DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
Cattedra di Diritto tributario
CONTRASTO ALL’EVASIONE DALLA RISCOSSIONE IVA: IL REVERSE CHARGE E LO SPLIT PAYMENT
RELATORE
Xxxxx.xx Prof.ssa Xxxxx Xxxxxxxx
CORRELATORE
Xxxxx.xx Prof.ssa Xxxxx Xxxxxxx
CANDIDATO
Xxxx Xxxxx Xxxx. 142563
ANNO ACCADEMICO 2019/2020
INDICE
INTRODUZIONE 8
CAPITOLO 1
Sezione I
L'imposta sul valore aggiunto
1. Natura ed evoluzione storica 10
1.1. L'IVA in Europa 10
1.2. L'IVA in Italia 13
1.3. Criticità 15
2. Il meccanismo applicativo 19
2.1. I presupposti 20
2.2. Base imponibile e aliquote 26
2.3. La neutralità: rivalsa e detrazione 28
2.4. Tipologie di diverse operazioni 30
3. La documentazione delle operazioni 32
4. La fase di liquidazione 36
Sezione II
Il fenomeno evasivo
1. Caratteristiche dell'evasione 38
1.1. L’evasione nella teoria economica 41
1.2. Il tax gap 42
1.3. I settori più a rischio 43
2. L’evasione dalla riscossione 45
2.1. I reati di omesso versamento e indebita compensazione 45
3. Misure per contrastare l’evasione 48
3.1. Le misure agevolative 48
3.2. La lettera di compliance e la comunicazione di irregolarità 49
3.3. La fatturazione elettronica 50
3.3.1. Segue: La fatturazione elettronica per contrastare l’evasione 50
3.4. Il meccanismo del cashback 51
3.5. Le misure cautelari 57
CAPITOLO 2
Il Reverse charge
1. L’inversione dell’onere tributario 63
2. Il reverse charge esterno 64
3. Il reverse charge interno 64
4. L’istituto 65
4.1. La normativa europea 65
4.2. L’inversione contabile in Italia 67
4.2.1. I settori interessati 69
4.2.1.1. Il settore dei rottami e degli altri materiali di recupero 69
4.2.1.2. Le cessioni di oro 71
4.2.1.3. Il settore edile 72
4.2.1.4. Il settore energetico 73
4.2.1.5. Le cessioni di fabbricati 74
4.2.1.6. Le cessioni di telefoni mobili e computer 76
4.2.1.7. Gli appalti 77
4.2.2. L’applicazione del reverse charge nella grande distribuzione: il diniego della Commissione Europea 79
4.2.3. I dubbi sull’estensione del reverse charge 80
4.2.4. …e gli innegabili vantaggi 85
5. La rilevanza del reverse charge quale strumento di prevenzione delle frodi fiscali
...................................................................................................................................... 86
5.1. Le frodi carosello 87
5.1.1. Il contrasto alle frodi carosello 90
5.1.2. L’operatore c.d. onesto 91
5.1.3. Frodi carosello e reverse charge 93
6. Reverse charge e fatturazione elettronica 95
7. Errori nell’applicazione dell’inversione contabile e relative sanzioni 95
7.1. I dubbi interpretativi connessi al comma 9-bis.3, art. 6, D.Lgs. n. 471/1997
................................................................................................................................... 99
7.2. La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea 101
7.2.1. Il caso Indexx Laboratoires Italia 102
7.2.1.1. Il caso Equoland 103
7.2.2. Il caso GST 105
7.2.3. Il caso Xxxxxx 106
7.3. La negazione del diritto alla detrazione 108
CAPITOLO 3
Lo Split Payment
1. L’istituto dello split payment nell’Unione Europea 111
2. L’introduzione dello split payment in Italia 113
2.1. La sentenza della Corte Costituzionale n. 145 del 2016 114
2.2. La manovra correttiva e i successivi interventi 116
2.4. L’autorizzazione dell’Unione Europea 119
2.5. Casi di esclusione 119
2.5.1. Casi di esclusione ex art. 17-ter del D.P.R. n. 633/1972 120
2.5.2. Altri casi di esclusione 121
2.5.3. Esclusione per applicazione del reverse charge 122
2.6. Le società fiduciarie 123
2.7. I consulenti tecnici d’ufficio 124
3. Rimborsi 125
4. La fatturazione 127
5. Il versamento all’Erario 128
6. Le note di variazione 129
7. La risoluzione n.79/E del 21 dicembre 2020 131
8. Le sanzioni 133
9. Split payment ed evasione 136
9.1. L’impatto dell’inversione contabile: i dati 138
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 140
BIBLIOGRAFIA 151
GIURISPRUDENZA 157
INTRODUZIONE
L’evasione dall’imposta sul valore aggiunto costituisce un problema estremamente rilevante sia per l’ordinamento nazionale che per l’Unione Europea, in quanto imposta armonizzata. La portata del fenomeno in commento risulta ancora più evidente se si considera che attualmente si stima una perdita di getto nell’Unione Europea di oltre 100 miliardi di euro determinata solo dall’evasione.
Inoltre, non si può non evidenziare come in tale contesto l’Italia sia prima in Europa per ammontare di Tax Gap dell’imposta per un valore pari a circa 33 miliardi di euro.
Il presente elaborato si sofferma su un aspetto specifico dell’evasione, ossia l’evasione dalla riscossione. Si tratta di ipotesi in cui non si ha un occultamento dell’imposta dovuta mediante dichiarazioni infedeli o fraudolette, ma una esatta dichiarazione IVA a cui, però, non segue il relativo versamento con conseguente perdita in termini di gettito per l’Erario.
Il primo capitolo è diviso in due sezioni. Una prima sezione è dedicata all’esame della normativa relativa all’imposta sul valore aggiunto dal momento della sua introduzione sino ad oggi. Dopo l’analisi delle caratteristiche essenziali del regime ordinario IVA, nella seconda sezione si considera il fenomeno evasivo provvedendo anche ad una breve trattazione circa le misure di contrasto previste dall’ordinamento attuale.
Nella parte centrale della trattazione si considera, invece, il meccanismo del reverse charge. Si tratta di un regime speciale che risulta essere uno dei meccanismi maggiormente efficaci in sede di lotta all’evasione IVA. Infatti, seppur non è possibile parlare di eliminazione del rischio di evasione, dato che il fenomeno in questione può dirsi in continua evoluzione, il reverse charge consente quantomeno di ridurre tale rischio attraverso l’assoluzione dell’imposta da parte del cessionario o committente, anziché dal cedente o prestatore dell’operazione rilevante.
In particolare, oltre a considerare le peculiarità di tale regime, si analizzano le ipotesi a cui lo stesso deve essere applicato rilevando le principali criticità. Si effettua anche
un’analisi di una specifica forma di evasione, ovvero la c.d. xxxxx xxxxxxxxx, la quale ha un peso significativo negli ammanchi di riscossione dell’imposta che vengono stimati ogni anno.
L’ultima parte dell’elaborato, infine, si focalizza su un altro fondamentale regime derogatorio rispetto a quello ordinario: lo split payment. Anche qui si ha un’eccezione rispetto al solito meccanismo di fatturazione e versamento, in quanto è direttamente il cessionario o committente a procedere al versamento all’Erario. Tuttavia si è in un ambito diverso rispetto alla precedente ipotesi di reverse charge, poiché la scissione dei pagamenti trova applicazione nei soli casi di operazioni poste in essere nei confronti della Pubblica Amministrazione e di grandi società, soggetti ritenuti più affidabile negli adempimenti IVA rispetto alla generalità dei cessionari e prestatori privati.
Anche in tale ultima parte si porrà l’attenzione sulle difficoltà che lo split payment ha determinato sia per i fornitori che per le Pubbliche Amministrazioni, nonché sull’impatto che tale regime ha avuto sull’evasione.
CAPITOLO 1
Sezione I
1. Natura ed evoluzione storica
L’imposta sul valore aggiunto (IVA) è un’imposta di matrice comunitaria, originariamente prevista con il fine di facilitare la creazione del Mercato Unico Europeo, ovvero comune agli Stati Membri, paragonabile ad un mercato nazionale, in modo da assicurare all'interno dello stesso una corretta e libera concorrenza, nonché la parità di condizioni tra i diversi operatori.
L’IVA si sostanzia in un'imposta generale sui consumi, la cui caratteristica principale è data dalla neutralità della tassazione negli scambi intermedi di beni e servizi. La sua particolare configurazione fa si che la stessa si atteggi quale imposta istantanea, in quanto si applica agli atti economici (cessioni di beni e prestazioni di servizi) compiuti dai soggetti passivi in tutte le fasi che si susseguono dalla produzione fino al consumo. È un’imposta armonizzata, che trova la sua origine e la sua fonte in direttive comunitarie; gli Stati membri devolvono una parte del gettito all’Unione Europea e dunque essa rappresenta una delle principali fonti di finanziamento del suo bilancio1.
1.1. L'IVA in Europa
Già il Trattato di Roma, firmato il 25 marzo 1957 e istitutivo della Comunità economica
1Cfr. XXXXXXX, L’imposta sul valore aggiunto. Torino: X. Xxxxxxxxxxxx, 2019. Capitolo VI, pag. 251.
europea prevedeva tra i vari obiettivi quello di armonizzare le legislazioni tributari circa la imposizione indiretta sulla cifra degli affari al fine di garantire la concorrenza leale all’interno del mercato unico europeo.
Il mezzo scelto dall'Unione Europea per la disciplina dell'IVA è principalmente quello della direttiva. Tale scelta deriva dal fatto che le direttive si caratterizzano per essere obbligatorie per gli Stati Membri circa il loro contenuto, ma allo stesso tempo lasciano allo Stato un certo margine di libertà in merito al relativo recepimento nell’ordinamento interno (a differenza dei regolamenti, che invece sono obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente applicabili) 2 . Le disposizioni così dettate dall'Unione Europea non prevalgono direttamente sulle norme interne dei diversi ordinamenti, ma si atteggiano quali parametri necessari per l'interpretazione della legge nazionale emanata di conseguenza.
Sin dalle prime due direttive in materia IVA3, il legislatore comunitario ha impostato la materia in modo da realizzare un'armonizzazione graduale, mediante la previsione di periodi transitori, che permettessero agli Stati di adattare l'ordinamento interno alle nuove esigenze comunitarie senza cambiamenti drastici e repentini4. In particolare, mentre la prima direttiva (n. 67/227) individuava gli obiettivi, nonché le principali caratteristiche dell’imposta in discorso, la seconda (n. 67/228) riguardava la struttura della stessa e le modalità di applicazione.
Gli elementi essenziali dell'IVA sono infatti delineati già nell'art 2 della prima direttiva in materia5: “ Il principio del sistema comune di imposta sul valore aggiunto consiste nell'applicare ai beni ed ai servizi un'imposta generale sul consumo esattamente
2 Sentenza del 22 luglio 1976, n.182, della Corte Costituzionale: “le direttive delle Comunità sono di regola emanate come strumenti di coordinamento ed armonizzazione della legislazione e dell'azione amministrativa degli Stati membri della CEE, a cui vengono indirizzate per il conseguimento di obiettivi comuni, che rimane peraltro affidato alla competenza di organi nazionali quanto alla forma e ai mezzi”.
3 Le direttive nn. 67/227 e 67/228.
4 Soprattutto se si considera che molti Paesi della Comunità avevano adottato un sistema di imposizione a cascata, diverso da quello preferito in ambito comunitario.
5 Direttiva 67/227/CEE.
proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, qualunque sia il numero di transazioni intervenute nel processo di produzione e distribuzione antecedente alla fase dell'imposizione”. Così l'imposta si calcola direttamente sul prezzo del bene o del servizio, “previa deduzione dell'ammontare di IVA che ha gravato direttamente sul costo dei diversi elementi costituti vi del prezzo”. Rilevano ai fini tributari non i singoli atti economici, ma il loro complesso in un dato periodo di tempo. Il sistema così delineato si rifaceva al modello della Taxe sur valeur adjotée francese.
L'imposta sul valore aggiunto si fonda sull’applicazione del principio di tassazione nel Paese di destinazione6; tale impostazione ha, però, carattere transitorio posto che sin dall’inizio l’Unione Europea si è posta come obiettivo quello di giungere, mediante una serie di fasi intermedie, a una graduale armonizzazione degli ordinamenti interni per pervenire all’applicazione generalizzata del principio di tassazione nel Paese di origine. Il primo periodo transitorio dell'IVA, così come definito dalle prime due direttive, si caratterizza per il fatto che gli Stati possono autonomamente sia stabilire le aliquote da applicare, che individuare il fatto generatore dell'imposta.
Con le direttive che si sono succedute l’Unione Europea ha invece inteso garantire la stabilità e la definitività del sistema, con l'obiettivo di eliminare la tassazione all'importazione e la detassazione all'esportazione, nonché con il fine di garantire la neutralità dell'imposta rispetto all'origine dei beni e dei servizi (nonostante la previsione di aliquote differenziate sulla base delle esigenze interne degli Stati).
Ancora nel 1977, l'emanazione della direttiva n. 388 7 , principalmente volta alla sostituzione della seconda direttiva attraverso la disciplina di numerosi aspetti di particolare rilievo, ha ridotto notevolmente la libertà riconosciuta agli Stati membri nel recepimento dei provvedimenti dell'UE. Essa, invero, ha dettato una serie di principi fondamentali dell'imposta, nonché varie regole di sua applicazione uniforme.
6 L’applicazione del principio di imposizione nel Paese di destinazione comporta la tassazione dei beni nello Stato in cui vengono acquistati e utilizzati, a differenza del principio di imposizione nel Paese di origine, che invece dà rilievo esclusivamente all’incremento di valore che si realizza nello Stato di importazione.
7 La c.d. “sesta direttiva”.
La stessa direttiva del 1977 è stata a sua volta modificata da direttive successive, finalizzate specialmente a superare diversi problemi di natura lessicale che emergevano dalla traduzione del testo effettuata da ciascuno Stato membro.
Particolarmente significativa nell'evoluzione del tributo, in quanto segna l'inizio del secondo periodo transitorio, è stata poi l'abolizione delle frontiere interne UE dal 1° gennaio 1993. Conseguentemente, a proposito della circolazione di beni e prestazioni di servizi tra i diversi Stati interni all'Unione (scambi intracomunitari), non si parla più di importazioni ed esportazioni e, non essendo più previsto il controllo fiscale alla frontiera, sono stati previsti degli adempimenti formali che consentono la registrazione dell'operazione e la liquidazione del tributo, così che siano comunque fornite le informazioni minime che consentono un adeguato controllo da parte dell'amministrazione finanziaria.
Tale procedimento è culminato nel 2006 con l'emanazione della direttiva 2006/112/CE che disciplina in maniera organica la materia, sulla base delle numerose disposizioni dettate in precedenza dall'Unione Europea. Il risultato è stato quindi un testo organico composto da 414 articoli entrato in vigore il 1° gennaio 2007, parzialmente modificato da singole direttive successive tra cui in particolare la direttiva n. 2008/8/CE, che ha introdotto nuove norme circa la territorialità dei servizi, e la direttiva n 2008/117/CE, principalmente volta a combattere la frode fiscale in relazione alle operazioni intracomunitarie.
1.2. L'IVA in Italia
In Italia, prima dell'introduzione dell'IVA la forma di imposizione indiretta sugli scambi d'affari era regolata dall'imposta generale sulle entrate (IGE), sostituita poi in applicazione di quanto disposto dalle Direttive sopra menzionate del 1967. È infatti già dall'articolo 1 della prima direttiva del 1967 che si rinviene l'obbligo per gli Stati membri di adeguarsi ad un sistema comune che si sostanzia “nell'applicare ai beni e ai servizi un'imposta generale sul consumo esattamente proporzionale al loro prezzo, qualunque
sia il numero di transazioni intervenute nel processo di produzione e di distribuzione antecedente alla fase dell'imposizione”.
Occorre specificare che, oltre l'IGE, il fenomeno IVA ha travolto un'ampia serie di tributi, richiedendo, quindi, interventi circa varie disposizioni dell'ordinamento tributario interno8, con la necessità di regolare anche i rapporti tra tali tributi e l'IVA stessa, così da evitare interferenze con quest'ultima.
L'IGE venne introdotta nel nostro ordinamento nel 1940 e si sostanziava in un'imposta istantanea plurifase a cascata che si applicava in relazione ad ogni atto del ciclo produttivo o distributivo del bene. Ogni passaggio economico veniva quindi tassato, determinando così un effetto distorsivo dato dall'alterazione del prezzo finale in ragione del il numero di passaggi compiuti in tale ciclo: il prezzo del prodotto al consumo era tanto maggiore quanto più erano stati i passaggi che aveva subito nel produttivo e redistributivo senza alcuna connessione con il diverso intrinseco valore incamerato dal bene.
Data l'impostazione del tributo, risultava comunque auspicabile una rivisitazione del sistema di tassazione se si considera che il meccanismo molto spesso portava gli operatori del processo produttivo ad occultare il compimento di alcune fasi così da poter collocare sul mercato beni a prezzi più appetibili e inferiori, anche se determinati in violazione della legge.
Con la legge delega 9 ottobre 1971, n. 825 volta a realizzare l’integrale riforma del sistema fiscale venivano così recepiti i principi previsti dalle direttive comunitarie e disposta l’introduzione dell’IVA. In attuazione della legge delega, il D.P.R. 633/1972 recava pertanto la disciplina dell'imposta sul valore aggiunto e che tutt'oggi ne contiene organicamente i tratti essenziali, seppur con le modifiche ed integrazioni necessarie.9 Va detto che in realtà il termine per l'introduzione dell'IVA, come specificato dagli
8 Ad esempio in relazione all'imposta di registro, di bollo, ai tributi catastali, ecc.
9 In particolare si sottolineano le modifiche intervenute a seguito della sesta direttiva, mentre la disciplina circa l'IVA intracomunitaria rimane ancora contenuta separatamente nel D.L. 331/1993.
organi comunitari, era inizialmente previsto al 1° gennaio 1970, ciò nonostante l'iter legislativo in Italia è stato iniziato solo dopo a tale scadenza. L'imposta, infatti, è entrata in vigore a far data dal 1° gennaio 1973.
L'IVA presenta una serie di caratteri peculiari: innanzitutto occorre specificare come, nonostante nella legge delega n. 825/1971 che ha dato vita al D.P.R. 633/1972 non si facciano specifici riferimenti alle disposizioni sovranazionali, si tratta di un'imposta dalla disciplina necessariamente vincolata a quanto stabilito a livello europeo, essendo la discrezionalità del legislatore nazionale fortemente limitata in tal senso; ne consegue che le norme europee, seppur non prevalgano su quelle nazionali in presenza di norme interne determinate e sufficientemente precise10, fungono in ogni caso da parametri fondamentali per l'interpretazione della disciplina nazionale e dunque si dovrà comunque avere riguardo a quanto stabilito in tali fonti.
Con il passare del tempo sono poi intervenute sulla disciplina nazionale dell’imposta, plasmandone e precisandone i principi qualificanti innumerevoli sentenze della Corte di Giustizia11. Non solo: numerose circolari, risoluzioni e risposte ad interpelli, emanate dall’Agenzia delle Entrate e dal Ministro delle Finanze hanno specificato in xxx xxxxxxxxxxxxxx xx xxxxxxx xxxxx xxxxx dettate in tema IVA. Come noto, infine, tali ultimi provvedimenti non hanno effetti vincolanti né per il contribuente, né per il giudice tributario12.
1.3. Criticità
Data la particolarità del tributo in discussione, pare opportuno, seppure sinteticamente,
10 Come stabilito dalla più recente giurisprudenza della Xxxxx xx Xxxxxxxxx x xxxxx Xxxxx Xxxxxxxxxxxxxx
00 In particolare la Corte è intervenuta stabilendo che la neutralità costituisce tratto fondamentale del tributo, vedi causa C-89/81 Honk Hong Trade, causa C-331/94 Commissione vs. Grecia, cause riunite C-95/07 e C-96/07 Ecotrade, causa C-424/12 Fatoria.
12 Corte di Cassazione, sentenze nn. 20302/2013 e 20526/2013, secondo le quali la circolare ha funzione meramente ricognitiva della materia e non può derogare a norme statali e comunitarie, poiché non si tratta di fonti del diritto ma di “semplici presupposti chiarificatori della posizione espressa dall’Amministrazione su un dato oggetto”.
richiamare alcune delle principali problematiche di legittimità costituzionale.
La questione principale posta all’attenzione della Corte Costituzionale ha riguardato la nozione di capacità contributiva correlata all’IVA. Il tributo in discorso ha sviluppato notevoli criticità in merito all’individuazione del presupposto, così si sono formate in materia diverse teorie raggruppabili in due correnti di pensiero opposte: l’approccio sostanzialistico e l’approccio giuridico-formale. Secondo i sostenitori della prima teoria, la capacità contributiva colpita dall’IVA è quella che si manifesta in capo al consumatore finale e, dunque, il presupposto della stessa risulta coincidere con l’immissione in consumo. La seconda corrente di pensiero sostiene, invece, che la capacità contributiva rilevante è quella individuabile in capo al soggetto passivo, in quanto contribuente di diritto. In tale caso quindi rileva quale presupposto il fatto di porre in essere operazioni economiche. La prima corrente di pensiero fonda il proprio ragionamento su due caratteri fondamentali del tributo: rivalsa e detrazione. Infatti, l’IVA è versata al cedente, ma allo stesso tempo è addebitata in rivalsa al cessionario al quale spetta il diritto di detrazione. Se, quindi, il presupposto dell’imposta dipende dall’acquisizione definitiva da parte dell’erario, non si può dire che lo stesso si verifica in capo al soggetto passivo di diritto. I meccanismi della rivalsa e della detrazione, determinando la neutralità dei passaggi intermedi nel meccanismo, fanno sì che il presupposto si verifichi sui contribuenti di fatto e quindi sui consumatori finali. A sostegno del secondo approccio, invece, occorre sottolineare che lo stesso Decreto IVA identifica quali soggetti obbligati coloro che effettuano le operazioni imponibili.13
Data la particolarità del meccanismo, la Corte Costituzionale è stata investita della questione. La stessa ha dapprima confermato la legittimità del tributo, ma ha anche evidenziato che l’effettivo debitore dell’imposta – nonché soggetto rilevante da assumere a riferimento ai fini della capacità contributiva – è in realtà il venditore,
13 XXXXXX, “Imposta sul valore aggiunto”, Diritto online. 2016 xxxxx://xxx.xxxxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxx/xxxxxxx-xxx-xxxxxx-xxxxxxxx_(Xxxxxxx-xx-xxxx)/
nonostante il venditore si rivalga poi effettivamente sull’acquirente del bene o servizio14. Altra questione rilevante, essendo l'IVA un’imposta di derivazione comunitaria, è quella concernente il possibile contrasto tra normativa interna e sovranazionale; poiché risulta comunque necessario che le previsioni dell'ordinamento interno risultino conformi alle direttive comunitarie, non si ritiene infatti possano essere poste questioni di legittimità dell'IVA laddove esse riguardino aspetti perfettamente legittimi alla luce dell'ordinamento comunitario. Ciò perché la Corte di Giustizia ha costantemente ribadito il primato del diritto comunitario su quello interno contrastante, a prescindere dal momento di entrata in vigore o dal rango dello stesso, dato il trasferimento di sovranità a cui gli Stati hanno acconsentito aderendo all’Unione Europea. Il giudice nazionale, in caso di contrasto tra norme, dovrà semplicemente considerare la norma comunitaria disapplicando quella nazionale.
Unica deroga alla c.d. prevalenza del diritto europeo può rinvenirsi nell’ipotesi in cui quest’ultimo contrasti con una norma che sia non solo di rango costituzionale, ma che costituisca principio fondamentale dell’ordinamento. Al riguardo, merita di essere richiamata la c.d. “vicenda Taricco”15.
14 Sentenza n. 25/1984 della Corte Costituzionale: “È infondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 2751 bis n.2, 2758 e 2778 n. 7 c.c. in relazione all'art. 53 cost., in quanto la capacità contributiva va determinata in relazione al titolare dell'obbligazione tributaria, che, nel caso di Xxx, non è il committente o il consumatore finale ma chi presta il servizio o cede il bene.”... “L'effettivo debitore dell'I.V.A. è il soggetto che ha effettuato la cessione del bene o la prestazione del servizio, ai sensi dell'art. 17 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633; pertanto, è infondata la questione di costituzionalità degli art. 2751 bis n. 2 2758 e 2778
n. 7 c.c. sollevata con riferimento all'art. 53 cost., nell'errato presupposto che debitore dell'I.V.A. sia il committente o il consumatore finale e che la capacità contributiva debba riscontrarsi nei riguardi dei detti soggetti”.
15 La vicenda nasce nel 2014 quando al Tribunale di Cuneo viene sottoposto un caso in cui si attribuiscono ad alcuni soggetti una serie di reati fiscali in materia IVA, con la consapevolezza però che il processo molto probabilmente non potrà che concludersi con la dichiarazione di estinzione del reato dati i brevi termini di prescrizione. Il GUP del Tribunale di Cuneo promuove una rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE affinché la stessa verifichi la conformità della disciplina in materia di prescrizione del reato con alcune norme dei trattati UE.
L’avvocato generale della Corte di Giustizia, però propone un diverso inquadramento della questione, ovvero sulla base di articoli dei trattati diversi da quelli esplicitamente indicati dal GUP di Cuneo e in particolare suggerisce di prendere in considerazione l’art. 325 TFUE.
In particolare, la questione sottoposta all’attenzione della Corte Costituzionale ha riguardato la paventata incompatibilità con la normativa sovraordinata che impone un efficace contrasto anche in chiave penale alle frodi IVA della normativa italiana in tema di prescrizione dei reati. In tale occasione la Corte Costituzionale, a seguito di una serrata dialettica instaurata con la Corte di Giustizia dell’UE ha fatto propria la c.d.
La Corte si pronuncia con sentenza nel 2015, accogliendo i suggerimenti dell’avvocato generale e dunque dichiara che “Una normativa nazionale in materia di prescrizione del reato… è idonea a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE nell’ipotesi in cui detta normativa nazionale impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea… Il giudice nazionale è tenuto a dare piena efficacia all’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE disapplicando, all’occorrenza, le disposizioni nazionali che abbiano per effetto di impedire allo Stato membro interessato di rispettare gli obblighi impostigli dall’articolo”.
La Corte di cassazione e la Corte di appello di Milano hanno ritenuto, però, che la questione oggetto della vicenda Xxxxxxx riguardasse i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale, motivo per cui hanno promosso l’incidente di legittimità Costituzionale. A questo punto la Corte Costituzionale prospetta la possibilità di azionare i contro-limiti sulla base della violazione del principio di legalità in materia penale al quale è soggetta anche la disciplina della prescrizione, in quanto istituto di diritto penale sostanziale. La Corte di giustizia, il 5 dicembre 2017, nella causa C-42/17, riprende il contenuto della sentenza Xxxxxxx, ma osserva che sino all’adozione della direttiva (UE) 2017/1371 il regime della prescrizione applicabile ai reati in materia di IVA non era oggetto di armonizzazione, dunque la Repubblica italiana era libera, «a tale data», di assoggettare il regime della prescrizione al principio di legalità. Continua poi che il giudice italiano deve effettuare un giudizio circa l’incertezza derivante da quanto stabilito dalla CGUE, che se fosse rilevata, “contrasterebbe con il principio della determinatezza della legge applicabile”, con la conseguenza che “il giudice nazionale non sarebbe tenuto a disapplicare le disposizioni del codice penale in questione. Fermo restando che comunque per la Corte di Giustizia, precisa che la regola Taricco sarebbe applicabile solo in relazione a fatti commessi successivamente alla stessa per evitare che si possa essere “assoggettati ad un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato”( viene così scongiurato ogni possibile contrasto con il principio di irretroattività della legge penale).In relazione alla regola Taricco, essa apparve indeterminata nella sua formulazione, specie in relazione alla definizione del “numero considerevole di casi” in cui la stessa può operare, posto che non sono stati indicati dall’UE dei criteri così da ottenere una regola sufficientemente definita. Problemi di determinatezza poi risultano anche dall’art 325 TFUE, dato che “il suo testo non permette di prospettare la vigenza della regola Taricco”. Posto ciò la Corte Costituzionale da ultimo, con la sentenza del 10/04/2018 n. 115, ha affermato l’inapplicabilità della regola Taricco e dunque la non fondatezza di tutte le questioni sollevate per la vigenza del principio di legalità in materia penale.
“teoria dei contro-limiti”16 con la quale è stato sostanzialmente ribadito che non possono essere ammesse e tollerate ingerenze dell’ordinamento europeo tali da inficiare i principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale dei singoli Stati membri .
2. Il meccanismo applicativo
L'IVA si sostanzia in un'imposta sui consumi di carattere generale (con qualche eccezione), di tipo proporzionale. L'imposta è quindi trasparente, in quanto non rileva il numero di passaggi intermedi effettuati sul bene o servizio (a differenza di quanto avviene in relazione alle imposte sui consumi a cascata) e neutrale per i soggetti che intervengono nel ciclo di produzione o distribuzione del bene, gravando esclusivamente sul consumatore finale. Nonostante quindi il fatto economico tassato sia il consumo del bene, l'Erario riscuote comunque l’imposta in modo anticipato.
Generalmente il calcolo dell'imposta dovuta viene comunque fatto “per masse” e cioè non operazione per operazione, ma sul complesso di operazioni attive e passive effettuate in un dato arco temporale17 .
Le operazioni rilevanti ai fini della disciplina IVA sono delineate dall’articolo 1 del
D.P.R. 633/1972 - rubricato “operazioni imponibili”, alla cui stregua: “L’imposta sul valore aggiunto si applica sulle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi effettuate nell’esercizio di imprese e sulle prestazioni di servizi a imprese effettuate nell’esercizio di arti e professioni. L’imposta si applica, inoltre, secondo le disposizioni del titolo quinto, sulle importazioni da chiunque effettuate”. Occorre, quindi, innanzitutto individuare quali sono gli elementi che rendono un’operazione rilevante ai fini dell’applicazione del tributo.
16 Cfr. AA.VV. (a cura di XXXXXXXXXX), Il libro dell’anno del diritto, 2019, Enciclopedia Treccani, pagine 270-273.
17 Si tratta in genere di cadenza mensili o trimestrali, il che permette anche la detrazione dell'IVA in relazione ad esempio a beni non ancora venduti.
2.1. I presupposti
I requisiti richiesti dalla legge si distinguono in tre diverse tipologie: oggettivi, soggettivi e territoriali. Ai fini dell’applicazione dell’IVA è necessario che essi sussistano tutti nello stesso momento, poiché se manca anche solo uno di essi l’operazione è esclusa dal campo di applicazione dell’imposta.
In merito al requisito oggettivo, occorre che l’operazione in questione si sostanzi in una cessione di beni o in una prestazione di servizi. La distinzione tra questi due tipi di operazioni è molto importante, perché il fatto che si tratti di una o dell’altra comporta una diversità di regole applicabili.
Le cessioni di beni sono disciplinate dall’articolo 2 del D.P.R. n. 633/1972, il quale innanzitutto prevede una definizione generale al comma 118 e indica poi rispettivamente ai commi 2 e 3 una serie di fattispecie che rientrano per presunzione assoluta nella definizione generale ed altre fattispecie che invece ne sono parimenti escluse tout court La scelta poi del concetto di cessione, anziché alienazione, risiede nel fatto che l’alienazione presuppone sempre la volontarietà dell’atto, mentre la cessione comprende anche ipotesi di trasferimenti a carattere coattivo, come nel caso di intervento della Pubblica Amministrazione.
La clausola generale prevista dal primo comma stabilisce come indispensabile il carattere dell’onerosità della cessione; a tal proposito la Corte di Giustizia ha però specificato che il concetto di “atti a titolo oneroso”, così come richiesto dal legislatore nazionale in tema di cessioni di beni, non è sufficiente, essendo invece necessaria la
18 Il primo comma recita: “Costituiscono cessioni di beni gli atti a titolo oneroso che importano trasferimento della proprietà ovvero costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento su beni di ogni genere.”
previsione di un corrispettivo19. Tuttavia, secondo autorevole dottrina 20, sembra poter affermare che in realtà nel sistema dell’IVA delle cessioni di beni l’elemento determinante non è dato dal carattere corrispettivo o meno dell’operazione, ma l’intento pratico dei soggetti che intervengono nell’operazione stessa. A sostegno di tale visione basta considerare l’ipotesi della cessione di beni a titolo di sconto: in questo caso, pur essendo in presenza di un’operazione qualificabile come onerosa, la cessione non è soggetta all’imposta ex art. 15, co. 1 n. 2) del D.P.R. 633/1972.21 Ciononostante, occorre sottolineare che, ragionando in tal senso, si rischia di rendere qualsiasi cessione di beni astrattamente rilevante ai fini IVA.
Il secondo comma, invece, considera fattispecie che in realtà non rientrerebbero nella definizione generale; da qui discende la necessità di un’elencazione tassativa da parte del legislatore.
Si segnalano in particolare le ipotesi di vendita con riserva di proprietà, considerata dal legislatore per il fatto che non è rilevante ai fini dell’imposta l’effetto della sospensione civilistica del trasferimento della proprietà a garanzia del pagamento integrale del prezzo, e – sulla base di considerazioni equivalenti – l’ipotesi di locazione con patto reciproco di futura vendita. La cessione gratuita viene, invece, inclusa in ragione del fatto che il bene considerato sia oggetto dell’attività propria d’impresa o, negli altri casi, in ragione del valore del bene stesso.
Il comma 3, infine, contiene specifiche ipotesi distrattive per le quali non sussiste il presupposto oggettivo dato che non si considerano cessioni di beni. A titolo
19 Corte di Giustizia, C-16/93: si configura una fattispecie soggetta ad IVA “soltanto quando tra il prestatore e l’utente intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni, nel quale il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato dall’utente.”. E infatti a livello civilistico i concetti di onerosità e di previsione di un corrispettivo non coincidono, poiché il primo presuppone semplicemente che si tratti di un’operazione per cui è previsto semplicemente un onere, mentre il corrispettivo si sostanzia sempre in un onere, ma che deve essere proporzionato al valore del bene ceduto.
20 Cfr CIPPITANI, Onerosità e corrispettività: dal diritto nazionale al diritto comunitario. Milano: Xxxxxxx Editore, 2009. Pag. 503-556.
21Cfr. AA. VV. (a cura di FICARI, MASTROIACOVO). Corrispettività. onerosità e gratuità. Torino, 2014, p. 298-300.
esemplificativo, si tratta di fattispecie particolari come le cessioni di campioni gratuiti di modico valore (esclusi perché si ritiene che il loro costo rientri nel prezzo dei beni venduti), o ancora le cessioni di denaro e di crediti in denaro (esclusi per ragioni di opportunità).
La seconda tipologia di operazioni tassabili è data dalle prestazioni di servizi, categoria residuale rispetto alla cessione di beni, definita dall’articolo 3 del D.P.R. n. 633/197222. Tale articolo prevede innanzitutto un’elencazione di fattispecie tipiche e si conclude con una formula di chiusura da cui si desume la natura non tassativa dell’elencazione precedente. 23 Si noti che il legislatore non definisce in maniera puntuale la natura dell’atto della prestazione di servizi, come invece è stato fatto per le cessioni, ma si limita a considerare una serie di ipotesi. Il secondo comma, invero, amplia la definizione data dal primo ed è particolarmente importante in quanto offre chiarimenti circa alcune ipotesi ibride che, altrimenti, potrebbero considerarsi tanto prestazioni di servizi quanto cessioni di beni, come ad esempio le concessioni di beni in locazione, affitto o noleggio ovvero le concessioni e licenze di diritti d’autore e simili.
Peculiare, ancora, è la previsione delle fattispecie di somministrazioni di alimenti e bevande in tale categoria, la quale è giustificata dal fatto che, nonostante vi sia tanto la presenza di un facere quanto di un dare, la componente del facere risulta prevalente.24 Ancora, i commi 3 e 4 menzionano una serie di deroghe rispettivamente attrattive e distrattive a quanto previsto dal primo e secondo comma dell’articolo 4. Il comma 3 merita una considerazione specifica, poiché regola il caso della prestazione di servizi non onerosa, la quale è comunque significativa e dunque va considerata ai fini IVA quando il valore della stessa supera una certa soglia e per la sua esecuzione vengano usati beni o servizi per cui è stata detratta la relativa imposta; rimane, tuttavia, escluso
22 Dalla norma interna, ma più evidentemente da quella comunitaria si percepisce come la categoria della prestazione di servizi sia in realtà una categoria residuale rispetto alle cessioni. 23 Art. 3 comma 1: “Costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d'opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”. 24 Cfr. XXXXXXX, Manuale dell’IVA Europea. Trento: IPSOA, 2008. Capitolo II, pag. 206.
in ogni caso l’autoconsumo interno di servizi, ovvero la destinazione gratuita di un servizio per finalità interne all’impresa.
Esaurita la trattazione sul requisito oggettivo, è necessario considerare quello soggettivo: il presupposto soggettivo si ritrae dallo stesso articolo 1, il quale dispone che le operazioni rilevanti sono quelle compiute nell’esercizio dell’attività d’impresa o di arti e professioni.
Il concetto di esercizio d’impresa è disciplinato dall’articolo 4 e ha subito nel tempo un graduale ampliamento; attualmente è qualificato come “l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività commerciali o agricole di cui agli articoli 2135 e 2195 del codice civile, anche se non organizzate in forma di impresa, nonché l'esercizio di attività, organizzate in forma d'impresa, dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell'articolo 2195 del codice civile”; tale definizione generale finisce con l’avere una rilevanza residuale, dato che viene in considerazione solo in relazione ad operazioni poste in essere da soggetti diversi da quelli indicati dal secondo comma, i quali infatti si considerano in ogni caso soggetti che agiscono nell’esercizio d’impresa. Va sottolineato che l’esercizio d’impresa, come delineato dall’articolo 4, richiede innanzitutto l’abitualità dell’attività (nel senso di non occasionalità), ma richiede anche che la stessa possa essere ricondotta a quanto disposto dagli articoli 2195 e 2135 del codice civile25.
L’articolo continua specificando numerose attività che si ritiene siano comunque poste in essere nell’esercizio di attività d’impresa, nonché fattispecie che invece non vi rientrano in alcun caso. La nozione si compone di un criterio di natura oggettiva, dato dall’indicazione dei due articoli del codice civile e di un criterio di natura soggettiva, che considera la forma giuridica (fatta salva la deroga per le c.d. società di comodo) ai fini dell’affermazione di una presunzione di commercialità.
L’articolo 5, che ha ad oggetto la definizione del concetto di “esercizio di arti e
25 Va sottolineato che qui non risulta rilevante, poiché non richiesta, l’esistenza di un’organizzazione in forma d’impresa a differenza di quanto richiesto normalmente in campo civilistico.
professioni”, ha invece portata residuale, poiché ad esso si farà ricorso nel caso in cui la fattispecie non presenti gli aspetti richiesti dall’articolo 4, purché vi sia comunque il requisito dell’abitualità e non ricorra un vincolo di subordinazione nell’espletamento dell’attività. In particolare, in merito alla soggettività passiva ai fini IVA dei soggetti titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, i compensi derivanti da prestazioni di questa tipologia rilevano solo quando gli stessi soggetti svolgono per professione abituale anche altra attività di lavoro autonomo; viene così riconosciuta una particolare forza attrattiva all’esercizio di una qualsiasi attività di lavoro autonomo. Va poi osservato che laddove l’esercizio di attività professionali venga ad assumere connotati organizzativi tali da perdere totalmente caratteri di riferibilità soggettiva personale, così che l’esercizio della professione è solo uno degli elementi della più ampia organizzazione imprenditoriale, si ricade comunque nell’esercizio dell’attività d’impresa commerciale con ciò che ne consegue ai fini della disciplina IVA26.
Sia il profilo oggettivo, che quello soggettivo vanno, comunque, considerarti alla stregua del momento in cui l’operazione si considera compiuta e dà effettivamente vita al connesso obbligo tributario. In merito alle cessioni di beni, il criterio ordinario di riferimento individuato dal primo comma dell’articolo 6 è dato dal momento in cui si ha la consegna del bene, mentre per le prestazioni di servizi ex comma 3, invece, rileva il momento in cui viene effettuato il pagamento.27 Vi sono, ancora, una serie di canoni sussidiari che si atteggiano diversamente a seconda che siano anticipativi o posticipativi del momento impositivo. Il momento di effettuazione dell’operazione rileva in quanto coincide, non senza eccezioni, con il momento in cui l’imposta diviene esigibile.
L’ultimo presupposto da considerare è quello territoriale, poiché – come richiesto dall’articolo 1 del D.P.R. 633/1972 – si vuole che le operazioni rilevanti siano effettuate
26 Cfr. XXXXXXXX, RANDAZZO, Il lavoro autonomo ai fini dell’iva e del reddito. Milano: Il Sole 24 Ore Pirola, 1992, p. 21.
27 Diversamente, la norma comunitaria considera quale momento rilevante quello dell’esecuzione della prestazione, nonché della sua ultimazione. La diversità di trattamento prevista dal legislatore nazionale è comunque giustificata dalla Direttiva 2006/112/CE che ammette la possibilità di considerare come requisito temporale il momento del pagamento del corrispettivo.
nel territorio dello Stato 28 . Per determinare se il presupposto della territorialità è soddisfatto occorre innanzitutto stabilire cosa si intende per territorio: la direttiva 2006/112/CE individua due livelli territoriali, distinguendo tra quello nazionale e quello comunitario. La dottrina è in linea di massima orientata verso una tendenziale coincidenza tra confini doganali e confini fiscali, la quale però non trova riscontro a livello normativo. Il mancato riconoscimento normativo di tale coincidenza è attribuibile al fine di evitare che ciò possa in qualche modo portare alla mancata tassazione dell’operazione o alla duplice tassazione della stessa.
Il criterio della territorialità si atteggia in maniera diversa a seconda che l’operazione si sostanzi in una cessione di beni o in una prestazione di servizi.
In linea di massima, per quanto riguarda le prime, quando la cessione ha ad oggetto beni immobili, si applica il criterio generale del luogo in cui si trova il bene oggetto della cessione. Nel caso in cui quest’ultimo sia collocato nel territorio dello Stato, la cessione è da considerarsi inclusa nelle operazioni imponibili29. Diversamente, nel caso in cui oggetto dell’operazione sia un bene mobile, la norma individua due diversi elementi: il primo guarda alla nazionalità del bene, il secondo richiede l’esistenza fisica del bene nel territorio dello Stato.
In relazione alle prestazioni di servizi, la disciplina risulta, invece, meno semplice rispetto a quella delle cessioni. La territorialità in questi casi si determina alternativamente in ragione dello Stato membro del prestatore ovvero del committente (c.d. regola generale della residenza fiscale). Oltre la regola generale vi sono poi altri parametri alternativi dati dal luogo di esecuzione, dal luogo di utilizzo nonché dallo status del committente30.
Occorre precisare che secondo l’articolo 17 “l'imposta è dovuta dai soggetti che
28 Ove per territorio dello Stato si intende “il territorio della Repubblica italiana, con esclusione dei comuni di Livigno e Campione d'Italia e delle acque italiane del Lago di Lugano” ex art. 7 comma 1 del D.P.R. 633/1972.
29 Art. 7-bis del D.P.R. 633/1972.
30 Tali criteri alternativi sono applicabili ad esempio nelle ipotesi di locazione di beni, di prestazioni pubblicitarie, di consulenza e assistenza legale, ecc…
effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi imponibili, i quali devono versarla all'Erario, cumulativamente per tutte le operazioni effettuate”. Escludendo ipotesi particolari 31 , la regola generale vuole che l’imposta sia dovuta e versata (cumulativamente per tutte le operazioni effettuate) da coloro che pongono in essere l’operazione imponibile. Quando, però, gli obblighi o i diritti derivanti dal meccanismo IVA ricadono su soggetti non residenti o senza stabile organizzazione 32 in Italia è necessario che questi alternativamente richiedano una partita IVA italiana o nominino un rappresentante fiscale residente in Italia33.
2.2. Base imponibile e aliquote
Una volta determinato che l’operazione sia rilevante, occorre stabilire l’ammontare di imposta dovuto all’erario. Tale ammontare si calcola in funzione della base imponibile dell’operazione.
L’articolo 13 del D.P.R. n. 633/1972 tratta della determinazione della base imponibile, la quale è generalmente formata dai corrispettivi dovuti dall’acquirente al cedente o prestatore come pattuiti dal contratto tra loro stipulato. Il prezzo rilevante è quindi quello risultante dall’incontro della volontà delle parti, la cui congruità non può in linea di principio essere contestata dall’amministrazione fiscale.
La Corte di Giustizia ha ribadito in più occasioni che la componente rilevanti ai fini
31 Come nel caso dell’istituto c.d. Reverse Charge.
32 Ai sensi dell’art. 11 del Reg. UE n. 282/2011, per stabile organizzazione si intende “qualsiasi organizzazione, diversa dalla sede dell’attività economica… caratterizzata da un grado sufficiente di permanenza e una struttura idonea in termini di mezzi umani e tecnici atti a consentirle di ricevere e di utilizzare i servizi che le sono forniti per le esigenze proprie di tale organizzazione e a consentirle di fornire servizi di cui si assicura la prestazione”.
33 Il rappresentante fiscale si occuperà di porre in essere tutte le operazioni che comportano l’obbligo di registrazione ai fini IVA in Italia per il soggetto non residente o privo di stabile organizzazione in Italia. La nomina del rappresentante è obbligatoria se il soggetto in questione effettui operazioni territorialmente rilevanti nel territorio dello Stato nei confronti di consumatori privati o altri soggetti non stabiliti in Italia.
Occorre, comunque, specificare che la nomina di un rappresentante, non muta la qualificazione di tale soggetto come non residente o privo di stabile organizzazione in Italia.
della base imponibile è il prezzo effettivamente ricevuto dal soggetto passivo. In altre parole, si tratta di un prezzo soggettivamente considerato e non determinato sulla base di criteri oggettivi. Tuttavia, gli uffici possono rettificare il prezzo risultante dal contratto in presenza di elementi da cui appare evidente che il corrispettivo fissato è meramente simulato dalle parti.
All’importo così determinato si devono poi sommare “gli oneri e le spese inerenti all’esecuzione e i debiti o altri oneri verso terzi accollati al cessionario o al committente, aumentato delle integrazioni direttamente connesse con i corrispettivi dovuti da altri soggetti”34 .
Non concorrono, invece, alla formazione della base imponibile tutte le componenti che non hanno natura di corrispettivo, indicate all’art. 15.
Quando il corrispettivo non è dato da una somma di denaro, si tiene presente il valore normale35 della controprestazione offerta. In realtà ciò vale solo per quanto riguarda le ipotesi di permuta, di operazioni tra parti correlate o per le cessioni a titolo di sconto, premio o abbuono, nonché in caso di separazione delle attività; negli altri casi occorre tenere come riferimento il prezzo di acquisto o di costo dei beni o di beni simili al momento dell’effettuazione dell’operazione, ovvero le spese sostenute dal soggetto passivo per l’esecuzione del servizio medesimo.
Una volta determinata così la base imponibile dell’operazione, per determinare l’importo di IVA da versare all’Erario occorre applicare l’aliquota d’imposta
La normativa comunitaria non impone delle aliquote fisse agli Stati, ma stabilisce comunque che debba essere applicata un’aliquota normale non inferiore al 15% affiancata da una o due aliquote ridotte per specifiche categorie di beni e servizi. Per quanto riguarda le aliquote italiane, quella normale è fissata in via generale dal primo
34 Art. 13 comma 1 del D.P.R. n. 633/1972.
35 Per valore normale si intende quanto indicato nell’art 72 della Direttiva n. 2006/112/CE , ovvero “l’intero importo che l’acquirente o il destinatario, al medesimo stadio di commercializzazione di quello in cui avviene la cessione di beni o la prestazione di servizi, dovrebbe pagare, in condizioni di libera concorrenza, ad un cedente o prestatore indipendente nel territorio dello Stato membro in cui l’operazione è imponibile per ottenere i beni o servizi in questione al momento di tale cessione o prestazione”.
comma dell’articolo 16 al 22% della base imponibile dell’operazione. Tuttavia, il secondo comma prevede le aliquote ridotte del 4%, 5% e 10% riservate a beni di largo consumo e a servizi di prima necessità36 indicati dalla Tabella A allegata al D.P.R. n. 633/1972.
2.3. La neutralità: rivalsa e detrazione
L’IVA è un’imposta neutrale in quanto essa colpisce il maggior valore che il bene o il servizio incamera in ciascuna fase del ciclo produttivo e distributivo, a prescindere dal numero di passaggi intervenuti, finendo poi per essere definitivamente incamerata dell’erario all’atto del passaggio del bene o servizio al consumo finale con sua incidenza economica sul consumatore
Tale caratteristica dell’imposta è dovuta a due particolari istituti: la rivalsa e la detrazione.
La rivalsa si sostanzia nell’obbligo37, previsto dall’articolo 18 del D.P.R. n. 633/1972, per ogni soggetto passivo IVA di “addebitare la relativa imposta, a titolo di rivalsa, al cessionario o al committente”. Essa permette la traslazione della prestazione tributaria “a valle” ad un operatore successivo. Nonostante sia un istituto fondamentale della materia, non risulta però disciplinata dalla normativa comunitaria, se non indirettamente.
La rivalsa è obbligatoria per tutte le operazioni imponibili (tranne che per le ipotesi di cessioni o prestazioni gratuite), di conseguenza è nullo ogni patto contrario in deroga. L’importanza dell’istituto è ancora rafforzata dal fatto che il credito che ne deriva è assistito da un privilegio speciale sugli immobili oggetto della cessione a cui si riferisce il servizio, ovvero da un privilegio generale sui mobili.
La detrazione invece è il diritto del soggetto passivo IVA di detrarre “l’ammontare
36 Si tratta di beni e servizi di ampio consumo relativi a bisogni primari di una persona (come alimenti o prodotti per la protezione dell’igiene femminile), situazione che, dunque, giustifica l’applicazione di aliquote inferiori.
37 Ogni patto contrario è, infatti, nullo.
dell'imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell'imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell'esercizio dell'impresa, arte o professione”38. La detrazione spetta all’operatore solo nel caso in cui i beni o servizi acquistati siano impiegati per realizzare nuove operazioni imponibili o non imponibili, essendo quindi negata per le operazioni esenti ed escluse39.
Vi sono poi una serie di fattispecie espressamente disciplinate dall’articolo 19-bis per le quali la detrazione non è ammessa o è comunque ridotta in ragione di un criterio oggettivo. Si tratta di ipotesi in cui prevale l’aspetto personale dell’utilizzo del bene, piuttosto che la riconducibilità dello stesso ad esigenze relative all’attività d’impresa. Il meccanismo descritto permette di neutralizzare l’incidenza dell’IVA sui soggetti passivi diversi dal consumatore finale. La rivalsa, infatti, permette al venditore di far ricadere l’onere tributario sull’acquirente, in quanto lo obbliga ad applicare il tributo sulle proprie fatture e comunque della stessa si tiene in considerazione ai fini della liquidazione IVA periodica40. Il soggetto realmente gravato dall’imposta sul valore aggiunto è esclusivamente il consumatore finale a cui non è riconosciuto alcun diritto di detrazione41, nonostante egli non abbia effettivamente alcun rapporto con l’Erario, dato che l’imposta viene prelevata direttamente dal prezzo da lui pagato ma corrisposta dal xxxxx causa (che è obbligato al versamento perché legislativamente unico soggetto passivo del tributo).
Secondo la giurisprudenza il credito che deriva dalla rivalsa nulla ha a che vedere con il rapporto pubblicistico di natura tributaria, instaurando – invece – un rapporto avente natura privatistica tra l’operatore e il successivo soggetto intervenuto nel ciclo (infatti
38 Art. 19 del D.P.R. n. 633/1972
39 Di cui si discute al paragrafo 2.4.
40 L’importo dovuto dal cedente o prestatore, sarà dato dalla differenza tra l’IVA sulle vendite e quella sugli acquisti. Se tale differenza è positiva, il soggetto dovrà all’Erario una somma equivalente; nel caso in cui invece sia negativa, il soggetto in questione sarà titolare di un credito nei confronti dell’Erario.
41 Il consumatore è il c.d. “contribuente di fatto”, a differenza del soggettivo passivo, che è il “contribuente di diritto”.
eventuali questioni derivanti dall’addebito dell’imposta in xxx xx xxxxxxx xxxxxxxxx nella giurisdizione del giudice ordinario).
Si deve aggiungere che la rivalsa, pur essendo un obbligo per il soggetto passivo, in alcuni casi ricade nella sfera di discrezione del soggetto che emette la fattura; si tratta in particolare delle ipotesi di operazioni gratuite o destinate all’uso o consumo personale o familiare dell’imprenditore (di cui al comma 2 nn. 4 e 5 dell’articolo 2, nonché comma 3 primo periodo dell’articolo 3).
2.4. Tipologie di diverse operazioni
Le operazioni soggette ad IVA individuate dall’articolo 1 del D.P.R. n. 633/1972 sono dette operazioni imponibili, in quanto soddisfano tutti i presupposti di applicazione dell’imposta. Si tratta di una tipologia di operazioni non direttamente definita dal legislatore, che quindi si può considerare di carattere residuale. Oltre tale categoria di operazioni ve ne sono altre che non determinano un debito d’imposta, ma sono comunque giuridicamente rilevanti: si tratta delle operazioni non imponibili ed esenti. Diversa considerazione va fatta in relazione alle operazioni c.d. “escluse”, le quali essendo completamente estranee al meccanismo dell’IVA, non determinano l’insorgenza di alcun obbligo.
Per quanto riguarda le operazioni non imponibili, ad esse non si applica l’IVA, nel senso che il soggetto passivo non avrà un debito d’imposta, né opererà la rivalsa, ma avrà comunque il diritto di detrazione sugli acquisti e vi sono particolari obblighi formali (i quali si aggiungono a quelli ordinari di fatturazione e registrazione). Sono operazioni non imponibili le cessioni all’esportazione42, nonché le operazioni ad esse equiparate. Posto che colui che effettua un’operazione non imponibile ha comunque diritto alla detrazione, tale soggetto si troverà sempre in una situazione di creditoria nei confronti dello Stato. Il recupero dell’IVA a credito può avvenire, in base alla normativa
42 Si noti che, a seguito dell’eliminazione delle barriere doganali nel 1993, sono esportazioni solo quelle cessioni di beni verso paesi al di fuori dell’Unione Europea. Al contrario gli scambi tra Stati Membri si qualificano come cessioni intracomunitarie.
applicabile al caso di specie, richiedendo un rimborso all’Erario oppure tramite l’utilizzo in compensazione nel modello F24.43
L’art. 8 distingue le esportazioni in tre tipologie: dirette; indirette; triangolari. All’esportatore è data la possibilità, entro certi limiti, di acquistare senza applicare l’IVA 44 . In tal caso, però, è necessario che il cedente attesti il proprio diritto ad acquistare senza IVA mediante lettera d’intento45.
Quanto alle operazioni intraUE, il legislatore nazionale ha previsto con il D.L. n. 331/1993 un sistema ibrido dei due principi di tassazione nel paese di origine e di destinazione.
Le operazioni esenti, invece, – pur non comportando l’applicazione dell’IVA – sono soggette a obblighi formali, non consentono la detrazione dell’imposta sugli acquisti.
43 Vi sono comunque ipotesi particolari, si veda la nota 51.
44 Si tratta del c.d. plafond ex art. 8, co. 1 del D.P.R. n. 633/71; secondo tale articolo “gli esportatori abituali che effettuano operazioni internazionali, sia con Paesi UE che extra UE, al ricorrere di determinate condizioni” hanno la facoltà di “acquistare o importare beni e servizi senza applicare l’IVA, entro un dato limite quantitativo annuale”. In particolare sono considerati esportatori abituali quei soggetti che effettuano esportazioni o operazioni assimilate non imponibili durante l’anno solare precedente ovvero nei dodici mesi precedenti per un ammontare superiore al 10% del volume d’affari dello stesso periodo di tempo.
La ratio del plafond è quella di evitare di penalizzare economicamente gli operatori economici che effettuano operazioni all’estero, poiché questo tipo di operazioni, se effettuate spesso, incidono sul volume d’affari dell’esportatore che potrebbe quindi ritrovarsi con un credito IVA esorbitante.
Vi sono due diversi tipi di plafond: il fisso, che considera come base di calcolo le operazioni registrate nell’anno solare precedente, e il mobile, che invece considera le operazioni registrate nei dodici mesi precedenti. Si tratta in ogni caso di una scelta discrezionale per l’esportatore. Nel caso in cui il contribuente effettui acquisti senza applicare l’IVA per un ammontare superiore al massimo ammissibile (c.d. splafonamento) sarà necessaria l’emissione di un’autofattura da parte dell’esportatore, altrimenti lo stesso dovrà richiedere una fattura integrativa al fornitore.
45 Il sistema è stato criticato da gran parte della dottrina, poiché permette facilmente l’attuazione di frodi. Per tali ragioni a partire dal 1° gennaio 2015 tali dichiarazioni di intenti devono essere trasmesse dagli esportatori abituali all’Agenzia delle Entrate. A ciò il provvedimento n. 96911/2020 dell’Agenzia delle Entrate ha sostituito l’obbligo di rilascio di copia della dichiarazione al fornitore con l’obbligo di deposito della stessa nel Cassetto fiscale del fornitore.
Tali operazioni sono tassativamente indicate dal legislatore all’articolo 1046. In questi casi il meccanismo impositivo si arresta alla fase di produzione o commercializzazione precedente a quella in cui si colloca l’operazione esente47. Inoltre, soggetti che pongono in essere operazioni esenti possono ottenere una dispensa dall’adempimento degli obblighi formali.
Occorre aggiungere poi che per alcune attività, come ad esempio nel settore agricolo, esistono regimi particolari di applicazione dell’imposta.
3. La documentazione delle operazioni
Gli articoli 21 e seguenti del D.P.R. n. 633/1972 prevedono e disciplinano gli obblighi strumentali di natura documentale dei soggetti passivi.
L’articolo 21 sancisce l’obbligo di fatturazione, disponendo che “per ciascuna operazione imponibile il soggetto che effettua la cessione del bene o la prestazione del servizio emette fattura… o, ferma restando la sua responsabilità, assicura che la stessa sia emessa, per suo conto, dal cessionario o dal committente ovvero da un terzo”. La fattura dovrà essere emessa nel momento di effettuazione dell’operazione. Prima del 2015 la fattura era essenzialmente cartacea; dal 2015, con il D.Lgs. n.127/2015, ne è stata prevista l’emissione in forma elettronica, inizialmente limitatamente alle operazioni poste in essere nei confronti della PA, ed in un secondo momento anche nelle operazioni B2B e B2C. 48.
Lo stesso articolo 21 disciplina il contenuto della fattura e ne indica gli elementi essenziali tra cui in particolare lo specifico addebito dell’imposta. La fattura cartacea,
46 Si tratta di tre diversi ordini di operazioni: operazioni finanziarie, assicurative e con valore sociale.
47 Cfr. SALVINI, Diritto tributario delle attività economiche. Torino: Giappichelli, 2019. Capitolo VI, pag. 280
48 Nel paragrafo 4.2. della sezione II del capitolo 1 sarà approfondito il tema della fattura elettronica, per la quale il legislatore ha previsto una specifica definizione a differenza della fattura ordinaria.
la quale viene emessa attualmente solo in casi eccezionali, come ad esempio nel caso dei contribuenti c.d. forfettari, deve essere redatta in duplice esemplare, di cui uno viene trattenuto dall’emittente e l’altro deve, invece, essere consegnato o spedito all’altra parte.49
Dato che l’emissione della fattura, la quale coincide con il momento della sua consegna, spedizione 50 o trasmissione, comporta l’acquisizione dei dati identificativi dell’acquirente, è stato previsto che nel caso in cui si tratti di vendita a consumatori finali in locali aperti al pubblico la fatturazione dell’operazione non sia obbligatoria (invero se così non fosse il commercio risulterebbe ostacolato dal necessario adempimento di tali formalità). In tali casi si provvederà con modalità di documentazione più semplici come lo scontrino e la ricevuta fiscale. Questi, invero, da un lato non richiedono l’identificazione dell’acquirente e dall’altro indicano un prezzo già comprensivo dell’ammontare dovuto a titolo IVA.
I commi 5 e 6-ter dell’articolo 21 prevedono una particolare ipotesi di fattura: l’autofattura. Si tratta di un meccanismo particolare in cui il cessionario o committente stabilito nel territorio dello Stato compia delle operazioni imponibili con soggetti non residenti in Italia. In tal caso sarà sufficiente la compilazione di un unico esemplare di fattura, c.d. autofattura, entro il quindicesimo giorno del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione. È obbligatorio in tali casi che il documento presenti espressamente l’annotazione “autofatturazione”.
Per quanto riguarda le ipotesi di operazioni non imponibili o esenti, queste non dovranno contenere l’addebito dell’imposta e dal 2013 è possibile (ma non più obbligatorio) il richiamo in fattura alla norma nazionale o comunitaria.
49 Occorre sottolineare che, tuttavia, si tratta di norma desueta per alcuni aspetti, posto che ormai il regime ordinario è dato dall’emissione di fattura elettronica (vedi par. 3.3, sez. II, capitolo 1).
50 L’amministrazione finanziaria ha nel tempo attribuito ai concetti di consegna e spedizione un significato più ampio rispetto a quello prettamente letterale fino ad allargare tale concetto alla possibilità di invio elettronico di una fattura cartacea (ad esempio via e-mail), purché l’originale della stessa sia comunque cristallizzato su supporti cartacei (Risoluzione n. 202/E del 4/12/2001).
Ancora, dal 1 gennaio 2013 è stata prevista, con l’introduzione dell’articolo 21-bis, la possibilità di emissione di una fattura c.d. semplificata; trattasi di una fattura più snella: ad esempio, ai fini dell’identificazione del cessionario o committente, basta l’indicazione del codice fiscale o della partita IVA. Allo stesso tempo non è neanche necessario che vi sia l’indicazione della base imponibile e l’ammontare della relativa imposta, essendo sufficiente che vengano indicati i dati necessari per effettuare il calcolo corrispondente. Tale fattura semplificata, comunque, è ammessa solo per operazioni di ammontare non superiore a 100 euro.
Gli adempimenti formali richiesti dalla legge non si esauriscono con la sola emissione della fattura; essa, infatti, deve anche essere registrata nel registro delle fatture emesse (tenuto cartaceo o su appositi supporti elettronici)51 a norma dell’articolo 23. Detto articolo a tal proposito dispone che “il contribuente deve annotare in apposito registro le fatture emesse, nell'ordine della loro numerazione, entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione delle operazioni e con riferimento allo stesso mese di effettuazione delle operazioni”. È infatti obbligatoria, secondo la normativa IVA, la tenuta di una serie di registri che si affiancano alle normali scritture contabili obbligatorie e che consentono un più facile controllo da parte degli uffici pubblici. In particolare, il registro delle fatture emesse contiene le annotazioni circa le stesse in ordine progressivo di numerazione. Anche le fatture di operazioni non imponibili o esenti devono comunque essere registrate con il titolo di non applicabilità dell’imposta. Le fatture di modico valore, ovvero di valore inferiore ai 300 euro, potranno inoltre essere annotate cumulativamente mediante un documento riepilogativo.
Per quanto riguarda la registrazione dello scontrino e della ricevuta fiscale, le relative operazioni possono essere registrate anche con un’unica annotazione che faccia riferimento alle operazioni compiute nell’arco temporale di un mese solare 52. Tale
51 Ciò vale solo per le fatture, non essendo prevista la registrazione di scontrini e ricevute. Gli stessi sono comunque rilevanti, in quanto l’ammontare su di essi specificato dovrà essere riportato giornalmente nel registro dei corrispettivi.
52 Come disposto dall’articolo 15 del D.P.R. n. 435/2001.
annotazione deve essere effettuata entro il quindicesimo giorno del mese successivo. In merito agli acquisti, è inoltre previsto un altro apposito registro in cui vanno annotate le fatture ricevute, anche in questo caso secondo una numerazione progressiva.
La fattura riveste un ruolo centrale non solo per esigenze di documentazione e di controllo, ma anche ai fini della rivalsa e della detrazione dell’IVA; la fattura, infatti, da un lato legittima il venditore ad esercitare la rivalsa e dall’altro lato funge da condizione legittimante per l’esercizio del diritto alla detrazione, motivo per cui il soggetto passivo ha l’obbligo di conservarla e registrarla nel termine previsto. La richiesta della fattura diviene poi obbligatoria nel caso in cui il cliente sia un imprenditore che acquista da un commerciante al minuto beni che formano oggetto dell’attività propria dell’impresa. Tale obbligo risulta correlato alla necessità di acquisire una traccia scritta delle operazioni di acquisto per la rilevazione delle successive vendite.
L’articolo 22 comunque prevede la facoltà di non emettere fattura in relazione ad esigenze e valutazioni di opportunità del cedente o prestatore in relazione a ipotesi di vendita al minuto, nonché altre fattispecie espressamente previste in quanto assimilate. Qui la facoltatività della fattura cede nel momento in cui il cliente ne faccia esplicita richiesta.
Dall’anno 2020 scontrini e ricevute sono stati sostituiti da un documento commerciale emesso da appositi registratori telematici, ovvero tramite procedure online messe a disposizione dei contribuenti dall’Agenzia delle Entrate. Si tratta di un obbligo inizialmente previsto nel 2018 esclusivamente per i contribuenti con volume d’affari superiore a 400.000 euro. Uniche esonerate dal suddetto obbligo sono le operazioni elencate nel D.M. 24 dicembre 2019.
Il registratore telematico consente sia la memorizzazione che la trasmissione telematica dei corrispettivi. Inoltre, una delle sue caratteristiche principali è data dal fatto che, alla chiusura di cassa, il registratore telematico crea un file con tutti i dati della giornata e lo trasmette direttamente all’Agenzia delle Entrate.
Il possesso di un registratore telematico fa sì che possa essere omessa la tenuta del registro dei corrispettivi. Inoltre, data l’automaticità della trasmissione dei dati
all’Agenzia delle Entrate, non occorrerà neanche la conservazione del libretto di servizio che si rendeva necessario ai fini della verificazione periodica.
Il registratore di cassa telematico consente una riduzione dei costi sostenuti per gli adempimenti documentali ai fini IVA e allo stesso tempo, al fine di non rendere l’esborso necessario per l’acquisto del macchinario eccessivamente oneroso, è stata prevista la possibilità di accedere ad apposito contributo (per mezzo di un credito d’imposta da poter utilizzare in compensazione dalla prima liquidazione periodica dell’imposta successiva al mese dell’acquisto pari al 50% della spesa per un massimo di 250 euro) per l’acquisto degli apparecchi posto in essere negli anni 2019 e 2020.
La mancata o non veritiera memorizzazione e trasmissione dei corrispettivi determina l’applicazione di una sanzione pari al 90% dell’imposta dovuta e non versata con un ammontare minimo di 500 euro ex artt. 6, co. 3 e 12, comma 2, D. Lgs n. 471/1997. Qualora vi sia recidiva potrà essere anche disposta una sanzione accessoria da cui deriva la sospensione della licenza o autorizzazione all’esercizio dell’attività o la sospensione dell’attività stessa.
Da ultimo, occorre ricordare che in ogni caso tutti i soggetti passivi IVA sono tenuti a redigere la dichiarazione annuale IVA. Essa, in particolare, va presentata telematicamente con un modello separato rispetto a quello per le imposte sui redditi. Sulla base di tale dichiarazione il soggetto deve così determinare l’IVA da versare a saldo dei versamenti già effettuati, ovvero deve calcolare l’ammontare della stessa che determina il credito d’imposta.
4. La fase di liquidazione
La liquidazione si sostanzia nel momento in cui viene determinato l’ammontare di imposta dovuta all’Erario da parte del soggetto passivo iva sulla base della sommatoria algebrica tra l’IVA applicata sulle operazioni attive e quella subita sulle operazioni di acquisto, ove detraibile. Il confronto tra operazioni imponibili e acquisti effettuati fa sì che si possano determinare due diverse situazioni: una situazione di debito nei confronti
dell’Erario per la parte di IVA eccedente a quella detraibile sugli acquisti o di credito d’imposta laddove l’IVA sugli acquisti sia maggiore di quella sulle vendite. In discorso vi è quindi la fase atta alla concreta soddisfazione delle ragioni di credito erariali.
La liquidazione è generalmente effettuata su base mensile ed eccezionalmente, in relazione a soggetti che abbiano un volume di affari annuo non superiore ad euro 309.874,14 o euro 516.456,90 che svolgano rispettivamente prestazioni di servizi, arti o professioni ovvero cessioni di beni o altre attività diverse dalle precedenti, su base trimestrale53.
La liquidazione comporta l’obbligo di pagamento dell’imposta così determinata entro il sedicesimo giorno del mese successivo, o dal primo giorno lavorativo successivo qualora esso coincida con un giorno festivo.
L’eventuale eccedenza che si determina potrà essere portata in detrazione nella liquidazione del tributo relativo al periodo d’imposta successivo (e quindi, sulla base di quanto già detto, relativo al mese o al trimestre successivo).
Qualora l’imposta sia relativa all’ultimo mese o all’ultimo trimestre dell’anno, è previsto entro il giorno 27 del mese di dicembre il versamento di una somma a titolo di acconto per l’IVA dovuta in relazione al periodo di riferimento54. Tale versamento non è dovuto nel caso in cui l’importo determinato sia inferiore a euro 103,29. L’illegittimo mancato versamento, comunque, comporta l’applicazione di una sanzione pari al 30% delle somme non versate.
Ovviamente non sempre l’adempimento dell’obbligo tributario avviene spontaneamente da parte del contribuente, motivo per cui il legislatore ha attribuito agli uffici finanziari il potere di effettuare controlli, nonché di effettuare verifiche circa la capacità contributiva dello stesso.
53 Come stabilito dall’art. 7 D.P.R. n. 542/1999.
54 L’art. 6 comma 2 della legge n. 405/1990, in particolare, richiede il versamento di un importo pari all’88% dell’ammontare versato per il mese di dicembre dell’anno precedente. Nel caso in cui ci si trovi nella situazione di liquidazione trimestrale, l’ammontare dovuto sarà determinato sulla base dell’importo risultante dalla dichiarazione dell’anno precedente. Alternativamente in entrambi i casi l’acconto potrà essere determinato in relazione alle operazioni e detrazioni compiute nel periodo che va dal 1° al 20 dicembre dell’anno in corso.
Sezione II
Il fenomeno evasivo
1. Caratteristiche dell'evasione
Con l’espressione evasione fiscale si fa riferimento a quelle condotte che violano norme e regolamenti vigenti, poste in essere dal contribuente sia persona fisica che giuridica, per ridurre o, nei casi più gravi, eliminare il prelievo fiscale dovuto allo Stato. L’evasione si fonda, quindi, su alterazioni, occultamenti e manipolazioni di ricavi e costi (ovvero le voci considerate ai fini della materia imponibile).
Considerata l’incidenza del fenomeno, si può parlare a proposito di una vera e propria patologia del sistema tributario, che ad oggi è presente in tutte le economie, anche se con livelli di intensità diversi. Si parla di patologia, proprio perché l’evasione ha come conseguenza quella di alterare le normali condizioni di concorrenza leale nel mercato, falsando le scelte economiche degli operatori.
Ovviamente l’evasione comporta una serie di effetti negativi per l’ordinamento in generale: innanzitutto viene meno la possibilità di applicare un equo criterio distributivo dell’onere fiscale sulle diverse categorie di contribuenti, così come si ha una riduzione delle risorse da destinare al finanziamento dei servizi pubblici, nonché effetti negativi sulla coesione sociale in generale.
Diversa dall’evasione è l’elusione, la quale – seppur derivando dall’inadempimento di obblighi fiscali da parte del contribuente – si distingue per il grado di illiceità della condotta: l’elusione è un comportamento che sfrutta le opportunità formalmente legali di ridurre il peso dei tributi, violando però lo spirito delle norme, invece l’evasione comporta una vera e propria violazione di norme tributarie. Di conseguenza nell’ipotesi dell’elusione, seppur formalmente le norme vigenti vengono rispettate, queste ultime
sono raggirate dal punto di vista sostanziale, generando una sorta di tradimento di quello che è lo spirito delle norme stesse.
Al fine di evitare l’elusione, nel nostro ordinamento è stata inserita dapprima una norma ad hoc, ovvero l’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, il quale sancisce l’inopponibilità all’amministrazione finanziaria di “atti, fatti e negozi… privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti”55.
Più di recente, è stato introdotto l’articolo 10-bis della legge n. 212 del 2000, rubricato “disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale”. In particolare, si definisce la fattispecie di abuso di diritto come “una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali”. A tal fine rilevano quegli atti, fatti o contratti che non sono idonei a produrre effetti rilevanti, se non vantaggi fiscali, cioè quei vantaggi in contrasto con l’ordinamento tributario.56
Tuttavia, si deve ritenere che nel caso in cui il contribuente agisca legittimamente con il fine di ottenere un risparmio di imposta, non si avrà abuso del diritto. Infatti, la suddetta disposizione prosegue specificando che, in realtà, non si intende vietare che il contribuente ponga in essere operazioni determinate in parte dalla volontà di ottenere vantaggi fiscal. Al contrario tali operazioni ricadono al di fuori del concetto di abuso del diritto quando siano comunque giustificate da valide ragioni extrafiscali, ancorché non marginali. Inoltre, qualora il contribuente si trovi nella posizione di dover effettuare una scelta tra diversi regimi opzionali, non potrà considerarsi abusiva la scelta che ricade sul regime meno oneroso per il contribuente stesso. Tale fattispecie rientra nell’ipotesi di legittimo risparmio di imposta, il quale in nessun caso determina evasione.
55 In molte occasioni la giurisprudenza ha spesso confuso il tema dell’elusione fiscale con quello della simulazione. Per un approfondimento sul tema si veda: XXXXXXXX, Il “dividend washing” integra “ex se” abuso del diritto - Abuso del diritto - La Corte di cassazione tra simulazione, elusione e obiettiva condizione di incertezza del dato normativo, Riv. Giurisprudenza Tributaria, 2016, p. 580.
56 Ex comma 2, art 10-bis, l. n. 212/2000.
Al fine di stabilire l’esistenza di una fattispecie di abuso di diritto l’Agenzia dell’entrate dovrà provare la sussistenza degli estremi della fattispecie ex art. 10-bis. Il contribuente, invece, dovrà provare che l’operazione posta in essere sia motivata da ragioni economiche e non meramente fiscali. Il contribuente, comunque, al fine di evitare che gli venga contestata l’effettuazione di un’operazione abusiva, potrà proporre istanza di interpello ex art. 11, comma 1, lett. c), l. n. 212/2000 per conoscere ex ante se l’operazione che intende eseguire costituisca o meno abuso del diritto.
Ulteriore fattispecie è la frode, ipotesi decisamente più grave, che usa particolari meccanismi volti a far apparire una situazione come regolare, nascondendo l’evasione. L’evasione quale fenomeno si manifesta in forme diverse a seconda del momento che si considera. Si distingue a tal proposito il momento dichiarativo da quello del pagamento, inteso quale versamento dell’importo dovuto: nel primo caso l’evasione si sostanzia nell’omissione nella dichiarazione fiscale dell’imposta dovuta o di parte di essa, nel secondo caso l’imposta è liquidata interamente, ma non viene effettuata la corresponsione di quanto effettivamente dovuto all’Erario.
L’IVA, ad oggi in Italia, risulta essere l’imposta maggiormente evasa e, allo stesso tempo, l’Italia ha il primato in Europa quale Paese con la più alta percentuale di evasione fiscale.
Attraverso l’analisi della tax compliance è stato possibile ricostruire la dimensione e l’evoluzione dell’evasione, attribuendola principalmente ad una serie di fattori, tra cui il livello della pressione tributaria, le carenze strutturali del sistema dei tributi e dell’amministrazione, la reticenza rispetto agli obblighi posti in capo ai contribuenti e la complessità delle norme.57
57 Cfr. AA.VV. (a cura di XXXXXXXX), Questioni di Economia e Finanza (occasional papers),
n. 81: Per una storia della tax compliance in Italia, Dicembre 2010. xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxxx/xxx/0000-0000/xxxxx.xxxx. XXXXXXXX, Nuove prospettive nel rapporto tra fisco e contribuente: a proposito di una recente collettanea in tema di c.d. “Tax Assurance”, in Diritto e Pratica Tributaria, 2016, CEDAM, pp. 938-967
1.1. L’evasione nella teoria economica
La teoria economica della tassazione ha iniziato ad analizzare il fenomeno evasivo dagli anni ’70 del XX secolo.
Secondo la teoria economica ciascun contribuente è un potenziale evasore, considerato che i benefici marginali, determinati in termini di aumento del reddito disponibile, eccedono i costi marginali, i quali invece derivano dalla probabilità di essere individuati e di conseguenza sanzionati. La probabilità in discorso dipende dall’efficacia dei controlli e dal costo che dovrà essere sopportato dal potenziale evasore per comprendere come poter evitare la corretta applicazione delle regole in materia.
Nel corso degli anni sono stati sviluppati numerosi modelli teorici che considerano a fondo le ragioni dell’evasione sulla base di un’analisi costi-benefici, tenendo presente anche il contesto in cui la stessa si colloca, data l’asimmetria informativa tra Stato e contribuenti. Il modello più noto è il modello A-S 58: il contribuente conosce il proprio reddito, il cui ammontare è invece sconosciuto al fisco e secondo una logica razionale decide di massimizzare la sua utilità attesa in condizione di incertezza considerando tre fattori, ovvero l’aliquota, la probabilità di accertamento e l’entità della sanzione (escludendo altri istinti di carattere morare o sociale). Se il contribuente fosse incline al rischio tenderebbe ad evadere l’imposta totalmente, mentre, se fosse particolarmente avverso allo stesso, non evaderebbe proprio.
Un modo per disincentivare l’evasione sarebbe quindi aumentare gli accertamenti dell’amministrazione finanziaria, così da ottenere un valore negativo circa il rendimento atteso. L’aumento dei controlli si sostanzia in un’operazione onerosa per lo Stato. L’aumento della frequenza dei controlli, con il relativo incremento dell’ammontare della sanzione, potrebbe avere un impatto positivo sull’efficacia dei controlli stessi59.
Più complicata, invece, risulta la ricerca di una soluzione all’evasione sulla base del
58 Tale modello è stato elaborato da Xxxxxxxxx e Xxxxx nel 1972 sulla base della moderna teoria del rischio.
59 La soluzione di aumentare l’importo della sanzione era stata già formulata da Xxxxxx nel 1968.
livello dell’aliquota fiscale.
Il modello A-S è stato negli anni arricchito di altre considerazioni che tengono conto di altri fattori come la natura del contribuente, la differente percezione dello stesso circa la possibilità di essere sottoposto a controllo o sanzionato, ecc…
Con l’inizio del nuovo secolo vengono considerati ai fini dell’indagine sull’evasione anche elementi di natura culturale e psicologica che secondo Xxxxxxx possono essere raggruppati in tre categorie: conoscenze soggettive del funzionamento del sistema fiscale, percezione di equità complessiva del sistema fiscale e tax morale. La tax morale, intesa quale moralità fiscale, considera l’esistenza di una motivazione intrinseca al pagamento dei tributi collegata al rispetto delle istituzioni e diversamente proporzionale alla percezione di inefficienza e corruzione delle stesse.
1.2. Il tax gap
Con l’espressione “tax gap” si vuole indicare la differenza tra il gettito ottenuto applicando la tassazione prevista dalla legislazione vigente alla base imponibile teorica e alla base imponibile dichiarata. Si tratta del c.d. approccio top-down che permette il confronto tra i dati della contabilità nazionale con i dati ottenuti da fonti amministrative. Esistono tre diverse tipologie di tax gap: quello derivante dalla mancata o ritardata presentazione della dichiarazione dovuta; quello che si ha da una sottostima del reddito o sovrastima delle esenzioni, deduzioni e crediti nelle dichiarazioni tempestivamente presentate dai contribuenti; quello risultante dal mancato pagamento dell’ammontare dovuto così come ottenuto a seguito di una corretta compilazione della dichiarazione da parte del contribuente.
Va detto che il concetto di evasione risulta essere un sottoinsieme del tax gap, poiché l’evasione richiede l’intenzionalità, mentre il tax gap in via più generale fa riferimento alla base imponibile non dichiarata volontariamente o non.
Il valore del tax gap, con particolare riferimento all’IVA – ossia del VAT gap –, è definito dall’Agenzia delle entrate in Italia e a livello europeo è di competenza della
Commissione europea, posto che ad oggi dalle stime effettuate l’Iva risulta essere l’imposta maggiormente evasa. L’Unione Europea ha sottolineato l’importanza di studi nazionali sui valori del gap su base non ristretta, perché gli stessi possono essere un efficace mezzo di contrasto al fenomeno dell’evasione.
Nel periodo storico attuale, a seguito di una generale decremento del VAT gap che aveva segnato un trend positivo, ci si aspetta un potenziale aumento di questo divario a causa dell’effetto della pandemia da Covid-19 sull’economia 60 , seppur con differenze piuttosto significative tra i diversi Stati membri61.
In Italia, il divario esistente in materia IVA è ascrivibile a tre diverse situazioni: in primis all’omessa dichiarazione di ricavi o compensi regolarmente certificati o a frodi, poi ai ricavi in nero e in fine all’omesso versamento dell’imposta dichiarata62.
1.3. I settori più a rischio
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze redige annualmente una relazione sull’evasione fiscale e contributiva. L’ultima pubblicata, nel gennaio 2019, misura il Gap IVA negli anni dal 2012 al 2017. La percentuale di PIL relativa all’ammontare non dichiarato o comunque dichiarato e non versato nel 2012 corrisponde al 2,3%; tale valore è sceso di due punti percentuali negli anni 2015 e 2016, ma è risalito di un punto nel 2017 per un valore ultimo di circa 37 miliardi di euro di imposta non pagati all’Erario 63 . Considerando invece il gettito potenziale d’imposta, l’ammontare non dichiarato o comunque dichiarato e non versato è pari da ultimo al 27,4%; in tal caso
60 Cfr. Commissione Europea, Study and Reports on the VAT in the EU-28 Member States, 2020 final report. Bruxelles, Settembre 2020.
61 Le differenze tra i diversi Stati membri riflettono le disuguaglianze esistenti tra gli stessi in termini di tax compliance, frodi tributarie, bancarotta, insolvenza e amministrazione fiscale. Oltre a questi indicatori che possiamo dire tipici, bisogna comunque considerare anche altre circostanze che potrebbero avere un impatto più o meno significativo sul valore del divario.
62 Cfr. Ministero dell’Economia e delle Finanze, Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva per l’anno 2018 emanata sulla base dell’art. 10-bis.1 c. 3 Legge 31 dicembre 2009, n. 196.
63 In particolare, circa 27 miliardi di euro derivano dall’evasione per mancata dichiarazione, mentre i restanti 10 miliardi sono ascrivibili al fenomeno dell’evasione dalla riscossione.
siamo di fronte al secondo valore più basso dell’arco di tempo considerato64. Sulla base di tali valori si può sostenere che la propensione a non adempiere l’imposta nel 2017 è lievemente aumentata, sintomo di un problema tutt’oggi esistente e di difficile soluzione.
Il documento prosegue esaminando la ripartizione territoriale del fenomeno evasivo: nettamente preponderante è l’influenza della parte a nord-ovest del territorio della Repubblica, alla quale viene attribuito il 34,4% del Gap IVA per un ammontare di circa 12 miliardi di euro. Diversamente, la minor parte del Gap è ascrivibile al Mezzogiorno e alle isole. Ancora, se si considera la distribuzione territoriale della propensione al Gap, valori molto più alti si registrano nel meridione del Paese e nelle isole.
Quanto sinora esposto è stato oggetto di aggiornamento ad opera della Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva per l’anno 2020, elaborata dal ministero dell’Economia e delle Finanze. In particolare, da tale documento si rileva una riduzione del Gap IVA nell’anno 2018. Invero, si è registrato un ammontare di Gap pari a circa 33 miliardi di euro65, inferiore di quasi 4 miliardi rispetto al valore precedentemente registrato nel 2017. In termini percentuali, invece, nell’anno 2018 il Gap IVA risultava essere pari al 24% dell’imposta potenziale, nonché pari all’1,9% del PIL.
In relazione ai risultati raggiunti nel 2018 in termini di riduzione del Gap IVA, si può affermare che nell’anno considerato si sono registrati i valori più bassi dell’ultimo quinquennio, così come evidenziato dalla citata Relazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Invero, nel 2018 si sono raggiunti anche i risultati più elevati in termini di tax compliance e cioè di propensione al versamento dell’imposta.
64 Il valore più basso dei sei anni oggetto di studio della relazione è quello del 2013 pari al 27,2%.
65 Dei 33 miliardi di euro di Gap menzionati, circa 13 miliardi e mezzo sono ascrivibili ad omesse dichiarazioni, mentre circa 9 miliardi e mezzo derivano dal mancato versamento dell’imposta dichiarata
2. L’evasione dalla riscossione
L’evasione dalla riscossione si sostanzia in una forma di evasione, forse la più insidiosa e con dimensioni particolarmente rilevanti. Con la formula “evasione dalla riscossione” si intende indicare la situazione in cui si ha una differenza tra quanto accertato dagli uffici finanziari e quanto effettivamente riscosso.
Nell’inquadramento della fattispecie, dato dal D.Lgs. n. 74/2000, l’inadempimento dell’obbligazione pecuniaria collegato all’imposta non comportava la sussistenza degli estremi di reato, posto che il contribuente avesse adempiuto al dovere di dichiarazione. Tale circostanza risultava una conseguenza della necessità di eliminare una serie di figure criminose, tra cui in particolare il delitto di omesso versamento delle ritenute da parte del sostituto d’imposta 66 , dato l’importante numero di procedimenti penali determinati dalle stesse. La sanzione penale veniva considerata una extrema ratio in quanto a tutela del pagamento delle imposte erano previste esclusivamente sanzioni amministrative.
Con l’art. 35 comma 7 del D.L n. 223/2006 sono stati introdotti gli articoli 10-ter e 10- quater al D.Lgs. n. 74/2000, che riportano due fattispecie criminose, ovvero rispettivamente il reato di omesso versamento di IVA e il reato di indebita compensazione, determinando così una sorta di ritorno all’ordinamento passato, come disciplinato dalla legge n. 516/1982. Tali articoli rimandano all’art. 10-bis del D.Lgs. n. 74/2000, che disciplina il reato di omesso versamento di ritenute certificate, quanto a pena e soglia di punibilità. Tutte e tre le fattispecie hanno come obiettivo quello di contrastare l’evasione da riscossione, solo che le prime due risultano essere reati “nuovi”, mentre l’omesso versamento di ritenute rivive a seguito di un periodo di depenalizzazione.
2.1. I reati di omesso versamento e indebita compensazione
Il reato di omesso versamento dell’IVA, ex art 10-ter prevede la pena della reclusione
66 Fattispecie criminosa ex art. 2 del D.L. n. 429/1982.
da sei mesi a due anni per “chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo”. Si tratta di un reato omissivo proprio, di natura istantanea67.
Il reato si considera consumato nel momento in cui non viene effettuato il pagamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, che si identifica con il giorno 27 dicembre dell’anno. L’eventuale versamento tardivo non influisce sull’esistenza del reato, potendo al massimo rilevare a titolo di circostanza attenuante. Nonostante l’infelice utilizzo della parola “chiunque”, il reato in discorso risulta essere un reato proprio che può quindi essere commesso solo da un contribuente legalmente tenuto alla presentazione della dichiarazione annuale IVA68.
Dal punto di vista dell’elemento soggettivo, la punibilità è prevista esclusivamente a titolo di dolo, pur essendo sufficiente la sola sussistenza del dolo generico (coscienza e volontà di aver presentato la dichiarazione annuale IVA e di aver omesso il pagamento delle somme così liquidate).69 La Cassazione ha specificato anche la necessità che il dolo si estenda anche alla soglia di punibilità70.
Presupposto necessario è sicuramente la precedente presentazione della dichiarazione annuale, poiché diversamente si avrà il solo reato di omessa dichiarazione 71 e,
67 Caratteristica intrinseca del reato è quindi l’assenza di un evento, nonché la consumazione immediata dello stesso, con successiva irrilevanza ai fini della sussistenza della fattispecie di tutto ciò che avviene successivamente.
68 Diversamente, colui che non ha la qualità richiesta per la sussistenza degli estremi del reato, potrà rispondere solo a titolo di concorso nel reato, come riconosciuto sia in dottrina che in giurisprudenza dalla Corte di Cassazione (sent. n. 9163 del 29 ottobre 2009, sent. n. 37856 del 18 giugno 2015, sent. 9417 del 10 marzo 2020), e sempre che lo stesso lo stesso abbia la consapevolezza di concorrere al reato. Potrà quindi essere punito il consulente solamente qualora lo stesso abbia apportato intenzionalmente un contributo alla realizzazione del delitto. 69 Occorre sottolineare che il dolo generico si ritiene sufficiente esclusivamente nelle ipotesi di reato ex art 10-ter e 10-bis.
70 Cass. SS.UU. sent. n. 35/2001.
71 Ex art. 5 D.L. n. 74/2000 “È punito con la reclusione da due a cinque anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, quando l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte a euro cinquantamila... Ai fini della disposizione
analogamente, non potrà aversi il reato in discorso nel caso di presentazione di dichiarazione IVA fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti o mediante artifici ovvero nel caso di dichiarazione infedele72.
Altresì è richiesto ai fini della configurabilità del reato che il mancato versamento superi la soglia di punibilità fissata per rinvio a 50.000 euro per periodo d’imposta.
Il reato di indebita compensazione, previsto dall’art. 10-quater, si sostanzia nel mancato versamento delle somme dovute all’Erario, giustificato dall’utilizzo in compensazione di crediti d’imposta inesistenti o non spettanti per un importo superiore a 50.000 euro annui.
La pena prevista è diversificata a seconda che i crediti portati a compensazione siano inesistenti o non spettanti: nel primo caso è prevista la pena della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni, nel secondo caso da sei mesi a due anni. L’elemento di discrimine tra il reato in discorso e quello ex art. 10-ter è dato proprio dalla condotta di compensazione quale quid pluris richiesto dall’art 10-quater.73
Circa il momento di consumazione, la Corte di Cassazione 74 ha specificato che il momento consumativo è dato dalla presentazione dell’ultimo modello F2475 relativo all’anno interessato, posto che dallo stesso si ricava la prova del reato stesso, non essendo a tal fine sufficiente per la Corte di Cassazione i dati che si possono ricavare
prevista dal comma 1… non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto”.
72 Si tratta delle ipotesi previste dagli artt. 2, 3 e 4, D.L. n. 74/2000.
73 Appare, quindi, evidente anche la diversità della natura della condotta richiesta nei due casi: il reato di omesso versamento è un reato omissivo, mentre il reato di indebita compensazione richiede l’esistenza di una condotta attiva.
74 Cass. Penale, III sezione, sent. n. 44737 del 5 novembre 2019. Il caso riguardava un legale rappresentante di una s.r.l. che aveva posto in compensazioni crediti IVA non spettanti e inesistenti per un importo pari a più di 55.000 euro e che dunque era stato condannato. Lo stesso ha successivamente proposto ricorso in Cassazione per violazione di legge data l’erronea applicazione dell’art 10-quater D.Lgs. n. 74/2000. Il ricorrente, in particolare, lamentava di non poter essere considerato responsabile per il fatto contestato, dato che non aveva presentato il modello F24. La Cassazione ha dato ragione al ricorrente dato che il reato non risulta consumato se non vi è presentazione del modello di cui sopra.
75 Il modello F24 è particolarmente rilevante in tale contesto, poiché è lo strumento individuato dal legislatore per effettuare la compensazione tra crediti e debiti tributari.
dalla sola dichiarazione Iva annuale. Si tratta quindi di reato istantaneo. Occorre specificare che in molti casi la compilazione del modello F24 non è effettuata personalmente dal contribuente, ma da un professionista terzo; in tal caso si può verificare il concorso del consulente se risulta che la delega sia stata eseguita nonostante il professionista fosse consapevole della compensazione o se egli stesso abbia ideato o suggerito la messa in atto dell’illecita compensazione.
3. Misure per contrastare l’evasione
Quanto sinora esposto circa la ricognizione delle due fattispecie penali dimostra un particolare atteggiamento del legislatore finalizzato ad affrontare il fenomeno evasivo: trattasi di un orientamento per lo più repressivo che si attua mediante l’applicazione di sanzioni più o meno gravi.
La lotta all’evasione, tuttavia, si caratterizza per la molteplice, nonché fantasiosa serie di misure preventive elaborate negli anni da dottrina, giurisprudenza e dal legislatore, data la portata significativa del fenomeno che si vuole contrastare.
3.1. Le misure agevolative
Circa le misure agevolative, si tratta di misure che contrastano l’evasione dalla riscossione facilitando l’adempimento dell’obbligo tributario per il contribuente. In particolare l’attività di riscossione dell’Amministrazione finanziaria deve essere modellata su una base di criteri tra cui quelli di semplificazione gestionale, economicità ed efficacia. L’applicazione di tali principi in concreto si è tradotta nella semplificazione dei canali di riscossione76, così che il contribuente paghi entro i termini e correttamente, poiché posto nelle condizioni di farlo.
Si tratta di una strategia della P.A. che seppur apparentemente comporta benefici per il cittadino, indirettamente nasconde il perseguimento del proprio interesse, ovvero quello della riscossione delle imposte.
L’attività agevolativa disposta dall’Erario, tuttavia, si articola anche in altri meccanismi che consentono il versamento di quanto dovuto da parte di quei contribuenti che, pur
76 Ad oggi, infatti l’Iva si paga in via telematica.
avendo la volontà di pagare, non ne sono in grado a causa di una scarsa liquidità. È prevista, infatti, la possibilità di rateizzare i pagamenti dovuti all’Amministrazione finanziaria. La rateizzazione comporta l’applicazione di un interesse fisso pari allo 0,33% mensile, ferma restando l’impossibilità di pagare l’ultima rata oltre il 16 novembre dell’anno cui si riferisce la dichiarazione annuale IVA da cui risulta l’importo da versare. 77
3.2. La lettera di compliance e la comunicazione di irregolarità
Posto che dal 2017 vi è l’obbligo per il contribuente di comunicare all’Agenzia delle Entrate i dati circa le liquidazioni IVA, nonché i dati che risultano da fatture emesse e ricevute, nel caso in cui la stessa venga a conoscenza di versamenti non effettuati, dovrà inviare 78 al contribuente una lettera di compliance con cui richiede allo stesso di verificare ed, eventualmente porre rimedio a quanto rilevato.
A questo punto il contribuente può chiedere ulteriori informazioni, dare giustificazioni circa la correttezza della propria situazione tributaria o, mediante ravvedimento operoso, effettuare il versamento mancante applicando le sanzioni ridotte previste dall’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 47279.
Se il contribuente non risponde all’invito dell’Agenzia, la stessa gli manderà un avviso bonario per mancato versamento, con il quale si chiederà di effettuare il pagamento di quanto dovuto entro 30 giorni, così da poter usufruire della sanzione ridotta del 10% dell’importo dovuto, in luogo della sanzione ordinaria del 30%.
77 Cfr. Agenzia delle Entrate, “Come e quando si versa”. xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xxx.xx/xxxxxxx/xxx/xxxxx/xxxxxx/xxxxxxxxx/x00-xxx-
annuale/come-e-quando-si-versa.
78 L’invio avviene tramite posta elettronica certificata con correlata pubblicazione della lettera anche nel cassetto fiscale del contribuente.
79 Il ravvedimento operoso ha come effetto favorevole al contribuente il fatto che l’importo che dovrebbe essere pagato comprensivo della sanzione, ovvero della maggiorazione dell’quantum da versare del 30%, viene ridotto in maniera proporzionale alla velocità (in termini di giorni) con cui il contribuente effettua il ravvedimento stesso).
3.3. La fatturazione elettronica
L’obbligo di fattura elettronica è stato introdotto nel nostro ordinamento con la Legge di Bilancio 2018 ed esso riguarda sia le operazioni tra operatori IVA (B2B), che le operazioni tra opera operatore IVA e consumatori (B2C).
La materia è disciplinata dal provvedimento n. 89757 del 30 Aprile 2018 dell’Agenzia dell’Entrate la quale ne ha definito le regole circa predisposizione, trasmissione, ricezione e conservazione80.
A differenza dalla fattura cartacea, quella elettronica ovviamente necessita di un supporto elettronico (computer, tablet o smartphone) e viene trasmessa tramite uno specifico sistema elettronico chiamato Sistema di Interscambio (SdI). Lo SdI si occupa di verificare che la fattura abbia il contenuto minimo obbligatorio ai fini fiscali e controlla che la partita Iva del fornitore e quella del cliente (o il suo Codice Fiscale nel caso di rapporto B2C) esistano. Solo a seguito di tali controlli il sistema invierà la fattura al cliente, nonché una ricevuta di recapito al fornitore.
Secondo l’Agenzia dell’Entrate la fattura elettronica ha una serie di vantaggi tra cui in primis il risparmio in termini di costi gestione, infatti la fattura potrà essere formata ed emessa gratuitamente aderendo all’apposito servizio reso dall’Agenzia stessa. Inoltre, permette di ottenere la registrazione dei dati della fattura più celermente.
In ogni caso, la violazione dell’obbligo di fatturazione elettronica determina l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie e la fattura eventualmente non conforme si ha per non emessa.
3.3.1. Segue: La fatturazione elettronica per contrastare l’evasione
La fattura elettronica comporta indubbiamente una serie di vantaggi per l’Agenzia dell’Entrate: certezza circa la data di emissione, autenticità dell’origine, immodificabilità nel tempo. Le caratteristiche intrinseche della fattura elettronica
80 Va specificato che in realtà non rientrano nel campo di applicazione del provvedimento n. 89757/2018 le fatture elettroniche emesse verso le P.A., le quali infatti soggiacciono al regime disposto dal Decreto Ministeriale n. 55/2013.
consentono di evitare l’evasione che si concretizzi mediante la mancata registrazione delle fatture emesse. In relazione alla deduzione di costi documentati da fatture per operazioni inesistenti è necessaria comunque una verifica specifica, al fine di distinguere le operazioni oggettivamente inesistenti da quelle soggettivamente inesistenti.
L’introduzione di tale obbligo trova, quindi, la propria ratio proprio nella lotta all’evasione, posto che la stessa facilita anche l’attività di controllo dell’Agenzia delle Entrate riducendo significativamente i tempi generalmente richiesti per conoscere dell’esistenza di un’attività evasiva.
3.4. Il meccanismo del cashback
Come emerge dalla Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale, la strategia del Governo si incentra su “introdurre incentivi fiscali in misura tale da far emergere un contrato di interessi tra le parti, al fine di rendere conveniente l’emissione della fattura e quindi la tracciabilità telematica ai fini della dichiarazione IVA”. In attuazione di tale strategia è stato innanzitutto previsto dalla legge di Bilancio 2020, al comma 288 dell’articolo 1, un bonus al fine di incentivare l’utilizzo di strumenti di pagamento elettronici da parte delle persone fisiche maggiorenni residenti nel territorio dello Stato, che, fuori dall’esercizio di attività d’impresa, arte o professione, effettuano abitualmente acquisti con strumenti di pagamento elettronici da soggetti che svolgono attività di vendita di beni e di prestazione di servizi. Da un punto di vista tecnico l’incentivo è concesso sotto forma di un rimborso in denaro, alle condizioni, nei casi e sulla base dei criteri individuati da un apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze. In buona sostanza il bonus si fonda sul meccanismo del cashback, ovvero il principio di restituzione di una spesa già compiuta mediante accredito del rimborso sul proprio conto corrente.
Il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 24 novembre 2020, n. 156 ha dato concreta attuazione al meccanismo del cashback, per favorire l’utilizzo di mezzi di pagamento tracciabili.
Si tratta in particolare di un decreto che prevede per ogni semestre un rimborso pari al 10% degli acquisti effettuati e un premio di 1500 euro per i 100.000 partecipanti che abbiano effettuato il maggior numero di acquisti.
Per quanto riguarda la prima delle due misure così disposte, è previsto un duplice limite all’eventuale rimborso, ovvero da un lato per ogni acquisto l’importo restituito non potrà superare i 15 euro81, da un altro lato non potrà aversi un rimborso superiore ai 1500 euro per ogni semestre. Ancora, condicio sine qua non affinché si possa beneficiare di tale bonus è il compimento di almeno 50 operazioni82 per semestre.
Il rimborso sarà effettuato al termine del periodo di riferimento83 mediante accredito sull’IBAN indicato dal beneficiario.
Inoltre, a partire dall’8 dicembre 2020 è iniziata la fase sperimentale del cashback, il cui rimborso avverrà nel mese di febbraio 2021. In tale fase di prova, il meccanismo si applica sino al 31 dicembre, con riduzione delle soglie minime per accedere al successivo rimborso, nonché dei limiti massimi. Infatti, per poter accedere al bonus è necessario porre in essere almeno dieci operazioni o acquisti per un minimo di 500 euro nel periodo di riferimento. Il rimborso, invece, non può in ogni caso superare l’importo di 150 euro. Per poter ottenere il rimborso de quo è necessario iscriversi su apposita app “Io”, nella quale si devono indicare le carte di credito e debito che risultano intestate al soggetto che procede all’iscrizione, nonché l’IBAN del conto su cui si desidera venga versato il rimborso nel mese di febbraio.
Il suddetto regime è destinato a diventare definitivo dal 1° gennaio 2021 sino al 30 giugno 2022, con la previsione di rimborsi semestrali.
Indubbio è il fine di questo ulteriore meccanismo: incentivare l’utilizzo di moneta
81 Le spese che eventualmente superino il valore di 150 euro saranno ugualmente trattate come se avessero tale valore massimo.
82 Le operazioni considerate rilevanti sono quelle in riferimento alle quali il pagamento avviene mediante strumenti elettronici, fatta eccezione per gli acquisti online. Maggiori specificazioni saranno fornite successivamente mediante una convenzione tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la società PagoPA S.p.A.
83 In particolare, con riferimento al primo periodo, si avrà l’erogazione nel mese di Luglio, mentre -per quanto riguarda il secondo periodo- si fa riferimento al mese di Gennaio.
elettronica così da scoraggiare operazioni in nero, nonché più in generale l’evasione fiscale.
Occorre considerare che sono esclusi dall’applicazione del meccanismo del cashback gli acquisti online. La ratio di tale esclusione risulta evidente se si considerano le finalità della misura in discorso. Infatti, essendo il cashback teso ad incentivare il pagamento a mezzo di carte di credito o di debito, in relazione al commercio online uno stimolo in tal senso non risulta essere necessario, posto che si è in presenza di acquisti che già vengono effettuati con moneta elettronica. Tali pagamenti, invero, sono tracciati ab origine e dunque dall’applicazione del cashback non si otterrebbero benefici rilevanti in termini di lotta all’evasione.
Tuttavia, l’esclusione dell’e-commerce dai benefici del D.M. n. 156/2020, ben presto è stata raggirata mediante i buoni spendibili online. Si tratta di buoni cartacei acquistati da negozi fisici come librerie, ipermercati, tabaccherie e negozi di elettronica che danno diritto ad un credito spendibile su specifiche piattaforme online. In tali casi, dunque, si ha un’operazione formalmente fisica, ma sostanzialmente posta in essere nell’ambito del commercio elettronico.
Esempio tipico è il buono per la piattaforma Amazon e basta pensare al fatto che tali buoni possono valere anche centinaia di euro per comprendere l’incidenza degli stessi sul divieto di applicazione del cashback agli acquisti online. Il trucco in questione, in teoria, è attuato nel puntuale rispetto della normativa sul cashback, posto che nessuna disposizione vieta l’acquisto di buoni fisici per acquisti online. Tuttavia, si tratta comunque di un raggiro che consente di ottenere un rimborso che in sostanza tradisce quello che è la ratio delle disposizioni in materia.
Per quanto riguarda, invece, il trattamento fiscale delle somme ottenute a titolo di rimborso nell’ambito del cashback, erano sorti dubbi circa la possibilità che le stesse concorressero a formare reddito, poiché non vi era una precisa regolamentazione della materia. La questione, però, è stata risolta dall’art. 194, L. 30 Dicembre 2020, n. 178 (c.d. Legge di Bilancio 2021), rubricato “Lotteria dei corrispettivi e cashback”. L’art 194, co. 3, lett. a) dispone, infatti, che il co. 288, art. 1, L. 27 Dicembre 2019, n. 60
debba essere modificato prevedendo che “i rimborsi attribuiti non concorrono a formare il reddito del percipiente per l’intero ammontare corrisposto nel periodo d’imposta e non sono soggettati ad alcun prelievo erariale”.
Un ulteriore spunto di riflessione sul cashback riguarda la sua legittimità in considerazione del diritto europeo. Secondo la Banca centrale europea, l'introduzione di un programma di cashback per incentivare i pagamenti elettronici è una misura sproporzionata alla luce del potenziale effetto negativo che potrebbe avere sul contante, compromettendo l'approccio neutrale verso i vari mezzi di pagamento disponibili.
Lo ha affermato in una lettera indirizzata, tra gli altri, al ministro dell'Economia Xxxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxx Xxxxxx, membro uscente del direttivo della Banca centrale europea, secondo quanto si legge nella lettera pubblicata sul sito della Bce.
"La Bce apprezzerebbe che le autorità italiane tenessero in debita considerazione i rilievi che precedono adempiendo in futuro al proprio obbligo di consultare la Bce, se del caso".
Dunque, si è posto il problema circa la compatibilità del cashback, in quanto misura nazionale, con il diritto dell’Unione Europea. In tal contesto occorre effettuare un riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nell’ambito delle cause riunite C-422/19 e C-423.
Il caso inizialmente sollevato dinanzi al Bundesverwaltungsgericht riguardava l’impossibilità per due cittadini tedeschi di procedere al pagamento di canoni televisivi, poiché l’emittente tedesca si rifiutava di accettare pagamenti in denaro, in sostituzione di bonifici e prelievo automatico diretto SEPA in applicazione dell’art. 10, par. 2 del regolamento sui canoni. Il giudice tedesco riconosceva che tale impossibilità fosse in contrasto con l’art. 14 della BBankG84 che, appunto, dispone che le banconote in euro hanno corso legale illimitato. La questione, successivamente, è stata oggetto di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, stante l’incertezza della Corte amministrativa federale tedesca circa la conformità del citato art. 14 con il diritto
84 Disposizione federale di rango superiore rispetto al regolamento dell’emittente tedesca che vietava il pagamento del canone a mezzo di contanti.
europeo in considerazione della competenza esclusiva dell’UE in materia di politica montaria, nonché con riguardo ai dubbi sorti circa la legittimità di una normativa nazionale che sostanzialmente ha l’effetto di limitare l’accettazione di pagamenti in banconote aventi corso legale per estinguere obbligazioni nei confronti di pubbliche autorità.
Con la citata sentenza la Corte di Giustizia, dopo aver stabilito che il regime di corso legale di banconote e monete metalliche in euro rientra nella competenza esclusiva dell’Unione Europea, ha però sottolineato che il diritto dell’Unione non osta all’introduzione di norme che restringono l’utilizzo di banconote come mezzo di pagamento. Infatti, una misura in tal senso comunque non si porrebbe in contrasto con il regime di corso legale dell’euro a condizione che siano assicurati altri mezzi legali di pagamento diversi dal contante.
Tuttavia si rendono necessarie delle specificazioni alla luce degli art. 128, par. 1, terza frase TFUE85, art. 16, co. 1, terza frase, protocollo sul SEBC e sulla BCE86 e art. 10, seconda frase, regolamento n. 974/9887. Infatti, dall’interpretazione di tali norme risulta che in ogni caso non si può considerare legittima una disposizione dell’ordinamento nazionale dalla quale deriva come conseguenza l’eliminazione di diritto o di fatto delle banconote e delle monete metalliche in euro. Tuttalpiù sarà possibile prevedere delle limitazioni all’utilizzo del contante purché giustificate da motivi di interesse pubblico, per i quali devono intendersi sia “motivi di ordine pubblico relativi alla sicurezza o alla lotta contro la criminalità” sia “l’interesse pubblico di assicurare un’organizzazione efficace dei pagamenti nelle società”88. Inoltre, la normativa dovrà essere conforme ai principi generali del diritto europeo, tra cui in particolare il principio di proporzionalità
85 Ai sensi del quale “Le banconote emesse dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell'Unione”
86 Xxxxx che riprende sostanzialmente il contenuto dell’art. 128, par. 1, terza frase, TFUE.
87 Il quale dispone che “fatto salvo l’articolo 15 (articolo che considera un periodo transitorio non superiore a sei mesi ai fini della sostituzione della moneta nazionale con l’euro) le banconote denominate in euro sono le uniche aventi corso legale negli Stati membri partecipanti”.
88 Corte di giustizia, 26 Gennaio 2021, cause riunite C-422/19 e C-423/19, pag. 8.
che da un lato richiede che la misura sia proporzionata allo scopo perseguito e, dall’altro lato, esclude l’ammissibilità di misure che “vadano oltre quanto è necessario per raggiungere tali obbiettivi”89. Nell’ipotesi di previsione di una normativa nazionale da cui deriva una limitazione dei pagamenti a mezzo di contante sarà necessario che sussistano i presupposti appena esposti90 e la competenza circa tale verifica spetta non alla Corte di Giustizia, ma al giudice nazionale eventualmente investito della questione. In conclusione, occorre comunque sottolineare che la sentenza del 26 gennaio 2021 della Corte di Giustizia si riferisce in maniera puntuale a limitazioni circa il pagamento mediante banconote e monete metalliche in euro nell’ambito di adempimenti di obbligazioni nei confronti di autorità pubbliche. Nel caso del cashback non vi è alcun limite ai pagamenti nei confronti di soggetti pubblici. Il vero parametro che potrebbe determinare la legittimità o meno del cash back in relazione alla normativa europea è il rispetto del requisito della proporzionalità. In altre parole, bisognerebbe valutare se la disincentivazione dell’utilizzo dei pagamenti in denaro contante sia o meno proporzionale con l’obiettivo di contrastare l’evasione. Dalle prime notizie apparse sulla stampa specializzata 91 , è emerso che al momento molti utenti, più che adottare comportamenti virtuosi in chiave anti-evasiva, si siano cimentati in comportamenti che
89 Corte di giustizia, 26 Gennaio 2021, cause riunite C-422/19 e C-423/19, pag. 8 e in tal senso anche Corte di Giustizia, causa C-516/17, Spiegel Online.
90 Cfr. Corte di giustizia, 26 Gennaio 2021, cause riunite C-422/19 e C-423/19: "l’articolo 128, paragrafo 1, terza frase, TFUE, l’articolo 16, primo comma, terza frase, del protocollo sul SEBC e sulla BCE, nonché l’articolo 10, seconda frase, del regolamento n. 974/98 devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale che esclude la possibilità di liberarsi da un’obbligazione di pagamento imposta da un’autorità pubblica mediante banconote in euro, a condizione, in primo luogo, che tale normativa non abbia per oggetto né per effetto di stabilire il regime giuridico del corso legale di tali banconote, in secondo luogo, che non comporti, de jure o de facto, un’abolizione di tali banconote, segnatamente rimettendo in causa la possibilità, in generale, di liberarsi da un’obbligazione di pagamento mediante tale contante, in terzo luogo, che sia stata adottata tenendo conto di motivi d’interesse pubblico, in quarto luogo, che la limitazione ai pagamenti in contanti derivante da tale restrizione sia idonea a realizzare l’obiettivo di interesse pubblico perseguito e, in quinto luogo, che non ecceda i limiti di quanto è necessario per la realizzazione dello stesso, nel senso che esistano altri mezzi legali per liberarsi dall’obbligazione di pagamento".
91 FORTE, Cashback ai nastri di partenza. Attenzione alle operazioni elusive, IPSOA Quotidiano, 7 dicembre 2020.
sfruttano le lacune del DM ministeriale con il quale è stato introdotto il cash back, frazionando in modo artificioso i pagamenti relativi ad un’unica operazione economica. Nell’articolo 8 del DM 24 novembre 2020, infatti, rispetto alle prime bozze circolate, è stato rimosso il comma 3, che in precedenza recitava: “sono vietati i frazionamenti artificiosi dei pagamenti effettuati con strumenti di pagamento elettronici riferibili al medesimo acquisto presso lo stesso esercente”.
In buona sostanza, molti utenti anziché utilizzare lo strumento in buona fede, stanno adottando comportamenti che di sicuro non hanno alcun collegamento con le dichiarate finalità antievasive del cashback, che sono pertanto ancora tutte da verificare.
A tal proposito, infatti, bisogna osservare che la bassa soglia di operazioni entro le quali è ammesso il bonus del 10%, pari a 1.500 euro, ben potrebbe orientare i comportamenti dei consumatori verso un doppio binario: i) esecuzione di pagamenti che già in precedenza avvenivano tramite strumenti elettronici, con le consuete modalità, al fine di raggiungere il plafond di 1.500 euro; ii) esecuzione di pagamenti oltre la soglia di
1.500 euro in contanti, al fine di evitare l’applicazione dell’IVA, nel caso in cui vi sia un accordo con la controparte.
Alla luce della recente sentenza della Corte di Giustizia e delle suddette considerazioni, la legittimità del cashback potrà essere affermata solo tramite un’analisi approfondita del principio di proporzionalità, ossia verificando se i dichiarati obiettivi antievasivi posti a fondamento dell’agevolazione stessa verranno effettivamente raggiunti92 oppure se la misura rappresenterà esclusivamente un aggravio per la spesa pubblica, a vantaggio di chi utilizza lo strumento in mala fede.
3.5. Le misure cautelari
A tutela dei propri crediti l’Amministrazione finanziaria può adottare misure cautelari. Si tratta del fermo amministrativo, dell’ipoteca su beni immobili e del sequestro
92 IGRAO, LUPI, Cashback e xxxxxxxxx recupero dell’evasione fiscale tramite incentivi all’uso di moneta elettronica, Riv. Telematica di Diritto Tributario, 25 gennaio 2021.
conservativo. Il fine che si persegue tramite tali misure è quello di dissuadere il debitore dal disattendere gli obblighi tributari, così da evitare di dover ricorrere al pignoramento. Allo stesso tempo, così facendo l’Agenzia delle Entrate ottiene un diritto di prelazione e potrà procedere all’espropriazione dei beni soddisfacendo la pretesa tributaria in via prioritaria sul prezzo ricavato con l’espropriazione.
A tal proposito si devono considerare i commi 5, 6 e 7, dell’art. 27 del d.l. 29 Novembre 2008, n. 185, nonché l’art. 15, commi da 8-bis a 8-quater, del D.L 1° Luglio 2009, n.
78. Come precisato dall’Agenzia delle Entrate nell’ambito dell’allegato 3 del provvedimento del 15 febbraio 2010, si tratta di norme che intendono fornire “un nuovo impulso all’utilizzo degli strumenti di tutela del credito erariale, di assoluta rilevanza per il contrasto dei più rilevanti fenomeni di evasione dalla riscossione”.
In particolare, il legislatore ha innanzitutto previsto la possibilità di iscrivere ipoteca93 sui beni del trasgressore e degli obbligati in solido, nonché di chiedere autorizzazione ad effettuare, a mezzo di ufficiale giudiziario, sequestro conservativo 94 dei beni a garanzia dei crediti relativi alle imposte risultanti da atto formale quale processo verbale di constatazione, atto di contestazione, provvedimento di irrogazione sanzioni, avviso di accertamento o atto di recupero dei crediti indebitamente utilizzati95. Ai fini della validità delle predette misure cautelari non si rende necessaria alcuna formalità o annotazione, sempre che si tratti di importi iscritti a ruolo oggetto di pvc. Inoltre, è
93 Così, l’Agenzia potrà godere di una prelazione e dunque potrà esercitare il diritto all’espropriazione di beni oggetto di garanzia, nonché soddisfare la propria pretesa sul prezzo ottenuto a seguito dell’espropriazione precedentemente agli altri eventuali creditori del debitore d’imposta.
94 Con il sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c. si vuole evitare che i relativi beni possano uscire dal patrimonio del debitore. Nel caso in cui a mente dell’Ufficio richiedente la pretesa tributaria non risulti sufficientemente garantita mediante il solo sequestro conservativo, si potrà anche avere la richiesta congiunta delle sue misure cautelari. Stessa soluzione potrà applicarsi nel caso in cui la sola iscrizione di ipoteca non risulti ugualmente sufficiente.
95 L’atto di recupero dei crediti indebitamente utilizzati anche in compensazione, si sostanzia in un atto autoritativo impositivo disciplinato dall’art. 1, co. 421, L. 30 Dicembre 2004, n. 311. Risulta, dunque, evidente come la ratio delle norme in commento sia quella di assicurare una garanzia per le somme dovute esclusivamente a titolo di imposta evasa, come già sottolineato dall’Agenzia delle Entrate nella precedente circolare del 6 Luglio 2001, n. 66/E in conformità all’art. 27, commi 5 e 6, D.L. n. 185/2008.
ammessa la possibilità di fare istanza cautelare qualora l’Agenzia ritenga vi sia un fondato pericolo per la riscossione96.
Ancora, l’Agenzia delle Entrate per procedere alla richiesta di iscrizione di ipoteca e autorizzazione di sequestro conservativo, potrà servirsi delle indagini finanziarie precedentemente poste in essere. Xxxxxx, l’art. 15, comma 8-bis, D.L. 78/2009 consente all’Agenzia di richiedere dati, notizie e documenti qualora vi sia il fondato motivo di ritenere che possa venir meno la garanzia del credito derivante da sanzioni tributarie. Le informazioni raccolte dall’Agenzia potranno essere utilizzate per individuare disponibilità da porre a garanzia del credito.
Dal punto di vista dell’ambito applicativo delle misure cautelari in discorso, non sembrano esservi particolari limitazioni in relazione alla tipologia di tributo, dato che l’art. 27, D.L. n. 185/2018 effettua un riferimento generale ai tributi.
Ancora, in teoria – non essendo previsti specifici limiti – le misure cautelari possono essere richieste per qualunque credito. Tuttavia, la Circolare n. 66/E del 2001 ha evidenziato come, per ragioni di opportunità, sia necessario fare riferimento ad una serie di parametri individuati nella Circolare stessa e modificati dall’Allegato 3 del Provvedimento del 15 Febbraio 2010. In tal modo si evita che il procedimento cautelare sia instaurato anche in relazione a crediti di modesto valore. In particolare, dall’atto impositivo deve emergere che si tratti di un recupero di maggiore imposta superiore a
120.000 euro, di un recupero di ritenute non operate superiore a 60.000 euro, nonché di un recupero di importo superiore a 60.000 euro per la sanzione minima qualora l’autore della violazione non coincida con il contribuente. Bisogna sottolineare che, comunque,
96 Si tratta di uno dei due presupposti necessari per l’accoglimento di un’istanza cautelare, ovvero il c.d. periculum in mora, requisito che si sostanzia nel fondato timore di perdere la garanzia del credito. Secondo quanto rilevato dall’agenzia nel citato allegato 3 sono sintomi di fondato pericolo elementi come un patrimonio dell’impresa irrisorio in confronto all’importo dovuto all’Erario, nonché l’atteggiamento del contribuente che pone in essere atti dispositivi al fine di ridurre il proprio patrimonio.
Invece, il secondo requisito, ovvero il c.d. fumus boni iuris, richiede l’attendibilità e la sostenibilità della pretesa tributaria e la sua sussistenza si determina dall’esistenza di uno egli atti autoritativi impositivi dell’Ufficio che si occupa della riscossione dell’imposta.
qualora il credito non rientri nei parametri illustrati, i funzionari verificatori potranno ugualmente valutare l’opportunità di instaurare apposito procedimento cautelare. Gli importi individuati dall’Agenzia non determinano un obbligo di esclusione dei crediti che non raggiungono determinate soglie, ma al massimo si pongono quali linee guida. In base a quanto previsto dall’art. 22 del D.Lgs. n. 472/1997 l’istanza cautelare, contente tutti gli elementi richiesti dalla legge 97 , deve essere presentata al Presidente della Commissione tributaria provinciale, nella cui circoscrizione ha sede l’Ufficio che ha emesso il provvedimento con cui si contesta la violazione e viene irrogata la sanzione. Tale istanza, congiuntamente agli altri atti che l’Ufficio ritiene rilevanti, deve anche essere notificata a tutte le parti interessate, le quali potranno depositarie memorie e documenti difensivi. Il presidente provvederà quindi a fissare la trattazione della domanda cautelare in camera di consiglio, al termine della quale si avrà la decisione della Commissione con sentenza.98 La sentenza potrà essere impugnata con gli ordinari mezzi di impugnazione.
Occorre sottolineare che comunque il comma 7 del suddetto art. 22 dispone che “i provvedimenti cautelari perdono efficacia se, nel termine di centoventi giorni dalla loro adozione, non viene notificato atto di contestazione o di irrogazione”.
Finora sono state considerate la sola iscrizione di ipoteca e il sequestro conservativo, tuttavia vi sono anche ulteriori misure di tutela del credito erariale, tra cui in particolare l’iscrizione del ruolo straordinario ex art. 15-bis, D.P.R. del 29 Settembre 1973, n. 602, la sospensione dei rimborsi e la compensazione e dei crediti vantati nei confronti
97 Quali in particolare, l’individuazione del titolo sulla base del quale si procede e della somma per cui si procede, le indicazioni necessarie circa la sussistenza dei requisiti del fumus boni iuris e periculum in mora, l’individuazione dei beni e dei crediti che si intendono sottoporre a sequesto o ipoteca, nonché la loro descrizione.
98 La procedura esposta si sostanzia in quella c.d. ordinaria. Tuttavia, è prevista un’ulteriore procedura avente carattere straordinario. Essa, infatti, sarà prevista nelle ipotesi di eccezionale urgenza o pericolo nel ritardo, allegati e provati dall’Ufficio richiedente la misura cautelare. In tal caso provvederà direttamente il Presidente con decreto motivato (reclamabile al collegio entro 30 giorni) e senza sentire le altre parti.
dell’Amministrazione ex art. 23, comma 1, D.Lgs. n. 472/1997, il fermo amministrativo ex art. 69, comma 6, X.X. 00 Novembre 1923, n. 2440.
In relazione al ruolo straordinario, esso potrà essere iscritto qualora vi sia fondato pericolo per la riscossione ex art. 11, D.P.R. 602/1973. 99 Si tratta, in ogni caso, di strumento esercitabile solo a seguito dell’emanazione di un avviso di accertamento, diversamente dalle misure cautelari dell’iscrizione di ipoteca e di sequestro conservativo, le quali infatti rilevano anche in una fase precedente a tale emanazione. Il ruolo straordinario potrà essere iscritto anche a seguito di provvedimento di accertamento dei maggiori tributi in caso di pericolo per la riscossione ex art. 27, co. 6, D.L. n. 185/2008.
Quanto alla sospensione dei rimborsi e alla compensazione di crediti, tali misure si ritengono applicabili solo ai fini della tutela del credito derivante dall’applicazione di sanzioni tributarie. Ovviamente, la sospensione del rimborso e la compensazione potranno operare esclusivamente nei limiti del quantum determinato dal provvedimento sanzionatorio.
Da ultimo il fermo amministrativo è misura residuale, applicabile solo qualora non vi sia possibilità di ricorrere alle altre misure e sempre che sussista il requisito del fumus boni iuris100. Il fermo viene richiesto dall’Amministrazione titolare del credito di natura fiscale alle altre Amministrazioni nei cui confronti il medesimo contribuente risulti essere creditore previa valutazione dell’impatto che tale fermo possa determinare sull’esercizio dell’attività economica del contribuente stesso. Si tratta di misura provvisoria, la quale ha carattere generale ed è utilizzabile in caso di credito non ancora certo, liquido ed esigibile. Infatti, la previsione del fermo amministrativo richiede
99 Cfr. Circolare n. 4/E del 2010 dell’Agenzia delle Entrate, pag. 31: “si deve ricorrere a tale strumento ogni qualvolta vi sia un giustificato timore di perdere il credito erariale nei casi in cui la situazione economico-finanziaria del contribuente non offra garanzie idonee e adeguate a soddisfare la pretesa fiscale”.
100 Cfr. Circolare n. 4/E del 2010 dell’Agenzia delle Entrate, pag. 34: “ La ragione di credito è caratterizzata dal fumus boni iuris, vale a dire dalla sussistenza di elementi tali da determinare nell’Amministrazione il convincimento che esiste una ragionevole fondatezza del suo diritto”.
l’emanazione di un successivo provvedimento definitivo di incameramento o sblocco del pagamento.
CAPITOLO 3
Il reverse charge
1. L’inversione dell’onere tributario
Come già anticipato, la disciplina generale dell’IVA prevede che debitore d’imposta è colui che effettua l’operazione rilevante nel territorio dello Stato. Tuttavia i commi 5, 6, 7, 8 e 9 dell’art 17 del D.P.R. n. 633/1972 introducono delle deroghe al predetto principio, stabilendo che “ in deroga al primo comma … al pagamento dell’imposta è tenuto il cessionario se soggetto passivo d’imposta nel territorio dello Stato” o il committente e, così, disciplinando l’istituto della c.d. “inversione contabile” o “reverse charge”, in ragione del quale gli obblighi di versamento dell’IVA devono essere adempiuti non dal cedente o da colui che esegue la prestazione, ma dal cessionario o da colui che la riceve.
Il reverse charge, pertanto, comporta una deviazione alla normale contribuzione dell’IVA, ovvero uno spostamento del carico tributario dal cedente o prestatore al cessionario o utilizzatore; e ciò mediante l’emissione di un’autofattura da parte di questi ultimi, ovvero l’emissione della fattura da parte del cedente o prestatore – senza addebito d’imposta – da integrarsi dal cessionario o committente con l’aliquota di riferimento.
In entrambe le ipotesi sopra prospettate è fatto obbligo al cessionario o al committente di registrare la fattura sia nel registro delle fatture emesse, che nel registro degli acquisti ai fini della detrazione101 (detta registrazione deve essere effettuata entro “il mese di ricevimento, ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese”).
Nel prosieguo, a seguito di un breve richiamo al reverse charge c.d. “esterno”, si avrà modo di approfondire in particolare il reverse charge c.d. “interno” (paragrafi 3 e 4), nonché le ipotesi di frode fiscale alla cui prevenzione l’istituto è preordinato (paragrafo
101 C.d. doppia annotazione.
5) e i principali profili applicativi in ragione dell’obbligo generalizzato di fatturazione elettronica (paragrafo 6), per concludere con la disamina della disciplina sanzionatoria, anche attraverso l’esame di due diverse vicende sottoposte al vaglio della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (paragrafo 7).
2. Il reverse charge esterno
L’istituto del reverse charge esterno, che si sostanzia sempre in un’inversione contabile, si applica unicamente a specifiche operazioni in cui cedente o prestatore è un soggetto non stabilito in Italia: acquisti intracomunitari di beni effettuati da soggetti passivi IVA, acquisti intracomunitari di servizi effettuati da soggetti passivi IVA e acquisti di servizi resi da fornitori extra-UE. Come evidente, finalità dell’istituto, nel caso di specie, è essenzialmente quello di evitare la detrazione dell’IVA che, diversamente, dovrebbe essere corrisposta ai cedenti o prestatori esteri102.
3. Il reverse charge interno
Il reverse charge interno si applica ad operazioni tra soggetti passivi IVA stabiliti in Italia ed è stato inizialmente previsto ed è tuttora utilizzato quale strumento di contrasto all’evasione, poiché finalizzato a impedire al cedente/committente e al cessionario/prestatore di un’operazione rilevante ai fini IVA di non versare l’imposta o di compensare o chiedere un rimborso d’imposta all’Erario (a fonte di indebite detrazioni) non dovuto.
L’applicazione dell’istituto è riservata esclusivamente a determinate operazioni normativamente individuate, invero riconducibili a settori nei quali maggiormente si ritiene che si annidi il fenomeno evasivo.
102 A tal proposito di per sé la detrazione dell’IVA transnazionale sarebbe effettivamente possibile solo se fosse prevista a livello comunitario una stanza di compensazione, che però non è mai stata realizzata.
4. L’istituto
Come già evidenziato, il reverse charge si qualifica come eccezione al regime ordinario di applicazione dell’imposta e quindi, in quanto istituto previsto in via derogatoria, la sua applicazione è limitata a operazioni specificamente previste, anche se nel corso degli anni successivi alla sua introduzione l’ambito di applicazione è stato sempre più ampliato.
Per un corretto inquadramento dell’istituto pare opportuno muovere innanzitutto dall’analisi della sua evoluzione a livello dell’Unione Europea, la cui disciplina si pone a fondamento della previsione e applicazione dell’inversione contabile nell’ordinamento italiano.
4.1. La normativa europea
Essendo l’IVA un’imposta armonizzata, il reverse charge trova il proprio fondamento nelle fonti europee. Innanzitutto si devono considerare gli artt. 199, 199-bis e 395 della Direttiva 2006/112/CE.
L’art. 199 dispone che “gli Stati Membri possono stabilire che il debitore dell’imposta sia il soggetto passivo” nei confronti del quale sono eseguite le operazioni elencate allo stesso comma 1. Il quarto comma specifica poi che l’eventuale introduzione di tale misura deve essere oggetto di comunicazione al Comitato IVA di cui all’art. 398 della medesima Direttiva.
L’elenco di operazioni passibili di inversione contabile è individuato dal primo comma dell’art. 199; tuttavia esso non è esaustivo. L’elenco, infatti, deve necessariamente essere integrato con quanto previsto dall’art. 199-bis, da ultimo modificato dalla Direttiva del 6 novembre 2018, n. 1695.
Detto articolo, in particolare, prevede che fino al 30 giugno 2020 il meccanismo del reverse charge possa essere applicato anche in relazione ad ulteriori fattispecie e che a
tal fine, oltre ad essere sempre necessario che sia informato il Comitato IVA, lo Stato Membro debba fornire informazioni specifiche, nonché presentare una relazione alla Commissione che “fornisca una valutazione dettagliata dell’efficacia e dell’efficienza globali della misura”103.
L’art. 395 della medesima Direttiva, invece, prevede un’ulteriore modalità di adozione del regime di reverse charge, la quale, tuttavia, è decisamente più sofisticata. Infatti, la procedura si attiva su domanda dello Stato Membro alla Commissione, la quale – se dispone di tutti i dati necessari per valutare la necessità di “introdurre misure speciali di deroga alla direttiva 112/2006, allo scopo di semplificare la riscossione dell’imposta o di evitare talune evasioni o elusioni fiscali” – trasmette la domanda agli altri Stati membri e presenta una proposta (o una comunicazione in cui espone il proprio punto di vista, qualora la domanda posta dallo Stato Membro susciti obiezioni da parte della Commissione stessa) al Consiglio, chiamato a deliberare all’unanimità. È tuttavia prevista una condizione all’adozione di misure in deroga: le stesse “non dovranno influire, se non in misura trascurabile, sull’importo complessivo delle entrate fiscali dello Stato Membro”.
Infine, ancora diverso è il meccanismo previsto dall’art. 199-ter, c.d. Quick Reaction Mechanism.
Si tratta di un istituto che consente agli Stati membri di applicare l’inversione contabile anche ad altre determinate operazioni, ma per un periodo di tempo limitato, in ogni caso non superiore ai nove mesi A tal fine, però, è comunque necessario che lo Stato versi in una situazione di “imperativa urgenza” e il meccanismo deve essere volto “combattere la frode improvvisa e massiccia che potrebbe condurre a perdite finanziarie gravi e irreparabili”.
103 Con particolare riferimento a:
“a) l'impatto sulle attività fraudolente inerenti alle cessioni di beni o alle prestazioni di servizi contemplate nella misura;
b) il possibile trasferimento delle attività fraudolente ai beni o ad altri servizi;
c) i costi di adeguamento alla misura per i soggetti passivi”.
In tal caso la scelta dovrà essere notificata dallo Stato membro agli altri Stati membri, nonché alla Commissione, con contestuale domanda alla stessa ex art. 395. Considerato che l’accesso a tale meccanismo è consentito solo in presenza delle particolari circostanze di evasione richiamate, alla Commissione è concesso un termine di trenta giorni per prendere in esame la richiesta e formulare obiezioni, così da poter valutare in maniera opportuna l’adeguatezza della misura.
4.2. L’inversione contabile in Italia
Nel nostro ordinamento le disposizioni che individuano le operazioni ci si applica l’istituto in esame sono individuate nei commi 5, 6 e 7 dell’art. 17 del D.P.R. n. 633/1972, introducendo il comma 8 solo un limite temporale di applicazione del reverse charge ad alcune operazioni contemplate dal sesto comma.
Per comprendere il fenomeno di progressiva estensione della sfera di applicazione dell’istituto si consideri che originariamente in Italia il reverse charge interessava esclusivamente, per effetto del D.L. del 19 dicembre 1984, n. 853, il settore dei rottami e degli altri materiali di recupero.
L’elenco delle operazioni attratte alla disciplina dell’inversione contabile è stato quindi di volta in volta ampliato in ragione della ritenuta maggiore “pericolosità” di alcune operazioni avuto riguardo al relativo rischio di elusione o evasione fiscale; l’individuazione di dette operazioni è contenuta nel quinto comma dell’articolo in esame.
Il successivo sesto comma, a sua volta, prevede un’ulteriore possibilità di estensione dell’ambito di applicazione dell’istituto in esame, giusta il riferimento “alle ulteriori operazioni individuate dal Ministro dell’Economia e Finanze, con propri decreti… ovvero individuate con decreto emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, nelle ipotesi in cui necessita la preventiva autorizzazione comunitaria prevista dalla direttiva”.
La previsione del sesto comma dell’art. 17 è stata inoltre ampliata dalla c.d. “legge di stabilità” 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190); in particolare l’art. 1, comma 629, di detta legge, ha esteso l’applicazione del reverse charge ad ulteriori operazioni riconducibili a settori ritenuti ad alto rischio di evasione, tra cui: le prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione impianti e di completamento relative ad edifici; i trasferimenti di quote di emissioni di gas a effetto terra ex art. 3 della Direttiva 2003/87/C; i trasferimenti di altre unità che possono essere utilizzate dai gestori per conformarsi alla medesima Direttiva 2003/87/CE e di certificati relativi al gas e all’energia elettrica; le cessioni di gas ed energia elettrica a un soggetto passivo- rivenditore ex art 7-bis, comma 3, lett. a), Decreto IVA. Dal 2015, ancora, rientrano nell’ambito di operatività dell’istituto anche le cessioni di bancali di legno usati.
Si tratta in ogni caso di misure la cui applicazione ha una durata limitata nel tempo104. Un discorso a parte merita l’applicazione dell’inversione contabile alle cessioni di beni effettuate nei confronti degli ipermercati, supermercati e discount alimentari105, per la quale sarebbe stata necessaria una misura di deroga ex art. 395 della Direttiva 2006/112/CE da parte del Consiglio dell’Unione Europea in considerazione del significativo impatto, sotto il profilo della perdita di liquidità per le imprese del settore, che la stessa avrebbe comportato per l’intero settore della grande distribuzione106.
104 Infatti l’art. 1, comma. 631, della legge di stabilità 2015 prevede un’efficacia limitata ad un periodo di quattro anni, conformemente a quanto stabilito dall’art. 199-bis della Direttiva 112/2006/CE.
105 Di cui si tratterà nel paragrafo 4.2.2.
106 A tal proposito non sono mancate lamentele da parte degli operatori del settore della grande distribuzione, in primis Xxxxxxx Xxxxxxx, presidente e amministratore delegato dell’omonima società, il quale ha sottolineato come un effetto indesiderato dell’applicazione del reverse charge – comportando la diminuzione di liquidità per i fornitori – potrebbe essere l’agevolazione di prodotti esteri con conseguente catena di fallimenti e chiusure di imprese.
4.2.1. I settori interessati
I settori interessati dall’applicazione dell’inversione contabile sono principalmente quelli dell’edilizia, dei prodotti elettronici in fase distributiva, dell’oro, dei rottami, di gas ed energia107 e dei consorzi.
Nel prosieguo si procederà a una sommaria disamina di ciascuno di essi.
4.2.1.1. Il settore dei rottami e degli altri materiali di recupero
Il D.P.R n. 633/1972, a seguito delle modifiche apportate dal D.L. del 19 dicembre 1984,
n. 853, ha previsto l’applicazione del reverse charge alle cessioni di rottami, cascami e avanzi di metalli, ferrosi e non ferrosi e dei relativi lavori, di carta da macero, di stracci e di scarti di ossa, pelli, vetri, gomma e plastica108, per “evitare i particolari abusi che
107 Con esclusione del gpl (gas petrolio liquefatto).
108 L’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 43/E del 12 maggio 2008 ha avuto modo di specificare che per rottami si intende beni non più utilizzabili secondo la destinazione d’uso originaria e dunque non più suscettibili di reimpiego se non mediante una necessaria lavorazione e trasformazione. Più precisamente, ad oggi, il reverse charge sarà applicato ex art. 74 commi 7 e 8 del D.P.R. n. 633/1972 alle cessioni di: “rottami, cascami e avanzi di metalli ferrosi e dei relativi lavori, di carta da macero, di stracci e di scarti di ossa, di pelli, di vetri, di gomma e plastica, intendendosi comprese anche quelle relative agli anzidetti beni che siano stati ripuliti, selezionati, tagliati, compattati, lingottati o sottoposti ad altri trattamenti atti a facilitarne l'utilizzazione, il trasporto e lo stoccaggio senza modificarne la natura, al pagamento dell'imposta e' tenuto il cessionario, se soggetto passivo d'imposta nel territorio dello Stato. La fattura, emessa dal cedente senza addebito dell'imposta, con l'osservanza delle disposizioni di cui agli artt. 21 e seguenti e con l'annotazione «inversione contabile» e l'eventuale indicazione della norma di cui al presente comma, deve essere integrata dal cessionario con l'indicazione dell'aliquota e della relativa imposta e deve essere annotata nel registro di cui agli articoli 23 o 24 entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese; lo stesso documento, ai fini della detrazione, e' annotato anche nel registro di cui all'articolo 25. Agli effetti della limitazione contenuta nel terzo comma dell'articolo 30 le cessioni sono considerate operazioni imponibili. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche per le cessioni dei semilavorati di metalli ferrosi di cui alle seguenti voci della tariffa doganale comune vigente al 31 dicembre 2003:
a) ghise gregge e ghise specolari in pani, salmoni o altre forme primarie;
b) ferro-leghe
c) prodotti ferrosi ottenuti per riduzione diretta di minerali di ferro ed altri prodotti ferrosi spugnosi, in pezzi, palline o forme simili; ferro di purezza minima in peso, di 99,94%, in pezzi, in palline o forme simili;
si verificano nel settore”109. In particolare, l’istituto in esame si applica sia alle imprese che producono rottame, inteso come scarto di lavorazione, sia a quelle che raccolgono e rivendono tali materiali, anche solo occasionalmente, sia ancora alle imprese che commerciano semilavorati di metalli. L’inversione, viceversa, non si applica qualora il cessionario o committente sia un soggetto privato e a tal proposito l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione 28/E/2012, ha specificato che il debitore dell’imposta deve essere individuato nel cessionario anche qualora lo stesso non abbia né sede né stabile organizzazione nel territorio della Repubblica italiana. In tal caso sarà, quindi, necessario – ma anche sufficiente – che il cessionario non residente nel territorio della Repubblica si identifichi in Italia ai fini IVA, anche mediante nomina di un rappresentante fiscale110.
L’inversione contabile si estende anche alle lavorazioni effettuate su rottami, cascami, avanzi di metalli ferrosi e non ferrosi, nonché sugli altri materiali della lavorazione, sempre che tali lavorazioni siano finalizzate alla realizzazione di un prodotto finale comunque qualificabile come rottame.
d) graniglie e polveri, di ghisa greggia, di ghisa specolare, di ferro o di acciaio” nonché alle cessioni di “rottami, cascami e avanzi di metalli non ferrosi e dei relativi lavori, dei semilavorati di metalli non ferrosi di cui alle seguenti voci della tariffa doganale comune vigente al 31 dicembre 1996:
a) rame raffinato e leghe di rame, xxxxxxx;
b) nichel greggio, anche in lega;
c) alluminio greggio, anche in lega;
d) xxxxxx xxxxxxx, raffinato, antimoniale e in lega;
e) zinco greggio, anche in lega;
e-bis) xxxxxx xxxxxxx, anche in lega;
e-ter) filo di rame con diametro superiore a 6 millimetri;
e-quater) filo di alluminio non legato con diametro superiore a 7 millimetri ; e-quinquies) filo di leghe di alluminio con diametro superiore a 7 millimetri; e-sexies) barre di ottone”.
109 Circolare del Ministero dell’Economia e Finanze n. 26/1985, punto 2.
110 Si tratta di puntualizzazione effettuata dall’Agenzia delle Entrate a seguito di interpello nel Gennaio 2020 a seguito di un particolare caso che riguardava un soggetto passivo IVA stabilito in Polonia, ma che effettuava prestazioni di servizi a soggetti passivi IVA stabiliti in Italia. In tale ambito è stato specificato che esistono “cessioni di beni e prestazioni di servizi che rientrano oggettivamente nel meccanismo dell’inversione contabile, per le quali gli obblighi IVA sono sempre in capo al committente”.
Analogamente, tale estensione riguarda anche le ipotesi di prestazione di servizi di trasporto accessorie alla cessione del materiale di scarto, nonché altre ipotesi di servizi accessori se effettuati dal cedente o comunque per suo conto.
4.2.1.2. Le cessioni di oro
La legge 17 gennaio 2000, n. 7, ha esteso l’applicazione del reverse charge al settore delle cessioni di oro.
In particolare, rientrano nell’ambito di operatività dell’istituto in esame:
a) le cessioni di oro da investimento, che si sostanzia in lingotti e placchette aventi peso superiore ad un grammo e con purezza almeno pari a 995 millesimi, nonché monete d’oro con purezza di almeno 900 millesimi coniate dopo il 1800;
b) le cessioni di oro diverso da quello da investimento – c.d. oro industriale –, che consiste in materiale d’oro e semilavorati di purezza pari almeno a 325 millesimi destinati alla lavorazione industriale;
c) le cessioni di argento puro.
Sono altresì attratti al regime dell’inversione contabile le cessioni di prodotti d’oro finiti e lavorati, che di regola sarebbero sottoposti al regime ordinario, qualora tali beni siano usati e ceduti da soggetti privati.
Si precisa altresì che, a differenza di quanto previsto per l’oro c.d. industriale, alle cessioni di oro da investimento 111 si applicherebbe ordinariamente il regime di esenzione dall’imposta ex art 10, n. 11), del D.P.R. 633/1972; l’applicazione del reverse charge – con conseguente attrazione dell’operazione al regime dell’imponibilità – costituisce pertanto conseguenza di una specifica opzione cui consegue l’obbligo di assoluzione dell’imposta a carico dei cessionari che commerciano o trasformano l’oro acquistato in oro da investimento ex art. 17 comma 5 del medesimo D.P.R. n. 633/1972.
111 Dalla lettura del Decreto IVA emerge in maniera chiara come l’oro da investimento sia trattato dal legislatore ai fini dell’applicazione dell’imposta alla stregua di un prodotto finanziario.
Con risoluzione n. 92/E/2013 l’Agenzia delle Entrate ha avuto modo di specificare che, ai fini dell’applicazione del reverse charge, rileva il concreto reinserimento dei beni di oro nel processo di lavorazione industriale 112 , di talché possono essere ricondotte all’applicazione dell’istituto in esame anche le ipotesi di rivendita di oro finalizzata al processo di fusione e affinazione chimica per il recupero del metallo prezioso. Sulla questione si è pronunciata anche la Commissione Tributaria Regionale della Puglia che, con sentenza n. 2058/2015, ha precisato che ai fini dell’applicazione del reverse charge occorre avere riguardo alla destinazione finale dell’oggetto venduto, indipendentemente dalla sua natura di oro usato o semilavorato, nonché all’attività del cessionario, che deve essere volta all’esclusiva fusione e affinazione chimica del materiale, senza possibile diretta commercializzazione dell’usato.
4.2.1.3. Il settore edile
Per effetto di interventi legislativi ulteriori l’elenco delle operazioni attratte al regime di reverse charge è stato successivamente ampliato fino a comprendere le prestazioni di servizi nel settore edile rese dai subappaltatori 113 , nonché di pulizia, demolizione, installazione impianti e completamento relative ad edifici.
Per quanto concerne i contratti di subappalto, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che, ai fini dell’individuazione del settore edile nell’ambito del quale si applica l’inversione contabile, deve farsi riferimento ai codici ATECO del 2007. Il reverse charge si applica ai lavori generali di costruzione, ai lavori speciali per edifici e opere di ingegneria civile,
112 In particolare ai sensi della risoluzione n. 92/E del 12 Dicembre 2013, un bene è destinato ad un processo intermedio di lavorazione “non solo qualora sia inidoneo oggettivamente ad essere inserito nel circuito commerciale (ad esempio in quanto rotto o difettoso), ma anche ogni qual volta, pur essendo un monile sano e non definibile in senso stretto come "rottame", sia ceduto ad un operatore che effettua su di esso l’attività industriale di trasformazione e affinazione del metallo prezioso e lo lavora alla stregua di oro industriale. In pratica per l’Agenzia quello che conta, ai fini dell’applicazione del meccanismo del reverse charge, è la destinazione al processo di lavorazione e trasformazione industriale, dell’oggetto, a prescindere che si tratti di un rottame in senso stretto o di un qualsiasi bene di oro usato (sia esso integro ovvero rotto o difettoso, riparabile o meno)”.
113 Solo qualora la prestazione sia relativa a beni immobili.
ai lavori di completamento del fabbricato, ai lavori di installazione nel fabbricato stesso dei servizi, ivi compresi i nuovi lavori, le riparazioni, i rinnovi e restauri, le aggiunte e alterazioni, la costruzione di edifici e strutture prefabbricate in cantiere anche temporanee.
Ovviamente è comunque necessario che i soggetti subappaltatori rendano servizi114, in esecuzione di contratti di subappalto o d’opera, ad imprese del settore dell’edilizia che si pongono in qualità di appaltatori o subappaltatori nel settore edile.
Il reverse charge, infine, si applica ai subappaltatori anche quando la loro attività nel settore edile non è esercitata in via esclusiva o prevalente, salvo che si tratti di attività meramente occasionale.
4.2.1.4. Il settore energetico
Per ciò che riguarda il settore energetico, è solo con l’entrata in vigore della legge 23 dicembre 2014, n. 190115 che il reverse charge è stato esteso anche alle cessioni di gas e di energia elettrica116 ove effettuate a un soggetto passivo-rivenditore, inteso quale soggetto che svolge principalmente un’attività che si sostanzia nell’alienazione di gas,
114 Il servizio reso deve sostanziarsi prevalentemente nella prestazione di manodopera, infatti con la Circolare 37/E del 2006 l’Agenzia delle Entrate ha ribadito che sono escluse dal reverse charge le prestazioni di opera intellettuale rese da professionisti e le forniture di beni con posa in opera qualora il prezzo dei beni sia preminente rispetto al costo della operazione considerata nella sua totalità e sempre che comunque la messa in posa dei beni non ne abbia alterato la natura.
115 C.d. Legge di stabilità per il 2015 in vigore dal 1° Gennaio 2015.
116 In particolare ex art. 17, comma 6, lettere d-bis), d-ter), d-quater) si applica il reverse charge: “d-bis) ai trasferimenti di quote di emissioni di gas a effetto serra definite all'articolo 3 della direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 2003, e successive modificazioni, trasferibili ai sensi dell'articolo 12 della medesima direttiva 2003/87/CE, e successive modificazioni;
d-ter) ai trasferimenti di altre unità che possono essere utilizzate dai gestori per conformarsi alla citata direttiva 2003/87/CE e di certificati relativi al gas e all'energia elettrica; d-quater) alle cessioni di gas e di energia elettrica a un soggetto passivo-rivenditore ai sensi dell'articolo 7-bis, comma 3, lettera a)”
energia elettrica, calore o freddo precedentemente acquistati117 (ove il soggetto non sia qualificabile quale soggetto passivo-rivenditore, la transazione resta infatti sottoposta a regime ordinario).
La scelta del legislatore di applicare il meccanismo di inversione contabile al settore dell’energia non sorprende, essendo questo uno tra i più interessati dal fenomeno delle frodi IVA: al riguardo, la stessa Europol ha evidenziato come negli Stati Membri dell’Unione Europea fino al 90% del volume delle transazioni in questo settore presentino caratteri fraudolenti e indizi di infiltrazione della criminalità organizzata.
Per completezza, deve essere precisato che rientrano nell’ambito applicativo della norma anche le cessioni di certificati che hanno finalità di incentivazione dell’efficienza energetica o della produzione di energia da fonti rinnovabili, tra cui ad esempio certificati verdi, titoli di efficienza energetica e garanzie di origine. Sono, invece, escluse le cessioni di gas aventi ad oggetto il Gas di Petrolio Liquefatto (GPL).
Parimenti, il servizio di trasporto di energia a favore dei rivenditori effettuato da un’impresa che opera nel settore energetico si considera anch’esso soggetto a reverse charge, in quanto si presume un rapporto di accessorietà rispetto alle cessioni di gas e di energia elettrica.118
4.2.1.5. Le cessioni di fabbricati
Le cessioni di fabbricati sono soggette a regime di esenzione da IVA se rientrano nel catalogo di operazioni ex art. 10, comma 1, n. 8-bis e 8-ter, del D.P.R. n. 633/1972119,
117 In realtà nulla osta a che parte di tali beni acquistati sia utilizzata per uso personale, ma la quantità destinata a tale uso personale deve risultare in ogni caso di entità trascurabile rispetto alla quantità indirizzata alla rivendita.
118 Cfr. Risposta n. 59 all’interpello da parte dell’Agenzia delle Entrate.
119 A norma di tale articolo sono esenti:
“8-bis) le cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato diversi da quelli di cui al numero 8- ter), escluse quelle effettuate dalle imprese costruttrici degli stessi o dalle imprese che vi hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di cui all'articolo 3, comma 1, lettere c), d) ed f), del Testo Unico dell'edilizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, entro cinque anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell'intervento, ovvero quelle effettuate dalle stesse imprese anche successivamente nel caso in
altrimenti sono soggette a regime ordinario o ancora a reverse charge se viene esercitata la relativa opzione.
Nella nozione di cessione di fabbricati deve ricomprendersi il trasferimento di qualsiasi diritto reale (proprietà, usufrutto, …).
Particolarmente significativa ai fini in esame la distinzione tra fabbricati abitativi e fabbricati strutturali, a mente della quale è ormai prassi consolidata quella che ritiene che tale ripartizione categorica debba essere effettuata con riferimento alla classificazione catastale dei fabbricati, non rilevando l’effettivo utilizzo del bene immobile.120
Nell’ipotesi di fabbricati abitativi, la sottoposizione al regime di reverse charge su opzione è prevista per le cessioni effettuate dalle stesse imprese che hanno costruito il fabbricato oggetto di cessione o sul quale hanno eseguito interventi di ripristino da più di cinque anni, nonché alle cessioni di fabbricati destinati ad alloggi sociali ex Decreto del Ministero delle Infrastrutture del 22 aprile 2008.
cui nel relativo atto il cedente abbia espressamente manifestato l'opzione per l'imposizione, e le cessioni di fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali, come definiti dal decreto del Ministro delle infrastrutture 22 aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.
146 del 24 giugno 2008, per le quali nel relativo atto il cedente abbia espressamente manifestato l'opzione per l'imposizione; 8-ter) le cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato strumentali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni, escluse quelle effettuate dalle imprese costruttrici degli stessi o dalle imprese che vi hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di cui all'articolo 3, comma 1, lettere c), d) ed f), del Testo Unico dell'edilizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, entro cinque anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell'intervento, e quelle per le quali nel relativo atto il cedente abbia espressamente manifestato l'opzione per l'imposizione”
120 Dunque si considerano fabbricati abitativi quelli di tipo signorile, civile, economico, popolare, ultra-popolare, rurale, nonché i villini, le ville, i castelli, i palazzi di eminenti pregi artistici e storici, le abitazioni e gli alloggi tipici dei luoghi. Diversamente i fabbricati strumentali non sono altro che i collegi, i convitti, le case di cura e gli ospedali, le prigioni, le scuole, le biblioteche, i musei, le gallerie, le accademie, gli oratori, i magazzini, i negozi, i fabbricati e i locali per esercizi sportivi, gli stabilimenti balneari e terme, le stalle e le scuderie, gli opifici, gli impianti industriali, gli alberghi, le stazioni per servizio di trasporto, gli edifici a destinazione particolare, gli uffici e gli studi privati.
Le cessioni di fabbricati strumentali, invece, possono essere assoggettate ad inversione contabile anche se poste in essere da soggetti diversi da coloro che hanno provveduto alla costruzione del fabbricato o che lo hanno ripristinato nel termine del quinquennio dalla conclusione dei lavori. In tal caso, però, sarà necessario che la scelta in merito all’applicazione del reverse charge sia oggetto di apposita indicazione espressa nell’atto di cessione. Ovviamente, quanto appena detto non trova comunque applicazione nel caso in cui la cessione sia effettuata nei confronti di coloro che sono privati consumatori ai fini IVA.
4.2.1.6. Le cessioni di telefoni mobili e computer
Le lettere b) e c) dell’art. 17, comma 6, del D.P.R. n. 633/1972 trattano rispettivamente le cessioni di “apparecchiature terminali per il servizio pubblico radiomobile terrestre di comunicazioni soggette alla tassa sulle concessioni governative di cui all’articolo 21 della tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.641, come sostituita, da ultimo, dal decreto del Ministro delle finanze 28 dicembre 1995, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n.303 del 30 dicembre 1995” e le cessioni di “console da gioco, tablet PC e laptop, nonché alle cessioni di dispositivi a circuito integrato, quali microprocessori e unità centrali di elaborazione, effettuate prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale”.
La fattispecie di cui alla lettera b) è stata introdotta nell’ordinamento italiano dall’art. 1, comma 44, della legge finanziaria 2007, ma è entrata in vigore solo a seguito della necessaria autorizzazione comunitaria nel 2011, mentre l’ipotesi ex lettera c) è stata per la prima volta prevista con il D.Lgs. n. 24/2016.
La nozione di “apparecchiature terminali per il servizio pubblico radiomobile terrestre di comunicazioni” trova una specifica definizione nella stessa decisione del Consiglio dell’Unione Europea n. 2010/710/UE, che chiarisce che con tale formula si devono considerare “i dispositivi fabbricati o adattati per essere connessi a una rete munita di licenza e funzionanti a frequenze specifiche, con o senza altro utilizzo”. L’obbligo di
inversione contabile, precisamente, si inserisce esclusivamente nell’ambito delle cessioni di telefoni mobili posti nella fase di commercializzazione che precede il commercio al dettaglio, di talché si devono considerare escluse dall’ambito applicativo della norma le cessioni effettuate da commercianti al minuto e le cessioni effettuate direttamente nei confronti dei consumatori finali.
Con risoluzione n. 36/2011, l’Agenzia delle Entrate ha specificato che, in applicazione del principio di accessorietà, i componenti ed accessori di telefoni mobili sono assoggettabili al reverse charge solo se ceduti congiuntamente ai telefoni e non se venduti singolarmente.
Quanto alle cessioni di dispositivi a circuito integrato, l’inversione contabile si applica alle cessioni di “tutti i dispositivi a circuito integrato quali microprocessori e unità centrali di elaborazione, ivi comprese le cessioni di beni destinati ad essere installati in apparati analoghi ai personal computer, quali ad esempio i server aziendali”121. A tal proposito, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che il riferimento a console da gioco, tablet PC e laptop deve essere interpretato nel senso che non rileva tanto la denominazione commerciale, quanto il fatto che vi sia coincidenza in termini di qualità commerciale, caratteristiche tecniche e codice di nomenclatura combinata tra i beni oggetto di cessione e quelli espressamente indicati. Ovviamente, anche con riferimento alla categoria in commento rileva esclusivamente la cessione all’ingrosso, essendo una delle situazioni in cui si ha familiarità alle frodi.
4.2.1.7. Gli appalti
Da ultimo, con il D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, quale strumento di contrasto alle indebite compensazioni stante l’alta intensità di manodopera utilizzata, il legislatore ha attratto al regime dell’inversione contabile anche il settore degli appalti, con particolare riferimento ai contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati caratterizzati da prevalente utilizzo di
121 Cfr. Risoluzione 36/E del 31 Marzo 2011.
manodopera presso le sedi di attività del committente con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest’ultimo o comunque allo stesso riconducibili122.
Tuttavia, la Commissione Europea con la comunicazione COM (2020) 243 del 22 Giugno 2020, si è dichiarata contraria alla richiesta dell’Italia di estendere l’inversione contabile anche al settore di appalti e subappalti con prevalente impiego di manodopera. Secondo la Commissione Europea, la deroga al sistema IVA può essere autorizzata solo “in ultima istanza e come misura di emergenza e deve offrire garanzie quanto alla necessità e alla natura eccezionale della deroga concessa”, condizioni che però non appaiono soddisfatte nel caso specifico.
Invero, a mente della Commissione la misura proposta dall’Italia ha un campo di applicazione traversale decisamente più ampio rispetto a quello consentito ex art. 199, par.1, lett. b della Direttiva n. 112 del 2006123 con conseguente rischio che la misura possa finire per interessare vasti settori economici, stante la sua applicabilità a diverse fasi produttive e distributive. Nell’ipotesi specifica la previsione del reverse charge sarebbe carente della concretezza necessaria a contrastare puntuali situazioni di frode. Inoltre, la Commissione ha sollevato come l’autorizzazione a tale ulteriore misura speciale andrebbe oltre quanto necessario a contrastare l’evasione IVA, poiché da un lato determinerebbe un aumento del divario già esistente tra il sistema IVA attualmente vigente in Italia e quello comunitario e dall’altro lato imporrebbe nuovi oneri amministrativi per le imprese. Non si può negare, infatti, che vi sono già due misure generali volte a contrastare le frodi attualmente vigenti in Italia e cioè l’obbligo di fatturazione elettronica e il sistema di split payment nelle operazioni con la pubblica amministrazione.
122 Restano fuori dal campo di applicazione del D.L. n. 124/2019 le operazioni effettuate nei confronti di pubbliche amministrazioni e altri enti e società per le quali trova applicazione lo split payment, nonché le agenzie per il lavoro.
123 La suddetta lettera b), infatti, consente l’applicazione del reverse charge alla messa a disposizione di personale nel settore edilizio.
Ancora, dalla richiesta inoltrata dall’Italia emergere che la misura de qua permetterebbe di contrastare frodi. Tali frodi, però possono essere scisse in due diverse componenti124. Xxxxxx, la misura richiesta se da un lato consentirebbe di contrastare una delle due componenti individuate, nonché quella di minore rilevanza, dall’altro lato non risulta efficace ad affrontare compiutamente la componente più rilevante della frode. Date le osservazioni effettuate dalla Commissione, l’applicazione del reverse charge al settore degli appalti e subappalti con prevalente impiego di manodopera non può considerarsi un intervento efficace al predetto fine di impedire fenomeni di frode relativi alla somministrazione di personale atipica.
4.2.2. L’applicazione del reverse charge nella grande distribuzione: il diniego della Commissione Europea
Come già anticipato, con la legge di stabilità 2015 il legislatore aveva previsto l’estensione dell’istituto dell’inversione contabile anche alle cessioni di beni effettuate nel settore della grande distribuzione (GDO), ovvero nei confronti di ipermercati, supermercati e discount alimentare.
L’effettiva entrata in vigore della disposizione in esame era comunque subordinata alla previa approvazione del Consiglio dell’Unione Europea, su proposta della Commissione, ex art. 395 della Direttiva 2006/112/CE.
Sennonché, con propria comunicazione del 22 maggio 2015 la Commissione ha rappresentato la propria contrarietà alla richiesta di deroga al regime ordinario nel settore della grande distribuzione presentata dall’Italia.
A motivazione dell’opposto diniego la Commissione ha osservato che le deroghe dal regime ordinario dell’IVA possono essere concesse dall’Unione Europea solo in
124 In tal senso la Comunicazione della Commissione al Consiglio, COM (2020) 243 del 22 Giugno 2020 spiega che la frode che si intende combattere attiene per il 30 % “all’omesso versamento dell'IVA da parte di imprese operanti nel settore della somministrazione di personale atipica” ed per il 70 % “all'utilizzo di IVA a monte fittizia per pagare contributi previdenziali e ritenute alla fonte sulle retribuzioni del personale a contratto mediante un meccanismo di compensazione”.
presenza di una situazione di emergenza collegata alla necessità di contrastare fenomeni fraudolenti e, in ogni caso, non possono essere utilizzate al fine di rimediare alla sistematica inadeguatezza della sorveglianza da parte delle autorità fiscali di uno Stato Membro. Inoltre, non essendo la fattispecie di reverse charge nel settore della grande distribuzione prevista espressamente dalla direttiva IVA, per poter essere consentita la deroga avrebbe necessitato della documentazione circa l’effettiva esistenza di concreti rischi di frode.
Al contempo, la Commissione ha altresì evidenziato come l’applicazione del reverse charge richiesto dall’Italia avrebbe potuto al contrario determinare rischi di frode a discapito del settore delle vendite al dettaglio e a discapito degli altri Stati membri, oltre a non permettere il conseguimento di particolari potenziali benefici per l’Erario e comportare svantaggi particolarmente gravosi per i fornitori, come già accennato125, in termini di complessiva e significativa riduzione di liquidità a disposizione.
4.2.3. I dubbi sull’estensione del reverse charge
Se per un verso il sempre più evidente ampliamento dell’ambito di applicazione dell’istituto dell’inversione contabile potrebbe giovare all’ordinamento in termini di maggiore efficacia della lotta alle frodi, per altro verso non possono essere sottaciute o, comunque, sottovalutate le perplessità che già in passato hanno indotto il legislatore comunitario a limitare la possibilità di estensione dell’istituto.
Al riguardo, ad esempio, non può non considerarsi che l’IVA è stata ab origine definita e disciplinata, nel suo stesso meccanismo operativo, come un’imposta neutra negli scambi precedenti al consumo: neutralità garantita dalla detrazione a monte dell’imposta corrisposta con conseguente cessione dell’onere tributario finale in capo al consumatore finale. Con l’applicazione del reverse charge, invece, non si ha il pagamento frazionato dell’imposta, dato che l’importo totale della stessa viene corrisposto solo nel momento in cui si verifica il consumo finale.
125 Rif. par. 4.2., pag. 56
Appare evidente come un’applicazione generalizzata dell’istituto, senza specifica limitazione a determinati settori, possa comportare una necessaria denaturalizzazione del tributo in discorso e delle sue caratteristiche principali. Infatti “l’applicazione del reverse charge lungo una catena che vede come protagonisti delle transazioni unicamente soggetti passivi IVA, non più chiamati a liquidare di fatto l’imposta, non determinerebbe più la creazione del c.d. valore aggiunto”126.
Peraltro talune perplessità rimangono anche in relazione alla dubbia capacità di contrastare i fenomeni fraudolenti in settori segnatamente a rischio, stante la lentezza che caratterizza il sistema. Infatti, nei casi di annidamento di evasione dalla riscossione è richiesta rapidità nella risposta statale, così da poter censurare le condotte illecite efficacemente; il che, però, pare difficilmente conciliabile con la tempistica delle procedure di autorizzazione preventiva all’applicazione dell’istituto in esame previste dal diritto dell’Unione Europea.
D’altro canto, non si può ignorare che dall’applicazione generalizzata dell’inversione contabile discende il rischio che vengano ideate nuove e fantasiose e più o meno ingegnose soluzioni127, attraverso le quali perseguire comunque obiettivi di evasione (come avverrebbe nell’ipotesi in cui il consumatore – per sottrarsi al pagamento finale
– si presenti quale soggetto passivo IVA, benché il bene venga destinato ad uso personale). Né può sottovalutarsi la circostanza che l’applicazione dell’istituto:
a) per un verso, possa comunque non garantire i risultati attesi in conseguenza del diffondersi di fenomeni mirati a condizionarne l’efficacia concreta, quali il c.d. furto della partita IVA, in cui il consumatore al fine di evitare l’assoggettamento al tributo fornisce una partita IVA fittizia con cui identificarsi;
000 Xxx. XXXXXXXX, XX XXXXX, “Reverse charge; è possibile un’applicazione generalizzata?” Corriere Tributario n. 32 del 2017, pag. 2571.
127 È stato osservato, infatti, che l’efficacia del reverse charge in realtà è circoscritta al breve periodo, data la camaleontica capacità delle organizzazioni fraudolente di intervenire in nuovi mercati o di porsi a qualsiasi livello della catena produttiva, così da aggirare le norme di legge.
b) per altro verso, possa esso stesso determinare un significativo aumento delle vendite senza emissione di fattura (c.d. “in nero”), spostando quindi l’epicentro dell’evasione dalla fase produttiva alla fase della vendita al dettaglio.
In tale contesto la stessa Commissione non ha mancato di sottolineare che la possibilità di ricorrere facoltativamente ad un meccanismo di reverse charge generalizzato potrebbe paradossalmente favorire il diffondersi di situazioni fraudolente che, a loro volta, richiederebbero ulteriori misure di contrasto, con la conseguenza di rendere sempre più complesso il sistema e di generare nuovi oneri128 in capo a imprese ed amministrazioni; e ciò in disparte l’oggettiva necessità di coordinare le legislazioni degli Stati membri che hanno esercitato tale opzione facoltativa con quelle degli Stati membri che viceversa rimangono incardinati al regime ordinario.
Sennonché, proprio in merito alla posizione da ultimo richiamata non può non evidenziarsi che negli ultimi anni pare esservi stato un primo ripensamento, posto che nel 2016 la Commissione ha presentato la proposta di Xxxxxxxxx n. 811 che consente ad uno Stato membro di effettuare un’applicazione generalizzata del reverse charge129, a condizione che però interessi operazioni aventi valore superiore a 10.000 euro per fattura130 e sempre che ricorrano particolari profili di frode131.
Tale (primo) cambio di direzione, già emerso nell’ambito della riunione Ecofin del 17 giugno 2016, prevedeva in particolare che:
128 A titolo esemplificativo è stato sottolineato che particolarmente efficace sarebbe l’introduzione di un sistema di controlli che mensilmente consenta una verifica incrociata delle informazioni date da fornitori e acquirenti con conseguente inasprimento degli oneri documentali a carico dei contribuenti e controlli più impegnativi per l’amministrazione finanziaria
129 Il General Reverse Charge Mechanism (GRCM) si fonda sulle richieste indirizzate alla Commissione dell’Unione Europea in particolare da parte di Austria, Bulgaria; Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca).
130 Critiche sono state sollevate in relazione a tale soglia, dato che si considerano maggiormente propense all’evasione le piccole e medie imprese, le quali ovviamente difficilmente emettono fatture per un valore così importante come quello richiesto.
131 Sono richiesti in particolare la presenza di un divario dell’IVA superiore al 5 percento della media calcolata negli altri Stati membri, la constatazione di un livello di frode carosello superiore al 25% del divario dell’IVA complessivo riscontrato nello Stato membro e l’insufficienza di altre misure di controllo.
a) la valutazione circa l’opportunità o meno dell’applicazione generalizzata dell’inversione contabile dovesse sostanziarsi in una verifica di coerenza posta a carico dei singoli Stati membri;
b) l’eventuale estensione del reverse charge a regime generale fosse comunque subordinata alla presentazione di una richiesta dello Stato membro alla Commissione, cui spetta comunque la facoltà di rilasciare o meno l’eventuale autorizzazione;
c) a tutela del mercato interno dell’Unione Europea, le autorizzazioni rilasciate potessero essere sempre revocate in ipotesi di accertato impatto negativo sul mercato132. La proposta è stata effettivamente approvata dal Consiglio il 2 ottobre 2018, seppure con la specifica che il suddetto meccanismo generalizzato possa essere applicato esclusivamente per operazioni al di sopra della soglia di 17.500 euro e soltanto fino al 30 giugno 2022, su autorizzazione non della Commissione, ma del Consiglio stesso.
A seguito dell’approvazione del Parlamento è stata quindi emanata la Direttiva n. 2018/2057 relativa al meccanismo generalizzato di inversione contabile.
Sta di fatto che anche l’efficacia ai fini anti-evasivi della stessa Direttiva n. 2018/2057 resta comunque sostanzialmente subordinata al presupposto che il cessionario/committente sia un soggetto più affidabile133 rispetto al cedente/prestatore in termini di fedeltà fiscale: il che, però, non è certo che corrisponda necessariamente a verità. Al contempo, non possono neppure sottacersi gli impatti che un’applicazione generalizzata dell’istituto del reverse charge, come previsto dalla citata Direttiva, potrebbe comunque avere sull’ordinamento fiscale nazionale sotto diversi profili.
Innanzitutto, è evidente che l’inversione contabile generalizzata comporterebbe necessariamente l’abbandono di un sistema di riscossione a pagamenti frazionati,
132 Eventualità sottolineata anche dal Comitato Economico e Sociale Europeo nel parere sulla proposta di direttiva della Commissione. In tale contesto, invero il CESE, pur esprimendosi favorevolmente ad una previsione nel senso di ampliare in via generale il reverse charge, ha sottolineato la necessità che essa non pregiudichi in alcun modo il mercato interno e che si tratti comunque di una misura temporanea. Il CESE ha poi portato all’attenzione della Commissione anche altre questioni come, ad esempio, i possibili problemi di liquidità per le imprese.
133 Sono comunemente considerati soggetti affidabili aziende della grande distribuzione e pubbliche amministrazioni.
dovendo l’IVA essere riscossa per l’intero nell’ultimo passaggio della catena produttiva e distributiva. La mancanza dei pagamenti frazionati, a sua volta, avrebbe particolare impatto anche sul gettito in termini finanziari, considerato che il soggetto obbligato all’intero versamento sarebbe il soggetto passivo IVA che effettua la vendita al dettaglio al consumatore finale; il che, a tutto concedere, non garantisce affatto che l’imposta, non riscossa lungo la catena di operazioni relative alla produzione del bene o del servizio, sia effettivamente riscossa nella fase finale.
Ancora, l’introduzione di una soglia comunque elevata (17.500 euro) per l’applicazione generalizzata potrebbe non essere funzionale agli obiettivi anti-evasivi europei; e ciò in quanto, a ben vedere, la maggiore quota di evasione dalla riscossione in Italia è attribuibile alle piccole o medie imprese che hanno una maggiore propensione alla frode, ma che – per via della soglia minima delle operazioni soggette al nuovo regime – potrebbero comunque sfuggire all’operatività del reverse charge.
Allo stesso tempo, occorre anche considerare che i costi amministrativi gravanti sulle autorità fiscali potrebbero aumentare, posto che l’ammontare degli stessi dipende “dal grado di efficienza delle autorità che risulta dalla loro struttura, organizzazione e livello di informazione”134.
Da ultimo, la circostanza che l’applicazione generalizzata sia prevista quale facoltativa, in un contesto come quello non meramente nazionale, ma più ampio e quindi europeo, potrebbe certamente generare il rischio di una progressiva migrazione delle frodi verso gli Stati che alla fine decidono di non esercitare tale facoltà.
Tutte perplessità che, in un’ottica di più ampio respiro, potrebbero (o forse dovrebbero) indurre a una più generale riflessione non tanto sulla opportunità o meno di una sempre più estesa applicazione dell’istituto del reverse charge (è evidente che l’inversione contabile, anche perché richiede numerosi, nonché gravosi, adempimenti ai soggetti passivi, comporta rischi non indifferenti di focolai di evasione), quanto della stessa
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struttura dell’IVA, come peraltro confermato dalla circostanza del sempre maggiore ricorso a regimi derogatori, quale, per l’appunto, quello in esame.
4.2.4. …e gli innegabili vantaggi
Pur di fronte alle perplessità e criticità rappresentate nel paragrafo che precede, non possono comunque sottacersi i benefici e vantaggi che pure deriverebbero da un eventuale esercizio dell’opzione per il regime di cui alla Direttiva n. 2018/2057.
Principale e preminente sarebbe sicuramente il beneficio in termini di lotta all’evasione, posto che l’esperienza maturata nei settori in cui è stata prevista l’applicazione dell’inversione contabile, nonostante le rilevate criticità (e in disparte l’effettivo impatto sulle piccole e medie imprese in conseguenza della soglia economica di riferimento delle operazioni: 17.500 euro), si è registrato un miglioramento in termini di tax compliance135.
A ciò deve aggiungersi che le imprese potrebbero acquisire anche un vantaggio competitivo in termini di prefinanziamento dell’IVA, poiché non essendo dovuti versamenti nelle transazioni c.d. business to business, le imprese fornitrici non sarebbero tenute ad alcun anticipo finanziario dell’imposta. Tale vantaggio, ovviamente, sarebbe riscontrabile anche in un contesto internazionale.
Ulteriore vantaggio immediato sarebbe costituito dal più agevole e snello sistema di operatività amministrativa per gli operatori economici, che non sarebbero più costretti a distinguere tra operazioni interne ed extracomunitarie, poiché entrambe assoggettate al medesimo regime.
Dal punto di vista propriamente amministrativo potrebbero manifestarsi dei vantaggi anche per l’Amministrazione finanziaria, che nel sistema ordinario IVA è costretta a
135 Come rilevato in particolar modo da un’analisi posta in essere da LEF, ovvero dall’associazione per la legalità e l’equità fiscale del 2018. Da tale analisi è risultato un aumento di ammontare da uno a un miliardo e mezzo di euro in più rispetto agli anni precedenti, attribuibile ad un miglioramento di tax compliance a seguito dell’introduzione di misure come reverse charge e split payment.
acquisire dati e informazioni sia dal fornitore che dal cliente, posto che il primo versa l’imposta e il secondo la detrae. Con l’applicazione del reverse charge, invece, avendosi il versamento da parte del cliente, l’Amministrazione finanziaria sarebbe obbligata a svolgere i propri obblighi di controllo e vigilanza essenzialmente nei confronti del cliente.
Ancora, il regime del reverse charge, impedendo la nascita di crediti spendibili in via di compensazione con i corrispondenti debiti d’imposta, escluderebbe ex se rimborsi anomali e compensazioni illecite.136
5. La rilevanza del reverse charge quale strumento di prevenzione delle frodi fiscali Illustrati nei precedenti paragrafi i dubbi e i vantaggi dell’eventuale applicazione generalizzata dell’istituto in esame, anche in ragione di quanto da ultimo previsto e disciplinato dalla Direttiva n. 2018/2057, si ritiene opportuno soffermarsi brevemente sul fenomeno delle c.d. frodi carosello e sull’impatto dell’applicazione del reverse charge su tale fenomeno.
Ovviamene, come noto, esistono vari tipi di frode fiscale.
In primis occorre considerare le operazioni oggettivamente inesistenti, ovvero le operazioni che esistono esclusivamente in una dimensione cartolare, nel senso che esistono nelle fatture e nei registri contabili dei contribuenti, ma in realtà non sono mai state effettuate. L’indebito vantaggio discende da questo tipo di operazioni è quello che deriva dall’esercizio (per l’appunto, indebito) del diritto alla detrazione.
Tali operazioni sono particolarmente difficili da smascherare e la Corte di Cassazione è costante nell’affermare che l’onere di provare l’inesistenza dell’operazione fatturata spetta all’Amministrazione finanziaria137.
136 Cfr. XXXXXXX, “Inversione contabile: panacea contro le frodi carosello o bomba a orologeria”, Dialoghi tributari n. 3/2008, p. 142.
137 Corte di Cassazione, sent. n. 21953/2007.
Le operazioni soggettivamente inesistenti, diversamente, sono quelle che dal punto di vista oggettivo sono state realmente poste in essere, ma si svolgono tra parti diverse rispetto quelle che invece risultano dalle fatture. Uno dei due soggetti è in realtà “del tutto estraneo a detta operazione non avendo assunto affatto la qualità di parte”000.Xx parla, invero, in tale contesto di simulazione soggettiva, nonché di interposizione fittizia di parte nelle operazioni.
5.1. Le frodi carosello
Più particolari e sofisticate rispetto a quelle sinteticamente richiamate nel precedente paragrafo sono le frodi carosello, a loro volta basate su schemi circolari o a circuito aperto.
La fattispecie più semplice e scolastica di tale frode si ha nell’ipotesi in cui lo scheletro delle operazioni coinvolge solo tre soggetti. A titolo esemplificativo, il meccanismo prevede un primo soggetto (che chiameremo società A) 139 residente in un Paese dell’Unione Europea, ad esempio in Francia, che effettua un’operazione con un secondo soggetto (società B) residente in altro Paese dell’Unione Europea, ad esempio in Italia. Il soggetto A provvede all’adempimento degli oneri tributari mediante fatturazione dell’operazione in regime di non imponibilità IVA. La società B, a sua volta, pone in essere un’ulteriore operazione – avente ad oggetto i medesimi beni dell’operazione intercorsa tra la società A e la società B – con una terza società (società C), residente sempre in Italia. Tale ultima operazione è sottoposta a regime ordinario di adempimento dell’imposta, con conseguente applicazione degli istituti di rivalsa e detrazione. In tale schema l’indebito vantaggio deriva dalla circostanza che la società B addebita l’IVA a
138 Cassazione penale, sent. n. 3203/2009.
139 C.d. Conduit company. Si tratta di soggetto necessario nello schema tipico della frode carosello, poiché si pone quale cessionario nei confronti della società cartiera. È possibile che la conduit company sia formalmente intestata ad un mero prestanome, poiché la titolarità della stessa è in realtà riconducibile agli ideatori della frode, ma è anche possibile che la conduit company in quanto fornitore sia del tutto inconsapevole del disegno criminoso e che dunque non sia poi percettrice di guadagni illeciti.
titolo di rivalsa alla società C, ma la stessa società B non provvede al successivo versamento dell’imposta all’Erario. Così facendo la perdita in termini di gettito per l’Erario è imputabile al fatto che da un lato la società B non versa l’imposta e dall’altro lato la società C la detrae.
Lo schema a circuito aperto si conclude con l’immissione finale dei beni sul mercato e il beneficio che si ricava si sostanzia anche nel fatto che tali beni potranno essere offerti a prezzi più vantaggiosi rispetto al resto del mercato.
Nell’ipotesi di schema circolare, invece, la terza società C ricede i beni alla prima società A realizzando un’ulteriore operazione intracomunitaria che dà inizio a un nuovo ciclo fraudolento.
La struttura della frode carosello – nella sua forma più sofisticata – si compone anche di altre società, c.d. società filtro o buffer. La società cartiera emetterà la fattura nei confronti della società filtro, la quale a sua volta emette fattura alla società successiva del ciclo. Così facendo, la società filtro, seppur da un punto di vista formale non effettui attività irregolari, permette di creare un diversivo tra la società cartiera e la società a cui effettivamente sono destinati i beni oggetto delle varie cessioni. Una delle principali differenze tra la società filtro e la società cartiera è data dal fatto che solo la società filtro generalmente tiene regolarmente le scritture contabili.
Le frodi carosello, quindi, si sostanziano in piani articolati posti in essere con il fine di aggirare la normativa in materia di IVA, spesso con il fine di consentire alle società effettivamente beneficiarie del meccanismo evasivo di realizzare fondi neri di considerevole consistenza, solitamente sono utilizzati per finanziare attività illecite.
In sostanza, la frode carosello si basa sull’omesso versamento dell’imposta pure applicata e incassata in alcuni dei passaggi dello schema sopra delineato, con estrema difficoltà (se non impossibilità) di intervento per l’Amministrazione finanziaria, posto che generalmente la società inadempiente all’obbligazione tributaria, c.d. società cartiera o missing trader, cessa la propria attività e si estingue prima ancora che l’Amministrazione finanziaria possa effettivamente accertare l’esistenza (e la portata) della violazione delle norme in materia IVA e dell’evasione, ovvero è una società priva
di alcun patrimonio o comunque attività aggredibile, ossia su cui lo Stato possa rifarsi a seguito della commissione del reato.
Nella maggior parte dei casi, inoltre, la società cartiera140 non esercita alcuna attività commerciale, non presenta la dichiarazione, né tiene regolarmente le scritture contabili obbligatorie, così come non presiede locali commerciali e generalmente – come già evidenziato – viene posta in liquidazione e cessata dopo pochissimi mesi dalla sua costituzione.
Solitamente, dato l’alto rischio della posizione in cui si trova la società cartiera, questa viene intestata a soggetti141 con patrimonio irrisorio142, che vengono compensati per prestarsi formalmente ad accettare incarichi di amministrazione e direzione per conto terzi, per lo più riconducibili ad organizzazioni criminali decisamente più rilevanti, poiché lo schema del carosello permette a queste organizzazioni di conseguire ingenti profitti a basso rischio143.
Ovviamente, il meccanismo fraudolento esposto, oltre a creare un ingente danno all’Erario in termini di mancata riscossione dell’imposta, produce anche un effetto distorsivo della concorrenza nel mercato, avendo un impatto sul prezzo a cui viene venduto il bene al termine della frode.
L’evoluzione delle frodi carosello, la cui comparsa si individua negli ultimi trent’anni del XX secolo, ha portato all’utilizzo di tale meccanismo fraudolento anche nelle prestazioni di servizi, le quali, infatti, sono tassate secondo il principio del Paese di destinazione dal 2010144.
140 Si tratta per lo più di società di nuova costituzione, appositamente effettuata per attuare la frode, o di società inattive acquisite che prima operavano in settori diversi.
141 C.d. “teste di legno”.
142 Così che si possa evitare il recupero dell’IVA evasa da parte dell’Amministrazione finanziaria fintanto che non vengano individuati coloro ai quali deve essere effettivamente attribuita la frode.
143 Si parla in tale contesto di sistemi di Evasione Criminale Organizzata, ovvero di organizzazioni criminali che forniscono beni e servizi a prezzi nettamente inferiori rispetto al prezzo generalmente praticato, così che il bene risulti estremamente appetibile per il cliente. 144 Esempio lampante è dato dai casi Fastweb e Telecom Italia Sparkle. Le due società avevano incassi per circa un milione e 200 mila euro con il conseguente obbligo di versare all’Erario
5.1.1. Il contrasto alle frodi carosello
A livello dell’Unione Europea peculiari istituzioni145 sono deputate al controllo e alle indagini circa l’esistenza di ipotesi di frode ai danni del bilancio dell’Unione, nonché alla definizione della politica antifrode della Commissione Europea.
Nell’ordinamento interno, le frodi in esame sono generalmente riconducibili alle fattispecie delittuose di cui agli artt. 2 e 8 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ovvero, rispettivamente, il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e il reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (con pena della reclusione per un minimo di un anno e sei mesi e un massimo di sei anni), di cui il primo contestabile alla società che acquista i beni al termine dello schema fraudolento (c.d. società broker) e il secondo attribuibile alla società cartiera.
Inoltre, l’art 60-bis, comma 3 del D.P.R n. 633/1972, introdotto dall’art. 1, comma 386, della legge n. 311/2004, al fine contrastare le frodi in esame, ha introdotto e disciplinato la c.d. solidarietà nel pagamento dell’imposta, così da estendere l’obbligazione tributaria del versamento dell’IVA della società cartiera (obbligata principale) anche – e in solido
– al reale acquirente (c.d. broker) dei beni oggetto delle cessioni. Tale solidarietà, però, risulta limitata a settori merceologici maggiormente sensibili ai rischi di frode IVA, indicati in appositi decreti ministeriali146 e, comunque, condizionata – quanto alla sua configurabilità – alla circostanza che la cessione sia avvenuta ad un prezzo di valore
circa 200 mila euro, tuttavia veniva contestato un credito IVA pari o superiore a 200 mila euro da detrarre, così da ottenere profitti superiori di circa il 20%.
In tal modo è stato arrecato all’Erario un danno di un ammontare pari a più di 300 milioni di euro in tre anni mediante due operazioni denominate “Phuncard” e “Traffico telefonico” che prevedevano prestazioni aventi oggetto inesistente, grazie al quale le società non versavano l’IVA e trasferivano grandi somme di denaro all’estero.
145 Bisogna in particolare menzionare l’Ufficio Europeo per la lotta antifrode (XXXX), il quale svolge un ruolo importante nella prevenzione delle frodi.
146 I settori finora individuati sono in particolare quello degli autoveicoli, il settore della telefonia e dei dispositivi elettronici come computer e PC tablet, nonché il settore relativo alla fornitura di carne animale.
inferiore rispetto al valore normale dei beni147 e fermo restando che la responsabilità viene comunque meno se il cessionario o committente è in grado di provare che “il prezzo inferiore dei beni è stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili o sulla base di specifiche disposizioni di legge e che comunque non è connesso con il mancato pagamento dell’imposta”.
Nella stessa direzione della previsione di una responsabilità solidale si pone la Corte di Giustizia nel riconoscere possibili limiti al diritto di detrazione nell’ambito di fattispecie fraudolente. A tal proposito la stessa Xxxxx ha stabilito che in relazione alle frodi xxxxxxxxx il diritto alla detrazione possa essere negato sempre che “sia acclarato, alla luce di elementi obiettivi, che la cessione sia stata effettuata nei confronti di un soggetto passivo che sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare, con il proprio acquisto, ad un’operazione che si iscriveva in una frode all’IVA”148.
Tuttavia, non può non evidenziarsi che l’efficacia deterrente del riconoscimento normativo di una responsabilità solidale, come delineato sulla base delle indicazioni fornite dalla Commissione Europea e della Corte di Giustizia149, non sempre è efficace nella lotta ai fenomeni fraudolenti, soprattutto nei casi in cui ci si trovi in presenza di schemi particolarmente sofisticati.
5.1.2. L’operatore c.d. onesto
A margine delle frodi fiscali e, più specificamente, delle frodi carosello, non può non evidenziarsi che molto spesso, tra le vittime della fattispecie delittuose, vi sono anche operatori regolarmente presenti e operanti sul mercato che si trovano, loro malgrado, coinvolti in un’attività fiscalmente illecita pur non essendone consapevoli; trattasi dei
c.d. “operatori onesti”. Generalmente tali operatori vengono a conoscenza della frode
147 L’onere prova circa l’ingiustificato prezzo inferiore a cui viene effettuata l’operazione ricade sull’Amministrazione finanziaria.
148 Corte di Giustizia UE, cause riunite C-439/04 e C-440/04.
149 Espresso riferimento all’ipotesi di responsabilità solidale può rinvenirsi nella sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea relativa alla causa C-384/04.
solo a posteriori, ovvero quando viene effettuata loro una contestazione da parte dell’Amministrazione finanziaria (o di una Procura della Repubblica), generalmente a seguito di controlli incrociati, essenzialmente fondata su una presunta carenza di diligenza e vigilanza con conseguente imputazione di corresponsabilità tributaria (e talvolta penale).
Il fenomeno è così esteso che sulla rilevanza dello stessi si sono creati due veri e propri contrapposti orientamenti: da un lato, vi sono gli operatori che chiedono al legislatore europeo la formulazione di una sorta di c.d. knowledge test che consenta di introdurre regole oggettive non contestabili circa l’esistenza o l’inesistenza dell’intento criminale dell’operazione e, dall’altro lato, vi sono invece le Amministrazioni finanziarie che – nell’ottica della massima repressione e, soprattutto, del maggior recupero di imposta – non ammettono l’introduzione di disposizioni in tal senso150.
La Corte di Cassazione, spesso chiamata a pronunciarsi circa la responsabilità dell’operatore onesto (o meglio, circa la prova dell’estraneità dell’operatore alla frode fiscale) ha avuto modo, in diverse pronunce, di statuire che è certamente rimesso al giudicante il potere-dovere di stabilire se l’operatore sia a conoscenza o se avrebbe comunque dovuto sapere che l’operazione fatturata sostanziava una frode sulla base di un esame complessivo di tutte le circostanze del caso concreto, non senza puntualizzare che qualora l’Amministrazione finanziaria ritenga che la fattura abbia ad oggetto un’operazione inesistente, l’onere della prova circa l’effettività dell’operazione considerata non può ricadere in capo all’operatore, dovendo viceversa gravare sull’Amministrazione finanziaria, che dovrà nel concreto dimostrare la falsità del documento.
Sull’Amministrazione finanziaria, in particolare, grava l’onere della prova circa la consapevolezza (e, quindi, responsabilità) dell’operatore; prova che può essere soddisfatta anche tramite il ricorso a presunzioni semplici gravi, precise e concordanti, la cui contestazione da parte dell’operatore, ovviamente, deve sua volta fondarsi su
150 È infatti evidente come questo tipo di regole sia contrapposto rispetto all’interesse dell’Amministrazione a rifarsi del danno subito a causa del carosello.
elementi di prova contraria tali da giustificare il convincimento del giudicante circa l’effettiva ignoranza non colposa della reale natura fraudolenta dell’operazione e, quindi, la partecipazione inconsapevole alla frode de qua.151 A tal fine, però, non è sufficiente dimostrare la regolarità formale delle scritture contabili o della documentazione amministrativa o fiscale, così come non può considerarsi sufficiente asserire che la merce sia stata effettivamente consegnata con conseguente pagamento del corrispettivo e della relativa IVA152. Al fine di escludere qualsiasi responsabilità, l’operatore deve viceversa dare dimostrazione di “non essersi trovata nella situazione di oggettiva conoscibilità delle operazioni pregresse sul bene ceduto, ovvero di non essere stata in grado, con le normali cautele, di abbandonare lo stato d’ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni poste in essere da altri soggetti collegati all’operazione”153.
5.1.3. Frodi carosello e reverse charge
Ovviamente, il fenomeno delle frodi carosello sopra richiamato è considerato uno dei maggiori fattori determinanti del VAT gap. Un recente studio ha evidenziato come in otto anni, più in particolare tra il 2009 e il 2016, più di mille miliardi di euro sono stati sottratti alle casse dell’Unione Europea sotto forma di IVA154. In Italia, la Guardia di Finanza ha stimato che circa ogni quattro ore si scopre l’esistenza di una nuova società cartiera.
151 Sull’ammissibilità della prova contraria, nonché sulla sua necessità in presenza di presunzioni legali fornite dall’Amministrazione, la Corte di Giustizia si è pronunciata nella causa C-384/2004, c.d. Federation of Technological Industries case. Tale orientamento è stato successivamente allineata anche la Corte di Cassazione.
152 Ciò perché tali elementi di per sé non sono sufficienti a sconfessare la falsità dell’operazione, ben potendo essere compatibili con la nozione di operazioni false. Inoltre, non può ignorarsi che si tratta di circostanze che possono essere manipolate e falsificate senza troppe difficoltà dal contribuente.
153 VENERUSO. “Frodi carosello: la responsabilità della società filtro”, PMI n.7/2015, pag.38- 39.
154 MINCUZZI, RUBINO. “La grande rapina all’Europa: scomparsi 1.260 miliardi di IVA”, Il sole 24 ore, 6 maggio 2009, Milano.
E’ evidente che meccanismi quali le frodi carosello potrebbero essere, se non eliminati, quanto meno fortemente limitati (per diffusione e pericolosità) mediante l’applicazione del reverse charge.
Se per un verso, infatti, sia il debito che il credito XXX xxxxxxxxx e conseguenti a un’operazione imponibile sorgono in capo al destinatario dell’operazione stessa, per altro verso il credito eventualmente dichiarato dal destinatario dell’operazione, in presenza di un’operazione fittizia, viene compensato dal debito che risulta dal mancato versamento dell’imposta all’Erario, eliminando ogni rischio di evasione ab origine.
Al contempo, deve considerarsi che l’applicazione dell’inversione contabile nell’ambito delle frodi carosello consente anche di superare i problemi relativi all’eventuale irrisorietà del patrimonio del soggetto responsabile della frode.
A ciò si aggiunga anche la più generale semplificazione dei procedimenti di recupero di imposta da attivare da parte dell’Amministrazione finanziaria, la quale difatti, in assenza di reverse charge, dovrebbe prima tentare di soddisfare la propria pretesa sul fornitore e successivamente, in caso di impossibilità, dovrebbe rivolgersi direttamente al cliente. In ogni caso, non può negarsi che l’istituto del reverse charge conosce comunque dei limiti anche sotto il profilo della lotta contro le frodi carosello: con il reverse charge, infatti, come osservato da autorevole studioso, “si viene a creare in capo al soggetto passivo l’accostamento tra operazioni passive senza pagamento dell’imposta, in virtù della doppia registrazione della fattura integrata, e operazioni attive per le quali, invece, si ha l’effettivo esborso dell’IVA. Questa associazione è, però, proprio uno dei fattori predisponenti alla realizzazione delle frodi carosello stesse.”155
155 D’XXXXXXX . “Iva: reverse charge”, il fisco n. 9 del 2007, pag. 1-1297.
6. Reverse charge e fatturazione elettronica
Con circolare n. 14/E del 2019 e con FAQ n. 36 del 27 novembre 2018 l’Agenzia delle Entrate ha fornito puntuali indicazioni in merito al rapporto tra inversione contabile e fattura elettronica, segnatamente in ordine all’obbligo di quest’ultima.
In particolare, in ipotesi di reverse charge esterno, ovvero per le operazioni di acquisto di beni da operatori residenti in Paesi dell’Unione Europea o di prestazioni di servizi ricevuti da soggetti residenti in Paesi extraeuropei, l’Agenzia ha chiarito che non sussiste obbligo di fatturazione elettronica, ma solo l’obbligo di trasmissione dell’esterometro156 mensile.
In relazione al reverse charge interno, parimenti, non vi è alcun obbligo di fatturazione elettronica, bensì una mera facoltà.
7. Errori nell’applicazione dell’inversione contabile e relative sanzioni
L’effettività della tutela connessa al reverse charge è rinforzata da un apparato legislativo che individua espressamente le fattispecie che non rispecchiano le disposizioni in materia di corretta applicazione dell’istituto.
La legge oltre a determinare gli errori che possono verificarsi nell’applicazione del regime di inversione contabile, ne individua anche le relative sanzioni, nonché le ipotesi in cui è consentito al contribuente di rimediare all’errore posto in essere.
Si tratta in particolare di casi in cui l’IVA non viene assolta in maniera corretta da parte del contribuente.
Si distinguono varie fattispecie rilevanti in quanto sanzionabili, tutte disciplinate dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, come negli anni modificato.
In particolare:
156 Con la parola “esterometro” si vuole indicare la comunicazione dei dati delle operazioni transfontaliere di cessioni di bene e prestazioni di servizi effettuate e ricevute verso e da soggetti non residenti nel territorio Italiano.
a) per l’ipotesi in cui il committente o cessionario non effettui157 gli adempimenti richiesti per un’operazione da assoggettare al regime di inversione contabile, il comma 9-bis dell’art. 6 del citato D.Lgs. prevede l’irrogazione di una sanzione in misura fissa da 500 a 20.000 euro, sempre che l’operazione risulti comunque dalla contabilità del contribuente. Se così non fosse, infatti, si configurerebbe l’occultazione dell’operazione, con applicazione di una maggior sanzione di importo che va dal 5% al 10% dell’imposta, con un minimo di 1.000 euro;
b) ove a seguito delle predette omissioni si verifichi una dichiarazione infedele o un’indebita detrazione dell’imposta e quindi non risulti l’imposta dovuta, è prevista una sanzione in misura fissa ex art. 8 del D.Lgs. citato di importo variabile da 250 a 2.000 euro.
c) per l’ipotesi di mancata ricezione della fattura o di ricezione di fattura irregolare sono previste, rispettivamente, l’applicazione di una sanzione se entro trenta giorni dallo scadere del quarto mese dalla data di effettuazione dell’operazione il contribuente non emetta autofattura e non versi l’imposta e l’applicazione di sanzioni ad hoc ove il cessionario o committente non provveda all’emanazione di un documento integrativo, con contestuale assoluzione dell’imposta, nel termine di trenta giorni successivi all’emissione di detta fattura irregolare. Il mancato compimento nei termini di legge degli adempimenti richiesti comporta, in particolare, la comminazione di una sanzione pari al 100% dell’imposta, partendo da un minimo di 250 euro.
L’Agenzia delle Entrate, a sua volta, ha avuto modo di specificare con la Circolare n. 16/E del 6 Febbraio 2017 che avendo riguardo alle “operazioni riconducibili alle ipotesi del reverse charge, ma per le quali non ricorrevano tutte le condizioni per la sua applicazione”, nonostante sia possibile configurare astrattamente una sorta di responsabilità oggettiva del cessionario o committente, in concreto potranno applicarsi anche cause di non punibilità ex art. 6 D.Lgs. n. 472/1997.
157 Rileva anche solo il parziale inadempimento degli obblighi connessi al reverse charge.
Il comma 9-bis1, ancora, riguarda l’ipotesi in cui il cedente o prestatore abbia emesso fattura assoggettata al regime ordinario, l’abbia annotata nell’apposito registro e abbia versato l’imposta, nonostante l’operazione dovesse essere assoggettata al regime di inversione contabile. In tal caso, il cessionario o committente non è obbligato alla regolarizzazione dell’operazione e manterrà il diritto alla detrazione, ma sarà soggetto ad una sanzione di importo che va dai 250 ai 10.000 euro.
Occorre specificare che in ogni caso, in applicazione del principio di rilevazione dell’IVA per masse, la sanzione si applicherà con riguardo alla liquidazione periodica158 di ciascun fornitore. Le operazioni che determinano l’applicazione della sanzione amministrativa per applicazione del regime ordinario al posto del reverse charge sono in particolare quelle ex artt. 17, 34, comma 6 e 74, commi 7 e 8 del D.P.R. n. 633/1972 e gli acquisti intracomunitari ex artt. 46 e 47 del D.L. n. 331/1993.
Ove mai sussista, in quanto provato, l’elemento soggettivo del dolo, poiché l’operazione è determinata da scopi evasivi o fraudolenti, è comunque prevista l’applicazione della maggiore sanzione di importo variabile dal 90% al 180% dell’imposta, come previsto dall’art. 6, comma 1, del D.Lgs. n.471/1997.
Il pagamento sarà in ogni caso dovuto in via solidale sia dal cedente o prestatore, che dal cessionario o committente, a prescindere dalla circostanza che la sanzione sia stata comminata all’uno o all’altro.
Nel caso contrario a quello appena esaminato, ovvero di applicazione del reverse charge ad operazioni soggette al regime ordinario ex comma 9-bis2, dato che l’imposta viene comunque assolta il cessionario o committente mantiene il diritto alla detrazione dell’IVA, ma il cedente o prestatore, seppur non obbligato alla regolarizzazione dell’imposta, sarà soggetto ad una sanzione da 250 a 10.000 euro. Si tratta dell’ipotesi
158 Si fa riferimento quindi alla liquidazione mensile o trimestrale, come specificato nella Risoluzione n. 140/E del 29 Dicembre 2010. A tal proposito l’Agenzia delle Entrate ha specificato che “la sanzione vada commisurata all’importo complessivo dell’imponibile relativo alle operazioni soggette all’inversione contabile riconducibili a ciascuna liquidazione e con riguardo a ciascun fornitore; laddove l’irregolarità si realizzi in più liquidazioni, si configureranno tante violazioni autonome da sanzionare per quante sono le liquidazioni interessate”.
in cui il cedente o prestatore abbia emesso fattura senza IVA e il cessionario o committente la abbia integrata con l’IVA dovuta, nonché annottata nell’apposito registro e assolta.
Laddove, anche in tal caso, sia accertato l’intento fraudolento, si avrà l’applicazione della maggiore imposta sopra indicata.
Al riguardo, l’Agenzia dell’Entrate con la circolare n.16/E/2017 ha specificato che comunque il comma 9-bis2 rileva solo in relazione al caso “di irregolare assolvimento dell’imposta relativa a cessioni di beni o a prestazioni di servizi in assenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile, ossia per operazioni riconducibili alle ipotesi di reverse charge ma per le quali non ricorrevano tutte le condizioni per la sua applicazione” e “ le disposizioni di cui al comma 9 bis2 non si applicano nel caso di ricorso all’inversione contabile in ipotesi palesemente estranee a detto regime” 159, con conseguente applicazione delle sanzioni ex art. 6, commi 1 e 8.
Infatti, il comma 9-bis2 riguarda le sole ipotesi di irregolare assolvimento; di talché se invece viene erroneamente applicato il reverse charge, ma l’imposta non viene assolta, al cedente o prestatore sarà applicabile la sanzione di importo pari dal 90% al 180% dell’imposta non correttamente documentata e al cessionario o committente si potrà comminare una sanzione pari al 100% dell’IVA, partendo da un minimo di 250 euro.
Il comma 9-bis3 prevede, altresì, che se il committente o cessionario esegue l’inversione contabile in relazione a operazioni che secondo la legge sono esenti, non imponibili o escluse, dovranno essere eliminati i corrispondenti debito e credito IVA dalle liquidazioni in sede di accertamento, senza previsione di ulteriori sanzioni. In tal caso, infatti è prevista soltanto la regolarizzazione dell’operazione da parte dell’Ufficio competente.
Se l’operazione in questione è, però, un’operazione inesistente, oltre alla necessaria regolarizzazione, in caso di erronea applicazione del reverse charge è applicabile una
159 L’Agenzia delle Entrate ha individuato a fini esemplificativi l’ipotesi di acquisto di beni in Italia da un soggetto dichiaratosi non residente, in relazione al quale viene successivamente accertata la stabile organizzazione (occulta) in Italia.
sanzione pari ad almeno 1.000 euro, calcolata tenendo conto di un importo che va dal 5% al 10% dell’imponibile. 160 Se, ancora, l’errore consiste nell’assoggettamento a regime ordinario di un’operazione per cui è prevista l’assoluzione ordinaria, è necessario solo procedere al versamento dell’imposta dovuta “per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura” ex art. 21, comma 7, del D.P.R. n. 633/1972.
Occorre, comunque, specificare che l’individuazione effettiva di tali violazioni è determinata da un accertamento da parte dell’autorità fiscale. Se, però, il contribuente individua la violazione preventivamente, può comunque procedere alla regolarizzazione spontanea della violazione, usufruendo di una sanzione ridotta, ovvero, nei casi ex commi 9-bis1 e 9-bis2, senza applicazione di alcuna sanzione.
Ancora a norma dell’art. 6, comma 1, del D.Lgs. n.472/1997161, il quale individua le cause di non punibilità, se il trasgressore ha osservato la normale diligenza, l’errore in cui lo stesso è incorso esclude il requisito soggettivo della colpa ex art. 5, nonché la sua responsabilità.
7.1. I dubbi interpretativi connessi al comma 9-bis.3, art. 6, D.Lgs. n. 471/1997
Il citato comma 9-bis.3, introdotto dal legislatore con il D.Lgs. n. 158/2015, si compone di due periodi: il primo relativo all’errata applicazione del reverse charge ad operazioni
160 Per un approfondimento si veda il successivo paragrafo 7.1.
161 L’art 6 dispone:
“1. Se la violazione è conseguenza di errore sul fatto, l’agente non è responsabile quando l’errore non è determinato da colpa.
2. Non è punibile l’autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono, nonché da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento.
3. Il contribuente, il sostituto e il responsabile d’imposta non sono punibili quando dimostrano che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi.
4. L’ignoranza della legge tributaria non rileva se non si tratta di ignoranza inevitabile.
5. Non è punibile chi ha commesso il fatto per forza maggiore”.