COLLEGIO DI NAPOLI
COLLEGIO DI NAPOLI
composto dai signori:
(NA) QUADRI Presidente
(NA) XXXXXXXX Membro designato dalla Banca d'Italia
(NA) MAIMERI Membro designato dalla Banca d'Italia
(NA) RUSSO Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(NA) GUIZZI Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore XXXXXX XXXXXXXX
Nella seduta del 10/06/2014 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
La controversia sottoposta alla cognizione del Collegio concerne il tema della risoluzione del contratto di leasing per impossibilità sopravvenuta della prestazione e il contrapposto accertamento dell’insussistenza del diritto del locatore al risarcimento del danno conseguente alla risoluzione del medesimo contratto per inadempimento del concessionario. Questi, in sintesi, i fatti oggetto del procedimento.
Con ricorso del 22 gennaio 2014 - preceduto da reclamo del 25 novembre 2013 e dal riscontro dell’intermediario del 18 dicembre 2013 – parte ricorrente esponeva di rappresentare uno studio professionale di analisi cliniche e di avere stipulato, in data 30 marzo 2012, un contratto di leasing con l’intermediario avente per oggetto apparecchiature strumentali allo svolgimento della propria attività. Il successivo 31 ottobre 2013, tuttavia, chiedeva la risoluzione del contratto per la sopravvenuta impossibilità della prestazione, determinata dalla cessazione dell’attività professionale in forma associata, dichiarando la propria disponibilità alla restituzione dei beni mai utilizzati.
La società ricorrente ha chiesto l’accertamento del proprio diritto a sciogliersi dal contratto e la conseguente risoluzione del medesimo, nonché di inibire all’intermediario di “azionare eventuali
pretese economiche in spregio alle contestazioni e richieste del ricorrente, il quale ha offerto in restituzione i beni oggetto del contratto medesimo”.
Con le controdeduzioni, pervenute il 24 febbraio 2014, l’intermediario precisava che, per l’esecuzione del contratto di leasing, aveva dovuto acquistare i beni che ne costituivano l’oggetto presso un fornitore e che il corrispettivo contrattuale era determinato in € 103.359,50, suddiviso in 60 canoni dell’importo di € 1.722,66. Rispetto a tali obblighi la ricorrente, dopo avere provveduto al pagamento dei primi due canoni, si era resa inadempiente; una prima volta, il saldo delle rate in mora era stato ripianato mediante l’emissione di un effetto cambiario, dopodiché aveva nuovamente interrotto il pagamento dei canoni; pertanto, nel momento in cui aveva dedotto la sopravvenuta impossibilità della prestazione, era già inadempiente a far tempo dal mese di giugno 2013. In conseguenza di tanto, alla luce della morosità che aveva raggiunto l’importo di € 5.057,26, con nota del 27 novembre 2013 la società di leasing aveva comunicato alla ricorrente la risoluzione del contratto per inadempimento, invitandola alla restituzione delle attrezzature, e riservandosi il diritto al risarcimento dei danni ex art. 1456 cod. civ.
L’intermediario contestava, inoltre, l’istanza del ricorrente per diversi motivi: in primo luogo, rilevava che nelle pattuizioni contrattuali non era prevista una condizione risolutiva, né accordata alcuna facoltà di recesso o di sospensione del pagamento dei canoni, anche in caso di mancato utilizzo del bene. In concreto, poi, non si era presentata alcuna impossibilità rilevante, che, ai sensi dell’art. 1256 cod. civ., deve riguardare un evento del tutto indipendente dalla volontà del debitore.
DIRITTO
Ad avviso del Collegio il ricorso va rigettato.
L’istanza del ricorrente di accertamento dell’avvenuta risoluzione del contratto di leasing per impossibilità sopravvenuta della prestazione esige, preliminarmente, di tratteggiare i confini della fattispecie che, notoriamente, ricalca la nozione di impossibilità su quella determinante l’estinzione dell’obbligazione ai sensi del combinato disposto degli artt. 1218 e 1256 cod. civ.: pur essendo il tema uno dei più delicati della civilistica, si può ritenere sostanzialmente condiviso che l’impossibilità rilevante debba essere assoluta e oggettiva. Quanto al primo profilo, si può, qui, prescindere dalla scelta tra le varie declinazioni dell’esigibilità della prestazione, giacché è preminente nel caso concreto la valutazione del carattere oggettivo della dedotta impossibilità che, nella prospettazione del ricorrente, andrebbe ricondotta alla cessazione dell’attività professionale in forma associata, che avrebbe reso inutilizzabile il macchinario oggetto del contratto di leasing.
Orbene, va, innanzitutto, rilevato che la circostanza non è stata provata nel procedimento, ma, che, comunque, non avrebbe potuto integrare il presupposto della risoluzione ex artt. 1463 ss. cod. civ. In via generale, il carattere oggettivo è escluso allorquando l’impossibilità è conseguente ad un evento che rientra nella disponibilità del debitore; a ciò va aggiunto che, l’ipotesi di cessazione dell’attività di impresa in forma individuale o collettiva, che abbia fondamento in un atto volontario dell’imprenditore, si traduce di fatto in una decisione unilaterale di sottrarsi all’adempimento del contratto. In dottrina si è sottolineato che nessun pregiudizio colpisce la libertà del soggetto che esercita attività di impresa di scegliere di non proseguire l’attività fino alla cessazione dei contratti pendenti, atteso che egli, diversamente, può valutare la convenienza economica, e adottare le decisioni conseguenti, tra l’esecuzione del contratto posticipando la cessazione dell’attività o esporsi alle conseguenze dell’inadempimento.
Il ricorrente ha chiesto, inoltre, di inibire (rectius accertare l’insussistenza del diritto) all’intermediario di azionare eventuali “pretese economiche”, senza tenere conto delle proprie contestazioni e del fatto che era stata tempestivamente offerta la restituzione del bene oggetto del leasing. Pur nella sua genericità, si può ritenere che il riferimento sia all’esercizio del locatore dei diritti contrattuali e risarcitori conseguenti all’inadempimento contestato all’istante, che presuppone, però, la correttezza dell’applicazione della clausola risolutiva espressa giusta lettera del 27
novembre 2013. Tuttavia, nessuna delle due parti ha chiesto all’Arbitro di pronunciarsi sulla legittimità della risoluzione contrattuale invocata, questa volta, da parte resistente, pur essendo pacifico che una tale domanda sarebbe rientrata nella competenza dell’Arbitro, stante la natura dichiarativa della relativa cognizione (decisione ABF-Collegio di Napoli, n. 1923 del 2011).
In ogni caso, si può procedere considerando che la circostanza del mancato pagamento dei canoni a partire dal mese di giugno 2013 è pacifica tra le parti; ed è in forza di tanto che l’intermediario si è avvalso dei criteri di liquidazione del danno previsti dall’art. 15 del contratto, che pongono a carico dell’utilizzatore inadempiente il pagamento dei canoni maturati fino alla data della risoluzione, maggiorati degli interessi di mora, e di ogni ulteriore spesa sopportata dal locatore, nonché i danni da deterioramento del bene oggetto del contratto, e quelli conseguenti all’anticipato scioglimento, quantificati nell’importo complessivo di tutti i canoni successivi alla risoluzione, attualizzati al tasso Euribor tre mesi.
In vero, si potrebbe discutere dell’eccessivo ammontare di tale clausola penale, anche alla luce delle indicazioni recentemente formulate in giurisprudenza, secondo cui il concedente non può ricevere vantaggi maggiori di quelli conseguibili dalla regolare esecuzione del contratto, tenuto conto che, anche alla stregua della Convenzione di Ottawa sul leasing internazionale 28 maggio 1988, recepita con legge 14 luglio 1993, n. 259, il risarcimento del danno spettante al concedente deve essere tale da porlo nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l'utilizzatore avesse esattamente adempiuto (Xxxx. 17 gennaio 2014, n. 888). Nel caso di specie, però, la stessa clausola contrattuale prevede che il locatore riconoscerà al conduttore quanto eventualmente conseguito disponendo del bene all’esito della restituzione, anche procedendo a compensazione con quanto dovuto dall’inadempiente: tale obbligo risulta idoneo a fondare la legittimità della clausola penale, ovviamente a condizione che sia eseguito correttamente, il che comporta che, non potendosi configurare un obbligo di risultato a carico del locatore di collocazione del bene, quest’ultimo si sia, però, diligentemente attivato nella ricerca di un acquirente.
Alla luce di tanto, pertanto, il ricorso va rigettato, invitando peraltro l’intermediario a porre in essere tutte le iniziative necessarie al reperimento di un acquirente, o di altro conduttore, del bene oggetto del contratto di leasing cessato.
P.Q.M.
Il Collegio non accoglie il ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1