UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA
DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
Corso di Dottorato di Ricerca in
DIRITTO PRIVATO E PROCESSO NELLA PROSPETTIVA COMPARATISTICA
E NELLA DIMENSIONE EUROPEA
CICLO XXXII
IL SINDACATO GIUDIZIALE SULL’EQUILIBRIO ECONOMICO DEL CONTRATTO
Relatore Dottorando
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxx Xxxxxxxx Dott.ssa Xxxxx Xxxxxx
Coordinatore
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxx Xxxxxxxx
ESAME FINALE ANNO 2020
INDICE
PREMESSA
CAPITOLO I
LIBERTÀ NEGOZIALE ED AUTONOMIA PRIVATA.
1. Aspetti generali.
2. Autonomia contrattuale e potere giurisdizionale.
3. La libertà contrattuale, gli aspetti economici del contratto e i possibili limiti costituzionali o ordinamentali.
CAPITOLO II
L’EQUILIBRIO ECONOMICO NELLA DOGMATICA CLASSICA
1. Inquadramento.
2. L’impostazione negatoria tradizionale. Le fattispecie codicistiche rilevanti.
3. Le fattispecie extracodicistiche.
CAPITOLO III
I CONTRATTI DEL CONSUMATORE E IL TERZO CONTRATTO.
1. I Contratti del consumatore.
2. Il Terzo contratto.
CAPITOLO IV
L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CAUSA DEL CONTRATTO E I POTERE DI INTERVENTO DEL GIUDICE.
1. In via generale.
2. Causa in astratto e causa in concreto.
3. Il problema della meritevolezza.
4. La causa di solidarietà.
5. Causa concreta e nuove tecnologie: cenni.
CAPITOLO V
IL PRINCIPIO DI BUONA FEDE E CORRETTEZZA E LE SUE PLURIME APPLICAZIONI.
1. In via generale.
2. La Buona fede come strumento integrativo del contratto
3. La Buona fede come “limite”.
4. La Buona fede come strumento modificativo o manipolativo del contratto.
CAPITOLO VI
I CRITERI DI INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO.
1. Aspetti generali.
2. L’orientamento tradizionale.
3. L’evoluzione giurisprudenziale e il nuovo ruolo dell’art. 1366 x.x. x xxxx’xxx. 0000 x.x.
XXXXXXXX XXX
XX PRONUNCE GIURISPRUDENZIALI RILEVANTI AI FINI DEL PROCESSO DI TRANSIZIONE IN ATTO.
1. Premessa.
2. Le Sezioni Unite 13 settembre 2005, n. 18128.
3. La sentenza della Xxxxx xx Xxxxxxxxxx x. 00000 del 2009.
4. Le pronunce della Corte Costituzionale 2 aprile 2014 n. 77 e 21 ottobre 2013, n. 248.
5. Le pronunce della Corte di Cassazione in materia di clausole “claims made”.
6. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione civile, 09 ottobre 2017, n.
23601 in materia di locazione.
7. La giurisprudenza in materia di prodotti finanziari.
CAPITOLO VIII
ELEMENTI DI DIRITTO INTERNAZIONALE E COMPARATO.
1. Aspetti di diritto internazionale;
2. Elementi di diritto comparato.
CAPITOLO IX
PER UN APPROCCIO “PLURIMO” AL PROBLEMA
DELL’EQUILIBRIO | CONTRATTUALE. | POSSIBILE |
SISTEMATIZZAZIONE | DEL POTERE DI | SINDACATO |
GIUDIZIALE. |
1. Premessa.
2. L’equilibrio contrattuale e l’asimmetria.
3. Il compito e i poteri del giudice, in un’ottica sincretica.
.
PREMESSA
Il contratto, quale negozio giuridico, espressione di autonomia privata, è l’atto di una volontà, indirizzata e autorizzata a perseguire un suo scopo1 che l’ordinamento reputa meritevole di tutela2.
In particolare, ai sensi dell’art. 1321 c.c., <<il contratto è l’accordo tra due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale>>.
Attraverso il contratto le persone (fisiche o giuridiche che siano), concordemente, incidono reciprocamente sulla propria sfera giuridica per la soddisfazione di interessi anche non patrimoniali, ma producendo, volutamente, effetti giuridici o prestabiliti o comunque ammessi dall’ordinamento.
La materia contrattuale, per come disciplinata dal codice civile, nasce ispirata al dogma della volontà, manifestazione del pensiero liberistico in economica, ancorchè limitato, da un lato, dalla necessità di garantire la certezza dei traffici giuridici, e dall’altro lato, dall’opportunità di tutelare interessi ritenuti “superiori” perché di rilevanza collettiva (o meglio, per l’epoca, corporativistica).
D’altronde, l’approccio alla materia contrattuale e, più in generale, negoziale è profondamente mutato nel corso del tempo, per l’affermarsi di principi diversi e in vario modo limitativi o, comunque, conformativi della libertà e autonomia negoziale con particolare riferimento al
1 Sul negozio giuridico si vedano: X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, Utet, 1960; Negozio giuridico, Noviss. Dig. It., XI, Torino, Utet, 1965, 208 ss; X. XXXXXX, Teoria del negozio giuridico, Padova, Xxxxx, 1961; X. XXXXXXX, Intorno alla teoria del negozio giuridico, Temi, 1947, p. 92 ss; X. XXXXXXX-FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, Xxxxxx, s. d.; Definizione del negozio giuridico come esercizio di un diritto o di una facoltà o di un potere, Riv. dir. civ., 1961, I, p. 321 ss; X. XXXXXXXX, Xxxxxxx xxxxxxxxx. Concetto, Milano, Xxxxxxx, 1949;
X. XXXXXXXXXXXX, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Xxxxxx, Xxxxxx, 0000; Lezioni sul negozio giuridico, Bari, Xxxxxxx, 1962; B. DE XXXXXXXX, Xxxxx e valutazione nella teoria del negozio giuridico, Xxxxxx, Xxxxxx, 0000.
2 X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, Dottrine di diritto civile, Jovene, 2002, 125;
principio di buona fede e correttezza, quale declinazione del principio di solidarietà ex art. 2 Cost..
Proprio l’evoluzione di questa tendenza, rende attuale l’interesse per la speculazione oggetto del presente lavoro: verificare se, sulla scorta di quali istituti, e in quale modo e misura, il Giudice possa esercitare un sindacato sull’equilibrio economico del contratto e con quali strumenti rimediali, in particolar modo con riguardo al c.d. “equilibrio originario” del contratto.
Al riguardo, il presente lavoro ”parte” da una considerazione, per così dire, “di base”, ovvero che la c.d. libertà o autonomia negoziale3, in materia contrattuale, incontra un limite di natura ontologica: l’incontro tra le volontà comporta necessariamente che queste ultime non siano pienamente libere nel senso che ciascuna singola parte non può massimizzare il proprio interesse se non nei limiti in cui ciò corrisponda alla massimizzazione degli interessi dell’altro contraente.
Nel caso di contratti onerosi a prestazioni corrispettive o sinallagmatici questo aspetto comporta necessariamente che la libertà negoziale di ciascun contraente sia garantita nella misura in cui rispetta la possibilità per entrambe le parti di massimizzare il proprio interesse influendo necessariamente, quindi, sulla portata di quello altrui, limitandolo.
Un problema di limiti e controlimiti dettato dalla presenza di interessi differenti, peraltro, può ben prospettarsi anche nell’ambito dei contratti gratuiti e con causa di liberalità.
La dinamica dell’espressione della libertà negoziale, infatti, è evidentemente complessa perché necessita di distinguere tra contratti onerosi e gratuiti, all’interno dei contratti onerosi tra quelli a prestazioni corrispettive e quelli con comunanza di scopo, all’interno di quelli non
3 Intesa quale autòs e nòmos, significa letteralmente "dar legge a sé stessi", e quindi, potere riconosciuto ai soggetti di disporre della propria sfera giuridica personale e patrimoniale e di autoregolamentare i rispettivi comportamenti per il perseguimento di finalità di natura patrimoniali e non patrimoniali
onerosi tra gratuiti in senso proprio e contratti stipulati con spirito di liberalità.
Seppure in misura certamente diversa, il limite ontologico interno dell’”altrui interesse” fa comprendere come, al netto di tutti gli altri limiti “esterni”, frapposti, cioè dall’ordinamento giuridico, di cui si avrà modo di discorrere, quando si affronta il tema del sindacato giudiziale sull’equilibrio economico del contratto, che intercetta necessariamente il principio di libertà e autonomia privata, non sono ammessi approcci “assolutistici”.
Per questo stesso motivo, quindi, il problema della salvaguardia dell’autonomia privata non può porsi come dato su cui far perno, dando per scontato che la sua integrità sia un valore tanto assoluto da impedire o restringere indebitamente all’ordinamento, e per esso all’Autorità Giudiziaria, un sindacato sulla congruità delle ragioni di scambio, questo essendo il traguardo di una ricerca che nel dato positivo deve trovare una conferma e non un punto di partenza. 4
Non solo, ma i confini di un principio come quello dell’autonomia privata inevitabilmente risentono del momento storico e dell’evoluzione concettuale degli istituti dell’ordinamento, così come emergenti dalla normativa sopravvenuta, nonché dalla interpretazione e applicazione di coloro che sono chiamati a decidere la patologia del rapporto contrattuale, ovvero i Giudici.
In particolare, quando il rapporto contrattuale entra nella sua “fase patologica” (ovvero la non attuazione o non corretta attuazione del programma contrattuale) il principio dell’autonomia e libertà negoziale/contrattuale viene a confrontarsi con il potere di accertamento e decisionale dell’Autorità Giudiziaria il cui non semplice compito è quello di comprendere e valutare i contenuti dell’espressione di tale libertà, la mancanza di vizi o difetti della volontà rilevanti, secondo
4 U. PERFETTI, L’ingiustizia del contratto, Xxxxxxx, Milano, 2005, 24 nota 15.
l’ordinamento, ai fini della caducazione e/o eventuale emenda del contratto, la rispondenza di tali contenuti ad interessi meritevoli di tutela per l’ordinamento e, quindi, anche la non contrarietà degli stessi ai precetti e principi emergenti dall’ordinamento, ed infine la comprensione e valutazione dei comportamenti tenuti dalle parti prima, durante e dopo la stipula del contratto.
Tutto ciò al fine di dare risposta a esigenze di tutela normalmente contrapposte per le ragioni sopra dette.
La disciplina del contratto, in ogni sua fase, dalla formazione all’esecuzione, appare oggi caratterizzata dalla presenza pregnante e significativa della giurisdizione, in funzione della verifica e del controllo della giustizia/equità dell’assetto dei rapporti negoziali tra le parti, e perciò di garanzia dei diritti fondamentali della persona.5
Nello specifico, poiché si tratta di “rapporti giuridici economici” e nei contratti onerosi l’interesse economico è reciproco, inevitabilmente si pone il problema del se e in che misura il Giudice possa sindacare l’equilibrio economico “ab origine” dell’operazione negoziale, con ciò considerando non solo e non tanto il mero problema della proporzione tra le prestazioni “qualificanti” il contratto dalle parti stipulato, quanto piuttosto l’equilibrio complessivo dell’operazione contrattuale, fermo restando che, come si dirà, discettare della distinzione tra c.d. equilibrio economico e c.d. equilibrio normativo, al di là di specifiche previsioni di legge che richiamano formalmente tale distinzione, non pare del tutto corretto e funzionale, posto che, normalmente, se non sempre, ad una sproporzione di diritti ed obblighi corrisponde quale riflesso, una sproporzione economica complessiva dell’operazione negoziale.
Premesso che non si contesta il fatto che, come aveva modo di scrivere, nella motivazione di una sentenza del 1865, il giudice inglese xxx Xxxxxx Xxxxxx, “se vi è una cosa che l’interesse pubblico richiede più di
5 X. XXXXXX, Autonomia privata e giurisdizione nella tradizione civilistica continentale, in jus civile, 2018, 3, 383 e ss.
ogni altra, essa è che gli uomini maturi e consapevoli devono avere la massima libertà di contrattare, e che i loro contratti devono essere fatti rispettare dai tribunali” 6, ma poiché questa libertà di contrattare in tanto è tutelabile in quanto consenta ad entrambi i contraenti di massimizzare il proprio interesse (economico e non economico) bilanciato con quello dell’altro, la difficile operazione demandata alla valutazione del Giudice è quella di comprendere quando tale bilanciamento presenti o meno degli elementi di ingiustificata sproporzione e conseguentemente determini una violazione della libertà contrattuale medesima, individuando le relative conseguenze, e i rimedi.
Come si avrà modo si esaminare nel prosieguo, poi, viene da alcuni sottolineato come sia in atto un fenomeno di transizione dalla tutela tout court dell’autonomia e della libertà negoziale dei privati, sia pure mediata dalla “fattispecie democratica”, al penetrante controllo giudiziale delle clausole e dei contenuti del contratto. E ciò in virtù della inventio, da parte della giurisprudenza, di una serie di operazioni rimediali di fronte alle pretese iniquità o asimmetrie, nascenti da posizioni di privilegio o di preminenza, ovvero dal preteso approfittamento della posizione debole della controparte. Al giudice viene richiesto, mediante la domanda della parte più vulnerabile, a cui non può replicare con un non liquet, di riportare ordine, ridurre a equità e a un più sapiente equilibrio le situazioni inique/ingiuste che si annidano nelle clausole del contratto. Anche l’impresa più debole sul mercato si rivolge al giudice, denunziando pretese asimmetrie e
6 L’affermazione muoveva dall’idea di fondo secondo cui - come si esprimeva, quasi in contemporanea (1880), il filosofo francese XXXXXX XXXXXXXX - “qui dit contractuel, dit juste”: ciò sul presupposto che la giustizia del rapporto contrattuale fosse assiomaticamente assicurata già solo per il fatto che esso è frutto della libera volontà di contraenti che, spontaneamente e consapevolmente, ne determinano il contenuto, ritenendolo conforme ai propri interessi, di cui essi stessi sono, per definizione, i migliori giudici: si veda per tale riferimento, X. XXXXXXXX, Autonomia privata e intervento del giudice, in I Contratti, 6/2017, 625.
chiedendo di verificare se esse siano frutto della posizione privilegiata o dominante della controparte.7
Sarà, dunque, compito dell’interprete nel presente lavoro comprendere, altresì, come e fino a che punto può penetrare il sindacato del Giudice e se ciò sia possibile anche laddove non sia riscontrabile un’ipotesi di debolezza o asimmetria contrattuale rilevante.
Non si userà, volutamente il concetto di “ingiustizia” perché si ritiene che tale locuzione rimandi a categorie anche etiche che a ben vedere non hanno alcuna attinenza con la fattispecie in esame.
7 X. XXXXXX, op. cit., 384, il quale sottolinea che <<per rispondere alla domanda di giustizia il giudice deve, a sua volta, costruire, talora mediando con le incerte e ambigue prescrizioni della legge, la soluzione adeguata al caso concreto sottoposto al suo esame, utilizzando gli strumenti della auto-integrazione o della etero-integrazione del regolamento degli interessi delle parti: dalla nullità o inefficacia di protezione alla repressione dell’abuso di posizione o al risarcimento dei danni, ovvero alla correzione/integrazione delle clausole negoziali>>.
CAPITOLO I
LIBERTÀ NEGOZIALE ED AUTONOMIA PRIVATA.
SOMMARIO: 1. Aspetti generali. 2. Autonomia contrattuale e potere giurisdizionale. 3. La libertà contrattuale, gli aspetti economici del contratto e i possibili limiti costituzionali o ordinamentali.
1. Aspetti generali.
Per lungo tempo8, e fino all’introduzione del codice civile del 19429, il principio di autonomia contrattuale è stato concepito in termini di “quasi assolutezza”, come ipostasi del generale principio di “libertè” del cittadino.
L’art. 1322 c.c. prevede, al primo comma, che le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto, ossia le clausole che regolano il rapporto, mantenendosi nei limiti imposti dalla legge. L’assetto concreto dell’accordo deriva dal risultato delle trattative, dalla maggiore o minore abilità o potere contrattuale delle parti, dal loro interesse alla realizzazione dell’affare.10
La libertà contrattuale delle parti, peraltro, non si arresta alla possibilità di fissare le specifiche condizioni del contratto da loro concluso, ma
8 Per una interessante ricostruzione storica si legga X. XXXXXX, La funzione sociale del contratto, riflessioni di uno storico del diritto, in X. Xxxxxxx, & X. Xxxxxxx (a cura di), La funzione sociale del diritto privato tra XX e XXI secolo, 2017, 151-168.
9 Fondamentale, in materia, è X. XXXXX, L’autonomia privata e il suo riconoscimento giuridico, in Teoria generale del negozio giuridico, Torino 1955. Si vedano, poi, in punto autonomia contrattuale, X. XXXXXXX, Il diritto civile in 27 lezioni, Milano, 2007, 159 e ss..; X. XXXXXXX, Trattato di diritto civile, Padova, 2014; X. XXXXXXXXXX, Lezioni sul contratto, Torino, 2014, 123 e ss.
10 A. TORRENTE – X. XXXXXXXXXXX, Manuale di diritto privato, Milano, 2017, 533.
comprende, altresì, la capacità di concludere contratti “nuovi” nel senso che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, ma sono funzionali al compimento di operazioni economiche strumentali rispetto a particolari interessi delle parti.11
D’altronde, l’esercizio da parte dei privati di un potere di autonormazione mediante lo strumento del contratto è elemento comune agli ordinamenti degli Stati moderni la cui economia si basa sulla libera iniziativa economica e sul libero mercato.12
Si tratta, cioè, dello strumento mediante il quale è possibile regolare l’incontro tra domanda e offerta sul mercato: è, quindi, una forma di “autonomia” in senso proprio, perché le parti del contratto, ”democraticamente” 13 si dettano regole reciproche che li vincolano quali fossero norme di legge, come ben esplicitato dall’art. 1372 c.c., e ciò in quanto e solo nei confronti di chi ha partecipato all’accordo esprimendo il proprio consenso alla costituzione, regolazione o estinzione di un rapporto giuridico patrimoniale.
Valorizzare il principio di “libertà o autonomia negoziale”, come principio fondante la materia contrattuale, significa, sotto il profilo ideologico, affermare che, in linea di principio, i limiti che l’ordinamento può imporre alla volontà dei contraenti sono da
11 X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., 535. Attraverso lo strumento contrattuale le parti possono, salve le restrizioni previste dall’ordinamento, ad es., decidere se, quando, come, con chi e a quali condizioni, accordarsi per il perseguimento dei propri interessi.
12 Sul concetto di autonomia privata si vedano anche X. XXXXX, “L’autonomia privata”, 1959; X. XXXXXXX, “Parità di trattamento ed autonomia privata”, 1970; X. XXXXXXXXX, “Il contratto in generale, in il Diritto. Enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore”, IV, Milano, p. 13 e ss.; M. SEGNI, “Autonomia privata e valutazione legale tipica”,1972; X. XXXXX, “L’autonomia privata”: “Diritto dei contratti e disciplina costituzionale dell’economia”, Xxxx, 0000; X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXXXX, “Diritto privato”, 2013, 253 e ss.
13 Si veda X. XXXXXX, Lineamenti di dottrina pura del diritto, 1934, trad. it. X. XXXXXX, Xxxxxx, 0000, 134: secondo il filosofo il contratto è un “metodo espressamente democratico di produzione giuridica”, poiché i soggetti obbligati partecipano alla produzione della norma obbligante.
considerarsi come “eccezionali” e giustificati dalla sussistenza di ulteriori valori o principi ritenuti prevalenti sul quello qui in esame.
Se vogliamo, è l’annoso conflitto tra le concezioni “naturalistica” e “artificiale” dell’autonomia privata14, in ordine alle quali, come è stato efficacemente sottolineato, non è possibile un tentativo di “mediazione” tra un’idea di “capacità originaria” e una “facoltà derivata”15.
In questo senso, quindi, è logico che la disciplina contrattuale civilistica consti, per lo più, di norme dispositive, cioè derogabili dalle parti, aventi, in alcuni casi, funzione di supplenza, ogni qual volta un determinato aspetto del regolamento contrattuale non sia stato determinato specificamente dal loro accordo.
L’ordinamento in materia contrattuale interviene con norme inderogabili solo in quei casi nei quali vengono in gioco interessi generali e principi fondamentali che la legge non consente ai privati di mettere in discussione, anche, ad es., vietando del tutto alcune tipologie di patti.16
14 Si veda al riguardo, X. XXXX, Per una concezione normativa dell’autonomia privata, in jus civile, 2018, 377. La prima posizione che si rifà agli insegnamenti di X. XXXXX, Trattati sul governo, par. 14, secondo il quale l’autonomia privata è qualcosa che esiste prima e a prescindere dall’esistenza di una legge che la regoli, perché attiene alla libertà dei singoli di porre in essere atti di impegno reciproci; la seconda, invece, di matrice “hobbesiana” (si veda X. XXXXXX, Leviatano, XV, trad. it., Firenze, 1987, 139, postula l’autonomia privata come condizione dipendente dal potere coercitivo dello Stato. In questo senso, si legga X. XXXXX, voce Autonomia privata, in Noviss. Dig. it., 1958, pag. 5 estr., secondo il quale l’autonomia privata, riconosciuta nell’ordine giuridico, è chiamata <<solo a porre in essere l’ipotesi di fatto di norme esistenti, dando vita e sviluppo, fra gli interessati, a rapporti di quel tipo che esse norme prevedono e dispongono>>.
15 N. IRTI, op. cit., 378.
16 X. XXXXXX, La disciplina generale del contratto, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2015, 9-10: si pensi, ad esempio, all’ipotesi del patto commissorio, quale deroga vietata al principio sancito dall’art. 2740 c.c.: come ricorda l’autrice, sotto il profilo del rapporto dialettico tra libertà contrattuale e potere legislativo, il problema dei limiti dell’autonomia negoziale si riscontra analizzando in primo luogo, e soprattutto, il tema della causa della contratto, in punto esistenza e liceità della stessa; in secondo luogo, le singole pattuizioni e clausole contrattuali, in sé considerate (ad esempio con riferimento all’ipotesi di cui all’art. 1229 c.c., o alle clausole vessatorie nell’ambito dei contratti con i consumatori) ovvero analizzando complessivamente l’effetto che le stesse producono se considerate all’interno del regolamento contrattuale. Due settori nei quali si è avvertita da parte del legislatore la necessità di limitare la libertà contrattuale in varia misura sono certamente quello dei contratti di lavoro e quello dei
Xxxxxxxx, quindi, alle modalità con cui l’autonomia contrattuale esplica sé stessa, è ovvio che l’aspetto più rilevante è dato dalla possibilità per i contraenti di dare vita a “tipi contrattuali” diversi rispetto a quelli normativamente previsti, ponendo in essere operazioni economiche e negoziali complesse.
Rinviando al prosieguo l’esame dei profili rilevanti in ordine alla causa del contratto, la caratteristica propria dell’autonomia privata in ambito negoziale, come detto, è quella di consentire alle parti di modellare l’operazione economica sotto il profilo degli effetti giuridici, in modo da consentire il perseguimento di uno specifico scopo, sintesi degli interessi individuali di cui i contraenti sono portatori.
Qualora la regolamentazione prevista dai contraenti non sia sussumibile in tutto o in parte nella disciplina normativa prevista dal legislatore con riferimento a determinate tipologie contrattuali, significa che i contraenti hanno dato luogo ad un negozio avente caratteristiche “atipiche”.
In considerazione del fatto che si tratta di contratti non già previsti e disciplinati dal legislatore, i contratti atipici in tanto sono ammissibili in quanto <<diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico>>, ai sensi dell’art. 1322 c.c.
In via di prima approssimazione, con tale concetto si intende che le finalità e gli effetti del negozio atipico non devono essere in contrasto con gli interessi generali tutelati da norme inderogabili, con principi politici, economici e sociali fondanti l’organizzazione dello Stato, nonché con i valori etico-sociali condivisi da quella comunità (c.d. buon costume).17
Peraltro, occorre sottolineare come ai contraenti sia attribuito sì il potere di definire il contenuto e, quindi, gli effetti dell’operazione economico-giuridica che intendono realizzare, ma resta di stretta
contratti con i consumatori, prevedendo, non a caso, o norme del tutto inderogabili o derogabili solo se maggiormente favorevoli per il lavoratore o il consumatore.
17 X. XXXXXX, op. cit., 18.
competenza dell’Autorità Giudiziaria il potere c.d. qualificatorio del negozio così concepito. 18
Ovviamente, tanto più complesso e ampio sarà il potere qualificatorio del Giudice, quanto meno la fattispecie sia univocamente ricollegabile ad una tipologia normativamente determinata di contratto, presentando plurimi elementi di atipicità o trattandosi di contratti c.d. “misti”. 19
A ciò si aggiunge anche la possibilità per le parti di stabilire procedimenti atipici di formazione del contratto, come nel caso dei contratti normativi.
2. Autonomia contrattuale e potere giurisdizionale.
Autonomia contrattuale e giurisdizione è un palindromo, potendosi indagare il relativo rapporto interrogandosi sul se ed entro quali limiti sia consentito al giudice di sindacare l’esercizio del potere normativo che la legge attribuisce alle parti; ovvero, adottando una prospettiva, per così dire, rovesciata, interrogandosi sul se ed entro quali limiti le parti, con l’accordo che raggiungono, possono incidere sull’esercizio dell’attività di giurisdizione.20.
La previsione di interventi giudiziali modificativi e/o integrativi del regolamento contrattuale sono stati da sempre previsti dal legislatore, ancorchè, originariamente, in misura limitata ed eccezionale, pressoché a presidio della stessa (come nel caso delle incapacità negoziali previste
18 Ad es., Cass. civ., sez. III, 15 maggio 2019, n. 12875, in Giust. civ. mass., 2019, ha precisato che <<il giudice d'appello può qualificare il rapporto dedotto in giudizio in modo diverso rispetto a quanto prospettato dalle parti o ritenuto dal giudice di primo grado, purché non introduca nel tema controverso nuovi elementi di fatto, lasci inalterati il "petitum" e la "causa petendi" ed eserciti tale potere-dovere nell'ambito delle questioni, riproposte con il gravame, rispetto alle quali la qualificazione giuridica costituisca la necessaria premessa logico-giuridica, dovendo, altrimenti, tale questione preliminare formare oggetto di esplicita impugnazione ad opera della parte che risulti, rispetto ad essa, soccombente>>.
19 Si pensi ad es., al problema risolto da Cass. civ. sez. un., 12 maggio 2008, n.11656, in Resp. Civ. Prev. 2008, 10, 2139.
20 X. XXXXXXXXXX, Autonomia privata e giurisdizione, in juscivile, 2018, 3
per minori ed infermi di mente; delle tutele previste per le ipotesi di vizi del consenso; ecc.); successivamente, l’intervento del giudice è stato autorizzato dal legislatore, da un lato, in modo più pervasivo, dall’altro comunque settoriale, in favore di talune categorie di contraenti ritenute bisognose di particolare protezione (i lavoratori dipendenti, i conduttori di immobili urbani, i coltivatori di fondi rustici, i consumatori, gli imprenditori in stato di dipendenza economica, gli acquirenti di immobili da costruire, ecc.); ovvero a tutela di altri valori ritenuti socialmente meritevoli (i diritti della persona, la concorrenza, il mercato, il paesaggio, ecc.) 21.
Il sistema, in questo senso, garantisce un certo grado di prevedibilità del sindacato del giudice, in modo da consentire alle parti di poter adeguatamente orientare le propri scelte negoziali.
D’altronde, come efficacemente ricordato22, verso la fine del secolo scorso i giuristi italiani, sia teorici che pratici, hanno progressivamente cominciato a percepire che il proliferare delle fonti del diritto privato (non più solo il codice civile, ma anche la Costituzione, la legislazione di settore, la normativa comunitaria, ecc.) aveva segnato una sorta di distacco dalla tecnica normativa propria della tradizione codicistica. Infatti, a fronte di una tradizione tecnica normativa imperniata sulla descrizione, ad opera del legislatore, di una “fattispecie” - cioè, di un “fatto” astratto - al cui verificarsi viene ricollegato un determinato effetto giuridico con conseguente mero giudizio c.d. sussuntorio del giudice, con l’entrata in vigore della Carta Costituzionale tale tecnica normativa è mutata: il testo di legge, infatti, si articola nell’enunciazione di “principi” (cioè, di regole prive di “fattispecie”) o di “valori nessuno dei quali è “assoluto”, ma che debbono trovare un
21 X. XXXXXXXX, Autonomia privata e intervento del giudice, in I Contratti 6/2017, 625.
22 X. XXXXXXXX, La giurisprudenza fonte, in juscivile, 2016, 406 ss., nonché X. XXXXXXXX, Autonomia privata e intervento del giudice, in I Contratti 6/2017, 625.
necessario contemperamento con altri e diversi “principi” e “valori”, pur essi dotati di rilevanza costituzionale.
Il giudizio di bilanciamento, implicando un elevato margine di soggettività valutativa, finisce con l’incidere negativamente sulla prevedibilità delle decisioni giudiziali.23
Si pensi, ad. es., al rinnovato riferimento alle c.d. “clausole generali” (buona fede, correttezza, meritevolezza, ecc.), che, se prima erano viste con “sospetto”, per l’applicazione che di esse era stata fatta all’epoca in cui il codice è stato elaborato24, proprio il collegamento con la Carta costituzionale ha consentito uno sviluppo più che proporzionale del loro utilizzo da parte della giurisprudenza25.
Poiché anche in materia giuridica vale il principio fisico per cui ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria 26, a fronte della tendenza del potere giudiziario di ampliare lo spettro del sindacato sul contratto, con effetti integrativi e modificativi, con conseguente maggiore imprevedibilità delle decisioni giudiziali, sta il tentativo delle parti o quantomeno di una di esse di limitare se non addirittura escludere (quantomeno in prima battuta) tale potere di intervento eteronomo.27
Come accennato, l’esigenza di limitazione dell’intervento giurisdizionale, è da sempre associata alla ritenuta necessità di poter prevedere anticipatamente ciò che il giudice potrà decidere come se il
23 Tanto che vi è chi ha detto che <<di fronte a “clausole generali”, “principi”, “valori”, “il senso della legge è quello che i giudici stabiliscono>>, A. GENTILI, Un nuovo paradigma nel diritto dei contratti? L’uso alternativo della buona fede e dell’abuso del diritto, in X. XXXXXXXXXXX - X. XXXXXXX (a cura di), L’incidenza della dottrina sulla giurisprudenza nel diritto dei contratti, Napoli, 2016, 78.
24 Ci si riferisce ad es. al collegamento dell’art. 1175 c.c. “ai principi della solidarietà corporativa”.
25 In questo senso, come si vedrà nel prosieguo, l’evoluzione applicativa del principio di ‘buona fede oggettiva’ quale specificazione degli ‘inderogabili doveri di solidarietà sociale’ imposti dall’art. 2 Cost.
26 Terzo principio della meccanica, I. XXXXXX, Philosophiae Naturalis Principia Mathematica.
27 In questo senso, X. XXXXXXXXXX, op. cit., 417.
giudizio sillogistico potesse e dovesse essere sempre pronosticabile e come tale anche prevenibile. 28
Atte, astrattamente, a garantire questa esigenza e a limitare il potere giudiziario, sono tutte quelle ipotesi di clausole negoziali mediante le quali le parti tentano di “indirizzare” univocamente l’attività giudiziaria, come la clausola risolutiva espressa, la clausola penale, la caparra confirmatoria, le c.d. clausole di completezza29, le clausole limitative della responsabilità, le c.d. clausole interpretative30, le clausole sulla legge31 o comunque sulle norme applicabili32, le c.d. clausole di irresolubilità e “sole remedy of indemnification”.33
Pari finalità, poi, perseguono le parti spesso quando nel testo contrattuale inseriscono quanti più elementi di fatto per contestualizzare e rendere maggiormente certi i confini dello specifico rapporto contrattuale.
Sotto altro profilo, il rapporto tra libertà contrattuale e sindacato del giudice richiama lo “scontro” tra l’indirizzo, per così dire, “giuspositivistico” secondo il quale il giudice dovrebbe “attenersi” all’applicazione delle specifiche e particolari norme di legge nei quali i fatti di causa vengono ad essere sussumibili; e quello sostenuto da chi, per garantire l’adattamento dell’ordinamento alle modifiche della
28 Per vero, l’esigenza di prevedibilità delle decisioni giudiziarie è tema di estrema attualità e che coinvolge tutti i settori della giurisdizione in considerazione dei problemi legati all’utilizzo anche a fini processuali delle nuove tecnologie. Trattasi di problematica estremamente affascinante, ma troppo vasta e complessa per essere trattata in questa sede, laddove comunque nel prosieguo si farà adeguato cenno alle problematiche che istituti come gli smart contracts o le blockchains possono riverberare sulla dogmatica del contratto, con particolare riguardo al requisito della causa.
29 Quelle cioè che stabiliscono l’irrilevanza di fatti o atti anteriori o successivi al contratto.
30 Con le quali, ad es., le parti stabiliscono il significato di determinate parole o concetti contenuti nel contratto, come capita in caso di contratto di assicurazione.
31 Come nel caso di applicazione di leggi di altri ordinamenti, diffuso ad es., in materia di trust (si pensi ai casi di c.d. rimando alla legge del Jersey)
32 Come quando le parti nell’ambito di una vendita danno conto di volere l’applicazione di quelle sull’appalto.
33 Cioè quelle clausole che in caso di inadempimento escludono l’azione di risoluzione e consentono esclusivamente la liquidazione di un indennizzo in favore della parte.
società civile, valorizza l’utilizzo diretto da parte del Giudice di principi costituzionali e di principi ritenuti emergenti dall’ordinamento nel suo complesso, dando ad essi concretezza di regola del caso concreto.34 Certamente, un approccio di così ampio respiro da parte dell’Autorità giudiziaria, impone che, per garantire la certezza del diritto e un certo grado di prevedibilità delle decisioni giudiziarie, gli organi di ultimo grado (in particolare l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, e le Sezioni Riunite della Corte dei Conti) nonché la stessa Corte Costituzionale, pur non rinunciando all’esigenza di adeguamento dell’ordinamento al mutare della realtà sociale, politica ed economica, procedano a rendere effettiva, per quanto possibile, la nomofilachia.
Detto ciò, d’altronde, come è stato efficacemente sottolineato, se è vero che il giudice non è un osservatore o descrittore della realtà, ma un decisore, e, dunque, si trova nella necessità logica di scegliere una norma, o sistema di norme, e di escludere gli altri, dall’altro lato, non c’è un’autonomia originaria e naturale, che il diritto manipoli e lavori, ma soltanto l’autonomia definita dalla legge in un dato momento storico, ovvero un’autonomia normativa, storica della stessa mutevole storicità delle norme che, di tempo in tempo, la definiscono e determinano. L’autonomia privata designa soltanto una classe tipica di fattispecie, prevista da norme, che dispongono gli effetti secondo il contenuto deciso dalle parti. 35
In questo senso, l’ampliamento dei poteri di sindacato da parte del giudice non solo in senso integrativo, ma anche “oppositivo” rispetto
34 Si veda sull’argomento, P. GROSSI, l’invenzione del diritto, Bari, 2017; e sempre P. GROSSI, ritorno al diritto, 2015. Peraltro, come si vedrà, la stessa Corte Costituzionale ha avuto modo di fare applicazione diretta di norme costituzionali nella materia contrattuale.
35 N. IRTI, op. cit., 379.
alla volontà delle parti36, è, sia pure entro i limiti che si analizzeranno, condivisibile e giustificato.
In questo senso, la Corte di Cassazione di recente ha avuto modo di affermare che deve ritenersi assurto a “diritto vivente” il principio secondo il quale il giudice può <<intervenire anche in senso modificativo o integrativo sullo statuto negoziale, qualora ciò sia necessario per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti>>.37
3. La libertà contrattuale, gli aspetti economici del contratto e i possibili limiti costituzionali o ordinamentali.
In via tendenziale e di principio, salvi tassativi casi previsti dalla legge, l’ordinamento lascia alle parti la libertà di determinarsi sui prezzi e, in genere, sugli aspetti squisitamente economici degli scambi.
Questo perché primo elemento essenziale del contratto, ai sensi dell’art. 1321 c.c., è il “libero consenso”, la volontà oggettivata delle parti per come manifestata in modo concorde, espresso o tacito, al momento della stipulazione del contratto38, al fine di raggiungere un determinato risultato.
36 X. XXXXXXXX, Autonomia privata e intervento del giudice, in I contratti, 6/2017, 625 e ss.
37 Cass. civ., S.U., 6 maggio 2016, n. 9140, in Resp. civ. prev., 2016, 3, 852 con nota di X. XXXXXXXX; già in precedenza, Cass., 18 settembre 2009, n. 20106, in Xxxxx e resp, 2010, n. 4, 350 e ss., con nota di X. XXXXXXXXXXX.
38 Senza volere e potere approfondire eccessivamente, al riguardo, si rammenta che alla “Teoria della Volontà”, elaborata dalla dottrina pandettistica risalente alla fine dell'800, che fonda la validità ed efficacia del contratto sulla volontà interna, causa psichica dell’atto, sovraordinata alla volontà manifestata esternamente (X. XXXXXX, “Xxxxxx xxx xxxxxxx xxxxxxxxx”, Xxxxxx, 0; X. XXXXXX, X. XXXXXXXX, “Il contratto in generale”, Roma, 485 e ss..; X. XXXXX, “Xx xxxxxxxxx”, Xxxx, 0000, 181 e ss.; C. M. XXXXXX, “Diritto civile: Il contratto”, Milano, 1978, 1 e ss. ), si contrappongono tanto la “Teoria Precettiva”, secondo cui ciò che conta non è il volere interno del soggetto, ma la dichiarazione e cioè la volontà manifestata esternamente, attraverso la determinazione di un regolamento impegnativo di interessi (X. XXXXX, “Teoria generale del negozio giuridico”, 1943; X. XXXXXXX – XXXXXXXXXX, “Xxxxxxxx xxxxxxxx xxx xxxxxxx xxxxxx”, Xxxxxx, 0000; C.M. XXXXXX, X. XXXXX, X. XXXXX, “Lessico di diritto civile”, Milano, 1991, p. 745 e ss.), quanto, la c.d. “Teoria della Dichiarazione” secondo la quale l’essenza del contratto non è la volontà interna del dichiarante, ma la
Eccezionalmente, il legislatore interviene nell’imporre prezzi o condizioni economiche qualora ciò corrisponda ad interessi pubblici generali (si pensi alla “calmierizzazione” dei costi di beni o servizi per garantirne l’accesso, o per evitare effetti distorsivi, come nel caso dell’equo canone, per i contratti di locazione).
La libertà contrattuale, in questi termini, è direttamente funzionale a garantire il rispetto del principio di concorrenza e di libero mercato, nonché il principio, di rilevanza costituzionale, della libera iniziativa economica. 39
L’art. 41, comma 2 Cost., d’altronde, prevede che l’iniziativa economica privata non possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
Nella materia contrattuale, a conformare la libera iniziativa economica e l’autonomia contrattuale sono i principi di ordine pubblico40 e le norme imperative, nonché le stesse norme costituzionali in quanto integranti principi direttamente applicabili nei rapporti tra privati.
dichiarazione così come può essere percepita da una persona di media diligenza, tale, quindi, da determinare un affidamento incolpevole del destinatario, in modo che colui che emette una dichiarazione deve prevedere ciò che il destinatario della stessa possa ragionevolmente intendere, assumendo così il rischio di rimanere vincolato a quanto dichiarato seppur non corrispondente al suo interno volere (X. XXXXXXXXX, “Istituzioni di diritto civile”, Padova, p. 150 e p. 197 e ss.; M. C. XXXXXX, “Il contratto in generale”, Bologna, 2010, p.742 e ss.; X. XXXXXXXXX, “Dei contratti in generale”, Torino, 1967; X. XXXXX, “I presupposti della dichiarazione di volontà nei negozi giuridici”).
39 In questo senso, si vedano, X. XXXXXXXXXX, La crisi del contratto nella società contemporanea, in Riv. dir. agr., 1972, I, 388; X. XXXXXXXX, L’autonomia dei privati, in Iustitia, 1967, 12 ed ora in Contratto (voce), cit., 11; X. XXXXXX, Le fonti di integrazione del contratto, cit., 45 ss; A CERRI, La Costituzione e il diritto privato, in Trattato di diritto privato diretto da X. XXXXXXXX, Xxxxxx, 00, 61
40 Con ciò intendendosi l’insieme di principi desunti dall’ordinamento nel suo complesso, come insieme, cioè, dei principi di struttura politica ed economica della società, immanenti nell’ordinamento giuridico vigente: X. XXXXXXXXX, Istituzioni di diritto privato, Milano, 1996, 233; X. XXXXXXXXXXXX, Dei contratti in generale, artt. 1321-1352, in Commentario del codice civile a cura di SCIALOJA E BRANCA, Bologna- Roma, 1972, 327. Per ordine pubblico economico, invece, si intende l’insieme delle regole dei rapporti contrattuali relativamente all’organizzazione economica, o rapporti sociali e all’economia interna dei contratti.
In questo senso, ormai da tempo si può notare come la giurisprudenza anche costituzionale abbia fatto ampio uso della c.d. Drittwirkung in materia contrattuale, di talchè i limiti all’art. 41 Cost., non sono solo quelli “intrinseci” ai commi 2 e 3 della medesima norma, come in passato sostenuto dalla stessa giurisprudenza di Cassazione41, ma anche quelli discendenti da norme costituzionali recanti principi aventi immediata applicabilità anche tra soggetti privati contraenti.
Non si fa riferimento solo al principio di solidarietà ex art. 2 Cost., che come si dirà più avanti è ormai parametro interpretativo e addirittura direttamente integrativo dell’atto e del rapporto contrattuale, sia in via diretta che in combinato disposto con tutte le norme che fanno riferimento alla correttezza e buona fede, ma anche principi come quello sancito dall’art. 53 Cost., sulla cui diretta applicabilità quale norma “imperativa” ai fini, ad es., del giudizio di nullità del contratto, in passato si dubitava, ma che sempre più nelle decisioni giudiziali sta assumendo rilevanza centrale.42
Per quanto concerne il principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., d’altronde, la dottrina contraria43 all’applicazione diretta della norma in questione ha affermato, ai fini che qui interessano, che detto principio non potrebbe essere invocato sino al punto di pretendere una
41 Cass. civ., Sez. Un., 29 maggio 1993, n. 6030, in Giust. civ., 1993, I, 2351.
42 Da ultimo si veda Cass. civ., Sez. Un., 8 marzo 2019, n. 6882, in Giur. It., Ottobre 2019, 2086 e ss., con nota di X. XXXXXXXX, Validita` del patto di traslazione del carico fiscale, tra omissioni e ambiguita` fuorvianti.
43 U. PERFETTI, op. cit., 86, nota 129, e 313, secondo il quale in relazione alla tutela del
c.d. contraente debole occorrerebbe comunque l’intermediazione del legislatore per precisare in cosa consista la “situazione di debolezza” e come la stessa debba essere modulata, di talchè l’avere il legislatore stesso proceduto a tutelare una data categoria in un determinato modo e non altro, determina la finalità e al contempo il limite di operatività della norma e dei princìpi che essa esprime che possono, quindi, operare solo in un ambito che quelle condizioni replichi fedelmente. Si tratta di un relativismo normativo che contraddirebbe l’esistenza stessa del principio di ordine pubblico; contra A. DEL FANTE, Buona fede prenegoziale e principio costituzionale di solidarietà, in Rass. Dir. civ., 1983, 155, secondo la quale, con l’entrata in vigore della Costituzione, avrebbe dovuto avere inizio il rinnovamento del sistema giuridico, con abrogazione delle norme assolutamente incompatibili nei riguardi della nuova dimensione della solidarietà, tra le quali l’art. 1448 c.c.
sollecitudine per le sorti economiche dell’altro contraente che si traduca operativamente nella possibilità di garantire la giustizia dello scambio, in quanto la solidarietà costituzionale parrebbe un mezzo di realizzazione del necessario equilibrio tra classi, e, quindi, non ha come punto di riferimento il singolo rapporto economico quanto piuttosto l’equilibrio tra gruppi sociali che detengono il potere economico e gruppi che ne sono sprovvisti44.
In questo senso, quindi, la tutela dell’interesse del singolo risulterebbe collegata, nella visione costituzionale, con l’appartenenza dello stesso ad un gruppo sociale che si trova in condizioni di inferiorità economica, per cui, pur essendo avvertito come individuale, l’interesse protetto esprime sempre esigenze di una categoria sociale. Ne deriva che il principio costituzionale di solidarietà può giustificare il controllo statale sui programmi produttivi dell’iniziativa privata (artt. 41 e 42 Cost), l’intervento riequilibratore nei rapporti di forza fra gruppi sociali (art. 36 Cost), occasionalmente la subordinazione dell’interesse individuale a quello generale della collettività (artt. 43 e 44 Cost.), ma non legittimerebbe l’emersione del principio etico di cooperazione interindividuale nel singolo rapporto economico, se non nell’esclusivo contesto dei rapporti familiari (art. 29 ss Cost.), 45
Di qui la considerazione per cui la norma di cui all’art. 2 Cost. e i relativi doveri di solidarietà in tanto sono direttamente precettivi in quanto si traducono negli ulteriori specifici doveri sociali individuati nella Costituzione stessa o in quanto il legislatore li ha specificamente tradotti in legge 46; sicchè non si potrebbe individuare <<un principio di ordine pubblico che imponga la parità di trattamento nei rapporti
44 X. XXXXXXXXX, Solidarietà e autonomia privata, Napoli 1970, 81 e P. BARCELLONA,
Intervento statale e autonomia privata nella disciplina dei rapporti economici, Milano, 1969, 24, 25 ss.
45 X. XXXXXXXXX, op. cit., 25, 83, 84.
46 C. Cost., 28 luglio 0000, x. 000, xx Xxxx. xxxx., 0000, X, 0000; Id., 18 gennaio 1977,
n. 29, ivi, 1979, I, 784; Id., 2 febbraio 1972, 12, ivi, 1972, I, 580.
interprivati>>, ma, al massimo, una “linea di tendenza, che, però,
<<non costituisce ancora un principio di ordine pubblico, atteso che per questo, per sua stessa natura deve essere caratterizzato dalla generalità e dalla obbligatorietà>>47
Quanto sopra, d’altronde, andrà opportunamente riconsiderato alla luce dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale più recente, nonché alla luce della prospettiva che nel presente lavoro si intende adottare: ovvero la rideterminazione del concetto di asimmetria che se correttamente inteso e dilatato fa comprendere come il “cluster” che la dottrina tradizionale richiama per giustificare l’applicazione dell’art. 2 Cost ad es., alla tutela dei consumatori, può essere riferito anche ai contratti “ordinari”, in quanto l’idea di fondo sottesa al codice civile, ovvero l’esistenza di due parti entrambi nella stessa condizione contrattuale e conoscitiva, è per lo più idea di scuola, sussistendo pressochè sempre una parziale e a volte reciproca asimmetria, sia di tipo informativo che di altro tipo.
E ciò porta, altresì, a riconsiderare, alla luce del bilanciamento tra la portata dell’art. 2 Cost e il principio di libertà contrattuale, un aspetto che si ritiene importante nell’ambito del diritto dei contratti: l’irrilevanza del c.d. dolus bonus, inteso come quel tipo di “inganno” o silenzio o reticenza, normalmente tollerato nella vita degli affari, perché sostanzialmente innocuo.
47 Cass. civ., sez. un. 29 maggio 1993, n. 6031, in Foro it., 1993, I, 1815.
CAPITOLO II
L’EQUILIBRIO ECONOMICO DEL CONTRATTO NELLA DOGMATICA CLASSICA.
SOMMARIO: 1. Inquadramento generale 2. L’impostazione negatoria tradizionale. Le fattispecie codicistiche rilevanti. 3. Le fattispecie extracodicistiche.
1. Inquadramento generale.
Quando si approccia il tema dell’equilibrio contrattuale si può fare riferimento a due concetti che, normalmente vengono distinti.
Da un lato, si parla di “equilibrio normativo”, quando si ha riguardo al rapporto tra le posizioni attive e passive (in termini di diritti e obblighi, oneri, responsabilità e rischi) che nell’ambito dello specifico rapporto contrattuale sono poste a carico dei contraenti.
Dall’altro lato, ci si riferisce al c.d. equilibrio economico per identificare il rapporto e il bilanciamento tra le prestazioni dedotte in contratto, primarie e secondarie, principali ed accessorie, sotto il profilo strettamente valoristico-monetario, sia singolarmente considerate, sia in relazione alla complessiva operazione contrattuale48.
Com’è facilmente intuibile, un problema di equilibrio economico si pone soprattutto e prevalentemente con riguardo ai contratti c.d. sinallagmatici o a prestazioni corrispettive, caratterizzati dal fatto che
48 Sulla distinzione in esame, si vedano, tra gli altri, X.XXXXXXXXXX, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, in Rass. dir. civ., 2001, 343 ss.,
M. BARCELLONA, La buona fede e il controllo giudiziale dei contratti, in Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, Torino, 2002.
obblighi e diritti sono collegati tra loro da uno specifico nesso di interdipendenza49.
Lo squilibrio può riguardare tanto la situazione “originaria”, cioè il complesso delle pattuizioni al tempo e alla luce della situazione esistente al momento della stipula del contratto, con conseguente riflesso sul contratto-atto (c.d. sinallagma genetico), quanto il contratto nel suo momento dinamico, in relazione a fatti sopravvenuti, incidenti, quindi, sul rapporto contrattuale 50, per verificare che l’originaria proporzione non sia stata alterata da successive sopravvenienze (c.d. sinallagma funzionale).
Il legislatore, tanto nel codice civile, quanto nella legislazione speciale, ha approntato degli istituti volti a regolare ipotesi particolari di disequilibrio economico o normativo, sia di tipo originario che successivo.
La dottrina ha, per lo più, mostrato una notevole chiusura ad ammettere che dall’ordinamento possa ricavarsi un principio di necessario equilibrio economico tra le prestazioni dedotte in contratto, anche considerando l’operazione economica nel suo complesso e non esclusivamente le prestazioni “principali” o, comunque, caratterizzanti il rapporto contrattuale.
Questo anche perché, come si è più sopra esposto, il legislatore del 1942 ha inteso porre solo in via eccezionale dei limiti alla libertà contrattuale.
Come si vedrà ampiamente nel prosieguo, sono plurimi gli interventi legislativi – nella legislazione speciale – attraverso i quali sono stati
49 Si tratta del legame o rapporto di condizionalità reciproca, intercorrente tra prestazione e controprestazione che rende, con la sua forza, le obbligazioni contrattuali interdipendenti e non meramente coesistenti fra di loro. Al riguardo si veda, tra gli altri, X. XXXXX, “Trattato del contratto”, Milano, 2006, p. 623; X. XXXXX, “Diritto civile”, I, Torino, 2014, p. 418 e ss.; X. XXXXXXXXXX, “Contratti”, Milano, 2012, p. 86; X. XXXXXX, “Diritto civile”, III, 2009, p. 419; X. XXX XXXXXXX, “Istituzioni di diritto privato”, Napoli, 2012, p. 191.
50 Si veda X. Xxxxxxx, Lo squilibrio originario del contratto, sindacato del giudice e rimedi, in giuricivile, 2018, 4.
introdotti, in varia misura e tipologia, strumenti di controllo e correzione degli elementi di squilibrio economico del contratto.
A ciò si è associato l’intervento da parte della giurisprudenza, in particolare, di legittimità e Costituzionale che seppure in modo non univoco e coordinato fornisce indubbiamente degli spunti per rivalutare il problema dello sindacato giudiziale sull’equilibrio economico originario del contratto alla luce dell’assetto ordinamentale attuale.
2. L’impostazione negatoria tradizionale. Le fattispecie codicistiche rilevanti.
Invertiamo, ora, l’ordine dei fattori, partendo cioè dalla posizione di chi ritiene che, pur a fronte di una serie di previsioni normative che sembrano indulgere verso un’apertura in favore di un generale principio di equilibrio economico contrattuale, le reputa, anche complessivamente intese, non indicative dell’esistenza del principio medesimo.
La dottrina e la giurisprudenza “classiche”, in tal senso, hanno costantemente negato la sussistenza di un principio generale di equilibrio economico tra le prestazioni, dedotte dalle parti nell’ambito dell’operazione contrattuale, sulla scorta, in particolare, di una serie di addentellati normativi.
In primo luogo, viene in esame l’istituto dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, disciplinata, nel codice civile, dall’art. 1467 c.c., ai sensi del quale nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall'articolo 1458. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell'alea normale del contratto. La parte contro la quale è
domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.
Pur non potendo esaminare approfonditamente l’istituto51, è sufficiente in questa sede ricordare che la tesi “negativa” si fonda sul fatto che la norma prevede la possibilità di evitare la risoluzione del contratto qualora la parte interessata al mantenimento del contratto offra di modificarne equamente le condizioni.
Si è affermato, con riguardo al parametro cui riferire l’equità, che, a differenza dell’istituto della rescissione, la norma fa riferimento all’equilibrio originario voluto dalle parti con riferimento alle prestazioni per come dedotte in contratto al momento della stipula dello stesso, equilibrio inciso dalle sopravvenienze che hanno determinato la proposizione della domanda di risoluzione, in modo da garantire il rapporto di adeguatezza tra le prestazioni originarie, in quanto frutto di una valutazione attendibile e razionale delle parti.52
Secondo altra impostazione, invece, l’equità non concerne il ripristino dell’originaria proporzionalità economica del contratto, ma la riconduzione del contratto entro i confini della normale alea53.
51 In ordine al quale si rinvia a G.C. TERRANOVA, L’eccessiva onerosità nei contratti, artt. 1467 – 1469, in Il codice civile, Commentario, diretto da X. XXXXXXXXXXX, Xxxxxx, 0000; G.B. XXXXX, Xxxxx Xxxxxxxx rebus sic stantibus alla risoluzione per eccessiva onerosità, in Quadrimestre, 1988; X. XXXXXXX, Sulla nozione di eccessiva onerosità sopravvenuta, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1959; X. XXXXXXXXX, Delle obbligazioni – dei contratti in generale – artt. 1321 – 1469, in Commentario del codice civile, libro IV, t. 2, Torino, 1980, 652; X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1966, 185; X. XXXXXXX, La risoluzione del contratto per eccessiva onerosità, Torino, 1952. Si veda, però, anche X. XXXXXXXXX, Revisione del rapporto (voce), in Enc. dir. Milano, 1989, XL, 109-110 in quanto ha ricondotto l’istituto della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta al fenomeno più generale ed unitario della revisione del rapporto che sussiste quando nel corso della realizzazione del contratto la situazione di fatto, sulla base della quale le parti avevano definito l’assetto di interessi, subisce un’oggettiva modificazione che travolge i termini economici della regolamentazione.
52 In questo senso, si vedano, X. XXXXX, L’adeguatezza fra le prestazioni nei contratti con prestazioni corrispettive, in Riv. dir. comm., 1963, I, 462-463; C.G. TERRANOVA, L’eccessiva onerosità, cit., 204; X. XXXXXXXXXXX, Xxxxx riduzione ad equità del contratto rescindibile, in Riv. trim. dir. priv., 1966, 1241;
53 X. XXXXXXXXX, La risoluzione del contratto per eccessiva onerosità, in Contratto e impresa, 1995, 995; X. XXXXXXXXX, Offerta di riduzione ad equità del contratto (voce),
In giurisprudenza, al riguardo, da un lato, è stato sottolineato come con il termine “equamente”, usato nel comma 3 dell'art. 1467 c.c., richiede, perché sia evitata la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità, che la parte, contro la quale la domanda è rivolta, offra di modificare le condizioni del contratto in modo che questo sia riportato ad un giusto rapporto di scambio, con la conseguenza che il corrispettivo deve essere uniformato, in quanto possibile, ai valori di mercato, e sia eliminato lo squilibrio economico e le prestazioni siano ricondotte ad una piena equivalenza obiettiva: l'indagine del giudice deve, pertanto, essere condotta attenendosi a criteri estimativi oggettivi di carattere tecnico, e non soltanto con un mero criterio di equità.54
Per altro verso, la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che l'art. 1467 c.c. non impone al convenuto, che voglia evitare la pronuncia di risoluzione, di offrire una modifica delle condizioni del contratto tale da ristabilire esattamente l'equilibrio tra le rispettive prestazioni esistenti al momento della stipulazione. Infatti, dalla combinazione logica dei tre commi che compongono la disposizione, si evince agevolmente che la sopravvenuta onerosità della prestazione considerata dà diritto alla risoluzione soltanto se è eccessiva (comma 1) e non se rientra nell'alea normale del contratto (comma 2) sicché l'offerta di modifica è da considerarsi equa se riporta il contratto in una dimensione sinallagmatica tale che, se fosse sussistita al momento della stipulazione, la parte onerata non avrebbe avuto diritto di domandarne la risoluzione.55
A ben vedere, secondo l’orientamento prevalente, la norma non si cura del fatto che il contratto ab origine fosse o meno squilibrato, rilevando
in Digesto delle discipline privatistiche – sez. civile – aggiornamento, t. II, Torino, 2003, 981; sul concetto di alea normale si veda A. PINO, La eccessiva onerosità sopravvenuta, Xxxxxx, 0000.
54 Secondo altra Cass. civ., 9 ottobre 1989, n. 4023, in Giur. it., 1990, I, 1, 944.
55 Cass. civ., 11 gennaio 1992, n. 247, in Giur. it., 1993, I, 1, 2022, e con nota critica di X. XX XXXX, Eccessiva onerosità sopravvenuta e reductio ad equitatem, in Corr. giur. 1992, 665
solo l’effetto della sopravvenienza, di talché se questa va ad incidere ulteriormente su rapporto già nato squilibrato, la riconduzione ad equità non può consentire di portare il contratto a condizioni diverse da quelle originarie, ancorchè maggiormente congrue e bilanciate economicamente.56
In questo senso, quindi, l’intervento riequilibratore, incide solo con riferimento alle conseguenze determinate dai fatti sopravvenuti, ma non può spingersi fino a determinare una l’equilibrio di una operazione economica squilibrata ab origine, perché la finalità della norma sarebbe solo quella di conservazione dell’assetto programmatico di interessi concepito dalle parti.
In secondo luogo, è certamente centrale, per la teoria “negazionista”, il complesso e controverso57, istituto della rescissione del contratto58, disciplinato dagli artt. 1447-1452 c.c.59.
56 U. PERFETTI, op. cit., 21: secondo l’autore, infatti, quante volte l’originario programma contrattuale risulti squilibrato, il sistema della reductio ha come effetto proprio quello di salvaguardare lo squilibrio preservando l’ingiustizia del contratto; nel secondo caso, nel valutare l’equità dell’offerta di ripristino dell’equilibrio, <<il giudice dovrebbe procedere ponendo a confronto lo squilibrio prodotto dall’evento astrattamente idoneo a risolvere il contratto con quello proprio dell’assetto programmatico iniziale così stabilendo l’entità di quello da giudicare compreso nel recinto dell’alea normale>>
57 Discussa è, infatti, in dottrina la natura e la ratio della disciplina della rescissione: in estrema sintesi e rinviando, per lo studio e l’approfondimento delle argomentazioni a favore e contro le varie ricostruzioni, agli autori di seguito indicati, sono enucleabili quattro posizioni interpretative:
a) secondo un orientamento, la rescissione sarebbe collegata ad un vizio concernente la causa o l’oggetto del contratto, in un’ottica, quindi, strettamente oggettiva volta a censurare la sproporzione tra le prestazioni, in questo senso X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, cit., 169, 184, 185, 262; X. XXXXXXX FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato, Napoli, 1947-1949, 597; X. XXXXXXXX, Incapacità naturale e adempimento, 1950, 59 e 62; criticano questa posizione per ragioni diverse, X. XXXXX, L’adeguatezza fra le prestazioni, cit., 439 e 440, X. XXXXXXXXX, La rescissione, cit., 68; X. XXXXXXXXXX, Sul contenuto del contratto, Milano, 1966, 311; X. XXXXXXX, Sulla ratio degli artt. 1447, 1448, 1438 e 428, comma 2 del codice civile, in Studi in memoria di Xxxxxxxx Xxxxxxx, I, Milano, 1973, 410; C.
M. BIANCA, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano, 2000, 683, nota 1; X. XXXXXXXXXXX,
Mercato e rescissione, in Riv. dir. comm., 1999, I, 691;
b) secondo altra impostazione, gli artt. 1447 e ss. c.c. contemplerebbero un rimedio ad un’ipotesi di vizio del consenso indotto nel contraente leso dallo stato di bisogno o di pericolo in cui versava, così X. XXXXXX, La teoria generale del contratto, Torino, 1955, 205 ss.; nonché X. XXXXXXX, L’abuso del contraente nella formazione del
Ai sensi dell’art. 1447 c.c., il contratto con cui una parte ha assunto obbligazioni a condizioni inique, per la necessità, nota alla controparte, di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, può essere rescisso su domanda della parte che si è obbligata. Il giudice nel pronunciare la rescissione può, secondo le circostanze, assegnare un equo compenso all'altra parte per l'opera prestata.
In forza dell’art. 1448 c.c., invece, se vi è sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell'altra, e la sproporzione è dipesa dallo stato di bisogno di una parte, del quale l'altra ha approfittato per trarne vantaggio, la parte danneggiata può domandare la rescissione del contratto. L'azione non è ammissibile se la lesione non eccede la metà del valore che la prestazione eseguita o promessa dalla parte danneggiata aveva al tempo del contratto. Non possono essere rescissi per causa di lesione i contratti aleatori.
Secondo la dottrina “negazionista” l’elemento decisivo, ai fini della tematica in esame, è il fatto che entrambe le norme e in particolare l’art. 1448 c.c. consentono sì un intervento repressivo o correttivo del giudice, ma non in forza del mero squilibrio economico originario delle
contratto, Perugia, 1979, 57 e ss.. Contra, X. XXXXX, L’adeguatezza etc., cit., 430, e O.T. XXXXXXXXXX, Il problema dell’adeguatezza negli scambi e la rescissione del contratto per lesione, 393; X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., 986; X. XXXXXXX, La rescissione del contratto, artt. 1447-1452, in Il Codice civile, Commentario diretto da Xxxxxxxxxxx, Milano, 2000, 6 e 10, secondo il quale il fondamento del rimedio rescissorio andrebbe individuato nella particolare tutela della libertà di determinazione del contenuto del contratto; si veda anche X. XXXXXXXXXX, I contratti, cit. 94.
c) secondo altri, poi, si tratterebbe di un’ipotesi di “sanzione civile” a fronte di un comportamento illecito, similmente a quanto previsto dall’art. 1337 c.c.: in tal senso,
X. XXXXXXX, Teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1946, III, 1182 ss.; X. XXXXXXXXX, In tema di usura e xxxxxxx, in Xxxx.xx., 1948, I, 1, 59; X. X. XXXXXX, Xxxxxxx xxxxxx, 0, Xx contratto cit., 682-683; contra X. XXXXX, L’adeguatezza, cit., 437-438;
d) secondo l’opinione dottrinale maggioritaria, cui accede la giurisprudenza, la rescissione si caratterizza per un concorso di elementi distintivi, in tal senso, X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, Milano, 1960, 465; M. SESTA, La rescissione del contratto, in Nuova giur. civ. comm., 1991, II, 76; in giurisprudenza, si veda Xxxx. 19 agosto 2003, n. 12116, in Giust. civ. mass., 2003, fasc. 7-8.
58 Si vedano sull’argomento, X. XXXXXXX, La rescissione del contratto, artt. 1447- 1452, in Il Codice civile, Commentario diretto da Xxxxxxxxxxx, Milano, 2000, nonché, per l’analisi di dottrina e giurisprudenza, X. XXXX, La rescissione del contratto, Padova, 1997; X. XXXXXXXX, Indagini sulla rescissione, Perugia, 2001; X. XXXXXXXXX, La rescissione del contratto, Napoli 1962, I, ed.
59 X. XXXXXX, Rescissione (dir. vigente), voce, in Enc. dir., Milano, 1988, XXXIX, 970.
prestazioni, essendo necessari degli elementi ulteriori quali la prova dello stato di bisogno, o di pericolo e, rispettivamente, l’approfittamento da parte dell’altra parte dello stato di bisogno o l’assunzione dell’obbligazione iniqua per evitare il pericolo di danno grave alla persona dell’obbligato60, oltre al fatto che, comunque, dall’art. 1448 c.c. viene apposto un limite “minimo” alla rilevanza dello squilibrio, essendo necessaria nella predetta fattispecie una lesione “ultra dimidium”.
Quindi, la norma individuerebbe nella lesione ultra dimidium combinata con l’approfittamento dello stato di bisogno il limite di “ingiustizia” del contratto”61.
In dottrina, si è sottolineato che <<la disciplina della rescissione costituisce la risposta complessiva, seppur riduttiva, di un legislatore ben consapevole dell’attenzione della civilistica ai valori di solidarietà ed autodeterminazione ed al problema del trattamento giuridico dell’equilibrio contrattuale>>62.
D’altronde, è significativo il fatto che, comunque, si sia cercato di superare quella che sembrerebbe essere “norma-limite”, di chiusura del sistema, ai fini che qui interessano.
Ad es., si è sostenuta l’applicazione analogica dell’art. 1448 c.c., in funzione correttiva, anche a fronte di una lesione infra dimidium e con un’applicazione ulteriormente estensiva dell’art. 1450 c.c. 63.
60 In questo senso, X. XXXXXXXXXX, Sul contenuto del contratto, Milano, 1966, 311; X. XXXXXXXXX, Solidarietà e autonomia privata, Napoli, 1970; X. XXXXXXXXXX, Onerosità, corrispettività e qualificazione dei contratti. Il problema della donazione mista, Napoli, 1984, 48.
61Si legga U. PERFETTI, op. cit., 33, sia per i ragionamenti svolti, che per i riferimenti bibliografici.
62 X. X’XXXXXX, La buona fede, in Trattato di diritto privato, diretto da Xxxxxxx, XIII, Il contratto in generale, IV, Torino, 2004, 194 e 195.
63 X. XXXXXX, Xxxxxxx concorrenziale e teoria del contratto, in Riv. dir. comm., 1999, 116 e ss.
Sotto altro profilo, come si dirà più ampiamente anche nel prosieguo, i concetti fondanti l’operatività della rescissione sono stati oggetto di un progressivo “svilimento” contenutistico.64
D’altronde, il requisito della lesione ultra dimidium, non consentendo l’applicazione analogica dell’istituto della rescissione alle fattispecie di lesione infra dimidium, è stato ed è tuttora, dai sostenitori della tesi “negazionista” ritenuto dato insuperabile per affermare un generalizzato potere giudiziario di correzione dello squilibrio economico originario in applicazione analogica dell’art. 1450 c.c. 65
E’ stato anche affermato come la c.d. “reductio ad equitatem” di cui all’art. 1450 c.c. non sia funzionale a tutelare la vittima del contratto iniquo, essendo paradossalmente strumentale alla tutela degli interessi del contraente c.d. “profittatore” che, in tal modo, è legittimato ad imporre al contraente / vittima un contratto sorto contra legem66, ma emendato successivamente.
L’opinione di chi nega la riconducibilità delle fattispecie in esame, così come per l’art. 1467 c.c., all’intenzione del legislatore di garantire l’equilibrio economico del contratto si fonda anche sul rilievo per cui
64 Ad esempio, per lo “stato di bisogno”, in giurisprudenza sono stati ritenuti sufficienti una semplice difficoltà o disagio economici o una contingente mancanza di liquidità che abbia costituito il concreto impulso alla conclusione del rapporto svantaggioso e si trovi con questo in rapporto di causa ed effetto (e non la totale incapacità patrimoniale o indigenza assoluta): così Cass. civ., 28 maggio 2003, n. 8519, in Foro it., 2003, contratto in genere (voce), 536; in dottrina si veda X. XXXXX, Sulla nozione di stato di bisogno nella rescissione per lesione, in Rass. Dir. civ., 1980, 166 e ss.; X. XXXXXXXXX, La rescissione del contratto, in Rass. dir. civ., 1997, 764 e ss.. In merito al concetto di “approfittamento”, è stata ritenuta sufficiente la mera conoscenza dello stato di bisogno qualora abbia determinato la spinta psicologica a contrarre, e il successivo ed effettivo del vantaggio conseguito: così, Cass. civ., 28 gennaio 2015, n. 1651, in Giust. civ. mass., 2015.
65 U. PERFETTI, op. cit., 40 e 41.
66 U. PERFETTI, op. cit. 42, contra X. XXXXXX, op. cit., 121. Al riguardo, l’art. 1450 c.c., secondo alcuni è un precipitato del principio di conservazione del contratto (X. XXXXXXXX, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1994, 720), e insieme all’art. 1467 c.c. e all’art. 1432 c.c. integrante una figura unitaria di sanatoria caratterizzata dal potere o comunque dall’offerta di modificazione del contenuto negoziale (X.
XXXXXXXXX, Lesione d’interesse e annullamento del contratto, Milano, 1964, 139; X. XXXXXX, La rettifica del contratto, Milano, 1973, 135; contra, X. XXXXXXXXXXX, Sulla riduzione ad equità cit., 1240).
non sarebbe previsto un potere officioso di intervento da parte del Giudice finalizzato a ristabilire l’equilibrio alterato o, addirittura, a rideterminare il contenuto del contratto, essendo solo concesso alla parte “profittatrice” di avanzare una proposta, specifica67, a fronte della quale il giudice può unicamente valutarne l’idoneità a ristabilire l’equilibrio alterato, anche evidentemente con riguardo agli elementi caratteristici dell’offerta68; inoltre, un tale meccanismo meramente “negoziale”69 non solo potrebbe essere azionato esclusivamente dal contraente che “ha dato causa” al vizio rescissorio70, ma impedisce alla
67 X. XXXXXXX, Equità ed autonomia privata, Milano, 1970, 108 e segg.; X. XXXXXX, la rettifica del contratto, cit., 127 e ss.; X. XXXXXXXXXXX, Sulla riduzione ad equità, cit., 1236 e 1237; contra, X. XXXXXXX, L’offerta di riduzione ad equità, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1947., cit. 580, X. XXXXXXX, La rescissione, cit., 99, per il quale un’offerta indeterminata potrà essere idonea a determinare la modifica del contratto solo in forza dell’esercizio da parte del giudice del proprio potere, con conseguente decisione di natura costitutiva. In giurisprudenza si rilevano diverse soluzioni: Cass. civ., Sez. Un., 27 gennaio 1959, n. 224, in Foro it., rep., Obbligazioni e contratti (voce), n. 318, secondo cui l’offerta deve essere formulata in termini precisi e determinati; Cass. civ., 25 maggio 1991, n. 5922, in Giust. civ. mass., 1991, secondo la quale la parte offerente può anche rimettersi alle valutazioni del giudice per l’esatta modificazione delle offerte; Cass. civ., 23 aprile 1994, n. 3891, n. 3891, ivi, 1994, 553, secondo la quale l’offerta deve comunque contenere un minimo di specificazione; Cass. civ., 18 luglio 1989, n. 3347, in Giust. civ., 1989, I, 2564, secondo la quale laddove a fronte di una proposta di modifica inidonea secondo il Giudice deve intendersi implicitamente proposta una domanda di determinazione giudiziale dell’equo prezzo in conseguenza della quale il Xxxxxxx deve pronunciarsi integrando l’offerta sulla base degli elementi di giudizio acquisiti.
68 Con conseguente decisione avente natura dichiarativa: E. QUADRI, La rettifica, etc., cit., 127; X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, La transazione, II ed. (rist.), Napoli, 1986, 60 e 61. 69 X. XXXXXX, La rettifica..., cit., 126-127; X. XXXXXXX, L’offerta di riduzione ad equità, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1947, 577; X. XXXXXXXXX, Onerosità eccessiva (voce), in Enc. del dir., Milano, 1980, XXX, 168; X. XXXXXXXX XXXXXXX, L’offerta di riduzione ad equità, Milano, 1990, 151; Id., Riduzione ad equità (voce), in Dig. disc. Priv. (sez. civ.) Torino, XXVII, 1998, 614; X. XXXXXXXX, Dottrina generale del contratto, II ed., Milano, 1946, 413; in giurisprudenza si vedano Cass., 6 dicembre 1988, n. 6630, in Foro it., rep. 1988, Contratto in genere (voce) 385, Cass., 6 febbraio 1970, n. 257, in Giust. civ., 1972, I, 1886; contra, nel senso di considerare l’offerta del contraente in termini processuali e non negoziali, X. XX XXXXXXX, L’offerta di reductio ad aequitatem nel contratto diventato eccessivamente oneroso, in Giur. comp. cass. civ., 1947, III, 347; C. BRACCIANTI, Degli effetti dell’eccessiva onerosità sopravveniente nei contratti, Milano, 1947, 78; X. XXXXXXXXX, Transazione e riduzione ad equità del contratto rescindibile, in Foro it., 1959, I, 1305; in giurisprudenza, Cass., 22 novembre 1978, n. 5458, in Giust. civ., 1979, I, 1087.
70 In forza di un diritto qualificato come potestativo, Cass., 22 novembre 1978, n. 5458, cit.
“vittima” dello stesso di liberarsi dal vincolo contrattuale laddove la proposta di riequilibrio sia considerata adeguata dal giudice.71
Sotto altro profilo, poi, rilevante per l’approccio al tema dell’equilibrio contrattuale è da sempre l’esegesi dell’art. 1382 x.x. (xxxxxxxx xxxxxx).
X’xxx. 0000, xxxxxxx xxxxx x.x., xxxxxxxxxxx una previsione particolare di “clausola penale”, essendo accordato al giudice un potere correttivo similare a quello di cui all’art. 1384 c.c.,72 può essere tranquillamente ricompreso nella trattazione riguardante la clausola penale in generale. La norma in esame è importante perché, in questo caso, l’equità si pone in senso contrario all’autonomia privata e non in funzione meramente integrativa 73, al fine non tanto e solo di tutelare il debitore, ma di ristabilire l’equilibrio contrattuale.74
71 Ponendo, quindi, dei dubbi in ordine alla legittimità costituzionale della norma in questione: L. CORSARO, Rescissione, cit., 644. Secondo un’opinione, peraltro, sarebbe sufficiente ad evitare la rescissione un’offerta idonea a riportare il rapporto tra prestazione e controprestazione nell’ambito dell’irrilevanza della lesione, ovvero al di sotto dell’ultra dimidium senza, quindi, giungere ad un rapporto di effettiva proporzionalità ed equilibrio tra prestazioni: in tal senso, X. XXXXXXX, Azione generale di rescissione per lesione, offerta di reductio ad aequitatem e svalutazione della moneta, in Giur. comp. cass. civ., 1948, I, 176 e 182; X. XXXXXX, Teoria del negozio giuridico, Padova, 1961, 228; X. Xxxxxxx, La risoluzione.., cit., 293; X. XXXXXXXXX, Transazione e riduzione, cit., 1307; per la “variante” fondata sul mero rispetto della “tollerabilità” cui ricondurre la sproporzione e X. XXXXXX, La rettifica, cit., 13; X. XXXXXXXXXXXX, Dei contratti in generale – disposizioni preliminari. Dei requisiti del contratto, - artt. 1321-1352 x.x., xx Xxxxxxxxxxx xxx xxxxxx xxxxxx, Xxxxxxxx x Xxxxxx, Xxxxxxx –Roma, 1972, 259; X. XXXXXXXXX, Lezione di interesse e annullamento del contratto, cit., 92; al contrario, ravvisa come questa impostazione finisca per ledere più che proporzionalmente il contraente svantaggiato: X. XXXXX, L’adeguatezza, cit., 46; X. XXXXXXXXXX, Rescissione per lesione e transazione, in Contr. Impr. 1995, 968- 969.
72 X. XXXXXX, La compravendita, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da Cicu e Messineo e continuato da Mengoni, Milano, 1971, XXIII, 445; X. XXXXXX, La clausola penale, Napoli, 1984, 123, 124 e 125; C. M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. dir. civ., diretto da Xxxxxxxx, Torino, 1972, VII, t. 1, 550-551; parzialmente contrario alla perfetta configurazione dell’istituto di cui all’art. 1526 c.c. quale clausola penale,
X. XXXXXXXXX, Clausola penale, artt. 1382 – 1384, in Il codice civile, Commentario, diretto da Xxxxxx Xxxxxxxxxxxx, Milano, 1999, 298.
73 Si veda al riguardo, X. XXXXXXX, Equità e autonomia privata, Milano, 1970, 324.
00 X. XX XXXX, Xxxxxxxx xxxxxx (xxxx), in Dig. disc. Priv. (sez. civ.) Torino, II, 1988, 381.
A prescindere dalla qualificazione della fattispecie di cui agli artt. 1382 e ss. c.c. in termini di negozio autonomo collegato al principale75 o di elemento accidentale del contratto nel quale la clausola è inserita76, la dottrina ha avuto modo di rilevare che la clausola penale non partecipa del nesso di interdipendenza tra prestazioni contrattuali, caratteristico dei contratti sinallagmatici, sicchè ciò impedirebbe di estendere la previsione della reductio ad equitatem anche alle prestazioni del negozio “principale”, anche qualora si considerasse l’impegno sotteso alla clausola penale come inserito nella più ampia prestazione a carico della parte obbligata.77
Questo sul rilievo che la ratio dell’istituto è mista78, risarcitoria e al contempo sanzionatoria79, consentendo di pattuire una somma anche
75 X. XXXXXX, La clausola penale cit., 68 e ss.; X. X. XXXXXXXXX, Xx xxxxxxxx xxxxxx, Xxxxxx, 0000, 23-24; X. XXXXXXX, Clausola penale (voce) in Enc. del dir., Milano, 1960, VII, 189: a sostegno di tale tesi si pone il fatto che le parti mirano ad uno scopo pratico diverso da quello perseguito mediante il negozio principale, e che la clausola non interviene sul contenuto del contratto, ma disciplina le conseguenze della mancata realizzazione compiuta dello stesso, come la sanzione rispetto al precetto violato.
76 X. XXXXXXXXXX, Sul contenuto cit., 217 e 218 e id., I contratti, cit., 110 e ss, secondo il quale la clausola, come elemento accidentale arricchisce il regolamento contrattuale integrandone gli elementi essenziali, in quanto necessari per l’individuazione e la disciplina dello schema contrattuale prescelto, prevedendo le conseguenze dell’inadempimento.
77 Fattispecie compatibile sia con la ricostruzione della clausola in termini di elemento accidentale del contratto, sia con l’ipotesi di contratto autonomo, ma collegato. Si rileva, infatti che la reductio ad equitatem concerne espressamente il solo elemento incidentale o negozio autonomo collegato, il che denoterebbe in ogni caso una volontà, da parte del legislatore, di considerare in maniera “atomistica” tale pattuizione: U. PERFETTI, op. cit., 52.
78 Sostengono la natura meramente risarcitoria, quale liquidazione preventiva del danno, C. M. XXXXXX, Diritto civile, 5, La responsabilità, Milano, 1994, 221-238; X. XXXXXXXX, Dottrina generale del contratto, Milano, 1948, 131; Id., Il contratto in genere, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1973, 210; X. XXXXX, Clausola penale e danno, in Riv. dir. civ. 1983, II, 207; valorizzano, invece, la specifica natura sanzionatoria della penale, quale sanzione privata, V.M. XXXXXXXXX, La clausola penale, cit., 141; X. XXXXX, Il contratto, problemi fondamentali trattati con il metodo comparativo e casistico, I, lineamenti generali, Milano, 1955, 260; X. XXXXXXX, Clausola penale, cit. 188. Xxxxxxxxx, invece, la natura sostanzialmente “mista” della penale, seppur con sfumature diverse, X. XXXXXX, La clausola, cit., 1 segg.; a. DE CUPIS, Il danno, teoria generale della responsabilità civile, Milano, 1979, 521 segg; X. XXXXXXXXXX, I contratti, cit., 128; X. XXXXXXX, La pena contrattuale, Milano, 1991, 160; X. XXXXXXXXX, Clausola penale, cit., 181, segg.
79 In senso “improprio”, quale <<strumento di rafforzamento della posizione creditoria proprio in quanto attraverso di essa il creditore può disporre di una sanzione
superiore al danno subito purchè con il limite non della mera eccessività, ma della “manifesta” eccessività, sicchè la norma non sarebbe chiaramente rivolta a garantire la proporzionalità tra prestazioni, quanto la giustizia della sanzione medesima.80
In giurisprudenza, è stato affermato che il potere-dovere di riduzione è attribuito al Xxxxxxx per realizzare un interesse oggettivo dell’ordinamento, ovvero garantire l’adeguatezza e la proporzione della sanzione rispetto all’illecito.81
(l’obbligazione penale) dotata dei caratteri della determinazione anticipata, semplicità di attuazione, più intensa efficacia intimidatrice e non già in considerazione di una pretesa maggiore gravità di tale sanzione rispetto a quella risarcitoria o di un supposto intento punitivo, perseguito dalle parti>>, X. XXXXXX, op. cit., 37.
80 Secondo altri, invece, la riducibilità d’ufficio sarebbe un riflesso della nullità che colpisce la clausola concernente una penale manifestamente eccessiva, in quanto l’art. 1384 c.c., stabilendo il limite all’autonomia privata, porrebbe un divieto inderogabile integrante una norma imperativa ex art. 1418 c.c., con conseguente rilevabilità d’ufficio della stessa e meccanismo similare a quello di cui all’art. 1339 c.c. In questo senso, T. FEBBRAJO, La riducibilità d’ufficio, 575 e ss.; contra, U. PERFETTI, op. cit., 73, secondo il quale a tale ricostruzione osterebbero diversi argomenti: in primo luogo, il fatto che la ricostruzione in termini di nullità virtuale risulterebbe frutto di un’opzione aprioristica; in secondo luogo, la nullità comporta un vizio genetico del contratto, laddove l’art 1384 c.c. se, da un lato, considera l’interesse del creditore, da valutare in fase genetica, dall’altro lato, assume come rilevante la manifesta eccessività al momento dell’applicazione della penale e non riferita al momento originario di stipula del contratto, di talchè non rileverebbe uno squilibrio genetico del contratto, ma sopravvenuto (in tal senso, anche X. XXXXXX, La clausola penale, cit., 159), oltre al fatto che un’ipotesi di nullità parziale e relativo meccanismo sostitutivo ex art. 1339 c.c. sarebbero esclusi dal fatto che la clausola sostitutiva non è predeterminata ex lege, ma determinata equitativamente dal Giudice (in tal senso, anche X. XXXXXXXX, L’adeguamento della penale…., cit., 122). In giurisprudenza si è registrato un contrasto: a favore dell’opinione della esclusiva rilevanza dell’adeguatezza della penale al momento della stipula del contratto, e non al momento dell’applicazione della medesima Cass. civ., 5 agosto 2002, n. 11710, in Contratti, 2003, 336; per l’opinione che, invece, valorizza il momento in cui si chiede l’applicazione della penale, Cass. civ., 3 settembre 1999, n. 9298, in Foro it. Rep., 1999, Contratto in genere (voce, 472).
81 Cass. civ., 24 settembre 1999, n. 10511, in Giust. civ.,, 1999, I, 2929; in Xxxxxxxxx, 2000, I, 118 SS., con nota di X. XXXXXXXX, L’eccessivo ammontare della penale; in Corr. giur., 200, I, 68 segg, con nota di X. XXXXXXXX. La giurisprudenza e la dottrina, d’altronde, hanno progressivamente valorizzato l’obbligo di correttezza e buona fede in quanto costituzionalizzato nell’art. 2 Cost, quale sottospecie del dovere di solidarietà che <<entrando in un sinergia con il generale canone di buona fede oggettiva e correttezza, all’un tempo gli attribuisce una vis normativa e lo arricchisce di contenuti positivi, inglobanti obblighi anche strumentali, di protezione della persona e delle cose della controparte, funzionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tutela anche dell’interesse del partner negoziale nella misura in cui questa non collida con la tutela dell’interesse proprio dell’obbligato>>, così, Cass. civ., 24 settembre 1999, n. 10511, cit.; contra, sulla possibilità di fare riferimento al principio
La dottrina, d’altronde, ha, già tempo addietro, sottolineato come la portata applicativa della disciplina della clausola penale abbia dovuto confrontarsi con la normativa consumeristica e l’ulteriore normativa speciale quale la previsione dell’art. 7, d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 e l’art. 9, l. n. 192 del 1998, e, soprattutto, la normativa in materia di usura di cui alla l. 7.3.1996, n. 108 82.
L’orientamento contrario ad intravedere nella normativa codicistica e speciale un sotteso principio di giustizia, equilibrio o proporzionalità contrattuale, si è impegnato ad esaminare analiticamente tutti gli istituti, di applicazione più o meno diffusa, astrattamente idonei a fondare un tale assunto.
Tra questi83 è importante ricordare l’art. 1371 c.c. che disciplina l’interpretazione relativa all’equo contemperamento degli interessi delle
di buona fede quale giustificazione della clausola penale, U. PERFETTI, op. cit., 62 e ss., il quale sottolinea la <<sostanziale unidirezionalità operativa che caratterizza il rimedio, volto esclusivamente a limitare la penale eccessiva, non già ad aumentare quella irrisoria>>, questione, quella della c.d. penale irrisoria che ha portato alcuni in dottrina a parlare di natura “imperfetta” della disciplina dell’art. 1384 c.c.: X. XXXXXX, La clausola penale, cit. 142; X. XXXXXXXXX, Clausola penale, cit., 614.
82 T. FEBBRAJO, La riducibilità, cit., 570.
83 Senza dimenticare, ad es., l’art. 1432 c.c., che condivide con gli istituti di cui all’art. 1450 e 1467, comma 3, c.c. la finalità di conservazione del contratto, ma la cui ratio è oggetto di contrasto in dottrina, in relazione all’oscurità del concetto di “pregiudizio” come condizione negativa per il rimedio: secondo alcuni il rimedio della rettifica confermerebbe la rilevanza del danno e dei presupposti di riconoscibilità ed essenzialità dell’errore nella disciplina generale dell’annullamento (X. XXXXXXXXX, Lezione d’interesse e annullamento del contratto, cit., 42 e ss.): in questo senso, il pregiudizio sarebbe un coelemento di rilevanza dell’errore sicchè la ratio della rettifica andrebbe individuata nel difetto di funzionalità del regolamento contrattuale e conseguente difformità dai valori programmati dalle parti in conseguenza dell’errore sul rapporto contrattuale. In tal modo, la rettifica, agendo sui valori funzionali del contratto ed eliminando l’evento dannoso, svuoterebbe di motivazione giuridica la ratio che deve sorreggere l’esercizio dell’azione del contraente. Per altri costituirebbe un’ipotesi speciale di exceptio doli generalis (X. XXXXXXXXX, Errore, volontà e affidamento nel negozio giuridico, cit., 234, secondo il quale l’esercizio dell’azione di annullamento, pur in difetto di pregiudizio derivante al contratto, è lecito e ciò sarebbe dimostrato proprio dalla norma sulla rettifica che pone quest’ultima e non il pregiudizio come ostacolo alla rimozione dell’atto, per cui l’attore sarebbe in mala fede quando, non avendo subito alcun pregiudizio, agisca o insista nell’azione di annullamento pur dopo l’offerta di rettifica, sicchè il legislatore impedisce di svincolarsi al soggetto caduto in errore laddove le conseguenze dello stesso vengano utilmente meno; contra entrambi gli orientamenti, U. PERFETTI, op. cit., 103 e ss., secondo il quale la rettifica funge da strumento di dosaggio degli interessi in gioco: da un lato, quello dell’errante all’annullamento e, dall’altro lato, quello della controparte
parti, in caso di contratto a titolo oneroso: al riguardo, la norma è stata invocata, anche, come elemento centrale del sistema ermeneutico contrattuale, da chi ne ha intravisto le potenzialità per aprire al potere del Giudice di rimodellare il contratto secondo un proprio ideale di equità e giustizia84, in contrasto, quindi, con il principio di affidamento e di autonomia privata85, quale precipitato di un più generale canone o principio di equità e sostanziale giustizia dei rapporti contrattuali86.
Per molto tempo, d’altronde la giurisprudenza ha affermato che le regole di interpretazione del contratto, di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.
al mantenimento del contratto, seppur modificato, sicchè l’art. 1432 c.c. costituirebbe la ricerca del punto di equilibrio tra interessi in funzione della conservazione del rapporto contrattuale. Per quanto in questa sede di interesse, peraltro, la norma viene in esame in relazione alla riconducibilità dell’offerta modificativa ad una finalità di garanzia delle esigenze di giustizia delle ragioni dello scambio. Secondo altri, tale finalità sarebbe esclusa dal meccanismo stesso della norma, nella misura in cui, pur a fronte dell’idoneità (in astratto) della modifica a garantire l’equità dello scambio, se ne constatasse la contemporanea incapacità ad impedire l’annullamento, in mancanza di un interesse, attuale e concreto, dell’errante al mantenimento del contratto: U. PERFETTI, op. cit., 105; In particolare, il pregiudizio che impedisce la rettifica atterrebbe non al piano programmatico, ma a quello effettuale esterno e successivo al contratto, concernendo l’attuazione del regolamento di interessi, così, E. QUADRI, La rettifica, cit., 27; sicchè l’eventuale riequilibrio delle ragioni dello scambio nulla direbbe di per sé ai fini di impedire l’annullamento ove non si accompagnasse al persistente interesse della parte al negozio, con ciò dimostrando non essere il primo o quantomeno solo il primo oggetto della tutela orientata U. PERFETTI, op. cit., 105.
Si rammentano, poi, gli artt. 1537, 1538 e 1664 c.c. che disciplinano situazioni in cui viene in gioco la misura dello scambio fissata dai contraenti, quale limite il cui superamento, in aumento o diminuzione, giustifica il riequilibrio e, quindi, anche quale parametro per il riequilibrio stesso: i rimedi in questione non interverrebbero, però, a riequilibrare in astratto un contratto squilibrato ab origine, ma si limiterebbero a riportare il rapporto in equilibrio rispetto a quanto pattuito dalle parti, similmente a quanto rilevato per il rimedio dell’eccessiva onerosità sopravvenuta. Di talchè anche tali norme non sarebbero idonee a giustificare l’idea di un principio immanente di giustizia sostanziale del contratto. U. PERFETTI, op. cit., 107.
84 X. XXXXXX, Teoria del negozio giuridico, cit., 236 e nota 1; si vedano anche X. XXXXX,
Interpretazione della legge e degli atti giuridici, (teoria generale e dogmatica), II ed., riveduta e ampliata a cura di X. XXXXX, Milano, 1971, 422; nonché X. XXXXX, Teoria del negozio giuridico, in Trattato di diritto civile, diretto da Xxxxxxxx, XV, 2 Torino, 1960, 365; G. B. XXXXX, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, 326.
85 C.M. DE MARINI, Il giudizio di equità nel processo civile, Premesse teoriche, Padova, 1959, 205.
86 Si vedano, X. XXXXXXX, Appunti di teoria dell’interpretazione, Lezione decima, 6; X. XXXXXXXXX, Errore, volontà cit., 111 ss, come richiamato da U. PERFETTI, op. cit., 109, nota 167. Si veda poi, X. XXXXXXXXX XXXX, L’interpretazione del contratto, in Il codice civile commentario diretto da X. XXXXXXXXXXX, artt. 1362.1371, Milano, 1991, 360, che valorizza il collegamento tra artt. 1371 e 1326 x.x. xxxxxx al contemperamento di interessi ex art. 1371, sul piano quantitativo, si associa il controllo qualitativo circa la conformità a buona fede del risultato contrattuale.
seguono un rigoroso principio gerarchico, per cui le disposizioni concernenti i criteri c.d. “soggettivi” (art. da 1362 a 1365 c.c.) precedono quelli “oggettivi” (da 1366 a 1371), con esclusione dell’applicabilità di questi ultimi quando emerga palese la comune volontà delle parti. 87
Sull’evoluzione di tale orientamento e sui conseguenti riflessi sulla materia in esame ci si soffermerà in seguito.
In dottrina, si è rilevato che, ferma restando l’inapplicabilità della norma in caso di una “oscurità” realmente impenetrabile88, finendosi in tal caso non per interpretare, ma per rielaborare il materiale predisposto dalle parti89, occorre che si tratti di un regolamento dubbio, dal quale comunque sia possibile evincere un pur scarno assetto di interessi90 e il contemperamento di detti interessi dovrà avvenire sulla scorta dell’equilibrio (anche laddove si tratti di disequilibrio) voluto dalle parti. 91
87 Cass. civ., 14 ottobre 2003, n. 15371, in Giust. civ. mass., 2003, fasc. 10; Cass., 4 giugno 2002, n. 8080, in Giust. civ., 2003, I, 1863; Cass. civ., 2 aprile 2002, n. 4680, in Giust. civ. mass., 2002, 568.
88 Il contratto indecifrabile difficilmente potendo essere considerato “contratto” o comunque un contratto valido: si veda X. XXXXXXX, Interpretazione del contratto, in Commentario del codice civile, Scialoja e Branca, libro quarto: delle obbligazioni, artt. 1362-1371, Bologna-Roma, 1992, 143.
89 X. XXXX, Principi e problemi di interpretazione contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, 4, 1145
90 Si vedano sulla questione, X. XXXXXXX, Equità e autonomia privata, cit., 306 e ss.; X. XXXXX, Interpretazione dei contratti e relatività delle sue regole, Napoli, 1985, 475 e 476.
91 In tal senso, X. XXXXXXX – X. XXXXX, Equità interpretativa, cit., 254; X. XXXX,
L’interpretazione del contratto, I, Orientamenti e tecniche della giurisprudenza, a cura di X. XXXX, Milano, 1983, 322. A sostegno di tale tesi viene, altresì, richiamata la conclusione contenuta nella relazione al Re (n. 626) per la quale con l’art. 1371 c.c.
<<non si è voluto attribuire al giudice un potere generale di revisione dei contratti, né si è voluto introdurre il principio dell’equilibrio contrattuale>>. Secondo altri, invece, l’art. 1371 c.c., superando i limiti interni dell’accordo contrattuale, sarebbe finalizzato, nell’impossibilità di determinare compiutamente la volontà reale, la ricostruzione più equa del rapporto, in via sostanzialmente presuntiva. Si vedano sull’argomento X. XXXXX, L’interpretazione, cit., 493; X. XXXX, Il favore dell’ordinamento giuridico per i lavoratori, Milano, 1967, 231 e 232; X. XXXXXXXX, Profili dell’interpretazione del contratto secondo buona fede, Milano, 1989, 67; contra U. PERFETTI, op. cit., 113 nota 1798 secondo il quale in tal modo si oblitera il rilievo degli “interessi” da contemperare per espressa previsione della norma in esame.
Infine, un accenno al problema della irrescindibilità della transazione, ex art. 1970 c.c.: al riguardo, pur dovendosi escludere la natura aleatoria in senso tecnico del contratto di transazione92, la ratio dell’esclusione di tale istituto dall’ambito applicativo della transazione è stata spiegata per la difficoltà di applicare un meccanismo giuridico come quello della rescissione ad una fattispecie nella quale le determinazioni negoziali delle parti sono fondate su un dato incerto non solo oggettivamente, ma anche soggettivamente, ovvero la possibile soluzione giudiziale della res litigiosa.
In questo senso, infatti, per valutare un’eventuale lesione ab origine bisognerebbe considerare il rapporto tra le reciproche concessioni che le parti si fanno, da un lato, e le reciproche pretese e contestazioni e più precisamente la proiezione che ciascuna di esse ha della propria situazione giuridica in contesa, laddove, però, ciò imporrebbe al giudice non solo di dover accertare cosa le parti abbiano inteso valutare, ma anche il contenuto delle rispettive pretese, che, ad esempio nelle controversie non ancora insorte potrebbe non essere chiaro o dimostrabile. In questo caso, quindi, viene in gioco una rappresentazione soggettiva della res litigiosa da parte dei contraenti il cui accertamento non potrebbe nemmeno misurarsi sull’effettiva fondatezza della pretesa “a monte” e di essa le singole parti potrebbero avere una percezione del tutto opposta di talchè non potrebbe ottenersi una valutazione a questo riguardo unitaria sulla scorta della quale
92 In quanto nessuna incertezza del risultato economico caratterizza il contratto transattivo, dato che le attribuzioni patrimoniali, da un lato, costituiscono il risultato della valutazione di una situazione di cui sono noti a ciascuna parte i termini economico/giuridici caratterizzanti, e, dall’altro lato, non dipendono, con riferimento alla loro misura, da un evento futuro ed incerto specificato nello stesso contratto: l’esito della lite, infatti, è un antecedente logico, esterno alla transazione. In tal senso,
U. PERFETTI, op. cit., 118 e ss.; contra, X. XXXXXXXXXX, Transazione e eccessiva onerosità, in Riv. dir. e proc., 1955, 85 e ss.
procedere ad una comparazione con quella determinata dalla transazione93.
In tal senso, quindi, si tratta di norma apparentemente ininfluente sul tema in questa sede trattato.
3. Le fattispecie extracodicistiche.
Xxxxx ora esaminati alcuni istituti introdotti dalla legislazione speciale di ambivalente utilizzo nell’ambito della tematica in esame.
In primo luogo, è opportuno ricordare l’art. 9, l. 18 giugno 1998, n. 192 (c.d. legge sulla subfornitura).
La norma, rubricata “abuso di dipendenza economica”94, vieta espressamente <<l'abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza economica la situazione in cui un'impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche
93 Si veda al riguardo, U. PERFETTI, op. cit., 120 e ss., il quale d’altronde, pur ammettendo che <<l’irrescindibilità della transazione per causa di lesione lungi dal prospettare un’ipotesi di indifferenza dell’ordinamento al modo di esplicarsi dell’autonomia privata sul terreno della giustizia del contratto, segnala, piuttosto, un caso di incapacità di operare siffatto ipotetico intervento, quand’anche lo si volesse, incapacità dipendente dalla stessa funzione e modo d’essere del negozio transattivo>>, conclude affermando che <<seppur giustificabile in tal modo la disciplina positiva denuncia l’esistenza di un significativo ambito negoziale in cui l’autonomia delle parti mostra uno statuto speciale che l’affranca da qualsiasi controllo contenutistico sulla giustizia delle ragioni dello scambio, anche nelle ipotesi estreme in cui lo squilibrio assuma in contorni di quello lesionario>>.
94 In materia si vedano, tra gli altri, X. XXXXXXXXX, L'abuso di dipendenza economica tra disciplina della concorrenza e diritto dei contratti. Un'analisi economica e comparata, Torino, 2004; X. XXXXXXXX, Note sull'art. 9 l. 18 giugno 1998 n. 192: l'ambito del divieto di abuso di dipendenza economica, in Dir. e giur., 2007; A. BOSO Caretta, Interruzione del rapporto di distribuzione integrata e abuso di dipendenza economica, con nota a Trib. Xxxxx Xxxxxxxxxx - X. Xxxxxx, 00 marzo 2007, in Giur. mer., 2008, 350; X. XXXXXX, Osservazioni sull'ambito d'applicazione del divieto di abuso di dipendenza economica e sul controllo contenutistico delle condizioni generali di contratto tra imprese, in Nuova giur. civ., 2007, I, 902; U. PERFETTI, op. cit., 136 ss..
della reale possibilità per la parte che abbia subito l'abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti>>.
Conseguenza del divieto è che <<il patto attraverso il quale si realizza l'abuso di dipendenza economica è nullo>>.
Dall’insieme dei precetti sopra esposti emerge chiaramente come la fattispecie in esame trovi una sua precisa e specifica applicazione nell’ambito dei rapporti contrattuali, in questo senso differenziandosi dalla disciplina di cui alla c.d. “legge antitrust”, l. 10 ottobre 1990, n. 28795.
Si tratta di una norma limitativa dell’autonomia contrattuale finalizzata ad evitare che attraverso la predisposizione unilaterale del regolamento negoziale da parte di un soggetto imprenditore dotato di una particolare forza sul mercato, quest’ultimo finisca per imporre condizioni generali di contratto e clausole vessatorie determinanti uno rapporto contrattuale fortemente squilibrato a danno dell’impresa aderente impossibilità o comunque in evidente difficoltà a sottrarsi ad una contrattazione gravosa in buona sostanza per l'impossibilità di reperire sul mercato alternative soddisfacenti.
L’abuso può consistere tanto nell’imposizione di condizioni discriminatorie o ingiustificatamente gravose96, in quanto non adoperate per preservare l’interesse del predisponente alla uniformità e celerità dei rapporti contrattuali, bensì per avvantaggiare la sua posizione contrattuale, approfittando dell’impossibilità per l’aderente di rifiutare,
95 Nella segnalazione dell'AGCM 10 febbraio 1998, in bollettino 5/98, si legge che la norma contiene una regola specifica della disciplina dei rapporti contrattuali che per ovvie ragioni non può trovare la sua sedes naturale nella legge 10 ottobre 1990, n. 287, recante "Norme per la tutela della concorrenza e del mercato". Da qui la tendenza a mantenere le due discipline su due terreni distinti: quello contrattuale, la prima, e quello della concorrenza, la seconda. Per tutti, su tale aspetto, cfr.: X. XXXXXX, La subfornitura industriale, in I contratti di somministrazione e di distribuzione, in Trattato dei Contratti diretto da Xxxxxxxx e Xxxxxxxxx, vol. 17, Torino, 2011, 752 s.; X. XXXXXXXX, Disciplina della subfornitura nella legge n. 192/98: problemi di diritto sostanziale, in Contratti, 1999, 2, 196.
96 Peraltro, secondo X. XXXXXX, op. cit., 755, il riferimento alle condizioni ingiustificatamente gravose è ridondante perché il concetto è già compreso in quello di squilibrio.
quanto nel comportamento incidente sulla libertà dell’impresa “debole” di contrarre, sia sotto il profilo del rifiuto di vendere o di comprare che della interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto.
Il rifiuto a proseguire nel rapporto, in particolare, si associa all’affidamento dell’impresa “debole” sulla continuazione del rapporto e il cui xxxxxxx potrebbe pesare sulle sorti dell’attività, in quanto la stessa si trova nella difficoltà di trovare alternative contrattuali ugualmente soddisfacenti in tempi brevi.97
Rilevante è, poi, la sanzione di nullità comminata dal comma 3 dell’art. 9 in esame, in quanto introduce un rimedio “radicale” nei confronti di quello che, a ben vedere, è un comportamento scorretto a fronte del quale il legislatore ha inteso imporre una sanzione che incide direttamente sull’atto negoziale, il contenuto del quale è la diretta conseguenza del comportamento medesimo.98
La previsione di un rimedio così radicale, si giustifica in relazione ai due poli fondamentali indicati dalla norma, da un lato, lo squilibrio dei diritti ed obblighi e, dall’altro lato, la posizione di “debolezza economica” della quale si “approfitta” l’impresa “dominante”.
Si tratta, quindi, di una fattispecie che involge il settore dei c.d. contratti asimmetrici, in questo caso tra imprese.
Sotto il profilo soggettivo, l’art. 9 si rivolge alle “imprese” (dominanti) e alle “imprese clienti o fornitrici”, con una latitudine testuale non espressamente limitata all’orizzonte applicativo del contratto di
97 Finendo, secondo alcuni, nel fondare un generale obbligo a contrarre nell’interesse dell’impresa in condizione di dipendenza economica, così X. XXXXXXXX, op. cit., 197, che ravvisa un obbligo a contrarre nel divieto del rifiuto di vendere o comprare.
98 In mancanza di una indicazione precisa, a differenza cioè delle previsioni consumeristiche di cui agli artt. 33 e ss., d.lgs. n. 206 del 2005, la dottrina si è interrogata in ordine alla natura della nullità in questione, con soluzioni che tendono ora a ricondurla nell’alveo delle nullità di protezione, ora nella sfera della nullità generale. Per una sintesi delle varie posizioni si vedano, tra gli altri, X. XXXXXX, La subfornitura industriale, cit., 755 ss.; L. NONNE, La nullità nei contratti del consumatore: un modello per il terzo contratto?, in Contratti, 7, 2016, 719 ss.
subfornitura, ma estendibile all’intero contesto dei rapporti contrattuali tra imprese.
Di qui l’opinione dottrinale secondo la quale l’art. 9 darebbe luogo ad una clausola generale di abuso di potere contrattuale nelle relazioni negoziali fra imprese99.
In questo senso, quindi, la norma contemplerebbe tutti i rapporti contrattuali relativi ad una impresa che, in termini generali, e non, quindi, legati al solo contratto di subfornitura, ha bisogno di un bene o servizio ovvero che eroga la prestazione di dare o fare.
La giurisprudenza più recente, ha ritenuto, quindi, di condividere questa impostazione, affermando che <<l'abuso di dipendenza economica di cui all'art. 9 della legge n. 192 del 1998 configura una fattispecie di applicazione generale, che può prescindere dall'esistenza di uno specifico rapporto di subfornitura, la quale presuppone, in primo luogo, la situazione di dipendenza economica di un'impresa cliente nei confronti di una sua fornitrice, in secondo luogo, l'abuso che di tale situazione venga fatto, determinandosi un significativo squilibrio di diritti e di obblighi, considerato anzitutto il dato letterale della norma, ove si parla di imprese clienti o tornitrici, con uso del termine cliente
99 In questo senso, si vedano: X. XXXX E X. XXXXXXXXX, La nuova disciplina del contratto di subfornitura (industriale): scampolo di fine millennio o prodromo di tempi migliori?, in Riv, dir. priv., 1998; X. XXXXXXXX, Disciplina della subfornitura nella legge n. 192/98, cit., 189; X. XXXX, Principi, in Trattato di Diritto Commerciale, diretto da X. Xxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 72; X. XXXXXXX, Abuso di autonomia negoziale e disciplina dei contratti fra imprese: verso una nuova clausola generale?, in Riv. dir. civ., 2005, I, 663; X. XXXXXX, La subfornitura industriale, cit., 755; A. BARBA, L’abuso di dipendenza economica: profili generali, in La subfornitura nelle attività produttive, a cura di Xxxxxxx, Napoli, 1998, 297; X. XXXXXXXXXX, I contratti di subfornitura, Padova, 1999. Seppur considerata come clausola generale, la disposizione viene però limitata, da alcuni autori, ai rapporti verticali tra imprese con funzione produttiva o distributiva e non anche a quelli orizzontali. Tra questi, si vedano: X. XXXXXX, La disciplina della subfornitura nelle attività produttive, in Contratti, 1998, 411 ss.; X. XXXXX, Controllo contrattuale esterno, direzione unitaria e abuso di dipendenza economica, in Contr. impr., 4-5, 2015, 820. Xxxxxxxx, X. XXXXXXX, Abuso di autonomia negoziale e disciplina dei contratti fra imprese: verso una nuova clausola generale?, in Riv. dir. civ., 2005, I, 667, ha suggerito di superare l’apparente contraddizione tra i concetti di abuso e di autonomia negoziale, in favore della individuazione di una regola volta a reprimere i comportamenti abusivi nell’esercizio dell’autonomia privata, con riferimento ai rapporti contrattuali tra imprese.
che non è presente altrove nel testo della L. n. 192 del 1998. Poichè l'abuso in questione si concretizza nell'eccessivo squilibrio di diritti e obblighi tra le parti nell'ambito di "rapporti commerciali", esso presuppone che tali rapporti siano regolati da un contratto, tant'è che il comma terzo dell'art. 9 cit. statuisce la nullità del "patto che realizza l'abuso" di dipendenza economica>>100.
Sotto il profilo oggettivo, come detto, elemento rilevante della fattispecie in esame è l’”eccessivo squilibrio di diritti ed obblighi”, da un lato, e la condizione di debolezza dell’impresa cliente o fornitrice, quale determinata anche dall’impossibilità di reperire alternative soddisfacenti sul mercato.
Lo squilibrio oggetto della disposizione, quindi, è di tipo “normativo” nel senso che il rimedio previsto dalla stessa si applica in relazione ad uno sbilanciamento dei diritti e degli obblighi e non del valore patrimoniale delle prestazioni che concorrono a determinare il contenuto e la causa del contratto101.
D’altronde, come già accennato, la distinzione in parola è da ritenersi poco pregnante in termini generali, in quanto uno squilibrio normativo determina, comunque, un incidenza sul grado di esposizione economica della parte contrattuale a danno della quale grava lo squilibrio, non potendosi certamente limitare la verifica dell’equilibrio economico del contratto alle sole prestazioni “caratteristiche”, nel senso di caratterizzanti il tipo, del negozio in questione.
Come si dirà più ampiamente nel prosieguo, infatti, la causa concreta del contratto e, quindi, la reale dimensione economica dell’operazione
100 Cass., sez. un., 25 novembre 2011, n. 24906, in Giust. civ., 2013, 3-4, I, 739; Giur. it., 10, 2012, 2054. In precedenza, nella giurisprudenza di merito, ad affermare il carattere non generale della disposizione in esame, sono state, tra le altre, Trib. Roma 17 marzo 2010 (ivi, I, 255); Trib. Roma 19 febbraio 2010; Trib. Roma 24 settembre
2009; e Trib. Roma 5 maggio 2009 (ivi, I, 256); Trib. Roma, 12 settembre 2002, 16
agosto 2002; 20 maggio 2002 e Trib. Bari, 2 luglio 2002, tutte in Foro it., 2002, 3207, con nota di Xxxxxxxx, Abuso di dipendenza economica: dal caso limite alla (drastica) limitazione dei casi di applicazione del divieto?.
101 In questo senso, X. XXXXXXXX, op. cit., 196.
contrattuale può essere accertata solo tenendo conto dell’insieme “normativo” cioè della integrale regolamentazione del rapporto negoziale così come strutturato dalle parti.
A questo proposito, anche recentemente in giurisprudenza è stato sottolineato che <<in tema di contratto di fornitura, l'abuso di dipendenza economica, di cui all'art. 9 della l. n. 192 del 1998, è nozione indeterminata il cui accertamento postula l'enucleazione della causa concreta della singola operazione che il complessivo regolamento negoziale realizza, secondo un criterio teleologico di valutazione, in via di fatto, della liceità dell'interesse in vista del quale il comportamento è stato tenuto; nell'applicazione della norma è pertanto necessario: 1) quanto alla sussistenza della situazione di "dipendenza economica", indagare se lo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti sia "eccessivo", essendo il contraente che lo subisce privo di reali alternative economiche sul mercato (p. es., perché impossibilitato a differenziare agevolmente la propria attività o per avere adeguato l'organizzazione e gli investimenti in vista di quel rapporto); 2) quanto all'"abuso", indagare la condotta arbitraria contraria a buona fede, ovvero l'intenzionalità di una vessazione perpetrata sull'altra impresa, in vista di fini esulanti dalla lecita iniziativa commerciale retta da un apprezzabile interesse dell'impresa dominante (quale, p. es., modificare le proprie strategie di espansione, adattare il tipo o la quantità di prodotto, o anche spuntare migliori condizioni), mirando la condotta soltanto ad appropriarsi del margine di profitto altrui>>.
In questo senso, quindi, l’art. 9, l. n. 192 del 1998, detta una clausola generale applicabile al diritto dei contratti tra imprese102, in primo
102 Si pensi, per cercare di contestualizzare la norma in relazione a specifici casi pratici, alla c.d. dipendenza “da assortimento”, nel caso in cui l’impresa di distribuzione commerciale abbia la necessità, per un assortimento competitivo, di uno o più articoli di marca particolarmente apprezzati dal pubblico, ovvero, nel caso di impresa fornitrice di servizi di assistenza e riparazione, rispetto ai produttori del prodotto principale, posto che questi ultimi controllano di regola anche il mercato derivato dei ricambi originali; parimenti, si pensi alla situazione di dipendenza “da
luogo, concorrendo con altre discipline speciali alla tutela della libertà di impresa e della funzionalità del mercato e della concorrenza103; in secondo luogo, costituendo un’ideale “pendant” con la disciplina a tutela del consumatore104, a tutela di tutti quei soggetti “deboli” perché comunque “danneggiati” nella contrattazione da una asimmetria che a seconda della fattispecie in considerazione può assumere contenuti e forme differenti.
Peraltro, la dottrina105 ha per lo più ritenuto non estendibile in termini generali (cioè all’intero sistema contrattuale, anche di diritto comune) i principi dell’art. 9, l. n. 192 del 1998, e, ancor prima che dalla norma in esame si potesse ricavare una spia della tendenza legislativa a salvaguardare la giustizia delle ragioni di scambio.
Ciò sull’assunto che per “innescare” il rimedio dell’art. 9 in esame occorre il superamento di una soglia di attenzione normativamente concretizzata nella dipendenza economica del partner contrattuale, diagnosticata dall’astratta possibilità di determinare uno squilibrio eccessivo di diritti ed obblighi, conseguenza di una posizione di dominanza relativa dell’impresa avvantaggiata. Ciò rappresenta la precondizione perché possa avere rilievo una successiva e distinta condotta che a sua volta, per essere illegittima, deve potersi qualificare come abusiva, tale potendosi considerare solo se si sostanzi nel far acquisire al contraente avvantaggiato condizioni contrattuali di favore, gravose, ma, all’un tempo non giustificate dall’economia e dalla logica del contratto.
rapporti commerciali” dell’impresa che, in ragione degli investimenti compiuti, della durata della relazione con la controparte, ed in genere per il fatto di essersi concentrata su di una certa relazione commerciale, ne diventa “prigioniera”, per non perdere l’investimento iniziale fatto.
103 Come nel caso della già citata legge c.d. antritrust.
104 Le cui linee interpretative e applicative da parte della giurisprudenza anche comunitaria nel corso del tempo, come vedremo, sono andate estendendosi ed ampliandosi sotto diversi profili.
105 Si veda U. PERFETTI, op. cit., 136 e ss., e relativi richiami dottrinali.
D’altronde, l’istituto in esame, alla luce dell’interpretazione “generalizzante”, da un lato, e “focalizzata” rispetto alla causa concreta del contratto, dall’altra, fornita dalla giurisprudenza e più sopra ricordata, si inserisce in un sistema complesso, di cui si darà conto nel prosieguo, nell’ambito del quale unitamente ad altri elementi dei quali si dirà nel prosieguo, emerge come il sindacato dell’equilibrio economico-normativo del contratto costituisca un elemento sempre più valorizzato in sede giudiziale, sia nella sua oggettività, sia in correlazione ad un concetto sempre più ampio di “asimmetria rilevante”, a fronte del quale le obiezioni della dottrina sopra ricordate, non assumono un effetto dissuasivo.
Viene, poi, in esame il d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, che ha dato attuazione alla direttiva del Consiglio e del Parlamento europei del 29.6.2000 (n. 2000/35/CE) relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
L’art. 7, nella versione precedente alle modifiche operate dal d.lgs. n. 192 del 2012, prevedeva che l'accordo sulla data del pagamento, o sulle conseguenze del ritardato pagamento, fosse nullo se, avuto riguardo alla corretta prassi commerciale, alla natura della merce o dei servizi oggetto del contratto, alla condizione dei contraenti ed ai rapporti commerciali tra i medesimi, nonché ad ogni altra circostanza, risultasse gravemente iniquo in danno del creditore.
In particolare, la norma considerava gravemente iniquo l'accordo che, senza essere giustificato da ragioni oggettive, avesse come obiettivo principale quello di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore, ovvero l'accordo con il quale l'appaltatore o il subfornitore principale imponesse ai propri fornitori o subfornitori termini di pagamento ingiustificatamente più lunghi rispetto ai termini di pagamento ad esso concessi.
Inoltre, la disposizione attribuiva al giudice il potere, anche d'ufficio, non solo di dichiarare la nullità dell'accordo, ma, avuto riguardo
all'interesse del creditore, alla corretta prassi commerciale ed alle altre circostanze di cui al comma 1, anche di applicare i termini legali (e ciò in applicazione della norma generale di cui all’art. 1339 c.c.) ovvero di ricondurre ad equità il contenuto dell'accordo medesimo.
Quindi, era specificamente attribuito un potenziale potere “manipolativo” in capo al giudice.
Anche in relazione a tale norma, quindi, vi è chi, come per il caso dell’art. 9, l. n. 192 del 1998, ha valorizzato una nuova apertura nel senso dell’ammissibilità del controllo giudiziale sul contenuto economico del contratto finalizzato a negare tutela agli assetti negoziali caratterizzati da una sproporzione eccessiva106. In particolare, vi è chi ha valorizzato la norma in questione come la precedente come “spia” dell’esistenza di un generale principio di “proporzionalità” tra le prestazioni. 107
D’altronde, parte della dottrina, così come con riguardo all’art. 9 l. n. 192 del 1998, ne ha voluto mettere in risalto la collocazione settoriale in quanto disposizione rivolta agli imprenditori finalizzata non a garantire una giustizia sostanziale con riguardo all’equità dei corrispettivi, ma a dotare il giudice di uno strumento idoneo a tutelare esclusivamente l’efficienza del mercato raggiunta tramite la garanzia di certezza dei
106 X. X’XXXXX, Contratto e reato, in Trattato di Diritto Civile del Consiglio Nazionale del Notariato", diretto da X. Xxxxxxxxxxx, 2003, 29.
107 X. XXXXXXXXXXX, “Controllo” e “conformazione” degli atti di autonomia negoziale, in Rass. dir. civ., 2017, 1646 ss.; ID., Equilibrio normativo, cit., 334 ss.; X. XXXXXX, Intorno alla giustizia del contratto, 2016, 235 ss., il quale richiama, in proposito, anche il pensiero di Xxxxxxxx Xxxxxxxx; Id., Le categorie del diritto civile, Milano 2013, 155 ss..; X. XXXXX, La giustizia contrattuale tra autonomia e mercato, Napoli 2004, 88 ss. e 184 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Le categorie del diritto civile tra metodo e storia, in Riv. dir. civ., 2016, 1252 s.; Id., “Me´nages a` trois”: la correzione giudiziale dei contratti, in Rass. dir. civ., 2016, 179 ss.. Peraltro, va ricordato che l’art. 62, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla l. 24 marzo 2012, n. 27, ha esplicitamente introdotto il riferimento al “principio di proporzionalità e corrispettività” delle prestazioni, altresì vietando, nelle relazioni commerciali tra operatori economici, compresi i contratti della filiera agro-alimentare ai quali si riferisce espressamente, di imporre condizioni di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose.
costi e di effettività dei pagamenti, strumentali ad impedire effetti distorsivi sulla concorrenza108.
Con la norma, cioè, si intenderebbe impedire le distorsioni concorrenziali dipendenti dall’(ab)uso da parte dell’impresa degli esiti del proprio inadempimento il cui costo, negoziato in termini convenienti (per sé, e iniqui per l’altra parte) con la clausola disciplinante le conseguenze dell’inadempimento, o del ritardo, potrebbe essere preferito rispetto al costo (ad esempio) dell’indebitamento bancario necessario ad effettuare il pagamento, senza con ciò “toccare” in alcun modo l’aspetto della possibile iniquità dell’accordo concernente il corrispettivo.
A seguito della modifica operata dall’art. 1, comma 1, lettera g), d.lgs. 9 novembre 2012, n. 192 e, successivamente, dall’art. 3, comma 1- terdecies, d.l. 14 dicembre 2018, n. 135 convertito con modificazioni dalla l. 11 febbraio 2019, n. 12, l’art. 7, d.lgs. n. 231 del 2002109 prevede che le clausole relative al termine di pagamento, al saggio degli interessi moratori o al risarcimento per i costi di recupero, a qualunque titolo previste o introdotte nel contratto, sono nulle quando risultano gravemente inique in danno del creditore. Si applicano gli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile.
Il comma 2 prevede che il giudice dichiara, anche d'ufficio, la nullità della clausola avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, tra cui il grave scostamento dalla prassi commerciale in contrasto con il principio di buona fede e correttezza, la natura della merce o del servizio oggetto del contratto, l'esistenza di motivi oggettivi per derogare al saggio degli
108 Si tratta cioè di discipline il cui ambito di applicazione è limitato al campo “macroeconomico” del rapporto tra imprese in condizioni di asimmetria di potere contrattuale, senza che possa riconoscersi alle stesse idoneità ad esprimere principi generali o, se si preferisce, di diritto comune: in questo senso, tra gli altri, X. XXXXXXXX, Squilibrio contrattuale profili rimediali e intervento correttivo del giudice, in Nuova giur. civ. comm., 2015, II, 747 ss.
109 Si veda sulla nuova normativa, A.M. XXXXXXXXX-X. XXXXXXXXXXX, La nuova disciplina dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, Torino 2013,
interessi legali di mora, ai termini di pagamento o all'importo forfettario dovuto a titolo di risarcimento per i costi di recupero.
La disposizione, poi, precisa che deve considerarsi “gravemente iniqua” la clausola che esclude l'applicazione di interessi di mora, escludendo la
c.d. prova contraria.
Invece, si presume gravemente iniqua la clausola che esclude il risarcimento per i costi di recupero di cui all'art. 6.
Inoltre, il comma 0 xxx, xxxxxx, (xxxxxxx “Le prassi inique”) ha stabilito che <<le prassi relative al termine di pagamento, al saggio degli interessi moratori o al risarcimento per i costi di recupero, quando risultano gravemente inique per il creditore, danno diritto al risarcimento del danno. 2. Il giudice accerta che una prassi è gravemente iniqua tenuto conto di quanto previsto dall'articolo 7, comma 2. 3. Si considera gravemente iniqua la prassi che esclude l'applicazione di interessi di mora. Non è ammessa prova contraria. 4. Si presume che sia gravemente iniqua la prassi che esclude il risarcimento per i costi di recupero di cui all'articolo 6>>.
La nuova norma, quindi, da un lato, fa un esplicito riferimento al principio di buona fede e correttezza in termini sostanzialmente “oggettivi” (perché legata alla “prassi commerciale” nella sua oggettività) e “non soggettivi” (cioè non si riferisce ai comportamenti delle parti), ai fini della valutazione di nullità della clausola, e più in generale consente al giudice di valutare “l’iniquità” della clausola sulla scorta di elementi di natura, come detto, oggettiva, non venendo in gioco ulteriori presupposti come l’approfittamento di una situazione di debolezza; dall’altro lato, però, il legislatore ha “sottratto” al giudice il potere di “manipolare” il contenuto contrattuale limitando l’intervento dello stesso al mero rimedio caducatorio-sostitutivo generale (quello cioè fondato sull’applicazione degli artt. 1339-1419 c.c. richiamati dalla norma medesima), con ciò certamente depotenziando l’effetto innovativo della disposizione originaria.
In materia di usura, invece, occorre rammentare che, ai sensi dell’art. 1815, comma 2 c.c., <<se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi>>.
La legge 7 marzo 1996, n. 108, c.d. legge anti-usura110, ha novellato l'art. 644 c.p.111 stabilendo che è punito con la reclusione chiunque si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, interessi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità.
Gli interessi sono da considerare usurari o quando superano il limite determinato dal Ministero dell'Economia sulla base dell'art. 2 della stessa (usura c.d. oggettiva o in astratto) ovvero quando, benché inferiori a tale limite, chi li dà o li promette si trovi in condizioni di difficoltà economica o finanziaria ed il tasso convenuto risulti comunque sproporzionato rispetto alla controprestazione, considerando le caratteristiche della fattispecie concreta ed il tasso medio di operazioni simili (usura c.d. soggettiva o in concreto).
Infine, vi è la c.d. “usura reale”112, riferita alla dazione non di denaro, ma di “altri vantaggi o compensi”, in rapporto ai quali sono versati gli interessi o compensi usurari. La norma consente, dunque, di includere nella fattispecie della usura una serie estesa di ipotesi, ove la sproporzione si annida in schemi negoziali come la vendita, le
110 Xxxxx quale, X. XXXX, Usura: problema millenario, questioni attuali, in Nuova giur. civ. comm., 1996, II, 181; X. XXXXXXXX, La sanzione civile dell'usura, in Contr., 1996, 3, 223; X. XXXXXXXXX, Stato di bisogno e condizioni ambientali: nuove disposizioni in tema di usura e tutela civilistica della vittima del reato, in Riv. dir. comm., 1997, I, 771; X. XXXX, Lo «squilibrio » contrattuale tra diritto civile e diritto penale, in Riv. dir. civ., 1999, I, 533; X. XXXXXX, Usura e legislazione civile, in Corr. giur., 1999, 7, 890; X. XXXXXXX, Il mutuo civile e l'usura, in I contratti per l'impresa a cura di Gitti- Xxxxxxx-Notari, II, Banca, mercati, società, Bologna, 2012, 25; X. XXXXX, Gli interessi moratori usurari nella teoria delle obbligazioni pecuniarie, in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc.3, 2018, 359 ss.
111 Con finalità di ordine pubblico di protezione (del contraente debole) e, al contempo, anche di direzione (del mercato del credito) e di repressione (della c.d. criminalità economica): in tal senso, X. XXXXXXX, I contratti usurari: tipologie e rimedi, in Riv. dir. civ., 2001, 353, nello specifico 357 ss.
112 Al riguardo, si veda G.E. NAPOLI, La rinnovata fisionomia della rescissione per lesione, Napoli 2018, 227 ss.; ID., Usura reale e rescissione per lesione, in Riv. dir. civ., 2004, I, 414 ss.
prestazioni professionali, la locazione contro corrispettivi abnormi, in generale la prestazione di servizi e la dazione di beni, etc…
Anche in questo caso, il riferimento alla “sproporzione”, evidentemente correlato all’aspetto strettamente economico delle prestazioni dedotte in contratto, si pone come possibile riferimento per una valorizzazione e l’enucleazione di un principio di proporzionalità delle prestazioni.
D’altronde, anche in tal caso, la dottrina ha sottolineato che l’interesse dell’ordinamento è il corretto esercizio dell’attività creditizia e finanziaria, nonché la genuinità e trasparenza dei relativi meccanismi; si tratta, cioè, della tutela di un interesse pubblico settoriale che giustifica la posizione di «un limite normativo alla disponibilità del patrimonio individuale»113, rappresentando il superamento del limite un indizio del malfunzionamento del mercato creditizio individuato come bene giuridico da proteggere e del quale va salvaguardata la funzione sociale. Resterebbe fuori da questa prospettiva, quindi, qualsiasi intento di protezione di una parte contro lo squilibrio del sinallagma.
Inoltre, il comma 3 dell’articolo appena menzionato, precisa che il carattere usurario della prestazione è riscontrabile quando essa, in ragione della concreta modalità del fatto o del corrispettivo praticato in operazioni similari, appare sproporzionata rispetto all’altra prestazione, richiedendo, altresì, che il contraente che subisce l’usura si trovi “in condizioni di difficoltà economica e finanziaria”.
Il legislatore penale, dunque, contempla e sanziona uno squilibrio tra le prestazioni anche infra dimidium114 purché, però, il contraente “debole”
113 P. XX XXXXXXX, Usura, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1994, 4.2.
114 Il quale, come più sopra ricordato, costituisce il requisito oggettivo di esperibilità dell’azione di rescissione per lesione. Al riguardo, si vedano anche, G.E. NAPOLI, La rinnovata fisionomia cit., 240 ss.; ID., Usura reale, cit., 416 ss.; X. XXXX, Lo “squilibrio” contrattuale tra diritto civile e diritto penale, in Riv. dir. civ., 1999, I, 539 ss.; X. XXXXXX, Il contratto usurario nel diritto civile, Padova 2002, 169 ss. e, ampiamente, X. XXXXXXX, Contratto illecito e norma penale (Contributo allo studio della nullità), Milano 2000, 262 ss., la quale avanza una soluzione fondata su una modulazione della tutela sulla base di tre possibili alternative: “l’annullabilità del contratto quando in relazione all’attività svolta dall’usurario sussistano in concreto gli
si trovi in una specifica e particolare situazione soggettiva, caratterizzata dalla difficoltà economica e finanziaria.
La vulnerabilità economica e finanziaria del contraente tutelato, quindi, ponendosi come elemento presupposto necessariamente ulteriore rispetto alla sproporzione economica in sé e per sé, connoterebbe in modo così evidente la fattispecie impedendole di svolgere una funzione sistematica rilevante al fine di sostenere la sussistenza di un generale ed oggettivo principio di equilibrio economico contrattuale.
elementi del dolo o della violenza; la rescissione nell’ipotesi di lesione ultra dimidium, e il solo risarcimento del danno in caso di lesione infra dimidium”.
CAPITOLO III
I CONTRATTI DEL CONSUMATORE E IL TERZO CONTRATTO.
SOMMARIO: 1. I Contratti del consumatore; 2. Il Terzo contratto.
1. I Contratti del consumatore115.
115 In materia si vedano, tra gli altri: X. XXXXXXXXXXX, La tutela del consumatore nella Costituzione e nel Trattato di Amsterdam, in X. Xxxxxxxxxxx – X. Xxxxxxxx (a cura di), Il diritto dei consumi, I, Rende-Napoli, 2005; X. XXXXXXXXXX - X. XXXXXXXXXXX (a cura di), Codice del Consumo annotato con la dottrina e la giurisprudenza, Napoli, 2009; X. XXXX, Il codice del consumo. Il commento, in Contratti, 2005; ID., I diritti dei consumatori e il “Codice del consumo” nell’esperienza italiana, in Contr. impr./Eur., 2006; ID., I contratti dei consumatori e la disciplina generale dei contratti e del rapporto obbligatorio, in Il diritto delle obbligazioni e dei contratti: verso una riforma? Le prospettive di una novellazione del Libro IV del Codice Civile nel momento storico attuale, Atti del Convegno per il cinquantenario della Rivista, Treviso, 23-24-25.3.2006, in Xxx. xxx. xxx., 0000, x. 0; X. XXXXXXXX, Art. 18. Definizioni, in X. Xxxxxxx (a cura di), Codice del consumo e norme collegate, 2ª ed., Milano, 2008; C.M. BIANCA (a cura di), La vendita di beni di consumo. Artt. 128-135, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, Padova, 2006; X. XXXXX, Il concetto di consumatore, l’argomento naturalistico ed il sonno della ragione, in Contr. impr./Eur., 2003; ID., Tutela del consumatore alla luce del principio di eguaglianza sostanziale, in Riv. trim., 2004; ID., I contratti del consumatore, in Tratt. dir. comm. e dir. pubb. ec., dir. da X. Xxxxxxx, XXXIV, Padova, 2005; ID., Il Codice del consumo tra
«consolidazione» di leggi e autonomia privata, in Contr. impr./Eur., 2006; X. XXXXXXXXXX – X. XXXXXXXXX (a cura di), Manuale di diritto privato europeo, I, Milano, 2007; X. XXXXXX, I contratti del consumatore. Commentario al Codice del consumo (D.lgs. 6 settembre 2005 n. 206), 4ªed., Padova, 2007; X. XXXXX, Il consumatore, in X. Xxxxxx (a cura di), Trattato di diritto privato europeo, I, 2ª ed., Padova, 2003; ID., La nozione di consumatore nel diritto vivente, in ALPA - CAPILLI (a cura di), Lezioni di diritto privato, Padova, 2007; X. XXXXXXX (a cura di), Codice del consumo, Milano, 2006; G. X XXXXXXXXXX, Il «Codice del consumo». Un’occasione perduta?, in Studium iuris, 2005; ID., Il «Codice del consumo», in Nuova leg. civ. Comm., 2006; X. XXXXXXX, Un codice per il consumo, in Vita not., 2007; X. XXXXXXXXX, I contratti dei consumatori, in X. Xxxxxxx (a cura di), I rimedi, in Trattato del contratto, a cura di X. Xxxxx, XX, Xxxxxx, 0000, 485 ss.; ID., Codice del consumo, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Aggiornamento, III, 1681, Torino, 2007; X. XXXXXXXX, Alla (vana?) ricerca del consumatore ideale, in Foro it., 2005, I; X. XXXXXXXX, Arriva il codice del consumo: riorganizzazione (tendenzialmente) completa tra addii e innovazioni, in Foro it., 2006, V; S. PATTI, Il codice civile e il diritto dei consumatori. Xxxxxxxx, in Nuova giur. civ. comm., 2005, II; ID., Clausole vessatorie e contratto del consumatore, in F.D. Xxxxxxxx (a cura di) Il codice civile. Commentario, Milano,
La legge 6 febbraio 1996, n. 52 (c.d. legge comunitaria 1994) ha dato attuazione alla Direttiva CEE 93/13 concernente le clausole abusive nei contratti dei consumatori, inserendo nel Titolo II del Libro IV del codice civile un nuovo Capo, il XIV-bis, rubricato appunto “Dei contratti del consumatore”, disciplina poi trasfusa quasi interamente – ad eccezione del solo art. 1469 bis c.c. il cui contenuto è peraltro mutato – negli artt. 33-38 del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (c.d. codice del consumo).
Il legislatore ha approntato un complesso sistema di tutele 116 che consente di operare un controllo sostanziale e “contenutistico” dei contratti stipulati tra i professionisti/imprenditori, da un lato, e i consumatori dall’altro, sull’assunto presuntivo della strutturale
2003, 1071; X. XXXXX, Il consumatore come cittadino – Il cittadino come consumatore: riflessioni sull’attuale stato della teoria del diritto dei consumatori nell’Unione europea, in Nuova giur. civ. comm., 2004, II; X. XXXXX XXXXXX, Art. 3, Definizioni, comma 1, lett. f), codice, in X. Xxxx – X. Xxxxx Xxxxxx (a cura di), Codice del consumo. Commentario, Napoli, 2005; ID., Il Codice del consumo: prime impressioni fra critiche e consensi, in Contr. impr./Eur, 2006; X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXXXXXXX, Commentario del codice del consumo, Trieste, 2006; X. XXXXXXXXX - X. XXXXX, La tutela del consumatore, Vol. XXX, in Trattato di diritto privato, diretto da X. Xxxxxxx, Torino, 2009; X. XXXXXXXXXX (a cura di), Manuale del diritto dei consumi, Napoli, 2007. X. XXXXX, Le clausole “abusive”: realtà e prospettive. La direttiva CEE del 5 aprile 1993, in Rass. dir. civ., 1993, 582, ss.; AA. VV., Commentario al Capo XIV Bis del Codice Civile: Dei contratti del consumatore, Art. 1469-bis – 1469-sexies, in Nuove leggi civili commentate, a cura di C.M. Xxxxxx e F.D. Xxxxxxxx, Padova, 1999; X. XXXXXXXXX, Tutela del consumatore e clausole vessatorie, Napoli, 2001; X. XXXX E X. XXXXX, Clausole vessatorie nei contratti del consumatore, Art. 1469 bis – 1469 sexies, in Cod. civ. Commentario Xxxxxxxxxxx, Milano, 2003; X. XXXXXXXXX, Le clausole vessatorie, in I contratti del consumatore, a cura di X. Xxxx, Milano, 2014, 603 ss.
116 Attraverso la previsione di rimedi strettamente contrattuali, con la disciplina della nullità di protezione, collettivi, con la previsione dell’azione inibitoria, e di rilievo pubblicistico come nel caso dell’art. 37 bis. Ciò al fine di rendere sostanziale e, quindi, più penetrante la tutela rispetto a quella meramente formale approntata dagli artt. 1341 e 1342 c.c. in materia di condizioni generali di contratto e clausole onerose, in modo da contrastare efficacemente l’abuso del potere di autonomia contrattuale di impresa e il potere di predisposizione unilaterale del regolamento contrattuale.
condizione di debolezza in cui versano questi ultimi, determinata dall’ontologica asimmetria informativa e di potere contrattuale117 che lo distingue dal professionista/imprenditore che agisce nell’esercizio della sua attività professionale.118
Ai fini del presente lavoro è opportuno sottolineare una serie di elementi caratteristici della disciplina in questione e dell’evoluzione interpretativa offerta dalla giurisprudenza sia interna che comunitaria.
Ribadito che l’elemento presupposto e al contempo consustanziale della fattispecie è l’asimmetria ontologica che il legislatore (comunitario e, di conseguenza, quello italiano) ritiene sussistere tra il professionista/imprenditore e il consumatore, l’art. 33, comma 1, d.lgs.
n. 206 del 2005, prevede che nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
Il comma 2, poi, prevede una serie di ipotetiche clausole contrattuali in relazione alle quali il legislatore indica una presunzione di vessatorietà fino a prova contraria. 119
117 Ciò rende difficoltosa sia la piena comprensione di tutti gli aspetti del regolamento contrattuale sia la partecipazione effettiva all’elaborazione e predisposizione delle regole contrattuali.
118 Proprio questa inversione di prospettiva, rispetto ai contratti di diritto comune, ha portato alla definizione di “secondo contratto” per i contratti dei consumatori, i negozi del primo contratto essendo quelli che, inerendo la mera applicazione del diritto comune dei contratti, presumono la condizione di perfetta parità contrattuale tra le parti negoziali.
119 L’art. 36, comma 2, poi, disciplina la c.d. “black list” ovvero una serie di clausole per le quali la vessatorietà e la conseguente nullità è prevista iuris et de iure,
Quindi, la disciplina è rivolta a fornire tutela avente ad oggetto specificamente aspetti contenutistici del contratto, in quanto suscettibili di un giudizio di “vessatorietà” in conformità alla disciplina speciale.
Il carattere vessatorio della clausola va ricondotto all’effetto squilibrante che la stessa apporta nell’ambito del regolamento contrattuale, nel senso che deve determinare un “significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”.
L’art. 34 esclude la vessatorietà tanto delle clausole che riproducono disposizioni di legge120 ovvero che siano riproduttive di disposizioni o attuative di principi contenuti in convenzioni internazionali delle quali siano parti contraenti tutti gli Stati membri dell'Unione europea o l'Unione europea stessa 121, quanto delle clausole o degli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa individuale (cioè in relazione ai quali al consumatore sia stato consentito di intervenire nella
quantunque, cioè, oggetto di trattativa, qualora abbiano per oggetto o per effetto di: a) escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un'omissione del professionista;
b) escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista o di un'altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista; c) prevedere l'adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto.
120 Non a caso, secondo la CGUE l’accertamento dell’assenza di una norma imperativa e giustificativa è il primo “step” del ragionamento giudiziale: si veda CGUE 20 settembre 2017, n. C-186/16, in xxxxxxxxx.xx.
121 In conformità al principio di non contraddizione, non potendo il legislatore al tempo stesso imporre una clausola e considerarla vessatoria. Si tratta di norma applicativa dell’art. 1, comma 2 della direttiva 93/13/CE, in ordine al quale la CGUE con la pronuncia indicata nella nota che precede, ha sottolineato la necessità di procedere ad una interpretazione restrittiva attesa la natura eccezionale e derogatoria della regola generale in punto vessatorietà.
formulazione della clausola122). Nel contratto concluso mediante sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, incombe sul professionista l'onere di provare che le clausole, o gli elementi di clausola, malgrado siano dal medesimo unilateralmente predisposti, siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore.
Ai sensi del comma 1, poi, la vessatorietà di una clausola è valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende.
L’art. 34, comma 2 stabilisce che la valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell'oggetto del contratto, ne' all'adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purchè tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile123. Al riguardo, la previsione si associa a quella più generale di cui all’art. 35
122 La trattativa, in particolare, deve avere i requisiti della individualità, serietà ed effettività: così Cass. civ., 20 marzo 2010, n. 6802, in Foro it., 2010, 9, I, 2442; Cass. civ., 26 settembre 2008, n. 24262, in Foro it., 2008, 12, I, 3528, con nota di X. Xxxxxxxxx.
123 Norma applicativa dell’art. 4, comma 2, della direttiva 93/13/CEE. La dottrina italiana prevalente (A, XXXXXXXX, SIRENA,) ritiene che, non essendo ammissibile un sindacato sulla determinazione dell'oggetto del contratto o sulla proporzione delle prestazioni corrispettive, il controllo sulle clausole "strettamente economiche" deve limitarsi a quelle che solo in apparenza attengono all'oggetto del contratto al rapporto tra le prestazioni che, in realtà, individuano elementi normativi del contratto. In senso parzialmente diverso altri (PAGLIANTINI) opinano che il controllo, abilitato dalla disposizione in caso di carenza dei requisiti di chiarezza e comprensibilità non è il controllo contenutistico di vessatorietà, ma un controllo di mera trasparenza. Altri (F..X. XXXXXXXX infine, sostengono; l'ammissibilità di un sindacato dl merito sulla clausola.
comma 1, in forza della quale nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono sempre essere redatte in modo chiaro e comprensibile.
A questo proposito è interessante ricordare che la Corte di Giustizia, con sentenza 9 luglio 2015, C-348/14 ha sottolineato che il consumatore si trova in una situazione di inferiorità rispetto al professionista con particolare riferimento al grado di informazione. Di conseguenza, ad avviso della Corte di Giustizia, una clausola può ritenersi formulata in maniera chiara e comprensibile quando consenta ad un consumatore medio di valutare le conseguenze derivanti dalla clausola stessa.124
Ciò, evidentemente, tenuto conto del fatto che ciò che incide sull’asimmetria contrattuale nel caso del consumatore è, in primo luogo, la mancanza di elementi sufficienti a comprendere la complessità del rapporto che la clausola concorre a determinare, con conseguente squilibrio economico.
In questo senso, quindi, come sottolineato dalla decisione, <<le informazioni, prima della conclusione di un contratto, in merito alle condizioni contrattuali ed alle conseguenze di detta conclusione, sono, per un consumatore, di fondamentale importanza. È segnatamente in
124 Con particolare riferimento al caso analizzato dalla pronuncia, se la clausola di un contratto di mutuo che definisce l'oggetto del contratto consenta al mutuatario di calcolare il costo totale del credito).
base a tali informazioni che quest’ultimo decide se desidera vincolarsi alle condizioni preventivamente redatte dai professionista>>.
Conseguenza di tale impostazione è che nella fase delle trattative precontrattuali, il professionista dovrà rendere al consumatore tutte le informazioni necessarie affinché quest'ultimo comprenda tutti gli obblighi, le spese e i rischi connessi al finanziamento.
In questo modo, quindi, la Corte ha accolto un’interpretazione estensiva della previsione di cui all’art. 34, comma 2 (più precisamente dell’art. 4, comma 2, della direttiva 93/13/CEE) considerando anche l’informativa precontrattuale, stabilendo, in particolare, che la prescrizione secondo cui una clausola contrattuale attinente all'oggetto principale del contratto, per andare esente dal sindacato di vessatorietà, deve essere formulata in modo chiaro e comprensibile, presuppone, nel caso dei contratti di credito, che il finanziatore fornisca al mutuatario tutte le informazioni125 necessarie a consentirgli di assumere decisioni (e il riferimento è, ovviamente, alla decisione di prestare il consenso necessario ai fini della conclusione dei contratto) "con prudenza e in piena cognizione di causa".
125 L’importanza degli obblighi informativi in ottica di riduzione dell’asimmetria di potere contrattuale è stata in particolare enfatizzata in alcuni settori come nell’ambito dei rapporti bancari e finanziari. In tal senso, si possono ricordare gli artt. 116 e 117 t.u.b., il primo inerente alla pubblicità sui tassi di interesse praticati, sui prezzi e sulle condizioni economiche, il secondo disciplinando le conseguenze dell'assenza di tali elementi nel contratto concluso tra banca e cliente; poi va ricordato l'art. 21 t.u.f,, che prevede il dovere in capo agli intermediari finanziari di "comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati".
E’ rilevante sottolineare come la ricostruzione predetta non determini un’invalidità della clausola quale mera conseguenza diretta dell’inadempimento di un obbligo informativo, ma in considerazione dell’effetto che tale inadempimento, in quanto inerente un elemento fondamentale di riduzione dell’asimmetria, ha in concreto avuto nella capacità di comprensione dell’operazione da parte del consumatore impedendo a quest’ultimo di ponderare adeguatamente l’utilità o convenienza economica della stessa.
Ai sensi dell’art. 36, comma 1, le clausole considerate vessatorie ai sensi degli articoli 33 e 34 sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto. In forza del comma 3, la nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d'ufficio dal giudice.
La previsione della nullità di protezione126, consente di rendere effettiva la tutela, al contrario garantita solo formalmente dagli artt. 1341 e 1342 c.c., in una fattispecie nella quale la sottoscrizione del contratto e delle clausole si presenta come un elemento, da un lato, inidoneo a dimostrare l’esistenza di un consenso serio ed effettivo, e dall’altro, inevitabile e necessitato in considerazione della debolezza contrattuale
126 Tale istituto non è l’unico strumento di tutela individuale, specie con riguardo alle violazioni dei doveri di informazione, in vario modo le diverse discipline di derivazione comunitaria attribuendo al consumatore il potere, ad es., di sciogliersi unilateralmente dal contratto a determinate condizioni, in forza di previsioni di ius poenitendi libero, non motivato e senza penali, come nel caso di contratti a distanza, contratti conclusi fuori dei locali commerciali, contratti di credito al consumo (si vedano gli artt. 125 ter e 125 quater T.U.B.). Si tratta di soluzioni giustificate dalla necessità di tutelare il consumatore dai rischi di natura economica derivanti da una scelta contrattuale non adeguatamente ponderata.
del consumatore, posto che la clausola è vessatoria proprio in quanto sottoscritta senza un’effettiva trattativa pregressa.
Si tratta di una nullità relativa, a solo beneficio del consumatore, e parziale essendo ex lege limitata alla sola clausola e non potendosi estendere all’intero contratto. 127
La Corte di Giustizia128, al riguardo, ha chiarito che l’art. 6, par. 1, della direttiva 93/13/XXX xxxxxx al giudice nazionale di limitarsi a disapplicare la clausola incriminata, non potendo provvedere alla sua sostituzione di diritto con una simile, meno gravosa. Ciò in quanto l’esercizio di un potere “correttivo” del contenuto della clausola minerebbe l’effetto dissuasivo derivante dalla sua disapplicazione, che intende scoraggiare il professionista dal suo utilizzo, così come dall’impiego di clausole similari, nei rapporti contrattuali futuri 129, con conseguente accentuazione della funzione preventiva e, in termini lati, “erga omnes” della tutela in questione130.
127 In materia si vedano, X. XXXXXXXXX, La rilevabilità d’ufficio della nullità di protezione, in Riv. Dir. Priv, 2004, 861 e ss.; X. XXXXXXX, Contratto e regolamento nel piano d’azione delle nullità di protezione, in Riv. Dir. Civ., 2005, 464 e ss., X. XXXXXXXX, Le nullità di protezione nel sistema delle invalidità negoziali. Per una teoria della moderna nullità relativa, Padova, 2008, 25 ss.; X. XXXXXXX, Il contratto asimmetrico tra parte generale, contratti di impresa e disciplina della concorrenza, in Riv. Dir. Civ. 2008, 5, 15 ss
128 Xxxxx xx Xxxxxxxxx XX, xxx. X, 00 giugno 2012, n. C-618/10, in Contratti, 2013, 1, 16 ss. Conforme: Collegio arbitrale di Roma, ord. 23 maggio 2014, n. 3415, in Contratti, 2014, 8/9, 737.
129 Si veda X. XXXXX, La procedura di conciliazione per la risoluzione delle controversie tra imprese e consumatori in materia di clausole abusive, in Persona e mercato, 4, 2014, 25 ss; ID., A proposito di abuso di autonomia contrattuale di impresa, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 9-10.
130 La funzione preventiva è finalizzata ad indurre il professionista ad espungere quella regola dai suoi moduli o formulari futuri, ed è vieppiù rafforzata dalla previsione dell’azione inibitoria collettiva (di cui all’art. 37 cod. cons.), e dall’art. 37
Si tratta, quindi, di un divieto non finalizzato, a ben vedere, a tutelare l’autonomia negoziale, ma, al contrario ad evitare che gli effetti “restrittivi” della disciplina consumeristica possano essere ridotti o messi nel nulla.
Secondo una tesi131, la disciplina consumeristica non giustificherebbe la possibilità di un controllo della convenienza ed opportunità dell’affare come dimostrato anche dal fatto che è prevista l’esclusione dalla tutela quando la clausola sia stata negoziata individualmente, perché ciò starebbe a significare che anche un contratto ingiusto è vincolante e irretrattabile pur quando una parte sia il consumatore, sicchè non sarebbe consentito un sindacato dell’equilibrio contrattuale, sotto il profilo strettamente economico, più intenso rispetto a quanto previsto dal codice civile. Ciò in quanto, lo squilibrio idoneo ad integrare la vessatorietà richiesta dalla norma riguarda diritti ed obblighi, come tale avendo natura meramente normativa; inoltre, come detto, l’art. 34 comma 2, esplicita la tendenziale irrilevanza dello squilibrio economico, escludendo espressamente che la valutazione del carattere vessatorio possa riguardare la determinazione dell’oggetto del contratto o l’adeguatezza del corrispettivo.
D’altronde, a quanto sopra detto è possibile replicare, per un verso, che la previsione dell’art. 34 comma 2, non espunge in toto la rilevanza
bis del codice del consumo, che apporta una forma di controllo amministrativo delle clausole abusive adoperate nei confronti del consumatore, mediante la dichiarazione di vessatorietà da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
131 U. PERFETTI, op. cit., 189 ss.
dell’equilibrio economico perché l’eccezione, cioè, l’irrilevanza dello squilibrio in tanto opera in quanto l’oggetto del contratto e l’adeguatezza del corrispettivo siano identificati in modo chiaro e comprensibile, in mancanza potendo le relative clausole essere tacciate di vessatorietà e conseguente nullità di protezione ex art. 36; per altro verso, occorre sottolineare come, in termini generali, il sindacato sull’equilibrio economico involge l’intera operazione contrattuale e non il mero rapporto di corrispettività tra le prestazioni “qualificanti” l’operazione contrattuale; infine, come detto, uno squilibrio normativo in termini generali non può non riverberare i propri effetti anche sul piano dell’equilibrio economico.
A riprova di ciò infatti, l’art. 33, comma 2, lett. o) stabilisce la natura presuntivamente vessatoria della clausola che consente al professionista di aumentare il prezzo del bene o del servizio senza che il consumatore possa recedere se il prezzo finale è eccessivamente elevato rispetto a quello originariamente convenuto.
E’ evidente che una tale clausola non solo incide sull’equilibrio normativo, ma ha un effetto direttamente determinante anche sull’equilibrio economico del contratto.
Il fatto, poi, che la trattiva individuale sia idonea a superare il carattere vessatorio della clausola non contraddice l’idea che il giudice possa intervenire sull’equilibrio del contratto in caso di sproporzione tra
l’insieme degli elementi di natura economica che caratterizzano l’operazione negoziale.
Da un lato, infatti, la trattativa, come si è detto, deve essere caratterizzata da individualità, serietà ed effettività, il che, sommato agli obblighi informativi che caratterizzano la normativa consumeristica porta a ritenere che il legislatore europeo e quello nazionale intendano privare della tutela “speciale” solo il consumatore la cui condizione sia sostanzialmente simmetrica a quella del professionista imprenditore in una misura che, a ben vedere, è ben più assoluta di quella presupposta dalla normativa codicistica in caso, ad es., di rescissione, perché presuppone che il consumatore abbia l’effettiva possibilità di incidere consapevolmente ed effettivamente sulla stesura della norma, il che implica anche, in capo al consumatore, la sussistenza di una idonea informazione e conoscenza dei diversi aspetti dell’operazione economica e un sostanziale pari potere contrattuale.
Dall’altro lato, il fatto che non sia applicabile la disciplina speciale non esclude che il consumatore possa accedere a quella ordinaria la quale come si dirà nel prosieguo ha visto un progredire della sensibilità giurisprudenziale in ordine all’effettivo intervento del giudice nella “gestione” dell’equilibrio contrattuale.
Del resto che la tendenza giurisprudenziale sia generalmente ampliativa in nome del principio di effettività della tutela, lo si riscontra anche dall’esame dell’evoluzione interpretativa del concetto di “consumatore”
Al riguardo, viene in rilievo un concetto “normativo” di consumatore, in quanto strettamente precisato dal legislatore comunitario.
In particolare, per la normativa comunitaria, come recepita nell’ordinamento italiano, consumatore è quel soggetto <<persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta>>. 132
132 Fermo restando che tanto la giurisprudenza comunitaria (CGUE, 22.11.2001, C- 451/99) che quella costituzionale italiana (C. Cost., 22 novembre 2002, n. 469, in Foro it., 2003, I, 332, con nota di X. XXXXX), hanno escluso l’applicabilità della tutela consumeristica alle persone giuridiche ed enti collettivi, occorrendo una disposizione ad hoc nelle leggi di recepimento delle direttive europee, il concetto <<scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta>> è stato oggetto di contrasto dottrinale e giurisprudenziale. Secondo un orientamento dottrinale minoritario, la norma farebbe riferimento alle finalità soggettive perseguite dalla parte interessata al bene (o al servizio); un secondo orientamento, seguito talvolta dalla giurisprudenza di merito, (Trib. Roma, 20 ottobre 1999), si fonda invece sulla distinzione tra "atti relativi alla professione" e "atti della professione", nel primo caso venendo in gioco l'acquisto di beni e servizi per i quali occorre verificare se attraverso di essi si siano realizzati obiettivi professionali ovvero esigenze di carattere personale o familiare, laddove, in caso di "atti della 'professione", non può mai venire in gioco la qualifica di consumatore poiché per mezzo di essi il contraente realizza univocamente gli interessi della sua attività imprenditoriale o professionale. Infine, l’orientamento seguito dalla dottrina e giurisprudenza prevalenti, valorizza le caratteristiche oggettive dell'operazione negoziale, incentrando l’indagine sulle caratteristiche del bene oggetto del contratto e sulla destinazione funzionale dello stesso al soddisfacimento di bisogni privati (personali o familiari) ovvero di esigenze professionali.
In dottrina si tende ad attribuire un significato più ampio, ricomprendendovi anche colui che compie acquisti in vista di una futura attività commerciale come il piccolo imprenditore inesperto oppure un professionista – ad. es. medico o avvocato – che agisce nell’ambito della propria attività lavorativa in qualità di consumatore. Si tratta di soggetti intrinsecamente più deboli quanto a potere contrattuale nei rapporti con un professionista.
Con riguardo, ai c.d. “contratti misti o a finalità mista”, quelli cioè stipulati da un soggetto per soddisfare esigenze, al contempo, di carattere personale e professionale, poi, la CGUE ha accolto il c.d. criterio della prevalenza, ancorchè in funzione “restrittiva”. Infatti, ha escluso l'applicabilità della normativa di protezione nei confronti dei soggetti che agiscano per scopi sia professionali che personali, salvo che i primi non assumano una valenza talmente residuale da risultare, in concreto, irrilevanti (sentenza 20 gennaio 2005, causa C-464/01). Per contro, esaminando il considerando 17 della direttiva n. 83/2011 (sui diritti dei consumatori) e il considerando n. 18 dir. n. 11/2013 UE (sulle Alternative Dispute Resolution) si evince una tendenza a voler “ampliare” leggermente la tutela anche in caso di contratti “misti” qualificando come consumatore la persona fisica ogniqualvolta lo scopo commerciale perseguito attraverso il negozio stipulato sia così limitato da non risultare "predominante nel contesto generale". Contrasti giurisprudenziali si sono
Per quanto questa sede di interesse, va sottolineato che il concetto di “consumatore” è andato via via ampliandosi nell’applicazione ed interpretazione giurisprudenziale comunitaria e nazionale.
Sotto il primo profilo, la Corte di Giustizia, con pronuncia 3 settembre 2015, C-110/14 133, nel decidere in ordine all'abusività di una clausola inserita in un contratto di credito, al quale accede una garanzia ipotecaria concessa dallo studio legale del mutuatario, ha affermato che lo svolgimento di un'attività professionale-intellettuale come quella dell'avvocato non preclude la possibilità di agire in veste di consumatore, allorché lo stesso stipuli un negozio privo di collegamento con l'esercizio della professione legale, versando in una situazione di inferiorità e debolezza rispetto alla controparte.
In particolare, secondo il ragionamento della Corte, il professionista beneficiario di un credito per finalità estranee alla professione sulla scorta di un contratto le cui condizioni sono state predisposte unilateralmente dalla banca, non perde la propria veste di “consumatore” né in ragione della propria “qualità professionale”, né in considerazione dell’accessoria garanzia ipotecaria ancorché concessa dallo “studio legale” di cui è titolare.
registrati, poi, con riguardo alla figura del “fideiussore” non professionista che garantisce un’operazione negoziale strumentale alla professione del garantito (fattispecie sulla quale si è pronunciata CGUE 3 settembre 2015, C-110/14) e alla figura del Condominio (in ordine al quale si è recentemente pronunciata CGUE sentenza 2 aprile 2020, causa C-329/19).
133 Con nota di X. XXXXXXXXX, Il restyling della nozione di consumatore, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 3, 385-389.
In altre parole, una persona fisica che eserciti la professione di avvocato e stipuli con una banca un contratto di credito nel quale lo scopo del credito non sia specificato, può essere considerata un «consumatore», qualora un simile contratto non sia legato funzionalmente all'attività professionale esercitata.
La circostanza che il credito sorto dal contratto sia garantito da un'ipoteca concessa da tale persona in qualità di rappresentante del suo studio legale e gravante su beni destinati all'esercizio della sua attività professionale, quale un immobile appartenente a detto studio legale, non è rilevante.
Con riguardo al contratto di fideiussione, la giurisprudenza comunitaria134 rileva che il contratto di garanzia o di fideiussione, sebbene possa essere descritto, in relazione al suo oggetto, come un contratto accessorio rispetto al contratto principale da cui deriva il debito che esso garantisce135, si presenta, dal punto di vista delle parti contraenti, come un contratto distinto in quanto è stipulato tra soggetti diversi dalle parti del contratto principale. E' dunque in capo alle parti del contratto di garanzia o di fideiussione che deve essere valutata la qualità in cui queste hanno agito136.
La Corte di Cassazione ha di recente affermato che <<nel contratto di fideiussione, i requisiti soggettivi per l'applicazione della disciplina
134 CGUE 14 settembre 2016, n. 534.
135 CGUE 17 marzo 1998, Xxxxxxxxxx, C45/96, EU:C:1998:111, punto 18.
136 Ordinanza del 19 novembre 2015, C-74/15, punto 26.
consumeristica devono essere valutati con riferimento alle parti di esso, senza considerare il contratto principale, come affermato dalla giurisprudenza unionale ( CGUE, 19 novembre 2015, in causa C-74/15, Tarcau, e 14 settembre 2016, in causa C-534/15 , Dumitras), dovendo pertanto ritenersi consumatore il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professionale (o anche più attività professionali), stipuli il contratto di garanzia per finalità estranee alla stessa, nel senso che la prestazione della fideiussione non deve costituire atto espressivo di tale attività, né essere strettamente funzionale al suo svolgimento (cd. atti strumentali in senso proprio)>>137.
In via generale, poi, la Corte di Cassazione, sempre di recente, ha sottolineato che <<in tema di contratti del consumatore, ai fini della identificazione del soggetto legittimato ad avvalersi della tutela di cui al vecchio testo dell'art. 1469 bis c.c. (ora art. 33 del Codice del consumo, approvato con d.lgs. n. 206 del 2005), la qualifica di consumatore spetta solo alle persone fisiche e la stessa persona fisica che svolga attività imprenditoriale o professionale potrà essere considerata alla stregua del semplice consumatore soltanto allorché concluda un contratto per la
137 Cass. civ., 16 gennaio 2020 , n. 742, in Giust. civ. mass., 2020: la decisione conferma la posizione già espressa, seppure in via minoritaria da altre precedenti pronunce tra le quali è opportuno rammentare Cass. civ., 13 dicembre 2018, n. 32225, in Giust. civ. mass., 2019. Altra giurisprudenza ha affermato, diversamente, che
<<all'obbligazione garantita deve riferirsi il requisito della qualità di consumatore, attesa l'accessorietà dell'obbligazione del fideiussore rispetto all'obbligazione garantita>> (ex plurimis, Cass. 05 dicembre 2016, n. 24846, in Giust. civ. mass., 2017; Cass. civ., 29 novembre 2011, n. 25212, in Dir. e Giust. online, 2011, con nota di X. XXXXXXXXXX, Il fideiussore di una società non è un consumatore.
soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio di dette attività; correlativamente devono essere considerate professionisti tanto la persona fisica quanto quella giuridica, sia pubblica sia privata, che utilizzino il contratto non necessariamente nell'esercizio dell'attività propria dell'impresa o della professione, ma per uno scopo connesso all'attività imprenditoriale o professionale>>.138
Come si evince da quanto sin qui esposto, emerge la tendenza ad “ampliare” l’ambito applicativo anche soggettivo della tutela consumeristica tanto che la stessa e con essa, quindi, il potere del Giudice di intervenire in modo incisivo sull’equilibrio contrattuale “originario”, vengono ad acquisire un carattere di “ordinarietà progressiva”, venendo sempre meno in rilievo la natura “speciale” della normativa in questione.
2. Il Terzo contratto.
Anche nei rapporti tra imprenditori è possibile che una delle imprese assuma la posizione di “parte debole” del contratto.
Si tratta del c.d. “terzo contratto”139 o “B2B” (business to business), concernente i rapporti contrattuali intercorrenti tra due imprenditori, che
138 Cass. civ., 26 marzo 2019, n. 8419, in Giust. civ. mass., 2019.
139 A partire dagli anni ’80 si è rilevato come in relazione a tutta una serie di contratti che si andavano affermando nella pratica, la disciplina comune non fosse adeguata, distanza acuita dalla disciplina speciale che via via è andata stratificandosi, in particolare sulla spinta del legislatore comunitario. Da qui la prima evidente rottura è
ancorché tali, vengono a trovarsi in posizione di asimmetria uno rispetto all’altro.140
Quando si fa riferimento al c.d. terzo contratto, nell’ottica del presente lavoro, si richiama un complesso di normative tra le quali è opportuno ricordare non solo le disposizioni sull’abuso di posizione dominante di cui all’art. 9, l. n. 192 del 1998, già esaminato in precedenza141, e la nullità delle transazioni commerciali con condizioni gravemente inique (art. 7, comma 1, d.lgs. n. 231 del 2002), parimenti più sopra citata, ma anche la disciplina sull’affiliazione commerciale (l. n. 129/2004), nonché l’art. 62, d. l. n. 1 del 2012, in tema di rapporti agroalimentari.
Si tratta di tipologie di rapporti soggetti, in punto di squilibrio, a principi e logiche particolari e ciò in relazione alla natura parimenti
stata determinata dalla disciplina consumeristica, che ha portato alla distinzione tra “primo contratto”, quello fondato sulla disciplina “comune” codicistica, fondata su una asserita perfetta simmetria tra contraenti e “secondo contratto”, negoziato tra professionista e consumatore, quest’ultimo soggetto istituzionalmente debole e quindi in posizione di asimmetrica contrattuale.
140 Sul tema, X. XXXXX-X. XXXXX (a cura di), Il terzo contratto, Bologna 2008, nonché X. XXXXXXXXX, Prefazione a X. Xxxxxxxxx, L’abuso di dipendenza economica tra disciplina della concorrenza e diritto dei contratti (Un’analisi economica e comparata), Torino 2004, XI ss. e Conclusioni, in Il terzo contratto, cit., 345 e ss., in cui si richiamano, come cornice normativa, le disposizioni legislative sull'abuso di dipendenza economica, ex art. 9, l. n. 192 del 1998; il meccanismo (nullità dell'accordo gravemente iniquo, applicazione dei termini legali o riconduzione ad equità) previsto dall'art. 7, d.lgs. n. 231 del 2002, in tema di ritardo dei pagamenti nelle transazioni commerciali e la durata minima del rapporto di cui all'art. 3, l. n. 129 del 2004 sul contratto di franchising. In senso contrario alla ricostruzione autonoma di questa categoria di contratti, assimilabile, invece, alla generale categoria dei contratti asimmetrici, X. XXXXX, Parte generale del contratto, contratti del consumatore e contratti asimmetrici (con postilla sul "terzo contratto"), in Riv. dir priv., 2007, 669 e ss.
141 In ordine al quale si rammenta come le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la pronuncia 25 novembre 2011, n. 24906, in Foro it., 2012, 3, I, 805, abbia definitivamente affermato l’applicabilità della norma a tutti i rapporti tra imprese, operando la subfornitura in modo trasversale rispetto alle varie figure contrattuali potendo, quindi, incidere su qualsiasi tipo contrattuale.
imprenditoriale ancorchè asimmetrica, quanto a potere contrattuale, delle parti negoziali.
In questi casi, di cui in parte abbiamo già fatto cenno, a differenza del
c.d. “secondo contratto”, tendenzialmente la disuguaglianza nasce non da una carenza informativa o dall’assenza di trattative, ma dalla situazione di dipendenza economica (o di dominanza relativa) in cui un soggetto viene a trovarsi rispetto all’altro.142
Per vero, quanto previsto dall’art. 7, d.lgs. n. 231 del 2002 sopra esaminato, prescinde dalla posizione di debolezza del creditore, potendo, quest’ultimo, invocare la speciale tutela al ricorrere delle condizioni oggettive previste dalla norma, che come detto sanziona e conferisce il potere al giudice di intervenire sull’equilibrio economico del contratto così come sottoscritto dalle parti.
La l. n. 129 del 2004, relativa al c.d. “franchising”, poi, è volta a tutelare il franchisee che entra a far parte della rete del franchisor
142 Tale forma di dipendenza spesso trae origine da un rapporto contrattuale nell’ambito del quale un’impresa viene a effettuare investimenti specifici non facilmente riconvertibili in altre attività, così esponendosi al rischio di subire condizioni ingiustamente inique, pur di evitare che quel rapporto contrattuale venga interrotto, con sostanziale perdita dell’investimento. Ciò avviene, in particolare, in caso di contratti di durata, in relazione ai quali si possono porre problemi di incompletezza del contenuto contrattuale o la necessità di rinegoziazione in caso di sopravvenienze. In questo senso, ad esempio, l’art. 3, comma 3, l. n. 129 del 2004 prevede che, <<qualora il contratto sia a tempo determinato, l’affiliante dovrà continuare a garantire all’affiliato una durata minima sufficiente all’ammortamento dell’investimento e comunque non inferiore a tre anni>>.
In questo senso, si è già detto che l’art. 9, l. n. 192 del 1998 è norma di respiro generale che si inserisce in un contesto di generale ampio di tutela della “debolezza” delle parti contrattuali. Peraltro, come si dirà più avanti, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20106 del 2009, ha ritenuto, a prescindere dall’applicabilità dell’art. 9, l. n. 192 del 1998, ammissibile un sindacato giurisdizionale sul legittimo esercizio di un recesso ad nutum, valorizzando la clausola generale di buona fede nell’esecuzione del contratto interpretata quale sostanziale ipostasi del principio costituzionale di solidarietà sociale ex art. 2 Cost.
prescrivendo un contenuto informativo minimo all'interno del contratto e una durata del rapporto tale da consentire all'affiliato di ammortizzare gli investimenti specifici imposti per essere incluso nel canale distributivo.
Con riferimento, poi, all’art. 62, comma 1, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 , convertito con modificazioni dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, la norma prevede che <<i contratti che hanno ad oggetto la cessione dei prodotti agricoli e alimentari, ad eccezione di quelli conclusi con il consumatore finale, sono stipulati obbligatoriamente in forma scritta e indicano la durata, le quantità e le caratteristiche del prodotto venduto, il prezzo, le modalità di consegna e di pagamento. I contratti devono essere informati a principi di trasparenza, correttezza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni, con riferimento ai beni forniti>>.
Il comma secondo comma, poi, precisa che « nelle relazioni commerciali tra operatori economici, ivi compresi i contratti che hanno ad oggetto la cessione dei beni di cui al comma 1 », « è vietato imporre direttamente o indirettamente condizioni di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose », avuto particolare riguardo — come ha puntualizzato il d.m. attuativo, 19-10-2012 n. 199
— a quelli connotati da un « significativo squilibrio nelle rispettive posizioni di forza negoziale ».143
La norma144 assume un evidente rilievo ai fini del presente lavoro se solo si considera, da un lato, l’indicazione espressa del principio di “proporzionalità e reciproca corrispettività” delle prestazioni nell’ambito di contratti aventi ad oggetto la cessione dei prodotti agricoli e alimentari, dall’altro lato, che essa si rivolge alle operazioni economiche che non concernono il consumatore finale, ma gli imprenditori, pur sempre collocati, tra loro, in posizione ritenuta di asimmetria dal legislatore. 145
143 Per un esame critico della norma, si vedano X. XXXXXXXX, I contratti della filiera agroalimentare tra efficienza del mercato e giustizia dello scambio, in Annuario del contratto 2015, Torino, 2016, 1 s., ove anche raffronti con la disciplina sull'abuso di dipendenza economica ex art. 9 l. 192/1998 (ibidem, 17 s.); anche X. XXXXXXXXXXX, Il “pasticcio” dell'art. 62, l. n. 21/2012: integrazione equitativa di un contratto parzialmente nullo o responsabilità precontrattuale da contratto sconveniente?, Nullità per abuso ed integrazione del contratto - Saggi, a cura di G. D'Amico-X. Xxxxxxxxxxx, Torino 2013, 195 s.
144 In ordine alla quale, nei limiti del presente lavoro, non è possibile procedere ad una più diffusa analisi.
145 Al riguardo, recentemente, C. App. Trento, 27/05/2019, n. 62 ha affermato che
<<in tema di cessione di prodotti agricoli e agro-alimentari, il vincolo della forma previsto dall'art. 62 del d.l. 1/2012 opera quale elemento non strutturale ma piuttosto funzionale del contratto. Esso, cioè, è preordinato alla tutela del contraente debole mediante la sua informazione e ciò sull'assunto che egli sia pregiudicato dalla fisiologica asimmetria della sua posizione sul mercato. Preso atto della funzione di tipo conoscitivo a tutela del contraente debole assolta dal formalismo di protezione è evidente la differenza di ratio rispetto allo schema codicistico della forma ad substantiam. Questa è volta a garantire la certezza sia delle dichiarazioni contenute nel documento contrattuale, sia della riconducibilità di tali dichiarazioni ai loro sottoscrittori. Tale finalità viene raggiunta con il duplice requisito della scrittura privata e della firma del contraente. La specificità della disciplina applicabile al caso oggetto di giudizio è data, invece, dal fatto che ai fini informativi il contenuto del contratto ha rilevanza centrale mentre rimangono secondarie le modalità di esteriorizzazione della volontà. In sintesi, dunque, vale distinguere il documento, come formalizzazione e certezza del regolamento negoziale, dall'accordo>>.
CAPITOLO IV
L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI CAUSA DEL CONTRATTO E I POTERE DI INTERVENTO DEL GIUDICE.
SOMMARIO: 1. In via generale; 2. Causa in astratto e causa in concreto; 3. Il problema della meritevolezza; 4. La causa di solidarietà;
5. Causa concreta e nuove tecnologie: cenni.
1. In xxx xxxxxxxx.000
L’art. 1325, n. 2, c.c. indica, tra gli elementi essenziali del contratto, la causa 147, fondamento giustificativo della rilevanza e della tutela
146 Sul tema si rinvia, tra gli altri, a X. XXXXXXXXXXXX, Contratti in generale, in Trattato di. diritto civile, diretto da X. Xxxxxx e X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Milano, 1961, 122, X. XXXXX, In tema di causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Padova, 1947, 22 ss.; X. XXXXXXX FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1948, 593 ss.; X. XXXXXXXXX, Precisazioni in tema di causa del negozio giuridico, in Diritto civile, Metodo – Teoria – Pratica, Milano, 1951, 105 ss.; X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1955, 172 ss.; X. XXXXX, Causa del negozio giuridico, voce, in Noviss. dig. it., III, Torino, 1959, 32 ss.; X. XXXXXXXXXX, Causa (dir. priv.), voce, in Enc. dir., VI, Milano, 1960, 547 ss.; G.B. XXXXX, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, 232 ss.; X. XXXXXXX, Negozio astratto, voce, in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, 52 ss.; X. XXXXXXX, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi, in Riv. dir. civ., 1978, I, 52 ss.; X. XXXXXXX, Causa tipica e motivo del contratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1979, 1098 ss.; A. DI MAJO, Causa del negozio giuridico, voce, in Enc. giur., IV, Roma, 1988; X. XXXXXXXX, Regolamento contrattuale e interessi delle parti (intorno alla nozione di causa), in Riv. dir. civ., 1991, I, 223 ss.; X. XXXXXXXXX, Il contratto con causa mista, Padova, 1995, 18 ss.; X. XXXXXXXX, L’artificio della causa contractus, Padova, 2012, 209 ss.; M. BARCELLONA, Della causa. Il contratto e la circolazione della ricchezza, Padova, 2015.
147 Definita «oggetto vago e misterioso» da F. XXXXXXX XX., Teoria dei contratti, Napoli, 1940, 127. La relazione al codice civile chiariva che la causa del contratto
<<non è lo scopo soggettivo, qualunque esso sia, perseguito dal contraente nel caso concreto>>, <<ma è la funzione economico-sociale che il diritto riconosce rilevante ai suoi fini e che sola giustifica la tutela dell’autonomia privata>>; pertanto, la funzione
giuridica del contratto, nonché criterio d’interpretazione e di qualificazione del medesimo148
La mancanza o l’illiceità della causa sono motivo di nullità del contratto, ai sensi dell’art. 1418, comma 2 c.c.149
Venuta meno l’autosufficienza del potere di autodeterminazione negoziale150 la causa si pone come strumento di controllo dell’operazione negoziale.151
Come sottolineato152, in tutti gli ordinamenti occidentali, si ritrova un principio, il quale, in linea di massima, esclude che la nuda volontà individuale possa produrre trasferimenti della ricchezza in assenza di una giustificazione, la si chiami causa o “consideration”. Nessun testo
del contratto <<deve essere non soltanto conforme ai precetti di legge, all’ordine pubblico e al buon costume, ma anche, per i riflessi diffusi dell’art. 1322, secondo xxxxx, rispondente alla necessità che il fine intrinseco del contratto sia socialmente apprezzabile e come tale meritevole di tutela>>.
148 X. XXXXXXXXXXX e X. XXXXXXXX, Causa, in X. XXXXXXXXXXX, Manuale di diritto civile, 8a ed., 2017, p. 488. Afferma espressamente la rilevanza della causa concreta sull’interpretazione del contratto Cass. civ., 22 novembre 2016, n. 23701, in Foro it. on line.
149 E’ stato accolto, quindi, il c.d. principio della causalità negoziale che, dettato in sede contrattuale, opera anche per i negozi unilaterali in forza sia dell’applicazione agli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, nei limiti della «compatibilità», delle norme che regolamentano i contratti, ex art. 1324 c.c., sia dell’esclusione del carattere vincolante di una promessa (art. 1988 c.c.) sostanzialmente “astratta” dalla causa: si veda X. XXXXXXX, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, Napoli, 1972, rist. 2010, passim.
150 X. XXXXXXXXXXX, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo- comunitario delle fonti, 2006, 322 ss
151 La causa manifesta «l’ipostatizzazione del giudizio al quale l’ordinamento sottopone il contratto per attribuire ad esso forza di legge, la trasformazione in una “sostanza” […] dell’apprezzamento cui l’ordinamento subordina la concessione del proprio presidio coercitivo alla pretesa che ciascuna delle parti di un accordo può rivolgere all’altra». Pertanto, la definizione della causa si risolve «(a) nella/e funzione/i alla/e quale/i questo giudizio è de-putato, (b)nel/i parametro/i secondo cui questo giudizio deve essere implementato e (c) nella determinazione di quel che secondo tale/i parametro/i deve essere giudicato», così M. BARCELLONA, Della causa. Il contratto e la circolazione della ricchezza, cit., 147.
152 M. BARCELLONA, Un’altra complessità, l’orizzonte europeo e i problemi della causa, juscivile, 2016, 5, 362 e 363
normativo, che sia ascrivibile ad una fonte europea o sovranazionale, ha mai escluso esplicitamente che questo principio possa ancora albergare negli ordinamenti nazionali ed annoverarsi tra i “requisiti” del contratto. Ciononostante si assiste ormai da tempo ad un afflato pragmatico e sostanzialista finalizzato alla soppressione153 del principio causalistico154 per affermare l’appiattimento della causa sull’accordo/volontà155 o sul contenuto156.
153 X. XXXXXXXXX, Tramonto della causa del contratto?, in Contr. e impr., 2003, 100 ss.; X. XXXXXXX, La morte del contratto, trad. di X. Xxxxxx, Milano, 1989; U. BRECCIA, Causa, in Il contratto in generale, t. III, a cura di X. Xxxx, U. Xxxxxxx, A. Liserre, in Trattato di diritto privato, diretto da X. Xxxxxxx, vol. XIII, Torino, 1999, 86.
154 Il riferimento va sia ai Principles of International Commercial Contracts, ai Principles of European Contract Law, al Draft Common Frame of Reference, sia alla recente riforma del code civil francese a seguito dell’ordonnance n. 2016 – 131 du 10 février 2016, (portant réforme du droit des contrats, du régime géneral et de la preuve des obligation) sui quali si tornerà più avanti. Sulla questione della tendenza in atto nell’ambito degli ordinamenti di civil law si veda, altresì, X. XXXXX (a cura di), Causa e contratto nella prospettiva storico-comparatistica, in Atti del Congresso internazionale ARISTEC, Palermo 7-8 giugno 1995, Torino, 1995, passim; X. XXXXX, Il rilancio della causa del contratto: la causa concreta, in Contratto e impresa, 2007, 2 ss.; X. XXXXXXXXXX, Un contratto per l’Europa, Prefazione ai Principi di diritto europeo dei contratti, parte I e II, ed. italiana a cura di X. Xxxxxxxxxx, Milano, 2001, XXVI; G.B. XXXXX, L’«invisibile» presenza della causa del contratto, in Eur. dir. priv., 2002, 897 ss.; X. XXXXXXXXX, Tramonto della causa del contratto, cit., 100 ss.; G.B. XXXXX, L’accordo sufficiente e la funzione del contratto, in X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, Manuale di diritto privato europeo, vol. II, Milano, 2007, 458 ss.; A. DI MAJO, I principi dei contratti commerciali internazionali dell’Unidroit, in Contratto e impresa/Europa, 1996, 292; X. XXXXX, La causa, in Il diritto europeo dei contratti d’impresa. Autonomia negoziale dei privati e regolazione del mercato, a cura di X. Xxxxxx, Xxxxxx, 0000, 195 ss.
000 X. XX XXXX, Xx xxxxx, in X. Xxxxx e G. De nova, Il contratto, t. I, in Trattato di diritto civile, diretto da X. Xxxxx, III ed., Torino, 2004, 782; A. ALBANESE, Prestazione gratuita, spirito di liberalità e vantaggi indesiderati (il problema degli scambi imposti), in Contr. e impr., 2007, 498; X. XXXXX, Il contratto. Problemi fondamentali trattati con il metodo comparativo e casistico, Milano, 1955, 77 ss.; P. BARCELLONA, Note critiche in tema di rapporti fra negozi e giusta causa dell’attribuzione, in Xxx. xxxx. xxx. xxxx. xxx., 0000, X, 00; X. XXXXXXXX, Liberalità e solidarietà. Contributo allo studio del volontariato, Padova, 1994, 52 ss.
156 X. XXXXXXXX, L’artificio della causa contractus, cit., 209 ss. ed ivi ampi riferimenti bibliografici.
Per contro, va dato conto di altro orientamento157 il quale non solo valorizza, ma riconduce alla causa aspetti che interessano l’esercizio dell’autonomia privata nella determinazione dei contenuti patrimoniali del contratto o meglio dell’operazione a cui esso inerisce158, «che comprende in sé il regolamento, tutti i comportamenti che con esso si collegano per il conseguimento dei risultati voluti e la situazione oggettiva nella quale il complesso delle regole e gli altri comportamenti si collocano» 159.
In questo senso, come si dirà anche nel prosieguo, la giurisprudenza finisce in concreto per sindacare l’equilibrio economico originario dello scambio proprio in riferimento alla causa: ad es., pur riconoscendo che il contratto di scambio che contempli un prezzo “irrisorio” – non meramente simbolico, non serio – non possa essere di per sé invalidato per mancanza di causa, ritiene che il profilo concernente l’adeguatezza e la corrispettività delle prestazioni afferisca «all’interpretazione della volontà dei contraenti e all’eventuale configurabilità di una causa diversa del contratto» 160. Il rapporto quantitativo tra le prestazioni,
157 Si veda U. BRECCIA, Morte e resurrezione della causa: la tutela, in Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, a cura di X. Xxxxxxxxx, Torino, 2002, 241 ss.
158 Su tale concetto si rinvia a X. XXXXXXXXX, Il contratto e l’operazione economica, in Riv. dir. civ., 2003, 103 ss.; X. XXXXXXX, Economie individuali e connessione contrattuale. Saggio sulla presupposizione, Milano, 1997, 207 ss.; X. XXXXXXX XXXXX XXXXX, Gratuità, liberalità e solidarietà. Contributo allo studio della prestazione non onerosa, Milano, 1998, 6-7.
000 X. XXXXXXXXX, Xx contratto e le sue classificazioni, in I contratti in generale, a cura di
X. Xxxxxxxxx, I, in Trattato dei contratti, diretto da X. Xxxxxxxx, XX xx., Xxxxxx, 0000, 49.
160 Cass. civ., 4 novembre 2015, n. 22567, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 4, 503, con nota di M. BARCELLONA, La causa del contratto e il “prezzo vile”: giudizio causale e trasparenza negoziale; in Giur. it., 2016, I, 835, con nota di X. XXXXXXX, Ancora in tema di nullità ed equilibrio contrattuale; in I Contratti, 2016, 559 ss. con
quindi, viene inserito nella struttura del contratto, bastando una sproporzione, anche soltanto sospetta, per consegnare l’atto di autonomia all’interprete affinché ne ridefinisca la sua identità strutturale161.
Della causa del contratto, quindi, v’è ragione di trattare quando è in discussione la sua giustificazione concreta, certamente ricostruita all’esito di un’indagine interpretativa condotta con coscienza ermeneutica, facendo luce su ciò che le parti hanno realmente voluto perseguire, sull’interesse che quel contratto è obiettivamente volto a realizzare162.
Ciò in quanto sempre e comunque la causa, in tutte le sue differenti rappresentazioni, è sempre stata considerata come un presidio predisposto dall’ordinamento al fine di consentire l’accesso alla dimensione del giuridicamente rilevante esclusivamente ad atti di volontà meritevoli di tutela 163.
nota di X. XXXX, Squilibrio iniziale tra le prestazioni e nullità del contratto. Si veda pure Cass. civ., 19 aprile 2013, n. 9640, in Foro it. mass., 2013, 322, in cui si precisa che «solo l’indicazione di un prezzo assolutamente privo di valore, meramente apparente e simbolico, può determinare la nullità della vendita per difetto di uno dei requisiti essenziali, mentre la pattuizione di un prezzo notevolmente inferiore al valore di mercato della cosa venduta, ma non del tutto privo di valore, pone un problema concernente l’adeguatezza e la corrispettività delle prestazioni ed afferisce, quindi, all’interpretazione della volontà dei contraenti e all’eventuale configurabilità di una causa diversa del contratto». Si veda, inoltre, U. XXXXXXX, Causa, cit., 10 ss.; X. XXXXXXXXXXXX, Problemi della causa e del tipo, cit., 143 ss.
161 A. DI MAJO, Causa del negozio giuridico, Enc. giur. Xxxxxxxx, XX, Xxxx, 0000, 8,, il quale rileva che «la nozione di causa, specialmente nel suo aspetto di causa di scambio appare indifferente e neutrale rispetto alla misura (dei termini) dello scambio».
162 X. XXXXXXX, Ermeneutica e dogmatica giuridica. Xxxxx, 1996, 39; C.M. BIANCA,
Causa concreta del contratto e diritto effettivo, in Riv. dir. civ., 2014, 267.
163 In tal senso depone innanzitutto la Relazione al Codice Civile del Guardasigilli (n. 603 ss.). Sul punto, è stato sottolineato che la causa <<è un modo per guardare
2. Causa in astratto e causa in concreto.
Il problema centrale in merito alla causa, quindi, è quello di individuare i parametri in base ai quali concedere o meno l’accesso degli atti di volontà alla dimensione del giuridicamente rilevante, in quanto meritevoli di tutela164.
Ferma restando, in linea di principio, la non commistione tra causa e motivi soggettivi 165, la contrapposizione si è sostanziata tra, da un lato, la tesi favorevole all’accoglimento della formula della “funzione economico-sociale”166, secondo la quale l’idoneità a produrre effetti giuridicamente rilevanti può essere riconosciuta solo agli atti di volontà che presentino assetti di interessi ed effetti preventivamente riconosciuti meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico o che rispondano quantomeno a tipi di operazioni economiche dotate per la
complessivamente al ruolo degli atti di privata autonomia (contratti e negozi) e al loro rapporto complessivo con gli interessi (individuali) delle parti e con l’ordinamento>>:
A. DI MAJO, Causa del negozio giuridico, cit., 2. Si veda anche, X. XXXXXXX, Il negozio giuridico, cit., p. 99 ss.
164 Si veda X. XXXXXXXX, Difetto di corrispettività e causa del contratto: le ragioni di una distinzione necessaria, in www.juscivile. it, 2016, 9, p. 335 ss.
165 Precisa però che <<se si ha riguardo alla funzione pratica che le parti hanno effettivamente assegnato al loro accordo, devono allora rilevare anche i ʽmotiviʼ, se questi (…) siano obiettivizzati nel contratto, divenendo interessi che il contratto è diretto a realizzare>>, C.M. XXXXXX, op. cit., p. 461. Riconosce nei condizionamenti derivanti da una rappresentazione in termini prevalentemente soggettivi della causa quale cause raisonnable dell’obbligazione oggetto del contratto la ragione della necessità di distinguere tra motivi soggettivi giuridicamente irrilevanti e interessi concretamente perseguiti dalle parti mediante l’accordo, viceversa rilevanti nella ricostruzione della causa del contratto, U. XXXXXXX, op. cit., p. 47 ss.
166 X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, in Trattato Vassalli, Utet, 1960, 170 ss.
loro diffusione di comprovato riconoscimento sociale167; e, dall’altro lato, la tesi della causa quale c.d. “funzione economico-individuale” dell’atto di volontà o sintesi degli interessi che concretamente il contratto è diretto a realizzare, così fungendo da strumento di accertamento che i privati, nel definire liberamente le modalità di realizzazione dei propri interessi, non abbiano oltrepassato la soglia invalicabile della liceità 168.
Il concetto di causa fatto proprio dal legislatore del 1942 è quello correlato alla c.d. funzione economico-sociale del contratto, quale sintesi degli effetti essenziali dello stesso.169
In tal senso, nell’ottica del codice civile del 1942, l’autonomia privata viene tutelata, solo laddove si estrinsechi in contratti ritenuti “socialmente apprezzabili”, in relazione alla loro funzione generale ed astratta.170
167 X. XXXXXXXX, Meritevolezza degli interessi ed equilibrio contrattuale, in Contr. e impr., 1987, p. 423 ss.
168 Lungi dall’essere “strumento e meccanismo di controllo dell’agire autonomo dei privati”, va considerata come <<oggetto di controllo, che consente di constatare, in concreto, l’esistenza e il grado di compatibilità tra quei valori che il negozio esprime e quelli, invece, espressi dall’ordinamento statuale>>: in tal senso, G.B. XXXXX, Il negozio giuridico, (voce), cit., 76-77; Id., Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Xxxxxxx, 1966, 249. Favorevoli alla “causa in concreto” quale “sintesi degli interessi che il contratto è diretto a realizzare”, C. M. XXXXXX, op. cit., 231 ss.; X. XXXXX, Il contratto, Xxxxxxx, 2001, 364.
169 X. XXXXX, Xxxxxx xxxerale del negozio giuridico, cit., 172 ss.; X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, cit., 128 s. Sulla causa come “sintesi degli effetti essenziali”, X. XXXXXXXXX, Precisazioni in tema di causa del negozio giuridico, cit., 75 ss.; G. DE NOVA, Il tipo contrattuale, Padova, 1974, 62.
170 La causa – intesa quale funzione economico-sociale – impedisce il ricorso al contratto per scopi futili e marginali e, nel contempo, prospetta una sorta di coincidenza della logica della volontà con la logica del mercato, imponendo allo scambio dei consensi il contestuale scambio in senso economico al fine di assicurare il controllo della razionalità mercantile (in tal senso, M. BARCELLONA, Della causa. Il contratto e la circolazione della ricchezza, cit., 155 s.).
La tesi della funzione economico-sociale dà evidentemente rilievo prioritario all’utilità sociale dell’operazione negoziale, finendo, quindi, per determinare, in linea di principio, una più marcata funzionalizzazione delle espressioni dell’autonomia privata al perseguimento di finalità pubbliche di volta in volta definite in conformità all’ordinamento vigente 171.
La causa nell’ottica della funzione economico-individuale o causa concreta è, invece, strumentale a garantire il più efficace coordinamento tra il trattamento giuridico dell’atto, anche e soprattutto in chiave rimediale 172, e quanto realmente voluto dalle parti.173
171 Al riguardo, si rinvia a G. B. XXXXX, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit., 254 e ss.; ma anche X. XXXXX, op. cit., 365; C.M. XXXXXX, op. cit., 459. D’altronde, l’utilizzo da parte della giurisprudenza, della formula della funzione economico- sociale del contratto per definire il requisito essenziale della causa è risultato per lo più di stile e formale: si veda, tra le altre, Cass., 4 aprile 2003, n. 5324; Cass., 17 gennaio 2007, n. 987; Cass., 13 febbraio 2009, n. 3646. Tra gli altri, esprimono tale opinione, U. XXXXXXX, op. cit., 19 ss.; X. XXXXXX, La causa del contratto, in X. Xxxxxx (a cura di), Il diritto privato nella giurisprudenza, Utet, 2000, pp. 4-5, essendo normalmente richiesta la necessaria verifica della corrispondenza alla reale volontà dei contraenti dello schema causale di volta in volta astrattamente individuato.
172 X. XXXXXXXXXXXX, Problemi della causa e del tipo, in Trattato del Contratto diretto da X. Xxxxx, XX, Xxxxxxx, 0000, 00.
173 La prima e più importante affermazione giurisprudenziale della c.d. causa concreta è data dalla decisione di Xxxx. civ., 8 maggio 2006, n. 10490, in Giust. civ., 2007, 9, I, 1985; nonché in Corr. giur., 2016, 921 ss., con note ex multis di: X. XXXXX, Clau-sole claims made fra meritevolezza e abuso secondo le Sezioni Unite, ivi, 927 ss.; X. XXXXXXX, La clausola claims made al vaglio delle sezioni unite: un’analisi a tutto campo, in Banca, borsa tit. cred., 2016, II, 656 ss.; X. XXXXXXX, La meritevolezza della clausola claims made al vaglio delle Sezioni unite, in Danno resp., 2016, 935 ss.;
X. XXXXXXXXX, Le sezioni unite sulla clausola claims made: a capofitto nella tempesta perfetta, X. XXXXXXXX, Xxxxxxx claims made: bandito il controllo di vessatorietà ex art. 1341 c.c., e X. XXXXXXX, Le clausole claims made al vaglio delle sezioni unite: gran finale di stagione o prodromo di una nuova serie?, in Foro it., 2016, I, rispettivamente cc. 2026 ss., 2032 ss. e 2036 ss.
Secondo la sentenza, <<la causa, quale elemento essenziale del contratto, va intesa non come funzione economico-sociale, ma come funzione economico-individuale. Pertanto anche nel caso di contratto legalmente tipico (nella specie, contratto d'opera), è necessario verificare in concreto la sintesi degli interessi reali che il contratto è diretto a realizzare al di là del modello - anche tipico - adoperato, fermo restando che
Il principale limite della rappresentazione della causa negoziale in termini di funzione economico-sociale è stato da più parti evidenziato nella sostanziale assimilazione tra il concetto di causa ed il concetto di tipo contrattuale 174, riducendo così inammissibilmente l’ambito operativo dell’autodeterminazione negoziale dei privati alla riproduzione degli schemi contrattuali nominati dal Codice Civile175 e limitando di fatto la portata dei precetti di cui agli artt. 1325, n. 2 e 1343 c.c. ai soli contratti atipici.176
Anche per tale ragione177, quindi, si è affermata nel tempo una nozione di causa contrattuale sempre più incentrata sull’accertamento della reale
detta sintesi costituisce la ragione concreta della dinamica contrattuale e non anche della volontà delle parti>>. La Corte, quindi, ha dichiarato nullo un contratto di consulenza per difetto di causa in concreto, in quanto diretto ad assicurare prestazioni già dovute dal secondo in adempimento dei propri doveri di amministratore e a tale titolo integralmente remunerate. Per la prima volta le Cassazione definisce la causa come "sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare".
La giurisprudenza successiva si è sostanzialmente adeguata alla nuova impostazione.
174 G.B. XXXXX, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit., 246 ss.; X. XXXXX, op. cit., 579.
175 X. XXXXXX, op. cit., p. 2
176 In realtà, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza 11 gennaio 1973,
n. 63, hanno affermato che <<la causa come funzione economico sociale del negozio, va intesa, nei contratti tipici come funzione concreta obiettiva, che corrisponde ad una delle funzioni tipiche ed astratte determinate dalla legge. Pertanto, anche nei contratti tipici, avendo riguardo a detta funzione concreta è concepibile una causa illecita, che si ha quando le parti, con l’uso di uno schema negoziale tipico, abbiano direttamente perseguito uno scopo contrario ai principi giuridici ed etici fondamentali dell’ordinamento>>. In tal senso, quindi, la norma chiave per l’illiceità del contratto, sotto il profilo della causa, non era direttamente l’art. 1343 c.c. quest’ultima norma operando per il tramite dell’istituto del “contratto in frode alla legge” ex art. 1344 c.c. In forza di detta norma, infatti, <<si reputa altresì illecita la causa quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l’applicazione della norma imperativa>>, come nel caso di vendita con patto di riscatto o di retrovendita stipulata al fine di aggirare il divieto di cui all’art. 2744 c.c. (che commina la nullità al patto col quale si conviene che in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore>>.
177 Xxx si associa anche il fatto che mentre la teoria della causa astratta era conseguenza della ideologia dirigistica dell’epoca dell’entrata in vigore del codice civile, con l'avvento della Costituzione, la concezione della causa quale strumento per imporre all'autonomia negoziale il perseguimento di interessi sovraindividuali è
volontà e dei reali interessi perseguiti dalle parti178, ovvero la tipologia di operazione negoziale effettivamente voluta dalle parti.179
In tal modo, si viene ad individuare lo specifico assetto di interessi individuali di volta in volta esteriorizzato dalle parti quale effettiva giustificazione dello scambio negoziale concordato, il giudizio causale potendo essere valorizzato, sotto il profilo funzionale, per la ricerca di una qualche ragione utilitaria che attesti la coerenza dell’operazione economica dedotta in contratto alla logica mercantile.180
L’applicazione della nuova concezione valorizza il compito in capo al giudice di valutare nel complesso l’intera operazione perseguita dalle parti, tenendo conto, cioè, di tutte le pattuizioni, per comprendere se, in concreto, in tutto o in parte l’accordo negoziale, per come in concreto predisposto e a prescindere o meno dalla sua riconducibilità integrale o meno ad un determinato “tipo” contrattuale, manifesti elementi di contrarietà alla legge, ordine pubblico e buon costume.181
divenuta manifestamente incompatibile con la libertà di iniziativa economica privata, le, cui esplicazioni sono tutelate dall'ordinamento purché non siano socialmente dannose.
178 Si assiste, quindi, ad un significativo mutamento di paradigma: N. IRTI, La crisi della fattispecie, cit., 43, riconduce la prospettazione della causa (non come funzione oggettiva e tipica, ma) come funzione individuale e concreta al fenomeno caratterizzato dalla mancata esposizione al giudice di eventi riducibili a casi, «stati di fatto contrari al diritto» e perciò destinati al confronto con stati di fatto previsti dal diritto, in favore della rappresentazione di «operazioni economiche», posizioni esistenziali (il nascere e il morire), intrecci o grovigli di interessi e bisogni e attese.
179 G.B. XXXXX, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit., p. 245; C.M. XXXXXX, op. cit., p. 452 ss.
180 M. BARCELLONA, op. cit., p. 143 ss.; X. XXXXXXXXX, La distinzione tra meritevolezza e liceità del contratto atipico, in Contr. e Impr., 2004, 552.
181 Ferma restando, comunque, la distinzione tra causa e motivi, la prima essendo la specifica, o concreta ragione dell'operazione, ossia l'elemento funzionale del contratto nella sua dimensione complessiva ed oggettiva; i motivi, invece, essendo gli interessi individuali che spingono il singolo contraente a concludere il contratto, ma che non
A ciò si è associato, come si dirà nel successivo capitolo, uno sviluppo delle clausole generali quali il principio di buona fede in relazione all’art. 2 Cost., tanto con riguardo al concetto di “legge”, in ragione della ritenuta immediata applicabilità delle norme costituzionali nei rapporti tra privati, quanto valorizzando il concetto di “ordine pubblico”.
La tesi della causa concreta, quindi, porta con sé l’effetto di poter accertare un vizio di illiceità o mancanza di causa ex art. 1418 c.c. anche per i contratti tipici e valorizza le fattispecie di contratti misti e collegamento negoziale.
A ciò, poi, si associa un rinnovato approccio al c.d. giudizio di xxxxxxxxxxxxx, ex art. 1322, comma 2 c.c., non più limitato ai soli contratti atipici.182
La causa concreta oggi costituisce, quindi, uno strumento imprescindibile per la concreta operatività dei principi costituzionali nella disciplina dei contratti, garantendo, così, l’effettiva funzionalizzazione del contratto alla Costituzione.
Ciò, è stato sottolineato, assume connotati ironici, considerando che un orientamento dottrinale - quello alla base della teoria della causa concreta del contratto - originato dalla contestazione della funzionalizzazione del contratto si è trasformato nello strumento che
rientrano nel contenuto di quest'ultimo; sono quindi le ragioni soggettive perseguite dai contraenti.
182 Cass. civ., 17 marzo 2015, n. 5216, in Giust. civ. mass., 2015. Il giudizio di immeritevolezza esprimerebbe sia l’accertata inidoneità del contratto a conseguire il risultato voluto dalle parti, sia un generale disvalore dell’ordinamento.
consente alla giurisprudenza di assicurare la funzionalizzazione stessa alla Costituzione.183
Da un lato, infatti, il riconoscimento giurisprudenziale del valore normativo dei principi espone la disciplina del contratto alla Costituzione anche mediante il controllo – demandato essenzialmente alla funzione giurisdizionale – sulla conformità dell’esercizio del potere di autonomia privata ai principi costituzionali, mettendo in discussione l’esclusiva ascrivibilità ai dispositivi introdotti con la legge ordinaria del bilanciamento con gli interessi in senso ampio sociali protetti dalla Costituzione. Dall’altro, la c.d. crisi della fattispecie184 sollecita la prospettazione della causa (non come funzione oggettiva e tipica, ma) come funzione individuale e concreta, giacché la sottoposizione al giudice attiene alla rappresentazione di «operazioni economiche», intrecci o grovigli di interessi e bisogni e attese e non di casi sempre riconducibili ad una fattispecie normativa.185
La causa “concreta” impone di valutare l’interesse in concreto con riguardo ad una specifica operazione contrattuale.
Tale interesse, tuttavia, non può essere oggetto di conoscenza razionale a prescindere dalla ricognizione degli effetti giuridici del contratto,
183 X. XXXXXXXX, La causa del contratto tra «regole» e «princípi», in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 11.
184 Si vedano, in particolare, X. XXXX, La crisi della fattispecie, in Riv. dir. proc., 2014,
p. 36 ss.; ID., Un diritto incalcolabile, in Riv. dir. civ., 2015, p. 11 ss.; ID., Nómos e lex (Stato di diritto come Stato della legge), ivi, 2016, 589 ss.; ID., Sulla “positività ermeneutica” (per Xxxxxxxx Xxxxxxx), ivi, 2016, 923 ss.; X. XXXXXXXXX, Fattispecie e altre figure di certezza, in Riv. trim. dir. civ., 2015, 110 ss.; X. XXXXXXX, Valori, principi, fattispecie, in xxxxxxxxx.xx, 2015, 12, 720 ss.
185 X. XXXX, La crisi della fattispecie, cit., 43.
giacché esso non si regge da solo, ma relativizza gli effetti giuridici del concreto negozio186 oggetto della valutazione, dunque, non sono soltanto gli interessi dedotti dai contraenti, ma il concreto significato degli effetti giuridici come relativizzato dagli interessi perseguiti dalle parti.187
La causa concreta costituisce, quindi, il mezzo per la verifica della conformità del contratto ai principi fondamentali racchiusi nella Costituzione.
3. Il problema della meritevolezza.188
Ai sensi dell’art. 1322 c.c., le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge e dalle norme
186 X. XXXXXXXXXXX E X. XXXXXXXX, Causa, cit., 488 ss.
187 Ha sottolineato il pericolo che la causa possa assumere il ruolo di un escamotage pratico che il giudice riscopre ed utilizza ad libitum per riportare l’equità nel caso concreto, X. XXXXXXXX, L’artificio della causa contractus, Padova, 2012, 139.
188 Al riguardo, nell’ambito di un’amplissima letteratura si rinvia a G.B. XXXXX, Meritevolezza dell’interesse e utilità sociale, in Riv. dir. comm., 1971, I, 81 ss.; ID., Ancóra in tema di meritevolezza dell’interesse, ivi, 1979, I, 1 ss.; ID., Tipicità negoziale e interessi meritevoli di tutela nel contratto di utilizzazione di cassette di sicurezza, ivi, 1988, I, 339 ss.; X. XXXXXXX, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi, in Riv. dir. civ., 1978, I, 52 ss.; X. XXXXXXXX, Regole del mercato e congruità dello scambio contrattuale, in Contr. impr., 1985, 309 ss.; X. XXXXXXX, I problemi di legittimità e disciplina dei negozi atipici, in Riv. dir. civ., 1987, I, 485 ss.; X. XXXXXXXX, Meritevolezza degli interessi ed equilibrio contrattuale, in Contr. impr., 1987, 431; X. XXXXXXXX, Meritevolezza dell’interesse, in Dig. disc. priv., Sez. civ., XI, Torino, 1994, 324 ss.; U. BRECCIA, Interessi non meritevoli di tutela, in X. Xxxx, U. Breccia e X. Xxxxxxx, Il contratto in generale, III, in Tratt. dir. priv. Bessone, Torino, 1999, 89 ss.; X. XXXXXXXXX, L’autonomia contrattuale e il suo statuto. Una rilettura dell’art. 1322 cod. civ., in X. Xxxxxxxxx e X. Xxxxxxxx (a cura di), Confini attuali dell’autonomia privata, Padova, 2001, 125 ss.; X. XXXXXXXXX, La distinzione tra meritevolezza e liceità del contratto atipico, in Contr. impr., 2004, 545 ss.; X. XX XXXXXX (a cura di), Illiceità, immeritevolezza, nullità. Aspetti problematici dell’invalidità contrattuale, Napoli, 2004, 121 ss.
corporative. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purche' siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico.
La norma attribuisce ai privati la libertà di predisporre schemi nuovi e originali purchè funzionalizzati al perseguimento di interessi che presentino una certa utilità sociale: anche il contratto atipico, deve cioè perseguire, nell’ottica del codice del 1942, una funzione sociale utile, in quanto assimilabile a quelle legislativamente tipizzate; ciò sempre nell’ottica dirigistica dell’epoca da cui discende una libertà negoziale privata “controllata”.
Da tale impostazione, quindi deriva, da un lato, una forte limitazione all'autonomia negoziale delle parti e, dall'altro lato, che la ragione dell'operazione viene scrutata per risolvere il problema della qualificazione.
Eloquente è la recente affermazione189 in forza della quale
«[l]’immeritevolezza discenderà invece dalla contrarietà (non del patto, ma) del risultato che il patto atipico intende perseguire con i principi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati. Il giudizio di immeritevolezza, in definitiva, non costituisce che una parafrasi moderna del secolare
189 Cass. civ., 28 aprile 2017, n. 10506, in Contratti, 2017, 383 ss., con nota critica di
X. XXXXXXXXX, La clausola claims made e le sue alterne vicende nella giurisprudenza di legittimità, ivi, 387 ss.
ammonimento di Xxxxx nei Libri LXII ad edictum, ovvero non omne quod licet, honestum est (Dig., 50, XVII, 144)».
La Corte di Cassazione, in questo senso, ha escluso la meritevolezza di tutela della clausola, inserita in una concessione di derivazione di acque pubbliche, che impone al concessionario il pagamento del canone anche nel caso di mancata fruizione della derivazione per fatto imputabile alla
p.a. concedente, per contrarietà al principio di cui all’art. 41, comma 2, cost.190; della clausola, inserita in un mutuo di scopo per l’acquisto di un bene materiale, che obbliga il mutuante al pagamento delle rate anche nel caso di mancata consegna del bene da parte del venditore191; della clausola contrattuale che vieta al conduttore di ospitare stabilmente persone non appartenenti al suo nucleo familiare, in quanto contrastante coi doveri di solidarietà192; della clausola claims made inserita nel contratto di assicurazione stipulato193. Del pari immeritevole è stato considerato il contratto finanziario che addossa alla banca vantaggi certi e garantiti ed al risparmiatore non garantisce alcuna certa prospettiva di lucro (è la nota vicenda del contratto “Myway”, sulla quale si tornerà in seguito, che prevede l’acquisto di prodotti finanziari, emessi da una banca, mediante un mutuo erogato dalla stessa banca, e poi costituiti in pegno a garanzia del mancato rimborso del
190 Cass. civ., Sez. un., 17 febbraio 2017, n. 4222, in Foro it., 2017, 6 con nota di
FERRARA.
191 Cass., 19 luglio 2012, n. 12454, in Giust. civ. mass., 2012, 7-8, 929 ss.
192 Cass., 19 giugno 2009, n. 14343, in Il civilista, 2010, 11, 60. In maniera conforme
Cass., 8 febbraio 2013, n. 3080, in Giust. civ. mass., 2013.
193 Cass. civ., Sez. Un., 6 maggio 2016, n. 9140, cit., alla nota n. 170 che precede. Sul punto si tornerà in seguito.
finanziamento194; il contratto atipico stipulato tra farmacisti, in virtù del quale gli aderenti si obbligavano a non aprire al pubblico il proprio esercizio commerciale nel giorno di sabato, in quanto contrastante con la «effettiva realizzazione di un assetto concorrenziale del mercato»)195; il contratto fiduciario in virtù del quale ad una banca, presso cui il cliente aveva depositato somme di denaro su un libretto di xxxxxxxxx e aveva aperto un conto corrente, di compensare l’attivo del primo con il passivo del secondo196; il patto parasociale in virtù del quale i soci firmatari si obbligano, in occasione delle deliberazioni assembleari di nomina degli amministratori e dei sindaci, a votare in conformità alle indicazioni formulate da uno di essi197.
Le predette decisioni consentono di affermare che la giurisprudenza reputa immeritevoli, ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c., contratti o patti contrattuali che, ancorché formalmente rispettosi della legge, hanno quale scopo o effetto l’attribuzione, ad una delle parti, di un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita reale per l’altra; l’attribuzione ad una delle parti di una posizione di indeterminata soggezione rispetto all’altra; la sollecitazione di una delle parti al compimento di condotte contrastanti con i superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti.
194 Si vedano, tra le altre, Cass. civ., 10 novembre 2015, n. 22950, in Giust. civ. mass., 2015; Cass., 30 settembre 2015, n. 19559, in Giust. civ. mass., 2015.
195 Cass. civ., 8 febbraio 2013, n. 3080, cit..
196 Cass. civ., 19 febbraio 2000, n. 1898, in Giust. civ., 2001, I, 2481.
197 Cass. civ., 20 settembre 1995, n. 9975, in Giur. it. 1996, I, 1, 164 con nota di X. XXXXXXX.
L’orientamento giurisprudenziale in esame sanziona il contratto atipico non meritevole di tutela ex art. 1322, comma 2, c.c., con l’inefficacia, anziché la nullità, là dove il contratto tipico con clausola atipica non meritevole di tutela è esposto alla nullità della clausola con la conseguente possibilità di sostituzione automatica ex art. 1339 c.c. Fermo restando l’evidente fragilità della separazione tra contratto atipico e contratto tipico con clausola atipica, anche in ragione del carattere meramente descrittivo della distinzione tra tipicità e atipicità198, il ricorso al controllo di meritevolezza e alla conseguente sanzione di inefficacia mascherano il riconoscimento del valore normativo dei principi generali e l’elevazione dei medesimi a parametro della liceità ovvero della meritevolezza di tutela e della conseguente nullità ex art. 1343, ovvero ex art. 1418, comma 1, c.c. derivante dalla violazione di norma imperativa (art. 1322, comma 2, c.c.), nonché della rilevabilità di ufficio.
Le norme giuridiche indicate come principi ora possono configurare una norma imperativa, ora sono suscettibili di inclusione nell’ordine pubblico, ora possono fondare l’argomentazione a sostegno dell’interpretazione tradizionalmente indicata come applicazione
198 X. XXXXXXXXXXX, In tema di tipicità e atipicità dei contratti, in ID., Il diritto dei contratti fra persona e mercato. Problemi del diritto civile, Napoli, 2003, 389 ss.; X. XXXXXXXX, Tipicità e atipicità dei contratti, cit., 165 ss. In questo superamento si rivela «utile» la ragionevolezza: in tal senso, cfr. X. XXXXXXXXXXX, Sul criterio della ragionevolezza, in Xxxxxx XXXXxX, 2017, 1, 55; ID., Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, Napoli, 2015, 91 ss.; ID., La scelta della disciplina applicabile ai c.dd. «vitalizi impropri». Riflessioni in tema di aleatorietà della rendita vitalizia e di tipicità e atipicità nei contratti, in Rass. dir. civ., 2015, 529 ss.
analogica, ora permettono l’individuazione della norma ricollegabile ad una disposizione normativa suscettibile di una pluralità di interpretazioni.199
La concezione di causa accolta dalla giurisprudenza di legittimità incide, innanzitutto sull'ambito di applicazione del giudizio di meritevolezza ex art. 1322, co. 2, c.c.
Più in generale, si può affermare che la nuova nozione di causa è potenzialmente idonea a determinare un significativo ampliamento del sindacato del giudice, chiamato ad interpretare il contratto. Infatti, una, volta identificata la causa con lo scopo in concreto perseguitò dalle parti, è evidente che il controllo sulla meritevolezza, letteralmente riferito ai soli contratti atipici, dovrà essere svolto in modo identico anche sui contratti nominati, posto che anche per questi la causa non è fissata dalla legge, ma va indagata in concreto in relazione agli interessi perseguiti.
Una volta acquisito, quindi, che anche i negozi tipici presentano, una causa concreta variabile, ne consegue che il giudice sottopone negozi tipici ed atipici ad un medesimo controllo causale.
4. La causa di solidarietà.
199 Su tali questioni si veda, in particolare, X. XXXXXXXXXX, Integrazione e correzione del contratto: tra regole e principi, in X. Xxxxx, Correzione e integrazione del contratto, Bologna, 2016, 5 ss.
L’evoluzione interpretativa dell’approccio al fattore causale in considerazione sia della c.d. causa in concreto, sia della rilevanza sempre maggiore riconosciuta ai valori e principi espressi in Costituzione, tali da incidere in senso non solo “verticale”, ma anche orizzontale nei rapporti tra le parti, con particolare riguardo al c.d. spirito di solidarietà200, ha condotto sia parte della dottrina201 che in alcuni casi anche la giurisprudenza, anche sulla scorta di indici di diritto positivo puntuali202, a superare la tradizione classificazione, sotto il profilo causale, del contratto tra onerosi, liberali e gratuiti questi ultimi in quanto connotati da un necessario interesse patrimoniale, per addivenire ad una compiuta valorizzazione della c.d. causa solidaristica. Non essendo lo spirito di liberalità un dato obbiettivo, ma relativo a colui che effettua il trasferimento a titolo gratuito, esso va desunto dalla concreta situazione in cui ha operato il donante; in particolare, dal fine che ha guidato il donante è possibile «ricavare se l’attribuzione patrimoniale è stata dettata da “spirito di liberalità” o se è dovuta ad altri fatti o circostanze che lo escludono. Ne deriva che detto requisito viene meno, e resta solo un atto a titolo gratuito, nei casi in cui la parte
200 Nei rapporti contrattuali tale valore opera, in particolare, per il tramite delle clausole generali, specialmente di quella di buona fede; la quale permea non soltanto la fase di formazione, conclusione ed esecuzione del contratto, istituendo dei precisi obblighi di condotta in capo alle parti, ma pure il procedimento di interpretazione dello stesso incidendo, in tal modo, sulla definizione di tutti i suoi significati, ivi compreso quello causale.
201 Si veda ampiamente sia per la ricostruzione del problema, che per i riferimenti giurisprudenziali e dottrinali, anche in relazione a quanto verrà esposto sul punto, X. XXXXXXXXXX, Per un’<<ermeneutica del concetto di causa>>: solidarietà orizzontale e contratto, in juscivile, 2016, 507 ss.
202 Si pensi ai c.d. atti di disposizione patrimoniale ex art. 2745 ter c.c.
si sia indotta all’atto non spontaneamente (nullo iure cogente, largamente inteso), ma per un motivo o per una finalità che sia obbiettivamente accertabile e non irrilevante per il diritto».203
Occorre, pertanto, che la gratuità dell’atto, non ancorata allo spirito di liberalità e non finalizzata all’arricchimento del beneficiario, conosca un presupposto e un senso oggettivamente verificabili e meritevoli di tutela per l’ordinamento.
L’atto che genera il rapporto si colloca, dunque, in uno spazio autonomo sia rispetto agli atti donativi, che a quelli onerosi: è lo spazio, in continua espansione, in cui si sistemano e sistematizzano quei sacrifici patrimoniali che consumano la loro ragione giustificatrice in ciò «che inevitabilmente connota il vincolo della doverosità giuridica» (spirito di solidarietà) «intesa, senza riferimento al contenuto di un atto, come relazione necessaria che lega fra di loro i cittadini, assunti sia nella puntualità di un momento storico che nella proiezione temporale dell’ordinamento»204.
Si tratta di fattispecie nelle quali non è ravvisabile la funzione tipica della donazione né il presupposto soggettivo della medesima, lo spirito di liberalità205: il soggetto che si sottopone al sacrificio patrimoniale non lo fa all’unico scopo di arricchire l’altra parte, ma si determina per
203 Cass. civ., 10 gennaio 1973, n. 37, in Foro amm., 1973, I, 289 ss. .
204 X. XXXXXX, «Spirito di liberalità» e «spirito di solidarietà», in Riv. trim. di dir. e proc. civ., 1997, 10.
000 X. XXXXX, Xx contratto. Problemi fondamentali trattati con il metodo comparativo e casistico, I, Lineamenti generali, Milano, 1954, 99, il quale ritiene che chi dà per un interesse, anche di carattere religioso, politico, culturale, sportivo «compie atti moralmente e socialmente diversi dal puro spirito di liberalità».
una finalità solidaristica – di natura familiare, sociale, religiosa, ecc. – sul presupposto di interessi/valori della stessa natura, i quali conformano il suo sistema di vita 206.
L’individuazione di tale «ragione pratica», irriducibile alla sola expressio causae 207, non potrà che avvenire all’esito dell’interpretazione dell’atto condotta con approccio ermeneutico 208, particolarmente attento allo specifico contesto sociale e relazionale in cui esso ha preso origine 209.
Quanto all’interesse che il debitore intende realizzare assumendosi liberamente il sacrificio patrimoniale, l’indagine deve svolgersi procedendo da quanto prescrive l’art. 1322 c.c.210; il quale pone come unico limite al potere creativo dell’autonomia contrattuale la
«realizzazione di interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico»211, rinviando così ad un definito spazio normativo di
206 X. XXXX, Adempimento e liberalità, Xxxxxxx, Milano, 1947, 264 ss.
207 C.M. XXXXXX, Causa concreta del contratto e diritto effettivo, cit., 250; ID., Diritto civile, 3, Il contratto, cit., 494, il quale definisce la causa come «la ragione pratica del contratto, cioè l’interesse che l’operazione è diretta a soddisfare»
208 X. XXXXXXXX, L’artificio della causa contractus, Padova, Cedam, 2012, 107, la quale osserva che il giudizio sulla causa deve atteggiarsi come «ricerca ermeneutico- ricostruttiva che porta ad individuare in concreto il programma economico e l’assetto di interessi che l’atto mira a realizzare, seguita poi dalla verifica, sulla base delle circostanze in cui l’atto si colloca, che tale programma non sia a priori irrealizzabile». Si veda anche X. XXXXXXX, Riflessioni su dogmatica e autonomia privata: il concetto di causa del contratto, in Ragionare per decidere, a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxxxx, Torino, 2015, 61 ss.
209 X. XXXXX, Il rilancio della causa del contratto: la causa concreta, Contr. e impr., 2007, 2, 446.
210 X. XXXX, La liberalità, in Studi di diritto privato, Collana diretta da F. D. Busnelli
– X. Xxxxx – X. Xxxxxxx – X. Xxxxx, Xxxxxx, X, 0000, 367.
211 Cass. civ., 28 gennaio 2002, n. 982, in Giur. it., 2002, 1836, con nota di X. XXXXXXXX, La ripartizione dell’onere probatorio nelle azioni di adempimento, risoluzione e risarcimento di danno per inadempimento contrattuale dopo sez. un. n.