AUDIZIONE DI CONFINDUSTRIA NELL’AMBITO DELL’INDAGINE CONOSCITIVA SULL’ASSETTO DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI E SULLE PROSPETTIVE DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
AUDIZIONE DI CONFINDUSTRIA NELL’AMBITO DELL’INDAGINE CONOSCITIVA SULL’ASSETTO DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI E SULLE PROSPETTIVE DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
Roma, 5 novembre 2008
A seguito dell’indagine conoscitiva sull’assetto delle relazioni industriali e sulle pro- spettive della contrattazione collettiva, avviata dalla Commissione Lavoro della Camera dei Deputati nel mese di giugno, il 5 novembre si è tenuta l’audizione di Confindustria, il cui testo si riporta integralmente di seguito.
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L’economia rappresentata da CONFINDUSTRIA
Confindustria, attraverso la sua rete di 254 organizzazioni associate, rappresenta più di 126 mila imprese industriali che occupano oltre 4 milioni e settecentomila lavoratori.
Il 56% delle imprese associate appartiene al settore manifatturiero.
Il 44% rientra, invece, nell’area dei servizi e, quindi, è composto da imprese apparte- nenti: ai grandi servizi a rete (trasporti, energia elettrica, gas e acqua, telecomunicazio- ni), all’industria del turismo, ai settori della conoscenza e dei servizi innovativi e tecno- logici (quali, fra gli altri, comunicazione e marketing, consulenza, ingegneria, qualità, ricerca e sondaggi, servizi tecnologici e professionali, ecc.).
Dal punto di vista dell’occupazione, l’area manifatturiera impegna il 68% dei dipenden- ti, l’area dei servizi il 29% ed il 3% il settore delle costruzioni.
L’83% delle imprese associate ha meno di 50 dipendenti e il 60% ne ha meno di 15. Quasi l’80% dei lavoratori sono in imprese con più di 50 dipendenti.
Nel sistema Confindustria vengono stipulati 67 contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria.
La contrattazione di secondo livello viene esercitata nel 30% delle imprese che occupa- no oltre il 70% dei lavoratori.
Il quadro macroeconomico
Negli ultimi dieci anni l’Italia ha registrato un “grande fallimento” ed un “grande suc- cesso”.
Nella valutazione comune il primo ha oscurato il secondo.
Il “grande successo” è la crescita occupazionale. In questi dieci anni sono stati creati 3,1 milioni di nuovi posti di lavoro, di cui 2,9 milioni nel lavoro dipendente.
Il tasso di occupazione è salito dal 52,3% al 58,7%.
Il tasso di disoccupazione è stato ridotto dall’11,3%, tra i più alti di Europa, al 6,1%, in- feriore alla media europea e a quelli delle principali nazioni.
In base all’indagine annuale di Confindustria sul mercato del lavoro, i dati appena ela- borati confermano che il contratto a tempo indeterminato continua ad essere la forma “normale” di rapporto di lavoro nelle imprese associate.
La percentuale rimane stabile sopra al 90%.
Il residuo 9,5% rappresenta la percentuale di flessibilità interna: contratto a tempo de- terminato, contratto di inserimento, contratto di apprendistato.
Dall’analisi dei flussi in entrata emerge poi che - anche per effetto dell’elevata percen- tuale di “conferme” dei lavoratori assunti a termine - il 67% delle assunzioni avvenute nel 2007 sono riconducibili a ruoli “stabili” negli organici delle nostre aziende.
Di contro, il “grande fallimento” è la mancata crescita.
Il PIL è salito dell’1,5% medio annuo, il peggior risultato del dopoguerra.
Negli anni Duemila la dinamica è stata ulteriormente frenata (1,1%). E questo è avve- nuto mentre il sistema mondiale ha sperimentato il più florido ed intenso periodo di e- spansione della storia.
Anche rispetto al resto dell’Eurozona, che pure non è stata molto dinamica, abbiamo sfigurato: il PIL italiano è aumentato dello 0,9% in meno all’anno tra il 1997 ed il 2007. Se avessimo avuto una crescita analoga a quella dell’area dell’euro, nel 2008 il PIL ita- liano sarebbe stato di 151 miliardi più alto.
Anche le buste paga sarebbero state, in modo corrispondente, più elevate con un guada- gno di 2.470 euro l’anno.
Una situazione dipesa soprattutto dalla bassa crescita della produttività totale e del lavo- ro.
La bassa crescita della produttività del lavoro ha comportato una dinamica non elevata delle retribuzioni reali, soprattutto se confrontate con i periodi precedenti.
Comunque, negli ultimi dieci anni, le retribuzioni sono cresciute in Italia del 7,5% in termini reali, cioè molto più della produttività e molto più che in Germania e in Spagna.
A prezzi correnti, le buste paga italiane sono salite come quelle francesi e molto più di quelle tedesche (3,0% annuo contro l’1,9%).
La quota del PIL che va al lavoro è salita in questi anni dal 74,4% al 76,6%. Per il solo lavoro dipendente la quota è passata dal 51,5% al 54,8%.
In entrambi i casi, siamo ai livelli degli anni 70 ed 80, ma con molti occupati in più. Il monte salari reale è infatti aumentato del 22,8% in Italia ed è questo il dato che conta per le famiglie dei lavoratori.
Obiettivamente dobbiamo riconoscere che la lenta dinamica di incremento delle retri-
xxxxxxx reali va incrociata con la produttività ferma e, quindi, con la bassa crescita dell’economia nel suo complesso.
Il recupero di competitività richiede la riattivazione del circolo virtuoso “maggiore pro- duttività - maggiore crescita”, per cui tutti gli sforzi devono concentrarsi sull’aumento dell’efficienza delle imprese e del sistema nel suo complesso.
La ricetta è senz’altro “modernizzazione per la crescita” in tutti i settori, dalla Pubblica Amministrazione alle infrastrutture, dalle politiche energetiche ed ambientali ai traspor- ti e la logistica, dai sistemi educativi e formativi al welfare.
Del resto, tutte le organizzazioni internazionali, dal Fondo Monetario all’OCSE, all’UE indicano con estrema chiarezza la necessità di procedere alla modernizzazione del si- stema.
Ciò vuol dire in primo luogo intervenire per creare un contesto favorevole allo sviluppo di una contrattazione collettiva che, nel valorizzare con adeguate politiche retributive e gestionali il capitale umano, favorisca la competitività delle imprese.
È questo il percorso che tutti i Paesi europei hanno cercato di compiere negli ultimi an- ni. Una tendenza che ha favorito un progressivo decentramento della contrattazione in tutti i paesi negli ultimi due decenni.
Nei paesi dell’UE a 15, caratterizzati in passato dalla prevalenza della centralizzazione della contrattazione, il decentramento si esprime oggi nel sempre maggiore spazio ri- servato alla contrattazione aziendale.
Il Protocollo del 23 luglio 1993
Il modello definito con il Protocollo del 23 luglio 1993 ha indubbiamente rappresentato un capitolo fondamentale nella evoluzione delle relazioni industriali e della politica e- conomica nel nostro Paese.
Attraverso questo accordo è stato definito un sistema di regole, di procedure, di com- portamenti, che hanno permesso all'Italia di raggiungere quanto meno tre obiettivi.
Il primo è stato il contenimento delle dinamiche dell’inflazione, salvaguardando così i redditi delle famiglie.
Il secondo è stato il risanamento della finanza pubblica, rispettando così gli impegni che ci venivano da Maastricht per la partecipazione all’Unione Europea.
Il terzo obiettivo è stato il rilancio della competitività delle imprese, creando le premes- se per un avvio degli investimenti e per un miglioramento anche della situazione occu- pazionale del nostro Paese.
Valutazioni analoghe erano state espresse dalla Commissione Giugni incaricata dal Go- verno, nel 1997, di effettuare una prima ricognizione circa il funzionamento del Proto- collo del 1993.
A distanza di più di dieci anni, le osservazioni fatte dalla Commissione Giugni sono an- cora pienamente da condividere.
Il confronto in atto sulla riforma degli assetti della contrattazione
Il mutamento dello scenario competitivo ha reso evidente che, se ha ben funzionato ri- spetto agli obiettivi che il Paese si era dato agli inizi degli anni 90, il modello del 1993 deve essere rivisto per far sì che anche le relazioni industriali siano funzionali al rag- giungimento dei nuovi obiettivi.
È per questo motivo che Confindustria ritiene necessaria una riforma degli assetti della contrattazione collettiva per realizzare un sistema di regole di relazioni industriali capa- ce di favorire un aumento della produttività, una maggiore competitività delle imprese, lo sviluppo dei fattori per l’occupabilità ed il miglioramento delle retribuzioni reali di tutti i lavoratori.
Con questa convinzione dal mese di giugno Confindustria ha avviato un confronto con le organizzazioni sindacali.
Tale confronto ha portato, il 10 ottobre scorso, alla elaborazione di un documento di in- dirizzo in cui sono state definite congiuntamente le linee guida per la riforma degli as- setti della contrattazione, condiviso da Cisl e Uil ma non dalla Cgil.
Comunque, per comune decisione, si procederà ad allargare il confronto a tutte le altre organizzazioni di rappresentanza dei datori di lavoro privati e pubblici con l’obiettivo di arrivare ad una condivisione delle linee guida in tempi brevi.
Nel documento di linee guida si propone di innovare le regole della contrattazione col- lettiva ai diversi livelli, ma anche di definire gli elementi essenziali per realizzare un nuovo sistema di relazioni industriali meno conflittuali e sempre più di tipo partecipati- vo.
Si mira, in questo modo, a realizzare un “accordo procedurale”, così come lo era il Pro- tocollo del 23 luglio 1993, nel senso di stabilire le regole cui le parti dovranno attenersi nella negoziazione, ma anche nella gestione, dei contratti collettivi nazionali e di se- condo livello.
La logica di base è sviluppare relazioni industriali di tipo partecipativo, facendo esclu- sivo affidamento sull’esercizio dell’autonomia collettiva, tanto in sede interconfederale che nazionale e di secondo livello.
Il modello proposto intende, quindi, segnare il passaggio dalla logica di contrapposizio- ne meramente conflittuale al coinvolgimento nella gestione delle relazioni sindacali e contrattuali per:
avere un sistema di relazioni industriali quale fattore di competitività e non strumento di vincolo all’iniziativa economica;
favorire il conseguimento di retribuzioni più elevate in quanto collegate a incrementi di
produttività, redditività, efficienza, ecc..
realizzare un sistema “regolato” di relazioni fra le parti.
Si conferma un assetto della contrattazione collettiva su due livelli: il contratto naziona- le di categoria e la contrattazione di secondo livello, aziendale o alternativamente terri- toriale, laddove previsto, secondo l’attuale prassi, nell’ambito di specifici settori.
I sindacati avevano posto un problema pregiudiziale: abbandonare il criterio dell’inflazione programmata per un indice di carattere previsionale (l’ “inflazione reali- sticamente prevedibile” secondo la definizione contenuta nel documento unitario varato a maggio da Cgil, Cisl e Uil).
Dopo un lungo confronto abbiamo accettato l’idea di costruire un indice previsionale con orizzonte triennale, depurato dall’inflazione energetica importata.
L’introduzione dell’indice non libera risorse per la contrattazione di secondo livello. Per questo si prevede una diversa definizione della base di calcolo contrattuale utile per determinare la crescita dei minimi tabellari nei singoli contratti nazionali di categoria.
Pertanto, per quanto riguarda il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria, nel- le linee guida si prevede:
la durata triennale tanto per la parte economica che normativa;
la funzione del contratto nazionale di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nel territorio na- zionale;
l’individuazione dell’indicatore della crescita dei prezzi al consumo assumendo per il triennio - in sostituzione del tasso di inflazione programmata - un nuovo indice previ- sionale costruito sulla base dell’IPCA (l’indice dei prezzi al consumo armonizzato, ela- borato da Eurostat per l’Italia), depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati;
l’elaborazione della previsione da parte di un soggetto terzo sulla base di una specifica lettera di incarico;
la verifica circa eventuali scostamenti tra l’inflazione prevista e quella reale effettiva- mente osservata, considerando i due indici sempre al netto dei prodotti energetici im- portati;
l’affidamento al Comitato - costituito a livello interconfederale quale specifica sede di monitoraggio, analisi e raccordo sistematico della funzionalità del nuovo accordo - del- la verifica circa la significatività degli eventuali scostamenti registratisi. Il recupero de- gli eventuali scostamenti sarà effettuato entro la vigenza di ciascun contratto nazionale in termini di variazione dei minimi.
l’applicazione del nuovo indice previsionale ad un valore retributivo medio assunto quale base di computo composto dai minimi tabellari, dal valore degli aumenti periodici di anzianità considerata l’anzianità media di settore e dalle altre eventuali indennità in cifra fissa stabilite dallo stesso contratto nazionale.
Il contratto nazionale di categoria, inoltre, regola il sistema di relazioni industriali a li- vello nazionale, territoriale ed aziendale.
Il contratto nazionale può definire ulteriori forme di bilateralità, anche sulla base di specifici accordi interconfederali conclusi in relazione ad un quadro normativo che as- sicuri benefici fiscali ad incentivazione del funzionamento di servizi integrativi di wel- fare.
Al fine di costruire un sistema “regolato” di relazioni industriali, viene anche disciplina- ta la procedura per il rinnovo dei contratti nazionali dedicando particolare attenzione ad individuare soluzioni che evitino il fenomeno dell’eccessivo protrarsi dei negoziati.
Viene previsto, infatti, che la presentazione delle richieste sindacali avvenga sei mesi prima della scadenza del contratto.
A questo stesso obiettivo è rivolta anche la previsione di un meccanismo che, dalla data di scadenza del contratto precedente, riconosca una copertura economica, che le catego- rie stabiliranno nei singoli contratti, a favore dei lavoratori in servizio alla data di rag- giungimento dell’accordo.
Altrettanto importante è la previsione che, dopo sei mesi dalla scadenza del contratto, se ancora non è stata raggiunta l’intesa, scatta una verifica in sede interconfederale per e- saminare le ragioni che non hanno ancora consentito il rinnovo.
Questo a conferma della logica conciliativa che esalta il ruolo dell’autonomia collettiva assunta a base del nuovo accordo.
Insieme alle nuove regole e procedure, vengono anche indicate le conseguenze in caso di violazione delle stesse.
È stato, quindi, fissato un periodo di “tregua sindacale” di sette mesi dalla presentazione della “piattaforma”, per consentire il regolare svolgimento del negoziato stabilendo che, in caso di mancato rispetto, si può esercitare il diritto di chiedere la revoca o la sospen- sione dell’azione messa in atto durante il periodo di “tregua”.
Per quel che riguarda il secondo livello di contrattazione a contenuti economici, l’obiettivo è il conseguimento di retribuzioni più elevate in quanto collegate a livelli di maggiore efficienza ed alla redditività, produttività e competitività dell’impresa.
Nel documento di indirizzo, abbiamo confermato la necessità che vengano incrementate e rese strutturali le misure di decontribuzione e detassazione stabilite con il Protocollo del luglio 2007 e quelle proposte dal Governo ed approvate definitivamente ad agosto 2008, tutte volte ad incentivare la contrattazione di secondo livello che colleghi aumenti salariali al raggiungimento di obiettivi di produttività, redditività, ecc..
Su queste premesse generali, si innesta la disciplina di dettaglio ed in particolare che la contrattazione di secondo livello si esercita per le materie delegate dal contratto nazio- nale o dalle norme di legge.
Viene poi confermata la regola secondo cui la contrattazione di secondo livello deve ri- guardare materie ed istituti che non siano già stati in altri livelli di contrattazione, se-
condo il principio del “ne bis in idem”.
Rispetto alla contrattazione con contenuti economici, abbiamo anche definito le caratte- ristiche cui deve corrispondere il premio variabile: un premio calcolato con riferimento ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi concordati fra le parti, aventi come obiettivo incrementi di produttività, di qualità, di redditività, di efficienza, di effi- cacia ed altri elementi rilevanti ai fini del miglioramento della competitività aziendale nonché ai risultati legati all’andamento economico dell’impresa.
L’intero impianto degli assetti della contrattazione ha l’obiettivo di spostare il baricen- tro della contrattazione collettiva con contenuti economici in azienda e cioè là dove è possibile assicurare una crescita dei salari strettamente correlata ai risultati conseguiti nella realizzazione di piani di produttività, redditività, efficacia, efficienza, ecc..
Per questo nel documento si affida ai contratti nazionali la possibilità di concordare li- nee guida utili a definire “modelli di premio variabile” per la diffusione della contratta- zione di secondo livello, anche con le incentivazioni previste, nelle PMI.
Oltre alle procedure per un ordinato svolgimento dei rinnovi degli accordi di secondo livello, abbiamo anche disciplinato le procedure e le sanzioni in caso di violazione delle regole poste per la contrattazione di secondo livello.
La procedura ha ancora una volta una logica di tipo conciliativo inizialmente in sede territoriale e poi a livello nazionale.
Qualora la controversia non trovi soluzione in sede di conciliazione, è previsto il ricorso ad un collegio di arbitrato, secondo modalità e procedure stabilite nel CCNL o con spe- cifico accordo interconfederale.
Le sanzioni in caso di accertato inadempimento sono quelle già previste dalle norme di legge vigenti in materia di responsabilità riguardanti esclusivamente i comportamenti posti in essere da organizzazioni di rappresentanza.
Il progetto di riforma cui le linee guida mirano è costruito in modo che il risultato eco- nomico complessivo per il lavoratore derivi da tre distinti fattori:
gli aumenti retributivi previsti dal contratto nazionale;
l’aumento della retribuzione in funzione della contrattazione di secondo livello che, in quanto collegata al raggiungimento di obiettivi di produttività ed efficienza, risulterà ancora più “pesante” essendo in tutto o in parte, decontribuita e detassata;
l’attivazione di un “elemento di garanzia retributiva” - nella misura ed alle condizioni concordate nei contratti nazionali con particolare riguardo per le situazioni di difficoltà economico-produttiva - che rappresenta una “rete di garanzia” a favore dei lavoratori dipendenti da aziende nelle quali non si esercita la contrattazione di secondo livello e che non percepiscono altri trattamenti economici individuali o collettivi oltre a quanto spettante per contratto nazionale. Il beneficio sarà determinato con riferimento alla si- tuazione rilevata nell’ultimo quadriennio. La verifica degli aventi diritto e l’erogazione dell’elemento di garanzia si collocano al termine della vigenza di ciascun contratto na- zionale.
Nel documento si propone inoltre di favorire intese in sede territoriale per il governo delle situazioni di crisi e per lo sviluppo economico ed occupazionale del territorio.
Ancora una volta si affida alla contrattazione di settore la possibilità di consentire che nel territorio le parti possano accordarsi per modificare, in tutto o in parte, anche in via sperimentale e temporanea, singoli istituti economici o normativi del CCNL.
Tale capacità è esercitabile sulla base di parametri oggettivi individuati dal contratto nazionale quali, ad esempio, l’andamento del mercato del lavoro, il tasso di produttivi- tà, la necessità di creare condizioni di attrattività per nuovi investimenti, ecc..
In ogni caso le intese devono essere approvate dalle parti stipulanti il contratto naziona- le.
Riguardo ai compiti affidati al Comitato paritetico Confindustria-Cgil, Cisl, Uil - il cui funzionamento sarà disciplinato con apposito regolamento - oltre alla verifica della fun- zionalità di quanto definito con il nuovo accordo, si prevede che possa costituire la sede di analisi e di verifica delle relazioni industriali e della gestione del fattore lavoro nel sistema industriale e dei servizi.
Circa il tema della rappresentanza delle parti nella contrattazione collettiva, nelle linee guida di riforma si conferma l’interesse a definire nuove regole con la disponibilità a valutare le diverse ipotesi che possono essere adottate con accordo, ivi compresa la cer- tificazione all’INPS dei dati di iscrizione sindacale.
Sempre nella logica di realizzare un sistema di relazioni industriali meno conflittuale, si propone alle parti firmatarie di assumere il comune impegno a rispettare ed a far rispet- tare – nell’esercizio del cosiddetto potere d’influsso proprio delle organizzazioni di rap- presentanza di imprese e lavoratori – tutte le regole che liberamente saranno definite in materia di contrattazione collettiva.
Da ultimo, si conferma l’attenzione per la semplificazione/riduzione del numero dei contratti collettivi nazionali di lavoro a seguito della verifica dell’interesse delle catego- rie in tal senso. Le Confederazioni svolgeranno un ruolo per favorire e coordinare l’attività di razionalizzazione.
Tutti gli aspetti applicativi saranno definiti una volta raggiunta l’intesa generale.
Come è evidente, l’aver condiviso queste linee guida per la riforma degli assetti ha co- me obiettivo il rilancio della crescita economica e rafforza l’indicazione condivisa da imprese e sindacati per una politica di riduzione della pressione fiscale in via prioritaria sul lavoro dipendente e sulle imprese per favorirne la competitività.