SEZIONE IV
SEZIONE IV
DELLA FORMA DEL CONTRATTO
1350. Atti che devono farsi per iscritto
[1] Devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata, sotto pena di nullità:
1) i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili;
2) i contratti che costituiscono, modificano o trasferiscono il diritto di usufrutto su beni immobili, il diritto di superficie, il diritto del concedente e dell’enfiteuta;
3) i contratti che costituiscono la comunione di diritti indicati dai numeri precedenti;
4) i contratti che costituiscono o modificano le servitù prediali, il diritto di uso su beni immobili e il diritto di abitazione;
5) gli atti di rinunzia ai diritti indicati dai numeri precedenti;
6) i contratti di affrancazione del fondo enfiteutico;
7) i contratti di anticresi;
8) i contratti di locazione di beni immobili per una durata superiore a nove anni;
9) i contratti di società o di associazione con i quali si conferisce il godi- mento di beni immobili o di altri diritti reali immobiliari per un tempo ecce- dente i nove anni o per un tempo indeterminato;
10) gli atti che costituiscono rendite perpetue o vitalizie, salve le disposi- zioni relative alle rendite dello Stato;
11) gli atti di divisione di beni immobili e di altri diritti reali immobiliari;
12) le transazioni che hanno per oggetto controversie relative ai rapporti giuridici menzionati nei numeri precedenti;
13) gli altri atti specialmente indicati dalla legge.
SOMMARIO: I. Il termine “forma” in generale - II. Il principio generale di libertà delle forme e la tassatività delle forme solenni - III. Ratio e rationes del formalismo - IV. La forma come requisito strutturale del contratto - V. Sanatorie e temperamenti al formalismo -
VI. (Segue) Equipollenti della sottoscrizione - VII. Estensione del requisito: elementi essenziali e non essenziali - VIII. La relatio nei negozi formali - IX. La forma dei negozi preparatori - X. La forma dei negozi revocatori - XI. Modalità espressive ammesse; forma “espressa” e “letterale” - XII. Neoformalismo negoziale - XIII. Casistica.
I. Il termine “forma” in generale
Il termine “forma” (ed i suoi derivati: formalità, formalismo ecc.) non è esclusiva- 1 mente giuridico: non individua, insomma, un “concetto giuridico puro”; al contrario, esso appartiene anche al linguaggio comune oltre che a tutte le scienze e le tecniche,
alla filosofia, all’estetica, alla religione, alla linguistica, alla logica, seppure con diversi e talora contrastanti significati [GIORGIANNI (21), 999].
2 Nell’uso quotidiano il termine indica solitamente l’aspetto esteriore con il quale un oggetto si presenta alla vista, il rapporto (la reciproca disposizione spaziale) degli ele- menti costitutivi di un oggetto, l’insieme di linee e di piani che ne segnano il contorno; ovvero l’apparenza, la veste esteriore di un oggetto o di un concetto (come elemento in qualche modo contrapposto alla sostanza), le modalità di un accadimento o di un’azione, in senso solo descrittivo, ovvero anche prescrittivo; infine, la collocazione di un oggetto in uno schema classificatorio predeterminato (forma scritta, orale; conica, sferica).
3 Nell’uso “culto”, frutto anche di una millenaria tradizione filosofica, “forma” è il principio intelligibile in cui si determinano e si unificano - sul piano dell’universale o dell’individuale - gli elementi particolari empirici dei fenomeni; principio di spe- cificazione e differenziazione, che fa sì che le cose siano ciò che sono, e al contempo non siano altro. Anche nel diritto si trova spesso usato il termine “forma” nella sua accezione universalistica di struttura logico-formale sottostante alla realtà materiale e contingente degli ordinamenti positivi, che prescinde dai contenuti ma che consente di organizzare e qualificare giuridicamente i contenuti.
4 Tuttavia, l’uso che se ne fa a proposito del negozio giuridico è maggiormente vicino alle accezioni più comuni. Il soggetto crea il negozio attraverso movimenti, azioni, modificazioni della realtà; “forma del negozio” è quindi il modo di atteggiarsi di tutti quegli accadimenti del mondo fisico e psichico, di produzione o comunque di origine umana, attraverso i quali la generalità dei consociati riconosce (o può riconoscere) come sussistenti gli elementi che il diritto considera rilevanti ai fini dell’esistenza del negozio. Sulla nozione e la storia più recente del concetto bisogna rinviare alla dottrina specialistica [riferimenti in VENOSTA (48), 14, (50), 1197; FAVALE (15), 1].
5 Recentemente si è scritto che “la giuridicità del contratto è del tutto inscindibile dal significato sociale del fatto corrispondente: la peculiarità del fenomeno, nella teoria dei fatti giuridici, si manifesta in primo luogo in ragione di una sua connaturata attitu- dine semantica, ossia nell’essere veicolo di significati riconoscibili da una collettività organizzata”; confermandosi che “in questo senso si può dire che ogni contratto ha una forma”, la quale “presuppone una - almeno una - relazione socialmente e dunque giuridicamente qualificata” e “corrisponde a una nozione unitaria, poiché è condizione costante di esistenza giuridica del fatto” [BRECCIA (4), 466 s.].
II. Il principio generale di libertà delle forme e la tassatività delle forme solenni
6 È stato per lungo tempo pressoché indiscusso, sia in dottrina che in giurisprudenza, che l’autentico cardine della disciplina giuridica del formalismo negoziale sia il prin- cipio generale di libertà delle forme, fondato da una parte sul principio ancora più generale dell’autonomia privata [XXXXXXXXXX (21), 1004], dall’altra più direttamente sull’art. 1325, n. 4, che impone il requisito della forma vincolata (solo) “quando risulta che è prescritta dalla legge a pena di nullità”. Tale principio implica che, fuori dei casi espressamente previsti, “un contratto non è nullo né altrimenti invalido per il fatto che non è stata adottata una forma solenne o tipica” [SACCO (41), 708]. Si è però esattamente
osservato che il principio in esame innanzitutto vale solo per il formalismo c.d. ad sub- stantiam, mentre non vale per altri profili di rilevanza giuridica della forma (ad es., ai fini probatori o per l’efficacia di titolo esecutivo che è attribuita a certi atti), e poi che la declamazione del principio coesiste con una tendenza formalistica che in Italia “appare più pronunciata, perché l’abbondanza delle disposizioni sulla forma non appare con- trobilanciata dalla compresenza di un sistema organico di sanatorie degli atti invalidi perché informi” [SACCO (41), 711].
Inoltre, una recente ed importante corrente dottrinale ha negato in radice l’esi- 7 stenza del principio, sul presupposto che gli atti per i quali la legge non prescrive alcun requisito di forma non sono “atti a forma libera” bensì atti “privi di forma per il diritto”;
non sarebbero quindi manifestazioni di un principio generale di libertà, ma solo di uno spazio in cui vi è l’assenza di qualunque norma o principio sulla forma [IRTI (22), pas- sim]. Ne conseguirebbe, in linea pratica, la possibilità di interpretare analogicamente le norme sulla forma vincolata, non più viste come eccezioni rispetto ad un supposto principio generale di libertà (art. 14 disp. prel.). Su questi aspetti la dottrina si è divisa, ma negli ultimi anni prevale, sia pure in termini problematici, l’opinione che riconferma la vigenza nel nostro ordinamento del principio generale di libertà [PAGLIANTINI (34), 8; VENOSTA (48); SACCO (41), 710; CATAUDELLA (7), 103; XXXXXXX-XXXXXX (25), 399; XXXXX
(39), 206; XXXXXX X.X. (3), 271]; mentre non sono mancati tentativi di svalutare i profili “strutturali” del problema della forma, per privilegiarne quelli “funzionali” [PERLINGIERI (35); DI XXXXXXXX (14), 775; XXXXXXX-XXXXXX (25), 401]. A tale proposito,
merita ricordare che “i veri problemi non stanno tanto nel legittimare a priori il ricorso agli argomenti di natura funzionale, di contro alle considerazioni strutturali, ovvero nel combinarli liberamente, quanto nel farne un uso che sia adeguato al conflitto di dubbia soluzione” [BRECCIA (4), 505].
La giurisprudenza è risultata maggiormente impermeabile a questo dibattito, ed ha 8
seguitato ad enunciare de plano il principio generale di libertà delle forme [C 2.5.2007 n. 10121; C 27.11.2006 n. 25126; C 14.7.2006 n. 16017; C 4.7.2006 n. 15264; X
00.00.0000 x. 00000, XX E.N.E.L. 1999, 486; C 8.9.1998 n. 8881, XXXxx 0000, 84;
C 16.12.1997 n. 12517, DGAgr 1998, 338; C App. Xxxxxx 00.0.0000, GI 2001, 107; C
App. Catania 29.4.1995, DGAgr 1998, 174; T Milano 10.10.1998, OGL 1998, I, 832].
È però discutibile che il principio in esame implichi necessariamente l’inammissibi- 9
lità dell’estensione analogica delle singole norme sulla forma vincolata. In generale, il convincimento in tal senso è così diffuso da costituire “uno dei luoghi più spesso ricorrenti, nell’argomentare della nostra giurisprudenza civile” [XXXXXXX (52), 57]; si ammette, però, sia pure con cautela, l’interpretazione estensiva, in quanto xxxxxx- sta da esigenze di coerenza del sistema [SCOGNAMIGLIO (44), 418; SACCO (41), 711;
XXXXXX X.X. (3), 276; contra XXXXXXXXXX (21), 1003]. Siffatta tendenza può essere condivisa, purché si consideri che non sempre è agevole distinguere fra estensione ed analogia, e che l’uso del primo procedimento non deve costituire un pretesto per acce- dere indiscriminatamente al secondo [XXXXXXXXXX (21), 1004; XXXXXXX-XXXXXX (25), 435]. Una autorevole corrente dottrinale [inaugurata da PERLINGIERI (35)] riafferma
l’esistenza del principio generale di libertà, ma ritiene che non possa desumersene una regola assoluta di tassatività delle singole forme vincolate. Le relative norme dovrebbero invece interpretarsi “individuando da un lato le esigenze o interessi che ne giustificano la previsione e verificando dall’altro la loro meritevolezza, adeguatezza, compatibilità e coerenza con ipotesi diverse secondo che, in queste come in quelle, rilevano i valori, specie quelli fondamentali, caratterizzanti il sistema” [PERLINGIERI (35), 42 s.]; sarebbero quindi eccezionali solo quelle forme legali che derogano ai principi fondamentali dell’ordinamento, mentre tutte le altre sarebbero suscettibili di applicazione analogica. Da altri si è osservato [VENOSTA (48), 61] che il principio generale di libertà delle forme non esclude che possano esistere nell’ordinamento altri principi generali di contenuto opposto ma di minore estensione, e che certe forme vincolate possano essere, a loro volta, espressione di siffatti principi. Per tali norme sarebbe quindi ammissibile il procedimento analogico, ma si tratterebbe di analogia juris e non di analogia legis. I principi in questione si traggono dalla legge ordinaria, mentre sembra più difficile farli discendere direttamente dalle norme costi- tuzionali, essendo queste ultime tendenzialmente plurivoche e comunque prive di precettività immediata per quanto riguarda la forma negoziale. Anche recentemente si è ammesso che possano esservi delle “generalizzazioni settoriali del formalismo” [BRECCIA (4), 511].
10 Ad esempio, principi generali formalistici si rinvengono in materia di atti relativi a diritti reali immobiliari; in materia di contratti bancari ex art. 117, t.u.l.b.c. [salvo che “il contratto di sconto bancario non richiede la forma scritta, né ad substantiam né ad probationem”: C 20.11.2012 n. 20319]; di contratti dell’intermediazione finanziaria, almeno con riferimento al c.d. contratto-quadro [C 13.1.2012 n. 384, DeG 2012; C 22.12.2012 n. 28432]; in materia di contratti della p.a., a garanzia del regolare ed imparziale svolgimento dell’attività amministrativa, ed al fine di age- volare i relativi controlli che hanno carattere tipicamente documentale [da ultimo, variamente, TAR Xxxxxx 00.0.0000 n. 368; C 14.10.2011 n. 21227; C 30.9.2011 n. 20057; C 9.9.2011 n. 18563, DeG 2011; C 28.9.2010 n. 20340, RCP 2010, 2587; C s.u. 22.3.2010 n. 6827; C 17.1.2013 n. 1167, C 2.5.2007 n. 10123 e C 24.1.2007
n. 1606 sul conferimento di incarichi professionali; C 12.4.2006 n. 8621 sulla forma della cessione del contratto e più in generale degli accordi modificativi; T Roma 16.10.2012 n. 19365 sulla cessione di un credito verso la p.a.; C 29.11.2005 n. 26047 sulla transazione; TAR Cagliari 26.11.2012 n. 1012, FA TAR 2012, 3711, su un con- tratto di affitto agrario della p.a., anche se per i contratti agrari vige il principio gene- rale della libertà; C 11.12.2002 n. 17646; C 11.10.2002 n. 14524; C 6.6.2002 n. 8192; C 5.11.2001 n. 13628, FI 2002, 762; X 00.0.0000 x. 0000, XX 2002, 2063; C 6.7.2001, GC 2001, I, 2628; C 3.1.2001 n. 59; C 8.3.2000 n. 2619; C 29.9.2000 n. 12942; C 8.4.1998 n. 3662; T Venezia 4.6.1997, FI 1997, I, 2669, estende il requisito ad un contratto di mediazione concluso da un soggetto erogatore di pubblico servizio assog- gettato alle regole dell’evidenza pubblica; C 16.10.1998 n. 10249, cit., ne esonera invece l’Enel, ma per i contratti che tale ente stipula iure privatorum; secondo T Bari 19.9.2012 n. 2936 sono soggetti a forma scritta i contratti che la p.a. conclude iure pri- vatorum]. Sulla base di tale principio, si afferma costantemente che non è ammessa la
rinnovazione tacita di contratti formali di cui sia parte la p.a. [C 23.6.2011 n. 13886; C 24.1.2006 n. 1223; C 10.6.2005 n. 12323, salvo che la rinnovazione tacita sia prevista da apposita clausola scritta; C 11.12.2002 n. 17646; C 3.8.2002 n. 11649; C 24.6.2002
n. 9165]; che la formale espressione di volontà da parte del sindaco legale rappresen- tante dell’ente non può essere sostituita dalla delibera di giunta o di consiglio, atto meramente preparatorio e interno al procedimento [C 17.1.2013 n. 1167; C 18.5.2011 n. 10910, DeG 2011; C 26.1.2007 n. 1752; C 2.3.2006 n. 4635; C 6.6.2002 n. 8192; C 21.5.2002 n. 7422; C 6.12.2001 n. 15488; C 16.2.2012 n. 2266: il requisito formale è integrato dal rilascio della procura al difensore da parte del sindaco]; che sono soggetti alla forma scritta i contratti degli enti pubblici non economici [C 15.12.2000
n. 15862 in tema di enti comunali di assistenza; C 24.11.2000 n. 15197, in tema di enti regionali di sviluppo].
III. Ratio e rationes del formalismo
L’indagine sulla ratio del formalismo negoziale presenta due aspetti, che vanno 11 tenuti ben distinti. Il primo riguarda le esigenze di tutela che il formalismo è in generale chiamato a presidiare. Il secondo riguarda le specifiche ragioni che nei vari singoli casi inducono il legislatore ad introdurre il vincolo. Dal primo punto di vista, va innanzitutto ricordata l’autorevole ma isolata opinione secondo la quale “il moderno formalismo
è imposto esclusivamente nell’interesse dei terzi, affinché costoro conoscano il nego- zio, e comunque affinché questo abbia efficacia nei loro confronti” [XXXXXXXXXX (21), 1006]. Secondo l’avviso di gran lunga prevalente, invece, la tutela dei terzi è solo una delle funzioni del formalismo negoziale, il quale è stabilito anche a tutela delle stesse parti sotto svariati profili, per garantire esigenze di univocità in relazione alla natura, al contenuto ed al momento della conclusione del contratto; di consapevolezza, ponderazione e serietà delle determinazioni dei contraenti; di certezza dei rapporti e di protezione del traffico giuridico [VENOSTA (48), 169; ROPPO (39), 207; LISERRE
(22), 2; XXXXXX X.X. (3), 278; SACCO (41), 712]. C 15.6.2000 n. 8147 ha fondato la
prescrizione di forma degli artt. 17 e 40 l. n. 47/1985 (l’obbligo cioè che negli atti di compravendita di edifici siano menzionati gli estremi della concessione edilizia) su una esigenza di tutela dell’affidamento dell’acquirente. Sennonché, mentre si può condivi- dere la riconduzione delle norme al genus delle prescrizioni di forma, l’affermazione circa la loro ratio è discutibile, in quanto sembrano ivi prevalenti le esigenze “pubbli- cistiche” di repressione dell’abusivismo di speculazione [GAMBARO (18), 381; per una recente ricostruzione del tema, STANCHI (45), 189]. L’uso del vincolo di forma a presi- dio di esigenze lato sensu pubblicistiche (o “politiche”) non è peraltro limitato alla materia urbanistica; si può ricordare in proposito la l. n. 310/1993, la quale, novellando tra l’altro alcune norme del codice civile, ha aggravato, in nome della trasparenza, le modalità degli atti di trasferimento di quote di s.r.l., aziende, immobili ed esercizi commerciali [salvo poi accertare se, ed eventualmente in quali casi, si tratti di requisiti di forma ad substantiam; C 2.5.2007 n. 10121 ha statuito che la forma è richiesta solo per l’opponibilità dell’atto alla società, mentre “nei rapporti tra le parti, in forza del principio di libertà delle forme, la cessione è valida ed efficace in virtù del semplice consenso manifestato dalle stesse”].
12 Dal secondo punto di vista, non ci si limita a constatare le funzioni generiche e indiffe- renziate del formalismo, ma si devono indagare i motivi specifici che inducono il legi- slatore a imporre, nei singoli casi, un requisito di forma, e quindi le varie rationes che stanno alla base delle singole norme sulla forma, tenendo presente, in definitiva, che certezza univocità e ponderazione non sono esigenze che si presentino solo per i negozi formali: perché, dunque, solo in certi casi il legislatore si preoccupa di introdurre il vincolo di forma? In estrema sintesi, possono darsi due ipotesi [VENOSTA (48), 181]. Vi sono innanzitutto dei casi in cui, supposto uno standard medio di certezza univocità e ponderazione, raggiungibile anche senza l’ausilio della forma, il legislatore ritiene che tale standard debba essere reso più elevato, in considerazione di svariate circostanze: l’importanza o la particolare natura degli effetti del negozio, in quanto ad esempio riguardino diritti reali immobiliari, con riferimento ai quali concorrono anche esigenze pubblicitarie; ovvero la durata di tali effetti (ad es., nel sistema del Codice, locazione immobiliare ultranovennale; rendita perpetua o vitalizia); ovvero comunque la loro par- ticolare importanza, intensità o complessità (ad es., artt. 162, 782, 918, 1284, 1978, 2096, 2125); le qualità soggettive dei contraenti (ad es., pubblica amministrazione); il tipo contrattuale [DI XXXXXXXX (13)]. Vi sono poi altri casi in cui il vincolo di forma opera, per così dire, in senso opposto; non già, cioè, nel senso di innalzare lo standard di certezza univocità e ponderazione rispetto a quello che è reputato sufficiente in via generale, bensì nel senso di compensare una situazione nella quale, in assenza della forma, non sarebbe raggiungibile neppure quello standard minimo che si reputa necessario perché l’ordinamento possa sanzionare giuridicamente l’assunzione di un vincolo, anche se di non eccezionale rilevanza economico-sociale. Vengono quindi in considerazione, piuttosto che l’importanza degli effetti, certe particolari modalità della contrattazione che possono far ritenere che le parti (ovvero anche una sola di esse) si trovino in posizione deteriore, di inferiorità, di difetto di informazione, di minorata capacità di percezione e di ponderazione. In questa seconda categoria si col- locano ad es. sia le norme che stabiliscono requisiti di forma a tutela del consumatore e del risparmiatore [ROPPO (39), 209] (categorie, queste, che si trovano in una strutturale condizione di debolezza), sia le norme che stabiliscono requisiti di forma per i negozi preparatori (a tutela, questa volta, di entrambe le parti, come si vedrà infra, IX).
IV. La forma come requisito strutturale del contratto
13 Il discorso funzionale, pur importante, non deve far dimenticare che la forma vinco- lata è comunque un requisito strutturale del contratto, che va in ogni caso rispettato; anche quando esso non basta ad assicurare il raggiungimento dell’obbiettivo [XXXXXXX (23), 78], ed anche quando gli interessi che ne costituiscono il fondamento sono tutelati dalla legge anche per altra via [XXXXXXX (1), 443; CIAN (12), 4; BIANCA C.M. (3), 280; XXXXXXXXXX (21), 993].
14 In altre parole, le norme sulla forma sono inderogabili; se non sono rispettate, ne risulta la nullità del contratto (si discorre, ovviamente, delle forme ad substantiam). Per converso, se esse sono rispettate perde ogni rilevanza l’effettiva realizzazione della funzione cui sono preordinate: il contratto è valido anche se la parte è stata disattenta,
ovvero se è il contratto stesso la fonte dell’incertezza. A quanto pare, la forma riguarda solo la dichiarazione in sé, e non la sua comunicazione alla controparte [C 12.7.2011 n. 15293, DeG 2011].
V. Sanatorie e temperamenti al formalismo
In linea generale, il difetto di forma non ammette sanatorie: il contratto potrà essere 15 ripetuto nella forma prescritta, ma si tratterà, appunto, di un nuovo contratto. Ugual- mente, si dà comunemente atto della “impossibilità di surrogare la forma scritta ad substantiam con posteriori dichiarazioni ricognitive o confessorie anche se formal- mente redatte compreso il negozio di accertamento scritto di un contratto concluso verbalmente” [C 21.2.2012, DeG 2012; C 15.1.2007 n. 621; C 7.4.2005 n. 7274, ove si
dice che “il requisito di forma può ritenersi soddisfatto solo se il documento costituisca l’estrinsecazione formale diretta della volontà delle parti”; C 13.10.2004 n. 20198; C 18.6.2003 n. 9687; C 13.4.2001 n. 5565; così in dottrina XXXXXXX-XXXXXX (25), 403; ma
anche XXXXXXXXXX (21), 998; XXXXX (39), 232; SACCO (41), 713]; il contratto informe non viene salvato da un atto esecutivo redatto per iscritto, come un assegno dato in pagamento [C 9.7.2001 n. 9289], né da una dichiarazione di quietanza [C 4.5.1989
n. 2065] o dall’invio di una fattura [C 27.2.1987 n. 2099]. In generale, si afferma che il requisito è rispettato se dal testo scritto risulta, sia pure non con formule sacramentali, la volontà negoziale [C 4.6.2002 n. 8080 richiede che risulti per iscritto la “formazione del consenso”]; in una sentenza si è precisato che non è necessario che la volontà risulti dallo scritto in modo esplicito [C 10.5.1996 n. 4400, NGCC 1999, I, 196]. E’ comunque pacifico che il vincolo di forma non implica la contestualità delle manifestazioni di volontà delle parti: da ult. C 21.8.2012 n. 14584, GD 2012, 44, 68.
Tuttavia, il nostro ordinamento ammette attenuazioni al rigore del formalismo, 16 alcune delle quali possono essere in senso lato (e a condizione di non stare troppo a sottilizzare e di non accampare eccessive pretese di rigore terminologico e concettuale) qualificate come sanatorie. Gli artt. 590 e 799 ammettono sanatorie delle disposizioni testamentarie e delle donazioni nulle per varie cause compreso il difetto di forma. Altri
casi sono poi ancora ravvisabili, a condizione che determinati requisiti di certi negozi siano qualificabili come requisiti di forma. Merita ricordare in primo luogo le norme già contenute nella l. 28.2.1985 n. 47, che comminano la nullità di certi negozi giuridici relativi ad edifici, dai quali non risultino gli estremi della concessione edilizia, ovvero degli stessi atti relativi a terreni, ove ad essi non sia allegato il certificato di destina- zione urbanistica: nullità, queste, sanabili o per il conseguimento della concessione in sanatoria ovvero mediante atto di conferma unilaterale cui sia allegato il certificato di destinazione urbanistica o che contenga la menzione omessa (art. 17, c. 4, l. n. 47/1985, ora art. 46 d.P.R. 6.6.2001 n. 380 t.u. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia cui si rinvia; art. 40, c. 3; art. 18, u.c.; art. 2, c. 57, l. 23.12.1996 n. 662). In secondo luogo, vanno considerate le nullità formali relative, quale potrebbe essere quella prevista dall’art. 30, c. 7, t.u.i.f., che con riferimento all’offerta fuori sede di stru- menti finanziari e servizi di investimento dispone: “l’omessa indicazione della facoltà di recesso nei moduli o formulari comporta la nullità dei relativi contratti, che può essere
fatta valere solo dal cliente”. Certo il carattere relativo della nullità non equivale di per sé a sanabilità, ma l’equivalenza sarebbe ristabilita se si ammettesse che il risparmiatore può rinunciare a far valere la nullità; ed in ogni caso sembra meritevole di considera- zione l’avviso che “l’interesse del contraente debole alla prosecuzione del rapporto, realizza una eterointegrazione giudiziale, e il contratto, originariamente nullo, ma la cui nullità non sia stata eccepita dalla parte legittimata in via esclusiva, viene convalidato dal giudice, con una sentenza, che non ha più senso definire dichiarativa, perché ha tutti gli elementi della sentenza costitutiva, in quanto stabilisce una volta per tutte le prose- cuzione del rapporto” [così, con riferimento alle nullità relative in generale, GIOIA (19), 1343]. Ancora, la l. 9.12.1998 n. 431 sulle locazioni abitative stabilisce (art. 1, c. 4) che i contratti di locazione (anche infranovennali) devono farsi per iscritto a pena di nullità. Ma soggiunge (art. 13, c. 5) che se in violazione della prima norma siasi instaurato “un rapporto di locazione di fatto” il conduttore può agire in giudizio per chiedere che la locazione venga ricondotta a condizioni conformi alla legge, e che in tal caso “nel giudizio che accerta l’esistenza del contratto” il giudice determina il canone dovuto. Pur nelle intuibili difficoltà di qualificazione dovute all’imperfetta formulazione delle norme, appare chiaro che esse riservano al conduttore “di fatto” (che tale è in forza di un contratto nullo per difetto di forma) la facoltà di avvalersi comunque del contratto nullo, anche al fine di farvi introdurre dal giudice le opportune correzioni, la qual cosa, è stata da taluno reputata contraria al senso giuridico [XXXXXX XXXXXXX (46), 385]. Non sembra, invece, potersi parlare di sanatoria, in qualunque accezione del termine, a proposito del contratto di subfornitura nullo per difetto di forma (art. 2 l. 18.6.1998 n. 192). Si dice, infatti, che “in caso di nullità ai sensi del presente comma, il subfornitore ha comunque diritto al pagamento delle prestazioni già effettuate e al risarcimento delle spese soste- nute in buona fede ai fini dell’esecuzione del contratto”; ma qui il contratto nullo non viene sanato, e la norma si limita a dettare una speciale disciplina delle conseguenze della nullità, in qualche modo assimilabile a quella dettata, seppure con diversa formu- lazione, dall’art. 2126. Infine, si è voluto qualificare come sanatoria il fenomeno della irripetibilità degli interessi ultralegali spontaneamente pagati in esecuzione di un patto nullo per difetto di forma ex art. 1284, c. 3 [SACCO (41), 715]; a questa stregua, però, dovrebbe forse dirsi che costituisce sanatoria del contratto nullo anche la prescrizione dell’azione di ripetizione di quanto siasi prestato in esecuzione di tale contratto.
17 I principi sono poi applicati dalla giurisprudenza in modo discutibile e contraddittorio in tema di simulazione. L’art. 1414, c. 2, riconosce gli effetti del contratto dissimulato, “purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma”. A tal proposito, ci si chiede se la forma debba rivestire il solo contratto simulato, ovvero anche l’accordo simula- torio e il contratto dissimulato. Se una vendita apparente viene usata per dissimulare una donazione, si ritiene che quest’ultimo contratto sia valido anche se la sola vendita simulata è fatta per atto pubblico [C 6.4.1963 n. 892, GI 1964, I, 1, 335]. In alcune sentenze il principio appare formulato in termini più generali [C 21.1.2000 n. 642; C 21.7.1981 n. 4704]. Si tratterebbe, insomma, di un caso in cui, difformemente dai prin- cipi (cfr. infra, VII), la causa del contratto può risultare da un atto non rivestito della forma prescritta ad substantiam. Le spiegazioni addotte dalla dottrina non fugano le
perplessità. Da una parte, infatti, si afferma che “se si esigesse l’atto pubblico anche per la controdichiarazione, questa non potrebbe restare occulta, col che svanirebbe il senso del meccanismo simulatorio” [ROPPO (39), 657]; ma ciò supporrebbe una sorta di favor simulationis, che non sembra risultare dal complesso dell’ordinamento. D’altra parte, si è osservato che “il contratto simulato e quello dissimulato non sono due entità distinte e separate ma due aspetti della medesima operazione negoziale” [BIANCA C.M. (3), 704]; in tal modo tuttavia, sembra che non si faccia altro che rimandare al problema, di quali parti della complessiva operazione negoziale debbono essere rivestite della forma prescritta. Una sentenza di merito, peraltro, ha ritenuto che il vincolo di forma riguardi anche il contratto dissimulato [T Roma 25.5.1995, XXXxx 0000, I, 138: si trattava di una enfiteusi dissimulante una coenfiteusi]. Ancora più discutibile appare quell’orien- tamento che riconosce la validità della clausola dissimulata informe sul prezzo della compravendita [C 17.7.1997 n. 6577, RN 1998, 687; C 26.9.1996 n. 8500, FiR 1996,
II, 997; X 00.0.0000 x. 0000, XX 1995, I, 653; C 9.7.1987 n. 5975, GI 1989, I, 1, 564; C
2.10.1978 n. 4366, GC 1979, I, 77]. Su questo punto la dottrina è giustamente critica, sul presupposto che il prezzo è certo un elemento essenziale della compravendita, per cui non vi è alcuna ragione valida per deformalizzarlo [ROPPO (39), 651, 657; SACCO (41), 665; cfr., tuttavia, da ultimo, C s.u. 26.3.2007 n. 7246: “la pattuizione con cui le parti di una compravendita immobiliare abbiano convenuto un prezzo diverso da quello indicato nell’atto scritto, soggiace, tra le stesse parti, alle limitazioni della prova testi- moniale stabilite nell’art. 2722, avendo la prova ad oggetto un elemento essenziale del contratto che deve risultare per iscritto”]. Anche l’accordo simulatorio (ovvero, la vera e propria controdichiarazione) sembra non essere soggetto alla forma ad substan- tiam, fermi i noti limiti in materia di prova [C 22.5.1997 n. 4565; C 10.4.1986 n. 2502; C 19.3.1980 n. 1845, GC 1980, I, 1907]. Salvo ritenere che, anche in materia immobi- liare, “la prova della simulazione di un contratto può essere fondata anche su elementi presuntivi” [C 28.10.2002 n. 15160]. Un orientamento più rigoroso sembra invece emergere per l’interposizione fittizia [C 9.11.2012 n. 19529; C 28.5.2007 n. 12487;
C 6.5.2002 n. 6480; C 23.1.1998 n. 672; X 00.0.0000 x. 0000, XX 1995, I, 1250; C
2.7.1990 n. 6764, DG 1991, 901; C 17.7.1979 n. 4189; contra C 15.12.1984 n. 6581,
RN 1985, 724]; e per l’interposizione reale [C 28.3.1981 n. 1787; X 00.0.0000 x. 0000,
XX 1981, I, 843; X 00.0.0000 x. 0000, XX 1991, I, 1191; C 7.3.1990 n. 1811; T Xxxxxx
00.00.0000; T Roma 16.10.2012 n. 19363].
VI. (Segue) Equipollenti della sottoscrizione
Sempre in tema di temperamenti al rigore del formalismo, va ricordato che secondo 18
un consolidato orientamento giurisprudenziale “la produzione in giudizio, ad opera della parte che non l’aveva sottoscritta, di una scrittura privata, costituisce equipollente della mancata sottoscrizione contestuale e perciò perfeziona, sul piano sostanziale o su quello probatorio, il contratto in essa contenuto, purché la controparte del giudizio sia la stessa che aveva già sottoscritto il contratto e non abbia revocato, prima della produzione, il consenso prestato” [C 14.4.2004 n. 7075; C 11.3.2000 n. 2826; conf.
C 16.5.2006 n. 11409; C 8.3.2006 n. 4921; C 19.2.1999 n. 1414, GI 1999, 2020; C
15.5.1998 n. 4905; C 7.5.1997 n. 3970; C 17.6.1994 n. 5868; osservazioni critiche in
XXXXX (41), 737; ROPPO (39), 217; XXXXXXX-XXXXXX (25), 454]. Di tale regola pretoria
si dà conto qui in ossequio all’impostazione di quasi tutti gli scrittori, che pongono la questione degli equipollenti della sottoscrizione nel quadro del formalismo negoziale [SACCO (41), 733; BIANCA C.M. (3), 287; XXXXXXX-XXXXXX (25), 451; contra DI XXXXXXXX
(14), 770]. Va tuttavia avvertito, quanto meno, che il problema non riguarda solo la forma della dichiarazione contrattuale (la quale di per sé non ammette equipollenti: cfr. supra, V), bensì anche, e forse soprattutto, il momento della conclusione del contratto, che deve farsi comunque risalire ad un “atto di appropriazione” da parte del soggetto che intende imputarsene gli effetti; tale atto consiste ordinariamente nella sottoscrizione, ma può anche consistere, secondo il riferito orientamento, in un atto ad essa “equipol- lente”; l’uno e l’altro, però, sono esterni alla vera e propria dichiarazione contrattuale [ORLANDI (33), 198; XXXXXXXXXXX (43), 378]. Per questa ragione si è giustamente rite- nuto che “la produzione in giudizio di una scrittura privata di vendita immobiliare ad opera della parte che non l’aveva sottoscritta non può determinare il perfezionamento del contratto nella prescritta forma documentale, qualora la produzione sia effettuata nel giudizio promosso successivamente al decesso del sottoscrittore e nei confronti dei suoi eredi, in quanto il decesso determina l’inefficacia della proposta” [C 17.10.2006
n. 22223; C 27.5.2003 n. 8423]. È peraltro chiaro che la sottoscrizione appartiene alla scrittura privata (intesa come documento), come elemento che consente l’imputazione degli effetti al soggetto che ne è autore; e che il criterio di imputazione soggettiva degli effetti deve risultare dall’atto [C 10.6.1968 n. 1777, GC 1968, I, 1830]. Non può essere considerata equipollente alla sottoscrizione la dichiarazione confessoria [C 18.6.2003 n. 9687, GC 2004, I, 373].
VII. Estensione del requisito: elementi essenziali e non essenziali
19 Un consistente orientamento giurisprudenziale distingue, nel contratto, elementi essenziali e non essenziali, al fine di limitare ai primi l’onere della forma: di modo che, ad esempio, si ritiene che le clausole volte a determinare le modalità esecutive della prestazione siano valide anche se pattuite oralmente [così la modifica del ter- mine stabilito per la stipulazione del contratto definitivo o la rinuncia della parte ad avvalersene non richiedono la forma scritta, C 27.2.2008 n. 5197, C 2008, 7, 708; C 25.6.2005 n. 13703; C 21.6.1999 n. 6214; C 16.1.1996 n. 301; C 13.3.1992 n. 3048; C 18.10.1988 n. 5663; C 24.6.1982 n. 3839; T Lucca 4.6.1998, GM 1999, 1006]. Il medesimo principio viene applicato ai patti modificativi di quelle clausole, aventi cioè ad oggetto aspetti meramente secondari o accessori del regolamento contrat- tuale [C 5.9.1989 n. 3851; C 13.10.1982 n. 5290; C 24.6.1980 n. 3965 e C 11.7.1989
n. 3266, XXXX 1990, II, 192, ove si afferma che il patto modificativo dell’orario di lavoro, nel rapporto di lavoro a tempo parziale, deve essere redatto per iscritto, sul presupposto che le modalità esecutive della prestazione assurgono, in quel contratto, ad elementi essenziali, diversamente da quanto avviene in linea generale]. Il principio sembra invece non valere per i contratti che attengono ai diritti reali: devono infatti essere redatti per iscritto “non solo quelli che modificano l’estensione delle servitù prediali, ma anche quelli che ne modificano le modalità di esercizio” [C 9.10.1979 n. 5240].
La dottrina, seppure con qualche differente sfumatura, tende ad adeguarsi, sul presup- 20
posto che “l’approccio corretto al problema sia finalistico e teleologico”; che le prescri- zioni di forma sono correlate agli effetti del contratto; e che, quindi, la forma è richiesta solo per le clausole “da cui traspaia l’effetto” in considerazione del quale la legge pone il requisito [XXXXXXX-XXXXXX (25), 424 s.; ma anche XXXXXXXXXX (21), 1005; XXXXXX
C.M. (3), 283; XXXXX (39), 212, che invece distingue fra elementi dai quali dipende ovvero non dipende la validità del contratto]. Di questo orientamento si comprendono le apprezzabili ragioni pratiche; meno, invece, le giustificazioni tecniche, in ordine alle quali sembrerebbe opportuna una più accurata verifica di compatibilità con i principi.
In estrema sintesi, andrebbe innanzitutto considerato che non sempre i vincoli di forma 21 sono teleologicamente fondati sui peculiari effetti dell’atto. In secondo luogo, l’essen- zialità o meno di un certo elemento va valutata in generale, e non solo ai fini del pro- blema della forma, per cui, anche a voler seguire l’insegnamento in esame, dovrebbe comunque apparire chiaro che sono essenziali, anche agli effetti della forma, tutti gli elementi in difetto dei quali il contratto è nullo o addirittura inesistente, e non solo quelli più strettamente connessi con l’effetto principale. A questa stregua, la causa non
può non risultare per iscritto [ROPPO (39), 211; SACCO (41), 725; C 20.6.2000 n. 8365; C
16.1.1996 n. 301; C 14.4.1992 n. 4542; T Lucca 4.6.1998, cit.]. L’autorevole contraria opinione [XXXXXXXXXX (21), 1005] non convince. Essa richiama la validità del negozio la cui causa effettiva sia diversa da quella apparente (negozio indiretto, simulato, nego- tium mixtum cum donatione), ma si può replicare che, in generale, un medesimo effetto può appoggiarsi alternativamente su una pluralità di cause, il che però non consente di ritenere valido quel contratto, dal quale non risultasse per iscritto almeno una delle possibili cause di quell’unico effetto. Quanto, invece, alla causa simulata, va ricordato che le parti possono ben simulare o dissimulare non solo la causa ma pure l’effetto, ed anche l’intero contratto, ma se desiderano che abbia effetto il contratto dissimulato devono rispettare in qualche modo il vincolo di forma (cfr. supra, V). Infine, appare eccessivamente tranchant l’affermazione che il problema dell’essenzialità “deve essere risolto sul piano della c.d. causa in astratto e non su quello della causa in concreto perché solo rispetto alla prima nozione è possibile distinguere concettualmente ele- menti essenziali ed elementi accessori” [LISERRE-XXXXXX (25), 424]. La moderna dot- trina, infatti, propende ormai per una nozione di causa in concreto [BRECCIA (6), 66; BIANCA C.M. (3), 452; XXXXX (39), 361], dalla quale è difficile prescindere anche ai più limitati fini che qui ci interessano, in considerazione del fatto che la ratio del forma- lismo negoziale, nella seconda delle accezioni delineate (cfr. supra, III) non permette di trascurare l’interesse concreto dei contraenti. A questa stregua, va considerato che vi sono clausole che, non essenziali in astratto, sono però tali in concreto. Ad esempio, un termine che le parti abbiano qualificato essenziale ex art. 1457 o che abbiano dedotto come clausola risolutiva espressa ex art. 1456 è o non è elemento accessorio che possa pattuirsi o modificarsi informalmente? La rinuncia a far valere la clausola riso- lutiva espressa potrà, in questo caso, validamente manifestarsi per fatto concludente? Secondo l’insegnamento in esame la risposta dovrebbe essere positiva; ma a nostro avviso è proprio l’insegnamento che andrebbe rimeditato nei suoi fondamenti, non sem- brando conforme ai principi che elementi in concreto essenziali di un dato regolamento
contrattuale possano pattuirsi o modificarsi senza il rispetto della forma prescritta per l’intero contratto, ed essendo infine opportuno che la medesima regola venga estesa a tutti gli elementi del contratto, data la difficoltà di distinguere, fra essi, quali siano in concreto essenziali.
22 In definitiva: se è informale un elemento oggettivamente essenziale (accordo, oggetto, causa) il contratto è irrimediabilmente nullo per difetto di forma; se è informale una clausola concernente un elemento diverso, la nullità colpisce la singola clausola, salva l’applicazione dell’art. 1419 [applicazioni dell’art. 1419 a contratti parzial- mente nulli per difetto di forma in SACCO (41), 715, ma cfr. pure NICOLÒ (32), 124; C 4.7.1987 n. 5862, FI 1988, I, 471; C 29.4.1982 n. 2688; C 2.4.1982 n. 2017. Si discute in giurisprudenza se la nullità per difetto di forma della clausola di part-time nel lavoro subordinato si estenda sempre all’intero contratto, ovvero solo subordina- tamente ai presupposti dell’art. 1419: per la prima soluzione, C 29.12.1999 n. 14672; C 10.6.1993 n. 6487, XXXX 1994, II, 475; C 24.4.1991 n. 4482, RIDL 1992, II, 588; per l’applicazione, invece, dell’art. 1419, C 30.5.1994 n. 5265, GI 1995, I, 1, 1729; T Torino 17.3.1995, RIDL 1996, II, 380]. Una recente autorevole dottrina [BRECCIA (4), 675 ss.] ha proposto una posizione più problematica, qualificando come frutto di “giu- stizia pragmatica” quella pronuncia che ha considerata rispettata la forma in un atto di vendita in cui ci si limitava a dichiarare che il prezzo era stato pagato, senza indicarne l’ammontare [C 26.8.2006 n. 7848]; e ricordando, a proposito del vincolo della expres- sio causae, quei “precedenti, assai noti, con riguardo a talune figure, non meglio qua- lificate, di accordi, conclusi per iscritto, diretti al trasferimento della proprietà di beni immobili, ma privi di qualsivoglia indicazione giustificativa del passaggio di titolarità del diritto” [ivi, 677].
VIII. La relatio nei negozi formali
23 Il problema appena accennato si riverbera anche sulla soluzione dell’altra dibattuta que- stione della ammissibilità e dei limiti della relatio nei contratti formali. Dal punto di vista della forma, infatti, se si ammette che alcune parti del contratto formale possono pattuirsi oralmente, deve anche ammettersi, a fortiori, che quelle medesime parti pos- sano essere oggetto di relatio ad elementi extratestuali informi (salvo poi verificare se il termine esterno del rinvio sia in concreto idoneo, in relazione, ad esempio, al requi- sito di determinatezza o determinabilità dell’oggetto, ma questo non è un problema di forma). Se, invece, si opta per la soluzione opposta, il dilemma si scioglie stabilendo se la redazione in forma scritta della clausola che dispone il rinvio sia sufficiente ai fini del rispetto dell’onere formale.
24 Oggi l’opinione prevalente è nel senso che gli elementi inessenziali possano essere oggetto di valida pattuizione verbale, e quindi anche di relatio ad elementi informi [NICOLÒ (32); XXXXX (39), 331; XXXXXXX-XXXXXX (25), 426; contra, sembra, SACCO (41), 725, ad avviso del quale le parti “non potranno mai rinviare a dichiarazioni dotate di un livello di forma inferiore a quella legale”; BIANCA C.M. (3), 282]. Quanto invece agli elementi essenziali (o a tutti gli elementi, se si ritiene che la distinzione fra essenziali e non essenziali non sia valida), va premesso che l’impossibilità di una loro pattuizione
orale non implica logicamente l’impossibilità della relatio, perché rimane la necessità di verificare se l’onere possa dirsi assolto dalla clausola che dispone il rinvio. Una indi- cazione utile viene da una autorevole dottrina [NICOLÒ (32), 125], ad avviso della quale “la validità, sub specie della forma, della clausola fa sì che l’effetto suo proprio, che è l’automatica recezione nel contenuto della dichiarazione del fatto de relato, si possa senz’altro produrre, trattandosi oltre tutto di un effetto per il quale non può ritenersi operante un’autonoma esigenza formale”.
Se, dunque, la clausola che dispone il rinvio rispetta il requisito di forma ed è sufficien- 25
temente determinata e precisa (essa in sostanza deve contenere sia la manifestazione della volontà negoziale, sia gli elementi identificativi sufficienti di un fatto esterno in sé idoneo allo scopo), il rinvio è validamente operato [conf. XXXXXXX-XXXXXX (25), 425].
Ciò premesso, sembra pacifico che il fatto de relato possa consistere, senza partico- 26 lari limitazioni, in un mero fatto giuridico (compresi i listini o condizioni generali predisposte da altri, come nel caso dei capitolati generali), così come nel contenuto
di leggi o atti amministrativi; in disegni o planimetrie nelle compravendite immo- biliari anche preliminari [SACCO (41), 590; XXXXXXX-XXXXXX (25), 429, e giurisprudenza
xxx citata, cui adde C 16.1.2013 n. 952; C 5.3.2007 n. 5028; C 10.6.1991 n. 6570; C
27.6.1987 n. 5716; C 16.5.1991 n. 5480, GC 1992, I, 1021; C 15.6.1979 n. 3365, GC
1979, I, 1590]. Mentre desta dubbi l’opinione che reputa “inammissibile (...) il rinvio ad un allegato non firmato o il rinvio al contenuto di un documento redatto e firmato da una sola parte o di un documento di terzi” [BIANCA C.M. (3), 282]; ciò in quanto sembra sufficiente la sottoscrizione apposta dalle parti al testo contenente la clausola di rinvio (salva l’eventuale difficoltà di provare quale sia il testo non sottoscritto che le parti hanno inteso richiamare). Nel caso particolare della determinazione del tasso di interesse ultralegale, la giurisprudenza è univoca nell’ammettere il rinvio scritto “a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, obbiettivamente individuabili” [C 23.6.1998 n. 6247; C 10.11.1997 n. 11042; C 14.8.1997 n. 7627; C 29.11.1996 n. 10657, DR 1997,
389; secondo C 29.1.2013 n. 2072 il rinvio potrebbe essere fatto anche “al tasso vigente, alla data di stipulazione del contratto …, per il tipo di operazione di credito agrario che ne è oggetto, effettuata dalla sezione agraria di quel determinato istituto mutuante”]. Sul delicato problema del rapporto fra l’atto costitutivo di una società di capitali, e lo statuto eventualmente non redatto per atto pubblico, conviene rinviare alla dottrina specialistica [da ultimo XXXXXXX (29), 219; ID. (30)].
IX. La forma dei negozi preparatori
Per alcuni negozi preparatori la legge dispone espressamente che devono farsi nella 27 medesima forma che è prescritta per il contratto principale cui accedono (artt. 1351, 1392, 1403). La regola vale anche (ed appare ovvio) per il preliminare unilaterale
[C 21.1.1987 n. 529; C 11.10.1986 n. 5950, GI 1987, I, 1, 1626]; nonché, sembra, per
la promessa unilaterale [C 17.9.1981 n. 5144]. Si pone, quindi, il problema se queste norme esprimano un principio generale valido per tutti i negozi preparatori. È ormai pacifico che per il mandato immobiliare senza rappresentanza si richieda la forma
scritta ad substantiam [C 24.1.2003 n. 1137; C 9.7.2001 n. 9289; C 18.6.1998 n. 6063;
C 30.8.1994 n. 7590; C 18.4.1994 n. 3706; C 17.6.1992 n. 7453; C 3.4.1991 n. 3468,
RassDC 1993, 173; C 12.1.1991 n. 256]. Ciò in applicazione dell’art. 1351, in quanto tale contratto implica l’obbligo di ritrasferire al mandante l’immobile acquistato, e con- tiene quindi in sé un vero e proprio contratto preliminare. Il principio dovrebbe esten- dersi al mandato a concludere contratti per i quali il requisito della forma è comunque richiesto [C 25.5.1991 n. 5930; TAR Sicilia, Catania, I, 15.5.1998 n. 903, TAR 1998, I, 2871], ma giova osservare che si tende a svincolarne il mandato ad accertare i confini del fondo [C 27.9.1993 n. 9727], così come, peraltro, lo stesso atto definitivo di accertamento [C 5.6.1997 n. 4994, FI 1997, I, 2456]. Altri casi di esclusione del for- malismo sono rappresentati dal mandato e dalla procura ad emettere atti non nego- ziali, ancorché per questi ultimi sia prescritta la forma [C 16.8.1993 n. 8711, GI 1994, I, 1, 395]; nonché, singolarmente, dal mandato senza rappresentanza a costituire società di capitali [C 2.7.1990 n. 6764, GI 1990, I, 1, 1694; T Cagliari 16.11.1990, RGSarda 1992, 83]; dicendosi che in tal caso non è necessario un successivo atto di trasferimento delle quote o azioni, ovvero che comunque il trasferimento è atto a forma libera. Recentemente, infine, si è ritenuto che se il mandante conferisce al manda- tario, con atto separato, anche la procura, il requisito di forma si concentra senza residui in quest’ultimo atto [C 30.5.2006 n. 12848; C 10.11.2000 n. 14637, GC 2001, I, 1621]. A identiche soluzioni, e sulla base dei medesimi argomenti, si perviene in tema di patto fiduciario [C 13.4.2001 n. 5565; C 19.7.2000 n. 9489, DFSC 2000, II, 1099; C
29.5.1993 n. 6024, GI 1995, I, 1, 124; C 18.10.1988 n. 5663, GC 1989, I, 968; C App.
Bologna 14.6.1991, FPad 1992, I, 407; T Xxxxxx 00.0.0000, DGiur 1996, 197; così C
20.2.2013 n. 4184: “il contratto con il quale, in vista della stipulazione dell’atto costitu- tivo di una società di capitali, si convenga tra uno dei futuri costituenti ed un terzo che una quota … sarà intestata fiduciariamente … non richiede per la sua validità la forma pubblica prescritta per l’atto costitutivo della società”]. Ancora in tema di rappresen- tanza, è richiesta la forma scritta per la contemplatio domini [C 30.1.2007 n. 1959; C 20.11.2006 n. 24571; C 13.4.2005 n. 7640]; e per la ratifica di un contratto di affitto ultranovennale di un bene produttivo [C 16.11.2006 n. 24371].
28 Quanto all’opzione e alla prelazione, per le quali il problema presenta uno speciale rilievo pratico, la scelta viene spesso fatta dipendere dall’opinione che si abbia circa la loro natura e struttura [C 5.1.2010 n. 22589, VN 2011, 363]. Così, chi ritiene che la pre- lazione equivalga ad un preliminare unilaterale condizionato applica l’art. 1351 [tesi, questa, ancora prevalente in giurisprudenza: C 24.3.1998 n. 3091; C 13.5.1982 n. 3009, GI 1983, I, 1, 1533; C 4.3.1980 n. 1445; C 26.4.1968 n. 1270, GC 1968, I, 1670; contra C 12.4.1999 n. 3571, RN 1999, 1283; C 1.4.1987 n. 3124; XXXXXX (40), 497. Secondo XXXXX (41), II, 348, la qualificazione del patto di prelazione è questione di fatto, da risolversi caso per caso; contra XXXXXXX XXXXXXXXXX (42), 706; BRECCIA (5), 2283; XXXXXXXXX (17), 317; CATRICALÀ (8), 512; BIANCA C.M. (2), 556; VENOSTA (48), 77; ROPPO (39), 160, ritiene “preferibile la tesi della libertà di forma: sostenuta fra l’altro dal rilievo che può essere informale il contratto (come la locazione immobiliare non abitativa) che genera una prela- zione munita addirittura di efficacia reale”: può tuttavia replicarsi che nell’ipotesi richia- mata non vi è questione di collegamento con un contratto finale formale].
Riguardo all’opzione, è avviso unanime che sia il patto sia la dichiarazione di 29
esercizio del diritto debbano essere rivestiti della forma prescritta dalla legge per il negozio finale [C 13.12.1994 n. 10649; C 11.10.1986 n. 5950, GI 1987,
I, 1, 1626; C 8.11.1982 n. 5869; C 22.2.1955 n. 515; C 12.8.1955 n. 2536; C
12.12.2002 n. 17737, correttamente, estende il vincolo di forma al patto modifica- tivo dell’opzione], ma la spiegazione non è sempre soddisfacente. Così, a parte le opinioni ormai abbandonate che equiparavano l’opzione al preliminare o alla pro- posta irrevocabile, non sembra neppure accoglibile la tesi che il vincolo di forma dipenderebbe dal fatto che l’opzione in qualche modo appartiene strutturalmente alla fattispecie finale [CESARO (9); ID. (10); GENOVESE (19); XXXXX (39), 159; SACCO
(41), 748, afferma la necessità della forma per l’opzione “in quanto contiene in sé la proposta del contratto finale”]. Il problema dovrebbe invece considerarsi tuttora aperto per chi ritiene che l’opzione sia un patto autonomo strutturalmente distinto dalla fattispecie finale [questa tesi è ormai prevalente: ampi riferimenti in VENOSTA (48), 106], ma nondimeno è avviso unanime quello favorevole all’estensione del vincolo di forma.
Recentemente si è riesaminata l’intera materia della forma dei negozi preparatori, con- 30 cludendosi che ad essi si estende la forma prescritta per il contratto finale in forza di un principio generale valido per tutti gli atti appartenenti al procedimento di formazione di quest’ultimo, in quanto già gli atti preparatori fanno sorgere in capo alle parti vin-
coli preliminari-procedimentali (di varia natura ed intensità, ma comunque sempre) irretrattabili, per cui è subito necessario destare l’attenzione delle parti in ordine alla circostanza che nelle trattative, di per sé non vincolanti, è stato introdotto un elemento di vincolatività, che è stato compiuto un passo rispetto al quale non potranno tornare indietro, che esse si assumono insomma, con l’atto che sottoscrivono, un vero e proprio vincolo giuridico [VENOSTA (48), 129, 194; XXXXXXX (4), 668 s.].
X. La forma dei negozi revocatori
È opinione ormai generalmente accettata che il vincolo di forma si comunichi al nego- 31 zio risolutorio (mutuo dissenso) di un contratto formale [C 6.10.2011 n. 20445; C 14.4.2011 n. 8504; C 27.11.2006 n. 25126; C 4.7.2006 n. 15264; C 11.4.2006 n. 8422;
C 22.6.2000 n. 8491, ove il principio viene esteso all’accordo sulla modalità delle restituzioni conseguenti alla risoluzione del contratto principale; C 15.6.1993 n. 6656; C 29.4.1989 n. 2048; C 20.12.1988 n. 6959; C 11.6.1987 n. 5119, DL 1988, II, 500;
C 11.11.1986 n. 6586; C 11.9.1986 n. 5550; C Stato, sez. IV, 3.2.1996 n. 97, FA 1996,
419, applica il principio alla revoca del negozio di fondazione, per la quale richiede l’atto pubblico; ampi riferimenti di dottrina in VENOSTA (48), 208; esposizione proble- matica in SACCO (41), 749]; non mancano però opinioni diverse anche nella dottrina più recente [LUMINOSO (28), 313], mentre quella più antica propendeva per l’applicazione del principio generale di libertà. Una corrente giurisprudenziale estende il vincolo di forma alla rinuncia [C 10.6.2003 n. 9262; C 4.3.2003 n. 3166; ma non ad es. alla rinun- cia alla condizione sospensiva, convenuta nel suo esclusivo interesse, da parte del pro- missario acquirente di un immobile: tale rinuncia non deve necessariamente risultare da
atto scritto, ma può essere desunta da fatti concludenti, C 5.6.2008 n. 14938, C 2008, 10, 899] e al recesso [C 14.11.2000 n. 14730].
32 La tesi formalistica si fonda volta a volta su alcune motivazioni che possono così sin- tetizzarsi: a) ciò che è stato fatto in un certo modo può essere posto nel nulla solo nello stesso modo (principio di simmetria); b) il mutuo dissenso è un negozio che si rivolge direttamente contro il negozio precedente, e non solo (o solo mediatamente) contro il rapporto che da quello ha avuto origine; c) produce effetti identici, o comunque analo- ghi a quelli prodotti dal negozio precedente [ROPPO (38), 214 accoglie il principio for- malistico solo in questo caso], ovvero una vicenda analoga per significato e importanza;
d) è un negozio identico al precedente, ma in senso inverso; e) richiede la forma scritta in quanto abbia un mediato oggetto immobiliare.
33 Il problema è stato particolarmente trattato, e più accese sono state le dispute, con rife- rimento al mutuo dissenso del preliminare immobiliare. A un lungo contrasto giu- risprudenziale hanno posto rimedio le Sezioni Unite, le quali hanno statuito la regola della corrispondenza formale [C s.u. 28.8.1990 n. 8878, GC 1991, I, 945; l’orienta- mento si è poi affermato: C 11.10.2002 n. 14564; C 23.12.1995 n. 13104, GC 1996, I, 1340; C 18.2.1995 n. 1790]. L’argomentazione delle s.u. si snoda su due cardini:
a) l’affermazione della equiparazione, in materia di diritti reali immobiliari ed ai fini della forma, fra atto di disposizione immediato (il definitivo) e mediato (il preliminare), equiparazione che costituirebbe la ratio dell’art. 1351; b) la sostanziale identità, sotto il profilo della idoneità a produrre effetti mediati sui diritti reali immobiliari, fra il preli- minare ed il relativo negozio risolutorio.
34 Recentemente una dottrina, ricostruendo il tema ex professo, è pervenuta a risultati identici a quelli dell’insegnamento dominante, ma sulla base di argomenti diversi [VENOSTA (48), 200]. Contestate le tesi fondate sul principio di simmetria nelle sue varie forme, sulla identità o somiglianza degli effetti fra contratto risolutorio e con- tratto principale (definitivo o preliminare che sia), e infine sulla nozione di mediato oggetto immobiliare, si è ritenuto che la regola della corrispondenza formale sia istituita a tutela dell’affidamento dei terzi nella ancora attuale esistenza del contratto princi- pale, e d’altra parte sul principio di autoresponsabilità. La redazione in forma scritta di un contratto comporta la creazione di un documento che costituisce di per sé un segnale, o indice, che si è verificato un fenomeno di circolazione giuridica; ciò induce nei terzi l’affidamento circa la attuale corrispondenza di questo indice alla realtà giuri- dica; a tutela di tale affidamento, quindi, le parti hanno l’onere, quando intendono porre nel nulla la precedente operazione economica, di creare un indice di apparenza uguale e contrario, idoneo cioè non solo a far conseguire alle parti il risultato voluto, ma anche a contrastare efficacemente, soprattutto nell’interesse dei terzi, l’altro indice di apparenza ormai non più corrispondente alla realtà giuridica. In senso dubitativo, si è replicato che tale assunto si fonderebbe “su di una ragion pratica la quale potrebbe risolversi nel giustificare la conseguenza generale (da reputarsi eccessiva: già sulla base di un’attenta analisi, razionale e pragmatica), di una necessaria e costante corrispondenza di forma fra il contratto risolutorio e il rapporto che ne sia l’oggetto” [BRECCIA (4), 669].
XI. Modalità espressive ammesse; forma “espressa” e “letterale”
Come si è detto (cfr. supra, I), nella sua accezione più generale la forma negoziale 35
comprende potenzialmente qualunque modalità espressiva, con il solo limite della sua idoneità allo scopo. Per le forme vincolate, invece, vige una regola opposta, ed esse (i vincoli di forma) si contengono in un numero molto ristretto; anzi, secondo un autorevole avviso, “nell’ambito degli atti negoziali, l’imposizione di una forma vinco- lata assume univocamente il significato di forma scritta’” [GIORGIANNI (21), 1000; cfr. anche SACCO (41), 705 ss.], nelle due versioni della scrittura privata e dell’atto pubblico “considerate ormai equivalenti, in mancanza di espressa indicazione del legislatore” [XXXXXXXXXX (21), 1000].
Si è già visto che nei negozi formali deve essere redatta per iscritto la dichiarazione di 36 volontà, della quale consta il negozio; tale dichiarazione, però, in generale non deve necessariamente essere espressa, potendo risultare anche indirettamente da formule incompatibili con una diversa volontà (c.d. dichiarazioni tacite) [C 25.10.2010 n. 21844,
GC, 2010, I, 2420 a proposito della ratifica di un contratto formale; C 30.10.2009
n. 23066, DeG 2009, sulla dichiarazione di nomina del terzo; C 29.9.2006 n. 21254; C 23.12.2004 n. 23966; C 29.11.2001 n. 15164, NGCC 2002, 641; C 26.11.2001 n. 14944; C 10.5.1996 n. 4400, CG 1996, 1115, nt. DI MAJO; XXXXXXX-XXXXXX (25), 418 con ulteriori richiami; ROPPO (39), 217; BIANCA C.M. (3), 289; contra DI XXXXXXXX (14), 769; C 6.4.2009 n. 8234]; se però una siffatta volontà non risulta neppure direttamente dalle espressioni usate dalle parti, il contratto non è nullo per difetto della forma bensì inesistente per difetto dell’accordo. Va infatti sottolineato che quello di cui si discorre non è, a ben vedere, un problema di forma: se vi è un testo scritto il requisito è rispettato, ma se da quel testo non è desumibile con certezza una qualche volontà negoziale il for- malismo è frustraneo perché si riferisce ad un quid che non è un contratto. Se invece la volontà emerge, sia pure indirettamente e per via di interpretazione logica, non si vede perché non debba riconoscersi la validità del contratto così accertato, il che impliche- rebbe, fra l’altro, una grave difficoltà nell’applicazione ai contratti formali delle regole dell’interpretazione legale [cfr. CIAN (12), 27 ss.]. A quest’ultimo proposito, C 4.6.2003
n. 8080 conferma che nei contratti formali “il criterio ermeneutico della valutazione del comportamento complessivo delle parti (...) non può evidenziare una formazione del consenso al di fuori dello scritto medesimo”.
Vi sono però dei casi in cui la legge sembra richiedere una volontà espressa; limi- 37
tandoci alla materia strettamente contrattuale, possiamo ricordare gli artt. 1230, c. 2 e 1232 in materia di novazione oggettiva; 1268, c. 1, 1272, c. 1, 1273, c. 2, 1274, 1275 in tema di successione nel debito; 1456, c. 2, in tema di clausola risolutiva espressa; 1937 in tema di fideiussione; 2879 in tema di rinuncia all’ipoteca. Sennonché, anche qui si può dubitare che ci si trovi sempre di fronte a veri e propri requisiti di forma ad substantiam. Quanto alla novazione oggettiva, la giurisprudenza ammette che l’animus novandi, pur dovendo “risultare in modo non equivoco”, possa desumersi anche da fatti concludenti [C 6.4.2004 n. 6774; C 23.12.1987 n. 9620; C 23.10.1979 n. 5538; C
8.10.1969 n. 3225; C 3.10.1967 n. 2259]. Quanto ai vari casi di successione nel debito,
l’orientamento è tendenzialmente più rigido [C 21.8.1985 n. 4469, GI 1986, I, 1, 1039; C 19.8.1983 n. 5403], ma occorre tuttavia considerare che: a) si ritiene che non debbano essere usate formule rituali o sacramentali, ed anzi una sentenza ha ammesso la libera- zione del debitore originario per fatto concludente [C 21.11.1983 n. 6935]; b) un caso di liberazione implicita è previsto dall’art. 1273, c. 2, ove dispone che la semplice adesione del creditore all’accollo importa liberazione del debitore originario “se ciò costituisce condizione espressa della stipulazione” (può, cioè, non esservi espressa accettazione della condizione da parte del creditore); c) autorevole dottrina ha ravvisato la libe- razione tacita del debitore originario nell’ipotesi che il creditore-delegatario notifichi la cessione del credito al solo delegato, non potendosi ritenere che egli “abbia voluto conservare per sé il diritto contro il debitore originario” [XXXXXXXX (37), 975]. I tre pro- fili considerati sembrano difficilmente conciliabili con la qualificazione della volontà espressa come requisito di forma; e ugualmente può dirsi dello stesso carattere generico ed “elastico” della formula “espresso” o similari: i requisiti formali, infatti, data la loro eccezionalità, dovrebbero lasciare minor spazio all’arbitrio dell’interprete. Le norme richiamate, quindi, sembrano solo manifestazione di una scelta di fondo del legisla- tore in favore del carattere cumulativo delle successioni nel debito, salvo, appunto, che una contraria volontà risulti “espressamente”. Analogo discorso meritano gli altri casi considerati, ammettendosi generalmente anche in relazione ad essi che “espresso” non equivale a “letterale”, e che, quindi, la volontà non deve necessariamente risultare da formule sacramentali, ma è sufficiente che essa emerga inequivocamente dal testo e venga come tale riconosciuta dal giudice con apprezzamento di fatto insindacabile in cassazione [C 17.10.1992 n. 11419, GI 1994, I, 1, 1649; C 3.9.1982 n. 4811, BBTC
1983, II, 419; C 8.5.1981 n. 3027, GI 1982, I, 1, 281; C 26.6.1968 n. 2154, GC 1968,
I, 1780; C 10.6.1968 n. 1724, GI 1969, I, 1, 722; C 13.12.1966 n. 2897]. Forse, quindi,
vale la pena di abbandonare la prospettiva del requisito formale, e ritenere che nei casi accennati il giudice incontri nella ricostruzione della volontà delle parti dei limiti di tipo interpretativo, attinenti alla inutilizzabilità di elementi extratestuali e di criteri ermeneutici legali diversi da quello risultante dall’art. 1362, c. 1, restrittivamente inteso; e comunque con assoluta esclusione dell’interpretazione integrativa.
38 Diverso è invece il caso delle c.d. forme letterali (ad es., l’uso della parola “cambiale”), che costituiscono sicuramente altrettante forme vincolate [SACCO (41), 769; CIAN (12), 9].
39 E diverso è, ancora, il ragionamento che va fatto per la specifica approvazione scritta delle clausole vessatorie (art. 1341, c. 2). Qui vi è sicuramente un requisito di forma (la scrittura), al quale però si aggiunge l’ulteriore requisito del carattere specifico dell’approvazione, che non attiene alla forma ma “concerne un modo particolare di formazione del contratto, riferibile ai contratti contenenti condizioni generali predi- sposte unilateralmente da una delle parti, il contenuto dei quali, ai fini dell’acquisi- zione del consenso (art. 1325 n. 1) viene ‘frammentato’, e il consenso finale deve avere ad oggetto sia il contratto nel suo complesso, sia i singoli suoi frammenti” [VENOSTA (47), 658, ove ulteriori richiami; conf. CHINÈ (11), 510; la giurisprudenza, però, persiste nel qualificare quello in esame come vero e proprio requisito di forma: C 14.2.2000 n. 2147; C 17.5.1999 n. 4794; C 1.3.1995 n. 2313; C 27.10.1987 n. 7925, GI 1988, I, 1,
1180; si limita, invece, almeno nella massima, a confermare che la ratifica deve essere fatta per iscritto, ammettendo, peraltro, che essa può risultare anche per implicito, C 19.5.2008 n. 12647, MGI 2008].
XII. Neoformalismo negoziale
Solo alcuni accenni possono essere dedicati al vastissimo fenomeno del c.d. neofor- 40 malismo negoziale, spesso di derivazione comunitaria, con particolare riguardo alle innovazioni per così dire qualitative, non limitate cioè alla semplice estensione in senso quantitativo dei casi di forma vincolata.
In primo luogo va accennato ai requisiti di forma-contenuto, che si hanno quando le 41
norme, oltre a prescrivere la forma scritta, “dispongono che il contratto contenga tutta una serie di elementi anche non essenziali, e la cui mancanza di regola non determine- rebbe nullità; e la ratio di siffatte previsioni impone di ritenere che tutti questi elementi a loro volta debbano risultare per iscritto” [XXXXX (39), 213].
Ancora, vengono introdotte forme vincolate diverse da quelle tradizionali (in buona 42 sostanza, diverse dalla pura e semplice scrittura), che potrebbero anche comportare la necessità di un ampliamento dello stesso concetto ricevuto di forma negoziale. Una ipotesi potrebbe essere quella delle norme ispirate al principio di trasparenza, come ad
es. quelle del codice del consumo che impongono la redazione delle clausole “in modo chiaro e comprensibile” (artt. 34 c. 2, 35 c. 1) [VENOSTA (49)]. Va peraltro osservato che è contestato in dottrina che i precetti di trasparenza attengano alla forma del contratto [da ultimo, PAGLIANTINI (34)].
Infine, va ricordata la diffusa tendenza ad introdurre vincoli di forma che attengono sì 43 all’attività negoziale (o prenegoziale) delle parti, ma non (o almeno: non direttamente) alla fattispecie del contratto, anche se in certi casi la loro violazione può riverberarsi sul con- tratto. Particolarmente ciò vale per certi oneri, di cui una delle parti viene gravata in funzione
di riequilibrio di una situazione di asimmetria informativa, e che possono concernere sia la fase precontrattuale sia quella della vera e propria confezione del testo contrattuale. L’economia del presente lavoro non consente neppure di accennare ai vari specifici casi in cui ciò avviene [v. però LOMBARDI (27); sul tema in generale da ultimo XXXXX (16)].
Ipotesi particolari di un certo rilievo sono costituite dal requisito della forma scritta per 44 gli accordi che prevedono la riduzione delle tariffe a forcella minime applicabili per i trasporti di merce su strada, ex art. 13, c. 5, d.m. 18.11.1992 [C 30.10.2012 n. 18646];
e dal recente art. 62, D.l. 24.1.2012 n. 1 che ha imposto rigorosi e complicati vincoli di forma per i “contratti che hanno ad oggetto la cessione dei prodotti agricoli e alimentari, ad eccezione di quelli conclusi con il consumatore finale”.
XIII. Casistica
In giurisprudenza, si è ritenuto che sussiste l’onere della forma scritta ad sub- 45
stantiam nei seguenti casi: accordo per l’unificazione di più masse comuni
immobiliari [C 21.5.1979 n. 2937, RN 1979, 1494]; vendita obbligatoria immobi-
liare [C 6.11.1991 n. 11840; C 27.6.1987 n. 5716; C 13.12.1980 n. 6464; contra, per
una vendita obbligatoria atipica, C 18.6.1983 n. 4196]; datio in solutum avente ad oggetto un immobile [C 16.7.1976 n. 2812, GC 1976, I, 1779]; regolamenti di con- dominio che introducono limitazioni al diritto del singolo condomino sulla proprietà esclusiva [C 18.4.2002 n. 5626; C 4.2.1992 n. 1195, GC 1992, I, 2407; C 13.9.1991
n. 9591, GI 1992, I, 1, 1530]; regolamenti condominiali in generale [C 16.9.2004 n. 18665; C s.u. 30.12.1999 n. 943; C 14.11.1991 n. 12173, GI 1993, I, 1, 185], salvo che per le pattuizioni sulla ripartizione delle spese [C 2.6.1999 n. 5399; C 16.7.1991
n. 7884]; conferimento immobiliare in proprietà o in godimento ultranovennale in società di fatto [C 11.4.1995 n. 4169, GI 1996, I, 1, 806; C 15.4.1992 n. 4569; C 2.7.1990 n. 6765; C 26.6.1990 n. 6491; C 4.7.1987 n. 5862, FI 1988, I, 471; C 13.1.1981 n. 293]; autorizzazione ad aprire una veduta a distanza inferiore a quella legale [C 7.7.2006 n. 15430; C 26.4.2006 n. 9576] transazione avente ad oggetto la proroga del termine per la stipulazione di compravendita immobiliare definitiva [C 13.8.1985 n. 4436] ovvero il riconoscimento della comunione del muro di con- fine [C 18.3.1955 n. 820, GC 1955, I, 685]; contratti agrari conclusi dalla pubblica amministrazione, anche in deroga all’art. 41 l. 3.5.1982 n. 203; riconoscimento del debito da parte della pubblica amministrazione [C 6.12.2007 n. 25435, GC 2008, 7-8, 1709]; rinuncia ad un legato immobiliare [C 22.7.2004 n. 13785; C s.u. 29.3.2011
n. 7098, GC 2011, I, 1709; C 22.6.2010 n. 15124]; per la rinuncia all’eredità provvede l’art. 519: [C 12.10.2011 n. 21014] rinuncia ad una servitù [C 12.5.2011 n. 10457; C 28.11.2012 n. 21127 ha chiarito che tale rinuncia può essere integrata dalla sotto- scrizione di atti di tipo diverso richiamati nel contratto, come le piante planimetriche]. La rinuncia all’usufrutto non richiede la forma della donazione, in quanto il conso- lidamento con la nuda proprietà costituisce un effetto ex lege [C 10.1.2013 n. 482]; unificazione delle masse nel caso di divisione immobiliare di masse plurime [C 6.2.2009 n. 3029].
46 Xxxxxxxxx invece sottratti al requisito della forma: le rinunce aventi ad oggetto solo mediato un diritto reale immobiliare, e così la rinuncia alla azione di risoluzione di un contratto col quale si è trasferito un immobile [C 16.2.1988 n. 1661; C 6.7.1984
n. 3965]; la rinuncia ad avvalersi della condizione [C 12.1.2006 n. 419; C 5.9.1989 n. 3851; C 6.7.1984 n. 3965, GI 1986, I, 1, 1114; contra, sul presupposto che la rinuncia fosse in realtà l’esercizio di un’opzione, C 30.10.1992 n. 11816, GC 1993, I, 1225]; la rinuncia al possesso [C 28.11.1992 n. 12279; C 30.4.1982, GI 1983, I, 1, 1313]; costituzione di un consorzio tra proprietari di immobili in zone resi- denziali, a meno che sia conferito il godimento ultranovennale di un immobile [C 14.2.2005 n. 2960]; preliminare di cessione di cubatura [C 24.9.2009 n. 20623]; conferimento di un immobile in una associazione in partecipazione [C 20.7.1962
n. 1977]; accordo per apposizione di termini o regolamento di confini [C 3.5.2001 n. 6189; C 27.9.1993 n. 9727; C 7.12.1991 n. 13212; C 9.5.1978 n. 2241]; promessa del fatto del terzo [C 13.11.1974 n. 3601, GC 1975, I, 1206]; comodato immobiliare anche ultranovennale [T Lamezia Terme 12.10.2011; C 3.4.2008 n. 8548, C 2008,
8-9, 825; C 6.10.1998 n. 9909, CG 1999, 329; C 4.12.1990 n. 11620, GI 1992, I, 1,
1809; C 8.8.1979 n. 4632]; contratto di ormeggio [C 21.9.2011 n. 19201]; atto di tra- sferimento di quote di partecipazione in società di persone [C 11.3.2003 n. 3556] e in società a responsabilità limitata [C 16.12.2010 n. 25468; C App. L’Aquila 15.9.2012 n. 1185, GD, 46, 90, ha però affermato che la cessione di una partecipazione in una cooperativa deve avvenire per atto pubblico o, quanto meno, per scrittura pri- vata autenticata, di modo che ad una scrittura privata non autenticata potrebbe essere riconosciuto solo un effetto obbligatorio]; l’avviso di convocazione dell’assemblea di condominio [C 1.4.2008 n. 8449, che ha motivato nel senso che non è previsto che il relativo invito debba rivestire alcun obbligo di forma, tanto che la comunicazione può essere fatta anche oralmente, in base al principio della libertà delle forme, laddove queste non siano prescritte dalla legge o convenute dalle parti ovvero quando tale prin- cipio non sia derogato dal regolamento che imponga modalità di notifica, in mancanza delle quali l’assemblea non può dirsi regolarmente costituita]; mandato a riscuotere un credito [C 13.11.2009 n. 24128].
Sono invece soggetti alla medesima forma prescritta per il contratto principale cui 47
accedono: l’accordo per la cessione del contratto [C 1.8.2001 n. 10498; C 6.11.1999
n. 12384]; il compromesso per arbitrato irrituale, che ha sostanzialmente la natura di un mandato [C 4.11.2004 n. 21139; C 7.7.1999 n. 7048; C 5.9.1992 n. 10240; C 2.7.1990 n. 6764, GI 1990, I, 1, 1694; C 21.10.1982 n. 5485; C 28.3.1972 n. 994, GC 1972, I, 81; C 16.5.1962 n. 1070]. La procura conferita al difensore per il compi- mento di attività stragiudiziali non va soggetta a requisiti di forma anche se gli atti da compiersi debbano rivestire ex lege la forma scritta [TAR Lombardia Milano, III, 10.11.2011 n. 2714, FA TAR 2011, 3407].
Infine, è quasi indiscussa l’opinione che il negotium mixtum cum donatione sia valida- 48
mente concluso secondo i requisiti formali del tipo cui formalmente appartiene, mentre non è necessaria l’adozione della più grave forma che è prescritta per la donazione [C 9.2.2011 n. 3175; C 17.11.2010 n. 23215, GC 2011, I, 649; C 3.11.2009 n. 23297, GC
2010, I, 1134; C, SU, 12.6.2006 n. 13524, RNot. 2007, 164; C 10.4.1999 n. 3499, GI
1999, 2017; X 00.0.0000 x. 0000, XX 1997, I, 743; C 23.2.1991 n. 1931; C 28.11.1988
n. 6416]; in altre sentenze, però, si afferma che è necessario verificare se nel caso con- creto prevalga la causa onerosa o quella liberale, al fine di applicare in quest’ultimo caso il regime formale della donazione [C 29.5.1999 n. 5265; C 13.7.1995 n. 7666].
BIBLIOGRAFIA: (1) XXXXXXX, A proposito della forma negli atti giuridici, Jus 1940, 443; (2) BIANCA C.M., Struttura del negozio di prelazione e opponibilità ai terzi, a cura di XXXXXXXXX-XXXXXXXXX, Prelazione e retratto, Milano 1988, 556; (3) ID., Diritto civile, Il contratto, III, II ed., Milano 2000; (4) BRECCIA, La forma nel Tratt. Roppo, I, Milano 2006; (5) ID., Buona fede e patto di prelazione, FI 1968, I, 2283;
(6) ID., Causa, Contratto in generale, Xx. XXX., XXX, Xxxxxx 0000; (7) CATAUDELLA, Il contratto-parte generale, Torino 2000; (8) CATRICALÀ, Patto di preferenza, EdD, XXXII, Milano 1982, 512; (9) CESÀRO, Il contratto e l’opzione, Napoli 1969; (10)
ID., Opzione nel contratto, EdD, XXX, Milano 1980, 561; (11) CHINÈ, La contrat- tazione standardizzata, Contratto in generale, Xx. XXX., XX, Xxxxxx 0000, 510; (12) CIAN, Forma solenne e interpretazione del negozio, Padova 1969; (13) DI XXXXXXXX, Il tipo e la forma, Padova 1992; (14) ID., Forma, I contratti in generale, a cura di XXXXXXXXX X., Torino 1999, II ed., 767; (15) FAVALE, Forme “extralegali” e autono- mia negoziale, Napoli 1994; (16) XXXXX, Dalla forma alle forme. Struttura e fun- zione del neoformalismo negoziale, Milano 2011; (17) XXXXXXXXX X., Il contratto preliminare, Milano 1970; (18) GAMBARO, Il diritto di proprietà, Xx. Xxxx-Xxxxxxxx- Xxxxxxx, Xxxxxx 0000; (19) GENOVESE, Il contratto di opzione, nuovo strumento per la formazione dei contratti, RDComm 1965, I, 163; (20) GIOIA, Nuove nullità relative a tutela del contraente debole, CI 1999, 1343; (21) GIORGIANNI, Forma degli atti, EdD, XVII, Milano 1968, 988; (22) IRTI, Idola libertatis, Milano 1985;
(23) LISERRE, Formalismo negoziale e testamento, Milano 1966; (24) ID., Forma degli atti I) diritto civile, EGT, XIV, Roma 1989; (25) XXXXXXX-XXXXXX, Forma, Il contratto in generale, Xx. XXX., XXX, Xxxxxx 0000, 395; (26) XXXXXXX, Formalità e procedimento contrattuale, Milano 2008; (27) LOMBARDI, Forma legale e tecniche formative del contratto, Napoli 2005; (28) LUMINOSO, Il mutuo dissenso, Xxxxxx 0000; (29) XXXXXXX, Garanzia dell’atto pubblico e relatio nei negozi solenni, RDComm 2000, I, 219; (30) ID., La forma del contratto in generale, I contratti in generale, a cura di CENDON, VII, Torino 2000; (31) MODICA, Vincoli di forma e disciplina del contratto, Milano 2008; (32) NICOLÒ, La relatio nei negozi formali, RDC 1972, I, 117; (33) ORLANDI, La paternità delle scritture, Milano 1997; (34) XXXXXXXXXXX, Commento all’art. 1350, Commentario del codice civile, diretto da XXXXXXXXX X., Dei contratti in generale, a cura di XXXXXXXXXX e ORESTANO, II, Torino 2011; (35) PERLINGIERI, Forma dei negozi e formalismo degli interpreti, Napoli 1987; (36) XXXXXXXX, Accollo, DI IV civ., I, Torino 1987, 40; (37) ID., Delegazione (dir. civ.), EdD, XI, Milano 1962, 929; (38) XXXXX, Trasparenza e “xxxxxxxxx xxx xxxxxxxxxxx”, Xxxxxx 0000; (39) XXXXX, Il contratto, Milano 2011; (40) XXXXXX, La compravendita, Xx. Xxxx-Xxxxxxxx, Xxxxxx 0000; (41) SACCO, Il contratto, Xx. Xxxxx, Xxxxxx 0000; (42) XXXXXXX XXXXXXXXXX, Struttura e funzione della prela- zione convenzionale, RTDPC 1981, 706; (43) XXXXXXXXXXX, Dichiarazione (teoria gen.), EdD, XII, Milano 1964, 371; (44) SCOGNAMIGLIO, Sub art. 1350, Com. S.B., Bologna-Roma 1970, 397; (45) XXXXXXX, Atti che devono farsi per iscritto, I contratti in generale, a cura di XXXXXX, VII, Torino 2000; (46) XXXXXX XXXXXXX, Nullità del contratto per difetto di forma e locazione di fatto degli immobili ad uso abitativo, GC 1999, II, 381; (47) VENOSTA, Condizioni generali vessatorie, forma della ratifica e nullità parziale del contratto, BBTC 1990, I, 646; (48) ID., La forma dei negozi preparatori e revocatori, Milano 1997; (49) ID., Profili del neoformalismo negoziale: requisiti formali diversi dalla semplice scrittura, OC 2008, 872; (50) ID., Forme telematiche e precetto di trasparenza, OC 2008, 968;
(51) ID., Inizio dell’esecuzione e conclusione dei contratti formali: gli artt. 1327
c.c. e 2, comma 2, della legge sulla subfornitura, RaDC 2010, 1133; (52) XXXXXXX, Applicazioni e portata del principio di tassatività delle forme solenni, QUAD 1989, 55.