Contratto preliminare – mancanza certificati agibilità – risoluzione
Rivista scientifica di Diritto Processuale Civile
ISSN 2281-8693
Pubblicazione del 9.3.2018
La Nuova Procedura Civile, 2, 2018
Editrice
Contratto preliminare – mancanza certificati agibilità – risoluzione
La mancata consegna dei certificati di abitabilità o agibilità e conformità alla concessione edilizia giustifica la risoluzione del contratto preliminare di compravendita per inadempimento di non scarsa importanza imputabile al promittente venditore, avendo l'acquirente interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico sociale e a soddisfare i bisogni che inducono all'acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene, per cui i predetti certificati devono ritenersi essenziali.
Tribunale di Gela, sentenza del 16.02.2018
…omissis…
I) Preliminarmente si rileva che in un contratto preliminare di compravendita, la clausola che prevede che il promissario acquirente acquisti per sé o per persona da nominare, può comportare la configurabilità sia di una cessione del contratto ai sensi degli art. 1406 ss c.c., sia la configurabilità di un contratto per persona da nominare ex art. 1401 c.c. Nell'un caso o nell'altro il terzo subentra nel contratto, acquista i diritti ed assume gli obblighi già facenti capo al contraente originario.
Il contratto intercorso tra S.E., odierna attrice, e G.E. non si inquadra né nell'uno né nell'altro schema, posto che non si è verificata una sostituzione della parte (la S. al posto della G.) nell'originario preliminare di compravendita del 21.03.2002, stipulato fra la G. ed il D.S..
E' appena il caso di rammentare che nella cessione, il cessionario si sostituisce al cedente nell'originario rapporto che questi aveva con il contraente ceduto.
Che il contratto del 14.11.2003 non possa essere considerato come una "semplice" cessione dalla Gd dei diritti e degli obblighi scaturenti dal preliminare stipulato dalla Gdd., emerge sia dalla lettura dello stesso contratto, ovvero dalla interpretazione letterale di esso, che dal comportamento posto in essere dalle parti.
Riprova ne è che la ddd nella sua qualità di parte del preliminare stipulato con il D.S., lo ha citato in giudizio, avanti questo Tribunale (R.G. 1286/2010), ed esercitando il diritto di recesso che da esso discendeva, ha chiesto ed ottenuto l'emissione di una sentenza (N. 541/2013) che ha condannato il D.S. a corrispondere in suo favore il doppio della caparra versata, nonché la restituzione degli altri acconti ricevuti!!
Pertanto il contratto stipulato fra l'odierna attrice e la convenuta G. si configura come un distinto e autonomo contratto preliminare, in forza del quale la G. si è obbligata a trasferire alla S. l'immobile in oggetto, di proprietà di un terzo, il D.S..
II) Ciò posto si osserva, altresì, che oggetto del contratto preliminare di compravendita dedotto in giudizio è un immobile costruito abusivamente, e tale circostanza veniva espressamente dichiarata dalle parti.
Da ultimo, nelle sentenze più recenti (n. 10297/2017; 9318/2016) la Suprema Corte ha ribadito che: "In forza dell'interpretazione di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, la sanzione di nullità prevista dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria, trova applicazione nei soli contratti ad effetti traslativi e non anche con riguardo ai contratti con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita, come si desume dal tenore letterale, nonché dalla circostanza che, successivamente al contratto preliminare, può intervenire la concessione degli abusi edilizi commessi o essere prodotta la dichiarazione prevista dalla stessa norma, ove si tratti di immobili costruiti anteriormente al 1 settembre 1967. Ne consegue che, anche nel caso in cui il preliminare abbia ad oggetto un immobile privo della concessione edificatoria, si ritiene costituito tra le parti un valido vincolo giuridico (Cass. 19 dicembre 2013, n. 28456; Cass. 18 luglio 2011 n. 15734; Cass. 11 luglio 2005 n.
14489)".
Costituisce circostanza pacifica ed incontestata fra le parti, per come anche accertato e dichiarato nella Sentenza n. 541/2013 resa il 3.10.2013 dal Tribunale di Gela, in persona del Giudice monocratico, Dott. Sdd nel procedimento instaurato d nei confronti del Dd il bene oggetto del preliminare non possa essere sanato.
Discende da ciò che il preliminare di compravendita debba essere dichiarato risolto per l'inadempimento cui si è resa responsabile la promittente venditrice che aveva l'obbligo di rendere possibile la prestazione dedotta nel contratto.
Invero di nessun pregio giuridico è l'argomentazione difensiva della convenuta, allorché sostiene di non essersi resa inadempiente in quanto l'obbligo di sanare l'immobile era stato assunto unicamente dal convenuto D.S.F., atteso che, al di là dell'obbligazione da questi assunta, "La mancata consegna dei certificati di abitabilità o agibilità e conformità alla concessione edilizia giustifica la risoluzione del contratto preliminare di compravendita per inadempimento di non scarsa importanza imputabile al promittente venditore, avendo l'acquirente interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico sociale e a soddisfare i bisogni che inducono all'acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene, per cui i predetti certificati devono ritenersi essenziali" (Cass. 6 luglio 2011 n. 14899).
E' appena il caso di rimarcare che ogni contratto, anche il preliminare, deve avere un oggetto possibile, lecito, determinato o determinabile (artt. 1346 e 1418 comma 2 c.c.), oggetto "inteso come contenuto del contratto fissato dalle parti (art. 1233 c.c.), come vicenda cui lo stesso è finalizzato (art. 1376 c.c.) e come bene che le parti intendono trasferire" (Xxxx. N. 4870/1983).
In conseguenza di ciò la dddd. è tenuta a restituire all'attrice l'importo di Euro 30.000,00 ricevuto a titolo di caparra, oltre interessi dalla data di corresponsione (14.11.2003) a quella di effettiva restituzione.
III) Nel contratto dedotto in giudizio, le parti avevano espressamente stabilito a carico di quella che si fosse resa inadempiente il pagamento di una penale di Euro 30.000,00.
La norma che viene ad essere applicata al caso in specie è quella relativa alla clausola penale di cui all'art. 1382 c.c., che recita: "la clausola, con cui si conviene che, in caso di inadempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione, ha l'effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore.
La penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno".
A parte attrice, a fronte dell'inadempimento della convenuta, spetta l'ulteriore somma contrattualmente pattuita.
Inconferenti allora si rivelano essere le difese della convenuta G. allorquando eccepisce che l'attrice avrebbe dovuto esercitate il diritto di recesso di cui all'art. 1385 c.c., posto che detta norma regola il regime restitutorio della caparra confirmatoria.
IV) Non può trovare accoglimento la domanda di parte attrice di condanna del convenuto al pagamento delle migliorie e delle plusvalenze, che assume avere apportato all'immobile.
Posto che secondo costante orientamento giurisprudenziale il rapporto che il promissario acquirente ha con la cosa oggetto della promessa di vendita va qualificato come detenzione (Cass. N. 7155/17; 1296/10; 9896/10) e non come possesso, non sono applicabili le norme di tutela del possesso di buona fede e non è neppure applicabile la norma dell'art. 1150 c.c. che attribuisce al possessore, all'atto della restituzione della cosa, il diritto all'indennità per i miglioramenti recati alla cosa stessa (Cass. 17245/10; 6489/11). Esse, peraltro, non risultano provate.
Va accolta, invece, la richiesta di restituzione della somma di Euro 2.000,00 corrisposta al ddd.. Circostanza quest'ultima confermata dal convenuto D.S. in sede di interrogatorio formale.
V) Il convenuto d svolgendo domanda riconvenzionale, ha chiesto all'adito giudice di dichiarare la proprietà dell'immobile oggetto del contratto, la condanna di parte attrice alla restituzione in suo favore del bene e la condanna alla corresponsione di una indennità pari al valore locativo del bene, quantificata in Euro 38.500,00.
Le domande avanzate dal convenuto possono trovare accoglimento limitatamente a quanto di ragione.
Non è possibile all'adito giudice accertare e dichiarare la titolarità del diritto di proprietà in capo al convenuto, stante la mancanza in atti di prove in tal senso idonee (non è sufficiente la semplice nota di trascrizione, dalla quale, peraltro, si evincerebbe la non esclusiva proprietà!!).
Peraltro la titolarità della proprietà in capo al convenuto non è in contestazione, come non è in contestazione che la detenzione qualificata di esso sia stata concessa dal D.S. alla G. e da questa (con il consenso del D.S.) alla convenuta, sulla base di due titoli negoziali, sicché può senz'altro trovare accoglimento la domanda di restituzione dell'immobile al convenuto D.S.F..
Secondo costante insegnamento della Suprema Corte (cfr. n. 14135/2005 che richiama n. 13605/00): "l'azione di rivendicazione e quella di restituzione, pur tendendo al medesimo risultato pratico del recupero della materiale disponibilità del bene, hanno natura e presupposti diversi: con la prima di carattere reale, l'attore assume di essere proprietario del bene e, non essendone in possesso, agisce contro chiunque di fatto ne disponga onde conseguirne nuovamente il possesso, previo riconoscimento del suo diritto di proprietà; con la seconda, di natura personale, l'attore non mira al riconoscimento di tale diritto, del quale non deve, pertanto, fornire la prova, ma solo ad ottenere la riconsegna del bene stesso, e, quindi, può limitarsi alla dimostrazione dell'avvenuta consegna in base ad un tiitolo e del successivo venir meno di questo per qualsiasi causa, o ad allegare l'insussistenza "ab origine" di qualsiasi titolo".
Non così per la domanda di condanna al pagamento dell'indennità di occupazione.
Secondo la giurisprudenza sopra richiamata (sub. IV) nel caso di preliminare di vendita immobiliare con consegna del bene prima del contratto definitivo, si realizza un collegamento tra il preliminare e un contratto di comodato in forza del quale il promissario acquirente acquista la disponibilità dell'immobile.
Ovvero il promissario acquirente detiene in forza di un titolo che ne assicura il godimento gratuito (art. 1803 c.c.), sicché, fintanto che egli non viene richiesto della riconsegna del bene,
non può essere chiamato a corrispondere i frutti percepiti.
Si rileva, altresì, che se da un canto l'istruttoria consente di ritenere provato l'utilizzo dell'immobile da parte dell'attrice, dall'altro il convenuto non ha fornito prova del pregiudizio subito a causa della perdita di disponibilità del bene (cfr. Xxxxx xx Xxxxxxx xx Xxxxxxx, xxx. XX, 00 gennaio 2009: "il riconoscimento dell'indennità per abusiva occupazione di un immobile di proprietà è subordinata alla prova che l'attore fornisca del pregiudizio subito a causa della perdita di disponibilità del bene"; in senso ancora più esplicito, cfr anche Cass. n. 378/2005 "il danno da occupazione abusiva di immobile non può ritenersi sussistente in re ipsa e coincidente con l'evento, che è viceversa un elemento del fatto produttivo del danno, ma ai sensi degli artt. 1223 e 2056 c.c., trattasi pur sempre di un danno-conseguenza, sicché il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di aver subito un'effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto ad esempio locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero aver perso l'occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli".
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Il Tribunale di Gela, definitivamente pronunciando, ogni altra contraria domanda, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:
1- accoglie la domanda formulata da parte attrice e per l'effetto dichiara risolto il contratto preliminare del 14.11.2003 per l'inadempimento di xxx.;
2- condanna xxx a pagare in favore xxx somma di Euro 30.000,00, oltre interessi legali dal versamento (14.11.2003) al soddisfo;
3- condanna xxxx., a titolo di penale, la somma di Euro 30.000,00;
4- condanna X.xxx di Euro 2.000,00 oltre interessi legali dalla richiesta (xx) al soddisfo; 5- dispone che S.E. restituisca xxx sito in G., c.da M., in Catasto al Foglio xxx
6- condanna G.E. a rifondere a S.E. le spese di lite che si liquidano in complessive Euro. 5.180,43, di cui 680,43 per spese vive, Euro. 4.500,00 per onorari, oltre Spese generali, iva e cpa, come per legge.
Compensa le spese di lite fra S.E. e D.S.F.. Così deciso in Gela, il 16 febbraio 2018.
Depositata in Cancelleria il 16 febbraio 2018.