nel senso di porre fine a un rapporto preesistente
Secondo l'art. 1321 del Codice Civile, il contratto è l'accordo di due o più parti per costituire, regolare o
estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale".
nel senso di porre fine a un rapporto preesistente
cioè apportare una qualsiasi modifica ad un rapporto già esistente
nel senso di incidere sulla situazione e sugli interessi delle parti introducendo un nuovo rapporto
necessariamente bilaterale o plurilaterale, o quantomeno non coincidenti
CONTRATTO
RIASSUNTO
1 Le classificazioni dei contratti
contratti tipici e contratti atipici, a seconda che le parti abbiano deciso di utilizzare uno schema negoziale già previsto dal legislatore o se, invece, abbiano deciso di costruire uno schema negoziale nuovo, purché sia diretto a realizzare "interessi meritevoli di tutela" secondo l'ordinamento giuridico.
contratti ad efficacia reale e contratti ad efficacia obbligatoria, a seconda che trasferiscano la Proprietà di una cosa determinata, diritti reali o altri diritti con il semplice consenso legittimamente manifestato o se, invece, creino solo obbligazioni.
contratti consensuali e contratti reali, a seconda che si concludano con il semplice consenso manifestato o se, invece, necessitino della consegna materiale della cosa al fine della valida stipulazione.
contratti con prestazioni a carico di una sola parte o contratti unilaterali e contratti a prestazioni corrispettive; i primi prevedono che solo una delle parti del rapporto debba dare, fare o non fare qualcosa, laddove i secondi prevedono uno scambio di prestazioni (questi ultimi vengono anche detti "sinallagmatici", dal nome dello scambio corrispettivo, il cosiddetto sinallagma).
contratti a titolo oneroso, contratti a titolo gratuito; i primi sono contratti che prevedono un sacrificio patrimoniale in cambio di un acquisto, i secondi vedono un acquisto patrimoniale senza sacrificio.
contratti associativi e contratti di scambio; i primi vedono tutte le parti del contratto concordi al fine di
realizzare un interesse comune (ad es. contratto di società), i secondi vedono le parti in conflitto di interessi, volendo ciascuna di esse massimizzare la propria utilità ritraibile dalla pattuizione (ad es. compravendita).
contratti solenni o formali e contratti a forma libera, a seconda che sia stata espressamente prevista una forma specifica per la loro stipulazione o meno.
contratti aleatori e contratti commutativi a seconda che il valore concreto della prestazione e della controprestazione dipenda da un fattore di incertezza (ad es. scommessa) ovvero che non implichi l'assunzione di un rischio in quanto le parti sanno, fin dal momento in cui concludono il contratto quale sarà l'entità dello svantaggio e del vantaggio conseguito con il contratto
contratti di durata e contratti istantanei, a seconda che essi regolino un rapporto destinato a durare nel
tempo, con una pluralità di prestazioni e controprestazioni (ad es. contratto di utenza telefonica) o se, invece, regolino un rapporto che si svolge in un solo momento (ad es. compravendita).
2 Requisiti essenziali del contratto
Elementi essenziali
Il contratto scaturisce dallo scambio del consenso: due o più persone si accordano sul contenuto del contratto che debbono concludere e si impegnano a vicenda. Il rapporto giuridico su cui verte l'accordo delle parti non può che
essere un bene in senso ampio suscettibile di valutazione economica. I requisiti essenziali del contratto elencati all'art 1325 del c.c. sono:
l’accordo delle parti (o consenso): l'incontro delle volontà delle parti;
la causa: la funzione economico-sociale del contratto, così definita dalla relazione di accompagnamento al Codice Civile;
l’oggetto: la prestazione che deve essere eseguita dal debitore in favore del creditore; dev'essere: POSSIBILE (quando è un qualcosa che esiste o può venire ad esistenza), LECITA (quando non è contrario a norme imperative, all'ordine pubblico ed al buon costume) DETERMINATA o DETERMINABILE (quando viene
determinata quantità e qualità);
la forma: il modo in cui si manifesta la volontà. Nel nostro ordinamento vige il principio di libertà della forma, ma in alcuni casi può essere richiesta una forma determinata affinché il contratto sia valido (es. la forma scritta per i contratti immobiliari).
La mancanza anche di uno solo di questi requisiti genera nullità del contratto (art. 1418)
Elementi accidentali
All'interno di un contratto possono essere previsti degli elementi non essenziali, ma che hanno comunque la funzione di rispondere a specifiche esigenze della vita di scambio, i più diffusi sono disciplinati dagli artt. 633 ss. e 1353 ss. del Codice Civile e sono:
la condizione; può essere definita come un avvenimento futuro e incerto dal quale dipende il prodursi degli effetti del contratto o di un suo singolo patto, ovvero l'eliminazione degli effetti già prodotti.
il termine; può essere definito come l'evento futuro e certo dal quale si producono gli effetti del contratto
il modo o onere; è una clausola accessoria che si appone solo agli atti di liberalita' (istituzione di erede, legato, donazione) allo scopo di limitarne gli effetti.
Rientrano inoltre fra gli elementi accidentali del contratto tutte quelle clausole che le parti decidono di apporvi allo scopo di precisarne o modificarne il contenuto. Oltre a quelle già citate il Codice Civile disciplina la clausola
penale (artt. 1382-1384) e lacaparra (artt. 1385 e 1386).
3 Formazione dei contratti
Il contratto si forma attraverso:
lo scambio di una proposta e di una accettazione
la redazione comune del testo negoziale seguita dal consenso delle parti (dichiarazioni congiunte e simultanee)
l'inoltro di un ordine (forma) con avviso di ricezione automatica (è fenomeno proprio della contrattazione on line, cosiddetto Contratto telematico).
La proposta, è l’atto con il quale una parte prospetta all’altra il contenuto del contratto. L’accettazione, esprime la volontà di vincolarsi al contenuto della proposta. Il contratto si considera concluso quando il proponente viene a conoscenza dell'accettazione dell'altra parte. L'art. 1335 statuisce che la conoscenza si presume nel momento in cui la dichiarazione giunge all'indirizzo del destinatario, ossia del proponente. Essa è accertabile con una raccomandata con ricevuta di ritorno.
4 Efficacia dei contratti
L'articolo 1372 del Codice civile tratta dell'efficacia dei contratti.
Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge. Il contratto è contemporaneamente un atto giuridico (crea un rapporto) e un regolamento (disciplina il rapporto). Ove vi fossero dei conflitti da dirimere nascenti dall’ipotesi in cui vi siano una pluralità di aventi causa dallo stesso autore tra cui sia sorto un conflitto, questi si risolve ricorrendo a criteri espressamente stabiliti a seconda che si tratti di un acquisto di un diritto: immobiliare (primo che ha trascritto l’atto); mobile (che ha ricevuto il possesso in buona fede); credito (chi primo ha notificato la cessione al debitore); personale di godimento (chi lo ha conseguito per primo). Ove questi criteri non siano applicabili la regola è quella della priorità nella conclusione del contratto. Alcune volte il contenuto volontario dell’atto può essere integrato da alcune clausole consuetudinarie inserite perché ad
esempio tipiche di determinati mercati (integrazione del contenuto negoziale); tale integrazione può essere riferita anche agli effetti del contratto: principalmente per volontà delle parti ma qualora questi non vi abbiano provveduto si ricorre alla legge; laddove anche quest’ultima sia lacunosa si ricorre agli usi od infine al criterio dell’equità.
Il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge come previsto, ad esempio, all'art. 1401 c.c. "Riserva di nomina del contraente" ove è previsto che "nel momento della conclusione del contratto (1326) una parte può riservarsi la facoltà di nominare successivamente la persona che deve acquistare i diritti e assumere gli obblighi nascenti dal contratto stesso." (Contratto per persona da nominare)
L’espressione “il contratto ha forza di legge tra le parti” significa che le parti non possono sottrarsi al dovere di osservare il contratto, secondo il tenore di esso nel suo complesso e nelle sue singole parti. Chi tra i contraenti risulta inadempiente ne sopporta la responsabilità. Il vincolo contrattuale resta in vita per tutto il tempo del contratto.
Il contratto produce effetti grazie al consenso prestato dalle parti. Se il contratto è annullato, rescisso o risolto, perde la sua efficacia. Il contratto nullo non produce effetti fra le parti e nei confronti dei terzi.
Il contratto annullabile produce effetti fino a quando la parte debole (contraente) non richiede esplicitamente al giudice l'annullabilità del contratto. La nullità è imprescrittibile mentre l'annullabilità cade in prescrizione dopo un periodo di 5 anni.
5 Cessione del contratto
Per approfondire, vedi la voce Cessione del contratto.
È il negozio che realizza il mutamento di una delle parti del contratto attraverso il trasferimento dell'intera posizione giuridica negoziale in favore del terzo acquirente.
Il consenso se accettato alla cessione può essere dato preventivamente, nell'ambito della stipulazione del contratto originario, oppure successivamente, mediante approvazione del contratto di cessione, pertanto, essere comunicato al terzo contraente ceduto.
6 Esecuzione dei contratti
Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede.
L’invalidità riguarda il contratto come atto, la risoluzione invece, opera direttamente sul rapporto
contrattuale. L’invalidità, infatti, sussiste quando sono presenti difetti originari nel contratto che lo viziano. Il contratto che può essere risolto, invece, è nato completamente valido: solo successivamente, sono sopravvenute delle situazioni per cui il contratto si è inserito in un contesto molto diverso rispetto a quello in cui è nato. Allora, una delle due parti può chiedere la risoluzione. La legge definisce tassativamente i casi in cui questo può avvenire: per inadempimento dell'altra parte (nel qual caso si può comunque intervenire anche con un'eccezione sospensiva o chiedendo l'adempimento), per eccessiva onerosità sopravvenuta e per impossibilità sopravvenuta della prestazione.
Spiegazioni detagliate:
Contratto tipico
Con il termine Contratto tipico si intende far riferimento a uno schema contrattuale previsto espressamente dall'ordinamento giuridico, la cui disciplina è dettata dal codice o da una legge speciale.
La necessità di ordinare i contratti in categorie tipiche e di dare un ruolo all'autonomia negoziale, ha origine nel diritto comune,con l'affermarsi del principio del primato della legge.
- Caratteri
Lo schema negoziale del contratto tipico, per come previsto dalla legge, ha carattere dispositivo rispetto alla volontà delle parti. In altri termini, le regole che compongono la disciplina del singolo contratto tipico si applicano, se le parti, nell'ambito della loro autonomia contrattuale, non ne hanno previste di diverse. In alcuni casi tuttavia, sono previste, all'interno delle discipline dei singoli contratti, delle norme
imperative che sono inderogabili, ovvero non modificabili dalle parti.
La "tipicità" non deve essere confusa con la tassatività: è tipico ciò che risponde ad un "tipo astratto"; è tassativo ciò che si applica strettamente nei casi previsti dalla norma. Il contratto tipico non è
Contratti atipici
I contratti che si differenziano dagli schemi tipici, e per questo detti atipici, sono ammessi dall'ordinamento giuridico.
Tipologie
I Contratti tipici sono suscettibili di diverse classificazioni; una delle più comuni suddivide i contratti tipici, in:
Contratti di scambio:
Contratti che realizzano un do ut des:
La compravendita:
Il Contratto di borsa; Il riporto;
La somministrazione;
Contratti che realizzano un do ut facies:
Contratti di cooperazione nell’altrui attività giuridica:
La commissione; La spedizione;
Il contratto di agenzia; La mediazione; Contratti reali:
Il deposito; Il comodato; Il mutuo;
Contratti bancari:
Il conto corrente; L'apertura di credito; Lo sconto;
Le cassette di sicurezza;
Contratti aleatori: La rendita; L'assicurazione; Gioco e scommessa;
Contratti diretti a costituire una garanzia:
Contratti diretti alla composizione e prevenzione delle liti:
La transazione; Il compromesso;
La cessione di beni ai creditori; Il sequestro convenzionale;
Contratti disciplinati da leggi speciali:
Il franchising; La joint venture; L'engineering; La subfornitura;
I contratti a distanza;
Contratto ad efficacia reale
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L'istituto del contratto ad efficacia reale è regolato dallart. 1376 c.c. Esso dispone che laddove un contratto abbia per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, il trasferimento o costituzione di un diritto reale o il trasferimento di un altro diritto, il trasferimento è l'effetto del "solo consenso legittimamente manifestato".
- Genesi del principio
La regola apparirebbe ovvia ed inutile se non fosse intesa alla luce dei precedenti storici.
Nell'ordinamento romano, quando l'accordo prevedeva il trasferimento di un diritto, l'effetto traslativo non si produceva quale conseguenza diretta dell'accordo, ma richiedeva un secondo atto negoziale unilaterale, avente, esso sì, il menzionato effetto: il primo negozio si limitava ad obbligare la parte titolare del diritto a realizzare il successivo negozio di trasferimento. Si aveva, dunque, una dissociazione tra il titulus (cioè l'accordo di base, puramente obbligatorio) ed il modus (il successivo negozio di trasferimento).
Nel XVIII secolo - con l'Illuminismo - si fece strada l'idea che la volontà creatrice tutto potesse e che perciò, se le parti sol lo volessero, fosse consentito dar luogo al trasferimento quale effetto diretto del negozio tra loro stipulato. Riconosciuto tale potere alle parti, col Codice civile del 1865 ciò che era una mera facoltà divenne la regola legale posta a presidio di ogni contratto avente ad oggetto il trasferimento di diritti.
- Contenuto ed ambito di applicazione
L'art. 1376 esprime così la fondamentale norma secondo cui quando il contratto ha per oggetto "il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la costituzione di o il trasferimento di un diritto reale, ovvero il
trasferimento di un altro diritto" l'effetto in parola è prodotto (non importa se contestualmente o no) unicamente dal contratto medesimo senza la necessità dell'intermediazione di un successivo negozio.
Questo è il principio dell'efficacia reale del contratto (regola anche espressa dalla formula "principio consensualistico"). L'eventuale dubbio in ordine all'applicazione della suddetta regola a contratti aventi ad oggetto diritti su cose altrui, future o generiche è fugato dall'art. 1476, n. 2 cod. civ. da cui si ricava che in queste ipotesi l'acquisto del diritto in capo al compratore non è effetto immediato del contratto, ma ciò non vuol anche dire che l'acquisto medesimo non sia comunque un effetto del contratto. È un errore, dunque, pensare che i contratti ove il trasferimento del diritto non sia immediato (es. vendita di cosa altrui, di cose generiche, di cose future) non siano anche retti dal principio consensualistico. V'è però da notare che i menzionati negozi sono comunque descritti, in dottrina, come contratti ad efficacia obbligatoria, sebbene la locuzione non possa essere intesa con lo stesso significato che assume rispetto all' emptio-venditio o alla compravendita disciplinata dal BGB.
- Sulla natura derogabile del principio consensualistico
In dottrina non v'è unanimità in ordine alla natura derogabile o no dell'art. 1376 c.c. Secondo alcuni la norma è d'ordine pubblico; dunque i privati non potrebbero stipulare contratti aventi per oggetto il trasferimento di un diritto e pretendere di conferire al negozio effetti puramenti obbligatori; secondo altri siffatta deroga sarebbe sempre possibile. In particolare il cosiddetto contratto preliminaread effetti anticipati sarebbe da questi autori indicato quale esempio di vendita puramente obbligatoria (tale tesi importa, ovviamente, che il contratto citato venga del tutto sottratto alla qualifica di negozio preliminare).
Contratto a efficacia obbligatoria
Si parla di contratto ad effetti obbligatori per mettere in evidenza l'attitudine del contratto a creare rapporti di obbligazione, a prescindere da eventuali ulteriori effetti reali che possano determinarsi in base ad esso.
Contratto consensuale
I contratti consensuali sono quei contratti che si perfezionano con il mero consenso delle parti. Costituiscono la grande maggioranza dei contratti previsti dall'ordinamento italiano; inoltre, essendo i contratti reali rigorosamente tipici, tutti i contratti atipici sono da considerarsi consensuali.
- I contratti consensuali in Diritto romano
Nel Diritto romano le obbligazioni contratte con il (mero) consenso (obligationes consensu contractae), secondo l'elegante definizione del giurista del II secolo Gaio, sono quattro:
Emptio venditio (compravendita);
Locatio conductio (locazione, ma in senso più ampio rispetto all'attuale analogo istituto); Società;
Contratto reale
- Nozione
Il contratto reale è quel contratto che si perfeziona oltre che col consenso anche con la consegna materiale della cosa (il bene oggetto del contratto) (traditio rei). Xxxxxxxx contratti costituiscono una deroga al principio generale secondo cui il contratto si perfeziona con il solo consenso (cfr. art. 1376 cc.).
Si parla di "traditio" della res, e si dice "re perficitur obligatio".
Se non avviene la "traditio", la consegna, , il contratto non è concluso. La consegna è un momento essenziale del contratto e si può parlare di "eccezione" rispetto ai contratti disciplinati comunemente dal codice, perché normalmente i contratti si concludono con la manifestazione del consenso.
- Origini della categoria
I contratti reali costituiscono una categoria eterogenea e residuale, quasi di eccezione nella classificazione dei contratti basati sull'articolo 1322 2°comma (autonomia contrattuale). Difatti, non possono essere costituiti nuovi contratti reali diversi da quelli direttamente disciplinati dal Codice.
Invero non è agevole dar conto delle ragioni che inducono il legislatore moderno a configurare talune fattispecie come fondate sulla consegna della cosa quale elemento di perfezionamento. Secondo taluni questa scelta ha una ratio esclusivamente di ordine storico e non sistematico. Per darne conto è opportuno svolgere alcune brevi considerazioni sugli elementi che consentono di considerare un "accordo" rilvante anche per l'ordinamento giuridico. È noto che non tutte le volte che facciamo una dichiarazione vogliamo dar vita a vicende giuridiche: ancorché desiderosi di conseguire beni della vita, non sempre intendiamo invocare la protezione dell'ordinamento per proteggere e garantire il conseguimento ed il trattenimento dei beni stessi. A riprova si pensi che oltre all'ordinamento giuridico esistono altri gruppi di regole, che giuridiche non sono: quelle etiche e morali, oppure quelle sociali (si pensi al galateo) sono di certo regole, ma non giuridiche. Tale ovvia distinzione non è però di agevole applicazione nella pratica. Ad esempio, se prometto al mio amico che l'indomani gli presterò gratuitamente l'auto, sto assumendo un vincolo di valore giuridico (sì che l'inadempimento comporti le tipiche conseguenza previste dal codice civile), oppure di valore esclusivamento etico-sociale, sì che la sanzione per il tradimento della promessa si esprima solo sul piano sociale (riprovazione di scorrettezza, scarsa affidabilità e cattiva educazione)? Il problema, come può notarsi, si manifesta in particolar modo per i contratti gratuiti (diversi, però dalladonazione) e ciò in quanto le prestazioni gratuite possono, per loro natura, anche essere erogate in adempimento di rapporti di cortesia o doveri sociali.
- La realità come indice della giuridicità del rapporto
Al momento della dichiarazione sussistono, dunque, entrambe le possibilità: tanto che il costituendo rapporto sia giuridicamente vincolante, tanto che sia solo un rapporto di cortesia. Possiamo però esser certi che, laddove l'auto venga poi consegnata, la giuridicità del rapporto non possa essere negata e ciò per evidenti ragioni di protezione del patrimonio. Ne consegue che pur in presenza di dichiarazioni di dubbio valore giuridico, l'esecuzione della prestazione promessa consente anche di superare ogni incertezza così da considerare concluso un contratto nel senso proprio del termine. L'ordinamento romano, fondato su un forte pragmatismo, elevò tale indice probatorio della giuridicità del rapporto ad elemento costitutivo della fattispecie. I contratti gratuiti, le cui prestazioni lambiscono le prestazioni di cortesia, sono così giunti sino a noi quali contratti reali.
- Conclusioni
Se queste considerazioni sono esatte, le norme che impongono la consegna della cosa al fine del perfezionamento di taluni contratti sono derogabili. Possono dunque configurarsi comodati, mutui, depositi ecc. a carattere meramente consensuale, come, d'altra parte, è implicitamente ammesso dallo stesso legislatore laddove, all'art. 1822 c.c. prevede la cd. promessa di mutuo. Non può però tacersi che, seguendo questa via, l'interprete sia nuovamente chiamato a distinguere le dichiarazioni di valore giuridico da quelle emesse a titolo di cortesia. A tal fine potrà considerare una pluralità di indici, quali, ad esempio, la qualifica professionale delle parti; gli scopi ulteriori della prestazione gratuita; la presenza di più ampie operazioni negoziali di cui la prestazione gratuita sarebbe un frammento.
Contratto unilaterale
Per contratto unilaterale s'intende un contratto che fa sorgere obblighi in capo solo a una o ad alcune delle parti. I contratti unilaterali si contrappongono, pertanto, ai contratti sinallagmatici o bilaterali,[1] che fanno sorgere obblighi in capo a tutte le parti.
- Caratteri generali
A dispetto del nome, i contratti unilaterali sono pur sempre atti giuridici (e, più precisamente, negozi giuridici) bilaterali o, addirittura, plurilaterali, in quanto imputati a due o più soggetti (le parti del contratto); vanno perciò distinti dai negozi giuridici unilaterali, ad esempio il testamento, che sono invece imputati ad un solo soggetto (nell'esempio, il testatore).
Esempi di contratto unilaterale sono il deposito gratuito, il mutuo, la fideiussione, il comodato e
la donazione laddove, come in Italia, ha natura contrattuale. Il concetto di contratto unilaterale non coincide con quello di contratto a titolo gratuito, nel quale una parte ottiene un vantaggio senza affrontare alcun sacrificio patrimoniale, che è sopportato unicamente dall'altra o da altre parti: il mutuo oneroso, ad esempio, non fa sorgere obbligazioni in capo ad una delle parti, il mutuante, ed è quindi contratto unilaterale, ma comporta sacrifici patrimoniali in capo sia al mutuatario (il pagamento degli interessi), sia al mutante (la privazione della disponibilità di quanto prestato fino alla restituzione).
La categoria dei contratti unilaterali è propria degli ordinamenti di civil law; infatti, negli ordinamenti di common law non sono considerati contract gli accordi non connotati dalla consideration, lo scambio di prestazioni, e quindi dal sorgere di obblighi in capo a tutte le parti. In questi ordinamenti una promessa priva di consideration può essere resa vincolate solo se fatta con le forme deldeed, atto connotato da una serie di requisiti formali. Anche in questi ordinamenti si parla di unilateral contract, ma con un significato diverso: è il contract con il quale una parte
fa una promessa non in cambio di una promessa dell'altra parte (come avviene nelbilateral contract) ma di un suo concreto comportamento (executed consideration), sicché il contratto si conclude solo nel momento in cui tale comportamento viene effettivamente tenuto.
- Ordinamento italiano
Nell'ordinamento italiano il vigente Codice civile non parla più di contratto unilaterale, né contiene una definizione dello stesso, come faceva l'art. 1100 del Codice del 1865.[2] All'art. 1333, rubricato "Contratto con obbligazioni del solo proponente", stabilisce che: "La proposta diretta a concludere un contratto da cui derivino obbligazioni solo per il proponente è irrevocabile appena giunge a conoscenza della parte alla quale è destinata. Il destinatario può rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura dell'affare o dagli usi. In mancanza di tale rifiuto il contratto è concluso."
La disposizione ha suscitato ampio dibattito in dottrina, a cominciare dalla sua portata; è, infatti, diffusa l'idea che non si applichi a tutti i contratti unilaterali. Molti autori ritengono sia applicabile ai soli contratti che sono a titolo gratuito e non prevedono oneri a carico del beneficiario. Sovente si esclude anche che sia applicabile alla donazione, non foss'altro perché, altrimenti, offrirebbe la possibilità di aggirare i requisiti formali degli art. 769 e seg. c.c. È stata esclusa anche l'applicabilità ai contratti che trasferisconodiritti reali, per lo meno nei casi in cui tali diritti comportano obblighi e responsabilità in capo al titolare. Pare, inoltre, evidente che la norma non trovi applicazione per i contratti reali (deposito, mutuo, comodato ecc.), per il cui perfezionamento è necessaria la materiale consegna della cosa oggetto del contratto.
La dottrina si è anche interrogata sull'incidenza del particolare modo di conclusione disciplinato dall'art. 1333 sulla natura stessa del negozio. Una diffusa ricostruzione vede nel silenzio, serbato dal destinatario sulla proposta, un'accettazione tacita della stessa, ma non manca chi, invece, ritiene che in questo modo la conclusione del contratto prescinda dall'incontro tra proposta e accettazione o, addirittura, che non si sia in presenza di un contratto ma di un negozio unilaterale ad effetti bilaterali.
ovvero un contratto sinallagmatico, entrambe le parti devono adempiere ad una prestazione poichè entrambi obbligati.
esempio:
contratto di locazione:
il proprietario di casa è obbligato a far godere il bene al locatore e a "tutelarlo" e a fare le riparazioni straordinarie;
il locatore è obbligato a pagare il prezzo dll locazione.
oppure il venditore ha l'obbligo di consegnare la cs e di garantirla dai vizi dll cosa e dll evizione, il compratore deve pagare il prezzo,,,
più o meno è cs...
poi c'è tutta la questione sll risoluzione dl contratto...
Contratto a titolo oneroso
Il contratto a titolo oneroso è un accordo nel quale al sacrificio patrimoniale che una parte compie eseguendo la prestazione, corrisponde un vantaggio patrimoniale che la stessa parte consegue ricevendo la prestazione della controparte.
Contratto a titolo gratuito
Il contratto a titolo gratuito è quel contratto nel quale una parte ottiene un vantaggio senza affrontare alcun sacrificio patrimoniale, che è sopportato unicamente dall'altra o da altre parti. Esso, pertanto, si contrappone al contratto a titolo oneroso, che comporta sacrifici patrimoniali in capo a tutte le parti.
Esempi di contratto a titolo gratuito sono il deposito gratuito, il comodato e la donazione laddove, come inItalia, ha natura contrattuale. Il concetto di contratto a titolo gratuito non coincide con quello di contratto unilaterale, inteso quale contratto che fa sorgere obbligazioni in capo solo ad una o ad alcune delle parti: ilmutuo oneroso, ad esempio, non fa sorgere obbligazioni in capo ad una delle parti, il mutuante, ed è quindi contratto unilaterale, ma comporta sacrifici patrimoniali in capo sia al mutuatario (il pagamento
degli interessi), sia al mutante (la privazione della disponibilità di quanto prestato fino alla restituzione), sicché non lo si può consoderare contratto a titolo gratuito.
I contratti a titolo gratuito sono caratterizzati, nella maggior parte dei casi, dalla causa di liberalità.
Contratto associativo
Il contratto associativo è un tipo di contratto in cui le parti conferiscono beni o servizi per il perseguimento di uno scopo comune, come quello con cui ci si accorda per fondare una società.
Contratto di scambio
Il contratto di scambio è un contratto sinallagmatico che implica uno scambio tra una cosa (o un servizio) e un corrispettivo.
È compreso nella categoria dei contratti onerosi poiché un soggetto si obbliga a conseguire una prestazione in cambio di un corrispettivo economico, a differenza dei contratti gratuiti nei quali la prestazione di uno dei due contraenti non ha per scopo il conseguimento di un corrispettivo.
Contratto aleatorio
Il contratto aleatorio (dal latino alea, rischio) è quell'atto negoziale in cui l'entità e/o l'esistenza della/e prestazione/i è collegata ad un elemento incerto, e nei quali, pertanto, il rischio contrattuale è più ampio ed assume rilevanza causale. Entrambe le parti assumono quindi un evento futuro, la cui verificazione rimane incerta, come fattore chiave del contratto sottoscritto. A tale evento, i contraenti ricollegano gli effetti contrattuali.
Nelle classificazioni giuridiche, i contratti aleatori vengono inquadrati nella più ampia categoria dei contratti a prestazioni corrispettive (cioè legate da un nesso di corrispettività o sinallagma), insieme a quelli commutativi, ai quali, secondo l'opinione tradizionale, si contrappongono. Discriminante tra questi e quelli rimane la misura della prestazione, che nei contratti commutativi non dipende dal caso.
- Normativa
A livello normativo, non si riscontra una precisa disposizione che identifichi i contratti aleatori. Nelcodice civile italiano troviamo diversi riferimenti: i più importanti riguardano la vendita aleatoria (art. 1472, II co. c.c.), i premi ed altre utilità aleatorie prodotte dai titoli di credito (art. 1998 c.c.).
Gli artt. 1448, 1469 c.c. sottolineano la peculiarità della categoria in parola, escludendo l'applicabilità dei rimedi previsti per i contratti a prestazioni corrispettive (rectius, per i contratti commutativi). Pertanto la marcata assunzione del rischio all'interno del contratto fa sì che mai si possa giungere alla rescissione per lesione e alla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta.
- Prassi
la giurisprudenza sono orientate, ad utilizzare, come metro valutativo, il nesso sinallagmatico tra le prestazioni dei contraenti e più precisamente, la disciplina delle anomalie genetiche e sopravvenute insite in esso.
- Esempi di contratto aleatorio
compravendita di speranza (emptio spei)
fideiussione omnibus.
Il contratto assicurativo si definisce tradizionalmente come contratto aleatorio. L'alea (rischio) si può vedere nel fatto che il singolo contratto si fonda su un rischio (cioè sull'incertezza circa il verificarsi di un evento; ad esempio un incendio): da questo punto di vista, il singolo contratto è aleatorio potendo assomigliare ad una scommessa.
D'altra parte, dal punto di vista dell'assicuratore, l'alea è assorbita dalla legge dei grandi numeri (in quanto l'assicuratore conclude una molteplicità di contratti di questa tipologia), in modo tale, che per lui il rapporto economico tra rischio assunto e premio riscosso è certo (è commutativo).
Dal punto di vista dell'assicurato, si potrebbe anche dire che, pagando il premio, sostituisce un onere certo ad uno incerto, ma assai più gravoso.
Contratto commutativo
Il contratto commutativo è quell'atto negoziale in cui la misura delle prestazioni non dipende dal verificarsi di un evento incerto, all'opposto di quanto accade nel contratto aleatorio. Pertanto le parti conoscono subito (o comunque sono in grado di evincerla) l'entità delle loro obbligazioni, riducendo il margine di rischio (alea) insito nel contratto. A livello classificativo, i contratti commutativi fanno parte, insieme a quelli aleatori, della categoria dei c. a prestazioni corrispettive. Tratto comune è la presenza del nesso di corrispettività. Carattere discriminante è, come già riferito, l'alea.
- Normativa
Non esistono norme che si riferiscono espressamente ai contratti commutativi. L'esistenza di questi ultimi è stata dedotta a contrario dai loro omologhi aleatori. Rimane applicabile la disciplina normativa dei c. a prestazioni corrispettive, compresi i rimedi di cui agli artt. 1448 e 1469 c.c. (rispettivamente rescissione per lesione e alla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta).
- Prassi
La teoria fonda, senza dubbi, la distinzione tra contratti commutativi e aleatori sul rischio insito nel contratto: la prassi, di contro, pone diverse problematiche. Al di là dei casi limite, la cui collocazione
sistematica è acclarata, dottrina e giurisprudenza ritengono essenziale studiare il nesso sinallagmatico tra le prestazioni dei contraenti. Solo con l'analisi delle anomalie, genetiche e sopravvenute, insite in esso si può classificare un contratto nella categoria aleatoria piuttosto che in quella commutativa.
Esempi di contratti commutativi sono: la compravendita (in generale), la locazione, lasomministrazione.
ELEMENTI ESSENZIALI DEL CONTRATTO
Accordo delle parti (ordinamento civile italiano)
L'accordo delle parti è uno dei requisiti del contratto. Lo stabilisce l'art. 1325 del codice civile ai sensi del quale: "I requisiti del contratto sono: l'accordo delle parti; la causa; l'oggetto; la forma, quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità".
- Tipi di Accordo fra le parti
L'accordo fra le parti può essere manifestato in due modi:
Tacito: L'intenzione di stipulare il contratto è manifestata dal comportamento delle parti
Espresso: Consiste in una dichiarazione specifica, scritta (firma del contratto con dichiarazione di volontà) o orale (manifestazione orale di volere concludere il contratto (es: semplice acquisto dal macellaio dove noi chiedendo il prodotto manifestiamo di voler concludere il contratto di acquisto del determinato prodotto))che contiene la volontà di concludere un determinato contratto.
- La disciplina del codice civile
Il codice civile dopo aver indicato l'accordo delle parti tra i requisiti del contratto ex art.1325, lo disciplina dettagliatamente negli art. 1326-1342 che compongono la sezione rubricata "Dell'accordo delle parti". Si ha un accordo quando due o più persone manifestano reciprocamente le proprievolontà, e queste sono dirette allo stesso scopo. Con l'accordo il contratto è stipulato o concluso. Se però si tratta di un contratto formale o di un contratto reale, il momento della conclusione, a partire dal quale si producono gli effetti, è successivo all'accordo: se è formale, occorre che l'accordo sia manifestato nella forma che la legge richiede (ad es. la forma scritta per il contratto di compravendita immobiliare); se è reale, occorre che sia
consegnata la cosa. I modi in cui si può formare l'accordo sono molteplici, ma tutti riconducibili a questo schema semplice: vi è unaproposta, da parte di una persona e diretta a un'altra, seguita poi da un'accettazione, da parte del destinatario della proposta e diretta al proponente. La proposta è effettivamente tale se contiene la regolazione di tutti gli aspetti rilevanti dell'operazione economica che il contratto realizza. Proposta ed accettazione sono dichiarazioni di volontà unilaterali. L'accettazione è effettivamente tale se è conforme alla proposta; in caso contrario essa non ha l'effetto di concludere il contratto, ma ha invece il valore di nuova controproposta. L'accordo generalmente si perfeziona quando chi ha fatto la proposta ha notizia dell'accettazione della medesima o comunque quando l'accettazione giunge all'indirizzo del proponente, secondo il combinato disposto degli artt. 1326, co.1 e 1335 c.c. La
Causa del contratto
In taluni ordinamenti giuridici, tra cui quello italiano, la causa è un elemento essenziale del negozio giuridico e la sua assenza o illiceità determina nullità dell'atto. La dottrina ha proposto più d'una formula definitoria. Le teorie sulla causa si possono ordinare in due orientamenti: unosoggettivistico ed
uno oggettivistico.
- Le teorie soggettivistiche
L'approccio soggettivistico alla causa è il più risalente, trovando le sue origini già nel Trattato diPothier. Secondo questa dottrina la causa è la "somma degli scopi perseguiti dalle parti" (o, se preferite, la causa è data dalle ragioni che muovono le parti a contrarre): se il venditore ha lo scopo di conseguire il prezzo e
l'acquirente quello di avere la cosa, la causa della vendita risiederà nei reciproci scopi di avere la cosa ed il prezzo.
Questo modo di argomentare appare soddisfacente finché si considerano i negozi a prestazioni corrispettive, ma si svela inadeguato non appena si cerca d'indagare la causa di altri negozi. Uno dei primi problemi che la dottrina si trovò ad affrontare fu quello della causa della donazione: qual è lo scopo che persegue il donante? Non trovando un interesse che non sia quello - tautologico - di voler arricchire la controparte (cioè, appunto di fargli un dono) pensò di giustificare la donazione in forza dell'animus donandi. Xxxxxxx autore ha affermato (X. Xxxxxxx, in Enciclopedia giuridica italiana, 1900) che persino la donazione dovrebbe stimarsi quale negozio astratto, considerato che l'atto è fondato sul solo intento di dare, in assenza di ogni scopo ulteriore. La conclusione è, ovviamente, inadeguata, ma sembrò sufficiente ad esaurire ogni dibattito.
Nondimeno, con uno strumento concettuale così difettoso, i problemi non potevano non presentarsi di continuo. La dottrina non tardò ad accorgersi che, al di fuori della tranquillizzante categoria dei contratti corrispettivi, moltissimi negozi erano riconosciuti validi pur rimanendo nascosto lo scopo perseguito dalla parte nel contrarli. Nacque, così, la categoria dei negozi astratti, nella quale si intese ordinare tutti quegli atti validi in cui mancasse l'expressio causae.
Nel manuale di diritto privato di X. Xxxxxxxxx, in una nota, si indica addirittura la procura quale negozio astratto. Ed infatti, ragionando secondo il modulo ora descritto, la procura è valida senza che il rappresentante debba indicare lo scopo che persegue col conferimento del potere (id est: non svela per quale ragione è stato conferito il potere). I negozi astratti possono quindi definirsi come quei negozi ammessi a tutela pur senza l'indicazione dello scopo perseguito dalla parte. Si noti che uno scopo concreto esisterà pur sempre, siccome gli atti senza un fine appartengono al regno della patologia psichiatrica. Più semplicemente, l'ordinamento non chiede che ai fini della validità dell'atto vi venga indicato scopo alcuno. Nel quarto volume del Trattato di Xxxxxxx Xxxxxx (dedicato all'obbligazione) si afferma, ad esempio, che l'espromissione è un negozio parzialmente astratto in quanto valida pur senza l'integrale indicazione dello scopo perseguito dall'espromittente: egli indica nell'intento di volersi assumere il rapporto di valuta la causa del negozio medesimo, ma, attesa la validità dell'espromissione pur in assenza del riferimento alla provvista, essa è valida senza l'indicazione di un ulteriore scopo che dia conto della ragione dello
spostamento di ricchezza (assumersi un debito è un modo di spostare un valore economico): da qui la parziale astrattezza causale.
Le tesi ora esposte impongono anche di distinguere la causa dai motivi, in quanto, se la causa è lo scopo delle parti, essa è ontologicamente eguale ai motivi, da questa distinguendosi solo quantitativamente: vale a dire che siffatta causa sarebbe data da motivi nobili. La dottrina propose vari criteri per operare la distinzione. Secondo alcuni, la causa sarebbe data da quei motivi che non mutano al mutare dell'identità del contraente; secondo altri, la causa andrebbe colta nell'ultimo motivo (ultimo in senso logico)
informatore la volontà.
- Le tesi oggettivistiche
Molto più rigoroso è l'approccio della dottrina oggettivistica. Xxxxxxx ricondursi a questo orientamento tutti gli autori che impiegano il termine "funzione" (salvo, però G.B. Ferri il quale, affermando che la causa è la "funzione economico-individuale", travolge, di fatto, l'approccio obiettivistico cui pure dichiara di aderire). Secondo questa visione della causa, l'indagine deve compiersi assumendo una posizione di terzietà: quella, appunto, dell'ordinamento. La causa diviene allora per alcuni la funzione (obiettiva) economico-sociale del negozio (X. Xxxxx); per altri lafunzione (sempre obiettiva) giuridica dell'atto (X. Xxxxxxxxx). Questa tesi è da preferire. Per funzione giuridica deve intendersi la "sintesi degli effetti giuridici essenziali" (da altri denominata "minima unità effettuale": X. Xxxxxxxxxxx). Appare chiaro, a questo punto, che se la causa è la "sintesi degli effetti giuridici essenziali" non esiste nessun negozio degno di questo nome che non abbia almeno l'attitudine a produrre degli effetti. E, se possiede tale attitudine, è sempre possibile offrire una descrizione sintetica degli effetti medesimi; e, se esiste sempre tale sintesi degli effetti essenziali, allora una causa, piena, appagante per l'interprete, esiste di necessità. Ergo: per la tesi ora descritta la categoria dei negozi astratti non ha nessuno spazio operativo. In altri termini: non esistono negozi astratti.
Appare, inoltre, confutata la tesi di chi pretende di distinguere tra causa e tipo. Il tipo, secondo gli autori citati, non è un elemento del contratto ma solo il nome della descrizione normativa di un negozio; la causa, a sua volta, in quanto espressione sul piano dell'ordinamento dello scopo pratico del concreto negozio, non può mai essere in contraddizione con lo scopo medesimo. Ne consegue che non ha alcun senso rivendicare la necessità di cercare la causa "in concreto" in quanto o la causa è propria di ogni singolo negozio oppure non è. In realtà, le ipotesi ove negozi apparentemente conformi a schemi tipici sembrano perseguire scopi differenti (e spesso illeciti) meglio si spiegano osservando che, per la modificazione dello scopo pratico, sono stati alterati anche gli effetti essenziali espressi da quello scopo, sì che il negozio apparentemente tipico è stato irrimediabilmente trasformato in un altro negozio, sovente atipico, e per il quale non v'è alcuna difficoltà a riconoscere l'illiceità della causa.
- L'uso attuale del termine causa
Tra le tesi sin qui riferite non se ne può individuare, con certezza, una che possa dirsi assolutamente prevalente. Tuttavia la giurisprudenza adopera ormai con frequenza la nozione di funzione economico individuale, intesa come ragione concreta dell'atto, elemento unificante del regolamento di interessi tra le parti, idoneo a giustificare lo spostamento di beni e valori, anche in modo divergente dalla causa ordinaria del tipo negoziale adoperato. Non può esserci, quindi, alcun atto senza giustificazione funzionale, ossia senza causa. Di qui la ripetibilità (cioè la restituzione) dell' arricchimento senza causa. Su un diverso piano di giudizio si colloca, invece, la reazione dell'ordinamento avverso negozi a causa illecita, (vale a dire contraria a norme imperative) e causa immorale, (vale a dire contraria al buon costume), giacché questi negozi sono sì dotati di una ragione giustificativa lo spostamento patrimoniale, ma tale ragione è incompatibile con i valori fondanti, in un determinato momento storico, quella determinata società civile. L'illiceità della causa va estesa anche al caso in cui il contratto costituisca il mezzo per eludere l'applicazione della norma imperativa in frode alla legge (funzione in astratto lecita ma piegata in concreto ad un fine contrario alla legge), articolo 1344. La causa va infine distinta dal motivo, ossia dalla ragione soggettivo dell'agire della persona, che rientra a far parte del contratto soltanto nel caso di apposizione dicondizioni sospensive. Il contratto diventa poi illecito, e quindi nullo, quando le parti si sono determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe.
Oggetto (diritto)
Per oggetto, in diritto civile, si intende uno degli elementi essenziali del contratto, assieme all'accordo, alla causa ed alla forma, quando richiesta per la validità della pattuizione (o, con locuzione latina "ad
substantiam"). Può essere sinteticamente definito come il bene materiale o immateriale attraverso il quale le parti pongono in essere il contratto.
- Caratteristiche
L'oggetto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile.
L'oggetto è possibile per il diritto civile quando esiste "in rerum natura" o nell'ambito della realtà giuridica (ad es. un diritto di privativaindustriale valido).
È Possibile quando l'oggetto in questione è un qualcosa che esiste o può venire a esistenza È lecito quando non è di per sé contrario a legge, all'ordine pubblico o al buon costume.
È determinato quando la sua esatta individuazione materiale e giuridica è contenuta nel contratto; è invece determinabile quando nel contratto stesso si stabiliscono le procedure tramite le quali l'oggetto della pattuizione verrà determinato in un momento successivo alla chiusura dell'accordo (ad esempio, avvalendosi dell'ausilio di un arbitro).
La mancanza dell'oggetto, o la sua impossibilità, illiceità, indeterminatezza o indeterminabilità realizza un'ipotesi di nullità strutturale del contratto.
In la forma è il modo in cui si manifesta la volontà negoziale. Questa manifestazione può essere di due tipi:
manifestazione tacita: si dimostra con fatti concreti e si tratta di un contegno che sarebbe incompatibile con una volontà diversa da quella che si deduce dai fatti stessi; detto più chiaramente, si tratta del quotidiano contratto verbale, che non necessita quindi di una formulazione scritta o una registrazione in audiocassetta, quale ad es. un piccolo acquisto in un supermercato, in cui a fronte della materiale apprensione di un bene si esibiscono alla cassiera i soldi per acquistarlo, dal che si desume la volontà della persona di concludere una compravendita.
manifestazione espressa: è una vera e propria dichiarazione in cui si enunciano più o meno dettagliatamente gli elementi essenziali del contratto (l' accordo delle parti, l'oggetto del contratto e la causa dello stesso) oltre ad eventuali elementi accidentali (condizione, termine, modo); tale dichiarazione può essere espressa in forma orale oppure in forma scritta; i contratti redatti in forma scritta si dividono
in scritture private (accordi scritti e firmati dalle parti) oppure atti pubblici, cioè redatti da un pubblico
ufficiale (ad es. un notaio) autorizzato dalla legge ad attribuire ai medesimi 'pubblica fede' (art. 2699 e ss. del Codice Civile).
Questa distinzione assume particolare importanza perché, come prescrive l'articolo 1350 del Codice Civile, alcuni atti e alcuni contratti sono nulli se non rivestono la forma scritta. (ad esempio, la vendita di un bene immobile pretende la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata e non può essere concluso in forma orale, sotto pena di totale nullità, cosa che ad esempio non accade per l'acquisto di un giornale in edicola). Dal momento che, qualunque ne sia la forma, il contratto assume forza di legge tra le parti con la conoscenza da parte del proponente dell'accettazione dell'altra parte, esso rientra nella categoria dei cosiddetti atti recettizi.
ELEMENTI ACCIDENTALI DEL CONTRATTO
Condizione
La condizione è un avvenimento futuro ed incerto, al verificarsi del quale è subordinata l'iniziale efficacia di un negozio giuridico o di una sua clausola (condizione sospensiva), oppure la cessazione degli effetti del negozio giuridico o di una sua clausola (condizione risolutiva).
L'avvenimento futuro ed incerto può essere indipendente dalla volontà delle parti (condizione casuale), ma può anche dipendere dalla volontà di una di esse (condizione potestativa). La condizione si definisce, infine, "meramente potestativa" quando il suo avveramento dipende unicamente da un'arbitraria determinazione di volontà di una delle parti (cioè la decisione può essere assunta senza alcuna ponderazione di vantaggi e svantaggi prodotti dalla decisione medesima).
Secondo l'art. 1355 c.c. è nulla l'assunzione di un'obbligazione o l'alienazione di un diritto sotto condizione sospensiva meramente potestativa, il cui avveramento è determinato dalla volontà arbitraria di chi si obbliga o aliena il diritto. La ragione della nullità è determinata, con tutta evidenza, dalla mancanza dell'elemento volontaristico, e dunque dalla mancanza di un elemento essenziale del negozio giuridico (affermare "ti venderò la casa se vorrò", vuol dire non emettere alcuna seria dichiarazione di volontà). Si noti, tuttavia che se l'avveramento della condizione meramente potestativa dipende dalla volontà di chi riceverebbe il diritto trasferito o diverrebbe creditore in virtù dell'obbligazione assunta, la fattispecie deve essere qualificata come proposta contrattuale ("comprerari se vorrai"). Egualmente non è nullo il contratto con condizione risolutiva meramente potestativa, giacché la clausola è in realtà fonte di un diritto
di recesso, e come tale disciplinato dall'art. 1373 del Codice civile. Ciò però non è pacifico in dottrina: infatti
c'è chi a differenza della precedente visione, sostiene che la condizione meramente potestativa risolutiva non possa essere accomunata ad una facoltà di recesso in quanto avente disciplina diversa rispetto al recesso.
La condizione, sospensiva o risolutiva, contraria a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume rende nullo il contratto.
Per quanto riguarda la condizione impossibile, ossia relativa ad un evento che sia dal punto di vista giuridico o dal punto di vista naturale irrealizzabile, se sospensiva rende il contratto nullo, se risolutiva si considera come non apposta.
In dottrina di distingue, da un punto di vista soggettivo, la condizione volontaria (condicio facti) dalla condizione legale (condicio iuris). La prima è apposta dalle parti del negozio giuridico nell'ambito della loro autonomia contrattuale. La seconda, detta anche condizione legale, è posta direttamente dalla legge.
Termine
Il termine è un evento futuro e certo al cui verificarsi (la scadenza del termine) l'ordinamento subordina determinati effetti giuridici; la certezza si riferisce al verificarsi dell'evento (il cosiddetto an) non al momento in cui avverrà (il cosiddetto quando). Può così essere un termine il giorno 24 agosto 2011, certo nell'an e nel quando, ma anche il giorno della morte di una determinata persona, incerta nel quando ma certa nell'an. La caratteristica della certezza distingue il termine dalla condizione, incerta sia nell'an che
nel quando.
A seconda degli effetti che si producono alla scadenza si parla di:
termine iniziale (o dies a quo), allorché fa iniziare l'efficacia di un atto giuridico (contratto, testamento o altro negozio giuridico, atto amministrativo, legge ecc.);
termine finale (o dies ad quem), allorché fa cessare l'efficacia di un atto;
termine perentorio, allorché fa venire meno il potere di emanare un atto (decadenza), sicché l'atto emanato dopo la scadenza è da considerarsi invalido;
termine dilatorio, allorché rende possibile l'emanazione di un atto, sicché l'atto emanato prima della scadenza è da considerarsi invalido;
termine ordinatorio (o acceleratorio) allorché l'ordinamento prevede che un atto debba essere emanato entro
la scadenza senza però sanzionare con l'illegittimità l'atto emanato in ritardo (ma prevedendo, di solito, altre conseguenze sanzionatorie, ad esempio a carico della persona che doveva emanare l'atto).
Nei contratti e, in generale, nei negozi giuridici, nonché nei provvedimenti amministrativi, il termine, iniziale o finale, può essere fissato dalla legge (termine legale) o da una clausola inserita nell'atto stesso. Si denomina proroga la modifica del termine spostando in avanti nel tempo la sua scadenza, nonché l'atto che determina questo effetto giuridico.
Onere (elemento del negozio giuridico)
Nel linguaggio giuridico con onere (detto anche peso, modo o modus) s'intende una disposizione accessoria del negozio giuridico gratuito che impone un'obbligazione al destinatario della liberalità (onerato): si pensi all'obbligazione di destinare una parte dell'immobile donato a ricovero per i poveri.
Questo significato del termine non va confuso con l'altro, pure utilizzato nel linguaggio giuridico, secondo cui l'onere è una particolare situazione giuridica soggettiva.
L'onere nel diritto romano
L'onere risale al diritto romano dove il modus (termine che in latino significa 'limite') era uno dei tre elementi accidentali del negozio giuridico, assieme a dies (termine) e condicio (condizione). Si differenziava dalla
condizione perché questa subordina ma non ordina, mentre l'onere ordina ma non subordina, cosicché il negozio era immediatamente efficace anche qualora il beneficiario non avesse adempiuto.
Ad un certo punto, al fine di rendere coercibile il modus, il pretore negò al legatario l'azione nei confronti dell'erede, volta ad ottenere la cosa lasciatagli in legato, se il legatario stesso non si fosse impegnato a prestare una cautio o stipulatio praetoria (garanzia) per l'adempimento del modus. Inoltre, se il beneficiario era una persona determinata, si cominciò a considerare fittiziamente il moduscome un fedecommesso, risconoscendo così al beneficiario stesso la petitio fideicommissi, ossia l'azione specifica per ottenerne l'adempimento. Nel caso di donazione modale, invece, si adottò l'espediente di trasferire fiduciariamente il bene al donatario, cosicché, se questi non adempiva all'obbligazione, si poteva esperire nei suoi confronti l'actio fiduciae; oppure di vincolare il donatario all'adempimento tramite una stipulatio. In
epoca giustinianea vennero accordate al donante, in caso di inadempimento delmodus, le azioni da contratti innominati: condictio causa data causa non secuta, per recuperare il bene donato, e actio præscriptis verbis, per pretendere l'adempimento.
L'onere nell'ordinamento italiano
Nell'ordinamento italiano l'onere è espressamente previsto dal Codice civile per la donazione (art. 793), l'istituzione di erede o legatario (art. 647) e per l'alienazione gratuita di un'immobile o la cessione gratuita di un capitale (art. 1861). Si ritiene, però, che possa essere apposto alla generalità dei negozi giuridici gratuiti.
In caso di inadempimento dell'onere il negozio giuridico, di regola, non cade ma gli interessati possono agire in giudizio per ottenere l'adempimento dell'obbligazione. Tuttavia, se l'onere è contenuto in
un testamento o in un atto di donazione, può anche essere esperita un'azione per la risoluzione del negozio. Infatti, l'art. 648 del Codice civile prevede che il giudice, su richiesta di qualsiasi interessato, può pronunciare la risoluzione della disposizione testamentaria alla quale afferisce l'onere se la risoluzione stessa era stata prevista dal testatore o se l'adempimento dell'onere costituiva il solo motivo del lascito.
Invece, l'art. 793 del Codice civile prevede che la risoluzione della donazione, se prevista nell'atto di donazione, può essere domandata dal donante o dai suoi eredi.
L'onere si distingue dalla condizione sospensiva perché, pur obbligando il destinatario, non subordina l'efficacia del negozio giuridico all'adempimento dell'obbligazione. Si distingue, inoltre, dalla condizione risolutiva perché, anche quando può essere domandata la risoluzione del negozio per inadempimento, questa opera ex nunc, facendo quindi salvi gli acquisti di terzi nel frattempo intervenuti, mentre la risoluzione conseguente all'avverarsi della condizione risolutiva opera ex tunc.
Clausola penale
La clausola penale è una particolare clausola del contratto, espressione del patto con cui, in via forfettaria e preventiva, si determina l’ammontare del risarcimento del danno occasionato dall’inadempimento dell’obbligazione o dal ritardo nell’adempimento.
Storia
In diritto romano la stipulatio poenae aveva carattere misto, di pena e di indennizzo, al quale poi si aggiungeva una terza funzione, ovvero quella di far conseguire indirettamente, ai negozi privi di tutela legale, l’effetto pratico cui le loro parti miravano. Nel medioevosi stipulavano pene pecuniarie, anche molto rilevanti nella loro entità, a carico della parte inadempiente, la quale non di rado era tenuta a pagare la pena periodicamente, a partire dalla scadenza dell’obbligazione fino al suo adempimento. Nelle codificazioni, invece, la clausola penale è un patto accessorio, al quale, a seconda delle prospettive dottrinali e giurisprudenziali dominanti in un dato contesto storico, vengono attribuite tre funzioni: di liquidazione preventiva del danno, di coazione indiretta ad adempiere e di pena.
Nozione e funzione
Nel vigente codice civile italiano la clausola penale è regolata negli articoli dal 1382 al 1384: la sua nozione è strettamente collegata alla funzione che le viene riconosciuta. Per la concezione dominante in dottrina (BIANCA, BRECCIA, SCOGNAMIGLIO R., TRABUCCHI) e nella giurisprudenza maggioritaria la clausola penale mira a liquidare in via preventiva e forfettaria il danno derivante dall’inadempimento di un’obbligazione civile (cioè a dire giuridicamente rilevante: è inammissibile una clausola penale riferita all’inadempimento di un’obbligazione naturale). La prestazione dedotta nella clausola penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno, dice la legge: il creditore non ha quindi l’onere di provare il pregiudizio subito e, sempre a tenore di codice, non può pretendere il risarcimento del danno ulteriore se non è stato così stabilito espressamente. Specularmente, il debitore non è ammesso a provare che il danno effettivo sia inferiore all’ammontare della penale, fatta salva la possibilità di una sua riduzione. Secondo questa impostazione, la clausola penale fissa dunque in via anticipata l’ammontare del danno, evitando le contestazioni del debitore e le lungaggini del processo di cognizione. Indirettamente, la clausola penale rafforza anche la posizione creditoria, determinando un effetto di pressione ad adempiere in capo al debitore: per chi sostiene la natura essenzialmente risarcitoria dell’istituto, tale effetto è insito nella primaria finalità di determinazione preventiva e forfettaria del danno, mentre per altra concezione, invalsa soprattutto nella dottrina tedesca, avrebbe una dimensione autonoma e costituirebbe anzi l’unico fine della penale, che si concreterebbe così in una coazione psicologica ad adempiere, da realizzarsi per mezzo della previsione di un ammontare della penale stessa superiore al danno reale. Per altra tesi (MAGAZZU’, XXXXXXXXX, ZOPPINI) la clausola penale avrebbe una funzione punitiva. La prospettiva in esame muove dalla considerazione per cui nel passaggio dal codice civile previgente a quello attuale è sparito, dalla lettera della legge, ogni riferimento alla compensazione dei danni subiti dal creditore in caso di inadempimento, per poi porre quello che è l’argomento più forte a sostegno di questa impostazione esegetica, ovvero l’affrancazione della penale dalla prova del danno. Si dice infatti che se la penale è dovuta senza che sia necessario provare di aver subito un danno, evidentemente non ha natura risarcitoria, ma esclusivamente afflittiva e sanzionatoria verso il debitore inadempiente. Lo stesso articolo 1384, si rileva, prevedendo la riducibilità da parte del giudice della penale con importo manifestamente eccessivo, sembra riproporre per la penale, specificandolo, un principio generale del diritto che è quello dell’equa proporzione tra illecito e sanzione. La clausola penale sarebbe quindi una pena privata. Per altra dottrina (MAZZARESE) le due funzioni, risarcitoria e afflittivo-sanzionatoria, coesisterebbero, quindi si dovrebbe coerentemente parlare di funzione duale dell’istituto. Infine, all’interno della teoria sanzionatoria, si segnala la posizione di illustre Autore (MARINI), secondo la quale la clausola penale avrebbe la funzione di predeterminare una autonoma sanzione civile, non riconducibile né al risarcimento, né alla pena privata. La concezione risarcitoria risponde al principale argomento posto a fondamento della teoria sanzionatoria (ovvero, come visto, l’affrancazione della penale dalla prova del danno subito) notando come l’irrilevanza dell’esatto ammontare del danno subito sia insita nel carattere forfettario della sua preventiva liquidazione, la quale ha il fine specifico di fissare la prestazione risarcitoria prescindendo dall’entità reale del pregiudizio subito dal creditore. Né, si dice, è possibile ricavare un’obiezione dotata di forza generale da quello che è un caso particolare (ovvero, la richiesta di pagamento della penale senza che si sia prodotto alcun danno).
Struttura, forma e divieto di cumulo
La clausola penale è un negozio giuridico con proprio oggetto e propria finalità, collegato ad un rapporto obbligatorio principale del quale rappresenta un patto accessorio. Si tratta dunque di una convenzione fra creditore e debitore, non assoggetta ad un particolare onere di forma; si ritiene altresì che il suo accedere ad un negozio per il quale la legge richiede la forma scritta non imponga l'oneredi usare la stessa forma anche per la clausola penale, vista la sua funzione secondaria, non incidente sulla sorte delle
obbligazioni principali. Non è ammessa, però, la prova per testimoni della clausola che accede come patto anteriore o contemporaneo ad un contratto avente forma scritta. Il creditore che richiede il pagamento della penale esercita il diritto al risarcimento del danno: questo diritto è originariamente quantificato nel suo oggetto, perciò è un credito di valuta, che impone la corresponsione di interessi dal momento dell’inadempimento. Quando si domanda la penale non si può però esigere anche la prestazione principale
e viceversa, perché il cumulo delle prestazioni è vietato dalla legge (articolo 1383), visto che la penale mira a far conseguire al creditore il ristoro dell’interesse leso dall’inadempimento, non anche un ingiustificato arricchimento. Si deve perciò concordare con la giurisprudenza, che ritiene applicabile il divieto di cumulo anche nel caso in cui il creditore accetti una prestazione difettosa. Il cumulo fra penale ed adempimento è ammesso solo se la penale è pattuita per il caso di ritardo nel medesimo. La risoluzione è invece un rimedio che può concorrere con la richiesta di pagamento della penale.
Riduzione della penale
La penale può essere diminuita dal giudice se l’obbligazione principale è stata adempiuta solo in parte oppure se l’ammontare è manifestamente eccessivo, avendo riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento. Il principio è posto dall’articolo 1384, il quale fonda un intervento di tipo integrativo del giudice con finalità equitativa. La finalità equitativa, quindi, impone di tenere conto, in caso di
adempimento parziale, del danno subito dal creditore in dipendenza dell’inesattezza quantitativa della prestazione; nel caso di eccessivo ammontare, invece, l’equità impone di rifarsi, nell’esercizio del potere di riduzione, all’interesse che il creditore aveva all’adempimento al tempo della stipula (questa è
l’impostazione dominante sul punto: per quanto, almeno per i rapporti nei quali il termine per
l’adempimento è temporalmente molto lontano dal sorgere dell’obbligazione, è preferibile considerare l’interesse del creditore riferito al tempo dell’inadempimento). Il potere di riduzione della penale è una forma di controllo dell’autonomia contrattuale contro il possibile abuso che una parte può porre in essere ai danni dell’altra (MOSCATI): è pacifico, quindi, che le parti non possono pattuire l’irriducibilità della penale. Circa il fatto colposo del creditore, è stato sostenuto che non può generare una riduzione della penale, perché essa prescinde dalla quantificazione del danno (MARINI): si è però obiettato (BIANCA) che in questi casi si dovrebbe applicare analogicamente l’articolo 1227 I comma e la riduzione dell’imputabilità causale del danno al debitore in caso di concorso colposo del creditore nella verificazione dell’evento pregiudizievole. Si discute sulla esercitabilità d’ufficio del potere riduttivo del giudice: recentemente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 13 settembre 2005, n. 18128, hanno sostenuto proprio l’officiosità di questo potere. Si deve comunque rammentare come, per alcuni settori economici, la legge opti non per la riducibilità, ma per la nullità della penale eccessiva: sono i casi dei contratti dei consumatori (articolo 33, lettera f, del codice del consumo), dei rapporti tra imprese quando, in caso di subfornitura, la penale esorbitante è un mezzo per abusare della propria posizione dominante (articolo 9 legge 192 del 1998) e della penale usuraria.
Effetti
La clausola penale limita il risarcimento alla prestazione promessa. Quindi, il creditore non può esigere il risarcimento del danno ulteriore, salvo patto contrario. In questo modo, oltre all’interesse (primario) del creditore alla preventiva definizione del suo risarcimento, si tutela anche l’interesse (secondario) del debitore alla certezza dell’ammontare della prestazione risarcitoria. La limitazione del danno risarcibile a quello dedotto nella penale non opera quando il debitore si è reso responsabile dell’inadempimento con dolo o colpa grave. Inoltre, quando la clausola penale prevede che a carico del debitore inadempiente l’obbligo di trasferire la titolarità di un determinato bene, non predetermina il danno subito dal creditore stesso, ma destina a sua soddisfazione un bene del debitore. Si ritiene in casi siffatti che la clausola penale sia nulla per contrasto col divieto del patto commissorio, inteso come patto che dota il creditore del diritto di fare proprio il bene costituito a garanzia dell’obbligazione quando questa non sia tempestivamente adempiuta. La penale va poi differenziata dalla caparra confirmatoria, la quale garantisce una parte col versamento immediato di una somma di danaro e consente ad ogni parte di recedere dal contratto in caso di inadempimento dell’altra, con l’importo versato che copre il danno risarcibile indipendentemente dalla sua prova. La differenza con la penale sta nel fatto che nella caparra la predeterminazione del danno non è vincolante per il creditore, il quale può richiedere la risoluzione giudiziale ed il risarcimento del danno effettivo.
Caparra
Nel diritto civile, la caparra è una somma di denaro o una quantità d'altre cose fungibili versata a titolo di reciproca e mutualegaranzia contro l'inadempimento nel contratto oppure come corrispettivo per il caso di recesso dal contratto. La sua funzione è infatti quella di prevedere una sorta di risarcimento immediato nel caso
di inadempienza contrattuale e in caso di adempimento deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta.
Generalmente si applica in quei contratti a prestazioni corrispettive e ad effetti obbligatori dei quali si abbia un'esecuzione differita e che prevedano un pagamento in soluzione non unica. Si costituisce con la
mera consegna della somma di denaro. La dazione deve essere perfezionata prima del momento di esecuzione della prestazione e della controprestazione, poiché sono le azioni delle quali la caparra va a garantire la futura esecuzione.
- La garanzia
Con il versamento della caparra, la parte che l'ha versata (tradens) si impegna a non recedere dal contratto pena la perdita della caparra stessa. La parte che l'ha ricevuta (accipiens) invece si impegna a non recedere pena la restituzione di quanto ricevuto più il pagamento di un ulteriore eguale importo al versante.
In genere gli ordinamenti consentono patti per i quali alla parte non inadempiente è consentito richiedere alla parte inadempiente (ove non impedito da circostanze di fatto), in luogo della restituzione o ritenzione delle caparre, l'esecuzione in forma specifica del contratto o la sua risoluzione.
- La funzione di corrispettivo per il recesso
A seconda dell'accordo fra le parti, la caparra può costituire una generica garanzia contro l'inadempimento, oppure può valere di corrispettivo per il recesso (una sorta di indennizzo). Se la caparra vale come indennizzo per i danni eventualmente patiti a causa della mancata sottoscrizione del contratto, con la ritenzione o restituzione della caparra si considera risarcito il danno e con la ritenzione (se la parte inadempiente è chi l'aveva versata) o la restituzione con aggiunta di un pari importo (se la parte inadempiente è chi l'aveva ricevuta), il negozio non adempiuto si chiude senza altre conseguenze. Viceversa, se la caparra ha funzione di garanzia, la parte non inadempiente, fermo restando il diritto alla ritenzione o restituzione della caparra, può anche agire per il risarcimento dei danni.
- Caparra e penale
Si è molto dibattuto in dottrina sulla relazione eventuale fra la caparra e la clausola penale.
La funzione di risarcimento dei danni arrecati alla parte non inadempiente dalla stipulazione del contratto [1], nella caparra confirmatoria, non è però esaurita nella sola ritenzione o restituzione della caparra, ciò che accade con la clausola penale. La funzione di "sanzione" della caparra è stata da taluni autori ravvisata e ritenuta prevalente, in considerazione della proporzione fra la caparra [2] e la possibile entità del danno, che nel richiedere specifico ristoro seguirebbe un iter concettualmente e materialmente differente, restando quindi il fine sanzionatorio a sé.
La caparra penitenziale è quella che in dottrina si è ravvisata più vicina alla disciplina della clausola penale e taluni autori parlano infatti per questa come di multa penitenziale.
- La caparra nel diritto italiano
Nel diritto italiano la caparra è prevista in due tipi: la caparra penitenziale e la caparra confirmatoria.
La caparra confirmatoria
La caparra confirmatoria, regolata dall'art. 1385 del codice civile,
Dice infatti il codice che «Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal
contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra. Se però la parte che non è inadempiente preferisce domandare la esecuzione o la risoluzione del contratto, il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali» (art. 1385 c. 2).
Si noti che la dazione di caparra deve essere esplicitamente dichiarata: la norma nel suo primo comma sottolinea infatti che quanto versato deve essere dato "a titolo di caparra", escludendosi pertanto che possa desumersi o dedursi la natura di caparra da altre circostanze non espresse.
Questa caparra si chiama confirmatoria poiché in passato costituiva mezzo di prova della formazione del contratto e dunque "confermava" la sua esistenza. Il nome resta, malgrado oggi i mezzi di prova dell'esistenza del contratto siano tali e tanti da renderla non più così centrale, anzi marginale, nella verifica probatoria.
La caparra penitenziale
La caparra penitenziale, regolata dall'art. 1386 del codice civile, contiene in sé la funzione di corrispettivo del recesso Dice infatti il codice che «Se nel contratto è stipulato il diritto di recesso per una o per entrambe le parti, la caparra ha la sola funzione di corrispettivo del recesso. In questo caso il recedente perde la caparra o deve restituire il doppio di quella che ha ricevuta.»
Il nome non deriva, come potrebbe sembrare, da una "pena" da scontare, bensì dallo ius poenitendi, diritto di pentirsi di aver sottoscritto il contratto, e configura il prezzo per l'esercizio di questo diritto.
Caparra e diritto di recesso
L'introduzione della normativa in materia di cosiddette "clausole vessatorie", tradotta nel codice civile nell'art. 1469-bis, e di quella sui contratti a distanza di cui al d.lgs. 15 gennaio 1992 n. 50, ha comportato la libertà di recesso dal contratto in alcune fattispecie sommariamente sintetizzabili nei casi in cui una delle parti sia un consumatore e l'altra un soggetto agente in ragione della sua condizione professionale.
In diversi recenti pronunciamenti giurisprudenziali ed amministrativi [3] si è ritenuto che la caparra sia senza dubbio fra ciò che l'accipiens deve restituire al recedente [4] nei casi e nei termini in cui il recesso sia consentito.
Aspetti fiscali
Imposta sul Valore Aggiunto
L'imputazione di una somma a titolo di caparra, anziché di acconto o anticipo, la sottrae all'imposizione IVA in quanto, per la prevalente funzione di garanzia contro l'inadempimento, non può
considerarsi principio di pagamento. Il suo importo è quindi soggetto a fatturazione solo quando diverrà a tutti gli effetti parte del pagamento, quindi al buon fine del negozio.
Per questa ragione, l'utilizzo di termini come "anticipo" o simili può comportare differenze nell'interpretazione anche fiscale del contratto.