UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE, XXXXXXXXXX ESTUDI INTERNAZIONALI
Corso di laurea Triennale in Diritto dell’Economia
TITOLO TESI
RICERCHE SUL CONTRATTO: EVOLUZIONE STORICA E PROFILI COMPARATISTICI
Relatore: Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxx
Laureando: Xxxxxx Xxxxxxxx
Matricola 1220240
A.A. 2022/2023
Alla Mia Famiglia, Uniti per Sempre
Indice Sommario
I FONDAMENTI ROMANISTICI DEL CONTRATTO 3
1. Contratto e negozio giuridico 3
2. Nozione di contratto secondo i ‘prudentes’. 6
3. Contenuto quadripartizione giustiniana 9
MODELLO CONTRATTUALE NEI VARI ORDINAMENTI 13
2.Modello germanico e il codice austriaco 16
3.Modello contrattuale nel ‘common law’ 19
4. Cause di invalidità del contratto nel ‘common law’ 22
CONTRATTO NEL CODICE CIVILE 26
1. Nozione di contratto ed elementi essenziali 26
2. Autonomia contrattuale ed efficacia del contratto 29
3. Contratto valido e contratto invalido 32
4.Scioglimento del contratto 36
Introduzione
Il lavoro di ricerca svolto in questa tesi intitolata ha lo scopo di analizzare il percorso storico del contratto, partendo dalle fonti del diritto romano e arrivando poi a confrontare la materia contrattualistica con i vari profili comparatistici.
Nel primo capitolo, ricavando le nozioni dalle fonti romanistiche, viene analizzata il lemma ‘contratto’ e il significato che essa può assumere. Successivamente, viene approfondita la materia contrattuale contenuta nelle fonti principali e analizzata l’evoluzione storica della materia contrattuale partendo dalla bipartizione di Gaio, sì da pervenire infine alla quadripartizione giustinianea.
Nel secondo capitolo viene presentata un’evoluzione storica, analizzando in ordine cronologico la materia contrattualistica contenuta nei principali codici, vale a dire il codice napoleonico, con la definizione di contratto e le riforme applicate alla normativa contrattuale; il modello germanico, con i suoi principi e le riforme applicate. Successivamente, avviene uno spostamento negli ordinamenti di common law, dove il contratto non è oggetto di una specifica ed univoca definizione, ma bisogna distinguere i casi in cui si impiega di questo termine.
Nel terzo capitolo, quello conclusivo, viene analizzata la materia contrattuale facendo riferimento alla normativa più recente, studiando quindi la nozione di contratto nel codice civile, le varie tipologie, gli elementi essenziali, le cause di invalidità, la rescissione e risoluzione del contratto.
Infine, per poter concludere lo studio, viene effettuata nell’epilogo una comparazione tra i paesi di common law e civil law, per analizzare le differenze della materia contrattuale tra i due ordinamenti.
I FONDAMENTI ROMANISTICI DEL CONTRATTO
SOMMARIO: 1. Contratto e negozio giuridico. – 2. Nozione di contratto secondo gli storici.
– 3. Contenuto quadripartizione giustiniana.
1. Contratto e negozio giuridico.
Parlare di contratto per l’ordinamento giuridico romano visto nella sua evoluzione dall’età repubblicana a quella giustinianea implica anzitutto l’individuazione, del termine al quale si vuole fare riferimento, in assenza nelle fonti latine di una terminologia uniforme, in particolare sul piano tecnico1. Nel diritto moderno, e già nel diritto romano giustinianeo, il contratto può essere definito come accordo di due o più persone diretto a costituire un rapporto obbligatorio dalla legge riconosciuto. Nel diritto romano antico e classico invece il contratto non presuppone necessariamente accordo, conventio, ma esprime il vincolo che lega le parti. Il ius commune (databile dall’XI al XVIII secolo) riveste una rilevante importanza nella formazione storica del diritto contrattuale. Esso riscopre, da un punto di vista filologico, le fonti giustinianee (Corpus Iuris Civilis) con l’intento di ritrovare principia et radices a cui ancorare l’interpretazione del diritto.
Per ius civile non era sufficiente l’accordo delle parti per far sorgere un contratto, ma erano necessari altri requisiti, a differenza del ius gentium il quale faceva sorgere l’obbligazione contrattuale esclusivamente con il consenso delle parti. Nel diritto Giustinianeo il concetto di contratto si allargò fino a ricomprendere rapporti analoghi a quelli contrattuali ma respinse tutte le fonti di obbligazioni non riconducibili ad un accordo di volontà. Grazie a questo è stato possibile considerare l’accordo tra le parti come requisito essenziale per la conclusione di qualunque contratto.
Il termine ‘contratto’ deriva dal latino contractus, termine che alle origini del diritto
1 Sull’uso linguistico di contrahere, contractum, contractus v., per tutti, P. VOCI, La dottrina del contratto, Milano, 1946, 11; G GROSSO, Il sistema romano dei contratti, Torino, 1963, 29 ss.
xxxxxx indicava l’atto lecito che è fonte di obbligazione, in contrapposizione al
rapporto obbligatorio da atto illecito (delictum).
Il termine contratto ha origini anche nella forma verbale ‘contrahere’, il quale ha
un’ampia estensione, principalmente assume questi significati:
1. Indica la conclusione degli sponsali e del matrimonio
2. Indica la commissione di un illecito crimen
3. Indica la commissione di un illecito non penale (negotorium gestio)
4. Allude alla costituzione di un rapporto obbligatorio, la cui fonte sia un atto lecito2.
Gli studi presi in esame dimostrano che la determinazione del concetto del contractus presenti incertezze. Per noi oggi contratto significa senz’altro accordo volto alla costituzione di rapporti giuridici. Ma, come ben è stato osservato, il termine contrarre nel linguaggio comune conserva un diverso significato, analogo al contrahere latino (In rapporto al significato di contratto inteso come accordo si è forgiato nella nostra lingua il verbo contrarre). ‘Nel contrahere, almeno per l’eccezione che si riflette sull’obbligazione non entra tanto il concetto di consenso quanto quello del vincolo, del rapporto che si pone in atto’3. Il verbo contrahere rappresenta il concetto dello stringere, restringere, e quindi anche raccogliere, riunire, che rappresenta il nucleo fondamentale da cui si diffondono i vari usi della parola. Da qui quindi possiamo utilizzarlo nei rapporti umani e così anche nel linguaggio giuridico. Da questi rilievi emerge il valore che ha l’ampio uso del contrahere con riguardo ad atti, fatti e rapporti che importano la sensazione di conseguenze giuridiche, per altro verso risalta bene le possibilità di un ampio e generico uso del termine nel campo dell’obbligazione, con riferimento al vincolo che ne è il risultato.
Analizzando il significato di negozio giuridico, ovvero un altro termine riguardante la materia contrattuale, quest’ultimo può essere definito come quell’atto giuridico lecito i cui effetti sono liberamente determinabili dalle parti, in conformità alla volontà espressa ed alla causa, cioè al fine economico-sociale che l’atto è
2 F. XXXXXXXX, L’origine del contratto consensuale di compravendita nel diritto romano, Milano, 1946, 20 ss.
3 G. GROSSO, Il sistema, cit., 32.
obiettivamente capace di raggiungere. In merito al concetto di negozio giuridico, il diritto romano non elaborò una teoria generale. Questo termine ha meno rilevanza del termine contrahere, ma viene utilizzato spesso perché i contratti vengono chiamati ‘negotia’, sia perché autori sostengono che contractus valga come negotium, e che negotium contrahere significhi concludere un contratto. Alla base del concetto del contractus sta dunque quello del negotium. Questo termine viene utilizzato con significati diversi, dal significato economico di ‘affari’ in senso generico, alla designazione dello stesso negozio, con riferimento generico o ai singoli negozi giuridici, a quella di un commercio, o particolari negozi commerciali. Nel riferimento a negozi giuridici, in particolare si può dire che negotium, inteso come affare, sottolinea specificamente l’elemento obiettivo sostanziale, il lato economico e l’effetto che ne nasce. Risulta anche chiaro come sulla base del concetto più ampio e generico del negotium non si possa individuare nei romani la formulazione di una teoria più ampia del negozio giuridico, semplicemente possiamo valerci della teoria generale del termine nello studio del diritto romano come di uno di quegli schemi che servono rappresentare la realtà giuridica romana. Quindi possiamo designare il contractus come un negozio giuridico bilaterale produttivo di obbligazione. Importante precisare che nel diritto romano, a differenza del diritto moderno, non ogni accordo è contractus. Nel diritto romano non esistono i contratti come singole figure tipiche, ma esiste il principio di tipicità contrattuale. ‘Solo quando l’accordo si incanala in quelle forme giuridiche che l’ordinamento ha opportunamente selezionato e disciplinato, allora l’accordo è contratto produttivo di obbligazione. Altrimenti resta mero accordo dando vita al variegato mondo dei patti che si affianca, con altra valenza, al mondo dei contratti’4. Il passo di Ulpiano, in D. 2.14.75, spiega meglio questo principio. Infine nel diritto romano, è considerato contratto il solo accordo che costituisce obbligazioni. Ancor più precisamente, il contractus, è l’accordo diretto a costituire obbligazioni, non ad estinguerle6. Secondo un principio generale, valido nel diritto romano, in materia
4 A. XXXXXXXXXX., Istituzioni di diritto romano, Torino, 2007, 317.
5 Ulp. 4 ad ed. D. 2.14.7: Iuris gentium conventiones quaedam actiones pariunt, quaedam exceptiones. Quae pariunt actiones, in suo nomine non stant, sed transeunt in proprium nomen contractus: ut emptio venditio, locatio conductio, societas, commodatum, depositum et ceteri similes contractus.
6 Gai 3.91.
contrattuale il contratto non poteva produrre effetti a favore dei terzi, ma produceva effetti solo tra le parti contraenti, ciò comportava l’inefficacia del contratto a favore di terzi. La realtà però appare assai più dinamica. Molte convenzioni subirono delle modifiche fino ad arrivare ad un progressivo riconoscimento dei contratti innominati che portarono, insieme ad altri fatti, al superamento della tipicità contrattuale.
2. Nozione di contratto secondo i ‘prudentes’.
Con la forma verbale contrahere si era soliti designare la costituzione di qualsiasi vincolo anche non patrimoniale (nuptias, sponsalia) e il corrispondente participio sostantivato significava ogni atto lecito produttivo di obbligazione o, per estensione, obbligazioni derivanti da atto lecito. ‘Solo con Labeone nel testo di Xxxxxxx di cui in D. 50.16.19 si avrà la prime vera e propria definitio, l’unica per altro risultante da fonti latine’7. Xxxxxxx, un giurista operante centocinquant’anni prima di Gaio, dava al termine un significato ristretto e specifico, facendo riferimento in modo esclusivo ai contratti conclusi da due (o più parti) sulla base del semplice loro consentire e indirizzati a prestazioni reciproche entrambe tendenzialmente future, ai quali le parti adempiono controbilanciando i loro rispettivi interessi. Assume più rilevanza la discussione attorno al termine obligatio utilizzato da Labeone: questa parola assume il significato di ‘vincolo’ ‘atto obbligante’. Di conseguenza, l’espressione ultro citroque obligatio dovrebbe essere intesa non come ‘obbligazione reciproca’, bensì come ‘reciproco atto obbligante’, cioè come un riferimento al carattere convenzionale del negozio, al consenso espresso dalle parti8. Altra definizione importante è la nozione di Xxxxxxx, ed è questa che tende ad imporsi. Si riferisce all’età in cui è vissuto il giurista Xxxxx citato nel passo di Ulpiano di D. 2.14.1.39. Con questa definizione si fa riferimento
7 A. BURDESE, Contratto romano tra forma, consenso e causa, Napoli, 2004, 92.
8 X. XXXXXXX, Il contratto nel pensiero di Xxxxxxx, Palermo, 1983, 23.
9 Ulp. 4 ad ed. D. 0.00.0.0: Conventionis verbum generale est ad omnia pertinens, de quibus negotii contrahendi transigendique causa consentiunt qui inter se agunt: nam sicuti convenire dicuntur qui ex diversis locis in unum locum colliguntur et veniunt, ita et qui ex diversis animi motibus in unum consentiunt, id est in unam sententiam decurrunt. adeo autem conventionis nomen generale est, ut eleganter dicat Xxxxxx nullum esse contractum, nullam obligationem, quae non habeat in se conventionem, sive re sive verbis fiat: nam et stipulatio, quae verbis fit, nisi habeat consensum, nulla
alla convenzione, intesa come un accordo che ha portata generale: ‘essa riguarda tutti i negozi sui quali le parti che li pongono in essere consentono al fine di contrarre e transigere. Non c’è nessun contratto producente obbligazione che non rechi in sé la convenzione, sia concluso con la consegna di una cosa o con delle parole: infatti anche la stipulazione, che viene conclusa con delle parole, se non ha il consenso, è nulla’10. L’opinione fatta propria da Xxxxxxx, fonda la concezione giustinianea che vede stabilmente saldata l’idea di contratto a quella di accordo costitutivo di obbligazioni, siano esse reciproche o unilaterali. L’accordo veniva indicato quindi con i termini conventio, consensus e pactum. Proseguendo con le definizioni del termine contratto, assume rilevanza quella di Xxxxxxxx il quale sostiene che gli accordi bilaterali, avendo tutela piena e diretta, diano vita a dei contratti che producono obbligazioni sempre se ne sussiste la causa e non sulla base del semplice consenso. Gaio nelle sue Institutiones, scritte intorno al 161 d.C., indicò come fonti dell’obbligazione il contractus e il delictum. Questa bipartizione creò delle tensioni all’interno del sistema giuridico romano. Esistevano infatti delle figure che non rientravano nelle due categorie sopracitate Le obbligazioni che derivano da delictum sono di un solo genere, derivano tutte da atti illeciti. Particolarmente importante invece, fu la sua definizione in merito alle obbligazioni contractus: per il giurista, infatti, il contratto è ‘ogni atto lecito produttivo di un vincolo obbligatorio’11. Tale definizione fu quella più adottata in epoca romana poiché essa trovava un’applicazione più vasta rispetto alla definizione di Labeone. Proseguendo con i giuristi, Xxxxx Xxxxx aveva sottolineato l’aspetto fondamentale del contratto, evidenziando in particolare, come l’elemento dell’accordo delle parti dovesse sempre essere presente in un contratto: non vi è quindi contratto nel caso in cui non esista l’accordo. Mentre per Xxxxxxx esistono solo i contratti consensuali, Xxxx distinse le obbligazioni nascenti da contratto in quattro categorie, ritenendo che in ognuna di queste parti ci fosse l’accordo sottostante:
I. le obligationes quae consensu contrahintur (c.d. contratti consensuali) erano quelle fondate sul mero consenso e derivanti da compravendita,
est.
10 A. XXXXXXXXXX, Istituzioni, cit., 316.
11 A. XXXXXXXXXX, Istituzioni, cit., 308.
locazione, società e mandato;
II. le obligationes quae litteris contrahintur (c.d. contratti letterari): erano quelle costituitesi mediante documentazione scritta.
III. le obligationes quae verbis contrahintur (c.d. contratti verbali): erano quelle che sorgevano dalla pronuncia di frasi solenni. Il negozio verbale più importante era la stipulatio, nata come forma di garanzia, derivava dalla sponsio, e seguiva lo schema di domanda e risposta (‘spondes, spondeo’) tra il futuro creditore e il futuro debitore.
IV. le obligationes quae re contrahintur (c.d. contratti reali): per Xxxx erano quelle che nascevano dall’avvenuta traslazione della proprietà di una cosa o di una quantità di res da un soggetto ad un altro, cui incombeva l’obbligo di restituirla o di restituire altrettanto. I Romani non conoscevano il termine ‘contractus realis’ adoperavano, invece, l’espressione ‘obligatio re contracta’ e altre simili.
Dopo le difficoltà che si erano create nel sistema giuridico, Xxxx superò il concetto della bipartizione, indicando nelle res cottidianae, una tripartizione. ‘Le fonti dell’obbligazione ora sono tre, non più due, e ciò che principalmente colpisce è proprio la terza, le varie figure di causa. Una categoria residuale che comprende i casi di obbligazione che non derivano da contratti e i casi che non derivano da delitti’12. Successivamente Xxxxxxxxxxx pervenne ad una quadripartizione delle fonti dell’obbligazione. Essa prevedeva comunque le obbligazioni da contratto e da delitti, mentre le varie figure di causa erano state divise in quasi da contratto e quasi da delitto. Infine, la legge venne considerata fonte di obbligazione per sistemare tutti quei casi non riconducibili alle figure tipiche dei contratti, quasi contratti, delitti e quasi delitti, in cui la legge impone determinati doveri e prevede l’azione in caso di inosservanza. La quadripartizione accennata rappresenta la sistemazione corrente, il nucleo fondamentale della categoria contrattuale. ‘Essa deve aver preceduto l’enunciazione di quest’ultima, che in Gaio sembra essersi sovrapposta allo scopo di enunciare l’antitesi del delictum, sovrapposizione da cui viene a risultare il concetto che accomuna le quattro categorie singole, in una categoria
12 A. XXXXXXXXXX, Istituzioni, cit., 309.
unica, chiamata contractus’13.
3. Contenuto quadripartizione giustiniana.
La quadripartizione di Xxxxxxxxxxx era così composta: contratti, quasi contratto, delitto e quasi delitto. Nel paragrafo precedente mi sono soffermato sulle obbligazioni che derivano da contratto (contratti consensuali, contratti letterari, contratti verbali e contratti reali). Ora analizziamo le altre categorie presenti nella divisione giustinianea. Nella sistematica delle istituzioni di Giustiniano le fonti delle obbligazioni sa atto lecito sono, oltre ai contratti, i quasi contratti.
Questa categoria riguarda ‘i fatti giuridici produttivi di obbligazione che, in quanto fatti leciti, si avvicinano ai contratti ma che se ne allontanano in quanto non riconducibili allo schema del negozio giuridico bilaterale costitutivo’14. Le figure citate nelle Istituzioni imperiali comprendono il pagamento dell’indebito, la gestione degli affari altrui, la tutela, il legato per damnationem, la comunione incidentale: figure assai diverse tra loro che hanno in comune solo il fatto di essere atti leciti. Importante specificare i primi due casi.
Il pagamento dell’indebito (indebiti solutio) si verifica quando un soggetto, credendosi debitore, fa un pagamento nei confronti di un altro soggetto che si crede creditore, e una volta scoperto l’errore, allora sorgeva l’obbligo della restituzione. Questa disciplina si applica solo quando le parti sono in errore.
La gestione degli affari altrui (negotiorum gestio) riguardava l’intromissione negli affari altrui per compiere un’attività o un negozio senza averne il mandato e ‘produceva obbligazioni ed azioni nel gerito (dominus) e nel gestore (gestor)’15.
Queste obbligazioni erano sanzionate come azione diretta contro il gestore e come azione contraria contro il gerito. Gestore era propriamente colui che interveniva con l’animus xxxxxxx00, l’intenzione di obbligare il gerito. L’obbligo del gestore era quello di condurre una gestione utile e di trasmettere gli effetti in capo alla controparte. Dall’altra parte invece il gerito, aveva l’obbligo di ricevere gli effetti della gestio, di pagare le spese, interessi e risarcire i danni al gestore.
13 G. GROSSO, Il sistema romano, cit., 6.
14 A. XXXXXXXXXX, Istituzioni, cit., 387.
15 A. MANFREDINI, Istituzioni, cit., 388.
16 Ulp. 10 ad ed. D. 3.5.18.2.
Nella categoria dei quasi contratti rientrano tutti quei casi dove un’obbligazione si forma senza la manifestazione della volontà, definita ‘tacito obligatio in D. 13.6.13.2’17. Importante il caso dell’arricchimento ingiustificato. Dice infatti Xxxxxxxx in D. 50.17.206 che ‘iure naturae aequum est neminem cum alterius detrimento et iniuria fieri locupletiorem’. Non è corretto che qualcuno diventi più ricco per un danno causato ad un altro. Questo avviene quando si verificano i seguenti casi: Dazione di una cosa senza una causa, dazione di una cosa per una causa che non si realizza, dazione per una causa che poi ha cessato di esistere ed infine per dazione di una cosa per uno scopo illecito.
Continuando l’analisi della quadripartizione giustinianea, vediamo ora le obbligazioni che derivano da atto illecito, ovvero i delitti e i quasi delitti.
Il catalogo dei delitti nelle istituzioni di Gaio, come in quelle di Xxxxxxxxxxx è
limitato a quattro figure, il furto, la rapina, il danno e l’iniuria.
Dice Paolo in D. 47.2.1.3 che ‘il furto (furtum) è il contatto doloso, contrectatio fraudolosa, con una cosa a scopo di lucro sottraendola, usandola e possedendola’18. Il furto richiedeva il dolo e poteva avere ad oggetto solo cose mobili.
La rapina (bona vi rapta) era considerata un caso aggravato di furto in quanto
commesso in banda o con l’aiuto delle armi.
Per il concetto di danno bisogna strutturare un discorso più ampio, in quanto è la legge Aquilia a stabilire che il danno consiste nella distruzione di una cosa, compresi gli schiavi, e che deve essere causato in maniera riprovevole, presupponendo cioè il dolo o la colpa del danneggiante. Questo processo ha trovato conclusione nel nostro codice civile con l’art 2043 nel quale è previsto che ‘qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altrui un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno’19.
La legge Xxxxxxx indicava quali fossero gli elementi del danno, non dopo averne
17 Pomp. 11 ad Sab. D. 00.0.00.0: Si libero homini, qui mihi bona fide serviebat, quasi servo rem commodavero, xxxxxxxx, an habeam commodati actionem. nam et Xxxxxx filius aiebat, si iussissem eum aliquid facere, vel mandati cum eo vel praescriptis verbis experiri me posse: idem ergo et in commodato erit dicendum. nec obstat, quod non hac mente cum eo, qui liber bona fide nobis serviret, contraheremus quasi eum obligatum habituri: plerumque enim id accidit, ut extra id quod ageretur tacita obligatio nascatur, veluti cum per errorem indebitum solvendi causa datur.
18 Xxxx. 39 ad ed. D. 00.0.0.0: Furtum est contrectatio rei fraudulosa lucri faciendi gratia vel ipsius rei vel etiam usus eius possessionisve. quod lege naturali prohibitum est admittere.
19 Art. 2043 cod. civ.
dato una previa definizione. ‘Anzitutto per danno fatto ad un altro si intendeva un pregiudizio di natura patrimoniale. Il danno doveva essere arrecato senza giustificazione (non era senza giustificazione il danno arrecato per difendere sé stesso o le proprie cose). Il danno doveva essere provocato attraverso un’azione fisica direttamente esercitata sul bene, il danno doveva essere la conseguenza di un comportamento attivo, ed infine era necessario che intercorresse, tra azione ed evento dannoso, un nesso di causalità immediato e visibile’20. Nel diritto romano la legge Xxxxxxx è servita a colmare l’assenza di un’azione generale di risarcimento per il danno extracontrattuale.
L’ultima obbligazione derivante da fatto illecito inserita nella categoria dei delitti è l’ingiuria (iniuria) considerata come quel delitto che consisteva nelle lesioni personali. Il pretore è inizialmente intervenuto modificando il regime sanzionatorio della pena fissa introducendo la valutazione dell’ingiuria, dove la pena era valutata caso per caso secondo il criterio del bonum et aequum. In tutti i casi era richiesto il dolo, più precisamente la volontà di recare ingiuria.
Infine analizziamo l’altra categoria di obbligazioni derivanti da atto illecito, ovvero i quasi delitti. Nelle res cottidianae e nelle Istituzioni imperiali21, compare il catalogo dei quasi delitti, più precisamente quattro casi in cui un soggetto è tenuto non propriamente per maleficio, ma per quasi maleficio. I quattro casi delitti sono: il giudice che abbia fatto sua una lite; colui dalla cui abitazione fosse stato gettato qualcosa che ha provocato danno ad altri; colui che tiene sospeso ciò che cadendo può nuocere; ed infine l’esercente di una nave, un’osteria o uno stallaggio, tenuto per le frodi e i furti commessi ai danni dei clienti.
Nel tempo sono stati proposti vari criteri per distinguere delitti e quasi delitti. ‘La distinzione puramente storica è che i delitti sarebbero più gravi, presumerebbero dolo e colpa e sarebbero riconducibili ai delictum dello ius civilis. Mentre i quasi delitti, oltre ad essere meno gravi, tenderebbero ad attribuire una responsabilità oggettiva e sarebbero riconducibili alle figure elaborate nello ius honorarium’22. Tuttavia anche se non esiste una definizione ben precisa per distinguere a pieno queste due categorie, rimane importante sottolineare la comune partecipazione alla
20 A. XXXXXXXXXX, Istituzioni, cit., 405.
21 I. 4.5; Gai. 8 ad ed. D. 44.7.5.4-6, Ulp. 8 ad ed. D. 50.13.6.
22 A. XXXXXXXXXX, Istituzioni, cit., 399.
concezione dell’illecito e della pena privati. Tali illeciti erano produttivi di un’obbligazione in capo all’offensore di corrispondere una somma di denaro all’offeso a titolo di pena, quindi avevano uno scopo afflittivo.
MODELLO CONTRATTUALE NEI VARI ORDINAMENTI
SOMMARIO: 1. Codice Napoleonico. – 2. Modello germanico e codice austriaco. – 3. Modello contrattuale nel common law. – 4. Cause di invalidità del contratto nel common law.
Il Codice civile francese si ispirò al diritto consuetudinario della tradizione franco- germanica ma prese, come ulteriore modello di riferimento, anche il diritto romano. ‘Il Code civil può definirsi il primo vero codice dell’età moderna’23. Fu redatto da una commissione di quattro membri, nominata nel 1800 da Xxxxxxxxx, ed emanato il 21 marzo 1804. Fu chiesto il parere anche del Consiglio di Stato, presieduto da Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx. Infine, il testo fu inviato al Parlamento per l’approvazione, non prima della discussione all’interno del Tribunato. Grazie al prestigio personale dell’imperatore si riuscirono a superare gli ostacoli rappresentati dalle Corti e l’ostruzionismo dell’apparato burocratico. Le vicende personali di Xxxxxxxxx influirono su alcuni aspetti specifici, quali divorzio e adozione. Il progetto venne approvato realmente nel marzo del 1804 e si chiamò ‘Code Civil’ e poi nel 1807 cambiò nome in ‘Code Napoleon’. Il codice introdusse una profonda trasformazione del precedente sistema delle norme di diritto privato, sistema nel quale s’intrecciavano la tradizione del diritto romano, le regole del diritto consuetudinario francese e certi filoni della cultura giusnaturalistica. Lo scopo nel redigere il codice era quello di dar vita a un testo che ponesse fine in maniera definitiva alla tradizione giuridica dell’Ancien Règime, caratterizzata dalla molteplicità giurisprudenziale e dal frantumato particolarismo giuridico che prese spunto dal sistema del diritto comune. Quindi ‘il codice rappresenta la fine di un itinerario: dal droit alla loi. La legge diventa ormai l’unica fonte capace di esprimere la volontà generale e il principe esprime con la legge lo spirito della nazione’24.
Il codice napoleonico fu redatto con un linguaggio semplice, facilmente
23 X. XXXXXXXX, La tradizione giuridica occidentale, Torino, 2021, 124.
00 X. XXXXXXXX, La tradizione, cit., 125.
comprensibile, e allo stesso tempo, elegante e raffinato. In origine contava di 2281 articoli, ancora oggi, è composto da tre libri più un titolo introduttivo. Il primo libro dedicato alle persone, il secondo dedicato ai beni e alla proprietà, il terzo dedicato ai modi di acquisto e di modifica della proprietà. La suddivisione si ispirò al modello delle istituzioni di Gaio. Nel testo prevalgono l’uguaglianza e la libertà individuale eliminando così la discriminazione derivante dall’appartenenza di una classe sociale. Per quanto riguarda la materia contrattuale, quest’ultima viene inserita nella terza parte del codice. All’interno del testo si parla del contratto come una convenzione in base alla quale una o più persone si obbligano verso altra o altre, a dare, fare o non fare qualche cosa (art. 1101). Tra i requisiti essenziali del contratto, viene richiesto il consenso della parte obbligata e la causa lecita dell’obbligazione (art. 1108). Sul contratto si sono applicate delle riforme, in particolare assume particolare rilevanza ‘L’Ordonnance n. 2016-131 del 2016’25. Lo scopo principale, ovvero il ‘riformare e resistere’, vincola contemporaneamente il concetto di fedeltà al codice nei suoi principi fondamentali, lo spirito del diritto francese dottrinale e giurisprudenziale e il concetto di innovazione, tanto dal punto di vista formale quanto da quello sostanziale. Si cerca dunque un equilibrio tra l’autonomia contrattuale, la forza di legge del contratto e il valore emergente della giustizia contrattuale. Alla luce di questi obiettivi, cinque sono sostanzialmente le direttrici lungo le quali la riforma si muove. La prima è quella della semplificazione linguistica, nell’ottica di una migliore accessibilità quindi certezza, del diritto. La seconda è quella della semplificazione concettuale: talvolta l’ambiguità non interessa la lettera di una norma, ma il significato stesso di un istituto; per questo la riforma punta a togliere dal codice gli articoli da tempo abbandonati nella pratica, in considerazione della loro incerta applicazione. La terza è quella della semplificazione sistematica: in realtà, più che di una semplificazione si tratta di una vera e propria rivoluzione, essendo state infatti aggiunte norme e suddivisioni in sotto-titoli, sotto-sezioni, paragrafi, con il risultato che i numeri degli articoli hanno perso ogni corrispondenza con le materie. Così le obbligazioni e i contratti restano inseriti nel libro terzo, dedicato ai modi di acquisto della proprietà, ma cambiano i
25 Ordinanza 10 Febbraio 2016, n. 2016-131 ‘riformare il diritto contrattuale, il regime generale e la prova delle obbligazioni’.
titoli: il titolo terzo, prima rubricato ‘Dei contratti o delle obbligazioni convenzionali in generale’, sarà chiamato ‘Delle fonti delle obbligazioni’; il titolo quarto, prima rubricato ‘i vincoli che si formano senza convenzione’, sarà dedicato al regime generale delle obbligazioni. La quarta direttrice lungo la quale si muove la riforma è quella del recepimento di alcuni orientamenti giurisprudenziali consolidati o della presa di posizione su questioni in merito alle quali le risposte dei giudici sono state contrastanti, il tutto sempre nell’ottica di una maggiore certezza del diritto. La quinta ed ultima direttrice della riforma è quella dell’armonizzazione, introducendo istituti propri di altri ordinamenti o diffusi nella prassi commerciale internazionale. Con la riforma del 2016, la definizione stessa di contratto muta: esso diventa ‘l’incontro di volontà tra due o più persone, destinato a costituire, modificare, trasferire o estinguere obbligazioni’26. Come si può notare da un confronto con la versione precedente27, l’attenzione si è spostata dal contenuto delle obbligazioni che il contratto è capace di generare agli effetti che il contratto può produrre sulle obbligazioni stesse. Il contratto non è più, genericamente, quella convenzione con cui le parti si obbligano a dare, fare o non fare qualcosa, ma è quell’accordo che è idoneo a produrre effetti pur sempre, però, di obbligazioni e non di diritti. Un’altra importante definizione introdotta con la riforma è quella di ‘Autonomia Contrattuale’ citata nell’art. 1102 cod. civ. franc.28. In molti aspetti la riforma prende atto e codifica soluzioni giurisprudenziali da tempo acquisite, come il concetto di responsabilità precontrattuale ora sancito dall’art. 1112. Un altro importante elemento, anch’esso in buona parte ispirata a soluzioni già riscontrate in giurisprudenza ma con alcuni elementi di novità, è rappresentata dall’introduzione di un obbligo generale di informazione, ora previsto dall’art. 1112, secondo il quale una parte è tenuta a comunicare ogni informazione in suo possesso la cui importanza sia determinante ai fini del consenso dell’altra alla stipula del contratto. Dalla scansione analizzata deve segnalarsi l’espansione del dovere di buona fede dall’ambito dell’esecuzione del contratto, la quale si definisce sempre presunta e
26 Art. 1101 cod. civ. franc.
27 Art. 1101 cod. civ. franc.: Le contrat est un accord de volontés entre deux ou plusieurs personnes destiné à créer, modifier, transmettre ou éteindre des obligations.
28 Art. 1102 cod. civ. franc.: Chacun est libre de contracter ou de ne pas contracter, de choisir son cocontractant et de déterminer le contenu et le forme du contrat dans les limites fixées par la loi. La liberté contractuelle ne permet pas de déroger aux règles qui intéressent l'ordre public.
spetta a chi adduce malafede dimostrarla. Questa norma viene indicata nell’art. 2268 cod. civ. fr.29. Particolare rilevanza assume infine la nuova definizione dell’art 1138, la quale prima affermava che ‘l’obbligazione di consegnare la cosa si perfeziona con il solo consenso delle parti contraenti’, per poi specificare, invece, che il sorgere dell’obbligazione di consegna rende il creditore proprietario e trasferisce su di lui il rischio del perimento della cosa.
2. Modello germanico e il codice austriaco.
Nel 1814, in Germania, l’unico modello di codice preso in considerazione fu quello francese. Da questo punto nacque il dibattito tra due grandi studiosi francesi d’inizio Ottocento: Xxxxx Xxxxxxx criticò la frammentazione del diritto vigente in Germania ed auspicò l’introduzione di un codice unitario sul modello francese. Egli pensava che l’unificazione giuridica avrebbe dato una spinta a quella politica e questa sorta di patriottismo ricevette molti consensi tra i professori tedeschi, tuttavia, la sua proposta fu demolita totalmente da Xxxxxxx. Quest’ultimo fu professore di diritto romano a Berlino, e si oppose fermamente all’introduzione di un codice, peggio ancora se copiato da modelli stranieri. Nel gennaio del 1871 nasce, a seguito della xxxxxx xxxxxx-prussiana, l’impero tedesco: la struttura è federale ed inizialmente restano in vigore tutte le legislazioni locali. Il cancelliere Xxxxxx di Xxxxxxxx preme però per la redazione di un codice civile e a questo scopo fece approvare nel 1873 l’emendamento costituzionale che assegna al potere centrale la competenza a legiferare sul diritto privato nel suo insieme, costituente il presupposto politico che conduce la Germania alla codificazione. È noto che la dottrina tedesca era dominata dai pandettisti, eredi di Xxxxxxx, quindi nettamente contrari alla codificazione; inoltre il modello francese, l’unico effettivamente adottabile, fu escluso a causa della storica rivalità con la Francia. Xxxxxxxx chiese ai pandettisti di scrivere il codice, ricevendone un’accettazione condizionata: lo avrebbero scritto a patto di poterlo caratterizzare con la loro dottrina romanistica. Si trattava di una scelta
29 Art. 2268 cod. civ. franc.: La bonne foi est toujours présumée, et c'est à celui qui allègue la mauvaise foi à la prouver.
obbligata perché solo la dottrina pandettistica era completa e prestigiosa, vincendo qualsiasi confronto contro qualunque scuola rivale. I pandettisti furono perplessi in quanto, scrivendo il codice, avrebbero contraddetto il fondamentale insegnamento della scuola storica della quale erano i continuatori, ma la convinzione di rendere un servizio al proprio paese e di poter trascrivere la propria dottrina li convinse ad accettare. Nel 1881 si creò una prima commissione formata da 11 membri composta in maggioranza da giudici e funzionari. I lavori finirono nel 1887: il primo progetto fu composto da 5 volumi e ci si accorse che si trattava di una sorta di traduzione legislativa di un manuale di pandette, quindi, i pratici fecero bocciare il progetto. Fu nominata una seconda commissione, composta principalmente da pratici e non da giuristi, la quale si trovò subito davanti ad un bivio: abbandonare completamente il progetto oppure introdurre solamente alcune modifiche. La seconda commissione non ebbe il tempo per crearlo ex novo, ma concluse i lavori nel 1896 rispettando struttura e terminologia del primo progetto, ed inserendo qualche clausola generale come la buona fede, il buon costume e gli usi del commercio, al fine di mettere a tacere i critici.
Entrato in vigore nel gennaio del 1900, ‘il codice abbandona lo schema delle istituzioni gaiane e si suddivide invece in cinque libri, seguendo la struttura del diritto privato in cinque materie trattata dai pandettisti, per complessivi 2385 articoli’30, divisi a loro volta in commi. Il primo libro contiene la parte generale ossia le disposizioni comuni a tutti gli altri libri, si vuole inserire quindi nel codice un sistema perfetto, privo di lacune e ripetizioni. Il secondo libro parla di obbligazioni e contratti, dove non vige il principio consensualistico, ma trionfa il principio di astrattezza. Il terzo libro si occupa dei diritti sui beni: proprietà, diritti reali limitati, pegno ed ipoteca; Il quarto libro parla della famiglia ed il quinto ed ultimo libro parla del diritto di successione. Nel diritto tedesco manca una vera e propria definizione di contratto ma la dottrina l’ha ricostruita comunque nei suoi termini essenziali, e si avvicina a quella del nostro ordinamento. Dal BGB, ‘Bürgerliches Gesetzbuch’, comunemente indicato con le iniziali BGB, ovvero il Codice civile della Germania’31 si ricavano le seguenti considerazioni: il contratto
00 X. XXXXXXXX, Xx tradizione, cit., 142.
31 S. PATTI, Codice civile tedesco-Bürgerliches Gesetzbuch, 2013, 10.
è un incontro di volontà di almeno due parti; le dichiarazioni di volontà devono essere concordi dal punto di vista del contenuto e devono essere prestate l’una verso l’altra; se le parti o la legge non lo prevedono, non è necessario rispettare una forma particolare. ‘Il BGB aspira a prospettare un sistema chiuso caratterizzato da: definitività, in quanto la costruzione dogmatica si avvale di concetti immutabili e conclusivi; completezza, in quanto si nega che possano esistere lacune; esclusività, in quanto l’interprete può riferirsi a precetti diversi dalla legge in casi tassativi’32. La caratteristica principale del BGB è il principio di astrattezza, che domina l’intero codice ed è importante per la corretta comprensione del suo sistema.
Ad esempio, secondo il BGB, un contratto che abbia per oggetto il trasferimento della proprietà semplicemente obbliga l'alienante a trasferire la proprietà del bene venduto all’acquirente. Il BGB dichiara esplicitamente quest'obbligo dell'alienante, così come quello dell'acquirente. Per il trasferimento della proprietà è necessaria la consegna del bene (o un atto equivalente, come la trascrizione nei registri immobiliari), questo perché il principale vantaggio del principio di astrattezza è la capacità di fornire una costruzione legale sicura per praticamente tutte le transazioni finanziarie. Anche se il principio di astrattezza non si trova in sistemi giuridici che non siano di stampo germanico, e contraddice l’usuale interpretazione di buon senso delle transazioni commerciali, esso è indiscusso nella comunità legale tedesca.
Passando alla codicistica austrica, anche qui abbiamo il codice civile, comunemente chiamato ABGB approvato nell’impero austriaco da Xxxxxxxxx X d’Austria. Il codice venne promulgato nel 1811 ma entrò in vigore il primo Gennaio 1812. L’ABGB differenzia dal Codice napoleonico per la struttura più asciutta e imperniata su norme di principio. I suoi 1502 paragrafi si articolano in tre sezioni: diritti delle persone; diritti sulle cose e disposizioni comuni. ‘È chiara l’impostazione kantiana (di matrice illuministica) tra i diritti della persona e i diritti sulle cose, a loro volta distinti in diritti reali e diritti obbligatori’33. Importante ancora oggi il risalto che si fa al pensiero giusnaturalista, così il § 7 ABGB enuncia che ‘qualora un caso non si possa decidere né secondo le parole, né secondo il senso naturale della legge, si avrà riguardo ai casi simili precisamente dalle leggi decisi
00 X. XXXXXXXX, Xx tradizione, cit., 145.
00 X. XXXXXXXX, La tradizione, cit., 137.
ed ai motivi di altre leggi analoghe. Rimanendo dubbioso il caso, dovrà decidersi secondo i principi del diritto naturale, avendo riguardo alle circostanze raccolte con diligenza e maturamente ponderate’34. Importante anche § 16 ABGB, il quale dichiara che all’individuo competono ‘diritti innati che si conoscono con la sola ragione’35 diritti che l’ordinamento non può levare. Nel codice austriaco è importante il concetto che riguarda il trasferimento della proprietà in quanto contiene disposizioni diverse da quelle del codice napoleonico. Per il trasferimento della proprietà dei beni non bastava il solo accordo (il consensualismo era principio tipico del codice napoleonico), ma era necessario un accordo materiale (la romana traditio: gli effetti traslativi si verificavano cioè con la consegna della cosa). L’influenza all’estero del codice è minima, e il dopo-codice è simile a quello in Francia. Ci saranno dei cambiamenti solo dopo il 1848, con l’apertura alla Germania e alla dottrina tedesca che abbiamo analizzato precedentemente.
3. Modello contrattuale nel ‘common law’.
La nozione di contratto che si assume dall’esperienza inglese corrisponde solo in parte alla nozione di contratto dell’esperienza continentale, cioè di accordo che crea diritti ed obblighi tra le parti contraenti. La differenza tra questa impostazione concettuale di contratto e quella romana di contractus è netta: contractus per i romani era il vincolo che si costituiva in conseguenza di un accordo e non l’accordo stesso che andava sotto il nome di conventio36. Dunque, ‘bisogna precisare che tutti i contratti inglesi si distinguono in due grandi categorie, unilateral contracts e bilateral contracts. Questa distinzione non riguarda la struttura soggettiva del contratto, che come rapporto deve necessariamente in ogni caso coinvolgere due parti, ma riguarda la meccanica impegnativa del contratto stesso che è diversa nelle due categorie di contratti’37. Si ha un contratto bilaterale quando a ciascuna parte corrispondono correlative posizioni di debito e di credito, per cui ogni contraente è debitore per la prestazione che deve fare e creditore per la prestazione che deve ricevere. Ci si trova invece di fronte ad un contratto unilaterale quando il rapporto
34 § 7 ABGB.
35 § 16 ABGB.
36 X. XXXXXXXXX, Contratto nel diritto inglese, Padova, 2001, 53.
37 X. XXXXXXXXX, Contratto, cit., 72.
contrattuale lega i contraenti in modo tale che solo uno di essi è il debitore, mentre l’altro assume la posizione di creditore nello stesso momento in cui esegue in favore della controparte la prestazione. Nella dottrina inglese si distingue il contract dalla convention che è termine più ampio e generico, inclusivo di accordi in cui una delle parti è la pubblica amministrazione; dalla promise, ovvero la dichiarazione di assumere un obbligo; dalla obligation, cioè il singolo obbligo creato dal contratto ed infine dall’ agreement che è l’incontro di volontà. Sulla definizione di contratto non vi è unanimità nella dottrina e neppure nella giurisprudenza inglese perché manca una definizione legale di contratto e manca una codificazione. Nel common law la disciplina del contratto si forma originariamente sull’idea di danno derivante dalla violazione di un obbligo, pertanto, è evidente che la nozione di tort e quella di contract assumano fin dall’inizio punti in comune38. Il principio della freedom of contract (libertà o autonomia contrattuale) ritiene che il contratto sia il risultato dell’accordo di volontà delle parti e che queste siano libere di concluderlo e di determinare liberamente ed integralmente il contenuto, senza interferenze del legislatore, del giudice o dall’autorità amministrativa. Già nel 1790, in apertura del saggio ‘Upon the law of contracts and agreements’, l’autore fece notare che i principi tradizionali di eguaglianza nello scambio ed equità nella contrattazione erano stati superati dall’esigenza di rispettare la volontà dei singoli. Nella trattazione sul contratto in generale, proprio per l’assenza di un apparato dogmatico tradizionale, i requisiti del contratto intesi come presupposti per la validità di esso sono variamente catalogati. L’elencazione corrente vede: accordo tra le parti; intenzione di creare un vincolo giuridicamente rilevante; la consideration; la forma, ove richiesta; ed infine la capacità negoziale. Perché vi sia accordo tra le parti occorre che la volontà di una parte sia stata espressa in determinate forme (offerta) e ad essa corrisponda la conforme volontà dell’altra (accettazione). Questa regola è chiamata mirror image rule ed esprime la regola fondamentale in materia di formazione del consenso del contratto. L’intenzione di creare vincoli giuridici costituisce un requisito essenziale del contratto e si misura facendo riferimento sia alla volontà delle parti di ammettere o escludere vincoli della loro promessa sia all’oggettiva certezza e sufficienza dell’accordo concluso a produrre effetti
38 X. XXXXXXX, The Law of Torts, Oxford, 1985, 20.
giuridici39. Se nell’accordo vi è incompletezza, e questa non può essere risolta facendo riferimento alla volontà delle parti o mediante l’interpretazione oggettiva del contratto, l’accordo non può essere qualificato come contratto, perché in esso non è possibile identificare il requisito dell’intenzione di creare un rapporto giuridico. Elemento fondamentale del contratto la consideration è un concetto a cui non è semplice dare una definizione. Se si dovesse fare la traduzione, si dovrebbe insistere sullo scambio o comunque sulla corrispettività, delle prestazioni che ciascuno dei contraenti esegue o si impegna ad eseguire in cambio dell’impegno dell’altro. La consideration è anche una doctrine, un principio ed una tendenza del common law che varia a seconda delle epoche e delle circostanze. Le sue due componenti sono, secondo Xxxxxx, ‘il beneficio che si deve dare in cambio al promittente e l’affidamento del promissario’40.
Nel diritto inglese la forma non costituisce, normalmente, requisito essenziale per la stipulazione di un contratto. Un contratto può essere concluso per iscritto, oralmente o mediante un comportamento concludente. ‘La forma è prescritta in pochi casi eccezionali ad substantiam per la validità del contratto, ed in alcuni casi solo ad probationem’41.
Nel common law inglese non è riconosciuto alcun obbligo generale di buona fede né nelle trattative né nell’esecuzione del contratto. Nel corso dei secoli il diritto inglese si è limitato a garantire l’equità del procedimento negoziale, per impedire che una parte potesse trarre vantaggio dall’errore in cui fosse incorsa l’altra. Il diritto inglese si è sempre basato sul principio che le parti devono saper curare i loro interessi e che il compito della legge è solo quello di garantire l’equità del procedimento. Nonostante questa tendenza a privilegiare la libertà del contratto e ad escludere l’intrusione di obblighi morali e di equità, le corti inglesi spesso desumono dal comportamento delle parti l’esistenza di obblighi reciproci sorti nel corso delle trattative. ‘La violazione di tali obblighi, se il contratto è stato concluso, a volte può essere addirittura considerata inadempimento’42.
L’oggetto del contratto anche nel diritto inglese deve essere lecito, possibile,
39 G. ALPA, Il contratto nel common law inglese, Padova, 1997, 50.
40 X. XXXXXX, The Rise and Fall of Freedom of Contract, Oxford, 1979, 92.
41 G. ALPA, Contratto e common law, Padova, 1987, 69.
42 G. ALPA, Il contratto, cit., 107.
determinato o determinabile. Quando quest’ultimo è illecito allora il contratto è illegal e perciò nullo, analogamente quando l’oggetto è impossibile, indeterminato o indeterminabile il contratto è inesistente. Nel diritto inglese vige il principio in base al quale la singola parte non può liberamente determinare l’oggetto della propria prestazione, perché si sarebbe in presenza di un accordo non vincolante. Oltre all’oggetto, il contratto è costituito dalle clausole contrattuali pattuite dalle parti o automaticamente inserite nel contratto di legge. È necessario fare una distinzione tra contract terms (clausole contrattuali) e mere rapresentations non incorporate nel contratto. La distinzione va intesa sulla base del contenuto del contratto e della volontà delle parti che possono aver voluto includere in esso determinate clausole, escludendone altre che a loro non interessavano.
4. Cause di invalidità del contratto nel ‘common law’.
Una causa di annullabilità del contratto è data dall’incapacità della parte contraente. Si tratta di ipotesi che nel diritto continentale riguardano sia l’incapacità legale, ad esempio il minore d’età, sia l’incapacità naturale, ad esempio il pazzo non interdetto. ‘La disciplina dell’errore, mistake, presenta molte similitudini con la disciplina continentale. I problemi sono simili, in quanto ogni ordinamento si deve accertare se si è in presenza di un vero e proprio errore in cui una o entrambe le parti siano incorse al momento della stipulazione contratto, ed occorre poi accertare se l’errore era riconoscibile e poteva essere evitato, se l’errore incide o meno sulla sostanza e quali ne possono essere le conseguenze’43. Nel diritto inglese l’errore rende in alcuni casi il contratto annullabile, in altri addirittura nullo. Si distingue invece, in common mistake l’errore comune delle parti e unilateral mistake l’errore di una sola parte. Per determinare l’invalidità del contratto, l’errore deve essere essenziale. L’errore comune delle parti può privare di efficacia contrattuale il contratto già concluso, e causarne la nullità. L’errore sul contratto che sia proprio di una parte soltanto, impedisce invece la conclusione dell’accordo per incomprensione delle parti. Per quanto riguarda gli effetti del contratto viziato da errore comune ad entrambe le parti, occorre precisare che se l’errore è essenziale il
43 G. ALPA, Il contratto, cit., 115.
contratto è nullo, e non sorge per nessuna delle parti l’obbligo di adempiere le prestazioni da esso derivanti, con la conseguenza che quelle eventualmente già eseguite dovranno essere restituite; mentre se l’errore non è essenziale il contratto è pienamente valido e le obbligazioni da esso derivanti dovranno essere eseguite. Passando ora alle ipotesi di contratto viziato da una sola parte, questo viene rilevato in tre situazioni: errore sulla persona del contraente, errore sull’oggetto del contratto ed errore sul contenuto del contratto. L’errore in questi casi si rileva solo se è essenziale e se è stato tale da indurre le parti a stipulare il contratto. La giurisprudenza, oltre a tali condizioni, richiede che l’errore sia noto all’altra parte o addirittura che sia stato comunicato ad essa.
Un’altra causa di invalidità del contratto nel diritto inglese è rappresentata dalla misrepresentation, ovvero ‘la dichiarazione di una parte che sviando l’altra parte la induce in errore’44. La misrepresentation può essere implicita, espressa, dolosa, colposa o inconsapevole. I rimedi disponibili sono il risarcimento del danno e l’annullamento del contratto.
Alla violenza, intesa come causa di annullamento del contratto nel diritto italiano, corrisponde la duress e undue influence ovvero la minaccia illegittima di un male ingiusto. Il contratto concluso per effetto della duress esercitata da una parte sull’altra è annullabile e non nullo, pertanto, la sua invalidità non pregiudica i diritti eventualmente acquistati a titolo oneroso da terzi incolpevoli. Inizialmente la duress era intesa come violenza fisica, ma si è avvertita la necessità di estendere la nozione di violenza nell’ipotesi in cui uno dei contraenti subisce una violenza morale o psicologica. In questi casi si parla di undue influence. ‘Quando la violenza deve essere accertata o, meglio, provata dalla vittima, che deve dimostrare di essere stata costretta a concludere un contratto che altrimenti non avrebbe concluso, si è in presenza di actual undue influence. Quando invece, tra le parti esiste già prima della conclusione del contratto un rapporto di parentela, di professione, che lasci presumere un qualche forma di soggezione di una parte all’altra, la violenza si presume e si parla quindi di presumed undue influence45.
Le ipotesi di illegal contracts nel diritto inglese sono così eterogenee da non
44 G. ALPA, Il contratto, cit., 119.
45 G. ALPA, Il contratto, cit., 125.
tollerare generalizzazioni. Secondo la teoria tradizionale il criterio distintivo del contratto illecito riguarda la natura della condotta, che comporta poi alla dichiarazione di invalidità. Si distinguono ipotesi di condotta contrarie a norme giuridiche, norme e regole di convivenza e ordine pubblico (public policy). Altre regole dettagliate disciplinano le varie ipotesi in cui si accerta l’esistenza di illiceità parziale. In tal caso solo se una parte del contratto è illegal è possibile reciderla dal contratto ed eseguire la parte valida. Tuttavia, la nullità parziale del contratto causata da illiceità è ammissibile solo se la promessa illecita non è tale da modificare l’intero contratto e può essere eliminata senza cambiare l’intero contratto.
La regola della privity of contract, secondo cui il contratto produce effetti solo tra le parti, non consentiva al diritto inglese di riconoscere validità al contratto a favore di terzi che invece, nei paesi c.d. di civil law, è generalmente riconosciuto. Solo nel 1999 il legislatore inglese ha introdotto nell’ordinamento una disciplina del contratto a favore di terzi similare a quella conosciuta nei sistemi dell’Europa continentale, attraverso l’emanazione del Contracts (Rights of Third Parties) Act. Secondo la dottrina inglese, il contratto vincola solo le parti contraenti e non può creare diritti o imporre obblighi a terzi estranei. Quando si è in presenza di un vero e proprio contratto a favore di terzi, dalla doctrine of privity of contract discendono le seguenti conseguenze: l’esecuzione del contratto a favore del terzo e l’esercizio delle altre azioni contrattuali richiedono necessariamente la collaborazione del promissario, solo lui infatti può chiedere al promittente la specific performance del contratto a favore del terzo, la restituzione di quanto già pagato o il risarcimento del danno. Inoltre, prima che il contratto a favore del terzo sia eseguito, il promissario può anche chiedere l’adempimento a proprio beneficio, così come pretendere la consegna della somma che invece dovrebbe essere data al terzo. Ciò è ammesso solo se vi è il consenso del promittente o se tale possibilità era stata originariamente prevista nel contratto. Non si riconosce, pertanto, al terzo il diritto di pretendere la prestazione in caso di inadempimento del promittente. Tuttavia, se il terzo beneficiario non può agire in contract può agire in tort, ovvero esercitando un’azione per responsabilità da fatto illecito. Naturalmente l’altra faccia della privity of contract è che, così come nessuno può beneficiare dal contratto concluso
tra altre parti, analogamente nessuno può essere considerato responsabile contrattualmente senza il suo consenso.
CONTRATTO NEL CODICE CIVILE
SOMMARIO: 1. Nozione di contratto ed elementi essenziali. – 2. Autonomia contrattuale ed efficacia del contratto. – 3. Contratto valido e contratto invalido. – 4. Scioglimento del contratto. – 5. Comparazione tra civil law e common law.
1. Nozione di contratto ed elementi essenziali.
‘Il contratto, prima che un concetto giuridico, è un’antica esperienza umana e uno strumento dell’attività economica. L’esperienza è quella del patto, con cui si scambia una parola impegnativa, che lega chi reciprocamente promette: pacta sunt servanda. Questa esperienza della pattuizione non è solo economica, e precede la distinzione, propria della modernità, tra sfera personale e sfera economica’46. Nei diritti moderni le esigenze di certezza portano alla più semplice definizione di contratto, inteso come un accordo di scambio con alla base il consenso delle parti. La nozione moderna che emerge, nel nostro codice, viene individuata nell’art.1321, dove il contratto è definito come «l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale»47. Il contratto è lo strumento con il quale si realizza l’autoregolazione degli interessi in campo patrimoniale. La funzione del contratto è riassunta in due norme: l’art. 1321, il quale definisce il contratto come un accordo che ha la funzione di costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale tra le parti, e l’art. 1372 per cui «il contratto ha forza di legge tra le parti»48, che dà la possibilità, riconosciuta dall’ordinamento giuridico ai privati, di darsi legge nei propri rapporti, in particolare in quelli patrimoniali. Quindi l’effetto del contratto è quello di regolare interessi patrimoniali e i rapporti giuridici che li realizzano. Il contratto è un accordo inteso come un incontro di volontà tra le parti. L’accordo di cui parla l’art. 1321 è un fatto osservabile e accertabile, quindi, si compone di manifestazioni di volontà concordi: parole gesti, comportamenti che servono dà segni con cui le parti manifestano reciprocamente la propria volontà di realizzare degli interessi comuni.
46 X. XXXXXX, Linguaggio e regole del diritto privato, Milano, 2018, 289.
47 Art. 1321 cod. civ.
48 Art. 1372 cod. civ.
L’elemento dell’accordo fa del contratto un atto giuridico bilaterale o plurilaterale, cioè che si compone delle manifestazioni di volontà di due o più parti. Tra le norme che riguardano il contratto in generale, tra quelle che danno un indirizzo sul comportamento che ci deve essere nella contrattazione, si deve fare riferimento alle clausole generali che impongono la buona fede come regola fondamentale in tutte le fasi della realizzazione del contratto. «Nelle trattative e nella formazione dell’accordo le parti sono tenute a comportarsi secondo buona fede»49. ‘È un dovere di correttezza che la legge impone sulla base del fatto che tra due o più soggetti si avvii una trattativa che obblighi a tenere una condotta da persone oneste e leali sia nell’iniziare e nel condurre la contrattazione, sia nel recedere dalle trattative, sia nella stessa conclusione del contratto’50. La buona fede è anche il criterio fondamentale per l’interpretazione del contratto51, cioè per quell’operazione con cui si stabilisce il significato delle manifestazioni di volontà che formano l’accordo contrattuale. Questa norma si completa con la norma dell’art. 1375, che «impone alle parti una condotta di buona fede nell’esecuzione del contratto»52. Il contratto ha degli elementi considerati essenziali, ovvero che non possono mancare, e sono: accordo delle parti, causa, oggetto e forma. A ciascuno di questi requisiti il codice civile dedica una apposita sezione. La mancanza, l’illiceità o il vizio di uno di questi requisiti comporta la nullità o l’annullabilità del contratto. Il primo tra i requisiti elencati indicati nell’art. 1325 è l’accordo53 inteso come la sostanza stessa del contratto, quindi il contratto inteso come atto giuridico. Il requisito dell’accordo si può spiegare attraverso due aspetti: i soggetti e la volontà da essi manifestata.
I soggetti devono essere dotati delle qualità che la legge richiede per poter essere titolari dei rapporti che deriveranno del contratto e per poter validamente manifestare la volontà di contrarre. Quando si parla invece di volontà delle parti, si intende un qualsiasi mezzo di manifestazione o un qualche segno con la quale le parti contraenti comunicano la volontà di contrarre. La manifestazione di volontà si distingue in espressa e tacita. Abbiamo manifestazione espressa quando la volontà
49 Art. 1337 cod. civ.
50 X. XXXXXX, Linguaggio, cit., 294.
51 Art. 1336 cod. civ.
52 Art. 1375 cod. civ.
53 Art. 1325 cod. civ.
è dichiarata, cioè comunicata con parole, per iscritto oppure oralmente. Si ha invece manifestazione tacita quando ‘non si impiegano segnali che abbiano lo scopo di comunicare la volontà, ma ci si comporta in un modo che implica la volontà di contrarre’54.
La menzione della causa tra gli elementi essenziali del contratto fa intendere che nel nostro ordinamento la funzione giuridica del contratto, ovvero trasferire diritti e creare obbligazioni, deve sempre essere collegata ad una funzione economico- sociale. La giurisprudenza, sulla spinta di una parte della dottrina, ha rivisto la nozione di causa del contratto, precisando che occorre tenere in considerazione anche il concreto assetto di interessi realizzato dalle parti. La causa manca quando il contratto non può fin dall’origine produrre uno dei suoi effetti essenziali, perché ne mancano i presupposti giuridici. Bisogna infine distinguere la causa dal motivo perché ‘la causa è la funzione costante, che si conosce nel complesso dei suoi effetti essenziali; il motivo è la ragione individuale soggettiva che spinge la parte ad utilizzare quel determinato schema’55.
Il terzo degli elementi essenziali del contratto è l’oggetto. Il codice non ci fornisce una definizione ma ne stabilisce invece i requisiti. L’oggetto deve essere ‘possibile, lecito, determinato o determinabile’56. Quanto ai requisiti, la possibilità dell’oggetto equivale sostanzialmente alla possibilità delle prestazioni, ovvero che quest’ultima sia realizzabile. L’oggetto del contratto è lecito quando la prestazione non è contraria alla legge. Illecito è perciò l’oggetto contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. L’oggetto infine deve essere determinato o determinabile. Nei contratti obbligatori dovrà essere definita la prestazione dedotta in obbligazione. Nei contratti traslativi dovrà essere identificata la cosa di cui si conviene la vendita, o in caso di cosa generica, numero, misura o quantità delle cose alienate. La determinazione può dipendere dal contesto del contratto, ed essere il risultato di un lavoro di interpretazione. Determinabile è poi l’oggetto quando esistono criteri che ne consentono la determinazione. L’ultimo requisito essenziale previsto dall’art. 1325 è la forma. Nessun contratto può essere privo di forma, cioè di un mezzo che manifesti la volontà delle parti. L’art.1325 comma 4 usa in modo
54 X. XXXXXX, Linguaggio, cit., 302.
55 X. XXXXXX, Linguaggio, cit., 317.
56 Art. 1346 cod. civ.
più specifico il termine forma, per indicare i casi in cui è richiesta una particolare forma, ovvero la forma scritta. La forma dei contratti è di regola libera, le parti possono liberamente scegliere il modo in cui manifestare il consenso a condizione che il mezzo scelto sia idoneo. Una forma determinata è necessaria per la validità dell’atto, la cui mancanza è normalmente causa di nullità (forma scritta); in altri casi la forma scritta non è richiesta a pena di nullità, ma solo per la prova in giudizio. Oltre agli elementi essenziali elencati nell’art. 1325 bisogna distinguere gli elementi accidentali del contratto, ovvero clausole contrattuali legati ad un espressa volontà delle parti. Tuttavia, quando inseriti nell’accordo delle parti, essi ne costituiscono parte integrante e vanno ad incidere sugli effetti del negozio giuridico.
Il primo degli elementi accidentali è la condizione, definita dall’art. 1353 come una clausola con cui le parti possono ‘subordinare l’efficacia o la risoluzione del contratto o di un singolo patto a un avvenimento futuro e incerto’57.
Si distingue quindi la condizione risolutiva, quella che, sciogliendo il vincolo, fa venire meno gli effetti del contratto, dalla condizione sospensiva che sospende gli effetti del contratto fino a che non si verifichi l’avvenimento.
Successivamente alla condizione abbiamo il termine, è un evento futuro (cioè non ancora verificatosi) e certo a partire dal quale (dies a quo o termine iniziale) o fino al quale (dies ad quem o termine finale) il negozio produrrà effetti. Infine, come ultimo elemento accidentale abbiamo l’onere, che non è espressamente disciplinato dal legislatore ma si riscontra in diverse norme. Lo troviamo per esempio nella donazione art. 793 del cod. civ. Si tratta di un obbligo imposto al beneficiario che è tenuto ad adempierlo nei limiti del valore della cosa donata. L’onere non muta la causa del contratto, quindi non è una prestazione corrispettiva.
2. Autonomia contrattuale ed efficacia del contratto.
L’autonomia contrattuale è il potere, che viene attribuito a ciascun soggetto, di regolare liberamente i propri interessi nei limiti previsti dall’ordinamento giuridico. Nel codice civile viene disciplinato dall’art. 1322 a norma del quale ‘le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla
57 Art. 1353 cod. civ.
legge e dalle norme corporative’58. La disposizione citata chiarisce anche che i contraenti utilizzare contratti tipici per perseguire finalità atipiche, purché le stesse siano meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Le parti, infine, possono scegliere la forma del contratto salvo i casi previsti dalla legge. I limiti alla libertà di determinare il contenuto del contratto possono avare origine legale, nei casi previsti dalla legge o convenzionale, cioè per la volontà delle parti, e possono incidere sostanzialmente sulla decisione di stipulare o meno il contratto o sulla scelta del contraente.
Nel momento in cui un contratto viene concluso, nasce tra i contraenti un vincolo (legame giuridico), quindi le parti sono legate dal contratto e non possono liberarsi se non nei casi previsti dalla legge. I contraenti, esercitando la loro autonomia, stabiliscono un regolamento di interessi che sono tenuti a rispettare ed eseguire. Il contratto ‘è fonte di una legge privata che ha, per le parti, la forza prescrittiva propria delle norme giuridiche’59. Questa definizione specifica che le parti devono rispettare categoricamente quanto contenuto nel contratto. Il codice civile detta proprio una tale norma all’art. 1372: ‘il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge. Il contratto non produce effetto verso ai terzi se non per i casi previsti dalla legge’60. Il contratto crea questo legame di vincolo tra le parti al momento della conclusione, prima di questa le parti rimangono libere di scegliere se stipulare o meno. Il concetto di forza di legge si riferisce solo a quanto dispone il contratto stesso ed implica che le parti non possano liberamente sciogliere il contratto, però vi è la possibilità di farlo quando è previsto dalla legge o dal contratto stesso.
Dalla bibliografia a disposizione, si desume che l’efficacia del contratto varia a seconda della tipologia del contratto. Gli artt. 1376 e seguenti sono dedicati ai contratti che il codice definisce con efficacia reale. L’art.1376 enuncia che: «Nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la costituzione, o il trasferimento di un diritto reale o il trasferimento di un altro diritto, quest’ultimo si trasmette e si acquista per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato»: questo principio è qualificato come
58 Art. 1322 cod. civ.
59 X. XXXXXX, Linguaggio, cit., 331.
60 Art. 1372 cod. civ.
consensualistico’61.
Successivamente abbiamo i contratti ad efficacia obbligatoria, per il quale il legislatore non indica delle norme generali. I loro effetti sono semplicemente regolati dalle norme previste per i singoli contratti e dalle regole generali sulle obbligazioni. È invece importante specificare la distinzione tra contratti con efficacia immediata, dove gli effetti nascono istantaneamente come ad esempio nella compravendita, e tra i contratti di durata, i cui effetti si prolungano nel tempo, perché l’esecuzione può avvenire in modo differito, continuato o periodico.
Per poter comprendere quali effetti produrrà il contratto bisogna innanzitutto determinare la manifestazione della volontà delle parti attraverso l’interpretazione del medesimo. Per capire al meglio il concetto facciamo riferimento all’art 1362 che enuncia che ‘nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole’62. La regola generale per l’interpretazione ci viene indicata dall’art.1366 dove si enuncia il principio della buona fede. Questo significa che all’accordo deve essere dato quel significato che verrebbe attribuito ad una persona corretta e leale. Non sempre però risulta chiaro risolvere il problema dell’interpretazione, in quanto alcuni contratti potrebbero avere dei significati dubbi. La legge reagisce a questa difficoltà con alcuni criteri che hanno il fine di sciogliere i dubbi in caso di contratti incerti. Si veda ad esempio l’art. 1367, il quale enuncia che ‘nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché quello secondo cui non ne avrebbero alcuno’63 oppure gli articoli seguenti fino al 1371, i quali regolano alcuni casi dove l’interpretazione del contratto risulta dubbia. Tra la volontà manifestata e gli effetti che il contratto si deve realizzare una corrispondenza. Quindi si può definire il contratto tramite l’integrazione, ovvero ‘quel procedimento che, sulla base dell’accordo manifestato tra le parti, ne completa il contenuto o ne determina compiutamente gli effetti’64.
Concludendo il discorso sugli effetti che produce il contratto, sappiamo per definizione che esso ha forza di legge tra le parti, ma non produce effetti rispetto ai
61 Art. 1376 cod. civ.
62 Art. 1362 cod. civ.
63 Art. 1367 cod. civ.
64 X. XXXXXX, Linguaggio, cit., 338.
xxxxx se non nei casi previsti dalla legge. Questo riguarda il principio di relatività contenuto nell’art. 1372 e significa che i diritti e gli obblighi che nascono dal contratto potranno produrre effetti solo in capo alle parti contraenti e non nei terzi. Il legislatore però, all’interno del codice civile, indica un’eccezione per la quale gli effetti vengono imputati in capo ai terzi. Parliamo proprio del contratto a favore di terzi, disciplinato dagli artt. 1411 e seguenti. Si tratta di quella tipologia di contratti nella quale abbiamo un promittente che si obbliga nei confronti dell’altra parte stipulante, ad eseguire una prestazione a favore di un terzo. L’art. 1411 al secondo comma precisa che ‘Salvo patto contrario, il terzo acquista il diritto contro il promittente per effetto della stipulazione’65.
3. Contratto valido e contratto invalido.
Come abbiamo analizzato precedentemente, il contratto crea un vincolo che lega giuridicamente le parti. Tuttavia questo vincolo potrebbe non formarsi perché manca un elemento essenziale del contratto, oppure potrebbe formarsi ma avere delle imperfezioni che lo rendono fragile. Il vincolo contrattuale inoltre potrebbe anche formarsi correttamente, ma sciogliersi successivamente per fatti sopravvenuti che incidono sul rapporto. Un contratto viene definito valido quando si è formato in modo conforme a quanto prescrive la legge, quando ci sono tutti i requisiti essenziali senza difetto; quindi risulta idoneo a produrre effetti. Opposto invece è il contratto considerato invalido, il quale si è formato in un modo non conforme alla legge e di conseguenza viene considerato nullo o annullabile. Nel primo caso è totalmente inidoneo a produrre effetti, nel secondo caso il contratto non è idoneo a produrne di stabili. Bisogna però specificare che un contratto invalido può essere efficace e che un contratto valido può essere inefficace. Il legislatore considera nullo il contratto che non è idoneo a produrre effetti fin dall’origine. In altri casi invece il legislatore ritiene opportuno disporre che ‘il contratto produca i suoi effetti, ma che sia dato ad una delle parti il potere di chiedere al giudice di toglierli di mezzo’66. Quindi il contratto è inidoneo a produrre effetti definitivi, ma dà luogo a effetti fragili, che possono tuttavia consolidarsi. La nullità del contratto viene
65 Art. 1411, comma 2, cod. civ.
66 X. XXXXXX, Linguaggio, cit., 353.
enunciata nell’art. 1418: «il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente»67. La nullità si fonda quindi sulla violazione di una norma inderogabile, che regola l’esercizio dell’autonomia privata. Più precisamente, la nullità consegue nella mancanza di uno dei requisiti essenziali del contratto, nei casi di contratto illecito, ovvero illiceità di causa, oggetto, motivo o condizione, oppure negli altri casi stabiliti dalla legge. Il presupposto rimane quello indicato nell’art. 1418 precedentemente, ovvero ogni volta che un contratto viola una norma imperativa, è nullo, a meno che la legge non disponga diversamente. Questo per specificare che la nullità non ha bisogno di essere stabilita di volta in volta ma essa si realizza ogni volta che il presupposto si verifica. Tra le cause principali di nullità, la prima è la mancanza di uno degli elementi essenziali dell’art. 1325. Come detto nei paragrafi precedenti, il primo tra gli elementi essenziali del contratto è l’accordo e questo può mancare per i soggetti o per la volontà manifestata. Per quanto riguarda i soggetti, la nullità si verifica quando uno di questi manca completamente, ma anche nei casi in cui il soggetto difetta di capacità giuridica. Parlando invece della volontà delle parti contraenti, il contratto viene considerato nullo quando manca una dichiarazione di volontà. In questi casi rientrano per esempio il contratto per effetto di violenza assoluta o fisica, perché non esprime la volontà di una parte, ma in queste due parti è presenta una costrizione. La mancanza dell’accordo come causa di nullità riguarda un contratto già concluso. La mancanza della causa, ovvero della funzione economico-sociale che permette di raggiungere l’obiettivo, comporta la nullità del contratto. Anche per la mancanza dell’oggetto si può richiamare a quanto detto a proposito dei requisiti del contratto, ovvero se l’oggetto risulta impossibile, inesistente o indeterminabile il contratto è nullo. Ma non sempre questo si verifica, perché abbiamo un’eccezione quando le parti non hanno determinato l’oggetto ma si può avere la sua determinazione nei casi previsti dall’art 1474 del codice civile. Concludendo con gli elementi essenziali del contratto, produce nullità il contratto che presenta mancanza di forma richiesta per la validità dell’atto.
La seconda causa di nullità del contratto abbiamo detto essere l’illiceità. Ovvero
essere in contrasto con norme imperative, con l’ordine pubblico o con il buon
67 Art. 1418 cod. civ.
costume. Il contratto illecito si verifica quando è illecito uno dei suoi elementi essenziali o quando sono illeciti il motivo comune ad entrambe le parti o la condizione. Il motivo viene considerato illecito quando le parti si sono determinate a concludere il contratto esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe. L’art. 1354 invece specifica che ‘è nullo il contratto al quale è apposta una condizione, sospensiva o risolutiva, contraria a norme imperative, ordine pubblico o buon costume’68. L’art. 1344 cod. civ. estende l’illiceità della causa anche nel caso in cui il contratto costituisce il mezzo per eludere, ovvero aggirare, l’applicazione di una norma imperativa.
Infine come ultima causa di nullità l’art. 1418 parla di altri casi previsti dalla legge, ovvero tutti quei casi che sono riconducibili a dei testi normativi, sia nel codice civile, sia in leggi collegate. Per quanto riguarda invece l’annullabilità del contratto, a differenza della nullità, il codice non dà una definizione generale sulla quale si fonda il concetto. Negli artt. 1425 e seguenti sono disciplinate le cause che si riferiscono ai difetti dei requisiti essenziali del contratto (capacità e volontà).
In questo articolo viene definito annullabile il contratto per incapacità legale di una delle parti. ‘L’espressione fa riferimento al minore, all’interdetto, al minore emancipato. all’inabilitato per gli atti di straordinaria amministrazione compiuti senza l’assistenza del curatore ed infine al soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno per gli atti compiuti in violazione delle regole contenute nel provvedimento del giudice che istituiva la figura dell’amministratore di sostegno.’69 L’annullabilità si riferisce anche ai rappresentanti legali dell’incapace nel caso in cui presentino dei difetti e non rispettino le norme che prevedono la necessità dell’autorizzazione giudiziale per atti di straordinaria amministrazione e di disposizione. L’art. inoltre parla di incapacità di intendere e di volere, ma per spiegare ciò fa rinvio ad un'altra norma ovvero all’art. 428. Viene considerato annullabile il contratto che viene stipulato da un soggetto incapace di intendere o di volere, questa incapacità deriva da un grave pregiudizio, quindi non basta dimostrare che l’incapace non avrebbe dato il consenso se fosse stato lucido, occorre dimostrare che è stato gravemente pregiudicato dall’atto. Il secondo comma
68 Art. 1354 cod. civ.
69 X. XXXXXX, Linguaggio, cit., 357.
dell’articolo prevede il requisito della malafede dell’altro contraente: ‘L’annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia derivato o che possa derivare alla persona incapace di intendere e di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la malafede dell’altro contraente’70.
Possiamo dire che la nullità è virtuale, cioè può sussistere dove se ne riconoscono i presupposti senza espressa previsione, mentre l’annullabilità è testuale, cioè richiede una esplicita e specifica previsione. Concludiamo l’argomento parlando delle azioni di nullità e di annullamento. Le prime vengono regolate dagli artt. 1419 e seguenti, mentre le azioni di annullabilità vengono tutelate dagli artt. 1441 e seguenti. ‘La prima regola riguarda la legittimazione ad agire. La nullità è assoluta, cioè può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata d’ufficio, mentre l’annullamento è relativo, cioè può essere fatta valere solo dalla parte che ne abbia interesse se la legge lo prevede’71. Nell’ambito del contratto la regola ha poche eccezioni. La nullità relativa è prevista solo in alcuni casi tutelati dal diritto bancario, mentre l’annullamento viene considerato assoluto nel caso di incapacità derivante da interdizione legale. Un’altra distinzione importante riguarda la convalida del contratto, in quanto nella nullità non è ammessa mentre nell’annullamento si può esercitare la convalida del contratto tramite un atto unilaterale che contenga la causa di annullabilità e la dichiarazione che fa intendere la convalida. Importante fare una serie di osservazioni riguardanti il rapporto di invalidità ed efficacia del contratto nei casi di nullità ed annullamento. La sentenza di nullità è dichiarativa, cioè accerta una situazione esistente di conseguenza non produrrà effetti mentre l’annullamento deriva da una sentenza costitutiva, cioè causa una modifica andando ad eliminare un contratto che fino ad allora era efficace. Questo diverso funzionamento delle due forme di invalidità si rafforza con le norme sulla prescrizione, in quanto l’azione nulla non si prescrive, mentre l’azione di annullamento si prescrive in cinque anni dalla conclusione del contratto. Infine, la differenza tra le due azioni si completa con l’opponibilità nei confronti dei terzi. Secondo l’art. 1445 l’annullamento ‘non pregiudica i diritti acquistati dai
70 Art. 428, comma 2, cod. civ.
71 X. XXXXXX, Linguaggio, cit., 365.
terzi in buona fede e a titolo oneroso, salvi gli effetti della trascrizione della
domanda’72
Non esiste invece una norma generale di salvaguardia del terzo nel caso della nullità, sicché si applica in pieno il principio secondo cui chi non è titolare di un diritto non può trasmetterlo ad altri.
4. Scioglimento del contratto.
Con lo scioglimento del contratto si intende la chiusura anticipata di esso, quindi gli effetti vengono a cessare. Il vincolo giuridico che si era creato tra le parti contraenti si scioglie e dunque cade la relazione tra le parti e i diritti e gli obblighi derivanti dal contratto vengono meno. Lo scioglimento del contratto può derivare dalla volontà delle parti. ‘il contratto non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge’73. Per riferirsi alla chiusura anticipata del contratto, spesso viene fatto riferimento a termini risoluzione, recesso del contratto o anche rescissione del contratto, come se questi fossero sinonimi. In questo paragrafo li analizzeremo singolarmente in modo tale da poterli distinguere. La risoluzione del contratto viene regolata dagli artt. 1453 e successivi e riguarda i contratti a prestazioni corrispettive, cioè quella categoria di contratti in cui le prestazioni dovute dalle parti sono tra loro connesse, al punto che l'una costituisce il corrispettivo dell'altra. Si parla in tal caso di nesso "sinallagmatico" tra le obbligazioni nascenti dal contratto. Nel rapporto che nasce tra questi contratti ci potrebbero essere dei difetti funzionali del sinallagma che si possono verificare in tre casi indicati nel codice civile. Il primo caso riguarda la risoluzione per inadempimento, ovvero quando una delle due parti non adempie alla sua prestazione. In questi casi la controparte può insistere perché l’altra adempia alla prestazione, nel caso in cui convenga continuare con l’attuazione del contratto, oppure tutelarsi liberandosi dal vincolo contrattuale e chiedere il risarcimento del danno. L’art. 1453 contiene proprio questa fattispecie: ‘quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o
72 Art. 1445 cod. civ.
73 Art. 1372 cod. civ.
la risoluzione del contratto, salvo in ogni caso, il risarcimento del danno’74. Bisogna però fare una precisazione in quanto l’art. 1455 spiega che la condizione per il quale si verifichi la risoluzione è che l’interesse di una delle parti sia seriamente insoddisfatto, quindi non basta esclusivamente l’inadempimento. Quando si sceglie di proseguire, insistendo nei confronti dell’altra parte perché questa adempia, ci troviamo in una situazione reversibile perché si può chiedere lo stesso la risoluzione, anche dopo aver promosso il giudizio per la condanna dell’altra parte. Invece diventa irreversibile la scelta della risoluzione poiché si è verificato un disinteresse definitivo per l’adempimento. Nel contratto può essere inserita la clausola risolutiva espressa, cioè quella clausola che prevede lo scioglimento del contratto nel caso in cui non avvenga l’inadempimento di una o più obbligazioni. In questi casi la risoluzione avviene in automatico senza la necessità di provvedimenti, ma ‘la risoluzione si verifica solo quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola risolutiva’75. L’interesse ad ottenere l’adempimento decade quando viene fissato un termine essenziale nell’interesse dell’altra per il conseguimento della prestazione. L’art. 1457 spiega che il carattere essenziale del termine dipende dalla natura della prestazione o dal complesso del contratto. Nel codice civile vengono indicati due modi per poter esercitare la richiesta di risoluzione del contratto: la domanda giudiziale, dove la parte adempiente può chiedere al giudice di risolvere il contratto e di eventualmente condannare l’altra parte a restituire la prestazione. Il secondo modo invece è per via extragiudiziale, dove è sempre possibile ottenere la risoluzione attraverso una diffida ad adempiere, cioè ‘un atto scritto con cui si intima all’altra parte di adempiere entro un termine adeguato, non inferiore a quindici giorni, con dichiarazione che, trascorso il termine, il contratto si intenderà risoluto’76. Le parti di un contratto possono rifiutarsi di adempiere alla propria obbligazione, se l’altra parte non adempie contemporaneamente. Questa eccezione non può essere opposta se ‘sono stabiliti termini diversi per le due prestazioni, se il rifiuto è contrario alla buona fede’77.
74 Art. 1453 cod. civ.
75 Art. 1456 cod. civ.
76 X. XXXXXX, Linguaggio, cit., 376.
77 Art. 1460 cod. civ.
Il secondo caso di scioglimento del contratto è la risoluzione per impossibilità sopravvenuta. Questa libera il debitore quando diventa impossibile, per cause non imputabili al medesimo, una delle prestazioni dovute e quindi decade il rapporto di corrispettività: l’impossibilità causa automaticamente la risoluzione del contratto. Si potrebbe verificare il caso di impossibilità parziale quando una sola parte della prestazione diventa impossibile. Secondo l’art. 1464 l’altra parte ha diritto ad una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta nel caso in cui vi abbia interesse, altrimenti può decidere di recedere dal contratto. Infine l’ultimo caso riguardante la risoluzione del contratto è l’eccessiva onerosità, ovvero quando si altera il rapporto di corrispettività stabilito nel contratto, perché una prestazione diventa troppo onerosa rispetto l’altra. La risoluzione per eccessiva onerosità può essere richiesta esclusivamente in presenza di contratti, l’attività dei quali si protragga nel tempo: infatti, si presuppone che il cambiamento sia sopraggiunto e che non potrebbe verificarsi in presenza di un contratto che produce effetti immediatamente. L’elemento comune in questi tre casi di risoluzione sono gli effetti dello scioglimento del contratto. La risoluzione ha effetto retroattivo tra le parti, tranne nel caso delle prestazioni periodiche o continuate dove l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite. La risoluzione però è inopponibile ai terzi e quindi ‘non pregiudica i diritti da loro acquistati’78.
Il recesso è la facoltà prevista, in favore di una o di entrambe le parti di un accordo, di interrompere il contratto. Il recesso provoca lo scioglimento del vincolo contrattuale, di conseguenza vengono meno i diritti e gli obblighi nascenti dal contratto. Questo diritto viene enunciato nell’art. 1373 del codice civile: «Se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione.»79 Questa regola non vale per i contratti di durata, ovvero quei contratti che richiedono un’esecuzione periodica e continuata. In questi casi il secondo comma dell’art. 1373 specifica che il recesso ha la funzione di consentire ad una parte di far cessare gli effetti del contratto a partire dal momento del recesso. Nel comma successivo viene enunciato il caso in cui venga stipulata la prestazione di un corrispettivo per il
78 Art. 1458, comma 2, cod. civ.
79 Art. 1373 cod. civ.
recesso, cioè una prestazione in denaro a carico del recedente. In questi casi il recesso produce effetti solo nel momento in cui questa somma viene pagata. In questo caso può rientrare anche la caparra, ovvero la somma versata al momento della conclusione del contratto. (Caparra Penitenziale). Importante ricordare ‘il codice del consumo’80, il quale introduce una regolamentazione unitaria del recesso applicabile alle diverse fattispecie di contratti del consumatore. La facoltà di recesso riconosciuta al consumatore è proprio un diritto di pentimento. In merito a questa abbiamo avuto un importante provvedimento normativo che viene disciplinato dal decreto legislativo 21/2014 che ha recepito la direttiva 2011/83 UE sui diritti dei consumatori: il recesso può essere esercitato entro 14 giorni dalla conclusione del contratto per la prestazione di servizi o dal giorno in cui il consumatore acquisisce il possesso del bene nel caso della vendita. Anche la rescissione determina lo scioglimento di un contratto. Essa può essere ottenuta solamente in caso di vizio iniziale del rapporto contrattuale e si verifica solo nei casi previsti dal legislatore. La rescissione viene disciplinata dagli artt. 1447 e successivi del codice civile. In particolare, l’art. 1447 cod. civ. si occupa della rescissione del contratto concluso in stato di pericolo: ‘Il contratto con cui una parte ha assunto obbligazioni a condizioni inique, per la necessità, nota alla controparte, di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, può essere rescisso sulla domanda della parte che si è obbligata’81. Quindi le differenze tra rescissione, risoluzione e recesso sono: La rescissione può essere ottenuta quando una delle parti si trova in uno stato di pericolo o in uno stato di bisogno, ovvero in quelle situazioni dove una delle parti si trova in uno stato di debolezza con la conseguenza di un profitto dell’altra parte. Nel caso della risoluzione, invece, il contratto nasce valido e regolare, senza vizi, ma durante il suo corso ci sono degli eventi che lo rendono non più equo (eccessiva onerosità), impossibile (impossibilità sopravvenuta), non corretto (inadempimento di una parte). Infine, nel recesso il contratto viene meno nel momento in cui viene comunicata la volontà di recedere e le prestazioni già effettuate devono essere restituite.
80 D. lgs. 6 settembre 2005, n. 206
81 Art. 1447 cod. civ.
In questa ricerca ci siamo proposti di analizzare l’evoluzione storica del contratto. Lo studio è iniziato con l’analisi storica della materia contrattualistica a partire dal diritto romano, dalla bipartizione di Gaio alla quadripartizione di Giustiniano; successivamente, mi sono soffermato sulla materia contrattuale nei vari ordinamenti. Nei paesi di civil law oltre al codice civile italiano, ho investigato il codice napoleonico, il BGB tedesco, il codice austriaco e, infine, la struttura contrattualistica dei paesi di common law, al fine di evidenziarne i punti di divergenza.
Soffermandosi su quest’ultimo aspetto notevoli sono le differenze dal punto di vista storico in quanto i due ordinamenti hanno origini ben diverse. Invero, ‘il modello di civil law è un ordinamento giuridico che si basa sul diritto romano e viene adottato principalmente dai paesi dell’Europa continentale’82, mentre il modello contrattuale del common law ‘affonda le sue radici nel diritto inglese che comprende numerosissimi ordinamenti a causa del notevole successo e della estesa circolazione del modello’83. In questi ordinamenti il diritto si mostra ‘più pronto a trattare le questioni in termini concreti e storici che a pensare sistematicamente e per astrazioni’84, mentre in quelli di civil law ‘il diritto è diretto a dare regole di condotta generale ed astratte per assicurare un ordine sociale in grado di conciliare gli interessi, di qualunque tipo, dei privati e della collettività’85.
Nei due ordinamenti diversa è anche la stessa concezione del diritto. Infatti, ‘assume una forma legale nei paesi del sistema romanista, mentre nei paesi di common law la regola è tradizionalmente giurisprudenziale, nel senso che la sua formulazione non si trova in un testo autorevole emanato dal legislatore ma nelle decisioni assunte dai giudici’86. Di conseguenza avremo anche delle differenze per quanto riguarda il sistema delle fonti dell’ordinamento giuridico, dove nei sistemi di civil law è gerarchicamente ordinato, mentre nei paesi di common law il sistema risulta coeso
00 X. XXXXXXXX, Xx tradizione, cit., 108.
00 X. XXXXXXXX, Xx tradizione, cit., 250.
84 E. IMPARATO, Common Law v Civil Law. tra formanti, canoni ermeneutici e giurisprudenza quali contaminazioni, in Fed. It., I.4, 2016, 3.
85 E. IMPARATO, Common Law, cit., 3.
86 E. IMPARATO, Common Law, cit., 4.
per xxx xxx xxxxxxxxx xxxxx stare decisis. Un ulteriore differenza riguarda il metodo scelto dal giudice per risolvere le controversie. Nei paesi di origine romana, si parte dalla norma generale scritta, che poi verrà applicata dal giudice, mentre nei paesi di common law si privilegiano la fattispecie concreta e le decisioni del giudice che seguono la regola del precedente, ovvero si provvede ad applicare le norme che sono state utilizzate per risolvere analoghe controversie precedenti. Questo perché i paesi di common law hanno la caratteristica di avere un sistema aperto, e ciò li rende più omogenei e unificati tra loro. Non è un caso, infatti, che ‘tra i fattori unificanti è da considerarsi la comunanza linguistica, che favorisce l’omogeneità a la completa l’interscambiabilità di categorie e concetti giuridici’87.
Come dimostrato in precedenza, è importante distinguere il ruolo che assume la giurisprudenza nei due ordinamenti. Prendiamo come esempio il nostro. Nel codice civile italiano, all’art. 1 delle disposizioni preliminari che elenca quali sono le fonti, non troviamo la giurisprudenza. Un’altra norma, ovvero l’art. 12 delle disposizioni preliminari, esclude l’attività creativa dei giudici dicendo che ‘nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore’88. Oltre all’interpretazione letterale citata in questo articolo, viene previsto il criterio di interpretazione logico-sistematico, da adottare in via sussidiaria al primo e consiste nell’individuare la ratio analizzando il sistema normativo vigente. Questo viene previsto solo nei casi in cui non vi sia possibile effettuare una corretta interpretazione della norma. Tutto ciò per dimostrare che ‘nel nostro sistema non è dalla fattispecie concreta o comunque da dati esterni estranei al testo normativo che si deve risalire alla norma prevista dal legislatore’89. Tutto ciò non accade nei sistemi di origine anglosassone, dove l’assenza di una codificazione, e i principi che regolano i paesi di common law, concedono alla giurisprudenza una sorta di libertà nelle decisioni, seppur sempre applicate tenendo conto della ratio. Queste sono le principali differenze che rispecchiano in linea teorica i due diversi modelli di ordinamento.
Alla luce dei risultati ottenuti possiamo affermare che l’istituto del contratto ha delle
87 X. XXXXXXXX, La tradizione, cit., 250.
88 Art. 12 disp. prel.
00 X. XXXXXXXX, Xxxxxx, cit., 14.
caratteristiche diverse a seconda dell’ordinamento giuridico. Confermando il funzionamento dei paesi di civil law, in Italia, si è potuto vedere come la materia contrattuale venga regolata dal codice civile (artt. 1321 e seguenti), quindi abbiamo delle nozioni ben precise. Tutto questo invece non accade nei paesi di common law dove si è avuto modo di constatare, nel secondo capitolo di questa ricerca, come questo tipo di ordinamento non fornisca una nozione precisa di contratto in quanto risulta difficile darne una definizione di carattere generale. Infatti, negli ordinamenti di origine anglosassone troviamo distinzioni tra diverse situazioni giuridiche come la promise, l’agreement o la convention. Le differenze principali le troviamo anche nell’attuazione dei principi che regolano il contratto. Nel codice civile vige il principio per il quale una volta stipulato il contratto, tra le parti si crea un legame giuridico e quindi il contratto assume un carattere vincolante. Nel common law invece, si segue il principio della freedom of contract, dove il contratto è il risultato dell’accordo di volontà delle parti: quindi sono libere di concluderlo, e di determinare liberamente il contenuto senza che intervenga il legislatore. Diverso invece è il concetto della buona fede nei diversi ordinamenti. Il codice civile dispone all’art. 1337 la formazione del contratto seguendo questo principio, quindi le parti devono comportarsi secondo la buona fede. Abbiamo visto che tale principio, non si manifesta nei paesi di common law, in quanto l’ordinamento si limita al principio dell’equity per garantire la libertà contrattuale delle parti e perché si ritiene che le parti debbano essere in grado di tutelare i propri interessi e che il compito della legge è solo quello di garantire l’equità del procedimento negoziale. Per quanto riguarda gli elementi considerati essenziali dall’art. 1325 del codice civile, abbiamo una corrispondenza nei paesi di common law per in merito all’accordo delle parti, che in entrambi gli ordinamenti deve dimostrare la manifestazione di volontà delle parti, e dell’oggetto che in entrambi gli ordinamenti deve essere lecito, possibile e determinabile. Le distinzioni riguardano la causa del contratto, che viene messa in contrapposizione alla consideration, ovvero alla corrispettività delle prestazioni che ciascuno dei contraenti esegue, e la forma del contratto perché, come abbiamo detto in precedenza, nel common law vige il principio della freedom of contract, mentre nel civil law, il codice parla di libertà della forma nei limiti previsti dalla legge. Comunque questo rappresenta un limite
che non si profila nell’altro tipo di ordinamento. Possiamo quindi dire che nei paesi di common law il contratto prende la forma di una promessa che le parti si impegnano a mantenere, mentre nel civil law, il contratto assume proprio la forma di un accordo che crea un legame giuridico alle parti e le vincola. Infine possiamo dire che all’inizio i due ordinamenti venivano messi a confronto solo per mettere in risalto le diversità, mentre nel corso del tempo, le distinzioni dei due modelli ha costituito il punto di partenza per i primi studi comparatistici: ora, alla tendenza alla deregulation emergente negli ordinamenti di civil law si affiancano venature codificatorie proprie dei paesi anglosassoni, sicché una dicotomia troppo rigida tra i due sistemi continua a essere propalata sul piano didattico, ma corrisponde sempre meno alla realtà fattuale.
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diritto romano, Milano, 1946.
- CRISCUOLI G., Il contratto nel diritto inglese, Padova, 2001.
- XXXXXXX. J, The Law of Torts, Xxxxxx, 0000.
- XXXXXXX F., Contratto e impresa/Europa, Milano, 2016, pp. 311-328.
- XXXXXXXX L., Contratto, obbligazione e convenzione in Xxxxx Xxxxx, Xxxxxx, 0000.
- GROSSO G., Il sistema romano dei contratti, Torino, 1963.
- E. IMPARATO, Common Law v Civil Law. tra formanti, canoni ermeneutici e giurisprudenza quali contaminazioni, in Fed. It., I.4, 2016, 3.
- IUDICA G., Linguaggio e regole del diritto privato, Milano, 2018.
- MANFREDINI. A., Istituzioni di diritto romano, Torino, 2007.
- XXXXX X., Codice civile tedesco-Burgerliches gesetzbuch, 2013.
- XXXXXX X., Upon the law of contracts and agreements, 0000
- XXXXXXX X., Il contratto nel pensiero di Xxxxxxx, Xxxxxxx, 0000.
- VOCI P., La dottrina romana del contratto, Milano, 1946.
Fonti giuridiche antiche
Digesta
D. 0.00.0.0: 6, nt. 9.
D. 2.14.7: 5, nt. 5.
D. 0.0.00.0: 9, nt. 16.
D. 00.0.00.0: 10, nt. 17.
D. 44.7.5.4-6: 11, nt. 21.
D. 00.0.0.0: 10, nt. 18.
D. 50.13.6: 11, nt. 21.
Institutiones
I. 4.5: 11, nt. 21. Institutiones di Gaio Gai 3.91: 5, nt. 6.
Fonti giuridiche moderne
RIGHT OF THIRD PARTIES:
ACT. 199: 24.
CODICE CIVILE FRANCESE: Art. 1101: 15, ntt. 26 e 27.
Art. 1102: 15, nt. 28.
Art. 2268: 16, nt. 29.
ORDONNANCE N. 131/2016:
14 e nt. 25.
Disposizioni preliminari e Codice Civile
Art. 12 disp. prel.: 42, nt. 88.
Art. 428 cod. civ.: 35, nt. 70.
Art. 1321 cod. civ.: 26, nt. 47.
Art. 1322 cod. civ.: 30, nt. 58.
Art. 1325 cod. civ.: 27, nt. 53.
Art. 1336 cod. civ.: 27, nt. 51.
Art. 1337 cod. civ.: 27, nt. 49.
Art. 1346 cod. civ.: 28, nt. 56.
Art. 1353 cod. civ.: 29, nt. 57.
Art. 1354, cod. civ.: 34, nt. 68.
Art. 1362 cod. civ.: 31, nt. 62.
Art. 1367 cod. civ.: 31, nt. 63.
Art. 1372 cod. civ.: 26, nt. 48; 30, nt. 60; 36, nt. 73.
Art. 1373 cod. civ.: 38, nt. 79.
Art. 1375 cod. civ.: 27, nt. 52.
Art. 1376 cod. civ.: 31, nt. 61.
Art. 1411 cod. civ.: 32, nt. 65.
Art. 1418 cod. civ.: 33, nt. 67.
Art. 1445 cod. civ.: 36, nt., 72.
Art. 1447 cod. civ.: 39, nt. 81.
Art. 1456 cod. civ.: 37, nt. 75.
Art. 1458 cod. civ.: 38, nt. 78.
Art. 1460 cod. civ.: 38, nt. 77.
Art. 2043 cod. civ.: 10, nt. 19.
D. LGS. 6 SETTEMBRE 2005, N. 206.
Art. 42: 39, nt. 80.
SITOGRAFIA
CONTRATTO in "Enciclopedia Italiana" (xxxxxxxx.xx) xxxxx://xx.xxxxxxxxx.xxx/xxxx/Xxxxxxx_xx_xxxxxxxx xxxxx://xx.xxxxxxxxx.xxx/xxxx/Xxxxxx_xxxxx_xxxxxxx xxxxx://xx.xxxxxxxxx.xxx/xxxx/Xxxxxxx_xxxxxx xxxxx://xxxxxxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxx.xxx?xxx0000 xxxxx://xxx.xxxxxxxx.xx/xxxxxxxxxx/0000.xxxx xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxx.xx/xx-xxxxxxx-xxx-xxxxxxx-xxxxxxxxxxxx-xxxxxxxx/
xxxxx://xxx.xxxxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxx/xxxxxx-xxxxxx-xxxxxxxxxxx_%00Xxxxxxxxxx- di-Storia%29/
RINGRAZIAMENTI
Ci tengo innanzitutto a ringraziare il mio relatore, professor Xxxxxxx Xxxxxxx, e alla dottoressa Xxxxxxx Xxxxxxxx che mi hanno accompagnato in questo percorso e che mi hanno dimostrato infinita disponibilità in questi mesi.
Grazie ai miei genitori, mamma Xxxxxxx e xxxx Xxxx, che mi hanno supportato economicamente ed emotivamente, so che tutto questo non sarebbe stato possibile senza di loro, ve ne sarò sempre grato.
Grazie agi amici stretti, quelli che considero parte della famiglia, Xxxx, Xxxxxx, Xxxx, Xxxxxx per aver condiviso con me i momenti di felicità in questo percorso e per avermi sopportato quando qualcosa invece andava storto.
Ringrazio tutti gli amici che ho siete veramente troppi da nominare, ma ad ognuno di voi dedico questo mio piccolo traguardo.
Auguro a tutti nella vita di trovare degli amici cosi!
Un grazie speciale a Xxxxx, per esserci sempre stata per avermi ricordato ogni volta che lo dimenticavo, di non mollare mai e di credere sempre in me stesso, non servono altre parole, sai già tutto.
Grazie anche ai colleghi dell’università, avete reso il percorso molto più piacevole tra le giornate passate a studiare e agli aperitivi post esame.
Infine, grazie a tutte le persone che non ho menzionato ma che comunque mi hanno accompagnati in questo percorso, avete un posto speciale nel mio cuore.
Sappiate che questo non è il traguardo finale, ma solo l’inizio di tanti altri obiettivi
che mi auguro di poter festeggiare assieme a voi! Il vostro Xxxxxx Xxxxxxxx