ritenersi ammissibile la legittimazione dell’intermediario finanziario ad esperire le azioni di adempimento ovvero di risoluzione qualora l’utilizzatore non versi il prezzo pattuito.
In relazione ai diritti di cui è titolare l’utilizzatore, vengono in rilievo quello al pacifico godimento ed utilizzo del bene e la facoltà di esercitare, alla scadenza del contratto di leasing, l’opzione finale di acquisto della proprietà della res.
2.3 Diritti ed obblighi del lessor
Si è già rilevato (v. supra, cap. I, §§ 2.2) come la società concedente risulti la sola espressamente qualificata dal legislatore sotto il profilo della qualificazione soggettiva. Il leasing finanziario costituisce, infatti, una species della più generale attività di concessione di finanziamenti e, come tale, è stato espressamente riservato dalla Legge Concorrenza del 2017 alle banche ed agli intermediari finanziari iscritti in uno degli elenchi di cui agli artt. 106 ss. t.u.b.
21 Cfr. XXXXXXXX X., Il leasing è legge, in Rivista di diritto bancario, 22, 2017, p. 4.
Parte della dottrina sostiene che la qualità di intermediario finanziario della società di leasing determinerebbe l’impossibilità stessa di configurare in capo a quest’ultima l’obbligo di concedere in godimento all’utilizzatore il bene. Secondo siffatto orientamento, infatti, la società concedente assume esclusivamente l’obbligo di acquistare (o far realizzare) il bene in base alle indicazioni fornitele dall’utilizzatore, ma esulerebbe dal regolamento contrattuale l’obbligo di concederglielo in godimento. Tuttavia, la valorizzazione della unitaria finalizzazione economica dell’operazione impone di considerare che la concessione del bene in godimento risulta parte integrante della composita causa del negozio di locazione finanziaria. Peraltro, stante la titolarità del diritto di proprietà in capo alla società concedente, quest’ultima è l’unica legittimata a trasferire il diritto di godimento in capo ad un soggetto terzo. Si sottolinea, infine, che l’esonero del lessor dall’obbligo di concedere il bene in godimento non incide su quello di acquistare (o far costruire) la res su indicazione e secondo i desiderata dell’utilizzatore. Si evidenzia, inoltre, che
«escludendo l’obbligo della concessione in godimento in capo al concedente, si arriverebbe ad una sostanziale equiparazione del leasing al credito al consumo22».
Sul punto si è espressa la giurisprudenza di legittimità, precisando che «[…] è dato rilevare che nel contratto di leasing la relazione tra concedente ed utilizzatore è caratterizzata dalla concessione del godimento del bene (che deve essere consegnato dal fornitore all’utilizzatore, in virtù della relazione costituita tra il concedente ed il fornitore). In questa caratterizzazione (che assimila il leasing finanziario alla locazione, salvo altri suoi elementi specifici caratterizzanti e che lo diversificano) il concedente è tenuto a garantire all’utilizzatore il pacifico godimento del bene e, a sua volta, l’utilizzatore è tenuto ad avere cura del bene […]23». L’intermediario finanziario è altresì gravato dell’obbligo (avente carattere negativo) di astenersi da ogni comportamento potenzialmente idoneo ad ostacolare il pacifico godimento della res da parte dell’utilizzatore.
In forza del contratto di financial leasing la società concedente si obbliga, in primis, a concludere un contratto di compravendita (o di appalto) con il fornitore indicatole dal lessee: l’incipit dell’art. 1, comma 136, della Legge Concorrenza del
22 XXXXXXXXX V., La locazione finanziaria, in Tratt. Cicu-Messineo, XXV, 2, Milano, 2008.
23 Cass. civ., sez. III, 6 maggio 1996, n. 4195.
2017 statuisce, infatti, che l’intermediario finanziario «[…] si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore […]». Una interpretazione della disposizione, autorevolmente sostenuta in dottrina, ritiene tuttavia che il contratto di locazione finanziaria non fondi un autonomo diritto – facente capo all’utilizzatore – a che il lessor concluda effettivamente il contratto con il fornitore. Alcuni Autori24 precisano, in tal senso, che l’utilizzatore non possa vantare un autonomo diritto alla conclusione del contratto di compravendita o di appalto: in capo alla concedente non grava, infatti, un vero e proprio “obbligo a contrarre”, suscettibile di esecuzione forzata ex art. 2932 c.c. in caso di inadempimento.
Il contegno della società concedente andrà comunque vagliato alla luce dei generali criteri di buona fede e di leale collaborazione fra le parti: nel concludere il contratto di leasing l’intermediario finanziario assume certamente l’obbligo di stipulare un successivo ed autonomo contratto con il fornitore, nel rispetto degli accordi raggiunti tra utilizzatore e fornitore stesso.
Acquistando il bene per conto dell’utilizzatore, il lessor diverrà formalmente titolare del relativo diritto di proprietà ma, stante la qualifica di intermediario finanziario, non avrà certamente interesse alla materiale disponibilità della res. L’acquisto riveste natura meramente strumentale, in quanto finalizzata alla successiva concessione in godimento all’utilizzatore; il mantenimento del diritto di proprietà sul bene ha funzione di mera garanzia del recupero del capitale investito25. La dottrina ha pertanto sottolineato come, nella fattispecie di leasing finanziario, vi sia una scissione fra il c.d. dominium utile – che spetta all’utilizzatore, il quale ha la materiale disponibilità del bene e lo utilizzata per soddisfare un proprio interesse – e il c.d. dominium directum – che resta invece in capo alla concedente, la quale è titolare del relativo diritto di proprietà26.
00 Xxx. XX XXXX X., Xx contratto di leasing, cit., passim.
25 Di contrario avviso IMBRENDA M., Il leasing finanziario: trilateralità funzionale ed equilibrio del rapporto, Napoli, 2006, pp. 88 ss., secondo la quale «Il concedente si avvale pertanto, nella fase antecedente la costituzione del rapporto, di specifiche tecniche economico-finanziarie di misurazione del grado di affidabilità della clientela utilizzatrice, cui va ascritta una “efficacia condizionante” rispetto alla nascita del rapporto stesso».
26 Cfr. CLARIZIA R., Collegamento negoziale e vicende della proprietà. Due profili della locazione finanziaria, Rimini, 1982, pp. 91 ss.
Profilo distinto rispetto alla concessione in godimento è la materiale consegna della res, che si colloca su un piano meramente esecutivo del rapporto e non integra una obbligazione specifica a carico della società concedente. Quest’ultima, infatti, dovrà porre in essere i soli adempimenti necessari affinché sia garantito al lessee il godimento del bene – in particolare, dovrà concordare con il fornitore i tempi e le modalità della consegna, in ottemperanza alle richieste dell’utilizzatore. A tal fine, è prassi consolidata che le parti inseriscano nel contratto di leasing clausole ad hoc, con le quali pattuiscono che l’obbligo di consegna del bene ricada sul fornitore, specificando altresì le relative modalità e tempistiche27.
La dottrina ritiene che il fornitore che esegue la consegna del bene agisca quale “ausiliare” dell’utilizzatore: esaminando la vicenda negoziale sotto un profilo squisitamente economico, è stato rilevato che l’adempimento del fornitore risulta strettamente connesso al soddisfacimento dell’interesse dell’utilizzatore, benché tali soggetti siano giuridicamente “terzi”28. Sul punto, è interessante operare un raffronto rispetto alla soluzione adottata a livello internazionale per la financial leasing transaction29: la normativa convenzionale predilige una impostazione antitetica a quella dell’ordinamento italiano, sancendo espressamente che la consegna del bene integra una obbligazione della società concedente nei confronti dell’utilizzatore.
Passando ad esaminare i principali diritti spettanti all’intermediario finanziario in relazione al contratto di financial leasing, questi ultimi si estrinsecano, in primis, nel diritto a percepire i canoni periodici nei modi e tempi pattuiti; la concedente avrà
27 Cfr. XXXXX M., Il contratto di leasing, cit., p. 39.
28 Cfr. XXXXXXXXX X., XXXXXXX P., La locazione finanziaria, in Tratt. Xxxxxxxx, XI, 3, Torino, 2000, secondo i quali: «il fornitore, nell’eseguire la consegna della cosa, non agisce come ausiliario del concedente per il motivo che la dazione materiale della cosa non è oggetto di un obbligo del concedente verso l’utilizzatore. Il fornitore agisce, invece, come ausiliario dell’utilizzatore, vale a dire come ausiliario del creditore della prestazione. Il fornitore, in effetti, è scelto dall’utilizzatore, il quale tratta pure le condizioni della compravendita e – una volta che questa si sia perfezionata – cura che ad essa sia data compiuta esecuzione da parte del venditore. Seppure, sul piano giuridico-formale, il rapporto di compravendita intercorra tra venditore e concedente, dal punto di vista economico parti dell’affare di compravendita sono piuttosto il venditore e l’utilizzatore, svolgendo il concedente un ruolo di finanziatore. La concezione della consegna come verificantesi nella sfera interna dell’utilizzatore ad opera di un suo cooperatore, traduce in linguaggio giuridico rigoroso il distacco che i contraenti intendono realizzare tra la sfera del finanziamento e quella della compravendita».
29 Art. 12 della Convenzione Unidroit sul leasing finanziario.
poi diritto, alla scadenza del contratto, alla restituzione del bene ovvero al pagamento del prezzo residuo qualora l’utilizzatore voglia esercitare il relativo diritto di opzione. Per quanto attiene poi al distinto rapporto contrattuale con il fornitore, la società concedente avrà certamente diritto all’adempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto di compravendita ovvero dal contratto di appalto secondo le
disposizioni codicistiche in materia.
3. Qualificazione giuridica della fattispecie di leasing finanziario
La dubbia qualificazione giuridica del contratto di leasing finanziario è stato nodo problematico che ha stimolato le riflessioni di dottrina e giurisprudenza fin dalla comparsa dell’istituto nell’ordinamento giuridico italiano30. La particolare struttura dell’operazione in esame, infatti, risulta notevolmente difforme rispetto ai tradizionali tipi negoziali disciplinati dal Codice civile: tale circostanza ha posto, di conseguenza, numerosi ostacoli agli interpreti in ordine alla individuazione di una fattispecie negoziale assimilabile alla locazione finanziaria.
La tematica riveste una importanza non secondaria, poiché dalle scelte compiute in ordine alla qualificazione giuridica della fattispecie dipende l’esatta individuazione della disciplina giuridica applicabile. Peraltro, il tema si è ben presto intrecciato con la questione, altrettanto spinosa, della tutela della società concedente nelle ipotesi di inadempimento dell’utilizzatore – questione particolarmente sensibile, soprattutto per la necessità di evitare un “abuso” degli strumenti di tutela da parte dell’intermediario finanziario.
Nel ripercorrere il tormentato dibattito che ha impegnato la dottrina italiana fin dagli anni Sessanta del secolo scorso emergono, pur nella loro diversità, due distinte linee interpretative: una di queste seguita da coloro che hanno tentato di assimilare il leasing finanziario ad istituti codicistici tipizzati – in particolare al contratto di locazione ovvero di compravendita con clausola di riservato dominio, di cui si dirà
30 Per un excursus delle principali ricostruzioni dogmatiche riguardanti la qualificazione giuridica del leasing finanziario proposte dalla dottrina italiana a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, cfr. XXXXXXXXX V., La locazione finanziaria nell’ordinamento italiano, in XXXXXXXXX – XXXXXXXX A. – ALDERIGHI M. – XXXXXXXXX, Il leasing. Profili privatistici e tributari, Milano, 1975, pp. 6 ss. e XXXXXXX F., Per la storia del leasing in Xxxxxx, xxx., xx. 000 xx.
xxxxx, §§ 0.0 – e una seconda, sostenuta da quanti, più sensibili alle peculiarità della fattispecie de qua, ne hanno valorizzato i profili di originalità.
Nell’esaminare in primis questo secondo filone di indagine, emerge la molteplicità e l’originalità delle soluzioni proposte: vi è chi ha elaborato la nozione di contratto “composito”31 per rimarcare le peculiarità della locazione finanziaria, la quale racchiude in sé i tratti caratterizzanti di una pluralità di istituti codicistici; altri interpreti32 hanno ricondotto il leasing finanziario nella tradizionale categoria del negozio “misto” (comprensivo di elementi tipici del mutuo, della vendita e della locazione), attribuendole i caratteri della bilateralità, consensualità ed onerosità. Alcuni Autori33, infine, hanno sostenuto la natura atipica del contratto in esame il quale, pur presentando indubbie affinità con istituti tradizionali (quali il mutuo, la compravendita con riserva di proprietà e la locazione), se ne discosta sotto diversi profili e necessita, pertanto, di una disciplina normativa ad hoc che tenga conto delle sue peculiarità funzionali e causali.
3.1 Assimilazione della fattispecie alla locazione ordinaria e alla vendita con riserva di proprietà. Pronunce della giurisprudenza di legittimità e profili problematici
Come anticipato supra (v. § 3), larga parte della dottrina ha orientato i suoi sforzi nel tentativo di ricondurre il contratto di locazione finanziaria nell’alveo di fattispecie negoziali più “tradizionali”, già disciplinate dal Codice civile. Il quesito relativo alla disciplina applicabile al financial leasing ha suscitato un acceso dibattito, ad oggi non del tutto sopito34: le riflessioni della dottrina sul punto si sono concentrate
00 Xxx. XXXXX X., Xx leasing, Milano, 1967, il quale scrive: «Si può pertanto affermare che il contratto di leasing può essere interpretato come un contratto composito nel quale non figurano le caratteristiche del contratto di mutuo, di locazione e di compravendita, bensì quelle dei contratti di compravendita, di locazione e di nuova eventuale compravendita: compravendita fra azienda produttrice e azienda locatrice, locazione fra azienda locatrice e azienda locataria, eventuale compravendita, al termine del contratto, fra azienda locatrice e azienda locataria».
32 Cfr. VAILATI X., Xxxxxxx giuridici del leasing finanziario, in Il diritto dell’economia, 15, 1969, secondo il quale: «Il leasing finanziario sembra pertanto da inquadrare nella categoria del negozio misto, poiché gl’intenti economici perseguiti dai contraenti sono strettamente connessi tra di loro […]».
33 Cfr. XXXXXXXXX X., Aspetti giuridici del contratto di leasing, in Il foro italiano, 1971.
34 Si veda sul punto Cass. civ., 15 gennaio 2020, n. 519, che torna a sostenere l’applicabilità alla locazione finanziaria della disciplina della vendita con riserva della proprietà.
lungo due distinte direttrici interpretative che, prendendo le mosse dalla caratterizzazione del profilo causale della locazione finanziaria, hanno ricondotto tale schema negoziale ora a quello della locazione ordinaria (artt. 1571 ss. c.c.), ora alla vendita con riserva di proprietà (artt. 1523 ss. c.c.).
Il primo filone d’indagine35 individua una marcata analogia funzionale tra leasing finanziario e locazione ordinaria36, che risulterebbero accomunate dalla medesima causa “di godimento”: l’utilizzatore – al pari del conduttore – stipula il contratto di financial leasing al fine di ottenere la disponibilità ed il godimento di un bene, solitamente strumentale all’esercizio dell’attività d’impresa; il principale interesse della società di leasing, analogamente al locatore, risiede nel percepire i canoni periodici. A sostegno di siffatta ricostruzione, questa dottrina argomenta che la previsione di un diritto di opzione in capo al lessee per l’acquisto della res ovvero l’inserimento di clausole di inversione del rischio non costituiscono elementi idonei a determinare una deviazione della locazione finanziaria dal modello codicistico. La qualificazione del leasing finanziario quale species della locazione ordinaria risulterebbe ulteriormente confermata dall’analogia strutturale tra le due fattispecie, che si estrinseca in una similare ripartizione delle obbligazioni gravanti sui paciscenti.
L’orientamento in esame è stato oggetto di severe critiche37 da parte di quanti hanno evidenziato le notevoli differenze tra gli schemi negoziali de quibus: in particolare, a differenza del conduttore, l’utilizzatore può vantare sulla res non solo un potere di godimento pieno ed assoluto, ma anche la facoltà di integrale sfruttamento delle utilità che da questa derivino – il lessee non è infatti tenuto a restituire la cosa nella medesima condizione in cui l’ha ricevuta, né in uno stato tale da garantire al concedente futuri utilizzi. L’utilizzatore è tenuto, inoltre, a sopportare tutti i rischi inerenti al bene, ivi compreso quello di perimento: nella locazione ordinaria, a contrario, l’onere di tenere indenne la controparte da eventuali vizi che «diminuiscono in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito» (art. 1578 c.c.) grava direttamente sul locatore, il cui inadempimento sarà fonte di responsabilità contrattuale.
35 Cfr. XXXXX A., La locazione di beni strumentali (leasing), in Banca borsa e titoli di credito, 1973.
36 Art. 1571 c.c.: «La locazione è il contratto col quale una parte si obbliga a far godere all’altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo».
37 Cfr. BUSSANI M., Proprietà, garanzia e contratto. Formule e regole nel leasing finanziario, Trento, 1992.
Un ulteriore profilo di difformità tra leasing finanziario e locazione ordinaria investe la posizione della società concedente la quale, a differenza del locatore, è indifferente rispetto alle sorti del bene – il cui acquisto è meramente strumentale alla futura concessione in godimento all’utilizzatore – ed all’utilizzo che di esso ne faccia il lessee. Il mantenimento in capo al lessor della titolarità del diritto di proprietà sulla res è funzionale a garantire alla concedente il corretto adempimento da parte dell’utilizzatore e, in ipotesi di inadempimento di quest’ultimo, consente all’intermediario di recuperare l’investimento economico iniziale. L’interesse del lessor si concreta allora nel conseguimento di un utile sull’investimento effettuato tramite l’acquisto del bene. L’intermediario finanziario, peraltro, non assume i medesimi obblighi che la disciplina codicistica pone a carico del locatore, ex multis il mantenimento della cosa in stato tale da servire all’uso (art. 1575, n. 2, c.c.) e la garanzia di pacifico godimento della res (art. 1575, n. 3, c.c.).
Un secondo orientamento, seguito da larga parte della dottrina38, equipara l’istituto del leasing finanziario al contratto di compravendita a rate con riserva di proprietà39 sulla scorta della funzione di scambio che caratterizzerebbe ambedue i negozi. In particolare, si è sostenuto che l’operazione di leasing finanziario sarebbe teleologicamente orientata, in ultima istanza, a far conseguire all’utilizzatore la proprietà della res concessagli in godimento: argomentando diversamente, il diritto di opzione a favore del lessee risulterebbe svuotato di contenuto.
Siffatta interpretazione non è, invero, esente da rilievi xxxxxxx00: parte della dottrina ha correttamente isolato alcuni elementi che ostano alla sussunzione del financial leasing nell’alveo della fattispecie codicistica de qua i) la causa del contratto di compravendita quale “scambio di cosa contro prezzo”: il lessee, differentemente dall’acquirente, ha interesse a godere e ad utilizzare il bene – strumentale all’esercizio dell’attività imprenditoriale – pur in assenza del capitale necessario per il suo acquisto; la società concedente, in qualità di intermediario finanziario, mira a trarre un utile
38 Cfr. XXXXXXXXX X., Il leasing e il diritto italiano, in Banca borsa e titoli di credito, 1974.
39 Si tratta di una particolare fattispecie di contratto di compravendita cui le parti appongono una clausola di riservato dominio, ai sensi dell’art. 1523 c.c.: «Nella vendita a rate con riserva della proprietà, il compratore acquista la proprietà della cosa col pagamento dell’ultima rata di prezzo, ma assume i rischi dal momento della consegna».
40 Cfr. XXXXXXXX X., Il leasing finanziario e l’equivoco dell’art. 1526 c.c., in Il Corriere giuridico, 2, 2017, pp. 202-203.
dall’investimento effettuato; ii) la titolarità del diritto di proprietà sul bene: quest’ultima rimane in capo alla concedente in funzione di garanzia di adempimento del contratto; tuttavia, in caso di inadempimento dell’utilizzatore, la restituzione del bene al lessor non sarà idonea, isolatamente considerata, a tutelare l’interesse dell’intermediario; iii) l’acquisto del bene da parte della società concedente: il lessor acquista la res in funzione di “intermediario” dell’utilizzatore, in vista della successiva stipula del contratto di financial leasing; iv) la previsione del diritto di opzione in capo al lessee: l’esercizio di tale facoltà è solo eventuale, in quanto subordinato ad una valutazione assolutamente discrezionale dell’utilizzatore.
I profili di criticità ascrivibili ad entrambi gli orientamenti de quibus in tema di qualificazione giuridica della locazione finanziaria hanno condotto parte della dottrina41 ad elaborare una ricostruzione “intermedia”: seguendo siffatta impostazione, la fattispecie de qua non viene sussunta in alcuno dei contratti tipici del Codice civile, ma è considerata quale negozio “ibrido”, al quale sarebbero applicabili le norme dettate tanto in tema di locazione quanto in tema di vendita con riserva di proprietà.
L’esigenza di pervenire ad una univoca qualificazione giuridica del leasing finanziario è stata fortemente avvertita dalla giurisprudenza – sia di merito sia di legittimità – la quale, tuttavia, si è divisa sul tema.
Una tappa fondamentale del travagliato percorso di ricostruzione della fattispecie de qua è costituita da una sentenza del Tribunale di Vigevano risalente al 197242, la quale si distingue per l’originalità delle argomentazioni seguite dai giudici
– argomentazioni che saranno riprodotte da altre Corti di merito43 in alcune pronunce di poco successive. Il Tribunale lombardo, in aperto contrasto con le posizioni della prevalente giurisprudenza, rileva l’impossibilità di operare una piena assimilazione del
00 Xxx. XX XXXX X., Xx contratto di leasing, cit.
42 Tribunale di Vigevano, 14 dicembre 1972, in Banca, borsa tit. cred., II, 1973, p. 287. I giudici rilevano che: «Anche il leasing a lungo termine, però, non rientra nella figura tipica della vendita con riserva di proprietà, perché in esso il trasferimento della proprietà non avviene automaticamente, con il pagamento dell’ultima rata […]. inoltre rispetto alla disciplina giuridica della locazione, il leasing operativo o finanziario si differenzia per l’esistenza di clausole che pongono, a carico dell’imprenditore che utilizza i beni ceduti in godimento, l’obbligo della manutenzione ordinaria e straordinaria, il rischio per la perdita ed il deterioramento dei beni […]».
43 Ex multis, cfr. Xxxxx xx Xxxxxxx xx Xxxxxx, 00 dicembre 1975, in Giurisprudenza italiana, II, 1976; Tribunale di Milano, 15 maggio 0000, xx XX XXXX X., Xx contratto di leasing, cit.; Xxxxx xx Xxxxxxx xx Xxxxxx, 00 novembre 0000, xx XX XXXX X., Xx contratto di leasing, cit.
leasing finanziario con le fattispecie codicistiche della compravendita con riserva di proprietà ovvero della locazione ordinaria. Con riferimento al primo negozio, i giudici evidenziano come il trasferimento automatico della proprietà del bene in capo all’acquirente – conseguenza diretta del pagamento dell’ultima rata del prezzo – non sia presente nel caso del leasing finanziario, in quanto è subordinato all’esercizio (facoltativo ed eventuale) del diritto di opzione sulla res da parte dell’utilizzatore.
Focalizzando poi l’attenzione sulla locazione ordinaria, i giudici ne escludono la sovrapponibilità rispetto al financial leasing sulla base di una disamina della relativa disciplina: molte clausole dei contratti standard di leasing finanziario, ritenute legittime dalla giurisprudenza, sarebbero invece radicalmente nulle se inserite in un contratto di locazione 44, in quanto incompatibili con le disposizioni codicistiche – si pensi, ex multis, alle pattuizioni relative alla traslazione dei rischi relativi alla res in capo all’utilizzatore.
Muovendo da siffatte considerazioni, i giudici lombardi deducono l’atipicità del contratto di leasing finanziario, non assimilabile ad alcuna delle fattispecie tipiche conosciute dal nostro ordinamento; secondo il Tribunale, inoltre, la locazione finanziaria supera il vaglio di meritevolezza di tutela di cui all’art. 1322, comma 2, c.c., dovendosi dunque ritenere che le parti siano libere di adottare tale schema negoziale.
Le argomentazioni elaborate dai giudici lombardi hanno trovato espresso accoglimento in alcune pronunce della Corte di Cassazione precedenti al 198945: sulla scia di tali riflessioni, i giudici di legittimità hanno riconosciuto l’atipicità strutturale e l’autonoma identità causale della locazione finanziaria, deducendo la non sovrapponibilità dell’istituto de quo con la locazione e la vendita con riserva di proprietà.
44 Ci si riferisce alle clausole di traslazione del rischio di perimento del bene, di esclusione della responsabilità del concedente per vizi dello stesso ed a quelle che gravano l’utilizzatore dell’obbligo di provvedere alla manutenzione straordinaria.
45 Nel 1989 la Corte di Cassazione ha inaugurato un nuovo orientamento con una serie di sentenze c.d. “gemelle”, operando una suddivisione del leasing finanziario nelle tipologie di leasing c.d. “di godimento” e leasing c.d. “traslativo” – orientamento tutt’oggi consolidato ma che dovrebbe ritenersi definitivamente superato a seguito dell’introduzione della disciplina legislativa sulla locazione finanziaria ad opera della Legge Concorrenza del 2017.
Una innovativa pronuncia della Suprema Corte risalente al 198646 individua la causa del negozio di financial leasing non più «nell’acquisto della proprietà di un bene con una particolare agevolazione nel pagamento del prezzo, bensì in un finanziamento per l’acquisto della disponibilità immediata di quel bene»; da tale premessa deriva la non applicabilità in via analogica della disciplina dettata in tema di vendita a rate con riserva di proprietà e, nella specie, dell’art. 1526, comma 1, c.c. in tema di restituzione, da parte del venditore, delle rate riscosse. La ratio di questa disciplina47 si basa sul presupposto che, nell’ipotesi di risoluzione del contratto di compravendita per inadempimento dell’acquirente, il venditore, ottenuta la restituzione del bene, abbia i mezzi necessari per ricollocarlo sul mercato; tale “apparato” difetta, invece, nel caso della società di leasing, la quale svolge unicamente attività di intermediazione finanziaria.
I giudici di legittimità giungono alla conclusione che il leasing finanziario debba essere ricondotto nell’alveo dei contratti atipici, con conseguente applicabilità della disciplina generale del contratto (artt. 1321 ss. c.c.) e, in linea con siffatta ricostruzione, viene esplicitamente confermata l’applicazione alla fattispecie de qua dell’art. 1458, comma 1, c.c.48 in relazione alla non retroattività degli effetti risolutori per i contratti ad esecuzione continuata e periodica.
3.2 Il nuovo filone giurisprudenziale inaugurato dalle c.d. “sentenze gemelle” del 1989. La dicotomia tra leasing “di godimento” e leasing “traslativo”
Come accennato supra, il dibattito intorno alla qualificazione giuridica del contratto di locazione finanziaria – consequenziale rispetto alla individuazione del relativo profilo causale – è stato alimentato da un inedito orientamento
46 Cass. civ., 6 maggio 1986, n. 3023, in Foro it., I, 1986. La pronuncia è stata poi confermata da Cass. civ., 26 novembre 1987, n. 8766, in Riv. it. Leasing, 1987, p. 677.
47 Art. 1526, comma 1, c.c.: «Se la risoluzione del contratto ha luogo per l’inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno».
48 Art. 1458, comma 1, c.c.: «La risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite».
giurisprudenziale, inaugurato nel 1989 dalla Corte di Cassazione con le c.d. “sentenze gemelle”49.
La ratio comune alle pronunce de quibus si rinviene nel tentativo di espungere dai formulari standard dei contratti di financial leasing quelle clausole che ponevano a carico dell’utilizzatore, quale conseguenza di un suo eventuale inadempimento, l’obbligo di restituzione del bene ed escludevano il diritto ad ottenere la ripetizione dei canoni già versati alla società concedente, in aggiunta all’obbligo di pagare, a titolo di penale, quelli scaduti insoluti e quelli a scadere50. Tale prassi, fortemente penalizzante per l’utilizzatore, si prestava a pericolosi abusi da parte dell’intermediario finanziario: quest’ultimo, infatti, avrebbe potuto trarre un ingente vantaggio nell’ipotesi di sviluppo “anomalo” del rapporto contrattuale, con conseguente rischio di ottenere un arricchimento ingiustificato con danno della controparte. L’estensione analogica alla locazione finanziaria della disciplina codicistica dettata in materia di vendita con riserva di proprietà si presta, a parere dei giudici, ad arginare questo pericoloso fenomeno: in relazione a quanto disposto dall’art. 1526 c.c., clausole di siffatto contenuto risulterebbero radicalmente nulle per contrasto con una norma imperativa.
Il Supremo Collegio, peraltro, prendendo le mosse dall’analisi del profilo causale della fattispecie, opera una netta scissione dell’unitario schema negoziale del leasing finanziario, distinguendo tra leasing c.d. “di godimento” e leasing c.d. “traslativo”51.
La prima delle figure in esame, che corrisponde ad un leasing di tipo “tradizionale”, si caratterizza per una funzione di finanziamento a scopo di godimento
49 Cass. civ., 13 dicembre 1989, nn. 5569, 5570, 5571, 5572, 5573, 5574, in Giur. it., 1990, I.
50 Sottolinea acutamente CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., p. 331, che l’ordinamento predispone già dei rimedi di carattere generale: i) la riducibilità ope iudicis della clausola penale ai sensi dell’art. 1384 c.c.; ii) la riduzione parziale della prestazione ex art. 1464 c.c.; iii) l’azione generale di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. Appare perciò pretestuosa l’individuazione dell’unico rimedio ipotizzabile nell’art. 1526 c.c.
51 Per un approfondimento sul tema, cfr. CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., pp. 307 ss.; VITI V., La locazione finanziaria tra tipicità legale e sottotipi, cit., pp. 80 ss.; ID, Le problematiche qualificatorie del leasing finanziario e l’irrisolta questione della disciplina applicabile alla risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, in Europa e diritto privato, 2016, pp. 820 ss.; XXXXX M., Il contratto di leasing, cit., pp. 30 ss.; LA TORRE M. R., I due tipi di leasing secondo la nuova giurisprudenza di Cassazione, in Riv. it. leasing, 1989; PARDOLESI R., Leasing finanziario: si ricomincia da due, in Foro it., 1990; XXXX I., Leasing di godimento v. leasing traslativo: debolezze di una dicotomia, in Rivista trimestrale diritto e procedura civile, 2011.
della res da parte dell’utilizzatore: il bene, infatti, è normalmente strumentale all’esercizio dell’attività d’impresa e la durata del contratto è parametrata alla “vita” economica di quest’ultimo. Il canone periodico che l’utilizzatore corrisponde alla società concedente costituisce il corrispettivo del godimento del bene e della consumazione della sua utilità economica; alla scadenza del contratto, il valore residuo della res risulta solitamente esiguo e, di conseguenza, il relativo prezzo di opzione sarà irrisorio. La giurisprudenza, inoltre, ritiene applicabile a tale tipologia di leasing la regola generale, sancita dall’art. 1458 c.c.52, della irretroattività degli effetti della risoluzione per inadempimento in relazione ai soli contratti ad esecuzione continuata o periodica.
A contrario, il leasing c.d. “traslativo” (o “nuovo”) ha sempre ad oggetto beni standardizzati o di consumo di natura durevole (non necessariamente strumentali all’attività d’impresa) che conservano, alla scadenza del contratto, un elevato valore residuo; di conseguenza, l’esercizio del diritto di opzione da parte dell’utilizzatore si configura quale conseguenza “naturale” del negozio, rientrante nella funzione stessa dello schema contrattuale. In tale contesto, il godimento del bene riveste una funzione meramente strumentale ed anticipatoria rispetto all’acquisto del relativo diritto di proprietà: i canoni corrisposti dall’utilizzatore alla società concedente rappresentano, in ultima istanza, un versamento anticipato del prezzo finale di acquisto della res. Specularmente, la titolarità del diritto di proprietà sul bene in capo alla società concedente rappresenta una forma di tutela, che garantisce alla concedente l’integrale recupero dell’investimento effettuato nell’ipotesi in cui l’utilizzatore si renda inadempiente. Enucleati i tratti caratterizzanti di questa particolare tipologia di leasing, i giudici ne evidenziano la marcata analogia rispetto al contratto di compravendita con riserva di proprietà: a parere della Suprema Corte, inoltre, la circostanza che non si produca un automatico trasferimento della proprietà del bene in capo all’utilizzatore a seguito del pagamento dell’ultima rata non risulta determinante a fini di una diversa qualificazione giuridica della fattispecie. Ne consegue l’applicabilità, in via analogica,
52 Art. 1458 c.c.: «La risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite.
La risoluzione, anche se è stata espressamente pattuita, non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione».
della disciplina codicistica di cui agli artt. 1523 ss. c.c. e, nello specifico, dell’art. 1526
c.c. in tema di risoluzione del contratto per inadempimento del compratore: in quest’ultima ipotesi il venditore avrà l’obbligo di restituire le rate già riscosse, salvo
«il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno».
Nell’operare una duplicazione delle fattispecie di leasing, la Cassazione ha individuato il discrimen – rivelatore dell’iniziale intento perseguito dalle parti e dunque della causa stessa del contratto – nel valore del bene alla scadenza del contratto e nel relativo prezzo di opzione. La giurisprudenza ha poi elaborato, in aggiunta a tale criterio, ulteriori “indici rivelatori”, idonei a consentire al giudice di merito una corretta identificazione della fattispecie – che la Suprema Corte ritiene vada effettuata caso per caso. Sul punto si sono espresse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, statuendo che: «Si è anche chiarito che la ricostruzione, nell’uno o nell’altro senso, dell’intenzione delle parti trasfusa nel regolamento negoziale è problema da risolvere caso per caso, alla luce delle concrete peculiarità delle singole fattispecie, e costituisce una quaestio voluntatis la cui soluzione è compito specifico del giudice del merito; il quale dovrà a tal fine tener conto non solo dell’ “indice” innanzi cennato (confronto tra valore residuo del bene e prezzo di opzione), ma anche di ogni altro utile elemento emergente alle clausole dei singoli contratti, potendosi, ad esempio, considerare indizi confermativi dell’intento delle parti di privilegiare, ab initio, il trasferimento del bene:
a) la previsione della facoltà per l’utilizzatore di chiedere la proroga del rapporto sul presupposto dell’ulteriore utilizzabilità del bene medesimo; b) l’obbligo, imposto all’utilizzatore, di riconsegnare il bene in buono stato di manutenzione e di funzionamento; c) il rapporto tra durata del contratto e periodo di prevedibile obsolescenza tecnica ed economica del bene in relazione alla natura ed alle modalità d’uso del medesimo. Possono inoltre assumere rilievo, ai fini dell’indagine, il tipo di professione esercitata dall’utilizzatore, l’interesse che questi ha inteso soddisfare con la stipulazione del leasing, il criterio di determinazione dei canoni, nonché eventuali pattuizioni specifiche in deroga o in aggiunta alle condizioni generali di contratto53».
La scissione del leasing finanziario inaugurata dal c.d. “sestetto binario” del 1989 ha incontrato il favore della giurisprudenza successiva e l’avallo delle Sezioni
53 Cass. civ. Sez. Unite, 7 gennaio 1993, n. 65.
Unite. Tuttavia, la prevalente dottrina54 – e alcune Corti di merito55 – si è mostrata apertamente critica rispetto al nuovo orientamento della Corte di Cassazione: si sottolinea che tale bipartizione ignora volutamente la natura atipica e unitaria della locazione finanziaria e che i parametri enucleati per determinare la natura “traslativa” ovvero “di godimento” del negozio concluso dalle parti siano eccessivamente fluidi ed incerti56. In particolare, il criterio che si basa sull’ammontare del prezzo di opzione appare poco affidabile: quest’ultimo è in realtà indipendente dal valore residuo del bene alla scadenza del contratto – in considerazione del fatto che le parti non potrebbero calcolarlo ex ante con precisione – ed è piuttosto parametrato in misura percentuale rispetto al prezzo del bene al momento del suo acquisto ovvero alla somma totale dei canoni che saranno corrisposti l’utilizzatore per tutta la durata del contratto. L’importo che l’utilizzatore dovrà restituire al finanziatore è dunque calcolato avendo esclusivo riguardo alla somma investita dalla società concedente per acquistare il bene, maggiorato degli interessi.
Parimenti, non risulta ragionevole che la qualificazione giuridica della fattispecie in termini di leasing c.d. “di godimento” ovvero c.d. “traslativo” avvenga ex post, rimanendo subordinata ad indici mutevoli ed imprevedibili qual è, tra gli altri, la valutazione di convenienza economica operata dall’utilizzatore in ordine all’esercizio del diritto di opzione.
54 Cfr. CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., pp. 312 ss.
55 Cfr. Trib. di Milano, 22 novembre 2007 n. 12746, in Banca, borsa titoli di credito, II, 2009, secondo il quale «con riferimento all’applicazione dell’art. 1526 c.c. e dell’art. 1384 c.c. invocata dall’opponente va osservato che la distinzione elaborata dalla giurisprudenza del S.C. fra leasing di mero godimento e leasing traslativo, all’interno della fattispecie contrattuale atipica della locazione finanziaria, non può essere condivisa. La finalità di finanziamento, che lo stesso S.C. riconosce quale causa presente in ogni contratto di leasing (v. tra le molte Cass., n. 18229/03), è sufficiente, in quanto lecita e meritevole di tutela secondo l’ordinamento, a caratterizzare il contratto, anche quando il fine dell’utilizzatore sia quello di acquistare la proprietà del bene alla scadenza del contratto, sicché la regolamentazione pattizia deve essere esaminata esclusivamente attraverso il filtro della non contrarietà a norme imperative di cui all’art. 1322 c.c. […] per cui si ritiene che in tema di leasing e di contratti aventi una causa finanziaria, non trovi spazio la disciplina dettata per negozi di altra natura e non assimilabili a quello per cui è causa, come la vendita con riserva della proprietà».
56 Analizzando la giurisprudenza di merito sul punto, si riscontra una grande difformità delle soluzioni adottate rispetto a fattispecie aventi caratteri fra loro omogenei, a riprova della ambiguità ed indeterminatezza dei criteri indicati dalla Corte di Cassazione.
Ulteriore profilo di criticità connesso all’utilizzo di tali “indici sintomatici” per determinare la corretta qualificazione della fattispecie risiede nella circostanza che l’assoluta genericità ed indeterminatezza dei parametri enucleati legittimano un controllo fortemente pervasivo dell’autorità giudiziaria in relazione alla “meritevolezza” dell’assetto di interessi delineato dai paciscenti. La tendenza di parte della giurisprudenza ad operare una “riconduzione ad equità” del regolamento negoziale ha determinato, in ultima istanza, una ingiusta situazione di vantaggio per l’utilizzatore inadempiente il quale, pur avendo beneficiato della disponibilità della res, si vede riconosciuto il diritto alla restituzione dei canoni versati ai sensi dell’art. 1526 c.c.
La bipartizione del financial leasing ad opera della giurisprudenza di legittimità è, inoltre, in evidente contrasto con le prassi contrattuali in materia: l’orientamento in esame non tiene conto del reale assetto di interessi perseguito dalle parti, che non può ricondursi pienamente ad una finalità di godimento ovvero traslativa, ma rappresenta un unicum che conferisce al contratto di leasing finanziario una autonoma dignità negoziale.
3.3 Gli interessi facenti capo alle parti e l’individuazione di una autonoma causa di finanziamento
I tentativi della dottrina e della giurisprudenza tesi a ricondurre il leasing finanziario entro gli angusti confini di fattispecie già tipizzate hanno determinato, in ultima istanza, la svalutazione del reale profilo causale dell’operazione economica de qua. Sebbene alcuni Autori abbiano correttamente identificato la funzione precipua della locazione finanziaria nello scopo di finanziamento (del lessee), quest’ultimo è stato ritenuto, alternativamente, neutro ed irrilevante sotto il profilo della causa negoziale – in quanto mero presupposto economico del contratto ovvero afferente alla sfera dei motivi57 – o, viceversa, pienamente compatibile con gli schemi contrattuali della locazione e della vendita con riserva di proprietà58.
57 In questi termini si è espresso Trib. Milano, 26 agosto 1988, in Giur. comm., 1989.
00 Xxx. XX XXXXXXX X., Proprietà e disponibilità dei beni negli investimenti comuni, nel leasing, nella multiproprietà, Padova, 1988, p. 172, secondo il quale: «la funzione del finanziamento può essere indifferentemente perseguita adoperando tutti i mezzi contrattuali che siano idonei a regolare da una
L’atteggiamento critico di parte della dottrina in relazione agli indirizzi interpretativi de quibus ha infine aperto la strada ad una ricostruzione del financial leasing quale contratto con autonoma causa di finanziamento: «La causa di finanziamento che informa e caratterizza l’intero contenuto contrattuale ed il concreto assetto che le parti danno ai loro interessi, è manifesta nella funzione e nel ruolo che svolge il bene oggetto del contratto. Il bene sostituisce e rappresenta null’altro che la somma di danaro con la quale la società di leasing opera il finanziamento in favore del conduttore59». A conferma di tale ricostruzione, questa dottrina60 indica i profili peculiari della locazione finanziaria, che la rendono un unicum rispetto alle fattispecie codicistiche: i) la qualificazione soggettiva della società di leasing, la quale, come stabilito dalla stessa Legge Concorrenza del 2017, è necessariamente una banca o un intermediario finanziario – soggetti che svolgono in via esclusiva attività di natura finanziaria, come si ricava dall’analisi delle disposizioni del t.u.b.; ii) l’acquisto del bene ad opera della società concedente è finalizzato, in via esclusiva, alla successiva concessione in leasing, in quanto l’intermediario non ha un proprio interesse ad acquisire la proprietà sulla res; iii) con la stipula del contratto di leasing, l’utilizzatore si obbliga a rimborsare il finanziamento (il tantundem) sotto forma di pagamento dei canoni periodici – parametrati in relazione all’esborso sostenuto dal finanziatore per l’acquisto del bene, maggiorato degli interessi; iv) l’intensità dei poteri del lessee in relazione all’uso del bene, non essendo quest’ultimo obbligato a mantenere la res in stato tale da consentire al lessor futuri utilizzi.
Dall’analisi complessiva di tali elementi emerge distintamente la peculiarità del profilo causale del leasing finanziario, innegabilmente difforme dalla funzione di scambio caratterizzante la vendita con riserva di proprietà ovvero dalla causa di godimento propria della locazione. Il financial leasing è indubbiamente riconducibile
parte il rapporto formale e dall’altra il rapporto sostanziale verso un bene […]»; XXXXXXXXX V., La locazione finanziaria nell’ordinamento italiano, cit., pp. 3 ss., il quale descrive il leasing finanziario come «tecnica di finanziamento raggiunta attraverso un mezzo contrattuale non tradizionale»; XXXXX A., La locazione di beni strumentali (leasing), cit., p. 287, il quale ritiene il finanziamento un «movente pregiuridico».
59 CLARIZIA R., La locazione finanziaria, cit., pp. 28-30.
60 Cfr. CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., pp. 314 ss.; VITI V., La locazione finanziaria tra tipicità legale e sottotipi, cit., pp. 72 ss.
alla categoria dei contratti di finanziamento61, pur non potendosi qualificare quale contratto di credito: lo schema negoziale di quest’ultimo, infatti, si concreta nella dazione di una somma di denaro, non determinata da una liberalità né da uno scambio, a seguito della quale sorge, a carico del beneficiario, l’obbligo di restituire il tantundem62. Diversamente, nel caso della locazione finanziaria l’utilizzatore riceve un bene infungibile – acquistato dalla concedente secondo i desiderata del lessee –, ma assumerà l’obbligo di “restituire” all’intermediario la somma investita attraverso il pagamento di canoni periodici63 e la res, qualora non voglia avvalersi del diritto di opzione per l’acquisto. La finalità del finanziamento si sostanzia, dunque, nella possibilità, riconosciuta al lessee, di godere e disporre (come se fosse proprietario) di un bene, scaricando su un altro soggetto (la società di leasing) l’investimento economico necessario all’acquisto.
Le considerazioni sin qui svolte sembrano trovare sostegno nella definizione del contratto di locazione finanziaria di cui alla Legge Concorrenza del 2017. La normativa in questione, nel delineare i caratteri fondamentali dell’operazione economica de qua, mette in luce alcune delle peculiarità della locazione finanziaria già identificate dalla dottrina più attenta, confermandone la funzione essenzialmente finanziaria.
In via preliminare, la normativa in questione conferma la riserva in favore delle banche e degli intermediari finanziari iscritti all’albo di cui all’art. 106 t.u.b. dell’attività di financial leasing. La Legge Concorrenza del 2017 conferma, inoltre, la traslazione di tutti i rischi inerenti al bene – ivi compreso quello di perimento – in capo all’utilizzatore e determina, infine, i criteri di calcolo dei canoni che quest’ultimo dovrà corrispondere alla società concedente, specificando che l’ammontare
61 Per un approfondimento sulla nozione di finanziamento e dei contratti con causa di finanziamento cfr. XXXXX N., Autonomia privata e causa di finanziamento, cit., pp. 3 ss. e CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., pp. 5 ss., secondo il quale è possibile costruire una categoria generale di contratti di finanziamento, i cui elementi qualificanti si rintracciano: i) nella finanziarietà del soggetto finanziatore; ii) nell’oggetto dell’attività e del contratto;
iii) nell’obbligo in capo all’utilizzatore di restituire il finanziamento ricevuto; iv) nella durata del rapporto. L’insieme di tali elementi mette in luce come la causa di finanziamento soddisfi in maniera esclusiva gli interessi delle parti, senza necessità di ricorrere ad ulteriori negozi con profili causali differenti.
62 Cfr. XXX X. X., L’essenza del credito e il leasing finanziario, in Riv. società, 1978.
63 Cfr. XXXXX N., Autonomia privata e causa di finanziamento, cit., pp. 188 ss.
complessivo delle rate debba essere parametrato al prezzo di acquisto (o di costruzione) del bene ed alla durata del contratto. Tali elementi disvelano, a parere della dottrina, la funzione di finanziamento del financial leasing: i canoni corrisposti dall’utilizzatore, infatti, non costituiscono il corrispettivo del mero godimento del bene, né l’anticipazione del prezzo per il futuro acquisto della proprietà. L’assunto trova conferma nella tipizzazione dei criteri da seguire per determinare l’importo delle rate, i quali hanno natura indubbiamente finanziaria. La normativa de qua ribadisce, poi, che l’esercizio del diritto di opzione riconosciuto all’utilizzatore per l’acquisto della proprietà del bene è eventuale e discrezionale, in quanto alla scadenza del contratto quest’ultimo sarà libero di optare per la restituzione del bene.
Da ultimo, il tenore letterale della definizione della locazione finanziaria contenuta nella Legge Concorrenza del 2017 non lascia spazio alla dicotomia, di origine pretoria, tra leasing c.d. “traslativo” e leasing c.d. “di godimento”, che può perciò ritenersi definitivamente superata.
4. La tutela del lessor nelle ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento del lessee
Come anticipato supra (cap. II, § 3), uno dei principali nodi problematici connessi al tema della qualificazione giuridica del leasing finanziario investe gli strumenti di tutela azionabili dalla società concedente nelle ipotesi di inadempimento dell’utilizzatore – ovverosia nel caso in cui quest’ultimo non corrisponda i canoni periodici dovuti64. Le soluzioni prospettate da dottrina e giurisprudenza
64 In tema di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore, il nodo cruciale su cui si sono a lungo interrogate dottrina e giurisprudenza è sintetizzabile nell’interrogativo circa l’applicabilità alla fattispecie di leasing finanziario della disciplina di parte generale del contratto (nella specie l’art. 1458 c.c.) ovvero di una delle disposizioni di parte speciale, in particolare quella prevista in tema di vendita a rate con riserva di proprietà (art. 1526 c.c.). A tal proposito, osserva acutamente DI XXXX X., La disciplina della locazione finanziaria nella prima legge annuale per il mercato e la concorrenza, cit., pp. 227 ss. che la scelta rispetto alla disciplina applicabile sia in realtà un falso problema, perché posto in termini errati: la disposizione contenuta all’art. 1526 c.c. non costituisce una disciplina speciale, essendo piuttosto una riproduzione – applicata ad una specifica fattispecie – della regola generale contenuta nell’art. 1458 c.c. Scrive a tal proposito l’Autore: «L’avere ignorato (da parte della giurisprudenza) questo indubitabile dato di partenza ha determinato una serie di decisioni il cui tratto caratterizzante, alla ricerca della disciplina applicabile, è quello di contrapporre la logica della parte generale del contratto (segnatamente, per ciò che qui interessa, la previsione contenuta nell’art. 1458,
presupponevano, a monte, la scelta in ordine alla riconduzione del leasing finanziario al contratto di compravendita con riserva di proprietà – con conseguente applicabilità, in via analogica, della disciplina di cui all’art. 1526 c.c. – ovvero il riconoscimento della sua atipicità.
In assenza di una specifica previsione normativa sul punto – almeno fino alla Legge Concorrenza del 2017 – l’inadempimento dell’utilizzatore veniva analiticamente disciplinato mediante l’inserimento di clausole ad hoc nei formulari standard dei contratti di leasing: queste ultime erano solite porre a carico dell’utilizzatore l’obbligo di restituzione del bene in aggiunta a quello di pagare, a titolo di penale, i canoni scaduti insoluti e quelli a scadere; la società concedente veniva inoltre legittimata a trattenere i canoni regolarmente corrisposti dall’utilizzatore. In forza di tali clausole, la posizione contrattuale della società concedente risultava oltremodo rafforzata, con grave pregiudizio del lessee: vi era dunque il rischio, da più parti evidenziato, che l’intermediario potesse beneficiare di un arricchimento ingiustificato in seguito allo sviluppo anomalo della vicenda contrattuale – paradossalmente più remunerativo delle ipotesi di regolare svolgimento del rapporto negoziale. L’esigenza di arginare tale prassi, certamente abusiva, ha spinto la giurisprudenza di legittimità a ricondurre la locazione finanziaria al contratto di compravendita a rate con riserva di proprietà, al fine di estendere in via analogia alla prima la disciplina della risoluzione dettata dall’art. 1526 c.c.
4.1 Le posizioni della giurisprudenza di legittimità
L’iter percorso dalla Corte di Cassazione a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso65 in tema di tutela dell’utilizzatore inadempiente si articola in due “fasi”
comma 1, prima parte c.c.) alle rationes della parte speciale dedicata ai singoli contratti (in particolare, l’invocata applicazione dell’art. 1526, comma 1, c.c.), omettendo di avvertire che l’integrale soluzione del problema è rinvenibile all’interno del disposto (nelle due contrapposte articolazioni e rispettive soluzioni) dell’art. 1458, comma 1, c.c.».
65 Cfr. CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., pp. 318 ss.; XXXXXXX X., XXXXXX P., I contratti nuovi. Casi e materiali di dottrina e giurisprudenza. Leasing, factoring, franchising, cit., pp. 32 ss.; XXXXXXX F., La natura del contratto di leasing e la disciplina applicabile nell’ipotesi di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, in GIURETA Rivista di Diritto dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente, Vol. IX, 2011, pp. 279 ss.; XXXXX M., Il contratto di leasing, cit., pp. 48 ss.; VITI V., Le problematiche qualificatorie del leasing finanziario e
distinte, il cui lo spartiacque può essere individuato nel c.d. “sestetto binario” del 198966.
L’iniziale orientamento seguito dalla Suprema Corte ha il suo “manifesto” argomentativo in una nota pronuncia del 198667 – già richiamata supra, §§ 3.1 – la quale, in linea con il percorso argomentativo seguito da alcune Corti di merito68, esalta la causa eminentemente finanziaria del leasing e ne riconosce l’atipicità. In relazione alla natura finanziaria del contratto, i giudici rilevano che la causa del financial leasing non possa essere individuata «nell’acquisto della proprietà di un bene con una particolare agevolazione nel pagamento del prezzo, bensì in un finanziamento per l’acquisto della disponibilità immediata di quel bene – e solo eventualmente della proprietà di esso – con l’impegno dell’utilizzatore di rimborsare ratealmente la somma anticipata del finanziatore, maggiorata degli interessi e della remunerazione del capitale per il rischio dell’operazione». Da tale premessa viene ricavata la disomogeneità funzionale del leasing finanziario rispetto alla compravendita a rate con riserva di proprietà, con conseguente impossibilità di estendere in via analogica al primo la disciplina codicistica – e, in specie, l’art. 1526 c.c.
I giudici completano l’iter argomentativo asserendo che «al contratto di leasing finanziario, quale contratto privo di una particolare disciplina tipica, risultano direttamente applicabili, in forza del richiamato principio di cui all’art. 1323 x.x., xx xxxxx xxxxx xxxxxxxxxx xxxxxxxx xxx xxxxxxxxx, xxx le quali vi è, in tema di risoluzione dei contratti di durata, quella di cui all’art. 1458, palesemente incompatibile con la previsione normativa di cui all’art. 1526, riferita al contratto nominato di vendita con riserva della proprietà». La soluzione allo spinoso problema della tutela dell’utilizzatore inadempiente risiede, a parere della Suprema Corte, nella disciplina generale della risoluzione del contratto e, nello specifico, nel disposto dell’art. 1458
c.c. La disposizione de qua, in deroga alla regola generale di retroattività degli effetti
l’irrisolta questione della disciplina applicabile alla risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, cit., 2016.
66 Ci si riferisce alle già citate sentenze con le quali la Cassazione ha operato la distinzione fra leasing
c.d. “di godimento” e leasing c.d. “traslativo”: Cass. civ., 13 dicembre 1989, nn. 5569, 5570, 5571, 5572, 5573, 5574, in Giur. it., I, 1990.
67 Cfr. Cass. civ., 6 maggio 1986, n. 3023, in Foro it., I, 1986.
68 Ci si riferisce, in particolare, alla pronuncia del Tribunale di Vigevano, 14 dicembre 1972, già richiamata supra, §§ 3.1.
della risoluzione del contratto, sancisce la non ripetibilità delle prestazioni già eseguite qualora lo scioglimento del vincolo colpisca contratti ad esecuzione continuata o periodica; dall’applicazione dell’art. 1458 c.c. al contratto di leasing finanziario consegue che la società concedente non sarà tenuta a restituire all’utilizzatore i canoni già versati, ma non potrà pretendere il versamento di quelli rimasti insoluti – salvo il diritto ad ottenere il risarcimento del danno.
L’orientamento richiamato è stato oggetto di un revirement della Suprema Corte ad opera delle c.d. “pronunce gemelle” del 1989, le quali hanno introdotto la nota dicotomia tra leasing c.d. “di godimento” e leasing c.d. “traslativo”. Rinviando a quanto detto supra in merito alle asserite differenze strutturali tra i due “tipi” (v. §§ 3.2), preme qui dare conto dell’influenza decisiva che tale bipartizione ha esercitato in relazione alla tutela del lessee inadempiente.
A parere della Cassazione, qualora il giudice di merito abbia inquadrato il contratto nello schema negoziale del leasing c.d. “di godimento”, rimarrà valida la soluzione adottata nella pronuncia del 1986 – irretroattività dell’effetto risolutorio rispetto alle prestazioni già eseguite, secondo quanto disposto dall’art. 1458, comma 1, c.c. A contrario, qualora il negozio integri la fattispecie di leasing c.d. “traslativo”, stante la forte analogia con lo schema negoziale della vendita a rate con riserva di proprietà, troverà applicazione la regola dettata dall’art. 1526 c.c. La disposizione prevede che l’utilizzatore-acquirente sia tenuto a restituire il bene ma abbia diritto alla ripetizione dei canoni versati alla società concedente-venditore – la quale potrà ottenere soltanto un equo compenso, in aggiunta all’eventuale risarcimento del danno. L’art. 1526 c.c. delinea perciò un meccanismo di risoluzione del contratto con effetti retroattivi rispetto alle prestazioni già eseguite; la società di leasing, inoltre, non avrà diritto ad ottenere il pagamento dei canoni scaduti insoluti e di quelli a scadere.
Al fine di evitare possibili abusi, la giurisprudenza ha perfezionato i criteri di determinazione dell’equo compenso e del risarcimento del danno spettanti all’intermediario finanziario: in particolare, il primo «[…] comprende la remunerazione del godimento del bene e il deprezzamento conseguente alla sua non commerciabilità come nuovo e al logoramento per l’uso, ma non il mancato guadagno da parte del concedente, mentre il risarcimento del danno può derivare da un
deterioramento anormale della cosa dovuto all’utilizzatore69»; viceversa, «una volta che mediante l’equo compenso e il residuo valore del bene il concedente abbia recuperato il capitale monetario impegnato nell’operazione in vista del corrispondente guadagno, il risarcimento del danno non si presta a essere commisurato all’intera differenza necessaria per raggiungere il guadagno atteso. E questo perché, con l’anticipato recupero del bene e del suo valore, il concedente è di norma in grado di procurarsi attraverso il reimpiego di quel valore un proporzionale utile, che deve quindi essere portato in detrazione dalla somma che l’utilizzatore avrebbe ancora dovuto, se il rapporto fosse proseguito. Del danno così determinato si dovrà tenere conto ai fini dell’esercizio del potere di riduzione della eventuale clausola penale, che comporti un risarcimento eccessivo70».
Le incertezze applicative originate dalla duplicità di soluzioni proposte si riscontrano in diverse pronunce della stessa Suprema Corte, tornata più volte sul tema: pur confermando la dicotomia dei “tipi” di leasing, i giudici hanno precisato che l’estensione analogica al leasing c.d. “traslativo” della disposizione di cui all’art. 1526
c.c. non comporta una automatica ed integrale applicabilità della normativa codicistica in tema di vendita con riserva di proprietà71. Si segnalano, peraltro, da parte di alcune Corti di merito sporadici tentativi di superare la dicotomia tra i due schemi negoziali di leasing: tra questi, si segnala una sentenza del Tribunale di Milano72, nella quale i
69 Cass. civ., 23 maggio 2008, n. 13418.
70 Cass. civ., 13 gennaio 2005, n. 574.
71 Cfr. Cass. civ., 2 agosto 1995, n. 8464, in Foro it., I, 1996, p. 164, nella quale si legge: «[…] la ricorrente, ponendosi nella linea di alcune sentenze di questa corte, intende estendere al contratto di leasing c.d. traslativo, in contrapposizione a quello c.d. di godimento, la disciplina inerente alla vendita (art 1476). L’operazione logica proposta non è accoglibile, sia perché nel c.d. leasing traslativo (in cui si è ritenuta l’estensione analogica della disciplina dell’art. 1526 c.c.) non è stata per nulla esclusa la funzione di finanziamento insita nel contratto, sia perché l’estensione analogica di una norma specifica della vendita con riserva di proprietà al leasing di tal genere, non implica necessariamente l’estensione di tutta la disciplina della vendita».
72 Cfr. Trib. Milano, 23 marzo 2000, in I Contratti, 2000, p. 1742, sentenza nella quale i giudici evidenziano che il contratto di leasing «[…] è qualificabile come struttura negoziale complessa ma unitaria, la cui causa si sostanzia nella prestazione della provvista necessaria per l’acquisto del bene scelta dal conduttore che ha già concordato il prezzo con il fornitore: tale bene passerà in godimento all’utilizzatore dietro impegno di provvedere successivamente alla restituzione dell’importo messo a disposizione del concedente; che il locatore non tratta minimamente con il fornitore le modalità dell’acquisto, ma si limita a finanziare il conduttore, dietro impegno di quest’ultimo di restituire il prezzo del bene anticipato dalla società di leasing […]; che il successivo eventuale trasferimento trova la sua giustificazione nella realizzazione della causa finanziaria che fa venir meno l’interesse del
giudici muovono una serrata critica alla duplicazione operata dalla Suprema Corte, evidenziandone l’artificiosità ed esaltando, parimenti, le peculiarità della locazione finanziaria, al fine di affrancarla dalle fattispecie codicistiche.
4.2 L’introduzione di una normativa ad hoc ad opera della legge n. 124 del 2017
L’introduzione della Legge Concorrenza del 2017 sembrerebbe aver messo un punto fermo sulla dibattuta questione relativa alle conseguenze dell’inadempimento contrattuale del lessee. Come evidenziato in precedenza (v. supra, cap. I, §§ 2.2), l’introduzione di una disciplina ad hoc relativa alla risoluzione del contratto di locazione finanziaria per inadempimento dell’utilizzatore costituisce l’elemento di maggiore novità della normativa in commento73.
La disposizione, contenuta all’art. 1, comma 138, introduce un meccanismo unitario per tutte le ipotesi di risoluzione del contratto determinate da un inadempimento del lessee e sconfessa, di conseguenza, la duplicità di soluzioni proposte dalla giurisprudenza di legittimità in relazione alla bipartizione tra leasing
c.d. “di godimento” e leasing c.d. “traslativo”. La norma de qua riproduce, in verità, il medesimo meccanismo delineato dagli artt. 72 quater74 e 169 bis75 l. fall. (R.D. 16
concedente a mantenere la proprietà del bene che in precedenza costituiva la garanzia dell’adempimento dell’utilizzatore».
73 Cfr. DI XXXX X., La disciplina della locazione finanziaria nella prima legge annuale per il mercato e la concorrenza, cit., pp. 229 ss.
74 Art. 72 quater, l. fall.: «Al contratto di locazione finanziaria si applica, in caso di fallimento dell’utilizzatore, l’articolo 72. Se è disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa il contratto continua ad avere esecuzione salvo che il curatore dichiari di volersi sciogliere dal contratto.
In caso di scioglimento del contratto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela l’eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso avvenute a valori di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale; per le somme già riscosse si applica l’articolo 67, terzo comma, lettera a).
Il concedente ha diritto ad insinuarsi nello stato passivo per la differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene.
In caso di fallimento delle società autorizzate alla concessione di finanziamenti sotto forma di locazione finanziaria, il contratto prosegue; l’utilizzatore conserva la facoltà di acquistare, alla scadenza del contratto, la proprietà del bene, previo pagamento dei canoni e del prezzo pattuito».
75 Art. 169 bis, l. fall.: «Il debitore con il ricorso di cui all’articolo 161 o successivamente può chiedere che il Tribunale o, dopo il decreto di ammissione, il giudice delegato con decreto motivato sentito l’altro contraente, assunte, ove occorra, sommarie informazioni, lo autorizzi a sciogliersi dai contratti ancora
marzo 1942, n. 267) in ambito fallimentare, il quale trova applicazione nelle ipotesi di scioglimento del contratto di leasing a seguito di fallimento dell’utilizzatore ovvero nel caso in cui quest’ultimo opti per il concordato preventivo.
L’art. 1, comma 138, della Legge Concorrenza 2017 statuisce che «In caso di risoluzione del contratto per l’inadempimento dell’utilizzatore ai sensi del comma 137, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene, effettuata ai valori di mercato, dedotte la somma pari all’ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere, solo in linea capitale, e del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto, nonché le spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita. Resta fermo nella misura residua il diritto di credito del concedente nei confronti dell’utilizzatore quando il valore realizzato con la vendita o altra collocazione del bene è inferiore all’ammontare dell’importo dovuto dall’utilizzatore a norma del periodo precedente».
In xxx xxxxxxxxxxx, x opportuno puntualizzare che la disposizione circoscrive l’effetto risolutorio al grave inadempimento dell’utilizzatore, i cui presupposti
ineseguiti o non compiutamente eseguiti alla data della presentazione del ricorso. Su richiesta del debitore può essere autorizzata la sospensione del contratto per non più di sessanta giorni, prorogabili una sola volta. Lo scioglimento o la sospensione del contratto hanno effetto dalla comunicazione del provvedimento autorizzativo all’altro contraente.
In tali casi, il contraente ha diritto ad un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento. Tale credito è soddisfatto come credito anteriore al concordato, ferma restando la prededuzione del credito conseguente ad eventuali prestazioni eseguite legalmente e in conformità agli accordi o agli usi negoziali, dopo la pubblicazione della domanda ai sensi dell’articolo 161.
Lo scioglimento del contratto non si estende alla clausola compromissoria in esso contenuta.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai rapporti di lavoro subordinato nonché’ ai contratti di cui agli articoli 72, ottavo comma, 72-ter e 80 primo comma.
In caso di scioglimento del contratto di locazione finanziaria, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare al debitore l’eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso avvenute a valori di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale. La somma versata al debitore a norma del periodo precedente è acquisita alla procedura. Il concedente ha diritto di far valere verso il debitore un credito determinato nella differenza tra il credito vantato alla data del deposito della domanda e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene. Tale credito è soddisfatto come credito anteriore al concordato».
vengono espressamente individuati al comma 137 del medesimo art. 176: il legislatore, pertanto, opera un giudizio ex ante della gravità dell’inadempimento, al fine di sottrarlo alla valutazione discrezionale del giudice (la «non scarsa importanza» ex art. 1455 c.c.)77.
Resta tuttavia dibattuto l’inquadramento giuridico della norma: la dottrina si è interrogata in ordine alla natura giuridica della soglia individuata e, nello specifico, se questa sia condizione necessaria per l’esercizio dell’azione di risoluzione ovvero se il legislatore abbia voluto introdurre una sorta di clausola risolutiva espressa di fonte “legale”78. Qualora si aderisca alla prima tesi, l’esercizio dell’azione di risoluzione rimarrà precluso in radice nelle ipotesi in cui l’inadempimento non integri i parametri indicati. Nel secondo caso, invece, il raggiungimento delle soglie consentirà di attribuire ex lege all’inadempimento il carattere della gravità e, qualora il lessor decida di avvalersi della clausola proponendo la relativa azione di risoluzione, sarà preclusa al giudice la possibilità di valutarne la “non scarsa importanza”; a contrario, qualora tali parametri non risultino integrati, troverà applicazione la regola generale in tema di valutazione della gravità dell’inadempimento di cui all’art. 1455 c.c.79.
La dottrina sembra propendere per la prima interpretazione – condizione per l’esercizio dell’azione: a tal proposito, è stato argomentato che la ratio della disposizione deve essere ricercata nell’esigenza di tutelare l’utilizzatore – ritenuto parte contraente “debole” – rispetto alla proposizione, da parte della società di leasing, di azioni risolutive pretestuose e/o premature.
La disciplina de qua solleva, inoltre, un ulteriore interrogativo in relazione all’ambito di applicazione: prescindendo dalla natura dell’inadempimento posto in essere dall’utilizzatore, ci si è chiesti se la domanda di risoluzione possa essere
76 Art. 1, comma 137, Legge Concorrenza del 2017: «Costituisce grave inadempimento dell’utilizzatore il mancato pagamento di almeno sei canoni mensili o due canoni trimestrali anche non consecutivi o un importo equivalente per i leasing immobiliari, ovvero di quattro canoni mensili anche non consecutivi o un importo equivalente per gli altri contratti di locazione finanziaria».
77 Cfr. XXXX S., Leasing finanziario e tutela dell’utilizzatore: profili evolutivi nella transizione dalla prassi al tipo, cit., nt. 46; XXXXXXXX GUASTALLA E., Il contratto di leasing finanziario alla luce della legge n. 124/2017, in Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 1, 2019, p. 183.
78 Sulla questione si interrogano BONFATTI S., Il leasing è legge, cit., p. 6 e XXXXXXX S., Il leasing
finanziario alla luce della L. n. 124/2017, in I Contratti, 3, 2019, p. 345.
79 Art. 1455 c.c.: «Il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra».
proposta nei soli casi individuati dalla legge ovvero se la disposizione trovi applicazione per le ipotesi di inadempimento c.d. “economico” (es. mancato pagamento dei canoni), con esclusione dei c.d. inadempimenti “gestionali”80 (riguardanti quelle obbligazioni relative al rapporto contrattuale nel suo complesso: si pensi, ad es., agli obblighi di manutenzione del bene). La dottrina prevalente ha optato per una interpretazione più restrittiva e ritiene che per gli inadempimenti appartenenti alla seconda categoria (c.d. “gestionali”) la società concedente che voglia ottenere la risoluzione del contratto debba agire in giudizio in base al diritto comune (art. 1455 c.c.): lo scioglimento del vincolo contrattuale sarà dunque subordinato alla valutazione giudiziale in ordine alla gravità dell’inadempimento. In un’ottica di garanzia della posizione delle parti, si ritiene tuttavia che la procedura di vendita/ricollocazione del bene sul mercato – descritta al successivo comma dell’art. 1 – trovi applicazione anche in tale ultima fattispecie.
L’art. 1, comma 138, della normativa in commento, recante la disciplina della procedura di vendita del bene a seguito dello scioglimento del contratto per inadempimento dell’utilizzatore, è volta ad assicurare la tutela effettiva dell’intermediario finanziario prevenendo, al contempo, possibili abusi da parte di quest’ultimo. Il meccanismo garantisce alla società concedente l’integrale recupero dell’investimento effettuato – somma spesa per l’acquisto della res maggiorata degli interessi – mediante la «vendita o ricollocazione» del bene sul mercato; a garanzia dell’utilizzatore, è stato specificato che l’eventuale eccedenza ricavata dalla vendita del bene dovrà essergli restituita. Al fine di evitare possibili abusi ed un ingiustificato arricchimento dell’intermediario finanziario, le modalità di vendita e riallocazione del bene sul mercato sono state analiticamente descritte al comma 139 del medesimo art.
181. La disposizione distingue nettamente le ipotesi di vendita del bene da quelle di
80 Cfr. XXXXXXXX S., Il leasing è legge, cit., p. 6.
81 Art. 1, comma 139, Xxxxx Concorrenza 2017: «Ai fini di cui al comma 138, il concedente procede alla vendita o ricollocazione del bene sulla base dei valori risultanti da pubbliche rilevazioni di mercato elaborate da soggetti specializzati. Quando non è possibile far riferimento ai predetti valori, procede alla vendita sulla base di una stima effettuata da un perito scelto dalle parti di comune accordo nei venti giorni successivi alla risoluzione del contratto o, in caso di mancato accordo nel predetto termine, da un perito indipendente scelto dal concedente in una rosa di almeno tre operatori esperti, previamente comunicati all’utilizzatore, che può esprimere la sua preferenza vincolante ai fini della nomina entro dieci giorni dal ricevimento della predetta comunicazione. Il perito è indipendente quando non è legato al concedente da rapporti di natura personale o di lavoro tali da compromettere l’indipendenza di
ricollocazione dello stesso sul mercato: quest’ultima potrà avvenire, ad esempio, tramite la stipulazione di un nuovo contratto avente ad oggetto il medesimo bene.
Parte della dottrina ha rilevato che il meccanismo di tutela della società concedente ideato dal legislatore richiama il c.d. “patto marciano”82, ma “al contrario”: nella fattispecie descritta dalla Legge Concorrenza del 2017, la titolarità del diritto di proprietà sulla res è già in capo alla società concedente, la quale ottiene da parte dell’utilizzatore inadempiente la sola restituzione materiale; a contrario, con la stipula del patto marciano le parti prevedono che, a seguito dell’inadempimento del debitore, la proprietà del bene gravato da pegno o ipoteca sarà trasferita in capo alla parte creditrice garantita. Le fattispecie de quibus condividono tuttavia i medesimi correttivi, che le differenziano dal c.d. patto commissorio: i) la stima del bene deve avvenire successivamente all’inadempimento della parte obbligata ad opera di un soggetto terzo e imparziale (nel caso della locazione finanziaria dovranno essere soggetti specializzati o, in subordine, un perito scelto di comune accordo fra le parti);
ii) l’obbligo, in capo alla parte creditrice, di restituire la somma eventualmente eccedente il credito garantito.
La procedura delineata dalla Legge Concorrenza del 2017 presenta tuttavia un inconveniente di non facile soluzione: l’interesse del lessor sarà effettivamente soddisfatto solo ove la vendita o la ricollocazione sul mercato sia fruttuosa; in caso contrario, la sola restituzione della res da parte dell’utilizzatore non sarà sufficiente a compensare l’intermediario del mancato guadagno. A fortiori, fintanto che il bene non
giudizio. Nella procedura di vendita o ricollocazione il concedente si attiene a criteri di celerità, trasparenza e pubblicità adottando modalità tali da consentire l’individuazione del migliore offerente possibile, con obbligo di informazione dell’utilizzatore».
82 Il c.d. “patto marciano” costituisce un “correttivo” del patto commissorio e la sua validità è perciò generalmente ammessa da dottrina e giurisprudenza: mediante tale clausola le parti stabiliscono che, in caso di inadempimento dell’obbligazione garantita, la proprietà del bene dato in pegno o ipoteco sia trasferita in capo al creditore insoddisfatto. Tuttavia, al momento del trasferimento, il valore del bene è stimato da un soggetto terzo; di conseguenza, qualora il suddetto valore superi il credito garantito, il creditore sarà tenuto a corrispondere l’eccedenza al debitore, al fine di evitare che benefici di un ingiusto arricchimento. Per approfondimenti sul tema cfr. LUMINOSO X., Xxxxx xxxxxxxx e sottotipi, in Rivista di diritto civile, 2017; XXXXXXXX X., Patto commissorio e patto marciano. Proporzionalità e legittimità delle garanzie, Napoli, 2000; FAPPIANO G., Il patto marciano: tra tipicità e autonomia contrattuale, in I Contratti, 1, 2019; DE MENECH C., Il patto marciano e gli incerti confini del divieto di patto commissorio, in I Contratti, 8-9, 2015, pp. 16 ss.
verrà ricollocato sul mercato, il lessor dovrà occuparsi della gestione del cespite e sostenere le relative spese.
L’introduzione di una disciplina unitaria per la risoluzione del contratto di locazione finanziaria dovuto ad inadempimento del lessee ha determinato, a parere della dottrina, il superamento (seppur implicito) della dicotomia tra leasing c.d. “traslativo” e leasing c.d. “di godimento”. La giurisprudenza di legittimità, tuttavia, appare poco incline a recepire la posizione del legislatore: in alcune recenti pronunce83 i giudici hanno ribadito l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 1526 c.c. ai contratti di leasing c.d. “traslativo”. Nonostante le resistenze di una parte della giurisprudenza, è indubbio che la novella del 2017 rappresenti lo spartiacque in tema di effetti della risoluzione del contratto di locazione finanziaria: la tipizzazione della fattispecie e l’introduzione di una disciplina ad hoc precludono l’applicazione analogica dell’art. 1526 c.c. (dettato in tema di compravendita con riserva di proprietà), essendo stata colmata la lacuna normativa in materia.
4.3 L’incidenza della novella del 2017 sui rapporti giuridici pendenti
Il revirement normativo relativo al regime giuridico dell’inadempimento dell’utilizzatore ha animato il dibattito in ordine alla disciplina applicabile ai rapporti giuridici sorti anteriormente al 2017, ma ancora pendenti (in quanto non coperti da giudicato) dopo l’entrata in vigore della Legge Concorrenza. La questione è oggetto di una recente ordinanza della Corte di Cassazione84 la quale, in ragione della
83 Una rassegna delle principali pronunce di merito e di legittimità che seguono l’orientamento inaugurato nel 1989 dalla Suprema Corte con le c.d. “sentenze gemelle” è contenuta in VITI V., La locazione finanziaria tra tipicità legale e sottotipi, cit., p. 102. Di recente, l’applicabilità dell’art. 1526
c.c. alla locazione finanziaria è stata ribadita da Cass. civ., 15 gennaio 2020, n. 519.
84 Cfr. Cass. civ., sez. III, ord. 25 febbraio 2020, n. 5022. Nel caso di specie, la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione della legge n. 124 del 2017. In particolare, a parere della ricorrente il nuovo quadro normativo in tema di locazione finanziaria imponeva di riconsiderare il regime giuridico della risoluzione per inadempimento del contratto di financial leasing, benché questo fosse stato stipulato nel 2002 (e venuto a scadenza nel 2014). La società ricorrente censura, perciò, la decisione del Tribunale nella misura in cui nega l’applicabilità in via analogica dell’art. 72 quater, l. fall., ritenendo che la fattispecie fosse regolata dall’art. 1526 c.c.
La pronuncia è stata oggetto di approfondimento da parte di SANZO S., BORLONI G., Applicazione dell’art. 72-quater l. fall. ai contratti ante l. n. 124/2017: le S.U. chiamate a superare il “disorientamento” giurisprudenziale in atto, in Xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 14 maggio 2020.
complessità del tema, ha ritenuto di rimettere la questione al Primo Presidente, affinché valuti l’opportunità di assegnare il ricorso alle Sezioni Unite.
La pronuncia in commento procede, in primis, ad una disamina dei contrapposti filoni giurisprudenziali in tema di incidenza dello ius superveniens sui rapporti di leasing finanziario ancora pendenti: un primo orientamento evidenzia come, alla luce del nuovo contesto normativo – unificazione della fattispecie ad opera dell’art. 72 quater, l. fall., e della legge 124/2017 –, debba essere messa in discussione l’applicabilità in via analogica dell’art. 1526 c.c., dettato in tema di vendita con riserva di proprietà. La tesi, sostenuta da parte della giurisprudenza, è che gli effetti della risoluzione per inadempimento del contratto di leasing, seguita dal fallimento dell’utilizzatore, siano regolati – limitatamente ai quei rapporti sorti anteriormente all’entrata in vigore della Legge Concorrenza – dall’art. 72 quater, l. fall. «Non si tratta dunque di attribuire carattere retroattivo (in assenza di norme di diritto transitorio) alla nuova disciplina portata dalla legge 124/2017, ma di fare concreta applicazione della
c.d. interpretazione storico-evolutiva, secondo cui una determinata fattispecie negoziale, per quegli aspetti che non abbiano esaurito i loro effetti, in quanto non siano stati ancora accertati e definiti con statuizione passata in giudicato, non può che essere valutata sulla base dell’ordinamento vigente, posto che l’attività ermeneutica non può dispiegarsi “ora per allora”, ma all’attualità85».
La conclusione cui giungono i giudici è che debba trovare applicazione analogica a tutti i rapporti di locazione finanziaria sottratti ratione temporis all’ambito di efficacia della Legge Concorrenza del 201786 il disposto dell’art. 72 quater, l. fall., in luogo dell’art. 1526 c.c. – in ragione dell’evoluzione del quadro normativo dal quale emerge il definitivo superamento della bipartizione tra leasing c.d. “traslativo” e “di godimento”87.
85 Cass. civ., sez. I, 29 marzo 2019, n. 8980. Il principio di diritto della pronuncia in esame è stato poi ripreso da Cass. civ., sez. I, 10 maggio 2019, n. 12552; Cass. civ., sez. I, 10 luglio 2019, n. 18543; Cass. civ., sez. I, 30 settembre 2019, n. 24438; Cass. civ., sez. I, ord. 28 ottobre 2019, n. 27545. Un’acuta analisi della sentenza n. 8980 del 2019 è proposta da XXXXXXXXX X., Leasing: le discese ardite e le risalite, nota a Cass. civ., 29 marzo 2019, n.8980, in Xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, fasc., 13 agosto 2019.
86 In assenza di una disposizione transitoria che estenda espressamente la normativa introdotta dalla Legge Concorrenza del 2017 ai rapporti pendenti, deve escludersi che questa possa trovare diretta applicazione a tali rapporti.
87 Sin dalla sua entrata in vigore, l’art. 72 quater l. fall. ha suscitato un vivace dibattito in ordine alla sua portata applicativa. Parte della dottrina, infatti, ha intravisto nella disposizione in commento una
Un secondo orientamento88, a contrario, esclude la possibilità di estendere in via analogica la normativa fallimentare all’ipotesi di inadempimento dell’utilizzatore in considerazione, da un lato, del carattere settoriale della disciplina di cui all’art. 72 quater, l. fall. e, dall’altro, della difformità di presupposti tra le fattispecie considerate: laddove la risoluzione può essere domandata dalla società concedente a fronte dell’inadempimento dell’utilizzatore, lo scioglimento del negozio in seguito alla dichiarazione di fallimento è opzione rimessa in via esclusiva al curatore (il quale si sostituisce all’utilizzatore nella gestione dei rapporti giuridici ancora in corso d’esecuzione). Peraltro, la specificità della disciplina fallimentare non è idonea, a parere di questa giurisprudenza, a determinare il superamento ipso iure della bipartizione tra leasing c.d. “traslativo” e “di godimento”. L’orientamento in commento ritiene, perciò, che i contratti perfezionatisi in data anteriore all’entrata in vigore della novella del 2017 e non ancora esauriti continuino ad essere regolati dall’art. 1526 c.c., in conformità al consolidato orientamento giurisprudenziale inaugurato dalla Corte di Cassazione nel 1989.
I giudici della Terza Sezione, dopo aver dato conto del contrasto giurisprudenziale sul tema, procedono ad una accurata disamina della tesi prospettata dalla ricorrente col terzo motivo di ricorso.
La Suprema Corte dubita della possibilità di applicare in via analogica una disposizione (l’art. 72 quater, l. fall.) non prevista dall’ordinamento all’epoca di realizzazione della fattispecie – nel caso di specie, un contratto di leasing finanziario stipulato nel 2002 e venuto a scadenza nel 2014 –, in ragione della difficoltà di coniugare tale soluzione con i principi di certezza del diritto e di tutela dell’affidamento. In primis, i giudici rilevano che i principi de quibus rientrano tra i diritti fondamentali sanciti dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo – poi
precisa scelta del legislatore di carattere sistematico, finalizzata a ricomporre la scissione giurisprudenziale tra le fattispecie del leasing c.d. “traslativo” e “di godimento”. In particolare, la locazione finanziaria viene specificamente distinta dalla vendita con riserva di proprietà, il cui scioglimento è disciplinato dall’art. 73 l. fall. mediante un rinvio espresso all'art. 1526 c.c. Tale circostanza ha portato alcuni Autori a ritenere definitivamente superata la bipartizione della fattispecie ed a ritenere che l’art. 72 quater l. fall. potesse trovare applicazione in via analogia anche alle ipotesi di scioglimento del contratto per inadempimento verificatesi anteriormente alla dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore. Sul punto v. infra, § 5.
88 Cfr., ex multis, Xxxx. civ., sez. III, ord. 12 febbraio 2019, n. 3965; Cass. civ., ord. 18 giugno 2018, n. 15975; Cass. civ., sez. I, ord. 19 febbraio 2018, n. 3945.
recepiti, in quanto principi generali, dall’art. 6, comma 3, del TUE – ed hanno, in quanto tali, rango “costituzionale” ex art. 117 Cost. La Corte evidenzia come l’applicabilità dell’art. 1526 c.c. all’ipotesi di risoluzione del contratto di leasing c.d. “traslativo” sia stata affermata costantemente dalla giurisprudenza di legittimità, almeno fino all’introduzione della Legge Concorrenza del 2017: tale circostanza ha determinato, indubbiamente, il sorgere di un legittimo affidamento rispetto al regime giuridico della fattispecie, essendo ormai dato incontestabile che il c.d. “diritto vivente” rappresenta, lato sensu, una fonte di produzione della norma giuridica. I giudici si domandano, allora, se l’applicazione analogica dell’art. 72 quater, l. fall. in luogo dell’art. 1526 c.c. possa ritenersi una opzione legittima, alla luce del principio di certezza del diritto e della tutela dell’affidamento.
A fortiori, la Corte rileva che, pur volendo risolvere in senso positivo la questione della compatibilità rispetto ai principi sovranazionali, la possibilità di estendere in via analogica la normativa fallimentare impone di indagare l’esistenza, nel nostro ordinamento, di una forma di analogia c.d. “diacronica”. «Per potere dunque negare l’applicazione al caso di specie dell’art. 1526 c.c., occorrerebbe ammettere la pensabilità, accanto alla tradizionale analogia sincronica (per effetto della quale si applica alla fattispecie non disciplinata una norma già esistente nell’ordinamento, al momento in cui quella fattispecie ebbe a verificarsi), anche una analogia diacronica, per effetto della quale la norma da applicare per analogia al caso concreto potrebbe anche non esistere al momento di realizzazione della fattispecie, purché esista al momento della decisione89».
Ancora, pur volendo ammettere che l’ordinamento contempli l’analogia c.d. “diacronica”, la Corte dubita che nel caso in esame possa trovare applicazione l’art. 72 quater, l. fall, stante l’assenza dei presupposti che consentono il ricorso allo strumento analogico – ovverosia la lacuna normativa e l’identità di ratio tra la fattispecie carente di disciplina e quella descritta dalla norma considerata. Da un lato, l’esistenza dell’art. 1526 c.c. smentisce la necessità di ricorrere in via analogia alla normativa fallimentare; in secondo luogo, non v’è una eadem ratio tra l’ipotesi di fallimento dell’utilizzatore (disciplinata dall’art. 72 quater) e la risoluzione del contratto per inadempimento.
89 Cass. civ., sez. III, ord. 25 febbraio 2020, n. 5022.
Il quesito di diritto sottoposto all’attenzione delle Sezioni Unite investe perciò, da un lato, l’esistenza dell’analogia c.d. “diacronica” e, dall’altro, la legittimità dell’applicazione in via analogica della normativa fallimentare all’ipotesi di risoluzione del contratto di financial leasing anteriore alla dichiarazione di fallimento.
In attesa di conoscere la determinazione della Suprema Corte, possono essere svolte alcune considerazioni di carattere generale. In primis, la diversità di ratio tra la disciplina del fallimento e quella della risoluzione per inadempimento osta, a parere di chi scrive, ad una estensione analogica dell’art. 72 quater, l. fall. È dato incontestabile, infatti, che la normativa fallimentare sia finalizzata a tutelare, in modo più ampio possibile, i creditori e gli aventi causa del soggetto dichiarato fallito, nel rispetto della par condicio creditorum: ad esclusione delle cause legittime di prelazione previste dalla legge, tutti i creditori concorrono sullo stesso piano per il soddisfacimento dei propri crediti e ciò importa, nella maggior parte dei casi, il sacrificio di (almeno) parte della pretesa vantata da ciascuno. La par condicio creditorum è ulteriormente presidiata da una disciplina analitica dei presupposti e delle modalità di insinuazione nello stato passivo, sul cui rispetto vigila l’autorità giudiziaria. Nel caso dell’inadempimento del contratto, a contrario, la normativa è volta a tutelare la posizione creditoria della sola controparte del rapporto, poiché viene meno la necessità di garantire un bilanciamento di interessi tra una pluralità di creditori.
Spostando poi l’attenzione sul tema dell’analogia c.d. “diacronica”, i profili di criticità messi in luce dalla Terza Sezione appaiono, a parere di chi scrive, assolutamente convincenti. La certezza del diritto e la tutela dell’affidamento impongono di garantire alla parte un certo grado di prevedibilità della decisione giudiziale, sulla base del quadro normativo esistente nel momento in cui sorge il rapporto. A fortiori, legittimare l’estensione analogica di una norma introdotta in un momento successivo rispetto al perfezionamento della fattispecie implica, di fatto, riconoscere efficacia retroattiva alla disposizione – nel caso di specie, l’art. 72 quater,
l. fall., introdotto nel 2006, ben quattro anni dopo il perfezionamento del contratto di leasing. Il risultato finale determinerebbe la violazione dell’art. 11 delle Disposizioni preliminari al Codice civile, secondo il quale «La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo». Peraltro, la sentenza n. 8980 del 2019 (nella quale i giudici sostengono la possibilità di estendere in via analogica l’art. 72 quater, l. fall.)
si inserisce in un contesto fattuale differente rispetto a quello sottoposto all’esame della Terza Sezione: il contratto oggetto della prima pronuncia, infatti, era stato concluso dalle parti nel dicembre del 2006, dunque in data successiva all’entrata in vigore della normativa fallimentare. Tale circostanza ha indubbiamente inciso sul processo interpretativo, in quanto non vi è stata necessità di configurare un’analogia c.d. “diacronica” – poiché l’art. 72 quater, l. fall., era già vigente nel momento in cui la fattispecie contrattuale si era perfezionata. A contrario, nel caso all’esame della Terza Sezione, oggetto del ricorso è un contratto di leasing finanziario stipulato nel 2002 – ben quattro anni prima dell’entrata in vigore della normativa fallimentare –, periodo nel quale non vi era alcuna norma dell’ordinamento che potesse suggerire un superamento della dicotomia tra leasing c.d. “traslativo” e “di godimento”.
5. Le sorti del contratto di leasing finanziario a seguito della dichiarazione di fallimento
La dibattuta qualificazione giuridica del contratto di financial leasing ha parimenti influenzato l’annoso problema relativo alla sorte del negozio in conseguenza della dichiarazione di fallimento della società concedente e del soggetto utilizzatore90. L’incertezza sul punto, alimentata da un intenso dibattito dottrinale e giurisprudenziale, ha indotto il legislatore a riorganizzare la materia con una serie di interventi legislativi, culminati nell’adozione, tra il 2006 e il 2007, di provvedimenti normativi particolarmente rilevanti in tema di fallimento dell’utilizzatore.
Il regime giuridico applicabile alle ipotesi di dichiarazione di fallimento del lessee risultava di difficile individuazione a causa della bipartizione, consolidatasi in giurisprudenza, tra leasing c.d. “di godimento” e leasing c.d. “traslativo”. La prima delle fattispecie richiamate (leasing c.d. “di godimento”) veniva ricondotta nell’ambito applicativo dell’art. 80, comma 2, l. fall.91in tema di locazione immobiliare: la norma,
90 Cfr. SERRA M., Il contratto di leasing, cit., pp. 74 ss.; ALBANESE M., XXXXXX A., Leasing e factoring, Milano, 2012, pp. 108 ss.
91 Art. 80, comma 2, l. fall: «Qualora la durata del contratto sia complessivamente superiore a quattro anni dalla dichiarazione di fallimento, il curatore ha, entro un anno dalla dichiarazione di fallimento, la facoltà di recedere dal contratto corrispondendo al conduttore un equo indennizzo per l’anticipato recesso, che nel dissenso fra le parti, è determinato dal giudice delegato, sentiti gli interessati. Il recesso ha effetto decorsi quattro anni dalla dichiarazione di fallimento».
fatte salve le ipotesi nelle quali il curatore opta per il recesso dal contratto – entro un anno dalla dichiarazione di fallimento e previo versamento di un equo indennizzo – prevede che il contratto prosegua automaticamente fra le parti. A contrario, al leasing
c.d. “traslativo” (assimilato alla vendita a rate con riserva di proprietà) veniva estesa la disciplina di cui all’art. 73, comma 1, l. fall.92, ai sensi del quale è rimessa al curatore la scelta fra la prosecuzione del contratto ovvero la sua risoluzione. La qualificazione del contratto in termini di leasing “di godimento” ovvero “traslativo” non condizionava, invece, la facoltà dell’utilizzatore-fallito di esercitare il diritto di opzione sull’acquisto del bene.
Il quadro normativo muta radicalmente a seguito della riforma operata dal legislatore con il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (poi modificato dall’art. 4, d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169), il cui art. 59 novella la legge fallimentare introducendovi l’art.
72 quater93 rubricato «locazione finanziaria». La disposizione de qua detta una disciplina unitaria del fallimento per tutti i contratti di locazione finanziaria, in aperto contrasto con l’orientamento (allora) dominante della giurisprudenza della Corte di Cassazione: parte (minoritaria) della dottrina, auspicando un’applicazione di carattere sistematico della disciplina fallimentare, ha ritenuto di estenderla in via analogica alle ipotesi di risoluzione del contratto di leasing finanziario per inadempimento
92 Art. 73, comma 1, l. fall: «Nella vendita con riserva di proprietà, in caso di fallimento del compratore, se il prezzo deve essere pagato a termine o a rate, il curatore può subentrare nel contratto con l’autorizzazione del comitato dei creditori; il venditore può chiedere cauzione a meno che il curatore paghi immediatamente il prezzo con lo sconto dell’interesse legale. Qualora il curatore si sciolga dal contratto, il venditore deve restituire le rate di prezzo già riscosse, salvo il diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa».
93 Art. 72 quater, l. fall.: «Al contratto di locazione finanziaria si applica, in caso di fallimento dell’utilizzatore, l’articolo 72. Se è disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa il contratto continua ad avere esecuzione salvo che il curatore dichiari di volersi sciogliere dal contratto.
In caso di scioglimento del contratto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela l’eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso avvenute a valori di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale; per le somme già riscosse si applica l’articolo 67, terzo comma, lettera a).
Il concedente ha diritto ad insinuarsi nello stato passivo per la differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene.
In caso di fallimento delle società autorizzate alla concessione di finanziamenti sotto forma di locazione finanziaria, il contratto prosegue; l’utilizzatore conserva la facoltà di acquistare, alla scadenza del contratto, la proprietà del bene, previo pagamento dei canoni e del prezzo pattuito».
dell’utilizzatore94 – ricostruzione peraltro convintamente smentita dalla giurisprudenza prevalente della Corte di Cassazione95 la quale, sottolineando la difformità sostanziale tra la fattispecie di fallimento e quella di risoluzione del contratto per inadempimento, ha escluso l’estensibilità in via analogica della normativa fallimentare a tale ultima ipotesi, stante la diversità di ratio che le ispira.
L’art. 72 quater l. fall., attraverso il richiamo all’art. 72 di cui al comma 1, dispone l’automatica sospensione del contratto di locazione finanziaria in attesa della decisione del curatore (considerato terzo rispetto al fallito) circa la prosecuzione ovvero lo scioglimento dello stesso; in deroga alla regola generale, la sospensione ipso iure del contratto non opera qualora sia disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa, salvo che il curatore decida diversamente – la ratio eccezione si fonda sulla natura del bene oggetto del contratto di leasing, solitamente strumentale allo svolgimento dell’attività imprenditoriale.
Qualora il curatore opti per lo scioglimento del contratto, la società concedente non sarà tenuta a restituire i canoni riscossi in data anteriore alla dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore – in conformità a quanto disposto dall’art. 67, comma 3, lettera a), espressamente richiamato dall’art. 72 quater, comma 2 – ed avrà inoltre diritto alla restituzione del bene (purché il contratto di locazione finanziaria abbia data certa anteriore rispetto alla dichiarazione di fallimento e risulti, di conseguenza,
94 Cfr. LA TORRE M. R., Il leasing finanziario nel fallimento ed il nuovo art. 72 quater l. fall., in Il fallimento, 3, 2008, pp. 292 ss., il quale scrive: «[…] l’introduzione di una norma di diritto positivo che prevede una dettagliata disciplina delle sorti della locazione finanziaria in caso di fallimento delle parti sovverte i termini finora utilizzati per la determinazione della causa di questo contratto; pertanto, se pur ciò non è ancora sufficiente a farne mutare la natura da contratto atipico a tipico, comunque, rappresenta un elemento imprescindibile per la sua qualificazione, poiché la natura giuridica della locazione finanziaria non potrà più essere individuata sulla base di presunte analogie con una determinata fattispecie tipica, quale la vendita con riserva di proprietà, la locazione o il mutuo, come finora avvenuto; ma dovrà necessariamente scaturire dalla peculiare disciplina positiva esistente nell’ordinamento giuridico ed essere coerente a questa. […] oggi nel caso della risoluzione della locazione finanziaria a seguito dell’inadempimento dell’utilizzatore l’individuazione della disciplina applicabile sulla base delle “disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe” non può che essere risolta attraverso i principi che si ricavano dall’art. 72 quater della legge fallimentare […]. L’introduzione di una disciplina speciale in sede fallimentare quale rapporto giuridico pendente, che ha sancito, sul piano normativo, una sua qualificazione come contratto di durata con causa di finanziamento, assume necessariamente una rilevanza qualificante anche sul piano sistematico e del diritto sostanziale […]».
95 Ex multis, cfr. Cass. civ., 29 aprile 2015, n. 8687; Cass. civ., 17 aprile 0000, x 00000; Cass. civ., ord.
12 febbraio 2019, n. 3965.
opponibile ai terzi ex art. 2704 c.c.). Il richiamo dell’art. 67, comma 3, lettera a), l. fall. sottrae ad una eventuale azione revocatoria da parte dei creditori dell’utilizzatore i canoni già versati alla società concedente: la ratio della previsione risiede nel tenere indenne l’intermediario finanziario dal rischio connesso ad un eventuale fallimento del lessee, offrendo al contempo maggiori garanzie circa il recupero dell’investimento effettuato.
Tuttavia, a garanzia della par condicio creditorum, il secondo comma dell’art. 72 quater prevede che, qualora il ricavato della vendita (avvenuta ai valori di mercato) superi il «credito residuo in linea capitale» vantato dalla società concedente, tale somma dovrà essere versata alla curatela; per la differenza tra il “credito vantato alla data del fallimento” e il ricavato della vendita, la società di leasing avrà invece diritto ad insinuarsi nel passivo in concorso con gli altri creditori. Vi è, dunque, una differenza sostanziale tra “credito residuo in linea capitale” e “credito vantato alla data del fallimento”96: il primo è un credito parziale e comprende la quota capitale dei canoni scaduti rimasti insoluti a far data dalla dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore, cui si deve aggiungere il prezzo di opzione sul bene. Il diritto della concedente ad ottenere piena soddisfazione del “credito residuo in linea capitale” le consente perciò di recuperare unicamente la somma investita per l’acquisto della res, al netto degli interessi. Il “credito vantato alla data del fallimento”, invece, ricomprende tanto l’eventuale credito in linea capitale rimasto insoddisfatto – qualora la vendita a valori di mercato non sia stata pienamente satisfattiva – quanto della remunerazione del capitale impiegato, ovverosia degli interessi sui canoni periodici insoluti e gli interessi di mora.
Qualora, in seguito alla dichiarazione di fallimento, il curatore ritenga di proseguire il rapporto contrattuale, troverà applicazione l’art. 74 della l. fall. in tema di «contratti ad esecuzione continuata o periodica», ai sensi del quale «Se il curatore subentra in un contratto ad esecuzione continuata o periodica deve pagare integralmente il prezzo anche delle consegne già avvenute o dei servizi già erogati».
La normativa fallimentare è stata fatta salva dall’art. 1, comma 140, della Legge Concorrenza del 2017, ai sensi del quale «Restano ferme le previsioni di cui
96 Cfr. LA TORRE M. R., Il leasing finanziario nel fallimento ed il nuovo art. 72 quater l. fall, cit., p. 293.
all’articolo 72-quater del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267»: il regime giuridico del fallimento del soggetto utilizzatore rimane, dunque, invariato.
In relazione alle ipotesi di fallimento della società di leasing, la prevalente dottrina aveva sostenuto che il rapporto contrattuale proseguisse automaticamente, sulla scorta della previsione di cui all’art. 73, comma 2, l. fall. – richiamato da quanti riconducevano il financial leasing al contratto di vendita a rate con riserva di proprietà
– ovvero dell’art. 80, comma 1, l. fall. – dettato in tema di locazione di immobili. Una tesi alternativa (rimasta tuttavia isolata) proponeva, con riguardo alle ipotesi di fallimento della società concedente, una soluzione analoga a quella adottata dall’art. 72 quater: l’alternativa tra lo scioglimento ovvero la prosecuzione del contratto era ritenuta di competenza esclusiva del curatore, al fine di garantire appieno l’interesse della massa dei creditori.
Sul punto è intervenuto il legislatore dapprima con il d.l. 24 dicembre 2003, n. 354 (Disposizioni urgenti per il funzionamento dei tribunali delle acque, nonché interventi per l’amministrazione della giustizia, convertito con legge 26 febbraio 2004,
n. 45): l’art. 7 dispone che «La sottoposizione a procedura concorsuale delle società autorizzate alla concessione di finanziamenti sotto forma di locazione finanziaria non è causa di scioglimento dei contratti di locazione finanziaria […]»; l’utilizzatore, inoltre, mantiene la facoltà di acquistare il bene alla scadenza del contratto esercitando il diritto di opzione e versando il prezzo pattuito. La previsione in esame è stata poi riprodotta, con analogo contenuto, nell’art. 72 quater, comma 4, l. fall. e da ultimo confermata dall’art. 1, comma 140, della Legge Concorrenza del 2017. Nonostante la norma de qua richiami espressamente il solo art. 72 quater l. fall. – «Restano ferme le previsioni di cui all’articolo 72-quater del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 […]»
–, non v’è ragione di dubitare che trovi applicazione alla locazione finanziaria la normativa fallimentare nel suo complesso considerata, con eccezione delle sole disposizioni incompatibili con la Legge Concorrenza del 201797.
Un’ultima ipotesi, non espressamente disciplinata dalla normativa fallimentare, attiene all’eventualità che sia il fornitore del bene a versare in stato di insolvenza: in tal caso, il contratto di compravendita concluso da quest’ultimo con la società di leasing potrebbe essere oggetto di una revocatoria fallimentare attivata dal
97 Sul punto cfr. XXXXXXXX S., Il leasing è legge, cit., p. 10.
curatore della procedura. La prevalente dottrina ritiene che il rischio del vittorioso esperimento dell’azione de qua gravi sull’utilizzatore, in considerazione del fatto la scelta del fornitore è effettuata personalmente dal lessee; quest’ultimo non sarà, di conseguenza, liberato dall’obbligo di versare i canoni alla società concedente, ma potrà eventualmente insinuarsi nel passivo del fallimento per soddisfarsi rispetto a tali somme98.
98 Cfr. XXXX S., Leasing finanziario e tutela dell’utilizzatore: profili evolutivi nella transizione dalla prassi al tipo, cit., pp. 354 ss.
CAPITOLO III
LA STRUTTURA DELL’OPERAZIONE ECONOMICA E LA CONNESSA QUESTIONE DELLA TUTELA DEL LESSEE
Sommario: 1. Profili strutturali della fattispecie: due distinte ricostruzioni. – 1.1 L’operazione di leasing quale contratto unitario plurilaterale. – 1.2 Trilateralità dell’operazione economica ed ipotesi di collegamento negoziale.
– 1.3 Le varianti introdotte dalla Suprema Corte: dalla causa concreta “unitaria” al collegamento negoziale “atipico”. – 2. Inadempimento del fornitore del bene: la controversa ammissibilità di una tutela diretta a favore del xxxxxx. – 2.1 Prime ricostruzioni proposte da dottrina e giurisprudenza. – 2.2 L’incidenza della sentenza a Sezioni Unite n. 24772 del 2008 in tema di mandato senza rappresentanza. – 2.3 L’arresto giurisprudenziale sul tema operato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 19785 del 2015. – 3. Perduranti criticità e nuove (possibili) riflessioni alla luce della tipizzazione operata dalla c.d. Legge Concorrenza del 2017. – 4. La rinegoziazione: strumento di governo delle sopravvenienze contrattuali. – 4.1 Obbligo legale di rinegoziazione del contratto. – 4.2 Violazione dell’obbligo di rinegoziare: quali rimedi possibili?. – 4.3 Rinegoziazione del contratto di locazione finanziaria.
1. Profili strutturali della fattispecie: due distinte ricostruzioni
Dopo avere indagato la dibattuta qualificazione giuridica della locazione finanziaria ed i molteplici nodi problematici connessi a tale tematica (v. supra, cap. II), appare opportuno proseguire nella trattazione con l’analisi dei profili strutturali della fattispecie de qua. Il tema acquista rilievo determinante non soltanto da un punto di vista sistematico, ma finanche in relazione alle ripercussioni sulla configurazione dei rapporti contrattuali.
Si può anticipare fin d’ora che dottrina e giurisprudenza hanno prospettato due distinte macro-ricostruzioni della struttura negoziale del leasing finanziario: alcuni interpreti l’hanno ricondotto nello schema del contratto unitario plurilaterale; altri ancora, viceversa, hanno sostenuto che l’operazione de qua consta di due negozi i quali, pur formalmente autonomi – da un lato, un contratto di leasing “in senso stretto” concluso dalla società condente con l’utilizzatore; dall’altro, un contratto di
compravendita o di appalto stipulato dal fornitore del bene e dall’intermediario finanziario –, risultano legati tramite un collegamento negoziale.
Al fine di indagare le conseguenze di ordine pratico e le criticità connesse a ciascuna delle interpretazioni individuate – in particolar modo sotto il profilo della dibattuta configurabilità di una tutela ad hoc dell’utilizzatore nei confronti del fornitore inadempiente (v. infra, § 2) – occorre procedere, in via preliminare, ad una disamina di entrambi gli orientamenti.
1.1 L’operazione di leasing quale contratto unitario plurilaterale
L’orientamento più risalente, rimasto isolato tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, ricostruisce l’operazione di financial leasing in termini di contratto unitario plurilaterale1 a formazione progressiva. Xxxxxxxx ricostruzione interpretativa configura perciò la fattispecie come un unicum, di talché tutte le parti contraenti sono obbligate le une nei confronti delle altre e le vicende legate al singolo rapporto si ripercuotono sull’intero contratto2: non sarebbe possibile, a parere di questa dottrina, scindere il profilo economico da quello prettamente giuridico, rimanendo irrilevante la circostanza che le parti stipulino due contratti formalmente distinti per il raggiungimento dell’unitario scopo economico.
A tal proposito, i fautori della tesi in esame sostengono l’impossibilità di scindere il profilo economico di una determinata fattispecie contrattuale da quello tecnico-giuridico. Ogni contratto, infatti, è teleologicamente orientato al raggiungimento di un determinato risultato economico e lo strumento giuridico è il mezzo che consente alle parti di renderlo rilevante per l’ordinamento: diritto ed economia stanno, perciò, in un rapporto di mezzo a fine. Inoltre, «Se tre sono le parti
1 Cfr. XXXXXXX D., La locazione finanziaria. Leasing, cit.; CHINDEMI D., Trilateralità del contratto di leasing e riduzione del contratto ad equità senza ricorrere all’applicazione dell’art. 1526 c.c., in Responsabilità civile, 1994; IMBRENDA M., Il leasing finanziario: trilateralità funzionale ed equilibrio del rapporto, cit., pp. 72 ss.
2 A tal proposito, il Codice civile detta una normativa specifica in tema di nullità (art. 1420 c.c.), di annullabilità (art. 1446 c.c.) e di risoluzione per inadempimento (art. 1459 c.c.) del contratto plurilaterale. Il tratto comune alle disposizioni richiamate risiede nella circostanza che il vizio che inficia il vincolo di una delle parti o l’inadempimento di una di esse è idoneo a travolgere l’intero negozio, a condizione che la partecipazione del soggetto in questione debba considerarsi essenziale rispetto al sinallagma contrattuale nel suo complesso.
di un’operazione economica, la quale si traduce in un’operazione giuridica che interessa tutte le parti, non è possibile che, rivestendosi di giuridicità, l’operazione economica da trilaterale si trasformi e si riduca in operazione bilaterale […]. L’aspetto documentale in cui si concretizza l’operazione economico-giuridica non può prevalere sulla reale struttura giuridica della locazione finanziaria e sul suo contenuto sostanziale […]3». A fortiori, una delle peculiarità del contratto plurilaterale risiede proprio nella “comunione di scopo”: l’operazione, strutturalmente complessa, è finalizzata al raggiungimento di un risultato complessivo ed unitario, che soddisfa appieno gli interessi di tutte le parti del rapporto.
Secondo questa dottrina, il processo formativo del contratto di locazione finanziaria si articola in più fasi distinte mediante la posizione di una serie di atti negoziali coordinati fra loro: in tal senso, si argomenta, i “contatti” iniziali tra fornitore del bene e futuro utilizzatore – il quale contratta personalmente col primo le condizioni di vendita, il prezzo e le caratteristiche del bene che sarà oggetto del contratto di leasing – non costituiscono mere trattative, ma si sostanziano in un accordo di natura vincolante, produttivo di diritti e doveri reciproci e sospensivamente condizionato alla successiva adesione dell’intermediario finanziario.
Nella prassi, invero, l’utilizzatore è solito avviare le trattative con il fornitore prima di rivolgersi alla società di leasing: tali intese si rivelano determinanti per la prosecuzione della vicenda contrattuale, essendo finalizzate a definire dettagliatamente tutti gli aspetti del futuro acquisto della res (prezzo, caratteristiche, luogo di consegna, tempistiche etc.). La società concedente, con l’adesione all’accordo raggiunto da fornitore e utilizzatore, completa la fattispecie ed accetta formalmente le condizioni contrattuali già predisposte dalle altre parti, obbligandosi nei loro confronti4
– in particolare, con la formale adesione sorge a carico dell’intermediario finanziario l’obbligo di concedere all’utilizzatore il finanziamento per l’acquisto del bene da lui scelto. La partecipazione della società di leasing risulta perciò determinante per la piena realizzazione dello scopo economico complessivo.
3 Cfr. XXXXXXX D., La locazione finanziaria. Leasing, cit., p. 8.
4 Cfr. XXXXXXX D., La locazione finanziaria. Leasing, cit., pp. 24 ss., il quale sostiene che, stante l’unitarietà strutturale e funzionale del contratto, si debbano scindere le obbligazioni assunte dal fornitore in obbligazioni nei confronti della società di leasing e in obbligazioni verso l’utilizzatore del bene.
Quanti aderiscono a tale tesi argomentano, inoltre, che la pluralità di atti e documenti prodotti dalle parti non costituisce indice dell’autonomia dei negozi di compravendita e di leasing, ma rappresenta una mera esigenza di carattere pratico – in quanto nessuno degli atti inseriti nella sequenza procedimentale è idoneo, di per sé, ad acquisire autonoma rilevanza rispetto all’accordo trilaterale intercorso fra le parti. Si tratta, in sintesi, di una divisione documentale di carattere strettamente organizzativo, atteso che la partecipazione di ciascun soggetto all’operazione negoziale acquista una specifica rilevanza sotto il profilo funzionale: il documento finale, benché formalmente sottoscritto da società concedente e utilizzatore, racchiude e riassume in sé tutti gli atti precedentemente compiuti dalle parti, ivi compresi gli accordi raggiunti con il fornitore.
Di recente, alcuni Autori hanno proposto una innovativa chiave di lettura dell’orientamento in commento, sviluppandone alcuni profili: nell’ottica di valorizzare l’unitarietà teleologica dell’operazione, si è argomentato che l’adesione del finanziatore all’accordo è determinante per il soddisfacimento degli interessi delle parti; l’utilizzatore, a fortiori, non è soggetto “terzo” neppure in riferimento al rapporto fornitore–società concedente, ma è, a tutti gli effetti, parte contrattuale. Si osserva, peraltro, che «l’acquisto [del bene] non funge […] da mero presupposto della conseguente concessione in leasing, non essendo logicamente separabile dall’atto di concessione5». Il corollario dell’orientamento in esame è l’atipicità del leasing finanziario, in quanto contratto strutturalmente unitario con finalità di finanziamento: i negozi dei quali si pretende la connessione sono in realtà parte integrante di un medesimo disegno contrattuale, del quale ciascuno di essi costituisce una fase procedurale6.
La ricostruzione proposta da questa dottrina è stata oggetto di molteplici critiche7, soprattutto in relazione all’evidente difficoltà di individuare una
5 Cfr. IMBRENDA M., XXXXXXXX F., Leasing e lease back, in Tratt. Xxxxxxxxxxx, XX, 00, Xxxxxx, 0000.
6 Cfr. BUSBANI F., La natura del contratto di leasing e la disciplina applicabile nell’ipotesi di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, cit., pp. 274 ss.
7 Cfr. COLOMBO C., Operazioni economiche e collegamento negoziale, Padova, 1999, a parere del quale la struttura del contratto plurilaterale non è idonea a spiegare la complessità dell’operazione economica in esame e le relazioni che intercorrono tra le parti: «ridurre la complessità di queste relazioni contrattuali entro gli angusti limiti dell’unitarietà strutturale, attraverso la creazione di una sorta di
“uguaglianza di intenti”8 che possa accomunare i soggetti coinvolti nell’operazione negoziale. La comunione di scopo, infatti, costituisce tratto essenziale e ineliminabile del contratto plurilaterale9, che sembra tuttavia difettare nel caso della locazione finanziaria: è innegabile che l’interesse principale del fornitore risieda nell’allocazione dei propri prodotti sul mercato, essendo a contrario irrilevante la futura concessione in leasing del bene ad un soggetto terzo. Gli interessi della società concedente e dell’utilizzatore, invece, risultano perfettamente allineati lungo una direttrice comune, rintracciabile nella causa di finanziamento che ispira l’intero contratto: scopo dell’utilizzatore è ottenere la disponibilità ed il godimento della res da lui scelta senza dover investire la somma necessaria al suo acquisto; obiettivo dell’intermediario finanziario è realizzare un utile sul finanziamento concesso.
Un ulteriore profilo di criticità rispetto alla ricostruzione del leasing finanziario in termini di contratto unitario plurilaterale emerge qualora si appunti l’attenzione sul profilo causale del negozio. Larga parte della giurisprudenza di legittimità ha individuato nell’unicità di causa – da intendersi nell’accezione di causa in concreto,
xxxxxx, che non è né un contratto di scambio, né un contratto con comunione di scopo (o comunque con “uguaglianza di intenti”), rappresenti una semplificazione ingiustificata di una specifica realtà».
8 Cfr. COLOMBO C., Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit.
9 Di diverso avviso CHINDEMI D., Trilateralità del contratto di leasing e riduzione del contratto ad equità senza ricorrere all’applicazione dell’art. 1526 x.x., xxx., xx. 000 xx., x xxxxxx del quale la “comunione di scopo” costituisce il quid pluris caratterizzante una speciale categoria di contratti plurilaterali (di tipo associativo o con comunione di scopo, disciplinati dall’art. 1420 c.c.), i quali risultano ammessi in via generale dall’art. 1321 c.c. Partendo da tale assunto, l’Autore argomenta l’appartenenza del contratto di leasing (tanto nella forma di leasing operativo quanto di leasing finanziario) alla categoria dei contratti plurilaterali, adducendo una serie di elementi comprovanti tale tesi: fra questi, le molteplici obbligazioni che sorgono vicendevolmente tra le parti dell’operazione di leasing; la convergenza dell’interesse del fornitore e di quello dell’utilizzatore; la comunanza dello scopo perseguito dalle parti. Dello stesso avviso XXXXX N., Autonomia privata e causa di finanziamento, cit., pp. 193 ss., secondo il quale il tratto qualificante della categoria dei contratti plurilaterali non risiederebbe nella comunione di scopo, ma nella partecipazione di più parti, ognuna delle quali costituisce un autonomo centro di interesse. Tuttavia, l’interesse di ciascuno dei partecipanti può trovare soddisfazione solo per il tramite dell’adesione degli altri soggetti al contratto. Si profila, allora, una distinzione fra contratti plurilaterali c.d. “in senso proprio” (caratterizzati dalla comunione di scopo) e “contratti con più di due parti”: questi ultimi non costituiscono un’autonoma ed unitaria categoria, data la diversità e l’ampiezza delle fattispecie idonee a rientrarvi. A conclusione di tale ragionamento, l’Autore fa discendere come conseguenza la riconduzione del leasing finanziario nella categoria dei contratti trilaterali senza comunione di scopo: ciò in quanto, pur dovendo ammettere l’impossibilità di individuare uno scopo comune alle parti, appare innegabile che il raggiungimento della funzione propria del negozio richieda la partecipazione di tutti e tre i soggetti.
alla luce della più recente evoluzione giurisprudenziale10 – il tratto caratterizzante del contratto unitario plurilaterale (complesso o misto), che lo differenzia dai contratti c.d. collegati11 – i quali mantengono, viceversa, un’autonomia sotto il profilo causale, nonostante la convergenza verso «una unitaria e complessa operazione economica12». Il diverso atteggiarsi della causa fornisce, dunque, il reale criterio discretivo tra le fattispecie de quibus13, non risultando a tal fine soddisfacente un’indagine meramente formale in relazione alla documentazione prodotta (unicità ovvero pluralità dei documenti predisposti dalle parti) ovvero alla contestualità della stipulazione dei negozi. Esaminando i caratteri peculiari dell’operazione di leasing finanziario, risulta arduo sostenere la sussistenza di un’unica causa: benché non possa ignorarsi l’intima connessione esistente fra i contratti di compravendita e di leasing, non è dato rintracciare una unitarietà di causa.
Ulteriore rilievo critico attiene all’artificiosità della ricostruzione del negozio in termini di fattispecie a formazione progressiva, risultando poco verosimile che le trattative intercorrenti tra il fornitore ed il futuro utilizzatore costituiscano un accordo di per sé già vincolante e sospensivamente condizionato all’adesione di una terza parte (l’intermediario finanziario); al più, tali “contatti” possono ricondursi nell’ambito delle trattative precontrattuali e, come tali, essere fonte di responsabilità ex art. 1337
c.c. in caso di inadempimento del fornitore rispetto all’intesa raggiunta. Ulteriore
10 Cfr., ex multis, Cass. civ., 8 maggio 2006, n. 10490, pronuncia nella quale la “causa in concreto” è definita come «[…] funzione individuale del singolo specifico contratto posto in essere a prescindere dal relativo stereotipo astratto […].». L’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale sul tema ha indotto ad indagare il profilo causale del contratto non più in senso astratto quale funzione economico-sociale (tipizzata dal legislatore e dunque comune a tutti i contratti della medesima tipologia), ma in un’ottica “concreta”, quale finalità pratica del contratto concretamente posto in essere ed interesse che l’operazione negoziale è diretta a soddisfare. Sul punto, cfr. XXXXXX X., Diritto civile, vol. 3 - Il contratto, Milano, 2000, pp. 447 e 452.
11 Parte della dottrina, viceversa, attribuisce rilevanza alla volontà delle parti (elemento soggettivo) al fine di distinguere fra contratto unitario e più contratti autonomi teleologicamente orientati verso un fine comune; altra parte della dottrina, di converso, considera congiuntamente l’elemento soggettivo e l’elemento oggettivo della causa del contratto.
12 Cfr. XXXXXXX F., Diritto civile e commerciale, vol. II, 1, Padova, 1993, p. 188.
13 Della rilevanza dei concetti di “causa concreta” ed “operazione economica” al fine di distinguere le ipotesi di contratto unico e quelle di collegamento negoziale dà conto TRUBIANI F., Operazioni finanziarie concatenate tra unità e pluralità di negozi, in Il Corriere giuridico, 12, 2018, il quale rileva, peraltro, l’opportunità di attribuire «autonoma dignità concettuale» alla nozione di “operazione economica”.
conferma della posizione di terzietà del fornitore rispetto al contratto di financial leasing è, infine, l’assenza di specifiche obbligazioni contrattuali gravanti su quest’ultimo nei confronti del soggetto utilizzatore – dalla quale discende la problematica individuazione di strumenti di tutela diretta del lessee nelle ipotesi di inadempimento del fornitore.
Una conferma dell’erronea ricostruzione della fattispecie de qua in termini di contratto plurilaterale potrebbe trarsi dalla novella legislativa del 2017 (Legge Concorrenza): la normativa ha analiticamente disciplinato i rapporti fra intermediario finanziario e utilizzatore – con particolare riguardo alle ipotesi di inadempimento di quest’ultimo –, senza tuttavia riconoscere al lessee la possibilità di agire in via diretta nei confronti del fornitore rivelatosi inadempiente (facoltà che non potrebbe essergli preclusa se le parti avessero concluso un contratto unitario plurilaterale).
1.2 Trilateralità dell’operazione economica ed ipotesi di collegamento negoziale
I rilevati profili di criticità in ordine alla qualificazione della locazione finanziaria in termini di negozio unitario trilaterale hanno indotto gli interpreti a tentare una differente ricostruzione della struttura della fattispecie. Questa dottrina individua l’equivoco della tesi “unitaria” nell’aver confuso il piano strettamente economico dell’operazione con quello più squisitamente giuridico: la trilateralità dell’operazione di leasing finanziario (lato sensu) è innegabile sotto il profilo economico, in quanto le parti coinvolte intrecciano rapporti strettamente interconnessi e le relative obbligazioni, pur avendo fonte in rapporti contrattuali distinti, risultano teleologicamente orientate verso uno scopo comune. Il piano economico-finanziario, tuttavia, non può essere confuso con quello strettamente giuridico: spostando l’indagine su tale ultimo aspetto, è evidente che le parti non concludono un unico contratto – dal quale discendono obbligazioni incrociate e reciproche –, ma due distinti negozi, l’uno intercorrente tra il fornitore e la società concedente, il secondo stipulato dall’intermediario finanziario con l’utilizzatore del bene.
Sulla base di tali premesse relative alla struttura negoziale della locazione finanziaria, la prevalente dottrina riconduce la fattispecie all’istituto del collegamento
negoziale14: l’operazione di leasing si articola in due contratti, giuridicamente distinti ed autonomi sotto il profilo causale, ma funzionalmente collegati fra loro, in quanto teleologicamente orientati al raggiungimento di uno scopo comune a tutte le parti.
La complessità del fenomeno del collegamento negoziale fra contratti impone un breve excursus delle molteplici elaborazioni dottrinali in materia15, indagine propedeutica a vagliare la fondatezza dell’orientamento che riconduce la locazione finanziaria entro i confini dell’istituto de quo.
Il collegamento negoziale si sostanzia nella creazione di un legame fra due o più contratti che, pur mantenendo una loro autonomia sotto il profilo causale, risultano funzionalmente collegati l’uno all’altro: riprendendo una nota formulazione, «[…] il collegamento è stabilito dalle parti o dalla legge al fine di permettere il controllo dell’influenza delle vicende di un contratto sull’altro che, in quanto autonomi ed indipendenti, altrimenti sarebbero reciprocamente insensibili16». Il collegamento può dunque trovare fonte nella volontà delle parti (essendo tale potere manifestazione dell’autonomia contrattuale riconosciuta dall’ordinamento) ovvero nella legge: tale legame funzionale implica che le vicende riguardanti uno dei negozi si ripercuoteranno, di regola in via automatica, anche sull’altro. La costituzione di tale
14 Cfr. CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., pp. 282 ss.; XXXXX X., La qualificazione del leasing fra contratto plurilaterale ed “operazione giuridica”, in Studium juris, 2001.
15 Sterminata è la letteratura giuridica in materia di collegamento negoziale: senza pretesa di completezza si segnalano, ex multis, GIORGIANNI M., Negozi giuridici collegati, in Rivista italiana scienze giuridiche, 1937; XXXXXX U., In tema di collegamento funzionale fra contratti, in Giur. compl. xxxx. xxx., II, 1946, p. 328 ss.; XXXXXXXXX C., Xxxxxxx collegato, negozio illegale e ripetibilità del pagamento, in Temi, 1951, p. 154 ss.; XXXXXXXX A., Appunti in tema di negozi giuridici collegati, in Giustizia civile, I, 1954, p. 259 ss.; XXXXXXXXX P., In tema di negozi collegati, in Diritto e giurisprudenza, 1960, p. 273 ss.; XXXXXXX X., In tema di collegamento tra negozi giuridici, in Giustizia civile, I, 1971, p. 1537 ss.; SCHIZZEROTTO G., Il collegamento negoziale, Napoli, 1983; GASPERONI N., Collegamento e connessione tra negozi, in Rivista di diritto commerciale, I, 1955, pp. 357 ss.; SCOGNAMIGLIO X., voce Collegamento negoziale, in Enciclopedia del diritto, VII, Milano, 1960, pp. 375 ss.; DI XXXXX X., Collegamento negoziale e funzione complessa, in Rivista di diritto commerciale, 1977, pp. 279 ss.; XXXXXX X., XXXXXXXXX X., voce Contratti misti e contratti collegati, in Enc. giur. Xxxxxxxx, XX, Xxxx, 0000; XXXXXXX A., I contratti collegati, Milano, 1998; TROIANO P., Il collegamento contrattuale volontario, Roma, 1999; COLOMBO C., Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit.; LENER G., Profili del collegamento negoziale, Milano, 1999; CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., pp. 272 ss.
16 Cfr. CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., p. 274.
collegamento è perciò funzionale a connettere una molteplicità di contratti altrimenti indipendenti: la complessità dell’operazione voluta dalle parti può richiedere, infatti, la stipula di una pluralità di negozi, ciascuno dei quali isolatamente considerato sarebbe inidoneo a soddisfare l’interesse economico perseguito.
La dottrina ha elaborato tre differenti criteri per verificare la sussistenza del collegamento negoziale: il primo si fonda sulla ricostruzione (in via interpretativa) della volontà delle parti in merito alla creazione di tale legame funzionale (c.d. elemento soggettivo); un secondo parametro appunta l’attenzione su criteri di natura oggettiva, quali la connessione economica fra le prestazioni dedotte nel regolamento contrattuale e «l’esistenza di una finalità complessiva, consistente in un assetto globale e inscindibile che le parti hanno inteso raggiungere17», ritenendo che sia possibile desumere da tali elementi (a posteriori ed in via interpretativa) l’intenzione delle parti di connettere i negozi; su una posizione mediana si sono invece orientati quanti argomentano la rilevanza, ai fini di un corretto inquadramento giuridico, di entrambi gli elementi (soggettivo e oggettivo).
Nell’ambito del fenomeno del collegamento negoziale la dottrina ha poi operato alcune classificazioni, frutto di elaborate riflessioni in ordine alla genesi di tale “legame” ed agli affetti ad esso ricollegati (con particolare riguardo ad una eventuale fase “patologica”).
In primis, si è soliti distinguere tra collegamento “volontario o secondo la volontà delle parti” – espressione dell’autonomia contrattuale – e collegamento negoziale “necessario o tipico”, espressamente previsto dalla legge ed il cui fondamento andrebbe rintracciato nella natura giuridica dei contratti coinvolti (si pensi, ad esempio, al contratto di fideiussione rispetto al contratto nel quale ha fonte l’obbligazione principale garantita). Ulteriore distinzione prospettata è quella tra collegamento negoziale c.d. “genetico”18, che si realizza allorché «[…] l’azione di un negozio sull’altro si esercita nella fase formativa, nel momento genetico e non persiste
17 Cfr. XXXXXXXX X., I contratti collegati, in XXXX X. – BESSONE M. (a cura di), I contratti in generale, vol. 3 - I requisiti del contratto, Torino, 1991, p. 594.
18 La distinzione tra collegamento c.d. “genetico” e collegamento c.d. “funzionale” è censurata da CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., p. 278: l’Autore rileva che il “collegamento” che si manifesti nella sola fase genetica del negozio, senza riverberarsi poi sul piano degli effetti, non ha alcuna rilevanza sotto un profilo strettamente giuridico.
quando il negozio è venuto ad esistenza […]» (si pensi, ad esempio, al rapporto fra il preliminare ed il contratto definitivo) e collegamento c.d. “funzionale”, fattispecie che include le ipotesi in cui «[…] un negozio viene ad operare sullo svolgimento e sul funzionamento derivante dall’altro negozio […]19». Ancora, in ordine agli effetti che ne discendono, il collegamento si atteggia come “bilaterale” nell’ipotesi in cui il vizio che colpisce uno dei negozi inficia anche il contratto ad esso collegato – secondo il noto brocardo simul stabunt simul cadent –, ovvero collegamento “unilaterale”, qualora la patologia (genetica o funzionale) di uno dei negozi non si estende al contratto collegato.
La prevalente dottrina è concorde nel classificare l’operazione di financial leasing in termini di collegamento (volontario) funzionale ed unilaterale20 tra i contratti di compravendita e di locazione finanziaria: l’unitarietà economica si estrinseca, sul piano giuridico, nella stipula di due autonomi contratti, l’uno (di compravendita o appalto) tra fornitore e società concedente, l’altro (di locazione finanziaria) concluso dall’intermediario finanziario con l’utilizzatore del bene. I negozi de quibus, benché teleologicamente orientati al perseguimento di un risultato economico unitario, mantengono una propria autonomia sotto il profilo causale: la funzione del contratto di compravendita è precipuamente di scambio – trasferimento della proprietà o di altro diritto contro il pagamento di un prezzo; viceversa, la causa del contratto di locazione finanziaria è in prevalenza finanziaria (v. supra, cap. II, §§ 3.3). Difettano, in conclusione, tanto la «causa unitaria che abbraccia e fonda assieme i due rapporti21», quanto l’unicità del procedimento genetico dei contratti in esame. La configurazione del rapporto sussistente tra i contratti de quibus in termini di collegamento negoziale, inoltre, valorizza al meglio i singoli interessi perseguiti dalle parti, poiché queste ultime restano libere di “legare” i negozi sotto i soli profili che ritengano rilevanti per la produzione del risultato economico voluto22.
19 Cfr. GASPERONI N., Collegamento e connessione tra negozi, cit., p. 367.
20 L’unilateralità del collegamento negoziale in tema di locazione finanziaria importa che le vicende del contratto di fornitura (efficacia, validità etc.) si ripercuotono sul negozio di leasing, rimanendo invece preclusa una influenza di quest’ultimo sul contratto di compravendita.
21 Cfr. LUMINOSO A., I contratti tipici e atipici. Contratti di alienazione, di godimento, di credito, cit., pp. 375 ss.
22 Cfr. in tal senso IAMICELI P., Il leasing: inquadramento e fonti della disciplina, in XXXXX X. (a cura di), Trattato dei contratti, II, Cessione e uso dei beni, Milano, 2014, secondo il quale «[…] lo schema
La dottrina adduce a sostegno di tale interpretazione una serie di elementi: in primis, la maggior parte dei formulari standard contiene clausole nelle quali si esplicita che il contratto di compravendita costituisce presupposto indefettibile per la stipula del successivo contratto di leasing. Inoltre, le c.d. clausole di inversione del rischio traslano in capo all’utilizzatore tutti i rischi connessi al bene – che di regola gravano sull’acquirente della res, nel caso di specie la società di leasing23 – ed il relativo obbligo di consegna grava direttamente sul fornitore, esonerando così la società concedente. Questa dottrina sottolinea, infine, che l’utilizzatore, pur partecipando attivamente alla fase prodromica alla conclusione del contratto di fornitura – il lessee è certamente interessato a definire le condizioni alle quali verrà concluso il contratto, in quanto queste ultime si ripercuoteranno necessariamente sul futuro contratto di locazione finanziaria – non diviene in nessun caso parte formale del relativo accordo24. Non sono mancate, invero, voci critiche in ordine alla configurabilità di un collegamento negoziale tra i contratti di fornitura e di locazione finanziaria25: benché la dipendenza del contratto di leasing rispetto al primo negozio sia indiscussa, maggiore perplessità ha suscitato la possibilità che tale condizionamento operi a parti invertite. Nonostante la qualità di intermediario finanziario, al pari della successiva concessione in leasing del bene, siano circostanze note al fornitore, risulta arduo ritenere che quest’ultimo si determini alla conclusione del contratto di fornitura sulla base di tali elementi: l’interesse esclusivo del fornitore risiede, infatti, nell’allocazione
dei propri prodotti sul mercato.
contrattuale costruito sul solo collegamento negoziale offre alle parti la possibilità di gestire separatamente i rapporti contrattuali attenendosi alle rispettive discipline e seguendo le logiche imposte dalle diverse funzioni perseguite da ciascun contratto. Al tempo stesso, consente di assegnare rilevanza giuridica alle sole interdipendenze che realmente condizionano l’attuazione dell’operazione economica».
23 Il problema della traslazione dei rischi connessi al bene in capo al soggetto utilizzatore è analizzato
supra, cap. II, §§ 2.2.
24 Cfr. IMBRENDA M., Il leasing finanziario: trilateralità funzionale ed equilibrio del rapporto, cit., p. 69.
00 Xxx. XX XXXX X., Xx contratto di leasing; cit.; ZUCCONI XXXXX XXXXXXX E., Collegamento negoziale e efficacia della clausola compromissoria: il leasing e altre storie, in Rivista trimestrale diritto e procedura civile, 2000.
1.3 Le varianti introdotte dalla Suprema Corte: dalla causa concreta “unitaria” al collegamento negoziale “atipico”
L’individuazione dei profili strutturali del leasing finanziario è stata oggetto di un accesso confronto anche in giurisprudenza: in particolare, i giudici di legittimità hanno respinto (con poche eccezioni26) la ricostruzione della fattispecie in termini di contratto unitario plurilaterale per abbracciare la tesi del collegamento negoziale27.
Sin dalle “pronunce gemelle” del 1989, la Suprema Corte afferma che
«l’operazione di leasing, pur non rientrando tra i contratti plurilaterali (art. 1420, 1446 c.c.), perché difetta il conseguimento di uno scopo comune che costituisce un aspetto essenziale della categoria, è caratterizzata da una duplicità di contratti: la vendita tra venditore e concedente e il leasing tra concedente ed utilizzatore». In tale sede, tuttavia, la Corte ha escluso la sussistenza di un collegamento negoziale tra i due contratti, assumendo che «il fornitore non si determina alla vendita in funzione del successivo leasing. Si è, invece, più semplicemente in presenza di due contratti, conclusi per lo più mediante moduli o formulari. La relazione tra loro appare rilevante sotto il profilo economico […]».
Appena qualche anno più tardi, la Corte di Cassazione muta orientamento, accogliendo la ricostruzione dell’operazione de qua in termini di collegamento negoziale28 ed inaugurando così un orientamento destinato a consolidarsi, seppur con sfaccettature parzialmente diverse.
Difatti, a meno di dieci anni dal c.d. “sestetto binario” del 1989 – che aveva escluso con forza la sussistenza di un collegamento negoziale – la Suprema Corte torna nuovamente sul tema: «In forza del collegamento negoziale tra leasing in vendita, nonché in ragione dell’argomento tratto dall’accostamento dell’utilizzatore al
26 La ricostruzione della locazione finanziaria in termini di contratto unitario plurilaterale è stata sostenuta, fra le altre, da Cass. civ., 15 maggio 1991, n. 5571; Cass. civ., 11 luglio 1995, n. 7595; Cass. civ., 30 maggio 1995, n. 6076; Cass. civ., sez. III, 16 maggio 1997, n. 4367; Cass. civ., 26 gennaio 2000, n. 854.
27 Ex multis, Cass civ., 2 novembre 1998, n. 10926; Cass. civ., 13 dicembre 2000, n. 15762; Cass. civ.,
6 giugno 2002, n. 8222; Cass. civ., 29 aprile 2004, n. 8218; Cass. civ, 25 maggio 2004, n. 10032; Cass.
civ., 1 ottobre 2004, n. 19657; Cass. civ., 30 marzo 2005, n. 6728.
28 Cass. civ., 2 novembre 1998, n. 10926, nella quale si legge: «[…] nell’operazione di leasing finanziario, che non dà luogo ad un unico contratto plurilaterale, ma realizza una figura di collegamento negoziale tra contratto di leasing e contratto di fornitura […]».
mandante, […] l’utilizzatore sprovvisto di azione verso il concedente nell’ipotesi di mancata consegna può agire direttamente nei confronti del fornitore […]29». La sentenza in commento, dopo aver individuato apertamente l’esistenza del collegamento negoziale, introduce un ulteriore elemento di novità, accostando la figura dell’utilizzatore a quella del mandante. Lo sforzo interpretativo dei giudici, finalizzato ad estendere al leasing finanziario la disciplina codicistica del mandato, si spiega alla luce del dibattito relativo alla proponibilità da parte dell’utilizzatore di un’azione diretta avverso il fornitore resosi inadempiente. Il delicato problema è strettamente connesso alle scelte che l’interprete compie in merito alla configurazione della struttura giuridica dell’operazione negoziale: della questione di darà conto più avanti (v. infra, § 2).
Al fine di supportare la ricostruzione del leasing finanziario in termini di collegamento negoziale fra due distinti negozi, la giurisprudenza di legittimità si è servita di una serie di argomentazioni: in primis, il peculiare processo di formazione della fattispecie, che richiede la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti nell’operazione economica, seppur in tempi diversi. A questa circostanza si aggiunge, da un lato, il contenuto del contratto di compravendita – che deve essere rispondente alle scelte effettuate dall’utilizzatore in ordine alla tipologia e alle caratteristiche della res; dall’altro, l’inserimento, frequente nei formulari standard, di clausole c.d. “di interconnessione”, volte ad esplicitare il legame tra i contratti de quibus. Da ultimo, sotto un profilo sistematico, sono indicative dell’esistenza del collegamento negoziale tanto l’integrale traslazione dei rischi inerenti al bene in capo all’utilizzatore30 quanto la circostanza che gravi sul fornitore l’obbligo di consegnare il bene.
La disamina delle pronunce di legittimità consente di individuare le molteplici varianti elaborate dalla giurisprudenza sul tema.
Una prima interpretazione, pur individuando la sussistenza di un collegamento funzionale tra il contratto di fornitura e quello di leasing, riconosce l’autonomia dei negozi sotto il profilo causale i quali, rimangono giuridicamente distinti, benché finalizzati al raggiungimento di uno scopo economico comune alle parti.
29 Cass. civ., 2 novembre 1998, n. 10926.
30 In questi termini argomenta Cass. civ., 2 novembre 1998, n. 10926, poi seguita da Cass. civ., 13 dicembre 2000, n. 15762 e Cass. civ., 1 ottobre 2004, n. 19657.
Una ricostruzione parzialmente diversa è proposta in una pronuncia del 2006, nella quale i giudici affermano che «[…] il leasing finanziario realizza un’ipotesi di collegamento negoziale tra contratto di leasing e contratto di fornitura, quest’ultimo venendo dalla società di leasing concluso allo scopo, noto al fornitore, di soddisfare l’interesse del futuro utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa. È proprio l’interesse al godimento da parte dell’utilizzatore della cosa (che il finanziatore al medesimo procura presso il fornitore) a venire in tale ipotesi essenzialmente in rilievo, e che l’operazione negoziale in questione è sostanzialmente volta a realizzare, costituendone pertanto la causa concreta, con specifica ed autonoma rilevanza rispetto a quella – parziale – dei singoli contratti, di questi ultimi connotando la reciproca interdipendenza (sì che le vicende dell’uno si ripercuotono sull’altro, condizionandone la validità e l’efficacia) nella pur persistente individualità propria di ciascun tipo negoziale […]31».
La riconosciuta «autonoma rilevanza» di una causa concreta unitaria e comune ai contratti di fornitura e di leasing ha una portata rivoluzionaria, che non è sfuggita ai commentatori più attenti. Parte della dottrina32 ha accolto con favore la prospettazione offerta dalla Corte di Cassazione, avallando l’esistenza di un contratto aggiuntivo (c.d. “sovra-contratto”) che andrebbe a “sovrapporsi” ai negozi di fornitura e di leasing: la causa del contratto de quo, individuata dalla Suprema Corte nell’interesse dell’utilizzatore al godimento della res, costituirebbe la causa concreta unica di entrambi i negozi33. Uniformandosi ad un orientamento ormai consolidato, i giudici
31 Cass. civ., sez. III, 27 luglio 2006, n. 17145. Il medesimo orientamento è stato poi ribadito da Cass. civ., 17 maggio 2010, n. 11974, secondo la quale «Il collegamento fra negozi può essere, però, ravvisato sempre che ricorrano sia il requisito oggettivo, costituito dal legame teleologico tra i negozi volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario; sia il requisito soggettivo, che si ravvisa nell’intento comune delle parti le quali, nell’ambito della loro autonomia contrattuale, hanno voluto non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il collegamento ed il coordinamento tra essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale».
32 XXXXXXXXX E., Causa unitaria nell’ambito dell’operazione di leasing finanziario e tutela dell’utilizzatore: una svolta della Cassazione?, in I Contratti, 4, 2007.
33 Siffatta posizione era già stata espressa da BRAVO F., L’unicità di regolamento nel collegamento negoziale: la “sovrapposizione” contrattuale, in I Contratti, 2, 2004, pp. 127 ss., il quale, a proposito dei contratti di fornitura e di leasing, scrive: «Ognuno di essi potrebbe costituire, invece, ciascuno di quei singoli contratti che, tra loro coordinati, compongono un ulteriore ed unico «contratto», inteso come un «sovra-contratto». Quest’ultimo verrebbe a sostanziarsi nell’«unitario regolamento degli
contrappongono la funzione concretamente perseguita dal negozio al profilo causale astrattamente considerato dalla norma: quest’ultimo individua la funzione economico- sociale delineata dal legislatore, identica per tutti i contratti appartenenti al modello astratto; la causa concreta, viceversa, si sostanzia nel risultato economico complessivo che le parti mirano ad ottenere mediante la stipula del contratto.
La dottrina rileva poi che l’applicabilità ai negozi collegati delle disposizioni dettate per ciascuno dei tipi contrattuali non è incompatibile con quanto statuito dalla pronuncia del 2006: ogni contratto mantiene, infatti, la propria autonomia ed autosufficienza sotto il profilo giuridico, essendo completo di tutti i requisiti previsti dall’art. 1325 c.c. La disciplina dei singoli tipi contrattuali dovrà essere derogata solo nelle ipotesi in cui la causa del “sovra-contratto”, individuata dalla Suprema Corte nell’interesse dell’utilizzatore al godimento della res, risulti con questa incompatibile. Altra parte della dottrina si è mostrata, invece, fortemente critica: è stato osservato che predicare l’esistenza di una causa unitaria ulteriore, benché distinta e sovrapposta a quelle dei singoli negozi coinvolti nell’operazione, rischia di interferire con la struttura stessa della locazione finanziaria, in quanto l’autonomia costituisce il discrimen tra collegamento negoziale e contratto plurilaterale (v. supra, §§ 1.1). Si argomenta, a fortiori, che quanti sostengono l’esistenza di un contratto distinto e sovrapposto ai negozi di fornitura e di leasing confondono la nozione tecnica di causa
– assetto di interessi trasfuso dai contraenti nel regolamento contrattuale – con lo scopo economico dell’operazione negoziale. Peraltro, pur volendo aderire alla tesi in esame, difficilmente si potrebbe argomentare che l’unitaria causa dell’operazione di financial leasing possa rintracciarsi nell’interesse dell’utilizzatore al godimento del bene: benché sia consapevole della successiva concessione in leasing, è indubbio che il
interessi perseguiti», volto a realizzare un’unica complessa operazione economica (rectius, giuridico- economica). In altre parole, i singoli contratti collegati conservano l’autonomia, l’individualità e l’autosufficienza sotto il profilo strutturale, essendo dotati di tutti i requisiti propri del contratto, enunciati all’art. 1325 Codice civile. Tali contratti, però, vengono al contempo in rilievo sotto altro profilo, perché, in forza del loro collegamento, vengono a costituire un ulteriore contratto complesso che […] potrebbe essere definito come un contratto «composto», inteso come «sovra-contratto», dotato di una propria autonoma struttura («sovra-struttura contrattuale»). […] Con riguardo alla «causa», invece, v’è da dire che il collegamento funzionale tra le singole ed autonome cause presenti in ciascuno dei contratti collegati, delinea una causa unitaria, non mista ma composta, una sorta di «sovra-causa», in grado di emergere come ragione pratica dell’intera ed unitaria operazione giuridico-economica perseguita dalle parti».
fornitore concluda il contratto di compravendita al solo scopo di allocare i propri prodotti sul mercato, risultando per lui irrilevante il futuro utilizzo del bene.
La presenza di una causa unitaria ulteriore è stata riconosciuta implicitamente dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione34, seppure al fine di escludere la sussistenza del collegamento negoziale in tema di locazione finanziaria. L’arresto giurisprudenziale in commento ha escluso che il contratto di fornitura e quello di leasing (indubbiamente unitari sotto il profilo economico-finanziario) possano essere legati da collegamento negoziale “tecnico”, stante l’impossibilità di individuare una comune volontà delle parti rispetto al raggiungimento di un determinato assetto di interessi (c.d. requisito soggettivo del collegamento negoziale). A tal proposito, i giudici argomentano che «È pur vero che questi contratti sono legati da un nesso obiettivo (economico o teleologico), ma quel che manca, perché possa ravvisarsi il collegamento tecnico, è il nesso soggettivo, ossia l’intenzione delle parti di collegare i vari negozi in uno scopo comune. Non si può dire, infatti, che il fornitore si determini alla vendita in funzione della circostanza che il bene verrà concesso in locazione dal compratore-concedente all’utilizzatore-locatario».
La Corte prosegue il ragionamento rilevando che l’interesse del fornitore si concreta unicamente nella commercializzazione dei propri prodotti: tant’è che, una volta stipulato il contratto di fornitura con la società di leasing, quest’ultimo è totalmente disinteressato alle successive vicende della res. V’è certamente la scientia del fornitore in relazione all’operazione di locazione finanziaria complessivamente considerata; manca, tuttavia, una vera e propria voluntas. Non vale a mutare tale considerazione neppure la circostanza che il fornitore concordi direttamente con l’utilizzatore (e non con la società di leasing) le condizioni di vendita del bene, che l’intermediario finanziario concederà in locazione al lessee in un momento successivo: da tali valutazioni si evince che i tre soggetti coinvolti nell’operazione economica non condividono il medesimo interesse. A contrario, i giudici riconducono la locazione finanziaria nell’ipotesi di un collegamento negoziale “atecnico”35, privo del c.d.
34 Cass. civ., sez. un., 5 ottobre 2015, n. 19785.
35 La Suprema Corte non precisa, tuttavia, se il riscontrato collegamento negoziale “atecnico” sia ravvisabile per il solo contratto di locazione finanziaria ovvero possa trovare applicazione in altre fattispecie negoziali.
elemento soggettivo36: al più, potrà ravvisarsi una dipendenza economica tra i due contratti (nesso oggettivo). L’atecnicità del collegamento implica, a fortiori, l’inapplicabilità alla locazione finanziaria del principio simul stabunt simul cadent.
Parte della dottrina ha criticato tale impostazione, partendo dall’assunto che il
c.d. elemento soggettivo del collegamento negoziale – ovverosia la volontà dei paciscenti di perseguire un comune assetto di interessi – non vada individuato nella presenza di una causa unitaria ulteriore rispetto a quella dei singoli contratti. L’intento delle parti di coordinare negozi giuridicamente distinti ed autonomi è invero finalizzata a produrre «[…] sul piano degli effetti, determinate interconnessioni fra gli stessi necessarie per il raggiungimento di un risultato finale, il quale, lungi dal rappresentare la causa concreta dell’intera operazione verso cui tutti gli interessati convergono, si pone, invece, come la finalizzazione ultima dello schema negoziale […]37».
La questione rimane peraltro aperta anche a seguito della novella legislativa di cui alla Legge Concorrenza del 2017: come si argomenterà in maniera più articolata infra (§ 3), la normativa de qua lascia insoluti diversi snodi problematici. La definizione di locazione finanziaria di cui all’art. 1, comma 136, delinea analiticamente il rapporto tra intermediario finanziario ed utilizzatore – in particolare sotto il profilo della ripartizione dei rischi – ma omette di specificare il ruolo del fornitore nella vicenda negoziale. La norma, che pure lascia intendere che la fattispecie presupponga la partecipazione di un terzo soggetto («l’intermediario finanziario […] si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene […] lo fa mettere a disposizione […]», non ne precisa ruolo, poteri ovvero responsabilità. Sarebbe stato auspicabile che il legislatore prendesse posizione sulla controversa questione della sussistenza di un collegamento negoziale fra il contratto di locazione finanziaria ed il contratto di fornitura, stante l’incertezza creatasi a seguito della pronuncia a Sezioni Unite del 2015.
Altra questione nodale che il legislatore ha omesso di affrontare attiene agli strumenti di tutela azionabili dall’utilizzatore nei confronti del fornitore che si renda inadempiente: benché l’arresto giurisprudenziale della Suprema Corte nel 2015 abbia
36 Le osservazioni della Suprema Corte costituiscono, in realtà, il presupposto di un più ampio ragionamento, volto ad individuare il corretto mezzo di tutela dell’utilizzatore nelle ipotesi di inadempimento del fornitore (di cui si dirà più approfonditamente infra, § 2).
37 Cfr. VITI V., La locazione finanziaria tra tipicità legale e sottotipi, cit., p. 47.
messo ordine rispetto al quadro dei rimedi ipotizzabili, l’apparato di tutele rimane ancora fragile e, talvolta, privo di effettività38 (v. infra, § 2).
2. Inadempimento del fornitore del bene: la controversa ammissibilità di una tutela diretta a favore del xxxxxx
La disamina del dibattito dottrinale e giurisprudenziale inerente ai profili strutturali della locazione finanziaria (del quale si è dato conto supra) risulta funzionale al corretto inquadramento del problema della tutela dell’utilizzatore nei confronti del fornitore inadempiente.
I formulari standard predisposti dalle società operanti nel settore sono soliti prevedere clausole che traslano i rischi inerenti al bene (vizi, inidoneità all’uso, perimento, mancata o ritardata consegna, evizione etc.) in capo al soggetto utilizzatore: tale prassi (della quale si è dato conto supra, cap. II, §§ 2.2), avallata dalla giurisprudenza di legittimità – che aveva riconosciuto la validità di siffatte pattuizioni
–, ha di recente ricevuto il “sigillo” del legislatore il quale, con l’introduzione nel 2017 della Legge Concorrenza, ha disposto espressamente che l’utilizzatore «assume tutti i rischi [relativi alla res], anche di perimento39». La c.d. inversione del rischio pone il problema della tutela del lessee nelle ipotesi in cui le vicende “anomale” legate al bene, pur astrattamente idonee a legittimare la risoluzione del contratto in considerazione della loro gravità (si pensi all’ipotesi di mancata consegna), risultino imputabili ad un inadempimento del fornitore, soggetto terzo rispetto al negozio di locazione finanziaria. In assenza di una espressa traslazione del rischio dalla società di leasing in capo al soggetto utilizzatore, il tema resterebbe assorbito40: quest’ultimo, infatti, potrebbe agire ex art. 1463 c.c. per ottenere la risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità della prestazione, in considerazione della speculare estinzione – per causa a lei non imputabile, ai sensi dell’art. 1256 c.c. – dell’obbligazione gravante sulla concedente di concedergli il bene in godimento.
38 Il punto sarà oggetto di specifico approfondimento più avanti (v. infra, § 2).
39 Art. 1, comma 136, Legge Concorrenza 2017.
40 Cfr. SEMPRINI A., Tutela dell’utilizzatore nel leasing finanziario: nuovi profili in tema di buona fede integrativa e giustizia contrattuale, cit., p. 393.