INDICE
A Xxxxxxxx
INDICE
INTRODUZIONE
CAPITOLO PRIMO: I CONTRATTI ASIMMETRICI
1.1. Lineamenti di diritto contrattuale
1.2. I contratti di impresa
1.3. Contratto e mercato
1.4. La giustizia contrattuale
1.5. I contratti dei consumatori
1.6. La buona fede oggettiva
1.7. Dal contratto asimmetrico al “terzo contratto”
CAPITOLO SECONDO: IL TERZO CONTRATTO
2.1. Un’ipotesi di studio che diventa formula problematica: il terzo contratto
2.2. I referenti normativi
2.2.1. La legge sulla subfornitura
2.2.1.1. L’abuso di dipendenza economica
2.2.1.2. Gli orientamenti giurisprudenziali
A) La prima ordinanza in materia: Tribunale di Bari, 6 maggio 2002
B) Il caso del Tribunale di Torino: l’ordinanza dell’11 marzo 2010
C) Il caso del Tribunale di Catanzaro: l’ordinanza del 18 aprile 2012
D) La recente sentenza della Corte di Cassazione, sez. III civile, n. 18186, del 25 agosto 2014
2.2.2. I ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali
2.2.3. La legge sul franchising
2.3. La posizione della dottrina: esiste il “terzo contratto”?
CAPITOLO TERZO: NUOVI POSSIBILI REFERENTI NORMATIVI
3.1. Nuove tendenze normative
3.2. La disciplina dei contratti di cessione dei prodotti agricoli e agroalimentari
3.2.1. La speciale disciplina dei termini di pagamento
3.2.2. L’articolo 62, comma 2: abuso di posizione dominante o abuso di dipendenza economica?
3.2.3. Un modello di public and private enforcement
BIBLIOGRAFIA SITOGRAFIA GIURISPRUDENZA RINGRAZIAMENTI
INTRODUZIONE
Il presente lavoro trae origine da un interrogativo: ha senso elaborare una teoria sul “terzo contratto”, con riferimento alla disciplina dei rapporti tra imprese dotate di diseguale forza contrattuale?
La questione si dipana lungo tre capitoli, attraverso un percorso che inizia con alcune riflessioni intorno al contratto asimmetrico, nel contesto della giustizia contrattuale, prosegue con l’approfondimento della teorica sul “terzo contratto”, prestando particolare attenzione ai referenti normativi su cui la stessa si basa (l’abuso di dipendenza economica, i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali e la legge sul franchising), ed infine approda alle nuove tendenze normative, in ordine soprattutto alla disciplina speciale delle relazioni commerciali nel settore agroalimentare.
Un tragitto lungo il quale si intrecciano approfondimenti di tipo dottrinario e pronunce giurisprudenziali, nella convinzione che un istituto può davvero essere compreso se analizzato a tutto tondo, anche nelle applicazioni concrete con cui ogni operatore della giustizia si confronta.
Un viaggio nell’ordinamento italiano ed europeo, alla ricerca delle ragioni di una sempre maggiore tutela dell’imprenditore debole, e nell’ordinamento anglosassone, che viene richiamato attraverso note comparative, per il cui approfondimento si è svolto un periodo di studio e di ricerche presso
l’Institute of European and Comparative Law, della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Oxford.
Una risposta: nuovi possibili referenti normativi alla teoria del “terzo contratto”. La recente disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari apre un varco alla costruzione della teoria, che nell’articolo 62 del decreto Cresci Italia trova un ulteriore riferimento, e viene accolta con favore, soprattutto per la rinnovata centralità assunta dal sistema agroalimentare, come dimostrato in questi giorni dall’Expo 2015.
Una prospettiva attraverso la quale l’obiettivo finale deve essere chiaro: approntare una tutela sempre crescente all’imprenditore debole, preservando al contempo logiche di efficienza del mercato ed istanze di giustizia contrattuale.
CAPITOLO PRIMO
I CONTRATTI ASIMMETRICI
SOMMARIO: 1.1. Lineamenti di diritto contrattuale - 1.2. I contratti di impresa -
1.3. Contratto e mercato - 1.4. La giustizia contrattuale - 1.5. I contratti dei consumatori - 1.6. La buona fede oggettiva - 1.7. Dal contratto asimmetrico al “terzo contratto”
1.1. Lineamenti di diritto contrattuale
Nella materia contrattuale il codice del 1942 si configurava come un prodotto originale rispetto al codice del 1865, in quanto presentava numerose novità. La volontà delle parti conservava un ruolo rilevante, ma si estendeva l'area dell'ingerenza dello Stato nei rapporti contrattuali, su cui incideva come legislatore o giudice. Si ricordano, a titolo esemplificativo, la sostituzione automatica di clausole, il controllo delle condizioni generali di contratto, la discrezionalità interpretativa connaturata alle clausole generali, o i poteri equitativi attribuiti al giudice per integrare il regolamento contrattuale. Altre innovazioni, poi, si potevano cogliere nel diffuso impiego della clausola di correttezza, nei più frastagliati canoni di diligenza, nelle regole sulle trattative, sui contratti di massa e su quelli nominati, per i quali, al criterio ordinante delle prestazioni o del contenuto dell'accordo, si sostituiva il tipo.
Nei primi decenni successivi all'adozione del codice del 1942, la disciplina dei contratti non venne particolarmente incisa, sebbene non fossero mancati importanti provvedimenti in tema di affitto di fondi rustici (si pensi alla legge
12 giugno 1962 n. 567), di contratti agrari (tra l'altro con la legge 15 settembre 1964 n. 756), di locazioni di immobili urbani (sin dalla legge 27 luglio 1978 n. 392) e di contratto di lavoro (ad esempio con la legge 15 luglio 1966 n. 604, seguita dalla legge 20 maggio 1970 n. 300). In seguito, però, la materia è stata interessata da numerosi, rilevanti provvedimenti, da un lato di recezione e regolazione di figure emerse nella prassi, come il factoring (legge 21 febbraio 1991 n. 52), il franchising (legge 6 maggio 2004 n. 129), la cartolarizzazione di crediti (legge 30 aprile 1999 n. 130), i contratti di garanzia finanziaria (decreto legislativo 21 maggio 2004 n. 170); dall’altro per rispondere alle esigenze della prassi, come nel caso della cambiale finanziaria (legge 13 gennaio 1994 n. 43), oppure all'evolvere dei tempi, a causa dell'impiego di nuove tecnologie nella contrattazione, come nel caso della disciplina del commercio elettronico (ad esempio, decreto legislativo 9 aprile 2003 n. 70), o ancora per attuare nuove o mutate policies del diritto, come nel caso, rispettivamente, della disciplina dei contratti aventi ad oggetto forme pensionistiche complementari (decreto legislativo 21 aprile 1993 n.
124) o della riforma delle locazioni di immobili urbani (legge 9 dicembre 1998 n. 431).
Progressivamente, poi, l'evoluzione della disciplina dei contratti, sotto la forte
spinta del diritto comunitario, si è caratterizzata soprattutto per l'introduzione
di particolari forme di tutela di interessi negoziali ritenuti meritevoli di speciale considerazione o, senz'altro, per l'intento di riequilibrare le posizioni delle parti nelle diverse fasi di alcune tipologie di relazioni negoziali contraddistinte dalla disparità di quelle medesime posizioni. Con riferimento alla prima classe di provvedimenti si possono indicare i provvedimenti intesi a potenziare la tutela dell'interesse negoziale di una delle parti del rapporto avverso divisati profili dell'inadempimento, con particolare riguardo al ritardo nel pagamento (decreto legislativo 9 ottobre 2002 n. 231), oppure nel quadro di peculiari operazioni, come nel caso della disciplina a protezione degli acquirenti di immobili da costruire (decreto legislativo 20 giugno 2005 n.
122) oppure in materia di usura (legge 7 marzo 1996 n. 108). In relazione alla seconda classe di provvedimenti, rivolti al riequilibrio del rapporto contrattuale, ossia alla disciplina del cosiddetto «contratto asimmetrico»1 si possono individuare i contratti aventi ad oggetto operazioni o servizi bancari o finanziari (decreto legislativo 1 settembre 1993 n. 385), i contratti aventi ad oggetto servizi di investimento (decreto legislativo 24 febbraio 1998 n. 58), contratti di subfornitura (legge 18 giugno 1998 n. 192), i contratti di assicurazione (decreto legislativo 7 settembre 2005 n. 209) e i contratti dei
1 X. XXXXX, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in Rivista di diritto privato, 2001, 769; ID., Parte generale del contratto, contratti del consumatore e contratti asimmetrici, in AA. VV., Il diritto europeo dei contratti fra parte generale e norme di settore, a cura di X. XXXXXXXXX, Milano, 2007.
consumatori (decreto legislativo 6 settembre 2005 n. 206, il cosiddetto Codice del Consumo)2.
È emersa, dunque, all’interno della materia contrattuale, una nuova categoria logica, la quale viene ricostruita sul tratto unificante delle fattispecie incluse, costituito dall'asimmetria di potere nell'ambito del rapporto tra le parti.
L'asimmetria delle posizioni può essere economica, ma anche relazionale o informativa, rendendola perciò capace di abbracciare i rapporti contrattuali accomunati dalla circostanza che una delle parti sia contraente debole rispetto all'altra3. Tale categoria appare tendenzialmente esaustiva, perché prescinde dall’eventuale soggezione dei diversi rapporti a differenti discipline speciali e dallo status, segnatamente di consumatore o di impresa, del soggetto più fragile.
Secondo Xxxxx, infatti, la formula “contratti asimmetrici” allude “a tutti i contratti in cui si fronteggino due soggetti di mercato caratterizzati da una significativa asimmetria di potere contrattuale: asimmetria che, per il fatto di derivare precisamente dalle rispettive “fisiologiche” posizioni di mercato, si presenta come asimmetria di tipo per l’appunto fisiologico e non patologico”4.
2 Per tale ricostruzione, v. X. XXXXXXX, Diritti della persona, responsabilità civile, diritto dei contratti dal codice del 1865 ad oggi, in Giustizia civile, fasc.4, 2012, 163.
3 Sul punto, X. XXXXXXX, Informazione contrattuale e regole dello scambio, in Rivista di diritto privato, 2004, 555 e M. DE POLI, Asimmetrie informative e rapporti contrattuali, Xxxxxx, 0000.
4 X. XXXXX, Parte generale del contratto, contratti del consumatore e contratti asimmetrici (con postilla sul “terzo contratto”), in Rivista di diritto privato, 4, 2007, 683.
In altri termini, la categoria non comprende solo i contratti del consumatore, ma anche i contratti che legano un imprenditore ad un altro, quando le rispettive posizioni siano, per le obiettive collocazioni di mercato, significativamente asimmetriche in termini di potere contrattuale. Tale categoria, quindi, coprirebbe tutti i contratti che si presentino colpiti da fattori di market failures, ritenendosi che tali fallimenti appartengano alla fisiologia e non alla patologia del mercato, atteso che la concorrenza perfetta esiste solo nella teoria e, dunque, il mercato è sempre fisiologicamente esposto a fallimenti.
Il legislatore italiano, dunque, nel recepire nel nostro ordinamento le prescrizioni comunitarie, ha proceduto alla codificazione di nuove categorie contrattuali e alla disciplina di nuovi istituti che hanno minato l'unitarietà del sistema contrattuale. Oggi non esiste più il solo contratto di diritto comune, costruito in ossequio al principio di irrilevanza dello status soggettivo delle parti e alla garanzia della più ampia libertà contrattuale, ma sono state configurate una pluralità di categorie contrattuali in attuazione di principi di derivazione europea che limitano fortemente l'autonomia negoziale, al fine di assicurare la protezione di una parte del rapporto e un corretto ed effettivo assetto concorrenziale. In particolare, accanto ai contratti disciplinati dalle norme contenute nel codice civile, esistono i contratti dei consumatori e i contratti di impresa asimmetrici che recente dottrina civilistica ha ricondotto
ad una nuova categoria, qualificata “terzo contratto”5. Con tale formula si tratteggia un'area di rapporti, anch'essi contraddistinti dall'accennata asimmetria, che porrebbero una più intensa esigenza di raccordo tra regole sul contratto e regole su concorrenza e mercato6. Infine, va rilevato che al processo di moltiplicazione dei modelli e alla conseguente frammentazione del sistema contrattuale ha fatto seguito anche il processo di elaborazione di nuovi rimedi normativi che tengono conto della peculiarità della fattispecie negoziale e delle esigenze imperative di tutela di determinati interessi di rilevanza particolare e generale.
Si sono attestate, pertanto, in primo luogo, la perdita o almeno l'attenuazione della tradizionale centralità delle regole sul contratto in generale contenute nel codice civile, a causa della diffusa decodificazione e la (conseguente) ricodificazione delle norme speciali in articolati corpi normativi contenuti in provvedimenti distinti per diversi settori7, in secondo luogo la correlativa moltiplicazione dei cosiddetti «diritti secondi». Da qui, il problema del
5 La formula «terzo contratto» si deve a X. XXXXXXXXX, Prefazione, a X. XXXXXXXXX, L'abuso della dipendenza economica tra disciplina della concorrenza e diritto dei contratti. Un'indagine comparata (Torino 2004), XII. Essa ha da subito suscitato l'interesse della dottrina che ha ritenuto di farvi rientrare le ipotesi in cui il contratto intercorre tra due imprenditori, l'uno in posizione di debolezza rispetto all'altro dotato di maggiore forza contrattuale. Da qui l'idea di enucleare una terza categoria di contratto, caratterizzato da un'asimmetria di posizione tra le parti, che si affianca a quelli già conosciuti come i «contratti del consumatore», con la conseguente individuazione di uno statuto normativo per esso applicabile. Il tema è approfondito in AA.VV., Il terzo contratto, a cura di X. XXXXX - X. XXXXX, Bologna, 2008, in cui sono contenuti saggi di diversi autori.
6 Sul punto, X. XXXXXXXX, Categorie contrattuali, contratti pubblici e i nuovi rimedi previsti dal decreto legislativo n. 53 del 2010 di attuazione della direttiva ricorsi, in Diritto e processo amministrativo, fasc.4, 2010, 1326.
7 Per un approfondimento, N. IRTI, L'età della decodificazione, Xxxxxx 0000; ID., «Codice di settore»: compimento della «decodificazione», in Diritto delle società, 2005,131; F.D. BUSNELLI, Il diritto civile tra codice e legislazione speciale, Napoli 1984; X. XXXXXXXXXXX, Codice civile e sistema civilistico: il nucleo codicistico ed i suoi satelliti, in Rivista di diritto civile, 1993, I, 403.
rapporto tra diritto generale e diritti speciali, la cui soluzione risente del grado di autonomia del plesso normativo di diritto speciale, ossia dall'attitudine ad esprimere principi propri ed a configurarsi, così, come un sottosistema; poi a presentarsi come un ganglio a sé stante, perché slegato dalle categorie impiegate dal diritto comune e, così, come un micro-sistema compiuto; e, infine, a spiegarsi in norme suscettibili di applicazione analogica non solo all'interno dei rapporti riguardati dai precetti di cui si componga lo specifico micro-cosmo normativo, bensì capaci di espandersi all'esterno qualora la ratio ad essi sottesa non sia collegata in via esclusiva alle peculiarità delle fattispecie disciplinate, ossia essi non trovino unicamente giustificazione nelle particolarità specializzanti di quei rapporti8.
La diffusione di tali tendenze, pertanto, implica l'affrancamento del contratto dalla dogmatica tradizionale inclusa nella teoria classica, il cui presupposto consisteva nel fatto che l'istituto fosse caratterizzato dalla parità formale delle parti del rapporto. Ciò prevedeva che il contenuto del regolamento contrattuale si basasse sull'incontro di volontà liberamente manifestate da soggetti contraenti in posizione di uguaglianza9, secondo l'antico principio che la libertà contrattuale reclama la parità formale contrattuale, legate in un binomio inscindibile, tal che al contratto non si confanno privilegi, bensì in relazione ad esso le parti sono parimenti libere e responsabili. Tale principio è stato eroso nella società industriale dal principio di solidarietà, proprio dello
8 Sul punto, X. XXXXXXXXXX, Diritto privato generale e diritti secondi. La ripresa di un tema, in Diritto civile e diritti speciali a cura di X. XXXXX, Milano 2008.
9 X. XXXXXXX, Libertà di contratto e disparità di potere, in Rivista di diritto privato, 2005, 743.
stato sociale, che tende alla parità sostanziale, anche attraverso correttivi e rimedi, che limitano la libertà contrattuale del contraente forte10.
Infine, si assiste oggi all'accentuazione dell'ingerenza delle fonti autoritative nella formazione del regolamento contrattuale, attraverso interventi conformativi dei rapporti contrattuali e limitativi dell'autonomia negoziale delle parti. Si ritiene dunque che, se da un lato tali interventi condizionano l’autonomia contrattuale e impediscono di ritenere che il contratto ed il suo contenuto siano pura e semplice espressione della libera volontà delle parti, tuttavia essi non consentono di accreditare la cosiddetta «morte del contratto» intesa come radicale eclissi della fattispecie bilaterale e consensuale produttiva di effetti negoziali.
Seguendo questa traiettoria, quindi, la sistemazione del materiale normativo che conferisce giuridica rilevanza all’asimmetria del potere contrattuale non solo richiede l’elaborazione di categorie e concetti deliberatamente nuovi, ma autorizza l’interprete e, poi, il giudice a superare i limiti di rilevanza delle fattispecie invalidatorie e risarcitorie positivamente previste dal codice civile, in modo tale da spiegare come e perché sia possibile imporre il contenuto di un contratto anche in radice diverso da quello originariamente voluto11.
Si presentano come corollari di questa prospettiva - rinviando ai paragrafi seguenti una dettagliata analisi degli stessi - il controllo sul contenuto economico e normativo del contratto e l’utilizzo della buona fede oggettiva,
10 X. XXXXXXXXX, La formazione del contratto e l'inizio di esecuzione: dal codice civile ai
principi di diritto europeo dei contratti, in Europa e diritto privato, 2005, 335.
11 X. XXXXXXX, Il contratto asimmetrico tra parte generale, contratti di impresa e disciplina della concorrenza, in Rivista di diritto civile, 2008, 5, 515.
quale parametro per valutare nel merito il regolamento contrattuale in quanto tale e giustificare, conseguentemente, la correzione o l’invalidità di una regola del contratto espressamente voluta dalle parti ovvero imporre un obbligo a concludere il contratto.
1.2. I contratti di impresa
Con riferimento all’impresa, è noto come il contratto rappresenti un indispensabile strumento per lo svolgimento dell’attività di impresa12. L’evidente eterogeneità di situazioni in cui si intersecano il contratto e l’impresa ha così determinato l’utilizzo di varie locuzioni per esprimere tale rapporto. Tra queste si annoverano: “contratti dell’impresa”, per intendere i contratti stipulati dall’imprenditore nell’esercizio della qualifica, “contratti di impresa”, con riferimento ai contratti riguardanti l’attività di impresa e “contratti tra imprese”, quando l’oggetto del contratto riguarda l’attività imprenditoriale di tutti i partecipanti13.
Il presente lavoro intende svolgere una breve disamina delle problematiche concernenti la categoria dei rapporti afferenti i “contratti tra imprese”, sia nell’ambito del diritto nazionale sia nel contesto europeo, con particolare riferimento all’esperienza inglese. A tal fine, appare necessario delineare preliminarmente i tratti caratteristici della diversa categoria dei “contratti di impresa”.
Nella tradizione del diritto civile e commerciale, infatti, tale categoria era la traduzione a livello manualistico di un orientamento classico, che elevava a raggruppamento autonomo una pluralità di contratti qualificati dal fatto di realizzare (o di concorrere a realizzare) l’esplicazione di quella attività umana
12 Per un approfondimento sul nuovo statuto materiale delle imprese, X. XXXXXXX,
L’impresa tra diritto ed economia, in Rivista delle società, 4, 2008, 649.
13 Per tale tripartizione, cfr. X. XXXX, Il Contratto, Xxxxxxx, Milano, 2012, 232.
che è l'attività d'impresa (e, particolarmente, d'impresa commerciale). Venivano così esclusi i contratti attinenti alla costituzione ed alla organizzazione dell'impresa, i contratti attinenti al coordinamento dell'attività dell'impresa con quella di altre imprese e quelli attinenti alla crisi d'impresa, nonché i contratti di lavoro dipendente. Sulla scorta di tali esclusioni, quindi, l'attività dell'impresa interessata dai contratti di impresa finiva per riguardare soprattutto le fasi della produzione e della distribuzione dei beni e dei servizi. I tratti distintivi dei contratti di impresa venivano rinvenuti sia in relazione al contratto-atto, in seno alla disciplina di formazione dell’accordo, che al contratto-rapporto, ossia nel regolamento dell'esecuzione del programma vincolante concordato14.
In tale ottica, l’impresa veniva concepita come un'attività organizzata, tendenzialmente duratura, in cui il valore, rappresentato dall'organizzazione
14 Per un approfondimento, X. XXXXXXX, I contratti di impresa, in Giurisprudenza commerciale, fasc. 1, 2008, 140. Secondo l’Autore, i contratti civili sono quelli stipulati tra privati – non imprenditori – per regolare il godimento e la disposizione delle proprietà personali. In questo caso, quando non sia disposto diversamente per esigenze pubblicistiche, lo schema e il modello per la conclusione e l’esecuzione di tali contratti rimangono quelli forniti dal codice civile. I contratti di impresa, invece, sono quelli in cui una parte, almeno, è un imprenditore, che contratta nello svolgimento e per lo svolgimento della propria attività di impresa. Tuttavia lo statuto di tali contratti, inteso quale disciplina dell’atto e del rapporto contrattuale, è vario e differente a seconda dei settori di mercato in cui si colloca l’attività d’impresa o la fase dell’attività d’impresa, interessata dal contratto. Con riferimento al mercato delle forniture e dei servizi prestati dalle imprese più piccole, con attività limitata e specializzata, alle imprese più grandi, l’Autore sostiene che se il contratto di impresa si rivolge a questo mercato, i cui protagonisti si qualificano per lo squilibrio delle posizioni economiche, rispettivamente dominante e dipendente, che può tradursi in abuso di condizioni contrattuali, si applicherà ad esso la disciplina protettiva costruita attorno alla figura del cosiddetto terzo contratto. Ne consegue che la categoria del contratto di impresa, in relazione ed in funzione all’essenza di attività organizzata dell’impresa, variante, appunto, d’impresa, del contratto classico del codice civile, frutto di autonomia delle parti, accordo programmatico raggiunto da uguali, liberi e responsabili, e, proprio perché tale vincolante, sopravvive come ipotesi residuale, quando le imprese tra cui il contratto interviene sono di forza eguale ed operano in un mercato concorrenziale.
della produzione e dello scambio, doveva essere conservato e non risentire delle vicende personali dell'imprenditore.
Così anche il regolamento contrattuale delle diverse fasi di svolgimento dell'attività d'impresa non era frutto di deliberazioni, occasionali, episodiche e varie dell'imprenditore, ma rientrava nell'organizzazione d'impresa. La contrattazione d’impresa era frutto di un complesso e sofisticato tecnicismo, in cui confluivano gli apporti di esperti, di uffici-studi, di consulenti, non solo giuridici, ma anche socio-economici, psicologici, pubblicitari, etc..
Il contratto d'impresa, quindi, prodotto esso stesso di organizzazione, si standardizzava e dava vita al fenomeno delle condizioni generali (articolo 1341 del codice civile) e dei moduli e formulari (articolo 1342 del codice civile), che la legge considerava, pur senza farvi esplicito riferimento, come manifestazioni tipiche del contratto di impresa.
L'importanza e l'incidenza del momento organizzativo nei contratti d'impresa, inoltre, si manifestava anche quando si cercava la portata normativa vera del contratto, e cioè nella interpretazione dei contratti d'impresa.
In materia di contratti destinati a realizzare attività d'impresa, infine, veniva sottolineata la spiccata vivacità dell'autonomia contrattuale e la sua speciale attitudine a mutuare dall'esperienza del commercio internazionale nuove tipologie di contratti e di schemi negoziali, sempre più adatti alle cangianti esigenze dell'attività d'impresa e del commercio, come si avrà modo di approfondire nell’ambito della sezione dedicata al diritto contrattuale
europeo.
La diversa locuzione “contratti tra imprese” permette, per converso, di porsi in una ottica differente, in cui il contratto non è un mero strumento dell’impresa quanto piuttosto un protagonista del mercato, che si atteggia quale mezzo per regolare i rapporti tra gli operatori economici. Va innanzitutto rilevato che, nelle raccolte di principi del diritto contrattuale europeo, non assume rilievo la nozione di imprenditore ma quella di professionista. Le peculiarità più significative non concernono deroghe alla disciplina generale, ma configurano l'estensione ai contratti fra imprese delle normative di riequilibrio pensate per i rapporti fra professionista e consumatore15.
Il diritto comunitario delle direttive, infatti, è una produzione abbondante che può assumere la funzione di base strutturale di un diritto comune europeo ma che non è, allo stato, immediatamente operativo, se non nella parte in cui con la tecnica del recepimento sia divenuto parte dei singoli ordinamenti nazionali. Tuttavia, non si individua affatto un corpus omogeneo di regole. Esso, piuttosto, si dirama attraverso significativi interventi diretti a regolamentare determinati settori o particolari problematiche. A tal fine si può fare riferimento, a titolo esemplificativo, alle norme sull'abuso di posizione dominante, alla legge sui termini di pagamento nelle transazioni commerciali, alla normativa sull'abuso di dipendenza economica, come si avrà modo di apprezzare nel prosieguo della trattazione. Giova sin da ora considerare che
15 X. XXXXXXX, Il diritto dei contratti fra Costituzione, codice civile e codici di settore, in
Rivista trimestrale di diritto proc. civile, fasc. 3, 2008, 751.
questi tre interventi individuano un particolare settore di contratti fra imprese, ove è necessario un riequilibrio a favore della parte più debole.
Secondo Xxxxxxx, è emerso che, nella prospettiva del diritto contrattuale europeo, i contratti tra imprese siano uno dei nomi per indicare ipotesi di contrattazione ineguale, senza che la locuzione segnali alcun aspetto comune che giustifichi una considerazione complessiva. Si è rilevato che, da una parte, ossia dal lato dell’imprenditore forte, vi sono le ragioni dell'utilità dell'impresa, della moltiplicazione della ricchezza globale, dell'efficienza dell'organizzazione della produzione e distribuzione, dall’altra si allocano le ragioni dell'effettiva soddisfazione dei bisogni, della proporzionata redistribuzione della ricchezza prodotta, della salvaguardia dei valori non solo economici16.
Si tratta, dunque, di un aspetto della diversa articolazione della disciplina del contratto che può atteggiarsi diversamente a seconda che le parti siano un professionista e un consumatore (business to consumer) o due professionisti dotati di eguale (business to business) o di diverso potere contrattuale (Business to business)17.
16 X. XXXXXXX, I contratti di impresa e il diritto comune europeo, in Rivista di diritto privato, 2006, 1, 110.
17 Al riguardo, P.G. MONATERI, I contratti di impresa e il diritto comunitario, in Rivista di diritto civile, 5, 2005, I, 489. L’Autore, dopo aver illustrato l’orizzonte contrattuale del consumatore, segnala il tema del contratto “business to business”, che ben attiene, come transazione commerciale bilaterale, anche all’ambito del diritto europeo. Infatti, con riferimento ai contratti di distribuzione, il contratto B2b gioca un ruolo fondamentale in tutti quegli accordi che servono al funzionamento concreto della grande impresa al di fuori delle sue strutture interne. Proprio tale area, benché importante, deve essere ancora compiutamente rimeditata e ricostruita. Per il Professor Xxxxxxxx “e questo è, forse, uno dei maggiori problemi che, oggi, ci stanno di fronte nel campo del diritto dei contratti”, 506.
Occorre domandarsi, pertanto, quali siano gli elementi di qualificazione dei contratti tra imprese. A tal fine, se ne possono enucleare sostanzialmente due: la disciplina del mercato, ossia il luogo dove si collocano tali contratti, e il rapporto con la disciplina generale nel trattamento di fattispecie ineguali, che si presenta come il vero problema da affrontare e da risolvere.
Nell'intero settore dei contratti fra imprese, inoltre, serve una riflessione attenta e puntuale sul rapporto fra disciplina del contratto e regole di concorrenza, avendo maturato una precisa consapevolezza. Le asimmetrie di potere sono frutto spesso delle imperfezioni del mercato che non offre, alle imprese dipendenti, alternative per sottrarsi alla dominazione. Sicché le strade dell'antitrust e del diritto dei contratti possono intrecciarsi, posto che l'efficienza e la repressione degli abusi sono obiettivi condivisi da entrambi. Ciò non significa negare la rispettiva autonomia, ma valorizzare le connessioni laddove siano evidenti e utili. È noto, infatti, che la concorrenza non è un prodotto spontaneo del mercato e le sue origini non sono sottratte alla storia dell'intervento pubblico, giacché la tutela della libera gara e gli interventi correttivi sono entrambi espressione di un'autorità politica volta ad imporsi sulla libertà contrattuale18.
18 X. XXXXXXX, Contratto e concorrenza, in Rivista di diritto privato, 2004, 4, 765.
1.3. Contratto e mercato
Il primo problema da affrontare è, dunque, comprendere le relazioni intercorrenti tra il contratto e il mercato19. Quest’ultimo è il luogo di elezione dell’agire imprenditoriale ed in particolare della contrattazione di impresa. Il mercato è la sede “dove i contratti e la loro vincolatività sono valutati solamente per la loro efficacia ai fini del raggiungimento di un determinato scopo economico”20.
Lo studio del rapporto tra contratto e mercato21 permette al giurista di fornire all’attività economica gli strumenti più idonei al raggiungimento degli obiettivi prescelti nello spazio di libertà riservato a tali attività22. La
19 Sulle relazioni tra contratto e mercato, X. XXXX, Categorie contrattuali e statuti del rapporto obbligatorio, in Rivista di diritto civile, 6, 2006, I, 43. Per il Professor Xxxx “contratto e mercato interferiscono e si influenzano a vicenda. È difficile stabilire, sul piano logico, giuridico ed economico, una priorità o una prevalenza. Il mercato, lungi dal sostituire il contratto, è fatto di contratti, i contratti nascono dal e nel mercato. Non si possono disciplinare gli uni indipendentemente dall’altro e viceversa; gli interessi che presiedono ai primi dagli interessi che fondano l’ordine del mercato. Non considererei produttiva quindi la disputa sulla appartenenza di una misura protettiva (o repressiva) all’uno o all’altro settore, viepiù se la disputa dovesse portare a un isolamento della valutazione dal diritto dei contratti
o dall’ordine del mercato e a una rigida applicazione o disapplicazione di standards valutativi. Ciò che investe i rapporti di mercato – come protezione o repressione – investe anche i contratti e ciò che investe i rapporti contrattuali investe anche il mercato”. L’Autore, peraltro, precisa che non vi è contrasto tra la tutela del contraente debole e la tutela dell’iniziativa economica, qualificata come “socialmente responsabile”. Non si può sopravvalutare, infatti, la collocazione della previsione normativa in uno o in altro testo di legge (come si analizzerà a proposito della legge sulla subfornitura, con evidente riferimento al divieto di abuso di dipendenza economica), soprattutto se si considera il notevole grado di disordine sistematico che ha afflitto la nostra legislazione recente. Si tratta solo di confermare l’esistenza di categorie di contratti, come rami innestati su un tronco comune e di portarle a conseguenze rispettose dei valori economici e sociali attuali.
20 Così X. XXXXX, Diritto e mercato, in Rivista delle Società, 1998, 14.
21 Per uno studio ad ampio raggio sul rapporto tra contratto e mercato, X. XXXXXX, Il mercato concorrenziale: problemi e conflitti, in Saggi di diritto antitrust, Quaderni romani di Diritto Commerciale, Serie Saggi, a cura di X. XXXXXXXX – X. XXXXX-XXXXX, x. 00, Xxxxxx, Xxxxxxx, 2010.
22 Al riguardo, V.P. XXXXXXXX, Institutional change and the quasi-invisible hand, in The Journal of Law and Economics, 17, 1974, 461.
regolazione dei contratti, infatti, è un momento decisivo della regolazione del mercato, specie quando parti dei contratti siano soggetti che rivestono un ruolo da protagonisti istituzionali del mercato stesso: le imprese, che sul mercato offrono beni e servizi, e i consumatori, che sul mercato domandano tali beni e servizi.
Va considerato, infatti, che il diritto contrattuale anteriore, legato alla tradizione romanistica, era essenzialmente pre-capitalistico, ossia disciplinava il contratto indipendentemente dalla regolazione del mercato. Il nuovo diritto contrattuale, al contrario, è progettato e realizzato proprio come strumento di regolazione e, talvolta, di instaurazione del mercato. Si spiega, così, la circostanza che esso disciplini il contratto non tanto in funzione del tipo di accordo voluto dalle parti, quanto del tipo di attività economica nell’esercizio della quale il contratto stesso è stipulato. La vera novità, pertanto, consiste nel fatto che il nesso di interdipendenza tra il diritto privato e il mercato si è compiutamente dispiegato nella sua costitutiva reciprocità, nel senso cioè che non soltanto il mercato è determinato dal diritto, ma, reciprocamente, quest’ultimo è determinato dal mercato e attinge dal mercato stesso la sua razionalità oggettiva23.
L’importanza delle relazioni tra contratto e mercato trova la primaria fonte negli scritti di Xxxxxxx Xxxxxxx secondo il quale l’esaltazione del mercato è rappresentata dal commercio, che costituisce il momento del contatto
23 In questo senso, P. SIRENA, La categoria dei contratti di impresa e il principio della buona fede, in Rivista di diritto civile, 2006, 4, II, 415.
dell’impresa con la clientela e con l’esigenza di rendere tale contatto stabile nel tempo, giacché proprio il discorso sul commercio “consente di rinnovare anche il discorso sull’impresa”24. Conseguentemente, altri Autori hanno sottolineato l’importanza del problema legato alla distribuzione, che trova nel mercato il suo ambito operativo naturale e richiede, altresì, anche la delibazione del problema dei ruoli dei soggetti che nel mercato operano e degli scambi, ossia degli atti che tali soggetti pongono in essere25.
In epoca moderna, dunque, con lo sviluppo dei mercati, è divenuta sempre crescente l’esigenza degli imprenditori di decentralizzare ed esternare parte della propria attività, coinvolgendo nel processo di produzione, commercializzazione ed assistenza post-vendita soggetti terzi, dando vita al fenomeno economico del cosiddetto decentramento produttivo. Esso si realizza quando un’impresa trasferisce al di fuori dei propri stabilimenti alcune fasi del ciclo di produzione, precedentemente integrato al suo interno. Dal punto di vista tecnico, quindi, il decentramento rappresenta una modalità di combinazione delle diverse attività richieste per la realizzazione del prodotto finale, le quali potrebbero essere interamente effettuate nell’impresa
24Per un approfondimento, X. XXXXXXX, Il commercio: saggio di economia del diritto, Bologna, Il Mulino, 1979.
25 X. XXXXXXXXX, Contratto e mercato, in Giurisprudenza commerciale, fasc. 4, 2007,
383. L’Autore conclude il suo contributo con una notazione finale formulata nei termini seguenti: se è vero che il codice civile lasciò ampio spazio all’autonomia ispirata, però, più agli schemi civilistici che alle esigenze commercialistiche, è anche incontestabile che, in seguito al prodursi di sopravvenienze normative cospicue per quantità e per qualità e al naturale evolversi dell’impresa, l’autonomia ha assunto oggi caratterizzazioni più nette proprio per soddisfare le nuove esigenze del mondo imprenditoriale, in tale locuzione comprendendosi non solo gli interessi degli imprenditori, bensì gli interessi di tutte le componenti, che nell’attività d’impresa o dall’attività d’impresa sono coinvolte.
di origine. Dal punto di vista della struttura industriale, invece, il decentramento rappresenta un insieme di rapporti tra imprese. I rapporti di subfornitura, l’outsourcing e la delocalizzazione territoriale costituiscono, dunque, modalità particolari del decentramento produttivo.
Nell’ambito del dibattito più recente sulle problematiche concernenti il fenomeno del decentramento produttivo, gli economisti hanno focalizzato l’attenzione sulle tipologie di rapporti tra imprese che non possono essere ricondotti all’interno dello schema tradizionale delle relazioni di tipo collusivo in contesti non concorrenziali. Sono stati rilevati, in particolare, i rapporti mediante i quali le imprese attivano risorse complementari, di tipo tecnico e gestionale, le interazioni che mettono in moto peculiari processi di apprendimento e scambio di conoscenze, i rapporti che danno vita a strutture reticolari di impresa26, nelle quali le varie lavorazioni possono avvenire in modo coerente sia lungo l’intera filiera produttiva, sia in serie parallela.
In particolare, nel dibattito italiano, il tema del decentramento produttivo è stato generalmente affrontato nel contesto della specificità dello sviluppo industriale del paese, nel quale hanno svolto e tuttora svolgono un ruolo importante le piccole e medie imprese27.
26 Sulle strutture reticolari di impresa, C. CREA, Contratti tra imprese e sistemi reticolari fra cooperazione e concorrenza, in Rassegna di diritto civile, 3, 2009, 905.
27 In particolare, sui distretti industriali, indispensabili per promuovere lo sviluppo economico dell’Italia: X. XXXXXXXXX, Mercato e forze locali – Il distretto industriale, Il Mulino, Bologna, 1987; X. XXXXXX; Piccole imprese e distretti industriali, Xxxxxxxxx & Xxxxxx, Xxxxxx, 0000; X. XXXXXXX – X. XXXXXXXXX (a cura di), The competitive advantage of Italian districts: theoretical and empirical analysis, Physica Xxxxxx, Xxxxxxxxxx, 0000; I. AZZARITI – I. CANDONI (a cura di), Oltre il distretto. Inteviste, modelli aziendali e teorie di un fenomeno italiano, Xxxxxx Xxxxxx, Milano, 2007; AA. VV., Reti di impresa oltre i distretti.
Al fine di analizzare gli snodi problematici dei contratti tra imprese, occorre soffermarsi sulle attività poste in essere da imprese soggette a diversi assetti proprietari, in quanto le relative transazioni hanno la natura di scambi di mercato. Si dà vita a fenomeni di integrazione verticale, ossia a strategie mediante le quali l’impresa tenta di eliminare i costi non necessari associati alle transazioni di mercato28. In questo modo l’impresa assume il controllo di una determinata fase della produzione o della distribuzione strettamente collegata a quella in cui opera.
Tali fenomeni di integrazione verticale, così descritti dal punto di vista economico, quando si traducono in contratti di durata in senso tecnico- giuridico29, configurano la categoria dei contratti di distribuzione30.
Nuove forme di organizzazione produttiva, di coordinamento e di assetto giuridico, Il Sole 24 ore Libri, Xxxxxx, 0000.
28 Per un approfondimento, R. H. XXXXX, The Firm, the Market and the Law, University of Chicago Press, 1988; ID., Essays in the Institutional Structure of Production, Chinese, Shangai, 1990.
29 Si pensi alle riflessioni di X. XXXXXXXX e X. XXXXXX, Flexibility in Long-term Contractual Relationships. The Role of Co-operation, in Journal of Law and Society, vol. 20,
n. 2, 1993, 166-191. Gli Autori sostengono che le parti di un contratto di lunga durata accettano un generale e produttivo atteggiamento di fairness e per spiegare tale comportamento offrono un parallelismo con le società. Nel saggio vengono illustrate le caratteristiche di tale tipologia contrattuale, con riferimento al problema della cooperazione e, dunque, dell’attitudine delle parti a rimodulare il contenuto del regolamento contrattuale, differentemente rispetto al contratto di diritto classico. Al riguardo, infatti, “the classical law, and its economic corollary in relatively unsophisticated forms of neo-classical economics, assume contractual promises to be the legal expression of the intentions of rational, utility- maximizing individuals making discrete exchanges in perfectly competitive markets. There is a strong implication bound up in this assumption that the parties to a contract would rapidly alter their allocative decisions should changed circumstances offer them the possibility of realizing profits in excess of those to be realised by performance of the existing contract. This implication is contradicted by the widely corroborated empirical finding in the case of long- term contracts that such shifts, even when of recognizable and quantifiable benefit to the potentially breaching party, typically are eschewed in order to realize what is assessed as the greater utility of the preservation of a long-term contract or wider long-term relationship. Indeed, short-term individual maximizing behaviour is rejected as opportunistic”.
30 Per una disamina approfondita della categoria, v. X. XXXXXXXXX, I contratti di distribuzione, Napoli, 1979.
Nell’ambito di questa categoria si inseriscono figure differenti, allo stesso tempo confinanti, e talora sovrapponibili31. Si pensi alle figure del rivenditore
31 Nella letteratura nordamericana, si segnala la posizione assunta dai professori Xxxxx e Xxxxx, i quali hanno analizzato le peculiarità dei “relational contracts”, applicando criteri economici. In particolare, con riferimento alla natura e alla funzione di tale tipologia contrattuale, gli Autori sostengono che “In a complex society, however, many contractual arrangements diverge so markedly from the classical model that they require separate treatment. Parties frequently enter into continuing, highly interactive contractual arrangements. For these parties, a complete contingent contract may not be a feasible contracting mechanism. Where the future contingencies are peculiarly intricate or uncertain, practical difficulties arise that impede the contracting parties’ efforts to allocate optimally all risks at the time of contracting. Not surprisingly, parties who find it advantageous to enter into such cooperative exchange relationships seek especially adapted contractual devices. The resulting “relational contracts” encompass most generic agency relationships, including distributorships, franchisees, joint- ventures and employment contracts”. Inoltre, gli Autori illustrano la differenza esistente tra i “relational contracts” e i “long-term contractual relationships” nei seguenti termini: “A contract is relational to the extent that the parties are incapable of reducing important terms of the arrangement to well-defined obligations. Such definitive obligations may be impractical because of inability to identify uncertain future conditions or because of inability to characterize complex adaptations adequately even when the contingencies themselves can be identified in advance. As the discussion below illustrates, long-term contracts are more likely than short-term agreements to fit this conceptualization, but temporal extension per se is not the defining characteristic. The contracts that we actually observe are, of course, neither perfectly contingent nor entirely relational. Legal theory has merely tended to concentrate on agreements that fall close to the one polar extreme, while our focus in this article is directed toward the other end of the continuum. Conventional doctrine has failed to explain adequately the nature and function of these relational contracts and how they differ from more standard contracts. The resulting incomplete understanding is a prime source of costly litigation over the meaning and enforceability of key provisions of such agreements. Much of the litigation has centered on two doctrinal linchpins of relational contracts: the obligation of one party (“the agent”) to use its “best efforts” to carry on an activity beneficial to the other (the “principal”), and the concomitant right of the principal to terminate the relationship”. Per un approfondimento, v. C.J. XXXXX – R.E. XXXXX, Principles of relational contracts, in Xxxxxxxx Xxx Review, vol. 67, n. 6, 1981, 1089-1150.
Le riflessioni dei due Professori sono state utilizzate come sostrato delle considerazioni svolte dal professor Xxxxx a proposito dei “long-term contracts”. Al riguardo, l’Autore ha precisato: “Long-term contracts are usually heavily dickered contracts. They are not preprinted forms that no one ever reads. We now live under a back-ground rule that by and large does not embrace a norm of cooperation. If this rule is wrong and contrary to the interest of the parties, we should see them trying to bargain out of it. Yet long-term contracts do not have an explicit, legally enforceable duty to renegotiate in the event of a catastrophe. Xxxxxxx Xxxxx and Xxxxxx Xxxxx have argued that we need contract rules because parties themselves do not have sufficient incentives to create their own rules. Like all generalizations, this one works bettering some circumstances than in others. The case of the long-term contract is the one where we need least concern ourselves with the gaps that parties might have left. The stakes are large, and the parties are all professionals. They have an incentive to spell things out and to get it right. We can depend on them to expend considerable energy overcoming their cognitive biases”. Per un approfondimento, D.G. XXXXX, Self-interest and Cooperation in Long-term Contracts, in Journal of Legal Studies, 1990, 583-596.
In generale, nella letteratura americana, I.R. XXXXXXX, The many futures of contracts, in
Southern California Law Review, vol. 47, 1974, 691.
autorizzato, del concessionario, del franchisee. Carattere comune a queste fattispecie è la condizione di debolezza del distributore integrato, che si evidenzia, in particolare, con riferimento al profilo dello scioglimento del rapporto, così come sarà meglio approfondito nel prosieguo della trattazione. Per comprendere le moderne catene di fornitura, appare utile indicare due qualità distintive, correlate alla teoria economica dei costi di transazione. La prima caratteristica problematica sorge dalla presenza di diversi partecipanti e dei legami che tra di loro si instaurano, la seconda riguarda le motivazioni dei partecipanti. La catena di fornitura, infatti, include un concetto elementare di microeconomia, in quanto essa descrive il percorso lungo il quale si muovono i prodotti e i servizi, dal produttore iniziale fino al consumatore, attraverso una serie o catena di passaggi di mercato32.
Infine, meritevole di attenzione, anche con riferimento all’ampia prospettiva comparatistica, la monografia di X. XXXXXX – X. XXXXXX, Contract Law Today. Xxxxx-Xxxxxx Xxxxxxxxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxx, Xxxxxx, 0000. Con riferimento ai Long-Term Contracts, gli Autori affermano che “the principal method by which long-term relationships are regulated remains the economic and social pressures which can be brought to bear on the parties, and the terms of the contract between them. English contract law operates in two ways to supplement these. It regulates and facilitates the operation of terms agreed by the parties, e.g. by acting against strategic attempts to take undue advantage of changed circumstances. It also supplements contracts by providing reasonable terms either to fill gaps in contract planning or to make up for the shortcomings of economic and social pressures. By and large, the attitude of the courts reflects a tendency to view the issues as discrete problems, rather than as a stage in a continuing relationship. If what is being required of the courts is essentially an arbitral function which will lead to a resolution of a dispute without endangering the relationship between the parties, then it may be that changes in attitude, rather than changes in legal rules, are the priority in ensuring that such judicial revision as is currently carried out will respond to the needs of the situations in which they arise”.
32 Per un approfondimento, X. XXXXX, Il contratto nelle “reti di imprese”: problemi e prospettive, in Rivista di diritto privato, 2, 2008, 339. In particolare, sul contratto di rete, X. XXXXX, Coordinamento tra imprese e “contratto di rete”: primi passi del legislatore, in I contratti, 7, 2009, 727. Il presente lavoro non costituisce la sede per poter approfondire il contratto di rete. Appare sufficiente ricordare che tale tipo di contratto è stato introdotto dal decreto legge del 10 febbraio 2009 n. 5, convertito in legge n. 33 del 9 aprile 2009, con l’obiettivo di fornire un nuovo strumento di natura privatistica che permetta la condivisione da parte di più imprese delle risorse economiche e delle competenze necessarie allo sviluppo e
Appare evidente che le situazioni di debolezza strutturale presenti nei contratti di impresa sono presiedute da un profilo che le accomuna: la tutela del corretto funzionamento del mercato. Pertanto, gli interventi legislativi che hanno fatto riapparire la contrattazione d’impresa, in contrapposizione alla contrattazione tra privati, sono una risposta alla preoccupazione non solo della tutela del contraente debole in sé, ma anche della protezione del contraente debole nel mercato, quale elemento che possa portare a un’alterazione del suo corretto e regolare funzionamento in ottica concorrenziale.
Se tutto ciò ha un fondamento, allora, è possibile affermare che il momento unitario della contrattazione di impresa è nel mercato, con la conseguenza che i soggetti e le pattuizioni contenute in un contratto sono da rapportare ad esso e non solo ad esigenze di solidarietà ed uguaglianza33.
Alla luce di quanto esposto, emerge uno scenario in cui il diritto privato e l’iniziativa dei singoli si contrappongono all’intervento pubblico nell’economia. Quest’ultimo, infatti, aveva determinato la crescita esponenziale del welfare state e trovava legittimazione nella concezione, su cui si basa tutta la costruzione europea, per la quale i fallimenti sociali dell’economia non sono ascrivibili al mercato ma ad un suo difettoso
alla gestione di un segmento comune della filiera produttivo-distributiva. Qualunque sia la fisionomia assunta non può che riconoscersi allo strumento negoziale della rete la capacità di incidere positivamente nel processo di crescita delle piccole e medie imprese, agevolandone lo sviluppo anche in assenza di significative risorse finanziarie. Il contratto di rete, dunque, si pone come valida alternativa alle varie forme di integrazione imprenditoriale sperimentate sino ad oggi, ma il suo successo applicativo, secondo l’Autrice, rappresenta forse una scommessa, il cui esito dipenderà dallo slancio con il quale gli operatori accetteranno di limitare parte della propria autonomia gestionale a vantaggio di una maggiore cooperazione.
33 Sul punto, v. X. XX XXXXXXX, L’uguaglianza sostanziale nella contrattazione di impresa, in I Contratti, 4, 2011, 408.
funzionamento, sì che essi legittimano un’introduzione forzosa del mercato e della concorrenza attraverso forme di public policy. Nella opposta prospettiva di stampo neo liberale, la correzione delle distorsioni di mercato non può essere più solo appannaggio di una normativa esogena e settoriale (tipica dell’interventismo pubblico), ma viene attuata attraverso lo stesso meccanismo di mercato che, per questa via, viene a configurarsi sempre meno come prassi spontanea, governata da leggi pre-giuridiche, e sempre più come un modello al quale viene ricondotta, in ultima analisi, una valenza politica, in precedenza appannaggio dell’istituzione statuale democratica. Pertanto, nel solco di un processo cominciato all’incirca negli anni novanta, nel segno del valore esponenziale attribuito all’efficienza, la contract law, tradizionalmente depositaria di una funzione meramente facilitatoria e market friendly, ha finito per assumere una funzione regolatoria in numerosi settori34.
Questi settori, sebbene non incasellati a livello organico in un sistema coerente, segnano la tendenza verso lo sviluppo di una nuova conformazione tra regulation e competition, all’origine di un dibattito che ruota principalmente attorno all’alternativa tra autoregolamentazione privata ed etero regolamentazione pubblica35. Il mercato e il contratto, dunque, appaiono
34 Così, X. XXXXXXXXXXX, Autonomia privata, mercato e contratti d’impresa, in Rivista critica del diritto privato, 1, 2010, 117.
35 La disciplina del contratto europeo si muove su due piani: nell'uno, viene delineata la strategia normativa volta a perseguire determinati obiettivi di policy in uno specifico settore di mercato, affidandone il raggiungimento concreto alla fase successiva della sua articolazione; nell'altro, il consumatore ovvero l'impresa cosiddetta debole rappresentano gli attori in concreto della macrostrategia di mercato predisposta dal legislatore comunitario ed il rimedio la chiave di accensione dell'intero sistema. In questo senso l'autonomia contrattuale partecipa del fine perseguito dall'ordinamento e ciò rende la portata regolativa del diritto europeo dei contratti più ampia rispetto a quella dei diritti nazionali, poiché essa incide non solo sugli
intimamente connessi in quanto le decisioni degli attori del mercato sono armonizzate nel sistema attraverso la teoria dello scambio e i mercato risulta il luogo della contrattazione, oltre che di allocazione delle risorse economiche36.
Prima di incedere nella traiettoria dell’approfondimento di tali fenomeni, con particolare riferimento al rapporto con la disciplina generale nel trattamento di fattispecie ineguali, occorre contestualizzare la problematica nello spazio più ampio della giustizia contrattuale.
interessi privati che animano la singola fattispecie, ma anche sulla regolamentazione dell'interesse pubblico al razionale svolgimento delle transazioni commerciali.
36 Sul tema, X. XXXXX, Impresa, mercato, diritto, Bologna, 2006.
1.4. La giustizia contrattuale
Come noto, il concetto di giustizia si interfaccia con quello di libertà, cardine del sistema di diritto contrattuale delineato nel codice civile del 1942, allorquando entrino in tensione dialettica i concetti di equità e buona fede.
Le regole del diritto privato classico avevano la limitata funzione di ripristinare equilibri turbati da elementi esterni alla volontà delle parti. Tuttavia tale inquadramento è attualmente superato da una visione solidaristica del diritto privato sul cui terreno si staglia la giustizia commutativa (o correttiva), che interviene quando lo schema di allocazione delle risorse disposto dalla giustizia distributiva abbia a subire ingiustificate alterazioni, e vi pone così rimedio. Il contratto, dunque, può rivelarsi uno strumento per raggiungere obiettivi di giustizia distributiva37.
37 Secondo S.A. XXXXX, In Defence of Substantive Fairness, in The Law Quarterly Review, vol. 112, 1996, 138-158, occorre distinguere la “substantive fairness” dalla giustizia distributiva. La prima attiene, infatti, al rapporto fra due parti contrattuali mentre l’altra assume una prospettiva più ampia, in quanto “a distributively just contract, on the standard interpretation, is a contract whose outcome maintains or helps to achieve a just distribution of resources (or whatever) between the members of a society”, 141. In particolare, “The most common, non-evidentiary, suggestion for why substantively unfair contracts should not be enforced is that they upset distributive justice. At first blush, this seems an unusual suggestion. Distributive justice is traditionally understood as requiring that common goods be distributed fairly amongst the members of a group or society. Contract law, which deals with two party interactions, appears unconcerned with the distribution of common goods. Contract law might, however, be instrumentally important in helping to preserve a just distribution of such goods. In particular, a requirement of substantive fairness might be important in maintaining a just distribution of purchasing power. If goods are traded at fair prices – understood again as normal prices – the trading parties end up with goods of roughly equivalent value to offer in the market. If they wish, the parties can, at least in theory, return to their original pre-contract position (minus transaction costs). Their purchasing power, as determined by the normal prices of all the goods that the parties own, is unchanged. Substantively unfair contracts upset the prior pattern of purchasing power and thus, it might be argued, conflict with distributive justice. This suggestion is largely immune to the objection that contracting parties will bargain around redistribution rules, leaving unchanged or worsened the prior distributional pattern.
Il concetto è di origine francese ed è magistralmente scolpito nelle parole del giurista Xxxxxxxxx Xxxxx. Nel suo scritto «Plaidoyer pour le solidarisme contractuel» l’Autore precisa che la visione solidaristica non si pone in contrasto con la libertà ma ne rappresenta un complemento: “le droit demeure un instrument de gouvernement susceptible de remettre en cause la liberté de l’un des contractants (le plus fort) au nom de l’égale dignité de l’autre (le plus faible). Il ne s’agit donc, plus, à proprement parler, de faire coexister des libertés, mais plus exactement de pailler socialement un xxxxxxx xx xxxxxxx”00.
Jamin paventa la restaurazione di un nuovo ordine feudale, riprendendo l’idea avanzata sin dal 1943 da Xxxxxxxxx Xxxxxxx, a proposito dei contratti di adesione39. Secondo gli Autori, la tendenza a un capitalismo monopolistico
Substantive fairness, on a distributive justice interpretation, does not require or support redistributions or purchasing power. It calls instead for preventing redistributions”, 146-147. Secondo il Professor Xxxxxxx, la giustizia distributiva che si realizza attraverso il contratto attiene all’ambito degli effetti contrattuali. Invero, “the law of contract purports to rest upon a platform of neutrality with respect to distributive outcomes. Of course, that is not to say that the law of contract does not have distributive consequences. Since it comprises the main rules of law which facilitate market transactions, it must have the distributive consequence of a market system under which some people become better off than others as a result of successful trading. But, it is argued, we can distinguish between the aim of the law and its effects. Its aim is limited to the establishment and protection of a market economy. The distributive effect of this market economy, however, depends upon other factors, such as choices by individuals to devote effort and skills towards improving their material position. Responsibility for these outcomes, it is said, cannot be attributed to the state or its laws”. Per tali riflessioni, X. XXXXXXX, Distributive justice through contracts, in Current Legal Problems, 1992, 45 (2),
49. Le tematiche brevemente delineate sono state successivamente approfondite nell’ambito della monografia, X. XXXXXXX, Regulating Contracts, Xxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxx, Xxxxxx, 0000. Nella letteratura americana, sono considerate illuminanti sul tema, seppur risalenti, le riflessioni dei seguenti autori: X. XXXXXXX, Equality in Exchange, in California Law Review, 1981, 69, 1587 e A.T. XXXXXXX, Contract Law and Distributive Justice, in Yale Law Journal, 1980, 89, 472.
38 C. XXXXX, Xxxxxxxxx pour le solidarisme contractuel, in Xxxxxx Xxxxxxxx, Le contrat au début du XX siécle – Etudes offertes a Xxxxxxx Xxxxxxx, Paris, LGDJ, 2001, 456.
39 X. XXXXXXX, Contracts of Adhesion, Some thoughts about Freedom of Contract, in
Columbia Law Review, vol. 43, 1943. Secondo l’Autore, nel caso del contratto classico “every
che si espande, in nome della libertà contrattuale, attraverso l’assenza di qualsiasi intervento nella sfera del potere contrattuale, ha consentito alle imprese di decidere le sorti del rapporto contrattuale attraverso dei contratti imposti più o meno autoritativamente e tuttavia senza l’apparenza del potere impositivo. Da ciò si desume che « les contracts d’adhésion (standards contracts) étaient devenus entre le mains des puissants suzerains commerciaux et industriels le moyen d’imposer un nuovel ordre féodal à une foule de vassaux » 40.
In questo scenario, alla ricerca del contratto “juste”41, la tendenza si risolve nel sindacato sull’equilibrio economico del contratto. Tale sindacato, non si
one has complete freedom of choice with regard to his partner in contract, and the privity-of- contract principle respects the exclusiveness of this choice. Since a contract is the result of the free bargaining of parties who are brought together by the play of the market and who meet each other on a footing of social and approximate economic equality, there is no danger that freedom of contract will be a threat to the social order as a whole. Influenced by this optimistic creed, courts are extremely hesitant to declare contracts void as against public policy because if there is one thing which more than another public policy requires it is that men of full age and competent understanding shall have the utmost liberty of contracting, and that their contracts when entered into freely and voluntarily shall be held sacred and shall be enforced by Court of Justice”. Diverso l’approccio con i “standardized mass contracts”, i quali riflettono a livello giuridico lo sviluppo dell’economia di scala, la produzione e la distribuzione di massa. Le caratteristiche di tali contratti, dunque, rispecchiano la spersonalizzazione dell’individuo nel mercato e l’uniformità di clausole contenute nei detti regolamenti contrattuali rappresentano il portato dell’esatto calcolo del rischio per l’impresa. Secondo il professor Xxxxxxx, infatti, “standardized contracts have thus become an important means of excluding or controlling the “irrational factor” in litigation. In this respect they are a true reflection of the spirit of our time with its hostility to irrational factors in the judicial process, and they belong in the same category as codifications and restatements”.
In ordine al concetto di Freedom of Contract e alla sua evoluzione nel tempo, P.S. XXXXXX,
Essays on contract, Oxford University Press, 1986.
40 C. XXXXX, Plaidoyer pour le solidarisme contractuel, in Xxxxxx Xxxxxxxx, Le contrat au début du XX siécle – Etudes offertes a Xxxxxxx Xxxxxxx, Paris, LGDJ, 2001, 468.
41 L’approccio ispirato ai principi dell’economia liberale considerava giusto il contratto voluto dalle parti poiché queste sarebbero state i migliori giudici dei propri affari. La visione liberista classica presupponeva un mercato perfetto dominato dalla concorrenza e dove tutti avevano eguali possibilità di accesso alle risorse pienamente liberi e compiutamente informati. Per un approfondimento, v. X. XXXXXXX’, Qui dit contractuel, dit juste, in La science sociale contemporaine, Paris, Xxxxxxxxx Xxxxxxxx, 0000. Il principio è stato accolto dal codice civile italiano che sancisce la regola dell’autonomia contrattuale: il legislatore codici stico, infatti,
circoscrive più, come una volta, alle situazioni patologiche delle relazioni sociali o di mercato (tra le quali esemplificativamente si annoverano i vizi della volontà, l’incapacità di intendere e di volere, la pressione del pericolo o del bisogno) ma si espande fino a coprire situazioni che appartengono alla fisiologia di quelle relazioni42.
Si esplicita qui quella operazione che consiste nella coincidenza fra la qualificazione “contrattuale” e la qualificazione “giusto”, nei termini di un'equazione fra la genuina libertà contrattuale e la giustizia, oltre che nei termini di una coincidenza fra la genuina libertà contrattuale e l'efficienza; prospettiva dalla quale diviene fondamentale portare l'attenzione soprattutto sul rispetto delle condizioni per un effettivo e paritario esercizio della libertà poiché, è solo in condizioni di reciproca pienezza informativa e di equal bargaining power43 che contratto, giustizia ed efficienza non entrano in conflitto.
affida all’autonomia delle parti la configurazione del contenuto del contratto, evitando controlli sulla congruità dello scambio, salvo laddove esso presenti squilibri determinati da anomalie nel processo di formazione dell’accordo.
42 Come sottolineato da X. XXXXX, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppo di un nuovo paradigma, in Il contratto del Duemila, Xxxxxxxxxxxx, 2005. In particolare, si evidenzia che nel contratto con asimmetria di potere contrattuale la “forza di legge” (di cui all’articolo 1372 del codice civile) risulta notevolmente attenuata a causa dei frequenti recessi di pentimento e per il dilagare delle invalidità discendenti dai vari vincoli di forma, contenuto, trasparenza, completezza. Ci si trova, dunque, di fronte ad un contratto in cui, da un lato si estende l’impugnabilità, dall’altro si bilanciano, con un contenimento forzoso, le conseguenze distruttive a cui può portare l’impugnazione; un contratto sempre più assoggettato a controlli sull’equilibrio delle prestazioni, in senso non solo normativo ma anche economico; un contratto il cui regime subisce la crescente commistione tra ordini di regole che sono generalmente separati.
43 La dottrina dell’“inequality of bargaining power” fu elaborata dal noto giurista Xxxx Xxxxxxx. Per un approfondimento sui concetti di “unconscionability” e di “inequality of bargaining power”, nel dibattito successivo, vedi M. J. XXXXXXXXXX, An Economic Approach to the Doctrine of Unconscionability, in B.J. XXXXXX and X. XXXX, Studies in Contract Law, Toronto, Butterworths, 1980, 379-421. Secondo il professor Xxxxxxxxxx, la
dottrina dell’“unconscionability” può trovare fondamento nelle situazioni di monopolio (ossia quando via sia l’assenza, anche solo di fatto, di alternative sul mercato) o di asimmetrie informative (in soggetti deboli per natura o per posizione di mercato), ma non può in alcun modo essere utilizzata per raggiungere un obiettivo di giustizia redistributiva. L’Autore conclude il suo saggio con queste parole “it has been suggested that distributive consideration per se are likely to prove an extremely elusive basis for judicial intervention and, more importantly, are often likely to yield counter-productive results. Even in some cases where economic analysis would suggest market imperfections, it has been argued that the courts should be extremely cautious about intervention. In particular, cases of alleged market-wide monopolies and cases of alleged information break-downs in the case of standard form contracts are cases where only extensive investigation and analysis of conditions prevailing throughout an entire market are likely to yield consistent and logically defensible results. Accordingly, extreme caution has been suggested on the part of the courts in these and related areas. The suggested constraints on the scope of the doctrine derive, first, from the high probability of error on the part of the courts in making judgments on the fairness of transactions predicated upon determinations of general conditions in a market and, second, from an inability to fashion remedial instruments that are capable of circumscribing second- order incentive and substitution effects. However, in areas where these considerations are not important, the doctrine of unconscionability appears to have a useful role to play, particularly in redressing transactional inequities flowing from situational monopolies, from impaired ability to process information, and from some forms of material non-disclosure”. Interessante il contributo del medesimo Autore, redatto unitamente a D.N. XXXXXX, Judicial control of standard form contracts, in The Economic Approach to Law, edited by X. XXXXXXX – X.X. XXXXXXXXXXX, Xxxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000.
Per una disamina della dottrina dell’“inequality of bargaining power” con riferimento agli “standard form contracts”, X. XXXXX, Inequality of bargaining power, in Oxford Journal of Legal Studies, vol. 6, n. 1, 1986, 123-136. In particolare, l’Autore sottolinea che “Unfainess in standard form contracts may also stem from the absence of choice. It is often pointed out that all the suppliers of the particular goods or service may use similar terms; the terms may not have been negotiated; and if the customer is aware of the terms on offer and seeks to negotiate the better ones, he may be met with a “take it or leave it” attitude. In the light of the analysis of why harsh terms are prevalent, none of these things suggests sinister exploitation. If the market is competitive in terms of price, it is not surprising to find most businesses offering roughly similar terms. A business which tried to offer better terms would have to charge more and if buyers did not understand the advantages of what they were being offered, it would lose sales. If the contract is on the same terms as are used by other businesses, and the price is also similar, that strongly suggests that the buyer is not being exploited. The odd buyer who demands better terms is likely to be told to “take it or leave it” because, unless the buyer is prepared to pay a considerable extra amount for his special treatment, the administrative cost to the business of altering the standard form in his favour is likely to exceed the cost of forgoing the sale. The individual customer lacks the bargaining power to influence the supplier, and this may be true not just of a consumer but also of a large business making the occasional contract of the relevant type; the cost of getting a special deal is too high to be worthwhile”.
Un ulteriore importante contributo al riguardo è offerto da S.N. THAL, The inequality of bargaining power doctrine: the Problem of defining Contractual Unfairness, in Oxford Journal of Legal Studies, vol. 8, n. 1, 1988, 17-33. L’Autore segnala che “The middle road which I wish to examine in more detail is a position which accepts that the definition of unfairness will ultimately be structured by the courts through case-by-case adjudication, but at the same time regards the development of an analytical framework to guide judicial reasoning as essential to the ordered continuation of this process. The goal is to find some way in which at least part of the definition of unfairness can be structured so as to give contracting parties some guidance as to when a court will set aside a contract on the ground of unfairness”, 25. Inoltre, si precisa che “The importance of the distinction between inequality caused by
Del resto, in questo nuovo scenario risultano inevitabilmente trasformati i rapporti fra il contratto e il principio della giustizia commutativa. Appare evidente, infatti, che il difetto di giustizia del contratto è un problema che spesso non si esaurisce nel rapporto interno tra le parti, ma produce esternalità negative, che si propagamo dannosamente in un contesto più ampio, pregiudicando una platea di interessi più ampia. Colpire il contratto “ingiusto”, quindi, significa non solo proteggere la vittima dell’ingiustizia, ma anche salvaguardare un bene più generale che, nel caso dei rapporti tra imprese, non può che essere il bene pubblico della concorrenza44.
Una testimonianza del permeare della giustizia contrattuale nel nostro ordinamento emerge con grande vitalità nell'opera di ridefinizione dell'articolato precettivo in tema di ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, di recente attuata attraverso la direttiva n. 2011/7/UE, e che si avrà modo di descrivere diffusamente nel prosieguo del lavoro. Si è affermata, infatti, la consapevolezza nuova, secondo cui, negli scambi tra operatori economici, ovvero tra questi ultimi e le pubbliche amministrazioni, l'abituale procrastinarsi dell'iniziativa solutoria influisce negativamente sulla liquidità e penalizza la gestione finanziaria delle imprese, con conseguenze pregiudizievoli, sotto il profilo della competitività e della redditività, tendenti
bargaining weakness and inequality caused by bargaining strength is that a party can not call the inequality of bargaining power doctrine into aid merely because he or she is in an inferior bargaining position. For the doctrine to be relevant, it is essential that the inequality arise because of unusual weakness of bargaining power on one side of the transaction. The crucial question which follows from this understanding of the doctrine is what sort of bargaining weaknesses the law will protect”, 30.
44 Sul punto, X. XXXXX, Giustizia contrattuale e libertà economiche: verso una revisione della teoria del contratto?, in Rivista critica del diritto privato, 4, 2007, 602.
ad un deciso aggravamento in periodi di involuzione del quadro economico, allorquando si accentuano gli ostacoli nell'accesso al credito45.
In tale delicata materia, il legislatore comunitario si prefigge di colpire l'abuso della libertà contrattuale a danno del creditore, con ciò assecondando una vocazione repressiva, già emersa in sede di emanazione della direttiva n. 93/13/CEE in materia consumeristica, nei confronti dei contegni implicanti una lesione degli interessi in capo ai soggetti che il mercato relega in una condizione di labilità di potere negoziale.
Si conferma, dunque, la tendenza del legislatore comunitario a salvaguardare le ragioni del contraente debole, disancorando la sua tutela dal concetto di status.
Si segnala, peraltro, l’affermarsi del ruolo della clausola generale di buona fede nella ricostruzione della figura dell'abuso, atteso che il criterio deontologico, oltre ad assurgere a referente primario nella valutazione della condotta osservata in executivis, vede la propria potenzialità applicativa trascorrere sul piano del formarsi del contenuto dispositivo della privata convenzione, ove si incarica di orientare la disamina in merito all'equità sostanziale dello statuto pattizio46.
Avuto riguardo, pertanto, ai rinnovati lineamenti della buona fede, si ha l'impressione che, nella prospettiva sovranazionale, con le inevitabili proiezioni nelle singole realtà statuali, venga profilandosi in maniera
45 Confronta, al riguardo, il considerando n. 3 della direttiva n. 2011/7/UE.
46 Così X. XXXXXXXXX, Abuso della libertà negoziale tra acquisizioni normative e riletture giurisprudenziali, in Giustizia civile, fasc. 2, 2012, 53.
inequivoca una coordinata sistematica che, benché già palesatasi in campo consumeristico, era stata colta non senza difficoltà ed incertezze in sede di speculazione dottrinaria, considerati i plurimi e non univoci approdi ricostruttivi raggiunti con riferimento al nesso normativamente stabilito tra contrarietà a buona fede e significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi negoziali in danno del consumatore.
Vi è, pertanto, un’assimilazione tra l’iniquità del regolamento contrattuale, o dei comportamenti deputati a darvi attuazione, e devianza dal canone etico espresso dalla buona fede.
Infine, sul versante del diritto della concorrenza, nel corso del 2010, si è assistito alla riforma del diritto europeo degli accordi di distribuzione. Alcuni tipi di accordi verticali, infatti, possono incrementare l’efficienza economica nell’ambito di una catena produttiva o distributiva permettendo un migliore coordinamento tra le imprese partecipanti. In particolare, essi possono contribuire a ridurre i costi delle transazioni commerciali ed i costi di distribuzione delle parti e possono altresì consentire un livello ottimale dei loro investimenti e delle loro vendite. Così, in seguito all’esperienza generalmente positiva dell’applicazione del regolamento n. 2790/1999, la Commissione europea ha adottato il Regolamento (UE) n. 330 del 20 aprile 2010, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del Trattato sul
funzionamento dell’Unione Europea a categorie di accordi e pratiche concordate47.
47 Più specificatamente, l’articolo 101, paragrafo 1 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) - ex articolo 81, paragrafo 1 del trattato che istituisce la Comunità europea (TCE) - vieta gli accordi che possono pregiudicare il commercio tra gli Stati membri e che impediscono, restringono o falsano il gioco della concorrenza. Il paragrafo 3 dell’articolo 101 del TFUE (ex articolo 81, paragrafo 3 del TCE) esenta gli accordi che producono sufficienti vantaggi, tali da compensare gli effetti anticoncorrenziali.
Con riferimento ai requisiti per l’applicazione del regolamento di esenzione per categoria, giova precisare che il detto regolamento contiene alcuni requisiti da soddisfare prima che un accordo verticale specifico sia esentato dal divieto dell’articolo 101, paragrafo 1 del TFUE. Il primo requisito prevede che l’accordo non contenga nessuna delle restrizioni fondamentali stabilite nel regolamento, il secondo prevede una soglia della quota di mercato del 30 % sia per i fornitori che per gli acquirenti. Infine, il regolamento di esenzione per categoria prevede alcune condizioni collegate a tre restrizioni specifiche.
Per quanto concerne le restrizioni fondamentali, tale regolamento ne contiene cinque tipologie che portano all’esclusione dell’intero accordo dai benefici del regolamento di esenzione per categoria, anche se le quote di mercato del fornitore e dell’acquirente sono inferiori al 30 %. Le restrizioni fondamentali sono considerate restrizioni gravi alla concorrenza a causa del probabile danno che provocano ai consumatori. Nella maggior parte dei casi saranno vietate e si ritiene improbabile che gli accordi verticali che contengono tali restrizioni fondamentali soddisfino le condizioni dell’articolo 101, paragrafo 3 del TFUE.
Nel dettaglio, la prima restrizione fondamentale riguarda l’imposizione dei prezzi di rivendita: ai fornitori non è consentito fissare il prezzo (minimo) al quale i distributori possono rivendere i loro prodotti.
La seconda restrizione fondamentale concerne restrizioni relative al territorio in cui o ai clienti ai quali l’acquirente può vendere. Questa restrizione riguarda la suddivisione del mercato in base al territorio o al cliente. I distributori possono continuare ad essere liberi di decidere dove e a chi vendere. Il regolamento di esenzione per categoria prevede alcune eccezioni a tale
1.5. I contratti dei consumatori
Occorre, a questo punto, fornire dei brevi cenni sui contratti dei consumatori, la cui legislazione speciale, dettando una disciplina differenziata rispetto a quella generale contenuta nel codice civile, ha indubbiamente fatto riemergere la rilevanza dello status delle parti contraenti48.
norma che permettono, ad esempio alle imprese di attuare un sistema di distribuzione esclusiva o distribuzione selettiva.
La terza e la quarta restrizione fondamentale riguardano la distribuzione selettiva. In primo luogo, ai distributori selezionati è vietato vendere a distributori non autorizzati, ma non sono sottoposti a limitazioni relativa agli utenti finali a cui possono vendere. In secondo luogo, i distributori autorizzati devono essere liberi di vendere o acquistare i beni contrattuali a o da altri distributori autorizzati all’interno della rete.
La quinta restrizione fondamentale riguarda la fornitura di pezzi di ricambio. Un accordo tra un produttore di pezzi di ricambio e un acquirente che incorpora questi nei suoi prodotti non può impedire o limitare le vendite da parte del produttore di questi pezzi di ricambio agli utenti finali, a riparatori indipendenti o a prestatori di servizi.
Inoltre, va rilevato che un accordo verticale è coperto da questo regolamento di esenzione per categoria se sia il fornitore che l’acquirente dei beni o servizi non hanno una quota di mercato superiore al 30 %. Per il fornitore, si tratta della sua quota di mercato su mercato di fornitura rilevante, cioè è il mercato sul quale vende i beni o servizi ad essere decisivo per l’applicazione dell’esenzione per categoria. Per l’acquirente, è la sua quota di mercato sul mercato di vendita rilevante, cioè il mercato sul quale vende i beni o servizi, ad essere decisivo per l’applicazione del regolamento di esenzione per categoria.
Quanto alle restrizioni escluse, si segnala che il presente regolamento si applica a tutte le restrizioni verticali diverse dalle restrizioni fondamentali di cui sopra. Impone comunque, condizioni specifiche a tre restrizioni verticali:
- obblighi di non concorrenza durante il contratto;
- obblighi di non concorrenza dopo la scadenza del contratto;
- l’esclusione di marchi specifici in un sistema di distribuzione selettiva.
Quando le condizioni non sono soddisfatte, queste restrizioni verticali sono escluse dall’esenzione del regolamento di esenzione per categoria. Tuttavia tale regolamento continua ad essere applicato alla parte rimanente dell’accordo verticale se tale parte è separabile (cioè può operare in modo indipendente) dalle restrizioni verticali non esentate.
Per un approfondimento dell’argomento e per leggere direttamente il testo dei regolamenti (UE), consulta il sito xxxx://xxxxxx.xx/xxxxxxxxxxx_xxxxxxxxx/xxxxxxxxxxx/xxxxx/xx0000_xx.xxx. In dottrina, X. XXXXXXXX QC - X. XXXXXXXXXXX, The Reform of European Distribution Law, in World Competition, 34, 1, 2011, 11-50.
48 Tuttavia, nell’ambito descritto, è preferibile rinunciare a parlare di status, in quanto le qualità delle parti deboli attengono più alle condizioni legate a circostanze concrete ed effettive in cui si svolge la contrattazione d’impresa. Si è, quindi, in presenza di posizioni contrattuali da individuare volta per volta e così la staticità propria del concetto di status mal si concilia con la posizione momentanea, relativa e a volte occasionale del contraente debole. Sul punto,
X. XX XXXXXXX, L’uguaglianza sostanziale nella contrattazione di impresa, in I Contratti, 4, 2011, 408.
La qualità di consumatore, dunque, comporta l’applicazione di una disciplina aliena a quella generale contenuta nel codice civile49.
Si è detto che il cambio di direzione, spinto dalle direttive comunitarie, nasce con l’esigenza di tutelare il contraente debole, in via immediata, per tutelare, in via mediata, il corretto sviluppo della concorrenza. In tal modo, nessun operatore del mercato può approfittare delle condizioni di inferiorità del consumatore, garantendosi vantaggi anticoncorrenziali.
La tutela del consumatore, quindi, può trovare realizzazione nella sfera della giuridicità. Nel settore strettamente economico, infatti, si assiste al depotenziamento della posizione dei consumatori rispetto a quella delle
49 Al riguardo, appare utile illustrare una breve ricostruzione dell’iter storico che ha condotto all’emanazione del Codice del Consumo. I contratti del consumatore, infatti, furono nominati come tali con la introduzione della disciplina delle clausole vessatorie ed abusive degli artt. da 1469bis a 1469sexies del codice civile, disciplina che viene significativamente inserita, nel 1996, sotto tale denominazione, nell’apposito capo XIVbis, alla fine del titolo I del libro IV del codice civile (dedicato ai contratti ingenerale). Successivamente, la distribuzione di prodotti e di servizi di massa destinati al consumo avrebbe formato oggetto di molte leggi speciali, che regolavano sia il contratto-atto, in ragione delle condizioni e modalità in cui avveniva la contrattazione, che il contratto-rapporto, in ragione delle caratteristiche oggettive del prodotto o servizio venduto e delle qualità soggettive delle parti del contratto. Si annoverano, in proposito, la legge n. 50 del 1992 sui contratti negoziati fuori dai locali commerciali, la legge
n. 111 del 1995 sulla vendita di pacchetti di viaggi, vacanze, circuiti tutto compreso, la legge n. 185 del 1999 sui contratti a distanza, il decreto legislativo n. 70 del 2003 sul commercio elettronico, la disciplina della garanzia dei beni di consumo, inserita agli articoli 1519bis e seguenti del codice civile, il decreto legislativo n. 427 de 1998 sulla multiproprietà. Tutta questa legislazione, quindi, si presentava come legislazione speciale, come espressione di particolarismo giuridico, di fronte al carattere generale del titolo II del libro IV del codice civile, per la disciplina del contratto-atto e del contratto-rapporto. Tuttavia la crisi del concetto unitario di contratto, avviata con la detta legislazione speciale, è stata quasi ratificata legislativamente dal varo del Codice del Consumo (decreto legislativo n. 206 del 2005), in cui sono confluite le leggi speciali di protezione del consumatore e da cui emerge che il contratto del consumatore è uno schema normativo generale della conclusione e della esecuzione dei contratti, che negoziano prodotti di consumo tra operatori economici professionali e privati- consumatori. Si tratta, dunque, di uno schema normativo profondamente diverso da quello del codice civile per momenti fondamentali della conclusione e dell’esecuzione. Tali profonde differenze non solo hanno giustificato la scissione del contratto del consumatore dall’unitaria categoria del contratto del codice civile, ma hanno sollecitato la riflessione sul ruolo e sulla portata attuali del contratto comune di diritto civile. Per un approfondimento sul tema, X. XXXXXXX, I contratti di impresa, in Giurisprudenza commerciale, 1, 2008, I, 140.
imprese produttrici, ossia ad un deficit di potere economico dei consumatori rispetto al potere economico delle imprese, a cui può porsi rimedio solo con l’ausilio delle regole giuridiche50.
Pertanto, il movente della normativa sulle clausole vessatorie risiede, non solo nella promozione della libera concorrenza, ma anche nell’istanza solidaristica rivolta a soggetti privi di competenza professionale, spesso vittime di asimmetrie informative51 e non supportati da una struttura imprenditoriale.
50 Così X. XXXXXX, Il diritto europeo dei contratti di impresa, in Rivista di diritto civile, 1, 2005, I, 1. L’Autore si domanda, altresì se è necessario, al fine di costruire una categoria dogmatica dei contratti di impresa, spiegare e dimostrare come l’interesse della parte imprenditrice si traduce in una componente della causa del contratto di impresa, così come sarebbe necessario, per configurare una categoria dei contratti dei consumatori, verificare come l’interesse di questi soggetti valga a integrare una specifica componente della causa della relativa fattispecie negoziale.
51 “A common justification for recent judicial and legislative interventions in consumer markets to set contract terms or to require firms to disclose price or other product-related information is that consumers are imperfectly informed with respect to the transactions they make”: tale è l’incipit di un interessante articolo, seppur risalente, apparso nel 1979 sulla University of Pennsylvania Law Review. I due Autori, i Professori Xxxx Xxxxxxxx e Xxxxx X. Xxxxx, analizzano in una prospettiva giuridica ed economica l’intervento della legislazione sul mercato al fine di rimuovere le asimmetrie informative di cui è affetto il contraente- consumatore. Attraverso l’utilizzo dell’analisi economica del diritto, supportata dal modello matematico, i due Autori giungono alle seguenti conclusioni: “the existence of imperfect information is commonly thought to justify market intervention by courts and legislatures because of the predominant belief that an imperfectly informed buyer cannot make utility- maximizing purchase choices. This focus on the conditions under which particular individuals can make optimal decisions is unwise. Not only does it fail to give guidance to decision-makers respecting when and how they should intervene in markets, but it is a misplaced concern: when markets are competitive, individuals are protected from the adverse consequences of making decisions in the face of imperfect information. Therefore, decision-makers should attempt to ascertain whether noncompetitive behavior is occurring in the relevant market before intervening. Such a determination would be complex, expensive, and somewhat inexact, but criteria exist that should enable it to be made with an acceptable (although not fully satisfactory) degree of accuracy. Further, once it has been decided that a market is behaving non-competitively, the preferable state response is not to regulate prices or to prohibit the use of specific contract terms; the better response is to attempt to increase competition in the market. Finally, courts can do little to increase competition; thus state responses to the existence of imperfect information should be primarily legislative and administrative”. Per un approfondimento, X. XXXXXXXX – L.L. XXXXX, Intervening in markets on the basis of imperfect information: a legal and economic analysis, in University of Pennsylvania Law Review, 1970 (127), 630.
La dottrina appare restia ad applicare la logica impiegata a tutela del consumatore all’imprenditore debole, in quanto vi è una differenza strutturale tra le due figure in punto di asimmetria del potere contrattuale52. Il consumatore, infatti, riveste una posizione di debolezza all’interno del contratto, poiché, risultando sprovvisto delle necessarie informazioni, è incapace di negoziazione. I contratti dei consumatori, del resto, si costruiscono sulla circostanza che la predisposizione unilaterale da parte dell’imprenditore-professionista comporta una presunta asimmetria tra le parti e a tal fine trova spazio la normativa sulle clausole vessatorie e sulla nullità di protezione53.
La tutela del consumatore non può, quindi, assurgere a paradigma della protezione di qualsiasi soggetto debole e, anche attraverso l’effetto trainante della buona fede oggettiva, può essere estesa solo sino al limite di abbracciare chiunque, anche non persona fisica, non svolgendo un’attività d’impresa e privo di una competenza professionale nella conclusione del contratto, non abbia avuto il potere di negoziare il contenuto delle clausole54. In sostanza, può ammettersi un’interpretazione estensiva della disciplina a favore del
52 C’è chi evidenzia il contenuto del considerando 20 della direttiva sui servizi di pagamento (2007/64 CE), secondo la quale “gli Stati membri dovrebbero poter stabilire che le microimprese… debbano essere trattate al pari dei consumatori”. Tuttavia, pur offrendo una traccia per una possibile tassonomia contrattuale europea, non si perviene ad una costruzione convincente del contratto con asimmetria del potere contrattuale. Per tali riflessioni, X. XXXXXXXXXXX, Per una lettura dell’abuso contrattuale: contratti del consumatore, dell’imprenditore debole e della microimpresa, in Rivista di diritto commerciale, 2, 2010, I, 409.
53 Per un approfondimento, F. DI MARZIO, Teoria dell’abuso e contratti del consumatore, in
Rivista di diritto civile, 2007, 5, I, 681.
54 Recentemente, in tema di contratto virtuale, E. TOSI, La dematerializzazione della contrattazione: il contratto virtuale con i consumatori alla luce della recente novella al codice del consumo di cui al d. lgs. 21 febbraio 2014, n. 21, in Contratto e Impresa, 2014, 6, 1264.
consumatore ampliata sino a comprendere gli enti collettivi e chi, pur acquistando beni strumentali alla sua attività, non esplichi nel contratto la propria competenza professionale, mentre non si può condividere una pura generalizzazione della tutela del consumatore che finirebbe per non rispettare la ratio della normativa55.
Ciò premesso, la disciplina da invocare quando il contraente debole sia un’impresa, deve essere necessariamente diversa da quella che si applica al consumatore. Del resto, la debolezza dell’imprenditore consiste nell’assenza di reali alternative sul mercato e non si arresta al solo momento genetico del rapporto, ma si riflette anche sullo svolgimento dello stesso56.
Tuttavia, pur nella diversità delle regolamentazioni, collegata alla differente prospettiva delle asimmetrie, è possibile evidenziare un fil rouge che lega i contratti dei consumatori e quelli degli imprenditori: le loro rispettive discipline giuridiche, infatti, realizzano interventi di regolazione del mercato che sono indispensabili per prevenire i cosiddetti market failures o per porvi rimedio. Tali due ambiti disciplinari, infine, si raccordano strettamente con la disciplina della concorrenza, attraverso l’elemento trainante della buona fede. Ed è proprio alla rinnovata centralità della buona fede oggettiva che volge lo sguardo il prossimo paragrafo.
55 Sul punto, X. XXXXXXXXXX, Buona fede oggettiva, contratti di impresa e diritto europeo,
in Rivista di diritto civile, 2005, 5, I, 516/517.
56 In letteratura inglese, sul punto, X. XXXXX – X. XXXXXXX, Contracts between Businessmen: Planning and the Use of Contractual Remedies, in British Journal of Law and Society, vol. 2, n. 1, 1975, 45-60.
1.6. La buona fede oggettiva
Accanto alle novità normative per i consumatori, attori nuovi dello scenario contrattuale, compare, con rinnovata vitalità, uno dei cardini del diritto tradizionale dei contratti: la buona fede oggettiva57. La clausola di buona fede, infatti, domina con spiccata vis espansiva, oggi come ieri, l’intera materia.
57 La sconfinata letteratura sul tema impone, in questa sede, di operare una selezione con riguardo alle opere che paiono più significative. Quanto alla buona fede nella sua dimensione oggettiva il richiamo è, tra gli altri, per la dottrina tradizionale, a: X. XXXX, Sul concetto di buona fede, Genova, 1912; X. XXXXXXX, Teoria generale delle obbligazioni, III, Milano, 1948; X. XXXXXXXX, Essenza della «buona fede» e suo rapporto con la teoria dell'errore, ora in Scritti giuridici varii, II, Torino 1926, 717; X. XXXXXXXX, Dottrina generale del contratto, Milano, 1948; X. XXXXXXX, Valore attuale della massima «fraus omnia corrumpit», in Rivista trimestrale di diritto processuale civile, 1949, 782; X. XXXXXXXXXX, Teoria generale del diritto, Roma, 1951; X. XXXXX, La buona fede nella teoria dei fatti giuridici di diritto privato, Torino, 1949; X. XXXXXXXXXX, L'obbligazione (Parte generale), I, Milano, 1951; X. XXXXX, Teoria generale delle obbligazioni, I, Milano, 1955; X. XXXXXX, “Buona fede”, in Nuovissimo Digesto Italiano, II, Torino, 1957, 599; X. XXXXXX, Note preliminari ad una teoria dell'abuso del diritto nell'ordinamento giuridico italiano, in Rivista trimestrale di diritto processuale civile, 1958, 18; ID., L'attuazione del rapporto obbligatorio (Appunti delle lezioni), III, Milano, 1963; X. XXXXXX, voce “Buona fede (diritto privato)”, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1959, 677; X. XXXXXXX, Osservazioni in tema di «doveri di protezione», in Rivista trimestrale di diritto processuale civile, 1960, 1324; X. XXXXXX, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1964; ID., voce “Diligenza (diritto civile)”, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1964, 539; ID., Appunti sul principio di buona fede, in Foro Padano, 1964, I, 1283; ID., Il principio di correttezza e la vigenza dell'art. 1175 c.c., in Banca borsa e titoli di credito, 1965, I, 149; X. XXXXXX, Il principio di buona fede, in Rivista di diritto commerciale, 1964, I, 163; X. XXXXXXXXX, Certezza e giustizia nel problema della buona fede, in Giustizia e società., 1965; X. XXXXXXXX, L'abuso del diritto, in Rivista di diritto civile, 1965, I, 205; X. XXXXXXXX, L'integrazione del contratto, in Rivista trimestrale di diritto processuale civile, 1969, 108; X. XXXXXXXXX, Il dovere generale di buona fede, Padova, 1969; X. XXXXXXX, Rapporto precontrattuale e doveri di correttezza, in Annali della Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Genova, 1971, 232; X. XXXXXXXX, Buona fede obbiettiva e abuso del diritto,in Rivista trimestrale di diritto processuale civile, 1971, 613; C. M. XXXXXX, La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, in Rivista di diritto civile, 1983, I, 205; X. XXXXXXXXX, Buona fede e ragionevolezza, in Rivista di diritto civile,, 1984, I, 709; X. XXXXXXXXXX, L'avventura delle clausole generali, in Rivista critica di diritto privato, 1986, 21; X. XXXXXXX, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Rivista critica di diritto privato, 1986, 5. Una disamina delle origine romanistiche del principio è offerta da X. XXXXXXX XXXX, Istituzioni di diritto romano , Napoli, 1946 e X. XXXXXXXX, Istituzioni di diritto romano, Torino (s.d., ma 1957). Per la rilevanza e correttezza nella fase delle trattative X. XXXXXXX, La responsabilità precontrattuale, Milano, 1963; X. XXXXXXXX, Il dovere precontrattuale di buona fede (analisi della giurisprudenza), in Rassegna di diritto civile, 1982, 1051; X. XXXXXXXXX XXXX, Note in margine alla rilevanza
Va rilevato che, sul terreno sostanziale, appare superata la drastica contrapposizione fra la buona fede oggettiva, sinonimo di un intervento solidaristico nel contratto, e la logica del mercato, dominata dal principio liberista. Tale inattesa conciliazione, tuttavia, non è priva di ombre, che si compendiano nell’alternativa fra l’attitudine della buona fede ad operare un controllo sul contenuto dell’accordo, solo nei limiti in cui ciò sia strumentale all’efficienza e alla libera concorrenza del mercato, e la sua vocazione, viceversa, a regolare il mercato.
Nel campo europeo dei contratti, peraltro, la buona fede è capace di far transitare nel contratto istanze non derivate e non imposte dai singoli ordinamenti, il che le conferisce un’importanza primaria in una realtà in cui si affievoliscono la centralità dello Stato e il suo ruolo di intervento nell’economia58, imponendosi quale principio generale del diritto europeo dei contratti59.
dell'art. 1337 c.c., in Scritti Xxxxxxxxx, Milano, 1982, 131. Per una panoramica sulla latitudine del principio negli ordinamenti tedesco e francese si vedano: F. XXXXXX, Xx xxxxxxxx xx xx xxxxx xxx, Xxxxx, 0000; X. XXXX CAEN, De l'évolution de la bonne foi, in Revue trimestrielle de droit civil, 1946, 76; O. A. GERMANN, Die bona fides als Grundlage des Wettbewerbsrechts, in Aequitas und bona fides, Festgabe für Simonius, Basel, 1955; K. SIMITIS, Gute Sitten und ordre public, Xxxxxxx, 0000.
58 Il dogma dell’intangibilità dell’autonomia privata, comunemente inteso come un riconoscimento di un vero e proprio potere soggettivo, appare ormai profondamente minato alle basi. L’intelligibilità dell’assunto risulta pressoché immediata ove si consideri, ad esempio, che i privati, autodeterminandosi alla contrattazione, possono vedere tutelati i propri interessi solo attraverso i dicta che l’ordinamento statuisce in tema di forma e contenuto dell’accordo negoziale. Il codice del 1942 e la Carta Costituzionale pochi anni dopo recepiscono le coordinate del mutato assetto sociale ed elevano il contratto a strumento di collaborazione economica e cooperazione delle attività individuali per il raggiungimento di fini non esclusivamente egoistici, ma anche sociali. L’ordinamento si insinua con forza in un terreno ritenuto impermeabile nel pensiero ottocentesco, affiancando al concetto di libertà contrattuale quello dell’utilità e solidarietà sociale. L’idea, dunque, è che la matrice individualistica, fulcro della concezione e della struttura del contratto nel sistema previgente, si arricchisca di una matrice pubblicistica che viene imposta ab externo dall’ordinamento
Due le funzioni della buona fede oggettiva: la prima, di orientamento e ricostruzione dell’accordo tra le parti, la seconda, quale criterio ermeneutico tramite cui giudicare la giustizia normativa dell’accordo e colpire con l’inefficacia le clausole inique60.
giuridico; quest’ultimo diventa momento di sintesi tra contratto e mercato, tra individuo e società. Una più incisiva conferma nel senso appena indicato è fornita dall’esistenza di norme tutt’altro che eccezionali, che vincolano il contraente finanche nella prerogativa di attuazione di un contratto, ovvero nella scelta della controparte. Di crescente e significativa importanza appare, inoltre, l’incidenza delle c.d. fonti “eteronome” nell’ambito del rapporto contrattuale ed anche nello specifico, la significativa espansione interpretativa e applicativa della clausola generale di buona fede. Se si aderisce all’impostazione in ultimo indicata, si valorizza a pieno la funzione del principio di proporzionalità, di derivazione comunitaria, all’interno del nostro ordinamento, nonché la possibilità di affermare che il predetto principio, di cui la buona fede è una chiara espressione, ha da sempre avuto un ruolo centrale nel nostro sistema legislativo, posto che la buona fede non può essere più, o non solo, considerata strumento per misurare il comportamento, bensì anche parametro per valutare se il diritto sia stato esercitato con modalità conformi alle esigenze che l’ordinamento intende perseguire. Se ne ricava che sono esempi, del tutto esemplificativi e non esaustivi, di un generale principio di correttezza e buona fede: la rescissione per lesione, la risoluzione per eccessiva onerosità e la riduzione officiosa dell’entità della clausola penale. Si denota un ampliamento del concetto di buona fede, o meglio del suo contenuto normativo, in forza di una lettura conforme a Costituzione, in funzione della quale il principio in parola si trova ad assumere il ruolo di limite di ogni situazione giuridica negoziale, attiva o passiva, in vista dell’attuazione del principio di giustizia contrattuale. In questo senso la pattuizione (regola formale) cede alle esigenze superiori di giustizia (regola sostanziale). Ne consegue che la buona fede non deve essere ricondotta stricto sensu nell’alveo degli articoli 1337, 1366 o 1375 del codice civile, poiché piuttosto che buona fede contrattuale, che presuppone un rapporto di parità tra le parti, qui viene ad operare un più ampio concetto di buona fede inteso come principio collegato a istanze solidaristiche e di meritevolezza, cui fare riferimento nel giudizio circa la modalità di esercizio di un diritto. L’abuso dell’autonomia privata, inteso quale violazione del principio di buona fede, è riscontrabile ogniqualvolta i soggetti oltrepassino il limite al di là del quale viene meno la meritevolezza di tutela. L’intervento correttivo, pertanto, è volto a soddisfare il principio di giustizia contrattuale da tempo affermato, la cui rappresentazione emblematica è data dall’introduzione in xxx xxxxxxxx xxxxx xxxxxxxxx x’xxxxxxx xxxxx xxxxxxxx penale, a significare come l’autonomia delle parti debba conciliarsi con un interesse di ordine generale. In definitiva viene ribadito il ruolo centrale del principio di proporzionalità, rafforzato dalla buona fede al fine di attribuire, seppur entro certi limiti, rilevanza allo squilibrio, sia economico che normativo, tra le prestazioni contrattuali indipendentemente dalla qualifica soggettiva della parte debole. Non si tratta di un depotenziamento, quanto piuttosto di un rimodellamento dell’autonomia privata sulle forme del principio solidaristico, nella consapevolezza, da parte dei consociati, di una piena libertà di impulso alle vicende giuridiche, sulle quali il controllo esterno è esercitato per la tutela della proporzionalità. Per l’approfondimento di tali riflessioni: X. XXXXXXXXXX, Autonomia privata e buona fede nella complessa relazione evolutiva con la normativa consumeristica, in Contratto e Impresa, 2013, 4-5, 917.
59 Sul punto, X. XXXXXXX, Good Faith in European Contract Law, in Oxford Journal of Legal Studies, vol. 14, n. 2, 1994, 229.
60 Per un approfondimento sul tema: X. XXXXXXXXXX, Buona fede oggettiva, contratti di impresa e diritto europeo, in Rivista di diritto civile, 2005, 5, I, 507.
Ne consegue che, alla luce di quanto esposto, l’essenza della buona fede viene individuata nella logica del mercato, in quanto limite specifico dell’autonomia contrattuale dell’imprenditore. In altri termini, la buona fede non è costituita né dalla deontologia professionale, né dalla prassi sociale, né, ancora, dalla valutazione etica dei comportamenti imprenditoriali che si rinviene nella coscienza sociale, bensì dai principi generali inderogabili dell’ordinamento giuridico in materia di attività economiche e di buon funzionamento del mercato e della libera concorrenza61.
Nel contesto europeo, dunque, si prospettano due diversi modelli: quello della legislazione comunitaria, che identifica il contraente debole nella figura del consumatore che non è riuscito a negoziare il contenuto contrattuale, e quello delle proposte di armonizzazione europea della disciplina del contratto62. Si fa
61 Così, P. SIRENA, La categoria dei contratti di impresa e il principio della buona fede, in
Rivista di diritto civile, 2006, 4, II, 420.
62 Secondo il Professor Xxxxxxx, con riferimento al rapporto tra gli UCTA (Unfair Contract Terms Act 1977) e il processo di armonizzazione dei contratti a livello europeo, “the long-term issue provoked by these differences between the two instruments is whether, under the influence of the EC harmonization programme, UK contract law will eventually be pushed towards a fundamental division between consumer contracts and business contracts, with radically different regimes applicable to each. Although English contract law has so far preserved a degree of unity by treating the legislative protection of consumers as a special derogation from the general principles of the law, the pressure towards harmonization of consumer contract law throughout the single market will place this doctrinal unity under considerable strain. Whereas some regard this threat to the unity of contract law as a betrayal of the liberal commitment to equality of the law and a dangerous style of socialist thought, I am more concerned that a division between commercial and consumer contract law might suggest that similar principles and values should not be applicable to both kinds of contract”. Per tali riflessioni, X. XXXXXXX, Good Faith in European Contract Law, in Oxford Journal of Legal Studies, vol. 14, n. 2, 1994, 229.
Molti Autori hanno approfondito la legislazione su Unfair Contract Terms Act (UCTA) del 1977. Ex multis, si segnalano: X. XXXXXX – X. XXXXX, The future of the Unfair Contract terms Xxx 0000, in Cambridge Law Journal, 40, 1, 1981, 108; X.X. XXXXX – X. XXXXXXXXXX, The Unfair Contract Terms Act: a decade of discretion, in The Law Quarterly Review, vol. 104, 1988, 94; X. XXXXX, Unfair Contracts in Britain and Europe, in Current Legal Problems, 42, 1989, 197; S. BRIGHT, Winning the battle against unfair
contract terms, in Legal Studies, vol. 20, 3, 2000, 331; X. XXXXXXXXX, Unfair Contract Terms, Unfair Prices and Bank Charges, in The Modern Law Review, 74, 1, 2011, 106.
Dall’1 luglio 1995 i contratti dei consumatori sono soggetti alla normativa di derivazione comunitaria sulle clausole vessatorie. Il primo gruppo di regole fu emanato nel 1994, ma fu ben presto rimodulato nel 1999 con “The Unfair Terms in Consumer Contracts Regulations” (UTCCR). Con riferimento al rapporto tra gli UCTA e gli UTCCR ed in particolare all’ambito di applicazione di tali normative, interessanti appaiono gli spunti di riflessione di X. XXXXXXXXX, Unfair Contract Terms Act – Thirty Years On, in Contract Terms, edited by
X. Xxxxxxx and X. Xxxx, Oxford University Press, 2007. Secondo l’Autrice “the current approach taken to the definition of ‘deals as consumer’ is inappropriate, and could be improved upon, but it is difficult to see how it could be reinterpreted by the courts to allow for appropriate businesses to be regarded as ‘dealing as consumers’, or how any appropriate new definition could be set out in the current structure of UCTA. However, that should not be seen as a significant problem when much of the protection provided to consumers is also provided to a business which deals on the proferens’ written standard terms of business. Further, the scope of protection provided for businesses under UCTA may be seen as mitigating the impact of a strict limitation to consumers of the protection provided by the Unfair Terms in Consumer Contracts Regulations 1999, which was a major element in the Law Commissions’ consideration of a unified unfair terms regime. That mitigation would be all the more effective if the broadest provisions of UCTA, such as s 3(2)(b)(i) were used to their full potential. UCTA must continue to operate in the business-to-business context because there is no simple cut-off point in relation to the need for protection”.
Senza alcun dubbio vi è un grado significativo di sovrapposizione tra la disciplina degli UCTA 1977 e quella degli UTCCR 1999, ma l’utilizzo di un linguaggio diverso e di concetti differenti contenuti nelle due normative conducono a volte a risultati diversi. Per tali motivi, la Law Commission (Unfair Terms in Contracts, 2005, Law Commission No 292, Scottish Law Commission, No199) ha descritto gli UCTA 1977 nei seguenti termini: “UCTA is a complex statute. As we know from our own experience, it is difficult to understand fully without very careful reading. Given the complexity of its subject matter, UCTA is structured in a way that is very economical, but that structure is not easy to grasp. Frequently, a single provision will apply to a number of different types of contract and to a variety of different situations: this makes it difficult to see the effect of the statute, particularly for a reader without legal training”. L’opinione della Law Commission sugli UTCCR 1999 era leggermente più positiva, ma non era aliena da critiche, soprattutto con riferimento alla terminologia utilizzata nel corpo della normativa “that is alien to English and Scots readers, lawyers and non-lawyers alike” e alla scarsa protezione accordata alle piccole imprese. Nel 2001, pertanto, il Department of Trade and Industry (DTI) ha chiesto alla Law Commission e alla Scottish Law Commission di rielaborare un testo di legge su “unfair contract terms” tenendo ben presente i detti rilievi.
Nel febbraio 2005 è stato pubblicato un rapporto finale ove si legge “our recommendations were in four parts: (1) for contracts between a business and a business with 10 or more employees, the draft Bill merely restated the current law in a more accessible form; (2) for contracts between a business and a micro-business, the law Commissions recommended an extension of protection; (3) for contracts between a business and a consumer, the draft bill combined UCTA and the UTCCR into a single unified regime to cover the whole of the UK; (4) for other contracts, the draft Bill preserved the existing law. At present, UCTA has some limited effect on employment contracts and private sales between two consumers. The draft Xxxx restated these provisions”. In particolare, con riferimento ai business to business contracts (cui è dedicata l’intera parte quinta del rapporto: Extending the Protection against Unfair Terms to Small Businesses), si dispone “1.10 Our business to business proposals were that protections similar to those afforded to consumers by the UTCCR should be extended to all business contracts. The Consultation Paper concluded that, although there were situations where consumer and business contracts justified different treatment, in general terms it is not desirable for the two sets of rules to differ without good reason. 1.11 Although there was some justification for offering small businesses greater protection than larger businesses,
riferimento, in particolare, ai Principles of European Contract Law (in seguito indicati come PECL) e ai Principi Unidroit.
Tali proposte di armonizzazione condividono l’idea che l’accertamento sulla giustizia normativa sia legato alla mancata negoziazione delle clausole e prevedono un sindacato sull’equilibrio economico dell’atto connesso con un’ampia descrizione di debolezza contrattuale di una parte63.
Tale debolezza deriva secondo i PECL dalla circostanza che “it was dependent on or had a relationship of trust with the other party, was in economic distress or had urgent needs, was improvident, ignorant, inexperienced or lacking in bargaining skill, and the other party knew or ought to have known of this and, given the circumstances and purpose of contract, took advantage of this first party’s situation in a way which was grossly unfair and took an excessive benefit” (articolo 4.109).
nevertheless we considered that it was preferable to treat all businesses alike. We therefore proposed that the provisions of the UTCCR should be extended to cover all businesses. 1.12 These proposals received a mixed response. What was evident, however, was resistance to interference with contracts between businesses in general but widespread support for greater protection for small businesses. 1.13 We have been persuaded that the regime governing contracts between larger businesses should be left substantially as it stands, preserving the existing position under UCTA. In light of the support for small business protection, we raised several options for a small business regime, culminating in a seminar held in conjunction with the Society for Advanced Legal Studies in July 2003. These discussions confirmed that there is widespread (though not universal) support for a specific regime for small businesses; and that the preferred route is to open to review all contract terms with the exception of those that are core terms or which were individually negotiated. We therefore recommend a separate scheme to protect small businesses which will apply to non-negotiated, non-core terms”.
Infine, nel mese di maggio 2012, il Department for Business, Innovation and Skills (BIS) ha chiesto alla Law Commission e alla Scottish Law Commission di rielaborare il rapporto del 2005, nelle sezioni in cui si occupa della disciplina dei consumer contracts. I risultati di questo osservatorio sono stati pubblicati nel 2013 in un nuovo rapporto dal titolo “Unfair Terms in Consumer Contracts: a new approach? Issues Paper”, consultabile sul sito della Law Commission e della Scottish Law Commission, agli indirizzi: xxxx://xxx.xxxxxx.xxx.xx e xxxx://xxx.xxxxxxxxxx.xxx.xx.
63 Sul punto, X. XXXXX, I principi Unidroit e l'eccessivo squilibrio del contenuto contrattuale (Gross disparity), in Rivista di diritto privato, 1999, 40.
Secondo i Principi Unidroit, la debolezza di cui si discorre dipende dai seguenti fattori: “the fact that the other party has taken unfair advantage of the first party’s dependence, economic distress or urgent needs, or of its improvidence, ignorance, inexperience or lack of bargaining skill, and the nature and purpose of contract” (articolo 3.10).
Appare evidente che l’intervento della buona fede oggettiva, come correttivo allo squilibrio dell’esercizio dell’autonomia privata, si può tradurre in un controllo sul contenuto contrattuale, solo a fronte di una ricostruzione ponderata degli indici normativi e degli elementi di fatto, che di volta in volta si collocano all’interno della specifica contrattazione.
Nella stessa scia si colloca la scelta della Commissione Europea, nel 2005, di assegnare ad un gruppo di esperti la redazione di un Draft Common Frame of Reference (DCFR), con il precipuo compito di costituire la base per l’adozione di un Common Frame of Reference, da parte della Commissione stessa, al fine di conferire veste politica ad un progetto in origine esclusivamente di matrice accademica64. Si segnala altresì che, nel contesto dei programmi di Stoccolma 2010-2014 “Per un’Europa aperta e sicura che sostenga e protegga i cittadini” ed Europa 2020 su “Una strategia per una crescita intelligente, duratura ed inclusiva”, nell’aprile 2010 la Commissione ha istituito un Expert Group composto da esponenti del mondo accademico e
64 Due furono i gruppi di esperti coinvolti: il primo denominato “Study Group on a European Civil Code”, presieduto dal Professor Xxxxxxxxx xxx Xxx, con il compito di approfondire quanto già formulato dalla Commissione Lando, il secondo, “Research Group on Existing EC Private Law”, deputato a includere nei lavori anche le otto direttive sui contratti dei consumatori. Per un approfondimento, X. XXXXXXXXX, A Framework of Principle for European Contract Law, in The Law Quarterly Review, vol. 125, 2009, 616- 647.
delle professioni legali rappresentativi dei diversi Stati dell’Unione con il compito di svolgere uno studio sull’applicabilità pratica (Feasibility Study) delle norme del Draft di maggiore rilevanza in materia di disciplina generale del contratto e di contratti del consumatore. A distanza di tre mesi, inoltre, la Commissione ha pubblicato un Green Paper con il quale ha dato l’avvio ad una consultazione pubblica circa il futuro possibile impiego del redigendo Feasibility Text65.
Le finalità perseguite dall’uso della buona fede oggettiva sono, ancora una volta, duplici, attenendo alla protezione sia della libera concorrenza sia delle posizioni contrattuali deboli66. Tuttavia occorre operare una netta distinzione
65 Per un approfondimento, X. XXXXXXXX, Dal Draft of Common Frame of Reference al Feasibility Text: verso un regolamento opzionale sul diritto europeo dei contratti?, in Rivista di diritto commerciale, 1, 2012, I, 187.
66 Appare molto interessante la riflessione svolta da X. XXXXXXXXX, Il contratto europeo nel tempo della crisi ed ecco venire un grande vento di là dal deserto (Giobbe, 1,19), in Europa e diritto privato, fasc. 3, 2010, 601, sul contratto e sui rimedi all'ombra della crisi economica, che deve necessariamente estendersi al ruolo svolto dalla buona fede quale strumento teso ad introitare nel regolamento pattizio i valori europei. Secondo l’Autore, la crisi degli stati nazionali e la dimensione extrastatuale del diritto privato europeo potrebbero indurre, innanzitutto, a sfogare sul contratto le istanze di giustizia sociale, attribuendo al giudice il ruolo di supplente dello Stato con il compito di praticare forme di socializzazione nelle relazioni contrattuali. Da qui i primi vagiti di un progetto sui generis e se vogliamo un po' ingenuo di promozione della giustizia sociale in Europa: un progetto che muove dalla constatazione di un diffuso difetto di solidarismo nel diritto di marca comunitaria rispetto alle tradizioni nazionali ed anche rispetto ai progetti di codificazione, ossia al diritto culto dei PDEC e del Codice Gandolfi; ma si alimenta della convinzione che sia possibile inaugurare una rinnovata strategia di perseguimento della giustizia distributiva proprio a partire dalle relazioni contrattuali, valorizzando taluni materiali normativi di origine comunitaria dotati di contenuto assai ampio perché per lo più strutturati secondo la tecnica della clausola generale. Il Professor Xxxxxxxxx rileva che il tema della giustizia sociale fa capolino anche nel dibattito sul Draft Common Frame of Reference ma qui si è subito chiarito che “The DCFR is less concerned with issues of “distributive justice”, but sometimes distributive or “welfarist” concerns may also be reflected in the DCFR”. Lo spiraglio è tuttavia un po' azzardato e serve soltanto ad alimentare gli entusiasmi di quanti vorrebbero funzionalizzare il contratto ad obiettivi di welfare. In altri termini, l'accentuazione dei poteri di intervento del giudice sul regolamento contrattuale viene letta come espressione della necessità di ricondurre i contratti ad una misura di giustizia in ossequio al precetto fondamentale di solidarietà e, una volta affermato un tale principio, il passo verso l'obiettivo della giustizia sociale è apparso breve poiché è sempre alla solidarietà che ci si rivolge, ma non più in una prospettiva tutta interna al
tra l’ambito di intervento della legislazione antitrust, che vieta le intese restrittive, gli accordi di concentrazione e gli abusi di posizione dominante e la legislazione che persegue direttamente una politica contrattuale a favore di soggetti, il consumatore e l’impresa vittima di un abuso di dominanza economica, che possono anche non essere vittime di un fallimento del mercato. Solo in tale ultimo ambito opera la buona fede oggettiva con i connotati brevemente delineati poc’anzi.
singolo contratto, bensì nell'ottica allargata dell'incidenza sui rapporti sociali. Si tratta di un obiettivo più ampio ma pur sempre perseguito mediante il governo del rapporto contrattuale: mentre la giustizia contrattuale attua il riequilibrio delle posizioni delle parti in seno al rapporto negoziale e scongiura gli approfittamenti dovuti alla predominanza dell'una sull'altra, la giustizia sociale persegue finalità di welfare e di sostegno al soggetto più debole, il cui orizzonte operativo supera la singola relazione contrattuale per invadere il campo lungo della posizione socio-economica di tale soggetto, affidando per esempio al contratto il compito di fornire servizi o forti agevolazioni economiche. Ne consegue, secondo l’analisi svolta dal Professor Xxxxxxxxx, che si è con ogni evidenza al cospetto di una policy più ambiziosa che presuppone un processo di eterointegrazione del contratto ben più corposo rispetto a quello richiesto per dare luogo alla cosiddetta giustizia contrattuale, ma il rischio di ideologismo e di artificialità è assai forte, anche perché lo scarto in avanti rispetto alle indicazioni fornite dal diritto privato europeo è duplice. Se è già fondato il sospetto di una forzatura riguardo alla pretesa di rintracciare nelle diposizioni normative sull'intervento giudiziale nel contratto una comune vocazione alla giustizia contrattuale, è ancora più fondato il sospetto che il perseguimento della giustizia sociale per il tramite dell'arricchimento del contenuto del contratto si collochi nell'area dell'utopia piuttosto che in quella della realtà effettuale.
1.7. Dal contratto asimmetrico al “terzo contratto”
Dopo aver delineato brevemente il panorama del diritto nuovo dei contratti, con riferimento ai contratti dei consumatori e ai contratti di impresa, e dopo aver lambito la questione della giustizia contrattuale, occorre domandarsi se ha senso enucleare la categoria dei contratti asimmetrici.
Si è acclarato che con la locuzione “contratto asimmetrico” si suole definire un nuovo paradigma contrattuale governato da regole che divergono in modo significativo da quelle dettate dal “contratto di diritto comune”, disciplinato dagli articoli 1321 e seguenti del codice civile. Caratteristica fondamentale del contratto asimmetrico è, dunque, la contrapposizione tra due soggetti di mercato dotati di diversa forza contrattuale. Esempio paradigmatico, al riguardo, risulta la posizione del consumatore che si pone in posizione di fisiologica, strutturale debolezza rispetto al professionista. In tali rapporti, infatti, come si è avuto modo di constatare nei paragrafi precedenti, vi è una presunta ignoranza dei termini dello scambio e l'asimmetria fonda lo squilibrio sulla mancanza di adeguata informazione: non è un caso che nell'ampia e articolata normativa in materia di consumi si preveda una procedimentalizzazione dell'informazione precontrattuale tesa a garantire al consumatore dati informativi adeguati sia per qualità che per quantità67.
67 Peraltro, sul presupposto che nei contratti tra soggetti geneticamente diseguali l'asimmetria è prevalentemente di tipo informativo, si è evidenziato il limite di una tutela del contraente debole basata sulla sola implementazione dell'informazione: oggi più che mai, soprattutto nei settori connotati da elevato tecnicismo, l'esigenza fondamentale è quella di garantire un passaggio da una trasparenza “formale” ad una trasparenza “sostanziale” e quindi da un dovere
Il nostro legislatore, dopo alcuni tentativi di integrazione delle disposizioni di matrice comunitaria in materia di tutela del consumatore all'interno del codice civile (si pensi agli articoli 1469 bis e seguenti e 1519 bis e seguenti del codice civile), ha operato una scelta di campo profondamente diversa. L'entrata in vigore del codice del consumo, infatti, ha allontanato dall'ambito codicistico ogni riferimento alla materia consumeristica.
Il codice civile, e dunque la disciplina del “contratto di diritto comune”, continua ad operare solo con riferimento ai quei rapporti dove le parti si muovono su un piano di tendenziale parità (contratti C2C, consumer to consumer, e contratti B2B, Business to Business), mentre è affidata al codice del consumo la regolamentazione dei contratti asimmetrici tra professionista e consumatore (contratti B2C, Business to consumer).
Ciò premesso, occorre evidenziare che il contratto asimmetrico non rappresenta un paradigma unitario ed omogeneo, potendosene parlare anche con riferimento ai contratti fra imprenditori, e in particolare fra imprenditore più forte e imprenditore meno forte: in questi casi, tuttavia, si parla di asimmetria di tipo economico, che va riferita alla posizione dell'imprenditore sul mercato e ai suoi rapporti con la controparte. Essa, infatti, è strettamente legata al tipo di mercato nel quale l’imprenditore svolge la sua attività ed alla
di far conoscere ad un dovere di far comprendere. Ne è una testimonianza il richiamo alla
trasparenza inserito tra le linee guida del codice delle assicurazioni private (decreto legislativo
n. 209 del 7 settembre 2005). Tale riferimento alla trasparenza appare molto importante atteso che il codice delle assicurazioni private, riunendo in un corpus organico ciò che era un insieme complesso ed articolato di leggi, rappresenta oggi il fulcro dell'intero settore assicurativo. Non a caso, la Relazione illustrativa sottolinea come attraverso lo strumento del “codice” si sia realizzato, con l'eccezione non irrilevante delle disposizioni in tema di contratti di assicurazione e di riassicurazione che sono state conservate nel codice civile, un riassetto di tutta la materia.
particolare tipologia di relazione negoziale che, per poter operare in quell’ambito, egli è obbligato a far sorgere.
Emerge, pertanto, una realtà articolata e complessa. Anche un imprenditore, nel rapporto che instaura con un soggetto “geneticamente uguale”, può venirsi a trovare in posizione di debolezza. Al riguardo, si è avuto modo di precisare che la debolezza dell'imprenditore caratterizza non soltanto il momento genetico, ma, anche e soprattutto, lo svolgimento del rapporto e, a differenza della “debolezza consumeristica”, la debolezza dell'imprenditore deve essere accertata a posteriori e in concreto.
Occorre, pertanto, prendere atto che quella del contratto asimmetrico non è una categoria dogmatica unificante, atteso che va ribadita l'inadeguatezza dell'equazione contraente debole - consumatore. Quella del contraente debole, infatti, è una categoria composita al cui interno rientrano anche molteplici imprenditori che nel rapporto instaurato con la controparte geneticamente eguale possono trovarsi congiunturalmente in una condizione di diseguaglianza. Come visto, nei contratti asimmetrici tra imprenditori operano criteri di controllo della situazione di asimmetria in concreto rilevando anche elementi esterni al contratto, quali la situazione di mercato nel quale l'accordo si colloca e il rapporto si svolge: si pensi, ad esempio, all'impossibilità per l'imprenditore debole di reperire alternative sul mercato68. La categoria dei contratti asimmetrici, dunque, non assurge a paradigma unitario di tipo
68 Per tali considerazioni, X. XXXXX, Contratti asimmetrici, codici di settore e tutela del contraente debole, in Obbligazioni e Contratti, 2012, 6, 440.
normativo, ma si tratterebbe esclusivamente di una categoria descrittiva di taluni fenomeni che, in realtà, sono diversi tra di loro, sia sotto il profilo delle fattispecie rilevanti, sia per quanto concerne i rimedi69.
Muovendosi in questa sorta di “area grigia” rispetto ai poli contrapposti del “contratto di diritto comune” e del “contratto asimmetrico”, parte della dottrina ricostruisce un nuovo paradigma, un nuovo modello di contratto: ci si riferisce al “terzo contratto”, che si connota per la presenza, in qualità di contraente, di un imprenditore debole, non sofisticato, che necessita di tutela rispetto ad un altro imprenditore dotato di maggiore potere e, soprattutto, della forza di abusarne.
La figura del terzo contratto, dunque, per alcuni rappresenta una categoria dogmatica capace di aggregare un complesso organico e omogeneo di regole ispirate ad una logica propria, per altri appare una formula utile a stimolare l'interprete nella delicata opera di ricostruzione del diritto dei contratti che – a ben vedere – appare oggi sempre più destrutturato rispetto alla polarità
69 Sul punto, soprattutto sulla portata descrittiva della categoria dei contratti asimmetrici, X. XXXXXXX, Contratti di consumo e contratti tra imprese. Riflessioni sull'asimmetria contrattuale nei rapporti di scambio e nei rapporti "reticolari", in Rivista critica di diritto privato, 2005, 549 e EAD., Tecniche di controllo dell’autonomia contrattuale nella prospettiva del diritto europeo, in Europa e diritto privato, 2008, 831. Inoltre, X. XXXXXXX, Il contratto asimmetrico tra parte generale, contratti di impresa e disciplina generale della concorrenza, in Rivista di diritto civile, 2008, 5, 515. L’Autore non condivide la proposta interpretativa in ordine alla possibilità di ravvisare nell’asimmetria di potere contrattuale una categoria interpretativa unitaria e/o il presupposto del controllo sul contenuto del contratto affidato al giudice. In particolare, si rileva che il tipo di intervento che l’ordinamento legittima nella disciplina del contratto dei consumatori è ancorato a presupposti che si esauriscono nella valutazione del singolo atto o della singola operazione economica, contestualizzata in un ambito di “normalità socialmente accettata”. Nel caso dei contratti stipulati fra imprenditori, invece, l’indagine ha ad oggetto il trattamento giuridico da riservare a un regolamento contrattuale negoziato tra parti informate e rispetto alle quali acquista rilievo la collocazione del contratto nel quadro delle reciproche relazioni economiche e delle dinamiche di un mercato concorrenziale.
contrapposta tra contratti “di diritto comune” e “contratti asimmetrici” regolati dal codice del consumo.
Occorre, ora, focalizzare l’attenzione su questa nuova figura contrattuale e sui referenti normativi, così come elaborati nel dibattito tra gli studiosi.
CAPITOLO SECONDO IL TERZO CONTRATTO
SOMMARIO: 2.1. Un’ipotesi di studio che diventa formula problematica: il terzo contratto - 2.2. I referenti normativi - 2.2.1. La legge sulla subfornitura - 2.2.1.1. L’abuso di dipendenza economica - 2.2.1.2. Gli orientamenti giurisprudenziali - A) La prima ordinanza in materia: Tribunale di Bari, 6 maggio 2002 - B) Il caso del Tribunale di Torino: l’ordinanza dell’11 marzo 2010 - C) Il caso del Tribunale di Catanzaro: l’ordinanza del 18 aprile 2012 - D) La recente sentenza della Corte di Cassazione, sez. III civile, n. 18186 del 25 agosto 2014 - 2.2.2. I ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali - 2.2.3. La legge sul franchising - 2.3. La posizione della dottrina: esiste il “terzo contratto”?
2.1. Un’ipotesi di studio che diventa formula problematica: il terzo contratto.
Il “terzo contratto” dovrebbe contrassegnare l'ipotesi di un fenomeno prospetticamente residuale, che va definito per sottrazione degli ambiti occupati dal primo e dal secondo, rispettivamente il contratto di diritto comune, creato intorno alla disciplina generale consegnataci in origine dal Titolo II del Libro IV del Codice ed il contratto del consumatore, modello costruito progressivamente attraverso una serie di interventi e culminati nella disciplina oggi binaria, dettata dall'art. 1469-bis del codice civile, attraverso il richiamo alle disposizioni generali, in quanto non derogate dalle norme del
Codice del consumo. In questa “terra di mezzo”, apparentemente orfana di caratterizzazioni rilevanti, attecchisce l'ipotesi del terzo contratto70.
Esso rivendica una specifica genesi normativa, che si identifica nell'articolo 9 della legge 18 giugno 1998, n. 192, sulla subfornitura, e la figura dell'abuso di dipendenza economica. Il tema è, dunque, quello dei nuovi soggetti deboli, nell’ottica di una rilettura nuova e diversa dell'abuso di potere contrattuale rispetto a quella tradizionale, incentrata sul rapporto impresa/consumatore. La ratio sottesa a tale categoria di contratti appare essere quella dei contratti dei consumatori: asimmetria contrattuale e, in un'ottica di law and economics, conseguenti fallimenti del mercato, nella prospettiva, tuttavia, dei contratti tra imprese, posto che colui che subisce l'altrui imposizione è un altro imprenditore. Si registra dunque un passaggio dai contratti “business to consumer” (B2C), ai contratti “Business to business” (B2b)71.
70 Per approfondimenti: X. XXXXX - X. XXXXX (a cura di), Il terzo contratto, Bologna, 2008; X. XXXXXX, Il terzo contratto: da ipotesi di studio a formula problematica-Profili ermeneutici e prospettive assiologiche, Padova, 2010; X. XXXXXXX, Terzo contratto [agg.-2009], in Digesto civile, Torino, 570; X. XXXXXXXXX, Il terzo contratto, in Contratti, 2009, 493; X. XXXXX, Parte generale del contratto, contratti del consumatore e contratti asimmetrici (con postilla sul «terzo contratto»), in Rivista di diritto privato, 2007, 669; X. XXXXX, Imprenditore debole, imprenditore-persona, abuso di dipendenza economica e «terzo contratto», in Contratto e impresa, 2009.
Si segnala, inoltre, il contributo di X. XXXXXXXXXXX, Per una lettura dell’abuso contrattuale: contratti del consumatore, dell’imprenditore debole e della microimpresa, in Rivista di diritto commerciale, 2, 2010, I, 409. Secondo l’Autore, non si può ipotizzare una terra di mezzo: piuttosto deve farsi questione di un complesso, peraltro incompleto, di norme che fanno eccezione alla disciplina generale ma estensibili analogicamente, in quanto pure le norme eccezionali, essendo provviste di una loro personale razionalità, s’informano ad un principio e si applicano fino a dove quel principio si estende. Per l’Autore, si tratta in questo caso di analogia legis e non di analogia iuris. L’alternativa, infatti, è immaginare che queste norme, per il fatto di comporsi in un sottosistema, abbiano smarrito la caratteristica d’eccezione, tuttavia senza che il risultato interpretativo davvero muti considerevolmente.
71 Sul punto X. XXXXX XXXXXXXX, Consumatore, imprenditore debole e principio di uguaglianza, in Contratto e impresa. Europa, 2003, 755; X. X'XXXXXX, Contratti standard, contratti del consumatore e Costituzione, in X. XXXXXXXX (a cura di), Autonomia privata
Appare evidente che in questi casi di abuso contrattuale, si verifica la frustrazione degli interessi della parte soccombente, la mortificazione dell'autonomia contrattuale e l'esplicazione del contratto non esprime la condivisione di intenti che mirava a realizzare72.
Ne consegue che, per parte della dottrina73, in presenza di contratti sbilanciati tra imprenditori, in cui la dipendenza economica tra le parti si interfaccia con la struttura economica di riferimento, sarebbe preferibile riferirsi al concetto di abuso di dipendenza economica allargando le rigide maglie del contratto di subfornitura, con l'ausilio di parametri economici più specifici in luogo del principio generale di buona fede, posto tradizionalmente a base del concetto di abuso del diritto.
Va segnalato che con la disciplina dei contratti del consumatore è emersa sul piano normativo la distinzione, riferita al contenuto contrattuale, tra squilibrio economico e squilibrio normativo: il primo, diversamente dal secondo, insindacabile ai fini della vessatorietà (articolo 34 del Codice del Consumo)74.
individuale e collettiva, nella collana «50 anni della Corte Costituzionale», curata da X. XXXXXXXXXXX, Napoli, 2006, 63.
72 C.E. XXXXX, Tutela del consumatore e foro applicabile. Il terzo contratto, in
Responsabilità civile e previdenza, fasc. 1, 2013, 202.
73 X. XXXXXXXXXXX, L'abuso del diritto e il terzo contratto, in Danno e responsabilità, 2010, 347, nota a Cass. civ., 18 settembre 2009, n. 20106, nonché X. XXXXXXX, Clausole “claims made”, professionisti e “terzo contratto”, in Danno e responsabilità, 2012, 717.
74 Sul tema dello squilibrio contrattuale sussiste ampia letteratura, sia che si tratti di squilibri che intercorrono nell’area dei rapporti fra imprenditori, non in posizione di parità, sia che si tratti dello squilibrio di posizioni contrattuali in cui versa il consumatore nei confronti del professionista. Si segnalano in particolare: X. XXXXX, La rilevanza dello squilibrio contrattuale nel diritto dei contratti, in Rivista di diritto privato, 2002, 303; G. VETTORI, Autonomia privata e contratto giusto, in Rivista di diritto privato, 2000, 1, 21; X. XXXXXXX, Squilibrio contrattuale e mala fede del contraente forte, in Contratto e Impresa, 1997, 423.
Oltre questa disciplina, il problema delle tutele contro l'ingiustizia coeva al contratto, cioè del contratto volto a realizzare un assetto di interessi apparentemente ingiusto, riguarda le circostanze che, a causa di qualche disparità di fatto tra le parti, generano un assetto di interessi iniquo. La questione è evocata, in astratto, secondo la definizione già proposta nel capitolo precedente, con l'espressione “contratto asimmetrico”, alludendo alle varie e disomogenee ipotesi di disparità di forza contrattuale tra le parti: informativa, esistenziale, culturale, economica, mentre quando l'asimmetria si riscontra tra imprenditori è stata appunto coniata l'espressione “terzo contratto”.
A tal proposito, occorre chiedersi se vi sia qualche rimedio là dove quelli tipici lasciano senza presidio. Il problema è, spesso, risolto da specifiche norme inderogabili, che menomano l'autonomia privata per prevenire od eliminare gli effetti della disparità di forza contrattuale, ma dove le norme inderogabili mancano, l'asimmetria tra contraenti cade in una terra di nessuno, presidiata soltanto dal regime della responsabilità precontrattuale (articolo 1337 del codice civile). Poiché vengono in rilievo abusi dell'autonomia, è diffuso il richiamo all'abuso del diritto, così come evocato nella sentenze di legittimità, cui si farà cenno nel capitolo sugli orientamenti giurisprudenziali. Xxxxx, pertanto, domandarsi cosa accade contro gli abusi della libertà negoziale indipendenti dall'esercizio di un potere verso l'altro contraente o verso terzi. Qui la protezione contro gli abusi rimane affidata alle norme
inderogabili, essenzialmente in tema di abuso di posizione dominante e di
abuso di dipendenza economica (articolo 9 della legge n. 192/98): le quali, tuttavia, dettando prescrizioni di responsabilità senza stabilire gli effetti sul piano degli atti di autonomia, lasciano aperto il problema dei riflessi della loro violazione sull'assetto di interessi contrattuale. Il punto si risolve nel rilevare che gli atti in violazione di tali disposizioni sono affetti da nullità (è il problema della c.d. nullità virtuale: articolo 1418, comma 1, del codice civile), e va accordato alla vittima della violazione un rimedio risarcitorio in forma specifica per garantirle la realizzazione dell'interesse che avrebbe conseguito se l'assetto di interessi non fosse stato alterato dall'abuso dell'altro contraente75.
Il terzo contratto, dunque, rappresenta le incertezze ed al contempo il pluralismo nascente dall'evoluzione del diritto dei contratti, nella consapevolezza dell'interdipendenza tra concorrenza, mercato e contratto, ormai non più da studiarsi come fenomeni inconciliabili, In questo scenario gli interpreti giocano un ruolo fondamentale in quanto reputano di conferire giuridica rilevanza a tali fenomeni. La figura in esame, infatti, nasce come ipotesi di studio, ma si è presentata sin da subito quale strumento valido agli interpreti, al fine di compensare un vuoto normativo, ascrivibile alla tutela dell'imprenditore debole e garantire in tal modo il raggiungimento delle finalità solidaristiche e di uguaglianza valorizzate dal nostro ordinamento,
75 Sul punto, E. DEL PRATO, Qualificazione degli interessi e criteri di valutazione dell'attività privata funzionale tra libertà e discrezionalità, in Rivista trimestrale di diritto processuale civile, fasc. 2, 2012, 403.
volte alla tutela dei soggetti deboli, in una visione costituzionalmente orientata.
2.2. I referenti normativi
Il terzo contratto designa, come poc’anzi sottolineato, il contratto tra imprenditori con disparità di potere contrattuale collegata per lo più alla situazione di dipendenza economica di una parte rispetto all'altra, il che pertanto ne accentua i tratti distintivi rispetto a qualsiasi altro modello. La concettualizzazione di questo schema generale muove in Italia da uno sparuto numero di blocchi di disciplina di taluni rapporti contrattuali Business to business: la subfornitura (legge n. 192/1998), i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (decreto legislativo n. 231/2002), il franchising (legge n. 129/2004).
La scarsezza degli appigli normativi e la loro non particolare significatività rendono anche la figura di contratto in discorso prevalentemente un prodotto della riflessione scientifica, la quale ravvisa elementi di disparità tra la figura del consumatore e quella dell'imprenditore in condizione di dipendenza economica. Va rilevato che, contrariamente alla teoria del contratto con asimmetria di potere contrattuale, le differenze indicate rendono sconsigliabile l'esportazione di regole e di rationes proprie del contratto del consumatore nei contratti tra imprenditori, segnati dalla predominanza economico-contrattuale di una parte sull'altra, senza per questo essere costretti a ricorrere alla disciplina di diritto comune, di per sé inadatta alle specificità
dei rapporti tra imprese caratterizzati dal dato dell'integrazione economica effettiva delle parti ed alla finalità ultima di regolazione del mercato76.
Xxxxxx, giova analizzare separatamente i vari referenti normativi si cui si basa la teorica del “terzo contratto”.
76 X. XXXXXXXXX, Il contratto europeo nel tempo della crisi ed ecco venire un grande vento di là dal deserto (Giobbe 1, 19), in Europa e diritto privato, fasc. 3, 2010, 601.
2.2.1. La legge sulla subfornitura
In primo luogo, occorre fare riferimento alla legge n. 192 del 18 giugno 1998, recante norme che disciplinano il fenomeno della subfornitura nelle attività produttive77. L’intento della normativa è quello di tutelare la figura dell’imprenditore subfornitore quale parte contraente debole, migliorando la qualità nelle transazioni commerciali, sostenendo lo sviluppo della piccola e media impresa, introducendo un meccanismo di riequilibrio tra le parti volto ad eliminare le posizioni di predominio economico o tecnologico e l’abuso della committenza78.
77 Per una trattazione completa dell’istituto: AA. VV. (a cura di X. XXXX e X. XXXXXXXX), La subfornitura, Milano, 1999; X. XXXXXXXXXX, Il contratto di subfornitura, Torino, 2000; X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX, La subfornitura, in Trattato di diritto commerciale, diretto da X. XXXXXXX, I, Padova, 2000; X. XXXXXXX – X. XXXXX’ (a cura di), Contratti di subfornitura
– Qualità e responsabilità, Milano, 1993; X. XXXXX, Gli accordi interprofessionali “in deroga” alla disciplina legale del contratto di subfornitura, in I Contratti, 1999, 300; X. XXXXXXX, Subfornitura (contratto di), in Digesto delle discipline privatistiche, XV, Torino, 1997; X. XXXXXXXX, La nuova disciplina dei contratti di subfornitura, in Rivista giuridica sarda, 1999, 599; X. XXXXX, La sanzione di nullità nel contratto di subfornitura, in I Contratti, 1999, 293; X. XXXXXXX, Il contratto di subfornitura nelle attività produttive. Le nuove regole della legge 18 giugno 1998 n. 192: “Correzione” della autonomia contrattuale a tutela del subfornitore come professionista debole?, in Responsabilità comunicazione imprese, 1998, 403; X. XXXXXX, La subfornitura industriale: considerazioni in merito all’ambito di applicazione della legge n. 192 del 1998 e alla forma del contratto di subfornitura, in Giustizia civile, 1999, 671.
78 La normativa italiana sulla subfornitura trae in parte ispirazione dalla Raccomandazione della Commissione europea del 12 maggio 1995 con cui gli Stati membri erano stati invitati ad adottare i provvedimenti necessari per far rispettare i termini di pagamento contrattuali nelle transazioni commerciali e negli appalti pubblici. In particolare, gli Stati membri erano stati invitati ad adottare i provvedimenti più adeguati per: a) rafforzare la trasparenza nei rapporti contrattuali; b) migliorare la formazione e l’informazione delle imprese ed attenuare gli effetti fiscali dei ritardi di pagamento; c) assicurare un risarcimento adeguato in caso di ritardo dei pagamenti; d) garantire appropriate procedure di tutela del creditore; e) eliminare le difficoltà peculiari agli scambi transfrontalieri; f) migliorare i termini di pagamento della Pubblica Amministrazione. La raccomandazione rilevava la debolezza sul mercato delle piccole/medie industrie (PMI) che operavano nella subfornitura e richiedeva agli Stati una legislazione di sostegno per evitare un eccessivo indebolimento della loro forza concorrenziale.
In precedenza la Commissione europea, nella sua Comunicazione del 18 dicembre 1978 (tutt’ora in vigore), aveva dichiarato di volersi occupare dei contratti “conclusi o non in seguito
La Commissione Europea definisce come contratti di subfornitura quelli “conclusi o no in seguito ad un ordine di un terzo, in base ai quali un’impresa, detta committente, incarica, impartendo proprie direttive, un’altra impresa, il subfornitore, di fabbricare prodotti, fornire servizi o eseguire lavori destinati al committente o eseguiti per conto di questi”79. Tale formulazione evidenzia alcune delle caratteristiche ricorrenti della subfornitura: essa ha per oggetto un obbligo di facere, che può essere la produzione di beni o servizi; il subfornitore deve attenersi alle direttive del committente; non ha rilievo il fatto che il contratto sia concluso in seguito ad un ordine di un terzo; infine, il
ad un ordine di un terzo, in base ai quali un’impresa detta “committente” incarica, impartendo proprie direttive, un’altra impresa, il “subfornitore”, di fabbricare prodotti, fornire servizi o eseguire lavori destinati al committente o eseguiti per conto di questi”. Tale comunicazione si inseriva nell’ottica che la regolamentazione della subfornitura potesse contribuire allo sviluppo della piccola e media impresa, nella prospettiva di incentivarne la diffusione, sulla base dell’opinione per cui gli accordi di subfornitura potevano rappresentare una forma di cooperazione tra imprese grandi, medie e piccole con possibilità per quelle piccole e medie di maggiori sviluppo ed autonomia. Da qui si è giunti alla conclusione che i contratti di subfornitura possono contenere alcune limitazioni alla concorrenza senza ricadere nel divieto del paragrafo 1 dell’articolo 85 TCE (ora 101 TFUE), tra esse: l’impegno del subfornitore di comunicare al committente, su una base di non esclusività, i perfezionamenti tecnici da lui realizzati nel corso della durata del contratto ovvero, nell’ipotesi di invenzioni brevettabili realizzate dal subfornitore, di rilasciare al committente, per la durata del brevetto da lui detenuto, licenze non esclusive di brevetti di perfezionamento o di applicazione; l’impegno del subfornitore a rifornire solo il committente. Va precisato che questo contratto, sotto il profilo della concorrenza, è esaminato sia come relazione verticale (tra imprese che operano a diversi stadi della concorrenza, integrate verticalmente fra loro) che orizzontale (tra imprese allo stesso stadio, cioè tra concorrenti). In effetti, la subfornitura (industriale) si presenta in diverse conformazioni, a seconda che il committente trasferisca o non al fornitore anche il proprio know how segreto.
La normativa domestica sulla subfornitura di cui alla legge n. 192/1998 vuole proteggere realtà regionali ove era frequente un fenomeno di outsourcing industriale attraverso il quale i produttori delocalizzavano le lavorazioni, trasferendo know how e mezzi di produzione (stampi, materiali, specifiche tecniche, DPI, ecc.); fenomeno che, essendo privo di regolamentazione, avere creato un’inefficienza di mercato in relazione alle spesso gravose condizioni contrattuali generalmente imposte dal committente al subfornitore; condizioni che rendevano il subfornitore “ostaggio” del committente, specie se operava in regime di monocommittenza. La normativa fornisce al subfornitore strumenti contrattuali (obbligo di forma scritta dell’accordo, limitati termini di pagamento) e tutele inibitorie utili per evitare abusi da parte del committente.
79 V. Comunicazione della Commissione Europea del 18 dicembre 1978 relativa alla valutazione dei contratti di subfornitura alla luce dell’art. 85, par. 1, del TCE, in Gazzetta Ufficiale CE, 1979, C1/2.
committente sovente si rivolge al subfornitore affinchè questi gli fornisca beni o servizi di cui il committente stesso ha bisogno per la sua attività economica. La dottrina prevalente ritiene che la legge n. 192/1998 non abbia creato un nuovo tipo contrattuale, in quanto tale legge non detta una regolamentazione esaustiva e completa del contratto di subfornitura, ma ne regola solo alcuni aspetti, mirando soprattutto a porre fine agli abusi perpetrati dai committenti nei confronti dei subfornitori, spesso in posizione di debolezza contrattuale80. Al riguardo, quindi, prima di addentrarsi nell’approfondimento degli aspetti più pregnanti della legge in discorso, occorre chiarire cosa si intenda esattamente per subfornitura industriale e come questa nozione si ponga in relazione a quella più generale di subfornitura. Ci si riferisce a tale ultima espressione, infatti, quando il committente conclude un contratto con il subfornitore per adempiere ad un obbligo contrattuale nei confronti di un terzo, con la conseguenza che la subfornitura risulta indirizzata alla attuazione del contratto stipulato tra il committente e il terzo. Con il termine subfornitura industriale, invece, si indica la mera esternalizzazione di una fase del ciclo produttivo, per cui un imprenditore affida ad un altro imprenditore la realizzazione di una parte dei lavori e degli elementi necessari alla loro realizzazione81. In tale contesto, dunque, non vi è la dipendenza da un altro
80 Per tali considerazioni fai riferimento a X. XXXXXX, La subfornitura industriale, in I contratti di somministrazione e distribuzione, a cura di X. XXXXXXXX e A.M. XXXXXXX, in Trattato dei contratti, diretto da X. XXXXXXXX ed X. XXXXXXXXX, Xxxx Xxxxxxxxx, 2011, 731 ss..
81 Secondo quanto statuito in una sentenza del Tribunale di Civitavecchia, del 5 aprile 2006 (giudice Xx Xxxxxx, Acqua Kit di Xxxxx Xxxxx x. Isam s.r.l.) si ha subfornitura ai sensi dell’articolo 1 della legge 18 giugno 1998 n. 192 qualora un imprenditore (committente) isoli
contratto ma una natura ancillare della prestazione del subfornitore al ciclo produttivo del committente82.
Passando all’esame degli aspetti singolari della legge, va segnalato in primo luogo il contenuto dell’articolo 2, con il quale vengono introdotte delle prescrizioni cogenti di forma che costituiscono deroghe ai principi generali, poiché prevedono la nullità dei contratti di subfornitura che non siano conclusi in forma scritta83.
L’articolo 2 della legge merita attenzione non solo per la singolarità della formulazione della norma e per gli interrogativi suscitati da una prescrizione di forma scritta, sotto pena di nullità, per la stipulazione di un contratto tra imprenditori, ma anche per la centralità sistematica che la medesima previsione riveste nel tentativo di costruzione della categoria del terzo contratto, in uno con gli altri interventi legislativi a protezione dell’impresa
una o più fasi in cui si articola il processo produttivo – fasi che, comunque, potrebbe esso stesso svolgere direttamente con una diversa organizzazione della produzione, impiegando risorse (materie prime, macchinari e personale) proprie – per affidarla all’esterno, ad altro imprenditore, il quale, nell’eseguire la prestazione, dovrà attenersi alle indispensabili direttive di carattere tecnico impartite dal committente. La sentenza, inoltre, affronta anche il problema delle controversie relative ai contratti di subfornitura, ove non sia stato esperito il tentativo di conciliazione nei modi e nei termini di cui all’articolo 10 della legge sulla subfornitura. Si è deciso al riguardo che la domanda giudiziaria con cui la parte attrice introduce un giudizio di cognizione ordinaria deve essere dichiarata improcedibile.
82 Sulla definizione di contratto di subfornitura, con particolare riferimento al presupposto della conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall’impresa committente: X. XXXXXXX, La nozione legislativa di subfornitura e il mancato esperimento del tentativo di conciliazione, in Giurisprudenza commerciale, 6, 2007, II, 1291. Il contributo trae spunto da un caso giurisprudenziale, ossia la sentenza del Tribunale di Civitavecchia, citata nella nota precedente.
83 Per un approfondimento del tema, cfr. X. XXXXXXX, La forma del contratto di subfornitura tra finalità di protezione ed esigenze di certezza, in Rivista di diritto privato, 3, 2012, 409. Secondo l’Autore, il concetto di forma, in uno con quello della sanzione comminata per la sua inosservanza, è da annoverare fra i concetti che hanno subito il maggior processo di rivisitazione da parte della dottrina, a seguito dei numerosi interventi normativi degli ultimi anni, i quali, seppure per esigenze non sempre omogenee, hanno imposto tutti il requisito formale, ad onta del generale principio della libertà di forma che permeava l’intero panorama dei contratti di diritto commerciale.
cosiddetta debole, che di qui a poco si affronteranno. E’ piuttosto agevole notare che la regola formale di cui all’articolo 2 della legge sulla subfornitura tutela la posizione della parte debole del rapporto, in quanto si presta ad assicurare chiarezza, trasparenza, comprensibilità e soprattutto certezza circa i diritti e gli obblighi nascenti dal contratto. Potrebbe, pertanto, ritenersi che la legge abbia inteso prevenire possibili comportamenti opportunistici della parte forte del rapporto contrattuale, volti a sfruttare le possibilità di abuso lasciate aperte dall’incompletezza e dalla vaghezza del contratto.
In secondo luogo, uno dei profili più originali concerne la regolamentazione specifica dei termini di pagamento, in quanto viene imposta al committente la corresponsione del corrispettivo, in favore del subfornitore, entro scadenze predeterminate dalla legge. Il termine di pagamento assume così la connotazione di termine massimo di natura imperativa, cui alle parti non è dato in alcun modo derogare84. Ciò determina un divario rispetto alla disciplina generale delle obbligazioni contenuta nel codice civile, nella quale manca il riferimento a termini massimi entro cui il debitore deve adempiere
84 L’articolo 3 della legge sulla subfornitura impone alle parti di fissare i termini di pagamento a decorrere dal momento della consegna del bene o dal momento della comunicazione dell’avvenuta esecuzione della prestazione e di precisare, altresì, gli eventuali sconti in caso di pagamento anticipato rispetto alla consegna. Tali termini non possono eccedere i sessanta giorni ed ogni deroga convenzionale in pejus per il subfornitore è invalida. Può tuttavia essere fissato convenzionalmente un diverso termine, non eccedente i novanta giorni, solo in caso di accordi nazionali e per settori e comparti specifici, sottoscritti presso il Ministero dell’Industria da tutti i soggetti competenti per settore presenti nel CNEL in rappresentanza dei subfornitori e dei committenti, esclusivamente all’unanimità.
alle proprie obbligazioni e dove l’intera materia è rimessa alla più ampia autonomia delle parti85.
L’articolo 3 della legge sulla subfornitura viene definito da Frignani “il vero cuore di tutta la legge (…) che da solo avrebbe costituito adempimento degli obblighi e raccomandazioni comunitarie”86. Nell’ambito della subfornitura, infatti, attraverso tale articolo, si introduce una regolamentazione puntuale dei termini di pagamento, offrendo per la prima volta uno strumento giuridico di tutela in favore delle piccole e medie imprese subfornitrici. La ratio della norma consiste, infatti, nello scoraggiare le imprese committenti dall’utilizzare i ritardi nei pagamenti delle forniture come un mezzo di abusivo ricorso al credito, sfruttando la propria posizione dominante e determinando così notevoli difficoltà per le aziende subfornitrici.
Infine, va sottolineato che lo strumento sanzionatorio della nullità ricorre con frequenza nella disciplina della subfornitura; essa, infatti, non colpisce soltanto i contratti affetti da vizio di forma ai sensi del citato articolo 2, ma anche quelli che violino il divieto di interposizione di cui all’articolo 4 della legge, i patti limitativi della responsabilità contrattuale, la cui nullità è prevista all’articolo 5 della legge, nonché i casi di abuso di dipendenza economica di cui ci si appresta ad un approfondimento nel paragrafo seguente.
85 Sulla disciplina dell’adempimento delle obbligazioni in generale, v., per tutti, C.M. XXXXXX, Diritto civile, IV, L’obbligazione, Milano, 1990.
86 X. XXXXXXXX, Disciplina della subfornitura nella legge n. 192 del 1998: problemi di diritto sostanziale, in I Contratti, 1999, 193.
2.2.1.1. L’abuso di dipendenza economica
La legge n. 192 del 18 giugno 1998 contiene disposizioni favorevoli all’impresa subfornitrice sia con riferimento alla disciplina dei termini di pagamento, come cennato poc’anzi, sia nella parte in cui sanziona con la nullità qualsiasi patto mediante il quale una o più imprese cerchino di approfittare della situazione di dipendenza economica in cui si trova la controparte contrattuale.
Occorre domandarsi in cosa si sostanzia l’abuso di dipendenza economica87 indicato all’articolo 9 della legge sulla subfornitura.
87 La bibliografia sull’abuso di dipendenza economica è sterminata. A tal proposito si segnalano: X. XXXXXXXX, Abuso di dipendenza economica: nullità del contratto e riequilibrio del rapporto, in Europa e diritto privato, 1999, 1179; A. BARBA, L'abuso di dipendenza economica: profili generali, in X. XXXXXXX (a cura di), La subfornitura nelle attività produttive, Napoli, 1998, 297 ss.; X. XXXXXXXXX, Rifiuto di contrarre, interruzione arbitraria delle relazioni commerciali e abuso di dipendenza economica, in Corriere giuridico, 2002, 1066; X. XXXXXXX, La dipendenza economica nei contratti tra imprese, in X. XXXXXXX (a cura di), Xxxxxxxxxx e usura nei contratti, Padova, 2002, 217; X. XXXXXXXX, L’abuso di dipendenza economica, Napoli, 2009; L. DELLI PRISCOLI, L'abuso di dipendenza economica nella nuova legge sulla subfornitura: rapporti con la disciplina delle clausole abusive e con la legge antitrust, in Giurisprudenza commerciale, 1998, I, 833; X. XX XXXXXXX, Abuso di dipendenza economica e contratto nullo, Napoli, 2009; X. XXXXXX, Interruzione delle relazioni commerciali in atto e abuso di dipendenza economica, in Rivista di diritto commerciale, 2002, II, 326; X. XXXXXXXX, Considerazioni sulla legge applicabile all'abuso di dipendenza economica, in Nuova giurisprudenza di diritto civile e commerciale, 2002, 230; X. XXXXX, Abuse of economic dependance between competition and contract law, in Europa e diritto privato, 2000, 357; X. XXXXXX, L'abuso di dipendenza economica. L'opinione dell'economista, in Mercato Concorrenza e Regole, 1999, 59; T. XXXXX, Il divieto dell'abuso di dipendenza economica nei rapporti tra le imprese, in Rivista di diritto commerciale, 2000, II, 345; M. R. XXXXXXX, Le recenti modifiche della disciplina dell'abuso di dipendenza economica in una prospettiva comparatistica, in Europa e diritto privato, 2002, 455; G,. XXXXXXX, Il c.d. «collegato mercati» e le innovazioni normative in materia di abuso di dipendenza economica e società artigiane, in Studium iuris, 2001, 1406; A. MORA, Subfornitura e dipendenza economica, in I Contratti, 1999, 95; X. XXXXXX, Abuso del diritto e abuso di dipendenza economica, in I Contratti, 2010, 524; C. OSTI, L'abuso di dipendenza economica, in Mercato Concorrenza e Regole, 1999, 9; X. XXXXXXXXXXX, L'abuso di dipendenza economica tra legge speciale e disciplina generale del contratto, in X. XXXXXXX (a cura di), Xxxxxxxxxx e usura nei contratti, Padova, 2002, 455; X. XXXXXXXX, L’abuso di dipendenza economica nella prassi: sanzioni e rimedi, in Studi Senesi, 2012; V.
Come noto, il divieto di abuso di dipendenza economica è stato introdotto per evitare alla parte dotata di maggior forza contrattuale di imporre all’altra un regolamento contrattuale iniquo. Tale istituto è espressione di principi fondamentali dell’ordinamento quali quelli della solidarietà ed uguaglianza, disciplinati dagli articoli 2 e 3, comma 2, della Costituzione italiana, nonché di quello di proporzionalità, di matrice comunitaria. Per alcuni, tuttavia, l’obiettivo perseguito con tali previsioni normative, non è tanto quello di apprestare una tutela alla parte debole del rapporto contrattuale, in risposta ad esigenze di carattere sociale o ad istanze equitative, quanto quello di evitare che le suesposte problematiche di opportunismo si traducano in un disincentivo per le imprese ad effettuare investimenti produttivi88.
Il legislatore non ha precisato esattamente in cosa consista l’abuso richiesto. Si è limitato ad indicare alcune condotte che possono essere abusive: il rifiuto di vendere o di comprare, l’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, l’interruzione arbitraria di
XXXXX, L'abuso di dipendenza economica «fuori dal contratto» tra diritto civile e diritto antitrust, in Rivista di diritto civile, 2000, II, 389; X. XXXXXXXX, Subfornitura industriale, abuso di dipendenza economica e tutela del contraente debole: i nuovi orizzonti della buona fede contrattuale, in Rassegna di diritto civile, 1999, 639; A. RENDA, Esito di contrattazione e abuso di dipendenza economica: un orizzonte più sereno o la consueta «pie in the sky»?, in Rivista del diritto dell’impresa, 2000, 243; X. XXXXXXX – F. R. TURITTO, L'abuso di dipendenza economica, in P. SPOSATO – X. XXXXXX (a cura di), La nuova disciplina del contratto di subfornitura, Torino, 1999, 121; M. S. SPOLIDORO, Riflessioni critiche sul rapporto fra abuso di posizione dominante e abuso dell'altrui dipendenza economica, in Rivista del diritto dell’impresa, 1999, 191.; X. XXXXXXX, « Unconscionability» e abuso di dipendenza economica, in Rivista di diritto privato, 2001, 527. Nella letteratura francese, si segnala: X. XXXXXXX-XxXXXX, Abus de position dominante et abus de dépendance économique en France: autonomie contractuelle et sauvegarde de la concurrence, in Rivista di diritto privato, 1, 2006, 141.
88 Sul punto, X. XXXXXX, L’abuso di dipendenza economica. Il contratto e il mercato, Napoli, Jovene, 2004.
relazioni commerciali in atto89. Da ciò si evince che l’abuso di dipendenza economica non opera esclusivamente in ambito contrattuale, quale strumento di riequilibrio delle prestazioni delle parti, ma anche al di fuori del contratto. L’abuso, quindi, può consistere sia nell’imposizione di clausole contrattuali da parte dell’impresa dominante, sia in meri comportamenti, quali la riferita arbitraria interruzione delle relazioni commerciali o il cennato rifiuto di vendere o di comprare90.
L’interpretazione più convincente dell’articolo 9 è quella che coordina la norma al duplice fine di orientare gli accordi verticali, in un senso coerente con la correttezza e compatibile con la libera concorrenza, e di proteggere imprese rese particolarmente deboli dall’assetto contrattuale tipico di tali accordi, problematiche già evidenziate nel primo capitolo.
89 L’esistenza di una situazione di dipendenza economica non fa, tuttavia, scattare il divieto di cui all’articolo 9. Perché si possa, infatti, fare applicazione della disposizione in esame occorre che di detta situazione si faccia abuso. Il trovarsi in uno stato di superiorità economica non è considerato di per sé illecito (come non è vietato trovarsi in una situazione di posizione dominante); quello che è vietato è l’abuso che di tale superiorità si fa. Una cosa è trovarsi nella condizione di dipendere totalmente o quasi dalle richieste di fornitura da parte di un’altra impresa, altra cosa è, invece, vedersi imposte condizioni contrattuali inique, come ad esempio, l’imposizione di sconti o, peggio ancora, subire il recesso improvviso dal contratto, magari senza avere il tempo sufficiente per ristrutturarsi o riconvertirsi in modo soddisfacente. Il legislatore non fornisce una definizione di abuso limitandosi, al secondo comma dell’articolo 9, ad individuare alcune specifiche fattispecie. Da un punto di vista dell’analisi economica del diritto, l’abuso si concreta in quello che viene definito un hold up (un ricatto, un’estorsione) alla parte che ha effettuato gli investimenti specifici con conseguente appropriazione delle
c.d. quasi rendite (quasi-rents). Il valore delle quasi rendite viene individuato nella differenza tra il valore del bene e il suo valore di recupero (salvage value), cioè il valore del suo miglior uso alternativo.L’appropriazione abusiva di una quasi rendita può essere conseguenza di cattivo funzionamento del mercato di riferimento, perché, ad esempio, vi sono barriere all’entrata (per i più svariati motivi), ma può essere conseguenza anche di condotta estorsiva che l’impresa in posizione di supremazia attua dopo la conclusione del contratto, quindi anche in un mercato che sia fortemente competitivo (ed è, forse, questa la situazione che maggiormente si verifica. Per un approfondimento, v. X. XXXXX, L’abuso di dipendenza economica come fattispecie transtipica, in Contratto e Impresa, 2013, 2, 370.
90 Così, X. XXXXX, L’abuso di dipendenza economica “fuori dal contratto” tra diritto civile e diritto antitrust, in Rivista di diritto civile, 2000, II, 393.
Va segnalato che gli accordi verticali sono incoraggiati dalla politica comunitaria, in quanto idonei a rendere più efficienti le imprese europee a livello globale. Al contempo, però, gli stessi possono prestarsi ad abusi, in occasione di condizioni di forza diseguale tra imprenditori, che a loro volta possono incidere negativamente sullo stesso corso del mercato concorrenziale, come già in precedenza sottolineato91.
L’ambito di applicazione dell’articolo 9, quindi, può riguardare solo i contratti che contengono accordi verticali, nei quali si riscontri una situazione di dipendenza economica di un’impresa da un’altra, tale per cui lo stesso
91 Giova precisare che con la disposizione dell’articolo 9 della legge sulla subfornitura il legislatore non ha inteso vietare lo stato di dipendenza economica in quanto tale. Essa, infatti, come situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi, secondo la definizione contenuta nel comma 1 dello stesso articolo 9, non è di per sé stessa illecita, ma può ben derivare dalla frequente e fisiologica disparità di potere negoziale riscontrabile sul mercato. Il legislatore ha, invece, inteso sanzionare l’illegittimo abuso, cioè l’effettiva fissazione di condizioni eccessivamente sbilanciate, che, una volta verificatasi, lede il bene giuridico protetto, il quale va identificato nella correttezza e dell’equità dei rapporti contrattuali. In definitiva, il contraente cosiddetto forte non commette alcun comportamento illecito se, malgrado la sua posizione di preminenza, non abusa di questa sua posizione di mercato, ma adotta standards contrattuali equi nel settore di riferimento oppure riesce a spuntare clausole contrattuali a lui favorevoli, ma in misura non eccessiva, secondo uno spettro ragionevole di libera contrattazione del contenuto contrattuale che la norma di legge in esame non potrebbe mai mettere in discussione, poiché ciò ne determinerebbe la sicura illegittimità costituzionale per contrasto con l’articolo 41 della Costituzione. Per tali riflessioni, X. XXXXX e X. XXXXX, La subfornitura in Italia: sette anni di applicazione della legge 18 giugno 1998, n. 192, in Rivista di diritto privato, 1, 2006, 99. In particolare, gli Autori offrono un bilancio complessivo dei primi sette anni di applicazione della legge in materia di subfornitura industriale, evidenziando che il numero delle decisioni giurisprudenziali appare relativamente esiguo rispetto alla mole dei contributi dedicati dalla dottrina sull’argomento. Secondo gli Autori, le cause di questo fenomeno possono essere diverse ed infatti sono state addotte dalla dottrina varie ragioni al riguardo, ricordando la stessa posizione subalterna del subfornitore rispetto al proprio committente oppure l’effetto deterrente della legge, che avrebbe avuto proprio l’effetto di scoraggiare preventivamente le probabili illegalità. Tuttavia, si rileva che l’incidenza di una legge non si misura solo sulla base dell’esperienza giurisprudenziale, ma anche sull’influenza da essa esercitata sulla tecnica di redazione dei contratti e v’è da dire che, al riguardo, la nuova legge ha certamente favorito il ricorso all’accordo quadro tra committente e subfornitore.
Un ulteriore bilancio della legge sulla subfornitura è fornito da X. XXXXXXXX, La legge sulla subfornitura a sette anni dalla entrata in vigore: il legislatore italiano dei contratti è deceduto o sta solo dormendo?, in Rivista di diritto privato, 1, 2006, 177.
svolgimento dell’attività imprenditoriale della prima discenda dall’instaurazione o dal mantenimento di un rapporto contrattuale con l’impresa dominante. L’impresa debole, pertanto, ha interesse a instaurare o a conservare il rapporto contrattuale con l’impresa forte per svariate ragioni: mancanza di alternative sul mercato, dipendenza tecnologica o progettuale, natura standardizzata della prestazione contrattuale, durata della relazione commerciale92.
Richiamando quanto detto in precedenza riguardo alla buona fede oggettiva, occorre approfondire la tematica con riferimento ai contratti di subfornitura. La disciplina dell’abuso di dipendenza economica, infatti, implica non solo un vaglio sulla giustizia normativa dell’accordo, ma comporta anche un’indagine sul profilo dell’iniquità economica, contrariamente a quanto avviene per i contratti del consumatore, i quali reagiscono esclusivamente allo squilibrio giuridico delle clausole.
Al riguardo, si è sollevata la questione se la protezione a favore dell'impresa che subisce gli approfittamenti ad opera della controparte in posizione di predominanza economica si giustifica in ragione di una superiore istanza di giustizia o di solidarietà sociale oppure in ragione della qualità attribuita
92 Sul punto, con riferimento ai contratti di subfornitura, G. DE NOVA, La subfornitura: una legge grave, in Rivista di diritto privato, 1998, 449, il quale osserva che «il legislatore ha inteso dettare una disciplina che riequilibri la posizione deteriore del subfornitore, visto come un imprenditore medio/piccolo, che opera per poche imprese di grandi dimensioni (quando non per una sola), da cui dipende sul piano della tecnologia, spesso della fornitura della materia prima, e di cui subisce la politica commerciale: legato da un rapporto di lunga durata, dal quale difficilmente può affrancarsi, anche per la difficoltà di riconvertire la sua struttura produttiva». È facile cogliere, in questa descrizione, alcuni tratti caratterizzanti l'istituto dell'abuso di dipendenza economica e, in particolare, la dipendenza tecnologica e l'assenza di alternative di mercato che derivi dalla difficoltà di riconvertire la propria struttura produttiva.
all'impresa debole di portatrice di un interesse anche alla preservazione di quell'ordine giuridico-economico, disegnato dalla scelta politica operata a monte dal legislatore comunitario. La prima opzione, secondo alcuni93, si rivelerebbe conferma della forzatura cui si dà luogo pretendendo di rileggere le norme di origine comunitaria alla luce dell'obiettivo della giustizia contrattuale, se non addirittura della giustizia sociale. L'abuso di dipendenza economica, infatti, è oggetto delle attenzioni interessate di quegli studiosi che vi hanno voluto intravvedere una regola generale di protezione del soggetto debole nei rapporti interimprenditoriali. Tuttavia, una tale pretesa è frutto in realtà di un travisamento che ignora la strumentalità dell'istituto al raggiungimento di più generali obiettivi macroeconomici espressi dalla costituzione economica europea, con particolare riferimento alle norme a tutela della concorrenza. Pertanto, sembrerebbe essere più aderente alla visione europea la seconda opzione, secondo la quale, l'obiettivo dell'abuso di dipendenza economica è sempre quello di instradare le relazioni contrattuali lungo la via del libero mercato a base concorrenziale, sia pure con l'annunciata prospettiva di nuove finalità sociali. In tali casi, quindi, il controllo a monte delle private pattuizioni non può che essere a maglie più
93 Sul punto, cfr. X. XXXXXXXXX, Il contratto europeo nel tempo della crisi ed ecco venire un grande vento di là dal deserto (Giobbe 1, 19), in Europa e diritto privato, fasc.3, 2010, 601. Secondo l’Autore, la figura dell'abuso di dipendenza economica va letta come fonte di un rimedio contro la degenerazione a valle di rapporti già instaurati rappresentata dalle estorsioni nel corso dello svolgimento del rapporto anche nella prospettiva del rinnovo del contratto, a prescindere dalla correttezza o meno della trattativa primigenia: la nullità non consegue alla violazione di un modello prestabilito di condotta negoziale giusta ma è la reazione all'accertamento in concreto di una dinamica effettuale che sconfessa il libero mercato.
larghe così da inibire soltanto le pratiche macroscopicamente contrarie al buon costume economico o indiscutibilmente distorsive.
Quanto al profilo dello squilibrio economico, preme evidenziare la matrice storica dell’abuso di dipendenza economica, cioè la sua originaria attinenza alla disciplina antitrust94. Va rilevato, infatti, che la norma sul divieto di abuso di dipendenza economica, secondo le originarie intenzioni del legislatore, era destinata a integrare la legge n. 287/1990, concernente "Norme per la tutela della concorrenza e del mercato", nota come normativa antitrust95. L’articolo 3 bis avrebbe dovuto prevedere, accanto ai rimedi esperibili contro l'abuso di posizione dominante96 idonea a creare turbative sul
94 Al riguardo, si è avviato un dibattito, che è rimasto aperto, fra chi afferma che il divieto di abuso di dipendenza economica si inquadra nelle stesse finalità (ossia sostegno dell’efficienza economica del sistema e dello sviluppo economico) che sono proprie della legislazione antitrust e chi sostiene, al contrario, che i cosiddetti abusi di dipendenza economica sarebbero neutri per il funzionamento complessivo del mercato (in quanto ciò che conta è che vi sia libertà di accesso e concorrenza effettiva nell’offerta finale), ma porrebbero esclusivamente problemi di equità contrattuale, che il legislatore potrebbe sì affrontare con norme di tutela, che però non avrebbero a che fare con i divieti antitrust. Rilevante è la posizione del Professor Xxxxxxxxx il quale dichiara di essere personalmente incline a preferire il primo orientamento. Sostiene, infatti, che “a qualsiasi livello della catena produttiva e distributiva, se un soggetto economico rimane vincolato a scelte contrattuali che non avrebbe adottato se avesse avuto piena libertà di scelta, questo fatto è già – mi sembra – una distorsione di un processo concorrenziale efficiente e dinamico. Da qui la rilevanza degli abusi di dipendenza economica anche ai fini generali del pubblico interesse al buon funzionamento dei mercati”. Sul punto, X. XXXXXXXXX, La responsabilità per abuso di dipendenza economica: la fattispecie, in Contratto e Impresa, 2013, 1,1.
95 Sui rapporti tra l’abuso di posizione dominante, figura disciplinata all’interno della normativa antitrust, e la legge sulla subfornitura, v. X. XXXXXXXXX, Caratteristiche delle normativa antitrust e sistema giuridico italiano. Un bilancio dei primi dieci anni di applicazione della legge 287, in Rivista di diritto commerciale, 2000, I, 494.
96 Con riferimento alle recenti applicazioni giurisprudenziali in tema di abuso di posizione dominante, si segnala Consiglio di Stato, sez. VI, sent. n. 1673 dell’8 aprile 2014 (Pres. X. Xxxxxxxx, Est. X. Xx Xxxxxx – Autorità garante della Concorrenza e del Mercato, Esselunga
s.p.a. c. Coop Estense Società Cooperativa a r.l.). Al riguardo si premette che l’abuso di posizione dominante, disciplinato dall’art. 102 T.F.U.E., è un illecito mediante il quale un soggetto, attraverso condotte abusive e in virtù della sua posizione dominante, falsa il livello di concorrenza sul mercato. Dato il carattere atipico della fattispecie, le condotte possono essere costituite anche da comportamenti autorizzati da una normativa di settore, realizzando comunque finalità illecite. L’indagine è svolta su diversi piani: la verifica della sussistenza di
mercato e sulla concorrenza, i rimedi esperibili contro il comportamento abusivo da parte dell'imprenditore in posizione contrattuale dominante, come emerge dai progetti di legge S. 637 Xxxxx e altri e S. 644 Xxxxxxx e altri, della X Commissione del Senato, nell'anno 199697.
E' noto che a seguito di motivata obiezione dell'Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato il legislatore ha deciso di non operare la progettata modifica della legge antitrust. Invero, l'Autorità Xxxxxxx aveva fatto osservare che, in sostanza, non vi era correlazione necessaria tra l'esistenza di una
una posizione dominante sul mercato; l’analisi dell’abusività delle condotte alla luce anche del regime di speciale responsabilità che grava sull’impresa dominante e la verifica degli effetti lesivi per la concorrenza anche solo potenziali. Non è invece necessaria la presenza del nesso di causalità fra condotta abusiva ed evento dannoso, nonostante non ci sia giurisprudenza unanime in merito. Se il giudice ravvisa la violazione come grave, può ritenere legittimo il potere sanzionatorio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato di infliggere una diffida conformativa in forza del principio dell’effetto utile. Nel caso specifico, il Consiglio di Stato, nel confermare la decisione dell’Agcm, che aveva sanzionato una impresa per abuso di posizione dominante, ha censurato l’esercizio da parte dell’impresa di alcune facoltà concesse dalla disciplina urbanistica, ritenendo che quella condotta, in sé lecita, fosse finalizzata ad impedire ai concorrenti l’ingresso nel mercato. La sentenza, pur ponendosi in linea con la pregressa giurisprudenza nazionale e comunitaria, enuclea una nuova forma di manifestazione dell’illecito antitrust, realizzata attraverso l’abuso di diritti derivanti dalle norme urbanistiche. Per un commento alla citata sentenza, v. X. XXXXXX, Le nuove frontiere in tema di abuso di posizione dominante, in Giornale di diritto amministrativo, 1, 2015, 87 ss..
Sul punto si segnalano come precedenti conformi: Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 693 del 12.2.2014; Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 4873 del 13.9.2012; Consiglio di Stato, sez. VI, sent. n. 2925 del 13.5.2011.
Al riguardo, si consideri anche la giurisprudenza comunitaria: Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 6.12.2012, causa X-000/00 (Xxxxxxxxxxx c. Commissione); Tribunale dell’Unione Europea, 29.3.2012, causa T-336/07 (Telefonica c. Commissione); Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 21.2.1973, causa C-6/72 (Continental Can c. Commissione).
97 In particolare, quanto alla definizione di dipendenza economica, giova ricordare il riferimento testuale nei lavori preparatori della legge, precisando che l’articolo 9, comma 1, del testo unificato delle proposte di legge S. 367 e S. 644, approvato dal Senato in data 2 aprile 1997, prevedeva ancora l’inserimento nel tessuto della legge antitrust un comma 3bis e che l’abuso di dipendenza economica si riferiva al solo fornitore e non anche al cliente. La definizione risultava la seguente: “si ha dipendenza economica quando il committente, tenuto conto delle alternative disponibili per il fornitore, nell’ambito di un mercato determinato in relazione alle caratteristiche del prodotto e alle dimensioni geografiche rilevanti, disponga nei confronti di quest’ultimo di una posizione dominante dal lato della domanda”. Il testo attuale dell’articolo 9, riferendosi al potere dell’impresa di determinare un eccessivo squilibrio di diritti e obblighi, non ha fatto altro che esprimere in termini sintetici e bilaterali (rapportabili così sia al cliente sia al fornitore) la definizione di dipendenza economica che, in termini analitici e sostanzialmente unilaterali, era fornita dalla suddetta proposta di legge.
posizione dominante di mercato, che imponeva l'attivazione dei poteri pubblicistici di controllo e riequilibrio assegnati alla detta Autorità, e l'esistenza di una posizione di dominio "contrattuale". Quest'ultima, ove rilevata, avrebbe potuto anche non avere riflessi sul mercato e avrebbe dovuto in tal caso essere riequilibrata solo con l'attivazione dei rimedi privatistici contenuti nella norma che avrebbe dovuto essere l'art. 3 bis della legge antitrust, per i quali non era ipotizzabile un intervento dell'Autorità Garante98.
98 Appare necessario, al riguardo, fornire una breve ricostruzione delle vicende salienti di un iter legislativo particolarmente complesso, che è possibile scandire in tre momenti, sostanzialmente coincidenti con tre pareri imputabili all'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato: i primi due resi in conformità all'articolo 22 della legge antitrust, e precedenti l'approvazione della legge n. 192/1998, l'ultimo espresso oralmente dal Presidente della stessa in un'audizione presso la X Commissione permanente del Senato in sede di verifica dell'efficacia delle disposizioni di cui alla medesima legge. Si tratta di tre pareri dal contenuto diverso, ma tutti convergenti verso il fine di escludere non la natura concorrenziale dell'abuso di dipendenza economica, ma la competenza dell’Autorità garante a conoscere e sanzionare le relative ipotesi.
Ai sensi dell’articolo 22 della legge antitrust, “l'Autorità può esprimere pareri sulle iniziative legislative o regolamentari e sui problemi riguardanti la concorrenza ed il mercato quando lo ritenga opportuno, o su richiesta di amministrazione ed enti pubblici interessati”.
Xxxxxx, nel primo parere (del 20 giugno 1995, relativo al testo unificato in materia di subfornitura risultante dai disegni di legge A.S. 932 e A.S. 113 della XII legislatura (art. 10), in Bollettino Agcm, n. 23/1995), l’Autorità era stata chiara nell'osservare che “l'obiettivo di garantire, attraverso la disciplina del contratto di subfornitura, una maggiore trasparenza e certezza nelle transazioni commerciali tra imprese appare meritevole di una valutazione positiva dal punto di vista della tutela del funzionamento del mercato”, ma al riguardo, ha espresso parere negativo circa la congruità, dal punto di vista operativo, della riconduzione di tale obiettivo tra le proprie funzioni per molteplici ragioni.
In primo luogo, si segnala che la necessità di prevedere dei rapporti contrattuali di subfornitura improntati a correttezza ed efficienza produce certamente effetti positivi per la concorrenzialità dei mercati, ma non può essere risolta dilatando in modo innaturale la nozione di abuso di posizione dominante. Del resto, l'articolo 3 della legge antitrust già contemplava la possibilità di intervenire nei confronti di un'impresa la quale, benché non dotata di una posizione dominante nella vendita dei propri prodotti, tuttavia deteneva una posizione dominante dal lato della domanda nei confronti dei propri fornitori, in assenza di alternative economicamente significative per questi ultimi. Da ciò conseguiva che rapporti di subfornitura non equi, laddove imposti a soggetti che non godevano di possibilità economiche di scelta alternativa, potevano ricadere, attraverso un'appropriata e contestualizzata definizione del mercato rilevante, nella fattispecie dell'abuso di posizione dominante.
Tale affermazione è stata ribadita anche nel secondo parere dell’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, reso in data 11 febbraio 1998 (v. in Bollettino Agcm, n. 5/1998), di cui appare opportuno riportarne il testo integrale, al fine di comprendere meglio il ragionamento seguito dall’Autorità Garante: “Questa Autorità ritiene opportuno esprimere il
L'abbandono del progetto di modifica della legge antitrust non è stato, però, accompagnato anche dalla decisione di non introdurre questa disposizione nell'ordinamento che, infatti, è stata inserita senza alcuna modifica rispetto
proprio parere, ai sensi dell'articolo 22 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, in merito all'articolo 9 della proposta di legge n. 3509 recante la "Disciplina della subfornitura nelle attività produttive", che introduce nell’ordinamento la fattispecie dell’abuso di dipendenza economica. Quest’ultimo viene definito come l'abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una imprese cliente o fornitrice. A sua volta, la dipendenza economica è individuata nella situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un significativo squilibrio di diritti e di obblighi. La norma indica a titolo esemplificativo alcuni comportamenti (il rifiuto di vendere o di comprare, l’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, e l’interruzione arbitraria di relazioni commerciali in atto) che potrebbero configurare un abuso di dipendenza economica. Viene quindi disposto che il patto attraverso il quale si realizzi un abuso di dipendenza economica è nullo. L’articolo 9 della proposta di legge prevede la collocazione della norma relativa all’abuso di dipendenza economica all’interno della legge n. 287/90. Questa Autorità reputa impropria tale collocazione. Infatti le norme antitrust sono disposizioni generali dirette a tutelare il processo concorrenziale in relazione all’assetto del mercato. Inoltre, le norme nazionali sulla concorrenza hanno un preciso riferimento nell’ordinamento dell’Unione Europea. La stessa formulazione delle disposizioni sostanziali della legge n. 287/90 riflette quasi letteralmente le corrispondenti norme comunitarie; per di più l’articolo 1, comma 4, della legge n. 287/90 vincola l’interpretazione delle disposizioni sostanziali della medesima legge ai principi elaborati in sede comunitaria. Viceversa, la norma dell’articolo 9 contenuta nella proposta di legge costituisce una regola specifica inerente alla disciplina dei rapporti contrattuali tra le parti, con finalità che possono prescindere dall’impatto di tali rapporti sull’operare dei meccanismi concorrenziali. Inoltre, essa non ha alcun riscontro nell’ordinamento comunitario e affonda invece le radici nella tematica dell’equilibrio contrattuale e più precisamente nella valutazione del rapporto negoziale tra le parti. Le patologie di questo rapporto trovano rimedio nel divieto, e conseguente invalidità, di clausole vessatorie (come previsto dalle norme della proposta di legge) e nelle garanzie stabilite a favore della parte più debole. La loro disciplina pertanto va inquadrata nell’ambito delle norme civilistiche relative alle obbligazioni e ai contratti. Al riguardo l’Autorità segnala che le commissioni arbitrali presso le Camere di Commercio previste dall’articolo 10 della proposta di legge in esame (nei limiti in cui non integrino gli estremi di un arbitrato obbligatorio vietato dalla prevalente giurisprudenza della Corte Costituzionale), e il giudice ordinario appaiono adeguati a garantire, anche per la loro diffusione sul territorio, una efficace tutela del corretto equilibrio dei rapporti contrattuali tra le parti per quanto attiene alle fattispecie di esclusiva rilevanza civilistica. Infatti, qualora i comportamenti d’impresa che integrano l’abuso di dipendenza economica fossero posti in essere da un’impresa in posizione dominante sul mercato, l’articolo 3 della legge n. 287/90, unitamente all'articolo 86 del Trattato di Roma, già consente all’Autorità di intervenire efficacemente a salvaguardia delle imprese più deboli e dell’intero processo concorrenziale. Al riguardo è disponibile un’ampia casistica di decisioni dell’Autorità dalla quale si ricava che il rifiuto di contrarre, l'imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie già rientrano nell’ambito di applicazione della legge n. 287/90. Ai sensi dell’articolo 22 della legge n. 287/90, l’Autorità auspica che la figura dell’abuso di dipendenza economica, prevista dall’articolo 9 della proposta di legge n. 3509, non venga collocata all’interno della legge n. 287/90”.
alla sua originaria formulazione nella legge n. 192/1998. La nozione di dipendenza economica, prevista all’articolo 9 della legge sulla subfornitura, quindi, affonda chiaramente le radici nella tematica dell’equilibrio contrattuale e nella valutazione del rapporto negoziale tra le parti, di impronta marcatamente civilistica, riferendosi non già alla posizione di dominanza assoluta di un’impresa sul mercato, bensì alla posizione di dominanza relativa che si esplica nell’ambito di un rapporto bilaterale (impresa forte – impresa debole)99.
Come cennato nel paragrafo precedente, la legge sulla subfornitura risulta costellata di nullità e anche l’articolo 9 si inserisce a pieno titolo in questo scenario. Nel terzo coma, infatti, si sancisce la nullità del patto con si realizza l’abuso di dipendenza economica100.
Va, peraltro, segnalato, per completezza dell’esposizione sul punto, che con legge n. 57, del 5 marzo 2001, all'articolo 9 della legge sulla subfornitura è
99 Sulla posizione dominante plurima non collettiva o disgiunta, con riferimento alla distribuzione farmaceutica: X. XXXXXX, Obblighi di contrarre e distribuzione farmaceutica, tra diritto comune e regolamentazione di settore. Appunti per una teoria della dipendenza relativa o di gruppo ovvero della posizione dominante plurima non collettiva o disgiunta, in Rivista di diritto commerciale, 10-11-12, 2005, II, 338. In ambito giurisprudenziale, v. ordinanze della Corte d’Appello di Milano, 20/26 aprile 2005 e 12/23 luglio 2005 (Farmacie Xxxxxxx s.rl. c. Pfizer Italia s.r.l. e Pharmacia Italia s.p.a.), entrambe pubblicate in Rivista di diritto commerciale, 10-11-12, 2005, II, 311.
Nella letteratura europea, in ordine al tema della proprietà intellettuale nel campo della industria farmaceutica, X. XXXXXXXX, Patenting Strategies of the EU Pharmaceutical Industry: Regular Business Practice or Abuse of Dominance, in World Competition, 35, 1 , 2012, 27.
100 Per un approfondimento sul tema, M.M. XXXXXX, Abuso di dipendenza economica: predisposizione di clausole inique o discriminatorie e potere integrativo del giudice, in Vita notarile, 2011, 1151. Tuttavia, vi è chi sostiene che la sanzione si sposta dal piano delle nullità al piano delle responsabilità per danni quando l’abuso di dipendenza economica, oltre ad essere un vizio di nullità del contratto, si configura anche quale ipotesi di illecito. Per tale ricostruzione, anche con una prospettiva di tipo comparatistico, v. X. XXXXX, L’abuso di dipendenza economica “fuori dal contratto” tra diritto civile e diritto antitrust, in Rivista di diritto civile, 2000, II, 389.
stato introdotto il comma 3bis che recupera la correlazione tra posizione dominante "privatistica" e quella "pubblicistica", precisando che se la posizione dominante "contrattuale" assuma anche rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato, l'Autorità Garante può attivare i propri poteri di indagine, ispezione, diffida e applicazione delle sanzioni previste dalla legge antitrust101. In questo modo, si è inteso duplicare la censura sull’abuso di
101 Si allude a quell'inciso, contenuto nel nuovo comma 3 bis, secondo cui «ferma restando l'eventuale applicazione dell'articolo 3» della legge antitrust, l'Autorità garante per la concorrenza e il mercato può «qualora ravvisi che un abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato... procedere alle diffide e sanzioni previste dall'articolo 15» della legge antitrust.
Ad una mera interpretazione testuale, quest'inciso sembrerebbe deporre nel senso che, al di là dell'articolo 3 legge antitrust, esiste un abuso di dipendenza economica conoscibile dall'Autorità garante in quanto rilevante per la tutela della concorrenza e del mercato: la legge
n. 57/2001 avrebbe dunque introdotto una nuova fattispecie antitrust. Questa soluzione, però, non trova un conforto nel sistema del diritto italiano della concorrenza, che depone invece per un'interpretazione antiletterale dell'inciso in discorso.
Invero, l’interprete italiano, vincolato al rispetto dei principi dell'ordinamento comunitario, può sanzionare gli abusi di dipendenza economica che rilevano su una parte rilevante del mercato nazionale alla stregua dell'articolo 3 della legge antitrust, senza alcuna necessità di creare una nuova fattispecie antitrust. Nel nostro ordinamento, quindi, non v'è spazio per un abuso di dipendenza economica che non integri gli estremi dell'articolo 3 della legge antitrust ma che, tuttavia, abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato. Ne consegue che, rispettando il sistema ed attribuendo il giusto peso al vincolo interpretativo posto dall'articolo 1 della legge antitrust, è possibile leggere congiuntamente la prima e la seconda parte dell'articolo 9, comma 3 bis, della legge sulla subfornitura per trarne una norma secondo cui l'articolo 3 della legge antitrust si applica laddove l'abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato, ossia laddove, secondo i principi dell'ordinamento comunitario, esso incida sull'assetto concorrenziale di un mercato rilevante.
Volgendo lo sguardo ad ipotesi concrete e al fine di formulare una ragionevole ipotesi interpretativa, appare opportuno segnalare le sette diverse situazioni proposte dal Professore Xxxxxxxxx, nelle quali può configurarsi un rapporto di potere/soggezione fra imprese giuridicamente indipendenti. Si tratta delle seguenti situazioni: A) la situazione di egemonia rispetto ai concorrenti (ossia dominio orizzontale del mercato), derivante dalla preponderante posizione finanziaria, organizzativa, tecnica, dell’impresa dominante, a causa della quale le imprese minori si adattano a regole di comportamento rispettose della leadership dell’impresa dominante; B) la situazione di potere “orizzontale” rispetto ai concorrenti, che deriva da una posizione di dominio in un mercato contiguo (merceologico o geografico) e dal correlativo timore reverenziale degli operatori del mercato più debole; C) la situazione di potere “orizzontale” rispetto ai concorrenti, che deriva dalla disponibilità esclusiva di una risorsa non duplicabile, collocata dall’impresa dominante mediante strumenti di integrazione verticale (controllo da parte dell’impresa dominante di una essential facility); D) la situazione di dominio “verticale” di mercato nei confronti di imprese che operano ad altri livelli di mercato, come fornitori o distributori o comunque acquirenti di prodotti, e che devono considerare l’impresa dominante come partner necessario (anche qui si parla di controllo da parte
dipendenza economica sia sul piano contrattuale sia sul piano della condotta anticoncorrenziale, pur restando nell’alveo di una normativa essenzialmente di diritto civile102. La norma, dunque, si ripropone come sintesi tra la
dell’impresa dominante di una essential facility e tale situazione si differenzia da quella di cui al punto C, in quanto l’impresa dominante non opera anche direttamente nel mercato rilevante); E) la situazione di potere “verticale” inerente ai mercati derivati dei propri prodotti (cosiddetti aftermarkets) che può esercitarsi essenzialmente nei confronti di imprese (distributori o manutentori, ad esempio) operanti in mercati a valle; F) la situazione di potere “verticale” derivante dall’essere titolare unico o quasi della domanda rivolta a mercati minori (assistenza tecnica, manutenzione, riparazione, ad esempio) e che richiede la formazione di piccole imprese specializzate; G) la situazione di potere che un’impresa più grande può acquisire nei confronti di una più piccola (subfornitore, distributore o fornitore di servizi vincolato da esclusive di diritto o di fatto) quando questa, per un certo tempo, abbia operato come impresa “monocliente” (o quasi), e sia divenuta perciò “dipendente”, disposta quindi ad accettare anche modificazioni in pejus del rapporto, pur di non affrontare i costi di una difficile riconversione. Se si utilizza la classificazione proposta dal Professore Xxxxxxxxx, al fine di impostare una soluzione alla questione dei rapporti fra disciplina della posizione dominante e disciplina della dipendenza economica, si giunge a fornire le seguenti risposte:
- nelle ipotesi A) e B) si ha posizione dominante ma non dipendenza economica;
- nelle ipotesi C) e D) si ha una piena interferenza fra le due discipline e ciò fonda, oltre che la potestà di intervento dell’AGCM, la facoltà delle eventuali parti lese di rivolgersi al giudice civile ricorrendo, alternativamente, all’una o all’altra disciplina;
- nelle ipotesi E) ed F) si ha interferenza solo eventuale fra le due discipline; in altri termini, dovrebbe essere proprio questa l’ipotesi della dipendenza economica che non supera, in linea di principio, la soglia di rilevanza antitrust a meno che, per la dimensione notevole discrezionalmente apprezzata degli aftermarkets, l’AGCM ritenga che i relativi comportamenti abbiano rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato;
- nell’ipotesi G) si ha dipendenza economica ma non posizione dominante.
Infine si sottolinea come la problematica descritta ha rilevanza non solo per delimitare l’ambito di competenza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ma anche per delimitare la competenza del Tribunale delle Imprese. Al riguardo, infatti, l’articolo 3 del d.lgs. n. 168/2003 (così come modificato con l’articolo 2 del d.l. n. 1/2012, convertito in legge n. 27/2012) attribuisce alla competenza del Tribunale delle Imprese le controversie fondate su violazioni di norme antitrust nazionali ed europee, e non anche le controversie fondate su violazioni della norma di divieto di abuso di dipendenza economica. Ne consegue che domande prospettate dall’attore esclusivamente come fondate sul divieto di abuso di dipendenza economica rimangono fuori dalla competenza del Tribunale delle Imprese. Viceversa, nel caso in cui vi sia interferenza fra disciplina antitrust e disciplina dell’abuso di dipendenza economica, l’attore può prospettare la sua domanda come fondata sul divieto di abuso di posizione dominante, così rendendola di competenza del Tribunale delle Imprese (con onere per l’attore di provare tutti i requisiti dell’abuso di posizione dominante).
Per tutto quanto sinteticamente illustrato, X. XXXXXXXXX, La responsabilità per abuso di dipendenza economica: la fattispecie, in Contratto e Impresa, 2013, 1,1.
102 Così X. XXXXXXXXX, La subfornitura nella prassi industriale e commerciale, in Rivista di diritto privato, 1, 2006, 165. Al riguardo, va considerato che gli accordi di subfornitura, pur assolvendo ad una esigenza di divisione del lavoro, sono nella loro essenza una forma di cooperazione fra grandi, piccole e medie imprese, aprendo a queste due ultime categorie prospettive vantaggiose di crescita economica e professionale, che consentono a queste aziende
prospettiva microeconomica del contratto e quella macroeconomica del mercato e della concorrenza.
Delineata la matrice storica del divieto di abuso di dipendenza economica, appare chiara la correlazione con il sindacato del giudice sull’iniquità economica del contratto.
Essa assume autonoma rilevanza e l’interprete può accedere a due soluzioni: o applicare tale controllo solo ai casi di accertato fallimento della concorrenza, oppure ritenere che l’abuso di dipendenza economica abbia voluto colpire, solo a livello del contratto, comportamenti che, ove pure non si traducano in vere e proprie posizioni di dominio assoluto sul mercato, interferiscono comunque in modo negativo sulla concorrenza. Tale ultima soluzione appare preferibile in quanto implica una operatività più ampia dell’articolo 9, conferendogli un’autonomia e una dignità sua propria.
Questo assunto consente di sciogliere il quesito relativo alle ragioni per cui un ordinamento giuridico dovrebbe dettare una disciplina ad hoc per tutelare, tra le varie relazioni tra imprenditori, solo quelle caratterizzate dalla circostanza che un'impresa abbia effettuato investimenti specifici rispetto alle esigenze della controparte. La mancata tutela dell'impresa, che effettua investimenti specifici rispetto ad una data operazione contrattuale e conseguentemente si
di conquistare una propria autonomia nei loro programmi futuri di espansione nel mercato globale. Per l’impresa produttrice del bene finito, la scelta strategica è sempre tra il make ed il buy. La prima opzione porta ad una più forte concentrazione, la seconda ad un decentramento produttivo (outsourcing) e tra le due, anche in un’ottica di benefica concorrenza, va privilegiata senza alcun dubbio la seconda. In questo senso i rapporti di subfornitura non devono essere frenati dal mondo giuridico, politico ed economico, ma incentivati, seppur nel quadro di una corretta applicazione della normativa antitrust e della legge sulla subfornitura.
consegna nelle mani del partner commerciale, genera infatti una ricaduta negativa in termini di sviluppo del sistema economico complessivo nella misura in cui scoraggia quel flusso di innovazione che scaturisce da rapporti interimprenditoriali molto cooperativi.
L'abuso di dipendenza economica, pertanto, si inscrive in modo lineare in questa logica di sistema, in quanto consente di rafforzare la valenza precettiva della buona fede in executivis nei rapporti interimprenditoriali, salvaguardando ora il valore dell'investimento specifico rispetto ad una data relazione contrattuale, ora la possibilità di trovare alternative soddisfacenti di mercato venuta meno la stessa relazione contrattuale103.
Infine, prima di illustrare i più rilevanti orientamenti giurisprudenziali formatisi, dal 2002 in poi, sulla portata applicativa dell’istituto dell’abuso di dipendenza economica, occorre svolgere alcune brevi riflessioni sul dibattito sorto in seno alla dottrina circa l’ambito applicativo della disposizione, ovvero una tesi restrittiva e una estensiva.
Secondo i fautori della tesi restrittiva104, la disposizione dell’articolo 9 assume una portata limitata ai soli rapporti di subfornitura, fornendo strumenti di tutela finalizzati a rispondere alle specifiche esigenze dei subfornitori. A sostegno di tale impostazione, si annoverano sia la collocazione della norma nell’ambito di una legge speciale, sia il fatto che la stessa, introducendo forme
103 Sul punto, X. XXXXXX, Abuso di dipendenza economica, in Digesto civile, 2003.
104 Tra i sostenitori della tesi restrittiva: X. XXXXX, La subfornitura, in Commentario al codice civile Scialoja-Branca a cura d X. XXXXXXX, Bologna-Roma, 2003 e X. XXXXXXX-X. XXXXXXX, L’abuso di dipendenza economica, in P. SPOSATO-X. XXXXXX (a cura di), La disciplina del contratto di subfornitura nella l. n. 192 del 1998, Torino, 1999.
di controllo sul contenuto del contratto che limitano in modo pregnante l’autonomia privata, deve essere considerata una norma eccezionale, non applicabile analogicamente a favore di altri imprenditori deboli.
I sostenitori della tesi estensiva105, invece, valorizzano sia l’iniziale intenzione di inserire la detta disposizione all’interno della legge antitrust (testimonianza inequivocabile della volontà del legislatore di attribuirvi portata generale) sia il tenore letterale della norma che, a differenza delle altre contenute nella legge sulla subfornitura, omette qualsiasi riferimento al committente e al subfornitore, riferendosi genericamente all’impresa cliente, all’impresa fornitrice e alle relazioni commerciali106.
Del resto, anche a voler evitare di aderire ad una o all’altra tesi, si evidenzia comunque la possibilità di ricorrere alla norma sul divieto di abuso di dipendenza economica attraverso l’applicazione in via analogica, non potendo la disposizione in parola essere considerata norma eccezionale. L’articolo 9, infatti, consente al giudice un sindacato sul regolamento contrattuale, limitando di fatto l’autonomia contrattuale. Tuttavia, non può non rilevarsi
105 Ex multis, X. XXXXXXXXXX, L’abuso di dipendenza economica. Oltre la subfornitura, in Concorrenza e mercato, 2012, 619 ss.. L’Autore propende per la portata generale della norma in questione, anche alla luce delle metodologie proprie della analisi economica del diritto.
106 Cfr. anche X. XXXXX, L’abuso di dipendenza economica “fuori dal contratto” tra diritto civile e diritto antitrust, in Rivista di diritto civile, 2000, II, 389. Secondo l’Autore, dal punto di vista oggettivo, i rapporti da cui può trarre origine la dipendenza economica si caratterizzano per il fatto che il soggetto dipendente può essere sia l’impresa cliente sia l’impresa fornitrice: si potrà avere dipendenza dal lato della domanda, come nei rapporti di subfornitura, oppure dal lato dell’offerta, come nel franchising. La dipendenza economica è, dunque, una situazione che opera in senso bilaterale e che può trovare la propria fonte in ogni tipo di rapporto contrattuale tra imprese, purchè diretto ad instaurare una relazione verticale tra di esse. L’articolo 9 è, quindi, una norma generale, che comprende ma, nello stesso tempo, supera l’ambito dei rapporti di subfornitura. Al riguardo, v. anche X. XXXXXX, Parte generale del contratto e norme di settore nel quadro del procedimento interpretativo, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 2008, 4.
come attualmente l’ordinamento e, dunque, il nuovo diritto dei contratti siano costellati di numerose norme che consentono tale forma di controllo, da ritenersi non più eccezionale e suscettibile, così, di applicazioni in via analogica107.
Si proceda ora ad analizzare le principali pronunce giurisprudenziali in tema di abuso di dipendenza economica.
107 Così M.M. XXXXXX, Abuso di dipendenza economica: predisposizione di clausole inique o discriminatorie e potere integrativo del giudice, in Vita notarile, 2011, 1135.
2.2.1.2. Gli orientamenti giurisprudenziali
A) La prima ordinanza in materia: Tribunale di Bari, 6 maggio 2002
Con ordinanza del 6 maggio 2002, la seconda sezione civile del Tribunale di Bari accoglieva un ricorso proposto ex art. 700 del codice di procedura civile, applicando, in via cautelare, l’articolo 9 della legge n. 192/1998, con il quale la nostra giurisprudenza non aveva ancora avuto modo di confrontarsi, nonostante fossero trascorsi quattro anni dall'emanazione della legge sulla subfornitura. La decisione in epigrafe pertanto, merita attenzione non solo perché è la prima in materia, ma anche perché presenta molteplici profili di interesse legati, sostanzialmente, alla intrinseca problematicità dell'istituto dell'abuso di dipendenza economica108.
108 Sulla stessa scia si collocano altre due ordinanze del Tribunale di Bari: l’ordinanza dell’11 ottobre 2004, Giudice Magaletti (Società Italfusti s.r.l. c. Società Natuzzi s.p.a.) e l’ordinanza del 17 gennaio 2005, Presidente Xx Xxxxx, Xxxxxxx relatore Xxxxxx, sempre tra le medesime parti contrattuali. A distanza di quasi tre anni dalla prima controversa pronuncia sul tema, la figura dell’abuso di dipendenza economica viene nuovamente analizzata dalla giurisprudenza barese, soprattutto in ordine alla precisa individuazione del suo ambito applicativo, nonché alla scelta dei rimedi spettanti all’impresa dipendente a fronte del comportamento abusivo dell’impresa dominante. L’occasione per rimeditare l’istituto viene fornita da una controversia che traeva la propria scaturigine dal rapporto contrattuale intercorso tra la Società Italfusti s.r.l. e la società Natuzzi s.p.a.. In particolare, si evidenziava che da circa venti anni la Società Italfusti s.r.l. produceva intelaiature in legno utilizzate per la produzione di divani, avendo come committente pressoché unico la società Natuzzi x.xx., le cui commesse rappresentavano circa il 100% del fatturato della Italfusti sino al 1994, e circa l’85% dopo tale data. Il 20 giugno 2003 la Natuzzi comunicava alla Italfusti la propria volontà di interrompere il rapporto economico esistente, di talchè quest’ultima adiva il Tribunale in via cautelare, lamentando che il comportamento della committente costituiva abuso di dipendenza economica e richiedendo, in via principale, di ordinare alla Natuzzi la conclusione di un contratto di subfornitura di durata quinquennale, secondo le condizioni indicate dalla stessa Italfusti, individuate anche in sede di conciliazione tra le parti o, in alternativa, alle diverse condizioni ritenute eque dal magistrato.
Xxxxxx, l’organo giudicante, dopo aver inquadrato il rapporto tra le due società nello schema della subfornitura, ritenendo sussistente il requisito della dipendenza tecnologica ed economica
Volendo riassumere il caso concreto, giova segnalare che la controversia traeva la propria scaturigine dal ricorso della titolare di due esercizi commerciali, in cui si effettuava la vendita al dettaglio di capi di abbigliamento e da oltre dieci anni acquistava articoli di marca da una nota casa produttrice (titolare del relativo marchio). Le condizioni generali di
tra le parti contraenti, si interroga sulla definizione dell’ambito di applicazione della norma dell’articolo 9 in tema di abuso di dipendenza economica e, in particolare, se questa attenga esclusivamente ai rapporti di subfornitura o, piuttosto, alla generalità dei rapporti giuridici. Il primo giudice cautelare non prende posizione sul punto, mentre il giudice del riesame afferma che, anche in mancanza di un contratto scritto di subfornitura, se si ravvisa una posizione di dipendenza economica della subfornitrice, la stessa non risulterebbe sfornita di tutela nell’attuale quadro normativo, in quanto l’articolo 9 della legge sulla subfornitura sanzionerebbe l’arbitraria interruzione delle relazioni commerciali. La norma dell’articolo 9, d’altra parte, colpisce uno specifico comportamento dell’impresa che costituisca abuso della situazione di dipendenza economica: l’intervento giudiziale negli ampi termini previsti dalla norma va ravvisato nella condotta abusiva messa in atto dall’impresa che ha una dominanza relativa. Invero, nel caso di specie, di fronte alla tesi della ricorrente, secondo cui l’interruzione del rapporto in essere tra le imprese, attuata mediante la comunicazione del recesso, costituisce abuso, e al parallelo tentativo di dipingere di abusività anche le modalità e i termini della decennale collaborazione con la Natuzzi, la posizione del giudice, constatata l’assenza di un contratto di subfornitura assistito dalle necessarie formalità di cui all’articolo 2, si focalizza intorno alla questione se l’interruzione dei rapporti economici in corso possa definirsi arbitraria, ai sensi dell’ipotesi di condotta abusiva tipizzata nel comma 2 dell’articolo 9. Al riguardo, i giudici osservano che nella corrispondenza intercorsa tra le due imprese la Natuzzi aveva più volte contestato ritardi e inadempimenti di vario genere nella fornitura dei fusti, aderendo a quell’orientamento secondo cui si esclude la natura abusiva del comportamento tenuto dall’impresa dominante che interrompa i propri rapporti commerciali con l’impresa dipendente ogniqualvolta esso sia sorretto da una concreta giustificazione. Tuttavia, nel contesto della dipendenza economica, come nel caso di specie, va valutato anche l’accertamento dello stato di dipendenza così che potrebbero assumere rilievo ai fini dell’applicazione della norma anche elementi ulteriori quali le modalità temporali del rifiuto e soprattutto l’assenza di alternative percorribili nel breve periodo nonché i costi legati al loro reperimento (i cosidetti switching costs). A ben vedere, secondo un commento a tale indirizzo giurisprudenziale, chi si muove lungo questa direttiva dovrà tendenzialmente riconoscere alla norma una finalità più ampia rispetto alla mera repressione della condotta abusiva, in direzione di una protezione assai più incisiva dell’impresa debole; ma, quale che sia la valutazione di una simile conclusione, la contraria interpretazione, focalizzata sull’arbitrarietà dell’interruzione o del rifiuto, finirebbe probabilmente per far coincidere la tutela prevista dalla norma con quella già garantita da una applicazione coerente del principio di buona fede, svuotando così la norma della sua concreta specificità. Quanto, poi, alla domanda proposta in via principale dalla Italfusti, in relazione alla conclusione di un contratto di subfornitura di durata quinquennale, l’organo giudicante precisa che l’articolo 9 non prevede affatto alcun obbligo specifico di contrattare che, una volta costituito per ordine del Giudice, possa a sua volta essere eseguito coattivamente, né tanto meno che possa essere addirittura anticipato coattivamente negli effetti mediante la richiesta cautela.
Il testo delle due ordinanze del Tribunale di Bari è presente in Rivista di diritto privato, 3, 2005, 691. Segue una nota di commento a pag. 704.
vendita prevedevano che l'acquirente non potesse modificare o revocare la propria proposta se non facendo pervenire lettera raccomandata A.R. entro 10 giorni dall'ordine e per un periodo di 180 giorni, entro i quali, correlativamente, la casa produttrice poteva decidere di accettare, o non, la proposta. Nonostante l'ampio margine offerto al produttore, in relazione alla stipulazione del singolo contratto, gli ordini venivano puntualmente accettati nell'ambito di una relazione commerciale che si svolgeva sempre in modo corretto e su un arco temporale di dieci anni; tuttavia improvvisamente la casa produttrice non accettò una commessa, motivando con l'esigenza di privilegiare solo gli esercizi commerciali ubicati nel centro dei centri cittadini e ritenendo che quello della ricorrente fosse invece troppo periferico. La ricorrente, pertanto, lamentando violazione dell'articolo 9 della legge sulla subfornitura, invocava la tutela cautelare dei propri diritti, sottolineando che l'esercizio in cui prevalentemente avveniva la rivendita risultava invece ubicato in una delle strade più centrali ed eleganti della città. Il Tribunale di Bari, rilevata la sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora, ingiungeva alla casa produttrice di consegnare la merce di cui alla proposta contrattuale al prezzo indicato e con le forme di pagamento previste nelle suddette condizioni generali di contratto.
La decisione evocava una serie di interrogativi, anche di carattere processuale: in tale sede, però, si deve concentrare l’attenzione sulle questioni sostanziali attinenti la figura dell’abuso di dipendenza economica.
In primo luogo, il Tribunale chiariva che l'abuso di dipendenza economica era un istituto di portata generale che, quindi, non si applicava ai soli contratti di subfornitura di cui alla legge n. 192/1998, bensì a tutti quelli stipulati fra imprenditori109. Tale soluzione non si giustificava tanto o solo in base alla
109 Sulla stessa scia, v. anche Tribunale di Trieste, ordinanza del 20 settembre 2006. Con tale pronuncia, l’organo giudicante ha sottoposto al divieto di abuso di dipendenza economica l’accordo con cui un noto gestore di telefonia aveva imposto ad un’impresa di call-center l’accettazione di prezzi unilateralmente fissati senza nessuna possibilità di negoziare gli stessi o di sindacarne la congruità qualora per esigenze commerciali si fosse dovuto operare un nuovo allacciamento delle linee. In altri termini, l’abuso di dipendenza economica veniva ravvisato in uno squilibrio presente nella fase genetica del vincolo contrattuale che, nel caso di specie, imponeva un ulteriore aggravio per l’impresa cliente. Tale aggravio consisteva in primo luogo nell’inserzione di una clausola solve et repete, attraverso la quale si condizionava l’allacciamento delle linee all’accettazione preventiva delle condizioni di fornitura; in secondo luogo mediante una clausola di esclusiva volta ad impedire all’impresa call center di rivolgersi ad altri gestori. Al riguardo, nel corpo della sentenza si legge testualmente “l’abuso può anche consistere, come nel caso di specie, nella imposizione di condizioni contrattali ingiustificatamente gravose o discriminatorie; ed il patto attraverso il quale si realizza l’abuso di dipendenza economica è nullo”. Significativo, peraltro, appare l’oggetto della sanzione, in quanto ad essere colpito nello specifico non era un qualsiasi accordo iniquo, bensì quello relativo all’imposizione del prezzo. Si è assistito, così, al riconoscimento dell’idoneità della disciplina dell’abuso di dipendenza economica a superare il principio di insindacabilità del contenuto economico dello scambio che, principalmente, caratterizza la normativa posta a tutela del consumatore, la quale ruota intorno al mero intervento sull’equilibrio normativo. Per tali considerazioni, C. MEDICI, Il controllo sul contenuto economico dello scambio: una recente applicazione giurisprudenziale del divieto di abuso di dipendenza economica, in Rivista critica del diritto privato, 2006, 681. Tuttavia, vi sono indicazioni giurisprudenziali da cui promana un’evoluzione della protezione del consumatore. Si fa riferimento alle sentenze della Suprema Corte di Cassazione (Prima Sezione): sent. n. 14716 del 13 luglio 2005 (Xxxxx Xxxxxxxxx s.p.a. c. Piscioneri), sent. n. 17398 del 26 agosto 2005 (Compagnia Assicuratrice Gan Italia s.p.a. X. Xxxxxx) e sent. n. 20923 del 27 ottobre 2005 (Compagnia Assicuratrice Gan Italia s.p.a. c. Xx Xxxx). In tali pronunce giurisprudenziali viene affermato il principio che la tutela del consumatore, nel caso in cui sia connessa alla violazione di un interesse pubblico, quale quello del libero gioco della concorrenza, permette di sindacare anche la congruità del prezzo del bene o del servizio acquistato. Si evidenzia che, in questo modo, non risulta tutelato soltanto l’equilibrio normativo del contratto del consumatore (come indicato all’articolo 34, comma 2, del Codice del Consumo, in virtù del quale la valutazione del carattere vessatorio di una clausola non attiene all’adeguatezza del corrispettivo), ma anche quello economico, normalmente protetto solo in ambito di abuso di dipendenza economica. Per tali considerazioni, L. DELLI PRISCOLI, Equilibrio del mercato ed equilibrio del contratto, in Giurisprudenza commerciale, 2, 2006, II, 256. Al riguardo l’Autore precisa che permane in ogni caso una significativa differenza tra le tutele riconosciute all’imprenditore c.d. debole e quelle previste a favore del consumatore, in quanto solo quest’ultimo fruisce di un’articolata disciplina che prevede obblighi di informazione e diritti di pentimento a suo favore, giustificati in ragione della sua intrinseca inesperienza. L’unica eccezione è rappresentata dagli obblighi informativi che l’affiliante è tenuto ad assolvere in favore dell’affiliato, ai sensi della legge n. 129 del 2004 sul franchising. Quanto all’ambito di applicazione della tutela dell’equilibrio economico del contratto, si evidenzia che quello dell’imprenditore debole risulta comunque più
lettera della legge, quanto soprattutto in base alla lettura giuseconomica che della fattispecie doveva essere necessariamente data se si voleva sperare di contribuire a determinarne la portata. Infatti, ciò era coerente con l'assunto, atteso che non ci si trovava in presenza di un contratto di subfornitura, bensì di un rapporto che, pur senza essere formalizzato in un documento contrattuale, era chiaramente finalizzato alla distribuzione dei prodotti.
Quanto, poi, alla natura giuridica dell’istituto, il Tribunale precisava che a differenza dell'abuso di posizione dominante, preso in considerazione dalla normativa antitrust, l'abuso di dipendenza economica non incideva sul mercato, considerato nel suo complesso, sussistendo invece quando fra due parti una si presentava come il partner obbligato dell'altro e tale situazione si caratterizzava per un accentuato squilibrio di diritti e di obblighi. Dunque, sebbene potesse essere molto difficile distinguere fra “mercato” e “contratto”, il giudice optava per la lettura contrattuale dell'istituto e, in base a quanto emergeva dalla sola ordinanza, non si era indotti a ritenere che l'abuso de quo fosse fra quelli che incidevano sugli equilibri generali del mercato.
Nel caso di specie il Tribunale forniva una definizione dello stato di dipendenza economica, ritenendo che alla titolare degli esercizi non fossero state date “alternative soddisfacenti”. Al riguardo il giudice precisava che la valutazione dello stato di dipendenza economica andava fatta non solo alla luce di tale criterio, bensì anche utilizzando altri parametri, quali la durata
vasto rispetto a quello del consumatore, giacché il divieto di abuso di dipendenza economica colpisce anche quelle situazioni di sfruttamento di una posizione di monopolio che, per il fatto di non falsare il gioco della concorrenza in una parte rilevante del mercato nazionale, non costituiscono violazione della legge antitrust.
della relazione commerciale e la natura della prestazione, destinata a realizzare, nel breve termine, un interesse economico della ditta ricorrente. Sul punto, ci si limitava a ricordare che lo stato di dipendenza economica andava fondamentalmente valutato in base all’asset specificity, che caratterizzava gli investimenti effettuati dalla vittima dell'abuso e ai correlativi sunk costs, con la conseguenza che l'impresa dipendente sarebbe stata sempre impossibilitata a reperire alternative che, per definizione non sarebbero mai state soddisfacenti. Pertanto, se si condivideva che la dipendenza economica andava fondamentalmente rilevata alla luce della situazione di hold-up, poco importava che ulteriori elementi si facessero passare, o non, attraverso la formula della suddetta “reperibilità di alternative soddisfacenti”, perché tutti quelli che erano idonei a caratterizzare o a svelare la situazione di prigionia che si annidava fra le pieghe della relazione commerciale andavano in ogni caso tenuti in considerazione. Inoltre, in ordine alla sussistenza delle cennate alternative, il Tribunale affermava che “deve trattarsi non di una mera possibilità, astratta e ipotetica, ma di opportunità che in concreto il mercato offre per un risultato comunque utile per l'impresa” e che “il termine soddisfacente - sinonimo di esauriente - va riferito alla realizzazione dell'interesse dell'imprenditore, vanificato dall'abuso”110.
110 Anche qui pare utile tentare di chiarire il pensiero del giudice, per il (forse peregrino) caso che l'ultima delle affermazioni riportate non sia da intendere sostanzialmente quale sinonimo della prima: posto che la valutazione dello stato di dipendenza economica va effettuata sulla base degli switching costs che l'impresa sopporta o sopporterebbe per rivolgersi ad altri, non pare che il criterio in base al quale misurare la prigionia possa essere espresso in termini di
Infine, sempre con riferimento allo stato di dipendenza economica, si affermava che un altro degli elementi da considerare in sede del relativo accertamento era l'affidamento; non era revocato in dubbio che la sua protezione (anche o soprattutto in un'ottica giuseconomica) caratterizzava l'istituto di cui all'articolo 9, ma sembrava che lo stesso potesse essere utilmente ricondotto anche all'elemento dell'abuso. Infatti, appariva evidente che gli investimenti specifici venivano effettuati dalla parte dipendente in ragione dell'affidamento riposto sul comportamento corretto di controparte e, in particolare, nella prospettiva di dividere un surplus che poteva nascere solo da una relazione condotta con spirito autenticamene cooperativo.
Dunque, l'ordinanza sollevava una questione davvero cruciale: fino a che punto, in che termini e con quali tecniche era ammesso
equivalenza dei risultati conseguibili. Davvero si può arrivare ad affermare che un'impresa è permanentemente “a rischio di abuso” (se non si comporta con lo spirito del missionario) tutte le volte in cui la controparte non è in grado di ricreare at no cost lo status quo ante? Si può estendere così tanto lo spettro della dipendenza economica e, quindi, l'ambito applicativo dell'istituto? Certamente un'impresa non è in posizione di dipendenza economica se il costo della riconversione - id est del rivolgersi nuovamente al mercato - è pari a zero (cosa in verità improbabile), ma non può esser vero il reciproco: infatti, nessun rapporto commerciale è caratterizzato da investimenti zero ed è scevro da profili di dipendenza dalla controparte, così come in nessun mercato la ricerca e l'acquisizione di partner contrattuali avviene senza dover sopportare transaction costs di varia entità. Pertanto, anche se si intende il concetto di investimento in modo ampio e si riconduce lo stato di dipendenza alle difficoltà di reperire controparti sul mercato, non si può legare la dipendenza a costi di riconversione che non abbiano una qualche consistenza. Non a caso, infatti, lo squilibrio di diritti e di obblighi che un'impresa deve poter determinare affinché l'altra si trovi in posizione di dipendenza (a prescindere dal fatto che poi l'abuso sia, o non, consumato) è definito “eccessivo”. Quindi, ha ragione il giudice ad affermare che l'impresa deve poter conseguire un “risultato utile” al fine di valutare la presenza di alternative sul mercato (e se così è, ci si trova in una situazione ben lontana da quella del proprietario della rotativa imprigionato nel rapporto con l'editore e costretto ad operare in perdita); ma quelle alternative non devono necessariamente essere “esaurienti” se con ciò si intende usare il criterio dell'equivalenza dei risultati ottenibili, per poi dichiarare che tutto il resto è dipendenza economica. Per queste riflessioni, v. X. XXXXXXX, Non solo moda (ma anche rewriting contrattuale): commento alla prima decisione in materia di abuso di dipendenza economica, in Danno e Responsabilità, 2002, 7, 765.
il rewriting contrattuale in applicazione dell’articolo 9 della legge n. 192/1998?
Per rispondere a tale quesito occorreva innanzitutto dare una pronta risposta, ponendosi il problema del rimedio applicabile qualora vi fosse stato abuso dello stato di dipendenza economica testé tratteggiato. In proposito, il Tribunale rilevava che il danno cagionato alla parte in posizione di dipendenza non era completamente risarcibile per equivalente, sottolineando il “concreto pericolo che il diritto all'immagine della ricorrente sia compromesso dalla mancanza di un considerevole quantitativo di merce apprezzata dalla clientela e non disponibile per la vendita” e che “il discredito commerciale [...] va tutelato in via d'urgenza, attraverso specifiche misure, idonee ad evitare la perdita di credibilità sul mercato locale; reputazione che la ricorrente ha acquisito e consolidato nel tempo”. Tale assunto appariva condivisibile, sul presupposto che una lettura tradizionale degli abusi precontrattuali, e conseguentemente dei regimi ad essi applicabili, avrebbe potuto indurre a liquidare un danno certamente inadeguato perché passato sotto la scure dell'interesse negativo. In tale contesto, si inseriva la risposta al quesito posto poc’anzi, in quanto l’ordinanza diveniva rivoluzionaria: l'accoglimento delle richieste della ricorrente conduceva al passaggio “dall'illecito al contratto”. Nell’ambito del procedimento cautelare, infatti, non venivano adottate misure di tutela del credito derivante dall'illecito, ma si addiveniva ad una operazione di rewriting contrattuale.
Il Tribunale, infatti, pur non accogliendo la richiesta di inibizione della continuazione di comportamenti costituenti rifiuti immotivati di rinnovare impegni contrattuali con la ricorrente, dava risposta positiva alla richiesta di ordinare la consegna della merce commissionata con l’ordine del 14 ottobre 2001. La prima richiesta veniva respinta in base alla affermazione a tenore della quale “l'intervento giudiziale invocato costituirebbe non già un correttivo dell'autonomia privata ma un vero e proprio snaturamento dei principi che disciplinano la materia, assumendo addirittura connotati di contrarietà alla libertà di iniziativa economica”. Quindi, secondo la linea distintiva tracciata dal giudice, una cosa era “correggere” l'esercizio dell'autonomia privata, un'altra era snaturarne i principi, come certamente sarebbe avvenuto se ci si fosse sostituiti alle parti nel momento in cui le stesse dettavano la disciplina dei propri interessi. Del resto, obbligare la casa produttrice a rimanere vincolata alla detta relazione commerciale, non avrebbe avuto il significato di intervenire nel singolo rapporto in funzione equilibratrice bensì quello di alterare le regole dell'autonomia privata.
Al riguardo, appare lecito domandarsi se la norma in questione può essere sintomatica del rischio di ingerenza del giudice nell'economia dei rapporti intersoggettivi, e che in che misura deve valutarsi questo rischio, posto che la tutela del contraente debole impone l'impiego di strumenti correttivi dell'autonomia privata e che il fine protettivo giustifica il ricorso a soluzioni imperative, perdendo altrimenti la tutela stessa effettività. Nel prosieguo della
trattazione si cercherà di dare conto anche del ruolo del giudice come figura