Giuseppe Vecchio
Xxxxxxxx Xxxxxxx
Autonomia privata, ordinamento scolastico, sussidiarietà e diritti di cittadinanza: il patto educativo di corresponsabilità(*)
Sommario: 1. Il “patto di corresponsabilità educativa”: estensione del regime di autonomia privata ai processi educativi-formativi. 2. Autorità, partecipazione, consensualità. 2.1. Dal “contratto formativo”, al “patto di corresponsabilità educativa”: modulo autoritativo e modulo convenzionale nell’evoluzione della funzione scolastica. 2.2. Autonomia sociale della funzione educativa: il modello partecipativo di governo dell’istituzione scolastica. 2.3. La revisione del ruolo delle istituzioni scolastiche nella crisi della funzione educativa della famiglia. 2.4. Prime considerazioni sugli effetti del “patto” come strumento di regolazione della funzione educativa. 3. Le parti del patto di corresponsabilità educativa 3.1. Potestà genitoriale e corresponsabilizzazione della scuola nel processo educativo. 3.2. Formazione sociale familiare e processi di sviluppo della personalità. 3.3 Soggettività della singola istituzione scolastica e adozione del modello “consensuale” nei rapporti con l’utenza. 3.4. “Autonomia funzionale” e soggettività della scuola. 3.5. Autonomia collettiva e definizione dello “schema” del patto.
3.6. Statuto degli studenti. Il regime progressivo della responsabilizzazione dei minori 4. Oggetto e “funzione sociale” del patto. 4.1. La formalizzazione del processo educativo
4.2. La “funzione sociale” del patto di corresponsabilità. 4.3. Disponibilità di situazioni soggettive. Regime autoritativo e regime pattizio 4.3.1. I poteri dei genitori 4.3.2. Diritti di autonomia della scuola. 4.3.3. Diritti di autodeterminazione del minore. 4.3.4. Patto e parità di trattamento. 5. Effetti dell’introduzione del patto nello schema delle relazioni educative.
6. Il modello del “patto” e le suggestioni conseguenti.
Tutta la vicenda dello Stato moderno, del diritto mo- derno è intrisa del problema del rapporto tra egua- glianze formali ed eguaglianze materiali, o se voglia- mo, del problema della libertà formale e della libertà reale. Lo Stato è mosso da una logica contraddittoria, perché da una parte deve garantire l’eguaglianza for- male, dall’altra, però, deve rendere vera l’eguaglianza.
(P. Barcellona, I soggetti e le norme)
Il lavoro che di seguito si presenta è una riflessione sulla possibilità di ri- leggere il complesso rapporto fra diritto-dovere dei genitori all’educazione dei figli, funzione delle istituzioni scolastiche autonome, riconoscimento giuridico della progressività dell’acquisizione della capacità d’agire da parte dei minori,
(*) Il presente saggio trae spunto dalle lezioni tenute nell’anno accademico 2008- 2009 al Master per la Dirigenza scolastica, curato in collaborazione dalle Università di Bergamo, Calabria, Catania e Padova.
Xxxxxxxx i Xxxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxx Xxx e i Partecipanti al Master per la straordinaria quantità di spunti di rifles- sione che mi hanno fornito. La responsabilità delle affermazioni contenute nel testo è mia.
come problema esemplare del processo di costruzione dell’eguaglianza e della cittadinanza, in chiave di sussidiarietà e con gli strumenti di diritto civile(1).
L’occasione è fornita dall’introduzione nell’ordinamento di una nor- ma, l’art. 5 bis del d.P.R. 249 del 1998 (d.P.R. 21 novembre 2007, n. 235), che potrebbe costituire, nonostante l’apparente marginalità, il passaggio formale necessario per leggere molti aspetti dell’ordinamento scolastico in modo coerente con la lunga elaborazione di principi pedagogici ispirati al personalismo e all’autonomia, che mal tollerano la veste istituzionale della scuola fondata su una concezione autoritativa dell’amministrazione.
La norma citata ben si inserisce nel processo evolutivo del diritto dell’amministrazione, segnato dall’evoluzione della normativa dalla l. 241 del 1990 alla l. 15 del 2005, che registra una sempre maggiore apertura ai principi e alle regole del diritto privato(2). A sua volta, il diritto privato, an- che per effetto della generalizzazione dei principi comunitari, tende sempre più a farsi carico dei problemi connessi al principio di parità e, per questa via, a porsi come diritto comune idoneo a regolare i rapporti civili(3).
(1) X. Xxxxx, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Torino, 1979, pp. 162 ss., spec. 208; X. xxxx, Cura, Unione Europea, Fondo sociale europeo, Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, ISFOL, Quattordici voci per un glossario del Welfare. Roma 2008, pp. 35 ss.; X. Xxxxxxxxxxx, Il diritto civile nella legalità costituzionale, secondo il sistema italo comunitario delle fonti, Napoli, 2006, pp. 824 ss.; X. xxxxxxxxx, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, Napoli, 1975; X. xxxxxxxx, Capacità d’agire, (ad vocem), in Dig. Disc. Priv. Sez. civ., II, Torino, 1998. pp. 209 ss.
Può essere utile il riferimento a C. Cost. 1988, n. 957 (anche se le affermazioni che si riportano di seguito non costituiscono la ratio decidendi ) «Deve riconoscersi che quanto il Pretore argomenta circa l’evoluzione del diritto di famiglia, a seguito della riforma del 1975, ed in particolare per quanto si riferisce al cosiddetto “aspetto interno” della potestà dei genitori, a seguito della mutata formulazione dell’art. 147 cod. civ., è esatto. Ciò, del resto, corrisponde anche ai suggerimenti della dottrina civilistica, particolarmente dell’ultimo decennio, e all’indirizzo della stessa giurisprudenza. In altri termini, dal più antico concet- to di “patria potestà”, intesa come espressione di un diritto soggettivo del pater familias, la nozione si è andata sempre più spostando verso quella di “potere” in senso stretto: vale a dire di potestà preposta alla tutela di un interesse alieno, che e poi quello del minore. Ciò comporta che, da una parte, si siano accresciuti i limiti al potere discrezionale dei genitori e, dall’altra, che questo si vada progressivamente riducendo in rapporto al progressivo ac- crescersi dell’autonomia e del peso della volontà minorile. Tutto questo, pero, può soltanto legittimare il giudice di merito ad adottare, caso per caso, sul piano strettamente interpre- tativo, soluzioni diverse, a seconda che la potestà parentale, esercitata ormai al limite del raggiungimento della maggiore età, si dimostri incompatibile con “le capacità, l’inclinazio- ne naturale e le aspirazioni dei figli”, specie in relazione a quanto a posteriori fosse rimasto dimostrato dagli accadimenti successivi al raggiungimento della maggiore età».
(2) X. xxxxxxx, Il mondo nuovo del diritto, Bologna, 2008; X. xxxxxx, L’amministrazione italiana. Dal centralismo napoleonico al federalismo amministrativo, Roma, 2009; Ministero del lavoro, della salute, delle Politiche sociali, La Vita Buona nella Società Attiva Libro Bianco sul futuro del modello sociale, Roma, 2009.
(3) AA.VV. Giustizia sociale nel diritto contrattuale europeo: un manifesto, “Gruppo di studio sulla giustizia sociale nel diritto privato europeo” in Riv. crit. dir. priv. 2005; d. la rocca, Eguaglian-
1. Il “patto di corresponsabilità educativa”: estensione del regime di autonomia pri- vata ai processi educativi-formativi.
Nel dibattito avviato da qualche anno sul ruolo del diritto privato nella definizione di rapporti improntati alla giustizia sociale, sono emersi interessanti profili di riflessione sulle possibili funzioni degli strumenti del diritto civile e del principio di eguaglianza.
Risulta di particolare interesse un passaggio del Manifesto sulla giustizia sociale nel diritto europeo dei contratti (gruPPo di studio sulla giustizia sociale nel diritto Privato euroPeo)(4) che si riporta testualmente:
In effetti, attualmente il diritto privato dei contratti sta diventando più signifi- cativo, grazie al ruolo cruciale che svolge nel pensiero politico neoliberale. Se i governi cercano di ridurre il ruolo dello Stato, di incoraggiare le soluzioni del mercato ai problemi, di assicurare il benessere sociale, e di usare la disciplina della concorrenza di mercato per migliorare l’efficienza dell’offerta di beni pubblici, i contratti diventano sia uno strumento di commercio che uno strumento politico. Perciò, le regole che disciplinano queste tran- sazioni, le quali trovano il loro fondamento nel diritto privato, diventano uno strumento regolatore chiave delle moderne entità di governo. Nella misura in cui la diretta pubblica fornitura di beni e servizi tramite gli enti dello stato sociale viene smantellata e rimpiaz- zata dalle relazioni contrattuali – per l’istruzione, la salute, i servizi pubblici, le pensioni, le comunicazioni – il diritto dei contratti fornisce le regole che disciplinano il modo in cui i cittadini ottengono la soddisfazione dei loro bisogni primari. Il contenuto di tali regole acquista una rilevanza politica ancora maggiore, poiché dette regole esprimono i principi centrali degli ideali contemporanei di giustizia sociale.
Il passaggio, ricco di spunti e stimolante per l’approfondimento di molti aspetti delle politiche sociali contemporanee, non sembra trovare, tut- tavia, nella rimanente parte del documento, lo sviluppo delle riflessioni che ci si potrebbe attendere.
Il documento e, sulla sua scorta, buona parte del dibattito successivo risultano concentrati sui problemi dell’asimmetria di posizioni nell’ambito delle relazioni commerciali di massa e sembrano preoccupati, soprattutto, della costruzione di un ipotetico sistema di difese delle posizioni sociali più deboli, nell’ambito di processi caratterizzati dalla concentrazione di potere contrattuale in capo a soggetti imprenditoriali (professionali), possibilmen- te “successori” di posizioni oligopolistiche (se non monopolistiche) già de- tenute da operatori pubblici(5).
za e libertà contrattuale nel diritto europeo. Le discriminazioni nei rapporti di consumo. Torino, 2008;
X. Xxxxxxxxxx, L’“idea del sociale” nella teoria del diritto privato: il caso italiano (ma non solo), in
Riv. trim. diritto e procedura civile, 1997, pp. 717 ss.
(4) X. xxXXx (a cura di), Giustizia sociale e mercato nel diritto europeo dei contratti. Con la collaborazione di Xxxxxxx Xxxxxx, Xxxxxxxxxxxx, 2007.
(5) X.X. xxXxxxx, I servizi sociali nel dedalo delle riforme: il filo dei principi costituzionali, in Jus, 2001, pp. 289-304
Si può facilmente immaginare che i terreni di confronto e di para- gone utilizzati siano quelli che hanno registrato, nel corso degli anni no- vanta, il trasferimento delle attività dalla titolarità pubblica alla titolarità imprenditoriale. Altrettanto facilmente, si può immaginare che i problemi di tutela siano quelli risultanti dalla caduta degli strumenti amministrativi di regolazione e controllo dei mercati e dalla corrispondente necessità di recuperare sul piano contrattuale strumenti idonei a garantire un equilibrio riconducibile a giustizia sociale(6).
È sufficiente pensare al mercato della telefonia, al mercato dei tra- sporti, al mercato del credito, per avere un quadro sufficientemente chiaro. Il rapporto fra il diritto privato e la giustizia sociale sarebbe, es- senzialmente, quello di uno strumento capace di garantire la sostituzione della logica amministrativa di controllo e distribuzione di determinati beni con la logica di una garanzia diffusa di rapporti egualitari come effetto del
rinvio al mercato(7).
È evidente che la proposta di riflessione avanzata dal gruppo di stu- dio coglie un aspetto di particolare interesse e delicatezza del processo di trasformazione in corso. Tuttavia, non si può fare a meno di avvertire una sorta di parzialità del punto di vista assunto e, forse, anche degli stessi og- getti utilizzati.
La problematica dei trasferimenti dal pubblico al privato di signi- ficativi settori di produzione e distribuzione di servizi coglie soltanto un aspetto di un ben più vasto panorama di riorganizzazione delle relazioni sociali secondo categorie e strumenti propri del diritto civile. Invero, esiste ormai un’ampia letteratura che ha affrontato i problemi di individuazione dei criteri di giustizia sociale nella regolazione dei rapporti fra privati a par- tire dall’applicazione del principio di parità(8).
Ciononostante, sembra possibile segnalare ancora altri profili e altri ambiti di regolazione di sicuro interesse per la sperimentazione del ricorso a strumenti di diritto civile nell’attuazione di importanti politiche sociali(9). Accanto ai processi di trasferimento della titolarità, da pubblico a privato, si devono tenere da conto processi di trasformazione di pari ri- levanza, anche se di diversa portata strutturale, che si manifestano come “privatizzazioni” dell’attività della Pubblica Amministrazione, secondo il principio fissato dall’art. 1 della l. 11 febbraio 2005, n. 15 che stabilisce:
«1-bis. La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non au-
(6) X. xxxXxxx, Giustizia nell’era del capitalismo globale?, in Riv. crit. dir. priv., 2008, 189 ss.; D. la rocca, Eguaglianza e libertà contrattuale nel diritto europeo, cit., pp. 74 ss.
(7) P. Barcellona, I soggetti e le norme, Milano, 1984.
(8) d. la rocca, Eguaglianza e libertà contrattuale nel diritto europeo, cit., ivi ampi rife-
rimenti bibliografici.
(9) Restano di particolare suggestione le riflessioni contenute in Categorie giuridiche e rapporti sociali, a cura di X. xxxxx, Milano, 1978.
toritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge di- sponga diversamente»(10).
Si possono riscontrare ambiti di relazioni e di regolazione nei quali alla permanenza della natura pubblica della titolarità dell’attività si accom- pagna sia una trasformazione in senso privatistico del regime dei rapporti fra soggetto erogatore del servizio e utenti, sia un’equiparazione funzionale della sua struttura tra pubblico e privato. Non solo, dunque, si assiste alla trasformazione del regime dei rapporti di interesse sociale per mutazione della titolarità (con dismissioni da pubblico a privato), ma è possibile ri- scontrare, anche, significativi esempi di evoluzione connessi al cambiamen- to delle modalità di regolazione degli stessi rapporti, come conseguenza dell’evoluzione della natura “pubblica” della soggettività degli enti titolari.
È di particolare interesse rilevare che tali processi avvengono anche e soprattutto in alcuni degli ambiti segnalati dal brano del Manifesto sopra riportato, come l’istruzione e la sanità.
Nel corso della nostra riflessione, considereremo gli aspetti di una trasformazione come quella appena richiamata come effetto delle riforme della disciplina relativa alla materia dell’istruzione-educazione.
L’interesse del riferimento al “diritto civile” di problematiche ricon- ducibili alla tutela dei processi di sviluppo della personalità(11) e alle tra- sformazioni del ruolo dell’operatore pubblico non si ferma, certamente, al rilevamento delle metamorfosi strutturali del “pubblico”. La constatazione della necessità di concentrare l’attenzione sui problemi di “parità” che si propongono nel passaggio della tutela dallo schema dell’intervento pubbli- co a quello dell’attività privata coglie solo uno dei profili.
Al di là del problema dell’equità e della giustizia sociale nella re- golazione dei rapporti trasferiti dall’area dell’autorità all’area del mercato, emerge un altro ordine di rilevanza del ricorso al modello privatistico. È possibile individuare, infatti, aree di relazioni che tendono ad affrancarsi dal dominio del modello autoritativo, pur non seguendo la via del semplice rinvio al mercato e/o della privatizzazione della titolarità.
In tali aree si sta sviluppando una nuova dimensione del rapporto fra pubblico e privato che, a lungo andare, potrebbe costituire una profonda innovazione della stessa coppia oppositiva, anche in relazione a concezioni dello stesso “pubblico” e dello stesso “privato” di portata ben più ampia di quella attribuibile alle accezioni giuridiche dei due termini(12).
(10) Per le prime considerazioni sui processi di privatizzazione della pubblica am- ministrazione, x. xxxxxxx irelli Osservazioni generali sulla legge di modifica della l. n. 241/90, in Xxxxxxxx.xx, 2005.
(11) x. Xxxxxxxxxx, L’autodeterminazione dispositiva della persona e il valore di libertà del soggetto, in Riv. crit. dir. priv. 2008; X. xxxxxxxxxxx, La persona (rilevanza della nozione e opportu- nità di rivederne le principali caratteristiche), in Riv.dir. civ. 379 ss.
(12) x. Xxxxx, La società come istituzione, in Xxx. xxx. xxx. 0000, xx. 000 xx.
Xxx che viene in discussione, sotto questo profilo, non è più il trapas- so di un determinato tipo di rapporti dal “pubblico” al “privato”, secondo la logica dei confini del diritto delle codificazioni e degli stati a ordinamento amministrativo. Viene in discussione la stessa fondatezza del confine e la lo- gica (storica e contingente) dell’attribuzione di determinati rapporti e delle loro tutele all’una o all’altra area(13).
2. Autorità, partecipazione, consensualità.
2.1. Dal “contratto formativo”, al “patto di corresponsabilità educativa”: modulo autoritativo e modulo convenzionale nell’evoluzione della funzione scolastica.
Il d.P.R. 21 novembre 2007, n. 235 “Regolamento recante modifiche
ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998,
n. 249, concernente lo statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria”, introduce una disposizione, il nuovo art. 0 xxx xxx x.X.X. 000, xxxxxxxxxx “Patto educativo di corresponsabilità e giornata della scuola” che stabilisce «Contestualmente all’iscrizione alla singola istituzione scolastica, è richiesta la sottoscrizione da parte dei genitori e degli studenti di un Patto educativo di corresponsabilità, finalizzato a definire in maniera dettagliata e condivisa diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie. I singoli regolamenti di istituto disciplinano le procedu- re di sottoscrizione, nonché di elaborazione e revisione condivisa, del patto di cui al comma 1».
Risulta che al momento della prima applicazione (iscrizioni all’anno scolastico 2008-09), non tutte le istituzioni scolastiche destinatarie della disposizione abbiano adempiuto. L’inadempienza, purtroppo, sembrereb- be dipendere da una diffusa sottovalutazione della portata innovativa della norma, sia sul piano delle radicali trasformazioni istituzionali introdotte, sia, soprattutto, sul piano dell’incidenza sulle responsabilità del sistema sco- lastico (si veda pure: D.m. Istr. 16 gennaio 2009, n. 5).
In particolare, si avverte una lettura di continuità tra la disciplina del “contratto formativo”, di cui al d.P.C.M. 7 giugno 1995(14), Schema generale di riferimento della Carta dei servizi scolastici, e la nuova normativa.
Si deve, invece, ritenere che la nuova normativa, a partire dal coinvolgi- mento diretto dei genitori nella obbligatoria sottoscrizione del patto, introdu- ce una radicale innovazione del regime giuridico. Nonostante la disciplina sia
(13) X. xxxxxxx, Teoria dell’istituzione e della fondazione, a cura di X. xxxxxxxx xxxxxx, Milano, Xxxxxxx, 1967.
(14) h PrzesMycki., La pedagogia del contratto, La Nuova Italia 1994.
limitata all’ambito dell’istruzione secondaria(15), si deve ritenere che esprime, comunque, una trasformazione della regolazione del processo educativo, che va ben oltre il modello di funzione pubblica partecipativa che ha caratterizza- to il sistema scolastico (dall’istituzione degli organi collegiali partecipati con il d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297, all’introduzione della Carta dei servizi scolastici con la l. 11 luglio 1995, n. 273), per pervenire ad un esplicito e formale rapporto di “sussidiarietà educativa”. Il nuovo rapporto di “sussidiarietà educativa”(16) si esprime mediante una progressiva sostituzione del modulo organizzativo fondato sull’autorità con il modulo organizzativo fondato sul consenso.
La differenziazione della disciplina tra i vari ordini di scuola e, se- gnatamente, la limitazione della previsione dell’obbligo di sottoscrizione del patto alla sola scuola secondaria di secondo grado non sembrano limitare la portata della considerazione precedente, essendo possibile distinguere diver- si gradi di distribuzione della responsabilità educativa tra famiglia e scuola lungo l’arco del processo di attuazione del diritto-dovere alla formazione.
2.2. Autonomia sociale della funzione educativa: il modello partecipativo di governo dell’istituzione scolastica.
Dopo anni di riflessione sul disegno pedagogico e istituzionale della
partecipazione delle famiglie al processo educativo, il modello proposto con il “patto” segna una prima manifestazione di coinvolgimento diretto e formale(17).
La maggior parte degli attuali docenti si è formata in un sistema scolastico nel quale il rapporto con la famiglia, più correttamente con i genitori, e nella formulazione originaria con il “padre o chi ne fa le veci”, era ridotto al minimo; aveva le caratteristiche di un intervento straordinario per situazioni di particolare gravità; si limitava ai problemi di “condotta” dell’alunno. Gli stessi docenti hanno sperimentato la fase dell’avvio della partecipazione delle famiglie alla vita della scuola come partecipazione alla “funzione di governo dell’istituzione”, caratterizzata dall’apertura delle sedi di decisione collegiale alla “rappresentanza” dei genitori e dalla “democra- tizzazione” elettiva del sistema.
Il passaggio dall’una all’altra fase ha determinato un profondo cam- biamento, soprattutto, del modello organizzativo dell’istituzione scolastica e della struttura dell’amministrazione. Ad un sistema di derivazione centra- listica di amministrazione, si è sostituito un sistema tendenzialmente par- tecipativo, almeno per quel che riguarda gli aspetti connessi all’uso delle
(15) Xxx. Xxxx. XXXX x. 0/0000.
(16) X. Xxxxxxxx, Autonomia. Storia, bilancio e rilancio di un’idea, Brescia, 2002.
(17) x. xxxx-XxXXxxxxx, Partecipazione dei genitori
‹xxxx://xxx.xxxxxxxx.xx/ archivio/ famiglie/partecipazione_dei_genitori.htm›.
limitate risorse devolute all’autonomia scolastica. Sul piano della parteci- pazione al processo educativo in senso stretto, tuttavia, il modello definito nella prima metà degli anni settanta non sembra abbia portato modifiche sostanziali sul piano della partecipazione dei genitori e delle famiglie(18).
Il modello era ancora fondato sulla prevalente responsabilità educa- tiva delle famiglie e sulla concreta possibilità di esercizio della responsabi- lità, a fronte di un sistema scolastico ancora orientato, essenzialmente, alla sola funzione formativa/istruttiva e concepito come erogatore di servizi da sottoporre (al massimo) a controllo partecipativo fondato sull’adeguatezza dell’informazione all’utenza (d.P.C.M. 7 giugno 1995, punto 5, Principi fon- damentali della Carta dei servizi scolastici).
Il presupposto di una simile impostazione dei rapporti era costituito dall’indiscusso primato sociale della famiglia nell’ambito dei processi di svi- luppo della personalità del minore e dalla ricchezza delle offerte di agenzie sociali di partecipazione informale ai processi educativi. Nella vigenza di un regime di sussidiarietà educativa diffuso, anche se non proclamato, il rapporto fra famiglia, scuola, altre istituzioni di socializzazione era impo- stato secondo standard condivisi e consolidati.
2.3. La revisione del ruolo delle istituzioni scolastiche nella crisi della funzione educativa della famiglia.
La progressiva destrutturazione del modello sociale di riferimento di
quello standard ha determinato l’insufficienza dell’azione delle singole isti- tuzioni sociali(19). Al di là di specifiche situazioni di crisi, è possibile rileva- re una diffusa tendenza alla deresponsabilizzazione della famiglia e si deve registrare un incremento delle aspettative a carico del sistema scolastico, non solo pubblico, per l’erogazione di “servizi” educativi che(20), molto proba- bilmente, ne trascendono finalità sociali consolidate, capacità istituzionale e regole giuridiche di definizione dei poteri e delle responsabilità(21).
(18) U. tenuta, Didattica cuore dell’autonomia, in Spazio didattica, n. 3.; id., Berlin- guer, Xx Xxxxx e Xxxxxxx, La vera riforma, migliorare i processi di insegnamento e di apprendimento per assicurare il successo formativo a tutti gli alunni, in Xxxxxxxx.xxx.
(19) a.M. Maccarini, Crescita personale, cultura civile e capitale sociale nel Terzo settore: due casi nel sistema educativo, in Terzo settore e valorizzazione del capitale sociale in Italia: luoghi e attori, a cura di X. xxxxxx e I. colozzi, Milano, 2006, pp. 63 ss.
(20) X. xxxxXXxxxx, L’ospite inquietante, Milano, 2007, pp. 12 ss., pp. 40 ss.
(21) La prima e più importante strategia di costruzione dell’equità formativa parte da un ineliminabile dato di fatto. Negli ultimi vent’anni, tutte le ricerche di psicologia, so- ciologia ed economia dell’educazione hanno dimostrato che la causa principale dei fallimenti scolastici non è, in genere, la scuola, ma l’extrascuola, in particolare l’ambiente sociale e familiare di provenienza degli alunni. Ministero della PuBBlica istruzione, Rapporto finale del Gruppo Ristretto di Lavoro costituito con D.M. 18 luglio 2001, n. 672, Roma, 28 novembre 2001, Parte I, L’ipotesi elaborata dal Gruppo Ristretto di Lavoro (a cura di X. Xxxxxxxx.)
Il sistema scolastico, di conseguenza, si è trovato esposto al problema dell’educazione del minore a partire dagli aspetti essenziali dei processi di socializzazione primaria, subendo, peraltro, il confronto con un sistema di comunicazione multimediale sottratto sia al controllo della scuola, sia allo stesso controllo delle famiglie(22).
Altrettanto rilevante, d’altra parte, è stato il processo di scomposi- zione dei sistemi familiari, con l’avvento di una fase di progressiva destrut- turazione dello stesso modello mononucleare e con l’avvento(23) di nuovi modelli di relazione interpersonale fondati su convivenze nelle quali è pre- sente solo uno dei genitori(24).
Le trasformazioni in corso sono talmente significative da avere im- posto radicali modificazioni degli stessi modelli di regolazione dei rapporti fra genitori e figli nei casi sempre più diffusi di scomposizione della coppia genitoriale. A tal proposito è sufficiente tenere in considerazione le signifi- cative trasformazioni del regime di “affido” introdotte da una normativa, anch’essa, in continua trasformazione (l. 8 febbraio 2006, n. 54)(25).
(22) Finalità del sistema educativo di istruzione e di formazione: il controllo cri- tico. Soprattutto oggi, molte conoscenze e abilità sono apprese da ogni ragazzo fuori dal sistema educativo di istruzione e di formazione. Spesso sono anche più di quelle imparate all’interno di esso. Giochi, gruppi, famiglia, ambiente sociale, mass media, tecnologie in- formatiche, Internet ecc. consentono a ciascun ragazzo di accrescere molto più di un tempo il proprio patrimonio conoscitivo e tecnico. Copioni, stereotipi, scenari, nonché conoscen- ze specifiche e generali sul mondo fisico, psichico e biologico, sono già salde e di non facile modificazione a cinque anni. Ogni ragazzo porta, perciò, nel sistema educativo di istruzio- ne e di formazione, pratiche e dinamiche di vita personale, sociale, tecnica ed economica, nonché visioni personali del mondo (valori, significati, motivazioni ecc.) già strutturate, in positivo e in negativo, e dalle quali è impossibile prescindere per qualsiasi apprendimento successivo. Sono il patrimonio da cui scaturiscono gli automatismi e i processi balistici o quasi balistici dei pregiudizi, delle precomprensioni, delle risposte reattive immediate.
Il sistema educativo di istruzione e di formazione difficilmente può competere con il sistema informale e non formale sul piano delle informazioni, della trasmissione di pratiche sociali automatiche e di visioni del mondo già sedimentate nei modi di abitare la città, di vivere le relazioni ecc.
La funzione specifica del sistema formale diventa, invece, soprattutto, un’altra: quella di abituare i ragazzi e i giovani alla distanza e al controllo critici. Ministero della PuBBlica istruzione, Rapporto finale del Gruppo Ristretto di Lavoro costituito con D.M. 18 luglio 2001, n. 672, Roma, 28 novembre 2001, Parte I, L’ipotesi elaborata dal Gruppo Ristretto di Lavoro (a cura di X. Xxxxxxxx).
(23) X. Xxxxxxxx, Famiglia e nuovi diritti della personalità: norma, xxxxxxxxx e rifiuto del diritto, in Quadrimestre – Rivista di Diritto Privato, n. 2/1989; Ri-conoscere la famiglia: quale valore aggiunto per la persona e la società? Decimo rapporto CISF sulla famiglia in Italia a cura di XxxxXxxxx xxxxxx, Cinisello Balsamo, 2007.
(24) x. xxxxxXXx, Famiglia: molteplicità di modelli o unità categoriale, in Diritto di famiglia e delle persone, 2006, pp. 1219 ss, spec. 1232 ss.
(25) X. Xxxxxxxx, Famiglia e nuovi diritti della personalità. Xxxxx, desiderio e rifiuto del
diritto, in Quadrimestre, Riv. dir. priv., 1989, pp. 320 ss.
Una disciplina come quella del patto di “corresponsabilità educativa” deve essere inserita e valutata nel contesto specifico. Essa esprime il tenta- tivo di formalizzare la nuova dimensione del rapporto fra scuola e famiglia nel difficile processo di ridefinizione di un equilibrio fra le responsabilità e i compiti delle due istituzioni sociali nel complesso scenario dell’attuazione del diritto/dovere del minore all’educazione, del diritto/dovere della fami- glia a educare, del diritto/dovere della società a garantire i livelli di educa- zione necessari alla piena attuazione della cittadinanza(26). La formalizza- zione legale del modello di sussidiarietà del processo educativo costituisce manifestazione dell’inadeguatezza “istituzionale” della scuola a farsi carico da sola del problema e tenta di porre un argine all’indebolimento della tra- dizionale sinergia fra le agenzie educative(27).
Si deve osservare, quindi, che la differenziazione di regime tra i vari ordini di scuola, introdotta dalla riserva del “patto” alla sola secondaria (di secondo grado), potrebbe ben corrispondere a una differenziazione dei cri- xxxx di distribuzione della responsabilità fra scuola e genitori in ragione della specificazione e dell’articolazione del rapporto educativo lungo il percorso di maturazione dei giovani.
2.4. Prime considerazioni sugli effetti del “patto” come strumento di regolazione della funzione educativa.
L’introduzione del patto di corresponsabilità educativa, introdotto,
come spesso accade, sulla base della spinta emotiva di particolari contingen- ze (bullismo), forse è un primo, abbastanza fragile, tentativo di dare forma alla trasformazione del complesso sistema di responsabilità e di poteri che ha retto per quasi ottant’anni (fatta eccezione per il tentativo di rivisitazione esperito nel 1939 dal fascismo con la “Carta della scuola”) il rapporto fra pubblico e privato, fra stato, famiglia e istituzioni dell’azione sociale diffusa. La formula utilizzata dal legislatore è estremamente generica. Al- trettanto generici sono gli orientamenti e i suggerimenti proposti con “cir- colare ministeriale” in materia tipicamente riferibile all’autonomia delle
singole istituzioni.
La genericità della previsione normativa, infatti, lascia spazio, for-
se fin troppo, all’autonomia e fa temere una sottovalutazione della portata
(26) X. Xxxxxx, Comparazione giuridica e Diritto europeo, Napoli, 2005; X. Xxxxxx, La prospettiva della cittadinanza dell’Unione come base giuridica per una codificazione europea di diritto privato, in Diritto privato europeo. Fonti ed effetti, a cura di x. xxXx e x. xxxxxx, Milano, 2004,
X. xxxxxx, La cittadinanza: appartenenza, identità e partecipazione dallo Stato liberale alla democra- zia contemporanea, Storia d’Xxxxxx, Xxxxxx, 00 Xxxxx, Diritto, Giustizia, a cura di X. xxxxxxxx, in collaborazione con X. Xxxxxxxxx. pp. 107 ss.
(27) X. xxxXxxx, Il diritto come sistema autopoietico, a cura di X. xxXXxxXx e X. Xxxxxxx, Milano 1996.
dell’innovazione. Forse qualcuno potrebbe pensare che si tratti dell’ennesi- mo manifesto di buone intenzioni, privo di effetti e sostanzialmente inutile. Tenteremo, di seguito, di proporre alcune considerazioni preliminari per avvertire che la portata dell’innovazione potrebbe essere ben più significati- va, soprattutto se inquadrata nel panorama delle privatizzazioni dell’attività amministrativa conseguenti al lungo processo di riforma avviato con la l. 241 del 1990 e consolidato con la l. 15 del 2005.
3. Le parti del patto di corresponsabilità educativa.
Il primo ordine di problemi è quello di identificare correttamente le
parti del patto. Lo stesso testo normativo le identifica come genitori, studen- ti e istituzione scolastica autonoma. Immediatamente dopo fa riferimento ai diritti e doveri della scuola, degli studenti e delle famiglie. L’individuazione dei genitori come parte necessaria del patto è testualmente fuori discussio- ne, ma è altrettanto fuori discussione la necessaria articolazione del patto in relazione alle differenziate situazioni legali delle relazioni fra genitori e figli in presenza di regimi di separazione(28). Resta ancora da capire, dunque, se il ricorso al termine “famiglia” abbia una portata identificativa esclusiva della coppia genitoriale o se invece, in qualche misura, non estenda la sua portata anche alle formazioni familiari “ricostituite” nelle quali il minore “svolge la propria personalità” e dalle quali si aspetta, comunque, l’adem- pimento dei “doveri inderogabili di solidarietà […] sociale”(29). Ulteriore ordine di problemi che emerge è, ovviamente, quello specifico relativo alla capacità del minore di assumere direttamente una obbligazione “pattizia”.
3.1. Potestà genitoriale e corresponsabilizzazione della scuola nel processo educativo.
Con l’articolo 3 del d.P.R. 21 novembre 2007, n. 235, i genitori sono
considerati parti del patto di corresponsabilità educativa, con una significa- tiva innovazione rispetto al quadro normativo generale.
È sufficiente ripercorrere le norme di carattere generale sull’organiz- zazione dei cicli di istruzione per rendersi conto che solo nella definizione della scuola dell’infanzia si fa riferimento specifico al primato educativo dei genitori. Per gli altri ordini di istruzione, non c’è alcun riferimento specifico oltre al generico riferimento iniziale dell’art. 1 della legge 53 del 2003, signi- ficativamente diverso da quello dell’abrogato art. 1 della legge 30 del 2000.
(28) Cfr. Miur ufficio scolastico regionale Per l’xXxxxx-roMagna, Circ. 15 ottobre 2008, Patto educativo di corresponsabilità. Relazioni fra scuole e famiglie qualora gli alunni siano figli di genitori separati o divorziati.
(29) Ancora attuali le indicazioni metodologiche per la ricostruzione del concetto giu- ridico di famiglia di X. Xxxxxxxxxx, Famiglia (dir. civ.), Milano, 1967, in Enc. dir. XVI, 779 ss.
Con l’art. 5 del Decreto Legislativo 15 aprile 2005, n. 76 “Definizio- ne delle norme generali sul diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, a norma dell’articolo 2, comma 1, lettera), della legge 28 marzo 2003, n. 53” si precisa che
Responsabili dell’adempimento del dovere di istruzione e formazione sono i genitori dei minori o coloro che a qualsiasi titolo ne facciano le veci, che sono tenuti ad iscriverli alle istituzioni scolastiche o formative. Alla vigilanza sull’adempimento del dovere di istruzione e formazione, anche sulla base dei dati forniti dalle anagrafi degli studenti di cui all’articolo 3, così come previsto dal presente decreto, provvedono: […]
d) i soggetti che assumono, con il contratto di apprendistato di cui all’articolo 48 del de- creto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, i giovani tenuti all’assolvimento del diritto- dovere all’istruzione e alla formazione, nonché il tutore aziendale di cui al comma 4, lettera f ), del predetto articolo, e i soggetti competenti allo svolgimento delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro, di cui al decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124.
L’affermazione del ruolo dei genitori (e, in alcuni casi, del datore di lavoro – responsabile dell’apprendistato) è un fatto di particolare im- portanza nel quadro delle relazioni di responsabilità e di “poteri privati” in materia di educazione dei minori. Il richiamo del diritto-dovere dei genitori all’educazione dei minori, lungi dal rappresentare un pleonastico rinvio a principi consolidati, sembra, piuttosto un modo di esplicitare la difficoltà sociale dell’esercizio della funzione e un tentativo di stabilire un principio di condivisione della stessa funzione e della connessa responsa- bilità tra genitori e scuola(30).
La differenziazione del trattamento della potestà educativa tra fase esistenziale corrispondente all’infanzia e fase dell’adolescenza può essere letta come riconoscimento dell’articolazione del processo educativo e delle posizioni dei suoi interpreti in termini di sussidiarietà(31).
Rispetto alle affermazioni della cultura nazionalista che avevano trovato espressione nella Carta della scuola del 1939 e rispetto agli stessi tentativi di progressiva espansione della competenza “educativa” del siste- ma scolastico, la soluzione che si viene a delineare ha caratteristiche di par- ticolare equilibrio e determina un rinvio alla definizione “negoziale” della distribuzione delle attribuzioni. Il problema dell’educazione dei minori non esce dal sistema delle potestà genitoriali, ma viene affrontato in un contesto di progressiva collaborazione con il sistema scolastico e di altrettanto pro- gressiva responsabilizzazione dei minori.
(30) Xxxxxx, Le autorità private, Napoli, 1977: G. de Minico, Regole. Comando e consen- so, Torino, 2005; xxxxxxx xxxxxxx Autorità. Subordinazione e insubordinazione: l’ambiguo vincolo tra il forte e il debole, Xxxxx Xxxxxxxxx, 2008.
(31) X. Xxxxxxxxx, Interesse del minore e integrità della famiglia in una nuova legge della regio- ne Lombardia, in Riv. dir. civ. 2006, pp. 233 ss.
3.2. Formazione sociale familiare e processi di sviluppo della personalità.
La normativa in vigore, oltre a individuare i genitori come titolari del potere-dovere di sottoscrizione del “patto”, specifica, immediatamente dopo, che i “diritti” e i “doveri”, alla cui “dettagliata definizione” il patto è finalizzato, sono riferiti alla “famiglia”(32). Il testo normativo pone, dun- que, una serie di problemi che traggono origine, evidentemente, dall’uso di un lessico tecnico-pedagogico che ben individua il “soggetto sociale” di riferimento del processo educativo, ma che potrebbe determinare, invece, conflitti significativi sul piano della definizione dei poteri e delle respon- sabilità giuridicamente rilevanti nell’ipotesi, non infrequente, di non corri- spondenza formale fra “genitori” e “famiglia”(33).
Il primo problema che viene in evidenza sotto questo profilo è quello relativo al concetto giuridico di famiglia e alla definizione della possibili- tà di individuare una soggettività della stessa(34). È evidente la difficoltà del legislatore di individuare una specifica dimensione di soggettività della “famiglia”, almeno nel contesto ordinario al quale si fa riferimento. Non vi è alcun dubbio sul fatto che l’uso corrente del termine “famiglia” abbia portata semantica ben diversa nel contesto delle scienze pedagogiche e nel contesto delle scienze giuridiche. Tuttavia, non si può fare a meno di tentare di trovare un’area di rilevanza comune, dal momento che la norma attribu- isce un ruolo alla “famiglia” e dal momento che lo stesso deve costituire la concretizzazione delle funzioni di educazione individuate dalle scienze pedagogiche. È evidente che il legislatore che afferma, all’art. 1 l. 53/2003, il «rispetto delle scelte educative della famiglia», individua la stessa famiglia come attore del processo educativo e attribuisce ad essa un rilievo formale ed esterno, idoneo a determinare effetti sui poteri e i comportamenti di quella parte della pubblica amministrazione e su quei soggetti privati che sono titolari della funzione scolastica(35). Da un lato, la norma enfatizza la previsione dell’art. 155 c.c., come novellato dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54 che stabilisce: «La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’edu- xxxxxxx e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di
(32) V. tondi della Mura, Famiglia e sussidiarietà, ovvero: dei diritti (sociali) della fami- glia, in I modelli familiari fra diritti e servizi, a cura di X. xxxxxxx, Napoli, 2005, pp. 315 ss.; X. Xxxxxxxxxx, Diritti della famiglia e identità della persona, ibidem, pp. 435 ss.
(33) x. xxxxxXXx, Famiglia: molteplicità di modelli o unità categoriale, in Diritto di famiglia e delle persone, cit., spec. 1230 ss.
(34) x. xXxxxx, Contratti di convivenza e diritti del minore, in Diritto di famiglia e delle persone, 2006, 1, pp. 240 ss.
(35) V. tondi della Mura, Famiglia e sussidiarietà, ovvero: dei diritti (sociali) della fami- glia, in I modelli familiari fra diritti e servizi, cit. p. 348.
disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente» e richiama l’attenzione sulla necessaria partecipazione di entrambi i genitori al processo educativo. Dall’altro lato, la stessa norma può aprire la riflessione su più complessi assetti di relazioni di tipo familiare ed impone, quindi, una più approfondita riflessione, specie in relazione a quegli aspetti che consentono di individuare nella “famiglia” una “formazione sociale” (rectius: una “società naturale”), luogo di forma- zione della personalità dell’individuo(36).
Il richiamo espresso alla funzione della famiglia costituisce una sorta di rinvio della definizione delle specifiche responsabilità dei genitori, della scuola, delle istituzioni pubbliche e sociali, al contesto reale nel quale si svolge il processo di maturazione del minore e ne impone la necessaria considerazione nella formulazione del progetto educativo(37). “Famiglia” è il luogo reale nel quale si colloca il percorso di ciascun alunno, con tutte le possibili contraddizioni, i condizionamenti, le vicissitudini che fanno del rapporto fra genitori e figli un vero e proprio rapporto “familiare”. Al di là delle specifiche responsabilità individuali e solidali dei genitori, emerge un quadro di relazioni non sempre e non facilmente formalizzabili. Si va dallo schema ordinario della “famiglia fondata sul matrimonio” a tutte le varianti della “famiglia non fondata sul matrimonio”, della “famiglia ricostituita”, della “famiglia monogenitoriale”. L’uso del termine, quindi, dovrebbe con- sentire di graduare e regolare in un quadro unitario di responsabilità rap- porti che diversamente dovrebbero essere singolarmente coordinati(38).
Il regime “familiare” del rapporto educativo indica, quindi, un pro- cesso articolato sia sul piano della specificità individuale della persona in formazione, sia sul piano della specificità relazionale e ambientale dell’inse- rimento della stessa(39). Viene in evidenza, così, il problema dell’attuazione di un modello di pari opportunità che garantisca la formazione della piena maturità e del senso di cittadinanza del minore come processo di formazio- ne progressiva della capacità d’agire in quanto effettiva attitudine all’instau- razione di corretti e consapevoli rapporti sociali(40). Nel modello fondato sulla
(36) X. Xxxxxxxxxxx, Il diritto civile nella legalità costituzionale, secondo il sistema italo comu- nitario delle fonti, cit., pp. 824 ss.; id. La libertà di educazione, in Perlingieri, La persona e i suoi diritti: problemi del diritto civile, Xxxxxx, Xxxx, 0000, 212 ss.; X. xxxxxxxx, L’istruzione tra scuola e famiglia: tecniche di tutela della persona, Napoli, 1992.
(37) V. tondi della Mura, Famiglia e sussidiarietà, ovvero: dei diritti (sociali) della fami- glia, in I modelli familiari fra diritti e servizi, cit. pp. 353 ss.
(38) X. xx Xxxxx, Famiglie ricomposte, in I modelli familiari fra diritti e servizi, a cura di
X. xxxxxxx, pp. 35 ss.
(39) Per una valutazione di carattere generale sui problemi della trasformazione della genitorialità, X.x. xXxxx, Genitorialità sociale e solidarietà: il significato psico-sociale in Diritto di famiglia e delle persone, 2005, pp. 344-348.
(40) Bonolis, Struttura e mutamento della famiglia, cit., p. 113.
separazione fra processo educativo affidato ai genitori e processo formativo affidato alla scuola, la posizione dei genitori era formalizzata come respon- sabilità autonoma, caratterizzata dalla storica coincidenza fra famiglia ge- nitoriale e famiglia reale e dalla eguaglianza formale delle singole famiglie di fronte all’amministrazione scolastica. Nel modello di corresponsabilizzazione che comincia a delinearsi nella più recente legislazione, la scuola si deve fare carico delle differenze sostanziali in termini convenzionali, assumendole e riconoscendole per garantire parità di trattamento.
Il problema della parità di trattamento emerge con particolare evi- denza nei casi in cui la responsabilità genitoriale si deve confrontare con la realtà di una “famiglia non integralmente genitoriale”. La sottoscrizione del patto di corresponsabilità educativa da parte dei “genitori”, in tali casi, manifesta tutti i limiti di una “apparenza” che spesso non corrisponde al concreto rapporto “familiare” nel quale il minore risulta inserito(41). Se è vero che la responsabilità del genitore non convivente non può essere pretermessa, è altrettanto vero che il rapporto “familiare” che si instaura fra minore, genitore convivente e partner dello stesso, in molti casi, adem- pie con maggiore efficacia, reale affettività ed effettiva comunicazione di modelli comportamentali alle funzioni necessarie allo sviluppo del proces- so educativo del minore. L’individuazione della “famiglia” come elemento essenziale del patto di corresponsabilità potrebbe, in qualche misura, apri- re nuove prospettive alle problematiche della “famiglia ricostituita” e ai problemi di riconoscimento della funzione di quello che in Francia è stato chiamato “terzo genitore” e che, in Italia, si potrebbero valutare nell’ambi- to dell’art. 44 della l. 184 del 1983, come modificata dall’art. 25 della l. 28
marzo 2001, n. 149.
3.3. Soggettività della singola istituzione scolastica e adozione del modello “consensuale” nei rapporti con l’utenza.
L’ultimo quindicennio ha segnato lo sviluppo di un approfondito di-
battito sui problemi della responsabilità educativa anche sotto il profilo del modello dell’istituzione scolastica e del complesso rapporto che si instaura fra potestà delle agenzie responsabili del sistema di istruzione-formazione, autonomie-libertà delle famiglie e dei singoli, dimensioni necessariamente “nazionali” (il termine include, ormai, anche la dimensione europea) dei valori di cittadinanza. Il termine “istituzione scolastica autonoma” (D.P.R 8 marzo 1999, n. 275 Regolamento recante norme in materia di autonomia delle isti- tuzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59) individua, certamente, una parte del patto di corresponsabilità educativa, che consente
(41) X. xx Xxxxx, Famiglie ricomposte, in I modelli familiari fra diritti e servizi, cit. p. 43.
di cogliere gli elementi di una profonda trasformazione del sistema scolasti- co, frutto di quel dibattito e di quegli approfondimenti.
L’istituzione scolastica autonoma, da anni, non è più, nella conce- zione dei pedagogisti, l’organizzazione amministrativa (o privata) dotata di “supremazia speciale” nei confronti degli alunni “sottoposti”. La nuova visione dell’istituzione scolastica, tuttavia, ha stentato e stenta ancora ad affermarsi nella quotidianità delle relazioni, sia per la naturale vischiosità di processi innovativi che devono misurarsi con i comportamenti attuativi di un numero straordinariamente alto di responsabili del processo (dirigenti scolastici, docenti), sia per i ritardi nell’individuazione di un regime giuridi- co adeguato alla rappresentazione e alla garanzia di attuazione di specifici principi pedagogici(42).
Il processo di trasformazione del sistema scolastico come apparato dotato di poteri “autocratici” (almeno nei confronti dei propri sottoposti) è stato avviato nei primi anni settanta(43), con l’introduzione di elementi di democrazia rappresentativa negli organi di governo. Anche quella fase del processo, che culminò nell’elaborazione e nell’approvazione della Carta dei servizi scolastici (1995)(44) e si manifesta ancora come “contratto formati- vo”, in fondo, manteneva le caratteristiche di un modello non consensuale sul piano del rapporto educativo. Le due sfere, dell’autorità educativa (priva- ta) familiare e dell’autorità formativa (funzionalmente pubblica) della scuola (a prescindere dalla natura giuridica della singola istituzione), si confronta- vano con scarsissimi punti di reciproca incidenza formale. La stessa “scuola genitoriale”, astrattamente prevedibile nel sistema gentiliano, trovava scarsa applicabilità per mancanza di congrua disciplina di riconoscimento(45).
I lunghi anni di elaborazione e sperimentazione di un modello col- laborativo, nell’ambito dell’autodisciplina del sistema scolastico, hanno consentito di acquisire una nuova dimensione della gestione del rapporto educativo, che trasforma la partecipatività amministrativa in esercizio ne- goziale della funzione(46).
(42) Il linguaggio adottato si misura con il tentativo di rappresentare l’evoluzione lungo percorsi paralleli dei problemi della relazione pedagogica e delle connesse e funzio- nali forme di organizzazione amministrativa. È sufficiente rileggere alcuni passi significa- tivi di Gentile per cogliere lo stretto rapporto esistente fra modello pedagogico, modello amministrativo e concezione dell’autorità. P. Mulè, Il docente in Italia. Tra pedagogia, scuola e società, Roma, 2005, pp. 23 ss. Allo stesso modo, per la concezione autonomistica e persona- listica della scuola, sia sul piano pedagogico, che sul piano istituzionale, si veda, da ultimo,
X. Xxxxxxxx, Autonomia. Storia, bilancio e rilancio di un’idea, cit.
(43) Decreto Presidente Repubblica 31 maggio 1974, n. 416.
(44) D.P.C.M. 7 giugno 1995, Schema generale di riferimento della “Carta dei servizi scolastici”.
(45) Art. 8 l. 31 dicembre 1962, n. 1859.
(46) X. xxxxxxxxxx, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2007, pp. 1243 ss.; M.A.
sandulli, Riforma della L. 241/1990 e processo amministrativo: introduzione al tema, in Riforma della
L’esplicitazione della dimensione consensuale del rapporto educati- vo è certamente costituita dall’introduzione del “patto di corresponsabilità educativa” obbligatorio.
All’interno del rapporto l’istituzione scolastica autonoma non si li- mita più, come nell’esclusiva vigenza della Carta dei servizi scolastici, a fornire una informazione qualificata ai genitori sui processi formativi, ma “con- tratta” e “concorda” con i genitori e (in parte) con gli studenti percorsi e adempimenti del processo di attuazione del diritto-dovere di educazione.
Il nuovo assetto del rapporto scuola-famiglia e il consolidamento di un contenuto educativo dello stesso impongono ovviamente una riconsidera- zione dell’intero modello interpretativo dell’autonomia scolastica(47).
Fino a quando il modello istituzionale della scuola era definito con ca- ratteri centralistici e gerarchici era molto difficile ricostruirne la funzione in termini di finalità educative. La finalità educativa esige articolazione e indi- vidualizzazione (meglio personalizzazione) del processo che non possono es- sere assunte nel modello centralistico, essenzialmente istruttivo-formativo.
Per le stesse ragioni, un modello che intende farsi carico di finalità educative deve necessariamente trovare un punto di condivisione e di cor- responsabilizzazione con il sistema familiare e procedere, quindi, con una flessibilità di risposta e di adattamento alle singole situazioni(48). Il model-
l. 241/1990 e processo amministrativo: una riflessione a più voci, Università Bocconi, Il Foro Amm.- TAR e la Scuola per le professioni legali di Pavia, 25 maggio 2005; X. xxxxxxx, Riscrittura del- la legge n. 241/1990 e disciplina amministrativa dei beni culturali, Aedon, 3, 2005; X. xxxxxxx irelli, Osservazioni generali sulla legge di modifica della l. n. 241/90, in Giustamm. It, 2005.
(47) Istruzione e formazione sono anche due processi unitari e sempre integrati. L’unità e l’integrazione deriva loro da due circostanze.
Anzitutto, perché non si può conoscere senza produrre, operare e costruire, e vi- ceversa. Nessuno è in grado di elaborare theoría senza téchne, e nessuno può produrre nulla se non concepisce idee e non ha conoscenze da concretizzare. La società globalizzata della conoscenza, d’altronde, ha esaltato questa connessione e ha reso inservibili le artificiose separazioni del passato tra sapere e lavoro, tra istruzione da una parte e istruzione/forma- zione professionale dall’altra.
In secondo luogo, perché ambedue i processi sono chiamati ad essere educativi, nel senso che l’uno e l’altro sono invitati a promuovere nel modo più integrato, armonico, simultaneo e progressivo possibile tutte le dimensioni della personalità di ciascuno (intel- lettuale, affettiva, etica, operativa, motoria, espressiva, sociale, religiosa), non soltanto una di esse. Come a dire che, pur mirando alla testa, l’istruzione non esiste se non coinvolge anche il cuore e le mani, e analogamente, pur mirando alle mani, la formazione non esiste se non coinvolge anche la testa e il cuore. Dal Rapporto finale del Gruppo Ristretto di Lavoro costituito, con D.M. 18 luglio 2001, n. 672, Roma, 28 novembre 2001, Parte I, L’ipotesi elaborata dal Gruppo Ristretto di Lavoro (a cura di X. Xxxxxxxx.)
(48) Allo scopo di realizzare il profilo educativo, culturale e professionale termina- le e gli obiettivi specifici di apprendimento di cui ai punti precedenti, i piani di studio del si- stema educativo di istruzione contemplano tre percorsi formativi che si devono integrare e far sempre interagire, sebbene con le opportune specificità, a seconda delle età evolutive.
lo non ha precedenti nella storia dei sistemi scolastici e deve misurarsi con la limitazione delle risorse sia sul piano quantitativo, sia sul piano della dif- ferenziazione delle competenze. Allo stesso tempo, il passaggio da una fun- zione formativa-istruttiva a una funzione educativa implica un incremento ed una sostanziale modificazione della struttura delle responsabilità.
Per tali ragioni, non si può fare a meno di sottolineare la rilevanza che assume l’introduzione di un principio “consensuale” nella connotazione dell’intero processo educativo. In particolare, diviene necessario ridefinire la portata della stessa “soggettività” dell’istituzione scolastica autonoma nei suoi aspetti di capacità di assumere in proprio responsabilità per lo sviluppo del processo educativo e di legittimazione e corresponsabilizzazione di tut- te le proprie componenti interne nella definizione dell’offerta da sottoporre all’accordo della “controparte”, nell’ambito del patto.
3.4. “Autonomia funzionale” e soggettività della scuola.
L’art. 1 d.P.R. 275 del 1999 definisce quella della scuola un’“auto-
nomia funzionale”. La formula, utilizzata anche per le Università(49) e le Camere di commercio, identifica un’area di organizzazione e di servizi nella quale è necessario attribuire alla struttura titolare della funzione una pos- sibilità di scelta e di decisione che supera significativamente la “discrezio- nalità tecnica” propria di qualunque struttura amministrativa semplice(50).
3.1. Il primo percorso è quello di responsabilità della famiglia e delle altre istituzioni sociali. Con appositi incentivi ed interventi, si tratta di creare le occasioni perché genitori, mass media, attori sociali, imprese, enti locali, centri culturali, imprenditori del tempo libero ecc. possa- no diventare risorsa culturale ed educativa per gli allievi, e si facciano sempre più carico del- la loro maturazione. Molte dimensioni esplicitate nei profili terminali e confluite negli obiet- tivi specifici di apprendimento, perciò, possono benissimo, in molti casi, attraverso progetti educativi integrati, essere acquisite dagli allievi anche in ambienti extrascolastici. La scuola, in questo senso, certifica il raggiungimento di risultati finali ed esonera, per gli aspetti che lo consentono, dai percorsi scolastici facoltativi, ritenuti necessari per raggiungerli.
Sembra ragionevole attribuire sempre maggiore importanza a questo percorso a mano a mano si sale nell’età evolutiva. I crediti formativi acquisiti all’esterno della scuola e di cui si chiede la certificazione alla scuola, infatti, di solito aumentano in proporzione al grado di autonomia degli studenti e all’intensità della loro vita sociale e culturale extrasco- lastica. In questa prospettiva, è difficile immaginarne l’uso sistematico prima della quarta classe dell’istruzione primaria. Dal Rapporto finale del Gruppo Ristretto di Lavoro costituito, con
D.M. 18 luglio 2001, n. 672, Roma, 28 novembre 2001, Parte I, L’ipotesi elaborata dal Gruppo Ristretto di Lavoro (a cura di X. Xxxxxxxx).
(49) X. xxxxxxxxx, Autonomia universitaria e Stato pluralista, Milano 1992.
(50) A.M. Poggi, Autonomia delle istituzioni scolastiche e multiculturalismo, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica 1, 2000, pp. 179-190; A.M. Poggi, Istruzione, formazione professionale e Titolo V: alla ricerca di un (indispensabile) equilibrio tra cittadinanza sociale, decentramento regionale e autonomia funzionale delle Istituzioni scolastiche, Le Regioni, 4, 2002, 771-814; A.M. Poggi, Principio di sussidiarietà e autonomie funzionali, Xxxxxx, 2002; A.M. Poggi, Autonomia, modello funzionale e sussidiarietà, in Valore scuola, La rivista, 13-14, 2007.
La complessità delle relazioni da organizzare e gestire, la natura del servi- zio erogato, la variabilità degli oggetti ai quali si riferiscono le decisioni, le scelte, le attività impediscono una gestione centralistica della funzione e impongono, invece, una particolare autonomia di adattamento all’ambiente e alle libertà che si manifestano negli specifici processi(51). L’autonomia funzionale specifica si manifesta come soggettività della singola istituzione scolastica e capacità di assumere in proprio la responsabilità del processo educativo, in un particolare modello di integrazione con il territorio, con le sue istituzioni pubbliche e sociali, con la “rete” dei servizi e delle rela- zioni familiari(52). L’individuazione del sistema scolastico come sistema di “autonomia funzionale” interviene in una fase storica significativamente differenziata da quella di riconoscimento delle autonomie universitarie e camerali, da sempre considerate fuori dalla pubblica amministrazione in senso stretto. Con ogni probabilità, l’evoluzione istituzionale del sistema scolastico è la corretta proiezione di un processo molto articolato di defi- nizione delle relazioni fra società e stato, fra pubblico e privato, fra sfera delle autonomie private e sfera delle autorità funzionali che esprime, molto più intensamente di altre istituzioni, la storia della formazione dell’unità, dell’identità nazionale, della cittadinanza.
Nella prospettiva aperta dalla definizione della norma di base sull’au- tonomia scolastica, ovviamente, è possibile cogliere le significative trasfor- mazioni culturali, professionali, partecipative di un importante “corpo so- ciale” quale è quello della “docenza”. Nel riconoscimento dell’autonomia della scuola si condensa, come già da lungo tempo, per altro verso e con
(51) X. Xxxxxxxx, Libertà di insegnamento e interesse degli studi, in Riv. di dir. civ., 1994, n. 6, pp. 872 ss.
(52) Per un’articolata critica al modello di autonomia funzionale della scuola dal punto di vista pedagogico, X. Xxxxxxxx, Autonomia, cit., x. 000 xx.
0.0. Il secondo percorso è quello obbligatorio per tutti, di responsabilità delle istituzioni del siste- ma educativo di istruzione. Se, come si diceva, la funzione dell’extrascuola è più informativa, quella delle istituzioni del sistema educativo di istruzione si riconosce per la sua caratura soprattutto critico/formativa. Serve scavare in maniera riflessiva su esperienze, conoscenze e abilità che non vanno mai apprese, né all’esterno, tantomeno all’interno della scuola, per imitazione esecutiva e in modo ripetitivo, ma sempre in modo attivo, relazionale e critica- mente contestualizzato. In questo spirito, il percorso obbligatorio del sistema educativo di istruzione precisa i seguenti elementi:
• il numero delle ore annuali di lezione assicurate a tutti; nell’ipotesi che proponia-
mo alla discussione, 825 annuali (25 ore settimanali);
• la distinzione tra quota nazionale e locale di tale monte ore; […], la quota locale
obbligatoria dei piani di studio è pensata non tanto come aggiuntiva rispetto a quella nazionale, bensì come intensiva rispetto ad essa: un approfondimento di quanto essa già contiene, con opportuni adattamenti alle realtà locali, piuttosto che un suo amplia- mento) dal Rapporto finale del Gruppo Ristretto di Lavoro costituito, con D.M. 18 luglio 2001,
n. 672, Roma, 28 novembre 2001, Parte I, L’ipotesi elaborata dal Gruppo Ristretto di Lavoro
(a cura di X. Xxxxxxxx).
diverse ragioni, in quello dell’autonomia universitaria, il riconoscimento di funzioni che esigono, contemporaneamente, competenze scientifiche e abilità educative specifiche. Le une e le altre possono essere attivate solo nell’esercizio delle scelte che sono proprie di ambiti di responsabilità quali- ficati dall’autonomia come forma di integrazione delle risorse sociali fina- lizzate allo scopo.
3.5. Autonomia collettiva e definizione dello “schema” del patto.
Il procedimento di formazione del “patto di corresponsabilità edu-
cativa” prevede una fase di formulazione della proposta che è attribuita alla responsabilità degli organi dell’istituzione scolastica autonoma. L’art. 5 bis c. 2 del d.P.R. 24 giugno 1998, n. 249, introdotto dal d.P.R. 235 del 2007 stabilisce che «I singoli regolamenti di istituto disciplinano le pro- cedure di sottoscrizione nonché di elaborazione e revisione condivisa, del patto di cui al comma 1». La norma si limita ad introdurre lo strumento pattizio e a fissare alcune caratteristiche essenziali del patto, lasciando alla libertà delle singole istituzioni scolastiche autonome il compito di definire contenuti e modelli applicativi che devono scaturire dalle esigenze reali e dall’esperienza concreta delle scuole, non potendo essere astrattamente enucleabili a livello centrale.
L’attribuzione della competenza a regolare le procedure di sottoscri- zione, di elaborazione e revisione condivisa del patto costituisce amplia- mento delle competenze originarie definite dal d.lgs. 297 del 1994 e già ampliate dal d.P.R. 275 del 1999 in una direzione assolutamente nuova per l’ordinamento scolastico. Il regolamento non si limita all’autodisciplina del- le funzioni e della programmazione della singola istituzione, ma definisce i contenuti di un rapporto convenzionale tra la scuola e i singoli genitori. Sotto questo profilo, non si può fare a meno di ribadire, ancora una volta, il collegamento tra la disciplina in esame e la previsione generale della l. 15 del 2005, che introduce il c.4 bis dell’art. 11 della l. 241 del 1990(53).
Il consiglio d’istituto determina i contenuti del “patto” e ha il potere di articolarlo per renderlo “condivisibile”.
Si viene a determinare, in tal modo, una sostanziale modifica delle attribuzioni tradizionali dell’amministrazione scolastica: la natura funzio- nale dell’autonomia si specifica come potere di determinare volontà e conte- xxxx dell’accordo “pattizio”. In pratica, si definisce un modello di formazio- ne procedimentalizzata della volontà contrattuale dell’istituzione scolastica che prevede il coinvolgimento di tutte le componenti.
Il procedimento di formazione procedimentalizzata della volontà
dell’istituzione scolastica acquista un peso particolarmente significativo
(53) caringella, Manuale, cit. p. 1255.
se si confronta con il preesistente modello di organizzazione gerarchico- amministrativa della scuola e con il quadro generale della ripartizione delle competenze per le scelte pedagogiche fra autorità centrale ministeriale e titolarità autonoma del processo attuativo.
In materia vengono in evidenza e si confrontano valori, problemi e modelli regolativi delle relazioni sociali di particolare interesse.
L’autorità centrale, titolare del potere di indirizzo, è costituita garante dell’omogeneità del processo formativo (oggi anche educativo), che esprime il diritto-dovere all’educazione e all’istruzione e rappresenta una compo- nente essenziale del riconoscimento della cittadinanza(54).
L’istituzione scolastica, titolare del potere di individualizzazione del processo educativo, è costituita garante dell’adeguatezza del percorso in cia- scun ambito sociale e nei confronti di ciascuna persona.
Sotto questo profilo, emergono i problemi connessi alla definizione dei poteri reciproci fra i due livelli dell’organizzazione scolastica, di volta in volta espressi con le formule pedagogiche del sistema per “programmi”, del sistema per “curricoli”, del sistema per “piani di studio individuali”, del sistema per “piani di studio personalizzati”(55).
Ciascuna delle formule pedagogiche individuate e formalizzate nelle varie norme esprime una visione del rapporto fra autorità centrale e auto- nomia locale e, ancora, una visione specifica del rapporto fra tipo di ammi- nistrazione scolastica e destinatari del servizio.
(54) t.h. Xxxxxxxx, Cittadinanza e classe sociale, a cura di X. Xxxxxxxx, Bari, 2002, pp. 48 ss., pp. 66 ss; X. xxxXxxx, Illuminismo sociologico, Milano, 1975, II, pp. 160 ss.; ID. La differenziazione del diritto, Bologna, 1990; X. xxxx, Cittadinanza. Riflessioni filosofiche sull’idea di emancipazione, Milano, 1990. Per un’attenta ricostruzione del dibattito, X. Xxxxxxx, Struttura e mutamento della famiglia, Roma, 1999, pp.107 ss.
(55) x. Xxxxxxxx, La progettazione della riforma. Lessico pedagogico di riferimento
‹www. xxx.xx/xxxxxxxxx/xxx/Xxxxxxxxxxxxx_xxxxxxx_xxxxxxx_xxxxxxxxxx_xxxxx.xxx›, sito
ufficiale INDIRE Piani di Studio Personalizzati.
Con i Piani di Studio Personalizzati, invece, almeno nei propositi, la strada dell’ab- bandono dell’uniformità delle prestazioni progettate interamente a priori da soggetti non coincidenti con chi apprende, già inaugurata con la stagione della Programmazione Currico- lare, si dovrebbe completare fino in fondo e in tutti i sensi. Sul piano della professionalità, infatti, alle scuole e ai docenti è richiesto non più di transitare «dal generale culturale al particolare personale», ma di operare con competenza «dal particolare personale al gene- rale culturale». In altri termini, non più di mettere al centro della propria professionalità la trasmissione organica degli oggetti culturali, ma di adattare gli oggetti culturali alla misura dell’apprendimento e al significato di cui ciascuno ha a volta a volta bisogno per sviluppare al meglio possibile le sue capacità, in una comunità di apprendimento.
Restano, quindi, come nella stagione della Programmazione Curricolare, i vincoli na- zionali che le istituzioni scolastiche e i docenti devono rispettare, e che lo Stato ha il dovere costituzionale di indicare, anche dando spazio ad intese per una quota regionale nella loro determinazione. Tali vincoli, precisano le Indicazioni nazionali per i Piani di studio personalizzati, sono addirittura assunti come «livelli essenziali di prestazione» che tutte le scuole e i docen- ti della Repubblica sono obbligate ad assicurare alle famiglie e ai ragazzi.
3.6. Statuto degli studenti. Il regime progressivo della responsabilizzazione dei minori.
La disciplina della sottoscrizione del patto da parte degli studenti è contenuta nel d.P.R. 21 novembre 2007, n. 235 Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, concernente lo statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria. Si tratta di una modifica sostanziale al regime di “statuto dell’utenza” tipico dello schema normativo delle relazioni con la Pubblica Amministrazione intro- dotto negli anni novanta.
Quello definito dalla normativa del 1998 era un regime “statutario”, caratterizzato dalla individuazione di aspettative dei singoli nei confron- ti dell’amministrazione scolastica, qualificate “diritti” ma non specificate sul piano della disponibilità e del concreto esercizio. All’interno di quel modello la scuola si presenta ancora come “autorità” che garantisce la sod- disfazione di pretese nell’ambito di una programmazione che le compete in via esclusiva.
La constatazione, ovviamente, non inficia il giudizio sull’importanza delle trasformazioni proposte da quella disciplina. In particolare, non si può fare a meno di ritenere che la stagione delle “Carte” e degli “Statuti dell’utenza” ha costituito un significativo progresso in direzione del ricono- scimento di una posizione paritaria e cooperativa fra l’istituzione scolastica (per fermarci al settore che ci riguarda in questa sede) e l’utenza(56).
(56) La disciplina dello “Statuto degli studenti e delle studentesse” ha avuto una particolare rilevanza per quanto attiene ai problemi del regime sanzionatorio dei comporta- menti scorretti in ambito scolastico. L’applicazione della disciplina dello “Statuto” ha dato luogo a numerose controversie, facendo emergere la necessità di un nuovo regime sia sotto il profilo delle sanzioni applicabili, sia, soprattutto, sotto il profilo del procedimento.
Raccolta di giurisprudenza tratta dalla Banca Dati Normativa e Giurisprudenziale per il mondo della scuola ‹xxxx://xxx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxx›, Febbraio 2009.
Consiglio di Stato – Sez. VI – Sent. 18/10/2002 n. 6794: È illegittima l’applicazione di una sanzione disciplinare ad un alunno ove l’istruttoria non abbia chiarito la dinamica dei fatti ed il ruolo assunto dai protagonisti. L’applicazione delle punizioni disciplinari ex art. 19 del R.D. 4 maggio 1925 è correlata alla “gravità della mancanza”, il che comporta l’obbli- go per l’Amministrazione di tenere conto che deve sempre sussistere una proporzione tra il fatto contestato ed accertato e la misura della sanzione disciplinare inflitta.
Tar Puglia – Bari Sez. I – Sent. 15/09/2004 n. 4172 L’applicazione della sanzione disciplinare non è condizionata dalla c.d. pregiudiziale penale, e cioè dall’accertamento del reato da parte dell’Autorità giudiziaria. Poiché l’azione penale e quella disciplinare perse- guono finalità differenti ed autonome, è l’organo disciplinare che deve verificare, nell’ambi- to delle sue competenze e per le finalità sue proprie, se i fatti verificatesi possano integrare gli estremi del reato.
Sul giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto alla condotta influisce anche
lo scandalo che questa abbia provocato nella comunità locale e la recidiva dell’alunno.
Ai fini dell’applicazione della sanzione dell’allontanamento dalla scuola per un pe- riodo superiore a 15 è irrilevante la dedotta insussistenza di una situazione di pericolo (stante nel caso l’avvenuto sequestro della droga da parte dei Carabinieri), poiché l’art. 4
Nel modello scaturente dalla riforma della Pubblica Amministrazio- ne degli anni novanta ci sono già gli elementi e le tendenze che porteranno all’attuale regime pattizio, che si presenta come specificazione settoriale del principio di subordinazione al regime di diritto privato dell’attività della stessa amministrazione contenuto nella legge 15 del 2005.
La nuova concezione, che si presenta non casualmente come integra- zione della norma “statutaria”, si caratterizza, tuttavia, per l’introduzione di un elemento innovativo che non può essere sottovalutato: lo studente non è più destinatario di una attività della scuola, della quale deve essere “in- formato”, ma è direttamente corresponsabile della stessa e dei suoi effetti, tanto da essere chiamato a sottoscrivere un “patto”.
comma 9, del d.P.R. n. 249/1998 contempla due ipotesi alternative tra loro (“o”): l’esistenza di una situazione di pericolo rispetto alla commissione del reato. Comunque la droga è di per sé un grave pericolo quando viene reperita in ambiente scolastico anche per l’effetto dell’insorgere di effetto emulativo tra i compagni di istituto.
La sanzione dell’allontanamento dalla scuola per un periodo superiore a 15 gg. è una sanzione pur prevista dall’ordinamento (art. 4 comma 9 d.P.R. 24 giugno 1998 n. 249) che non contraddice il principio secondo il quale la scuola deve essere vicina agli studenti più manchevoli, allorché, ricorrendo la gravità del caso, l’allontanamento rimanga l’estremo rimedio atto a far comprendere il disvalore delle azioni commesse.
Tar Puglia - Lecce Sez. II - Sent. 31/07/2007 N. 3039
Il d.P.R. n. 249/1998 (Statuto delle studentesse e degli studenti) fa obbligo alle istituzioni scolastiche di adottare il regolamento di disciplina degli studenti, al quale è affidato il compito di individuare a) la tipologia e la descrizione dei comportamenti che possono dare luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari a carico degli studenti delle scuole secondarie superiori; b) la tipologia delle sanzioni disciplinari; c) gli organi scolastici competenti ad irrogare tali sanzioni e il relativo procedimento.
In mancanza di tale regolamento, stante l’intervenuta abrogazione (ad opera dell’art. 6 del d.P.R. n. 249/1998) sia del titolo I, capo III, del R.D. n. 653/1925, sia, con effetto dal 1° settembre 2000, dell’art. 328 del T.U. n. 297/1994 (ad opera dell’art. 17 del
d.P.R. 8.3.1999, n. 275), trova applicazione solo l’art. 4 del citato d.P.R. n. 249/1998, il quale prescrive espressamente che “La responsabilità disciplinare è personale. Nessuno può essere sottoposto a sanzioni disciplinari senza essere stato prima invitato ad esporre le proprie ragioni…”.
Tar Puglia - Bari Sez. I – Sent. 30/08/2007 n. 2054
La “sospensione con obbligo di frequenza” (consistente nell’imporre all’alunno sospeso ad essere presente a scuola senza poter assistere alle lezioni) è un inusuale provve- dimento disciplinare diverso e più grave dalla semplice sospensione (poiché l’alunno viene esposto alla particolare “curiosità” dei suoi compagni di classe).
Non costituisce turbamento del regolare andamento della scuola il comportamento dello studente che, pur se gli era stato vietato verbalmente dal Preside di prendere parte alla partita conclusiva di un torneo calcistico, vi abbia partecipato per un breve periodo su autorizzazione del docente allenatore della squadra.
Tar Calabria – Catanzaro Sez. II – Sent. 09/11/2007 N. 1936
È rilevante come illecito disciplinare quale violazione dei doveri dello studente di cui all’art. 3, commi 2 e 5, del d.P.R. n. 249 del 1998 l’occupazione dell’edificio scolastico da parte degli studenti che abbia impedito lo svolgimento delle lezioni durante tutto il periodo della protesta, non consentendo ai docenti ed agli studenti dissenzienti di poter proseguire rispettivamente nell’insegnamento e nell’apprendimento delle materie scolastiche.
Si può, forse, inscrivere il “patto” tra gli indicatori più significativi di un processo evolutivo della concezione delle pretese costituzionalmente fon- date verso la configurazione in termini di “diritto” connotato da specifiche tutele e azioni, che vanno ben al di là delle “tutele minime” (cioè risarcitorie) ordinariamente riconosciute ai “diritti fondamentali” tutte le volte che si presentano come “diritti pretensivi”. Fermo restando che il diritto all’istru- zione è fortemente condizionato dalla disponibilità di risorse pubbliche de- stinate allo scopo, la strutturazione “pattizia” del rapporto fra istruzione ed educazione apre la strada a nuove articolazioni della giuridicizzazione(57). In particolare, l’instaurazione di un regime di sussidiarietà tra scuola e fa- miglia regolato dalla previsione contrattuale mette in gioco nuove risorse, diverse da quelle finanziarie pubbliche, e pone le condizioni per l’individua- zione di comportamenti “doverosi” o di riconoscimenti consensuali ai limiti dell’esercizio della funzione scolastica pubblica che vanno ben al di là del riconoscimento del semplice carattere “pretensivo” dell’aspettativa(58).
In questa prospettiva, sottoscrizione del patto di corresponsabilità educativa da parte di ciascuno studente è l’elemento di specificità del rap- porto che deve indurre a un’attenta riflessione sulle categorie che vengono in evidenza nell’ambito della disciplina in esame e, specificatamente, sulla configurazione “di diritto” dell’aspettativa del minore(59).
(57) Sulla possibilità di esperimento di azioni antidiscriminatorie in materia scolastica: Ordinanza Tribunale Milano 11 febbraio 2008, in Questione Giustizia, in
‹http:// magistratura xxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxx/xxxxxxxxx-xxxxxxxxx?xxxxx0›. L’ordinanza affron- ta il problema del riparto di giurisdizione, affermando la giurisdizione del giudice civile in ragione della natura di diritto soggettivo del diritto della personalità rappresentato dal diritto all’educazione, probabilmente confuso con il diritto-dovere all’istruzione. La questione spe- cifica era costituita da un conflitto in materia di iscrizione alla scuola dell’infanzia e, quindi, esulava dalla materia sottoposta a regime pattizio. Ove il problema si riproponesse per l’iscri- zione a scuola secondaria di secondo grado, si potrebbe valutare il profilo dell’attribuzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ex l. 15/2005, della materia degli “ac- cordi”. Per la natura e le caratteristiche dell’azione civile antidiscriminatoria di cui all’art. 44 del T.U. sull’immigrazione, D. la rocca, Eguaglianza e libertà contrattuale, cit. pp. 195 ss.
(58) Ampiamente, in X. Xxxxxx, Diritti fondamentali. Diritto a una vita serena. Il per- corso della giurisprudenza, Bonanno Ed. 2008, pp.47 ss. In particolare, sembra utile segnalare che la configurazione di una serie di aspettative come “diritti fondamentali” dotati di una “tutela minima” o come “diritti pretensivi” può essere considerata come una “giuridiciz- zazione” di relazioni e interessi dei “mondi vitali”, diversa sia dalla regolazione informale, sia da quella autoritativa, orientata, invece, alla regolazione sociale formalizzata in termini di “diritto civile”. D’altra parte, non si può fare a meno di ricordare che anche diritti come quello di proprietà possono presentarsi sia come regime di tutela di situazioni effettuali, sia come regime di aspettative “pretensive”. Si pensi al confronto fra l’art. 42, 1° c. Cost. e l’art. 42, 2° c Cost. nell’inciso in cui prevede l’accessibilità a tutti della proprietà privata. X. xxXXxxx, Diritti fondamentali e Unione Europea, Milano, 2009.
(59) X. Xxxxxxx, Struttura e mutamento della famiglia, cit. p. 110. Per i riferimenti a X. xxxxxxxxxx, Il conflitto sociale nella modernità. Saggio sulla politica della libertà, Bari, 1988, X. Xxxxxxx, op. cit. p. 115 ss.
Si pongono, innanzitutto, delicati problemi di ricostruzione della portata della norma, in relazione a profili di carattere generale attinenti alla evoluzione della(60)capacità di intendere e di volere verso la capacità d’agire nel processo di formazione della personalità(61).
Sulla base dei principi consolidati di diritto privato, fondati sul dato testuale dell’art. 2 c.c., i minori, anche se studenti, sono in condizioni di in- capacità d’agire e non possono stipulare alcun accordo, fatti salvi gli effetti degli atti ricadenti nelle previsioni della disciplina dell’incapacità naturale.
L’ordinamento prevede alcune fattispecie, da sempre considerate di regime eccezionale, nelle quali è possibile riconoscere una più o meno li- mitata capacità d’agire anche ai minori. Superata la previsione dell’emanci- pazione per l’esercizio dell’impresa al compimento del diciottesimo anno d’età, restano ancora le fattispecie della capacità connessa alla stipula del contratto di lavoro subordinato e della capacità conseguente all’autorizza- zione a contrarre matrimonio da parte dell’ultrasedicenne. Esistono, anche, altre attività che possono essere svolte dal quattordicenne munito di parti- colari abilitazioni, come la guida di autoveicoli di particolari categorie, che, pur essendo fonti di responsabilità potenzialmente molto elevate, non sono adeguatamente considerate nell’ambito delle attività la cui disciplina incide sul quadro generale della capacità d’agire(62).
Non si può fare a meno di ricordare, infine, il complesso sistema di norme, soprattutto di diritto di famiglia, che prevedono particolari ele- menti di rilevanza dell’opinione (anche se non della volontà) del minore nei procedimenti di affidamento, in alcuni casi pur se infraquattordicenne(63). La disciplina della sottoscrizione del patto di corresponsabilità educa-
tiva da parte dello studente può, forse, essere inquadrata in una visione della capacità d’agire non necessariamente vincolata allo schema rigido e formale della previsione dell’art. 2 cod. civ. e può costituire uno di quegli elementi in- dicati dalla dottrina più attenta ai profili personalistici e alla portata normati- va dell’art. 2 Cost. per segnalare l’esigenza di una rilettura dell’istituto(64).
(60) Per i problemi connessi al rapporto fra corpo e persona, ovviamente con par- ticolare attenzione ai profili della “fisicità” Xxxxxx, La giuridificazione della persona. Ideologie e tecniche nei diritti della personalità, in Riv. dir. civ., 2006, I, 367; resta, Diritti della personalità: pro- blemi e prospettive, in Dir. inf., 2007, 1043-1049; rodotà, La vita e le regole, Feltrinelli, Milano, 2006; x. xxxxxxx, Soggetto di diritto e soggetto umano: la condizione giuridica negli “stati” intermedi, Famiglia e Diritto n. 10/2008.
(61) X. xxxxxxxx, Capacità d’agire, (ad vocem), cit., pp. 209 ss.
(62) X. xxxxxxxx, Capacità d’agire, (ad vocem), cit. 212 ss.
(63) X. Xxxxxxx e x. xxxxxxxx, Persona fisica (dir. priv.), in Enc. d. dir., XXXIII, pp. 194 ss.
(64) X. xxxxxxxx, Capacità d’agire, (ad vocem), cit. 212 ss.; X. xxxxxxxxx, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, cit.; id. Diritti esistenziali della persona, tutela delle minorità e Drittwirkung nell’esperienza europea, in Europa e diritto privato, 2002, 41-60; X. Xxxxxxx e x. xxxxxxxx, Persona fisica (dir. priv.), in Enc. d. dir., XXXIII, pp. 207-210; zatti,
In modo particolare, si può pensare che l’acquisizione della capacità d’agire non sia il risultato di una improvvisa metamorfosi del soggetto allo scoccare del diciottesimo compleanno(65). Si deve, anzi, ritenere, nell’am- bito dell’ordinamento scolastico ancor più che in qualunque altro ambito di relazioni, che l’acquisizione della capacità d’agire sia il risultato di un articolato processo di maturazione psicofisica di ciascun individuo, rispetto al quale il raggiungimento della maggiore età costituisce solo il termine per l’applicazione di una presunzione (vincibile)(66).
Il minore in formazione è un soggetto che segue un processo di pro- gressiva acquisizione degli elementi di conoscenza, di relazionalità, di ma- turazione psicologica, necessari per l’assunzione in autonomia di decisioni consapevoli e responsabili(67).
Sul piano della valutazione dei processi sociali e culturali in corso ormai da molti decenni, ben pochi ostacoli impediscono di immaginare che persone che utilizzano strumenti e macchinari particolarmente elabo- rati nelle relazioni di vita comune (autoveicoli, strumenti di comunicazione elettronica, ecc.) siano sufficientemente consapevoli e informati delle con- seguenze delle proprie attività(68). Diversamente, non sarebbe stato possi- bile, nel 1975, a un decennio dall’introduzione della nuova scuola media e dalla reale generalizzazione dell’obbligo scolastico fino al quattordicesimo anno d’età, ridurre l’età per l’acquisizione della capacità d’agire. Pur ritenen- do abbastanza difficile immaginare ulteriori modifiche del regime generale, non si può fare a meno di segnalare la necessità di valutare con attenzione il problema, anche in considerazione degli effetti dell’introduzione di nuove tecnologie informative e comunicative e di nuovi modelli educativi(69).
L’obbligo di sottoscrizione del patto di corresponsabilità educativa, in questa prospettiva, potrebbe, forse, essere considerato un significativo indicatore di adeguamento della normativa alle nuove dimensioni della relazionalità sociale. In ogni caso, l’obbligo si presenta come un accessorio
Rapporto educativo e intervento del giudice, in L’autonomia dei minori fra diritto e società, a cura di
M. de cristofaro e x. Xxxxxxxxx, Milano 1980, 250 ss.; dogliotti, Le persone fisiche, in Trattato di diritto privato, diretto da X. xxxxxxxx, I. Persone e famiglia, t. I, Torino 1982; X. Xxxxxxxxxxx, Il diritto civile nella legalità costituzionale, secondo il sistema italo comunitario delle fonti, Napoli, 2006, pp. 944 ss.
(65) X. xxxxxx, Affidamento della prole e capacità auto determinativa del minore, in Xxxxxx
2001 (a cura di X. xxxxxXXx), Torino, 2002, pp.229 e ss, spec. pp. 241 s.
(66) X. xxxxxxxx, Capacità d’agire, (ad vocem), cit. 212 e ss.
(67) X. xxxxxx, Affidamento della prole e capacità auto determinativa del minore, cit. p. 231,
X. xxxxxxxxx, “Minorità” e tutela della persona umana, in Dir. fam., 2000; X. xxxxxx, I diritti delle persone deboli, Storia d’Xxxxxx, Xxxxxx, 00 Xxxxx, Diritto, Giustizia, a cura di X. xxxxxxxx, in collaborazione con X. Xxxxxxxxx pp. 179 ss.
(68) x. Xxxxxxxx, Generazione giovanile ed educazione alla scelta, in Orientamenti pedago- gici, n. 45, 1998.
(69) x. Xxxxx e X. xxxxxxx, Il giudice e i diritti dei minori, Bari, 2004.
doveroso dell’attuazione del diritto-dovere all’istruzione e all’educazione, come una condizione necessaria che legittimamente limita l’esercizio della libertà individuale e della libertà di contrattare, almeno nei limiti in cui famiglia e studente non sono in condizioni di adempiere nelle altre forme consentite dall’ordinamento. Si deve osservare, anzi, che la norma deve essere considerata come ampliativa delle facoltà di scelta dello studente e della famiglia rispetto al regime amministrativo preesistente di regolazione del rapporto scolastico(70).
La posizione degli studenti all’interno della complessa relazione che si viene ad instaurare con l’introduzione del “patto” si presenta particolar- mente articolata.
Lo studente minore d’età è, contemporaneamente, parte del patto, in quanto chiamato ad assumere in proprio obblighi e a regolare aspettative, nonché beneficiario di un rapporto stipulato a suo favore tra la “famiglia” e la “scuola”.
In prospettiva, il processo di corresponsabilizzazione che si viene a determinare si presenta come un processo di “accompagnamento” della maturazione relazionale e della socializzazione dello studente, rilevante, ol- tre che sul piano dei processi educativi e del sistema pedagogico, anche sul piano delle responsabilità e dei diritti(71).
È abbastanza facile, d’altra parte, immaginare che sia necessario ri- proporre per lo studente, che viene ad assumere la posizione di “parte” del patto, tutte le problematiche di giustificata differenziazione del regime sog- gettivo scaturenti da fattori diversi dalla minore età già assorbite, fino all’in- troduzione della nuova disciplina, dal regime generale della capacità d’agire. La sensazione che si avverte, riflettendo sul regime instaurato dalla disciplina del “patto”, è quella di essere in presenza del consolidamento sul piano normativo di un lungo processo evolutivo del regime dello “svolgi- mento” progressivo della personalità che tende a far evolvere la posizione del minore da quella di semplice sottoposto ad un regime di “doveri” a
quella di titolare della pienezza giuridica della relazionalità.
(70) Sotto questo profilo, l’introduzione di un obbligo a contrattare per l’attuazione di un diritto-dovere si manifesta come una significativa evoluzione del rapporto ammi- nistrativo da un regime imperativo a un regime convenzionale. Il riferimento al regime dell’obbligo a contrarre di derivazione codicistica e di ambito mercantile non è del tut- to pertinente. Le considerazioni tradizionali su quell’obbligo muovono dal punto di vista dell’applicazione nei confronti dell’esercente un’impresa, piuttosto che dal punto di vista dell’applicazione nei confronti del beneficiario di un servizio. Per la materia si veda X. xxXxxxxxx, L’imprenditore e gli obblighi di contrarre, in Tratt. Dir. Comm. e dir. Pubbl. econ., diretto da X. Xxxxxxx, XX, Xxxxxx, 0000; X. xxXxxxxxx e X.X. xxxxxxxXXx, voce Obbligo a contrarre, in Digesto civ., XII, Torino, 1995.
(71) X. xxxxxxxxx, Personalità, capacità e situazioni giuridiche del minore, in Dir. fam. 1999, pp. 260 ss.
Le disposizioni sul patto di corresponsabilità educativa si inquadra- no nella più ampia previsione del processo formativo come manifestazione di un “diritto-dovere” riferibile anche e specificatamente ai minori.
In questo senso, si esprime la formula adottata «La fruizione dell’of- ferta di istruzione e di formazione come previsto dal presente decreto co- stituisce per tutti ivi compresi, ai sensi dell’articolo 38 del testo unico del- le disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, i minori stranieri presenti nel territorio dello Stato, oltre che un dirit- to soggettivo, un dovere sociale ai sensi dell’articolo 4, secondo xxxxx, della Costituzione, sanzionato come previsto dall’articolo 5” (art. 1, c. 6 Decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 76, “Definizione delle norme generali sul diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, a norma dell’articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 28 marzo 2003, n. 53”)». A ben vedere, nel regime precedente, la posizione del minore rispetto al processo formativo era assunta quasi come posizione di mero fatto o, forse, assorbita nel regime della potestà genitoriale; con la nuova disciplina, invece, la personalità del minore emerge anche sul piano dell’autonoma e diretta imputazione di una posizione di diritto-dovere.
La disciplina in esame, d’altra parte, individua una fase della vita del minore nella quale il diritto-dovere alla formazione, si sovrappone alla facoltà di stipula del contratto di lavoro subordinato, determinando una significativa evoluzione del quadro preesistente dei doveri ex art. 4 Cost. In particolare, sembra potersi registrare una modifica del regime dei doveri dei minori: da un regime di alternatività facoltativa tra processo formativo e processo lavoristico, ad un regime di alternatività necessaria. La legge regola il rapporto imponendo l’alternanza fra le due attività e garantendo l’efficacia dell’attività lavorativa ai fini del conseguimento della “doverosa” formazione, ma non esplicita gli effetti sull’eventuale estensione all’espe- rienza scolastica del regime di capacità speciale lavoristica.(72)
Il problema poteva risultare di scarsa rilevanza nell’ordinamento sco- lastico previgente, sia per la mancanza di un’esplicita richiesta di sottoscri- zione di patti, sia per la diversa e separata specialità dell’ordinamento sco- lastico rispetto a quello lavoristico. L’anticipazione della capacità lavoristica speciale costituiva un riconoscimento per coloro che, avendo adempiuto l’obbligo scolastico, erano in grado di svolgere un lavoro e di essere ricono- sciuti “socialmente” come parte responsabile all’interno di un contratto.
Coloro che intendevano proseguire nel processo di formazione scolastica (ferma restando l’autonoma e separata capacità lavoristica) in- stauravano un rapporto di “sottoposizione specifica” nei confronti del sistema
(72) X. xxxxxxxx, Capacità d’agire, (ad vocem), cit.
scolastico, che ne assumeva anche la responsabilità per gli effetti civili dei comportamenti illeciti.
La natura di diritto-dovere alla formazione e la problematica connes- sa della capacità funzionale alla tutela del diritto, quanto meno in analogia con l’analogo sistema di ambito lavoristico, potrebbero emergere anche sul piano dell’esercizio delle relative tutele e facoltà. Il riconoscimento del “di- ritto” scaturisce dall’art. 1, c.3 D. lgs. 15 aprile 2005, n. 76: «La Repubblica assicura a tutti il diritto all’istruzione e alla formazione, per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica di durata alme- no triennale entro il diciottesimo anno di età. Tale diritto si realizza nelle istituzioni del primo e del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e di formazione, costituite dalle istituzioni scolastiche e dalle istituzioni formative accreditate dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano, anche attraverso l’apprendistato di cui all’articolo 48 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, ivi comprese le scuole paritarie rico- nosciute ai sensi della legge 10 marzo 2000, n. 62, secondo livelli essenziali di prestazione definiti a norma dell’articolo 117, secondo xxxxx, lettera m), della Costituzione». Per effetto della norma, si potrebbe certamente pensare a una autonoma legittimazione degli studenti, almeno di quelli ul- traquattordicenni, per tutti i rapporti che derivano dalla loro posizione, e in particolare per quelli relativi ai procedimenti disciplinari(73).
4. Oggetto e “funzione sociale” del patto.
Esaminati i problemi connessi con le potenziali innovazioni sul re-
gime dei poteri delle parti che concorrono alla definizione del patto e sulle prospettive di riflessione che possono aprirsi per effetto delle nuove dimen- sioni di sussidiarietà nell’ambito del diritto-dovere all’educazione, è neces- sario riflettere sulla definizione dei contenuti del patto.
Sulla base delle considerazioni espresse sulle trasformazioni in cor- so, ovviamente, si deve ritenere che il contenuto essenziale del patto (la sua funzione economico-sociale) sia costituito dalla condivisione della respon- sabilità educativa(74).
Il senso esatto dell’affermazione, tuttavia, potrebbe essere equivoca- to. Dall’evoluzione dei rapporti sociali, sembrerebbe di poter affermare che, a fronte di un processo che tende a deresponsabilizzare le famiglie, si sia voluto proporre uno strumento che esplicita l’estensione delle competenze della scuola, estendendone l’impegno dalla funzione formativa alla funzione edu- cativa, e instaurando, contestualmente, un regime di formale condivisione e
(73) X. xxxxxxxx, Capacità d’agire, (ad vocem), cit.
(74) X. Xxxxxxxxxxx, Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., pp. 832 ss.
definizione delle responsabilità. In particolare, il regime del patto recupera in una nuova dimensione principi e valori già enunciati nella “Carta dei servizi scolastici” e, probabilmente, non attuabili in quella forma per la difficoltà di incidere in termini (formalmente) autoritativi su prerogative proprie della famiglia, della scuola, dei singoli.
Il problema è certamente molto complesso e può essere articolato su diversi piani:
a) sul piano della definizione di un regime di “corresponsabilità” che potrebbe incidere sull’estensione della potestà educativa genitoriale;
b) sul piano dell’individuazione di un regime di legittimazione del- la scuola a svolgere funzioni educative, oltre che formative e di istruzione(75);
c) sul piano della definizione di un modello istituzionale di orga- nizzazione delle funzioni di cura alla persona capace di integrare varie competenze sociali.
Altresì, vengono in luce, almeno, due profili significativi.
In primo luogo, il “patto” si presenta come una importante occasio- ne di formalizzazione(76) del processo educativo.
In secondo luogo, il “patto” diviene luogo di “esternalizzazione” for- male di rapporti e processi precedentemente assorbiti in forma indifferen- ziata nell’ambito della potestà genitoriale.
Ambedue gli aspetti del problema si condizionano reciprocamente. La formalizzazione del processo educativo in un percorso prefigurato è una significativa novità nel panorama delle relazioni familiari e dei rap- porti tra genitori e figli. Esso consente e impone la definizione di stru- menti, percorsi, risultati, nel percorso che conduce alla maturazione della personalità del minore e alla progressiva evoluzione del contenuto “au- toritativo” della potestà genitoriale, verso la totale autonomia del figlio. Allo stesso tempo, il passaggio del minore dalla sfera di esclusiva “com- petenza educativa” genitoriale alla sfera delle ordinarie relazioni inter- soggettive si sviluppa attraverso una fase di corresponsabilizzazione della scuola, assunta come istituzione “sociale” extrafamiliare con funzione educativa e di responsabilizzazione del minore nel processo di integra- zione e socializzazione(77).
(75) Per il problema, si veda già X. xxxxxxx, La riforma dell’educazione, Bari, 1923, pp. 000 xx. x. xx xxxxxxx e x. xxxxxxxxxxXx, I diritti dei minorenni nella giurisprudenza, Mi- lano, 2008, pp. 280 ss.
(76) X. xxxXxxx, Il diritto come sistema autopoietico, cit.
(77) X. Xxxxxxx, Istituzioni e cultura giuridica. I procedimenti come strutture di comunicazione, Torino, 1988.
Resta, ovviamente, da cogliere in tutta la sua portata la traduzione in termini “pattizi” di quella regolazione e di esplicitarne gli effetti sul piano dell’articolazione in relazione alle differenze di condizione economica, so- ciale, culturale delle singole famiglie; agli eventuali poteri di differenziazio- ne del regime di condivisione della responsabilità; al regime degli effetti del patto e dell’eventuale violazione dello stesso.
Solo immaginando una articolazione differenziata di tali profili di regolazione, in termini di autonomia negoziale, è possibile pensare al rap- porto scuola-famiglia-studente in termini di collaborazione, superando quel diaframma che la strutturazione amministrativa, per quanto partecipativa, lascia sopravvivere.
In questa prospettiva, è necessario procedere alla valutazione delle posizioni delle singole parti all’interno del rapporto, sia per valutare le fun- zioni del patto e i limiti di disponibilità delle posizioni giuridiche dedotte, sia per tentare di costruire un modello di articolazione che consenta di riconoscere gli ambiti propri di esercizio di un’autonomia negoziale.
4.1. La formalizzazione del processo educativo.
Il processo educativo, come molte altre manifestazioni dei rapporti
xxxxxx che entrano nella sfera dell’azione pubblica, tende sempre più ad essere definito secondo standard regolativi e in vista di rapporti forma- lizzati con agenzie erogatrici di servizi. Il progressivo ampliamento dei tempi di vita del minore spesi in ambienti ed attività non familiari segue l’espansione della percentuale di popolazione di minori scolarizzati. L’uno e l’altro processo inducono una diminuzione dell’influenza diretta della famiglia e della funzione della stessa come agenzia educativa. Ancor più che per la quantità di tempo trascorso al di fuori dei contesti di controllo genitoriale, il fenomeno rileva per la trasformazione della qualità e delle caratteristiche strutturali delle relazioni minori-genitori-educatori. Dal momento in cui la funzione educativa tende a proiettarsi al di fuori della sfera informale, propria della relazione familiare, le azioni connesse assu- mono caratteristiche formalizzate sia in dipendenza della natura giuridica della prestazione da cui scaturiscono (contratto di lavoro subordinato, di lavoro autonomo, di associazione, ecc.) sia in dipendenza dei necessari controlli, volti alla verifica dei comportamenti e delle prestazioni dei “col- laboratori educativi”.
Il rapporto che si viene ad instaurare tra la sfera delle funzioni ge- nitoriali e la sfera delle funzioni extrafamiliari di sostegno allo sviluppo della personalità del minore diviene conformativo della stessa potestà dei genitori. Quest’ultima, almeno nell’accezione tradizionale, si manifestava come potere funzionalizzato alla crescita umana e relazionale del minore, non sottoposta a particolari criteri regolativi. Il confronto fra la potestà
genitoriale e le funzioni extrafamiliari di cura del minore determina invece quanto meno per riflesso e per definizione dei confini dei poteri reciproci, formalizzazioni e limitazioni(78).
La potestà genitoriale, trova già un primo ordine di limitazioni nella natura dei diritti fondamentali del minore e nella previsione di una sfera di autodeterminazione dello stesso, in progressiva espansione(79). Essa incon- tra un’ulteriore serie di limiti in tutti quei casi in cui, vuoi per presunzione di competenza scientifica, vuoi per rispetto dell’autonomia di altri poteri, si sviluppano e si consolidano poteri diversi. Oltre che al rapporto scolastico, si può pensare al rapporto di lavoro subordinato, al rapporto che si instaura nell’ambito della prestazione di servizio militare, al rapporto associativo, ecc. Il problema è stato affrontato di recente dalla Corte di Cassazione con riferimento al problema dell’autonomia della scuola nell’ambito delle attivi- tà di educazione sessuale:
Il diritto fondamentale dei genitori di provvedere alla educazione ed alla forma- zione dei figli trova il necessario componimento con il principio di libertà dell’insegna- mento dettato dall’art. 33 Cost. e con quello di obbligatorietà dell’istruzione inferiore affermato dall’art. 34 Cost. Il quadro costituzionale di riferimento pone con chiarezza, in relazione al processo formativo degli alunni della scuola pubblica, una esigenza di bilanciamento e coordinamento tra i diritti e doveri della famiglia e quelli della scuola, i quali peraltro trovano esplicazione nell’ambito dell’autonomia delle istituzioni scolasti- che, che l’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59 sulla semplificazione amministrativa inserisce al primo comma nel processo di realizzazione dell’autonomia e della riorganiz- zazione dell’intero sistema formativo e che al nono comma identifica nella scelta libera e programmata di metodologie, strumenti, organizzazione e tempi di insegnamento, da adottare nel rispetto della possibile pluralità dì opzioni metodologiche, e in ogni iniziativa che sia espressione di libertà progettuale.
È pertanto certamente ravvisabile un potere della amministrazione scolastica di svolgere la propria funzione istituzionale con scelte di programmi e di metodi didattici potenzialmente idonei ad interferire ed anche eventualmente a contrastare con gli indirizzi educativi adottati dalla famiglia e con le impostazioni culturali e le visioni politiche esisten- ti nel suo ambito non solo nell’approccio alla materia sessuale, ma anche nell’insegnamento di specifiche discipline, come la storia, la filosofia, l’educazione civica, le scienze, e quindi ben può verificarsi che sia legittimamente impartita nella scuola una istruzione non piena- mente corrispondente alla mentalità ed alle convinzioni dei genitori, senza che alle opzioni didattiche così assunte sia opponibile un diritto di veto dei singoli genitori(80).
In un contesto in evoluzione come quello delineato, uno strumento come il patto può certamente svolgere la funzione di regolare i rapporti reciproci fra tutte le “parti” responsabili del processo educativo. Esso con- sente, in primo luogo, di formalizzare poteri e competenze reciproche al
(78) X. Xxxxxxxxxxx, Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit. pp. 944 ss.
(79) xxxxxXXx, Liberta d’educazione, diritti del minore, potestà dei genitori nel nuovo diritto di famiglia, in Rass. dir. civ., 1982, p. 678.
(80) Cassazione sez unite civili, ordinanza 5.2.2008 n. 2656. Perlingieri, La libertà di educazione, in id., La persona e i suoi diritti, cit., 213 ss.
fine di darne una definizione e una regolazione. Rispetto alla fase storica caratterizzata dall’indiscusso ruolo della potestà genitoriale, la formula pat- tizia consente di ricercare un’adeguata composizione fra l’autonomia della famiglia e le concorrenti funzioni della scuola.
La funzione essenziale del patto potrebbe essere quella di risolvere la tensione fra le posizioni reciproche di due ordini di poteri che si sono confrontati e in parte contrapposti lungo tutto l’arco della storia dell’as- sunzione “pubblica” delle funzioni di cura della persona nelle competen- ze dello stato amministrativo. Probabilmente sono ormai maturi i tempi perché si passi dallo schema oppositivo tra le funzioni dello stato-ammi- nistrazione e quelle della società-istituzione (famiglia, in primo luogo), ad uno schema collaborativo. Se la prospettiva evidenziata corrisponde a una tendenza reale dei processi in corso, ovviamente sarà necessario rimettere in discussione, nell’ambito educativo come in tanti altri ambiti, l’intero arsenale concettuale, a partire dagli stessi confini del “pubblico” e del “privato”(81).
4.2. La “funzione sociale” del patto di corresponsabilità.
Il ricorso ad uno strumento di tipo privatistico come il “patto” co-
stituisce una ulteriore manifestazione della tendenza all’espansione dell’uso degli strumenti fondati sul consenso a scapito dell’uso di strumenti auto- ritativi(82). Non sarebbe possibile immaginare un effetto dell’azione della
(81) Perlingieri, La libertà di educazione, in id., La persona e i suoi diritti, cit. 218 ss.
(82) Cass. Civ.Sez. I Sent. 25-07-2001, n. 10127 «Ai sensi del secondo comma dell’art. 1469 bis cod. civ. “consumatore è la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”, mentre “il professio- nista è la persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che, nel quadro della sua attività imprenditoriale o professionale utilizza il contratto di cui al primo comma”. Il primo comma dell’art. 1469 bis originariamente era così formulato: “Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista, che ha per oggetto la cessione di beni o la prestazione di servizi, si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”. Successivamente l’inciso “che ha per oggetto la cessione di beni o la pre- stazione di servizi” è stato soppresso dall’art. 25 della legge 21 dicembre 1999, n. 526 (leg- ge comunitaria del 1999), per cui tale limitazione, per quanto riguarda l’oggetto del con- tratto, devesi ritenere, a partire dall’entrata in vigore della citata disposizione legislativa, definitivamente eliminata. Dall’esame delle nozioni di “consumatore” e “professionista” fornite dal secondo comma dell’art. 1469 bis si ricava che deve essere considerato “con- sumatore” la persona fisica che, anche se svolge attività imprenditoriale o professionale, conclude un qualche contratto (avente ad oggetto la cessione di beni o la prestazione di servizi – secondo l’originaria formulazione del primo comma – e senza tale limitazio- ne dopo la modifica surriportata) per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio di tale attività; che deve essere considerato “professionista” tanto la persona fisica, quanto quella giuridica, sia pubblica che privata, che, invece, utilizza il contratto (avente ad oggetto la cessione di beni o la prestazione di servizi e senza tale
scuola, tanto intenso quanto quello prodotto dai processi educativi, nella sfera di formazione della personalità del minore, senza provvedere ad una sua regolazione consensuale nei confronti dei titolari degli specifici diritti costituzionalmente garantiti.
In questo caso, come in molte altre ipotesi di apertura della sfera della personalità (e dei diritti ad essa connessi) a “poteri” esterni all’au- todeterminazione individuale o alla determinazione sociale consolidata (ormai ridotta alle potestà genitoriali), lo stato non autoritario adotta la formula contrattuale per realizzare un’ampia gamma di risultati che van- no dal superamento della difficoltà di regolazione autoritativa al coinvol- gimento reciproco delle “parti” in un processo di attivazione di risorse che non possono essere quantificate e formalizzate in termini di presta- zioni professionali(83).
Il modello dell’amministrazione autoritativa poteva adempiere alle sue funzioni perché le stesse erano limitate e circoscritte, sia sul piano della definizione dei poteri, sia sul piano dell’impegno finanziario corrisponden- te. In particolare, poiché non veniva riconosciuto “diritto” alle prestazioni connesse all’esercizio della funzione, il problema della limitatezza delle ri- sorse disponibili rimaneva circoscritto all’area delle “politiche” e, al massi- mo, all’area della valutazione della correttezza amministrativa del procedi- mento che conduceva alla decisione.
In presenza di un nuovo ordine di rapporti fra pubblico e privato e, soprattutto, in conseguenza della definizione di “diritti” di una serie di relazioni che coinvolgono direttamente significative aree della vita, si rende necessaria una profonda revisione del quadro delle risorse e dei poteri di intervento di ciascuna “parte” nel processo(84).
Processi come quello educativo non sono suscettibili di regolazione autoritativa e non sono neppure riducibili entro parametri quantitativi di tipo monetario. Proprio per questo, il rapporto educativo fra scuola, fami- glia e minore non può essere regolato se non in termini pattizi, di accet- tazione reciproca delle “disponibilità” e delle “risorse” che ciascuna delle concrete parti in relazione può mettere in campo, pur nel contesto di “livelli essenziali” garantiti per legge(85).
La funzione specifica del “patto”, in questa prospettiva, dovrebbe es- sere quella di un negozio volto a definire ambiti di collaborazione nell’eser-
limitazione dopo l’entrata in vigore della legge comunitaria del 1999) nel quadro della sua attività imprenditoriale o professionale».
(83) x.X. xxxxx, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966.
(84) Il processo di individuazione e qualificazione come “diritti fondamentali” di alcune aspettative è descritto ampiamente in X. Xxxxxx, Diritti fondamentali. Diritto a una vita serena. Il percorso della giurisprudenza, cit, in particolare pp. 94 ss.
(85) Xxxxxx, La giuridificazione della persona. Ideologie e tecniche nei diritti della personalità, in Riv. dir. civ., cit. 373.
cizio di funzioni (quella genitoriale e quella pedagogica) caratterizzate da prossimità di ambiti e da potenziali sovrapposizioni di competenze(86).
Per alcuni versi si può pensare a formule simili alla cooperazione definita dalle regole del mandato o della prestazione d’opera intellettuale; per altri versi, non si può fare a meno di immaginare analogie con forme di gestione comune di attività, anche se il nostro ordinamento non ha ancora adeguatamente sviluppato un regime delle cooperazioni in area non imprenditoriale.
La considerazione più facile e immediata è quella che ci induce a immaginare un negozio che tende a definire nello specifico il rapporto fra titolari di funzioni definite dalla stessa Costituzione (artt. 30, 33, 34), tut- tavia esercitabili, in concreto, solo in forma cooperativa e solo in vista del beneficio del minore destinatario dell’attività educativa.
Non si può dimenticare, peraltro, che l’ordinamento conosce altre ipotesi di rapporto convenzionale in materia educativa, almeno nell’affida- mento familiare consensuale(87).
(86) 3.3. Il terzo percorso disponibile per realizzare il profilo educativo, culturale e professionale terminale e gli obiettivi specifici di apprendimento di cui ai punti precedenti è quello facoltativo, da 0 a 300 ore annuali. Le scuole comprensive o le reti di scuole sono obbligate ad istituirlo nel territorio, ma gli allievi e le famiglie decidono se, quando, come e in quale scuola lo voglio- no usufruire, anche tenendo conto di una negoziazione educativa da loro stipulata con i docenti dei figli. Oltre le 300 ore annuali le famiglie devono pagare il servizio nella misura stabilita dalle istituzioni scolastiche.
Prima caratteristica. Mentre il percorso obbligatorio si regge organizzativamente sul- la dimensione dell’istituto e della classe, il percorso facoltativo si sposta sulla dimensione della rete territoriale e dei gruppi (di livello, di compito, di elezione). […] Ogni istituzione scolastica, fra l’altro, potrà, nella rete, sviluppare al meglio la propria identità e tradizione, coltivando più un aspetto che l’altro, e stipulando accordi di programma per la gestione flessibile del personale, indipendentemente dal fatto di appartenere ad un ordine e grado di scuola piuttosto che ad un altro.
Seconda caratteristica. […] non tutti i ragazzi hanno bisogno dello stesso tempo e godono delle stesse opportunità familiari e ambientali per acquisirli. […] non tutti i ragazzi sviluppano nello stesso tempo motivazioni per le stesse attività di studio e di approfondi- mento. Avere a disposizione uno strumento flessibile come il percorso facoltativo aiuta le famiglie e la scuola a concretizzare la personalizzazione dei processi di apprendimento e di maturazione. Inutile sottolineare la grande responsabilità affidata, in questo modo, ai docenti e alle istituzioni scolastiche. […] Esiste, quindi, una parte del piano di studi che chiama fortemente in causa i ragazzi, i docenti, le famiglie, il territorio, e invita ciascuno di questi attori a confrontarsi al meglio possibile con l’autorganizzazione, la responsabilità personale e la cooperazione formative. Dal Rapporto finale del Gruppo Ristretto di Lavoro costitu- ito, con D.M. 18 luglio 2001, n. 672, Roma, 28 novembre 2001, Parte I, L’ipotesi elaborata dal Gruppo Ristretto di Lavoro (a cura di X. Xxxxxxxx).
(87) x. xxxxxxxx, La filiazione: problemi attuali e prospettive di riforma, in Famiglia e Diritto n. 6/2008, pp. 635 ss.; x. xxxxxxx, Il diritto del minore alla “bigenitorialità” dopo la crisi o la disgregazione del nucleo familiare in Famiglia e Diritto n. 5/2007, pp. 520 ss.
4.3. Disponibilità di situazioni soggettive. Regime autoritativo e regime pattizio.
4.3.1. I poteri dei genitori.
L’introduzione di un regime pattizio delle responsabilità genitoriali e delle responsabilità dei precettori sul piano della regolazione dell’eserci- zio delle funzioni può rimettere in discussione la (apparente) rigidità delle posizioni “di dovere” dei genitori e della scuola. È necessario verificare se il diritto all’educazione del minore possa essere soddisfatto o meno da una complessa struttura di coobbligati (scuola-famiglia) in regime di responsa- bilità, almeno parzialmente, solidale per l’adempimento.
L’art. 30 della Costituzione attribuisce ai genitori il diritto-dovere di mantenere, istruire ed educare i figli. Con una previsione di sussidiarietà, la stessa norma dispone che nei casi di incapacità dei genitori, la legge provve- de a che siano assolti i loro compiti. A sua volta, l’art. 147 c.c. prevede che il matrimonio impone ai coniugi l’obbligo di educare la prole, tenendo conto delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni dei figli.
L’art. 34 della Costituzione, a sua volta, prevede l’obbligo di istruzio- ne come processo essenziale di formazione della cittadinanza.
La legislazione dell’età costituzionale richiama sempre più spesso la funzione educativa della scuola.
Il naturale conflitto che scaturisce dalla contiguità delle funzioni del- la scuola e della famiglia non può essere risolto con rigide attribuzioni. Si deve ricercare, invece, il contemperamento fra le istanze generali di cui è portatrice la scuola, a prescindere dalla natura pubblica o privata della sin- gola istituzione, e le istanze di cui è portatrice la famiglia. Queste ultime, in esito alla progressiva riduzione del ruolo di istituzione sociale della famiglia si trovano ad essere limitate, ma non possono essere compresse oltre il limi- te del diritto-dovere originario riconosciuto dalla Costituzione.
La stessa configurazione convenzionale del rapporto di regolazione fra le aree di pertinenza reciproca non può spingersi fino alla previsione della dele- ga totale di ogni funzione educativa dalla famiglia alla scuola(88). La funzione genitoriale è una funzione doverosa e, pertanto, non può essere dismessa senza provocare la reazione sostitutiva dell’ordinamento ex art. 30, 2° c. Cost.(89).
Allo stesso modo, la famiglia non può pretendere di escludere il mi- nore dalla partecipazione al processo di socializzazione scolastica(90). La stessa facoltà, attribuita dall’ordinamento e riconosciuta (da ultimo) dall’art.
(88) XxxXxxx, Il contenuto atipico dei rapporti familiari, Milano, 2001, pp. 152 ss.
(89) X. Xxxxxxxx, I rapporti personali tra coniugi, in Cod. Civ. Commentario diretto da X. xxxxxxxxxxx, 143-8, Milano 1990; X. xxxxxxxx, Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, Padova, 1997, pp. 294 ss.
(90) l. Benadusi, x. xxxxx e x. xxXxxxxx Educazione e socializzazione. Lineamenti di sociologia dell’educazione, Milano, 2004.
111 del d.lgs. n. 297 del 16 aprile 1994, di assolvimento dell’obbligo scola- stico tramite “scuola paterna” (più correttamente “genitoriale”) incontra il limite della verifica pubblica e, quindi, della verifica di coerenza tra la formazione genitoriale e la formazione “pubblica”.
Sembrerebbe potersi affermare, quindi, che in nessun caso il proces- so educativo familiare può escludere i contenuti essenziali previsti dall’or- dinamento scolastico generale.
Più difficile risulta la formalizzazione della soglia di salvaguardia del limite minimo che definisce la inderogabilità della potestà educativa dei geni- tori. Parametri utili, ma probabilmente non decisivi, possono essere desunti dalla giurisprudenza in materia di decadenza dalla potestà genitoriale, di di- chiarazione dello stato di adottabilità, di patti in materia di separazione(91). Tali parametri, tuttavia, individuano, per quanto in misura appros- simativa, il limite minimo al quale si attesta la sopravvivenza della potestà genitoriale. Resta aperto il problema della definizione del limite di ricono- scimento dell’esercizio ordinario della stessa potestà e della salvaguardia del potere di indirizzo dei genitori. A tal proposito, si può osservare che lo stes- so limite, nell’ambito di un regime convenzionale, non può non assumere le caratteristiche proprie delle clausole generali, previste dall’ordinamento come sistemi di regolazione mobile, subordinata al concreto assetto norma-
tivo dei valori costituzionalmente garantiti.
Ancora una volta, si può fare riferimento alla disciplina dell’affida- mento familiare e alla ripartizione, in essa prevista, delle competenze edu- cative. In essa, infatti, si prescrive la permanenza della potestà genitoriale originaria, anche se limitata alle scelte di carattere generale. L’art. 5, c. 1 l. 184 del 1983, come modificato dalla l. 149 del 2001, recita «In ogni caso l’affidatario esercita i poteri connessi con la potestà parentale in relazione agli ordinari rapporti con la istituzione scolastica e con le autorità sanitarie. L’affidatario deve essere sentito nei procedimenti civili in materia di pote- stà, di affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato».
4.3.2. Diritti di autonomia della scuola.
Altrettanto significativa l’incidenza della nuova disciplina sugli aspetti della libertà d’insegnamento dei docenti e sull’autonomia didattica e organizzativa dell’istituzione scolastica(92).
In primo luogo, si deve rilevare che gli interventi normativi interve-
xxxx negli ultimi anni stanno determinando una significativa modificazione
(91) X. xxxxxxxxx, «Diritti inderogabili» e separazione, in I modelli familiari fra diritti e servizi, a cura di X. xxxxxxx, cit. pp.183 ss.
(92) X. xxxxxx in I modelli familiari fra diritti e servizi, a cura di X. xxxxxxx, cit. pp. 407 ss.
della funzione istituzionale della scuola, imponendo infatti un allargamento della stessa dall’area dell’istruzione all’area dell’educazione.
La natura “educativa” delle attività scolastiche è chiaramente espli- citata dalla legge.
L’art. 2. della l. 28 marzo 2003, n. 53 (Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale) definisce il “Sistema educativo di istruzio- ne e di formazione”
1. I decreti di cui all’articolo 1 definiscono il sistema educativo di istruzione e di formazione, con l’osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) è promosso l’apprendimento in tutto l’arco della vita e sono assicurate a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le compe- tenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, anche con riguardo alle dimensioni locali, nazionale ed europea;
b) sono promossi il conseguimento di una formazione spirituale e morale, anche ispirata ai principi della Costituzione, e lo sviluppo della coscienza storica e di appartenen- za alla comunità locale, alla comunità nazionale ed alla civiltà europea […];
d) il sistema educativo di istruzione e di formazione si articola nella scuola dell’in- fanzia, in un primo ciclo che comprende la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado, e in un secondo ciclo che comprende il sistema dei licei ed il sistema dell’istruzione e della formazione professionale;
e) la scuola dell’infanzia, di durata triennale, concorre all’educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e sociale delle bambine e dei bambini promuovendone le potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento, e ad assicurare un’effettiva eguaglianza delle opportunità educative; nel rispetto della primaria responsabilità educativa dei genitori, essa contribuisce alla formazione integrale delle bam- bine e dei bambini e, nella sua autonomia e unitarietà didattica e pedagogica, realizza la continuità educativa con il complesso dei servizi all’infanzia e con la scuola primaria.[…]
f ) […] la scuola primaria promuove, nel rispetto delle diversità individuali, lo svi- luppo della personalità, ed ha il fine di […] di valorizzare le capacità relazionali e di orienta- mento nello spazio e nel tempo, di educare ai principi fondamentali della convivenza civile; la scuola secondaria di primo grado, attraverso le discipline di studio, è finalizzata alla cre- scita delle capacità autonome di studio ed al rafforzamento delle attitudini alla interazione sociale;[…]; è caratterizzata dalla diversificazione didattica e metodologica in relazione allo sviluppo della personalità dell’allievo […];]
g) il secondo ciclo, finalizzato alla crescita educativa, culturale e professionale dei giovani attraverso il sapere, il fare e l’agire, e la riflessione critica su di essi, è finalizzato a sviluppare l’autonoma capacità di giudizio e l’esercizio della responsabilità personale e sociale […];
h) ferma restando la competenza regionale in materia di formazione e istruzione professionale, i percorsi del sistema dell’istruzione e della formazione professionale rea- lizzano profili educativi, culturali e professionali, ai quali conseguono titoli e qualifiche professionali di differente livello […];
l) i piani di studio personalizzati, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni sco- lastiche, contengono un nucleo fondamentale, omogeneo su base nazionale, che rispecchia la cultura, le tradizioni e l’identità nazionale, e prevedono una quota, riservata alle regioni, relativa agli aspetti di interesse specifico delle stesse, anche collegata con le realtà locali.
Come si può facilmente rilevare, nonostante il continuo riferimento alle attività formative e di istruzione, il sistema è rivolto all’esercizio della funzione educativa e al sostegno dei processi di sviluppo della personalità. In più di un passaggio delle norme di attuazione relative alla scuola primaria e al primo ciclo dell’istruzione, d.lgs. 19 febbraio 2004, n. 59 Definizione delle norme generali relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione, a norma dell’articolo 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53, viene fatto esplicito riferimento al rapporto di collaborazione con le famiglie. Il regime dell’istruzione secon- daria di secondo ciclo, ancor più esplicitamente, impone la sottoscrizione del patto di corresponsabilità educativa.
È lecito ritenere, quindi, che la normativa considerata abbia determi- nato una significativa trasformazione del modello rivolto a semplici funzio- ni formative.
Anche sotto questo profilo, il contenuto del “patto” deve essere con- siderato con attenzione. La trasformazione potrebbe incidere significativa- mente sul piano dei poteri e delle responsabilità del sistema scolastico, della singola istituzione scolastica autonoma, del singolo operatore.
In particolare, l’estensione della funzione dall’attività formativa ad una vera e propria “collaborazione” al processo educativo implica la for- malizzazione di ambiti di rispettiva competenza esclusiva e di ambiti di competenza condivisa, la definizione di eventuali poteri vicarianti, la con- divisione, almeno entro certi limiti, di responsabilità, la delimitazione delle stesse sfere di responsabilità(93).
Mentre si può considerare abbastanza chiara la suddivisione delle responsabilità inerenti il processo formativo e l’elaborazione dei contenuti di istruzione, si deve ritenere che esistono serie difficoltà nel tracciare limiti precisi nell’individuazione delle rispettive competenze e degli ambiti di pos- sibile collaborazione nell’esercizio di una funzione che tende sempre più a rivolgersi allo sviluppo della personalità e dei processi di socializzazione.
La precisazione in concreto dell’oggetto, in ciascuno specifico patto, deve tenere conto delle “risorse” e delle “competenze” disponibili presso ciascuna istituzione scolastica autonoma e non può fare riferimento generi- co alla “collaborazione educativa”, pena l’indeterminatezza dell’oggetto e la conseguente invalidità dello stesso patto.
Oggetto del patto, ovviamente, non è tanto l’esercizio della funzione formativa e di istruzione, quanto la funzione educativa, per la parte che l’istituzione scolastica autonoma ritiene di poter assumere. La funzione non può essere esclusa e non può, di contro, assumere dimensioni tali da risul- tare integralmente sostitutiva delle funzioni educative genitoriali. Il patto dovrebbe tendere a definire gli aspetti educativi che derivano dall’esercizio
(93) a. di francia e x. xxxxxxxxxxXx, I diritti dei minorenni nella giurisprudenza, cit., pp. 278-363.
della funzione formativa ed istruttiva. Tali contenuti non possono essere definiti secondo misure astratte, ma devono essere responsabilmente adat- tati alle circostanze e alle tipologie dell’utenza.
In tale quadro, ovviamente, si potranno articolare tutti gli strumenti educativi, le sanzioni, i poteri di indirizzo, gli obiettivi di sviluppo della relazionalità che il percorso “individualizzato” consente di definire.
4.3.3. Diritti di autodeterminazione del minore.
Il processo educativo non si limita a definire le posizioni reciproche
dei genitori e dell’istituzione scolastica autonoma nei confronti del minore assunto come ipotetico beneficiario passivo. Al contrario, il processo si sviluppa e ha un senso nella misura in cui prevede la possibilità d’integra- zione progressiva del minore in un quadro articolato di responsabilità e di poteri di scelta. La stessa formula dell’art. 147 c.c., nella parte in cui impone ai genitori di svolgere la funzione educativa «tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli», impone un atteggia- mento di attenzione che si traduce in formule di vera e propria rilevanza giuridica. Non solo in materia processuale, specificatamente in materia di affidamento in caso di separazione o divorzio, o in caso di procedimenti penali che riguardano il minore in quanto vittima, è prevista l’audizione formale del minore, ma, in generale, la norma dell’art. 147 impone un ob- bligo dei genitori di “tener conto” e, quindi, di discutere con il minore le scelte fondamentali di pertinenza, fra le quali, ovviamente, le scelte in materia di educazione(94).
Il principio di portata generale trova rafforzamento e specificazione
nella norma sul patto di corresponsabilità educativa.
La previsione della sottoscrizione del patto da parte dello stesso mi- nore, infatti, svolge la funzione di corresponsabilizzazione diretta e con- temporaneamente deve garantire un’adeguata partecipazione alle scelte e ai processi. Il minore, anche formalmente oltre che sostanzialmente, assume la veste di partecipe al processo che lo riguarda e può esprimere posizioni che rispondono all’esercizio di veri e propri diritti, specie in materie che possono riferirsi all’esercizio delle libertà fondamentali.
Sotto questo specifico profilo, il patto può costituire la formalizza- zione di un processo di emancipazione del minore e, contemporaneamente, fissare obiettivi e metodi condivisi da parte dei responsabili dell’azione edu- cativa (genitori, scuola) e da parte dello stesso beneficiario.
In un processo che può essere tendenzialmente assimilato alle for- mule premoderne di attribuzione e riconoscimento della capacità d’agire, il patto di corresponsabilità costituisce per il minore un percorso formale di
(94) X. xxxxxxxx, Capacità d’agire, (ad vocem), cit.
progressiva responsabilizzazione. Lo svolgimento del processo e il corretto e puntuale conseguimento degli obiettivi fissati possono costituire presup- posto di altre valutazioni della “maturità” (valutazione ai sensi dell’art. 84 cc.; valutazione ai sensi dell’art. 98 cp., valutazione della manifestazione del “consenso informato” per cure mediche, ecc.).
4.3.4. Patto e parità di trattamento.
Individuati i profili di rilevanza delle posizioni delle categorie di
parti all’interno del patto di corresponsabilità educativa e i limiti alla di- sponibilità delle prerogative di ciascuna di esse, è possibile procedere alla definizione della funzione propria del patto.
Essa consiste nella formalizzazione delle specifiche caratteristiche individuali di ciascun minore e ai suoi bisogni educativi, in relazione all’am- biente familiare e sociale nel quale è inserito, nonché in relazione alle con- crete possibilità di fornire adeguata risposta da parte dell’istituzione scola- stica autonoma di riferimento(95).
Allo stesso tempo, il patto definisce i termini della collaborazione tra le parti individuando l’azione di risposta educativa più appropriata e più conforme alle risorse disponibili da parte della scuola, da parte della fami- glia, da parte dell’ambiente sociale, da parte dello stesso minore(96).
La differenziazione dell’azione in relazione alle condizioni di di- seguaglianza sostanziale nelle quali si pone ciascun minore costituisce la novità propria del passaggio dal regime amministrativo, anche se parte- cipativo, al regime consensuale(97). In particolare, il meccanismo che si
(95) Analogo problema di “profilatura” dell’utenza e di rispetto della parità di trat- tamento con l’adozione di discipline differenziali si pone in materia di rapporti bancari e finanziari e trova attualmente regolazione mediante l’autodisciplina dettata dal Consorzio Xxxxx Xxxxxx.
(96) Ministero della pubblica istruzione Circolare m. n.24 Prot. n. 1148/A6 – Dipartimento per l’Istruzione – Direzione Generale per lo studente – Ufficio per l’integrazione degli alunni stranieri – Roma, 1 marzo 2006 – Oggetto: Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri.
«La legge di riforma dell’ordinamento scolastico, n. 53/2003, contiene elementi ido- nei allo sviluppo delle potenzialità di tutti gli allievi attraverso la personalizzazione dei piani di studio per la costruzione di percorsi educativi e didattici appropriati a ciascuno studente».
«Al fine di garantire il proseguimento dell’iter formativo dell’alunno straniero, sarà cura delle Istituzioni scolastiche realizzare percorsi idonei all’acquisizione di tale titolo, come previsto dal decreto legislativo n. 76/2005, relativo al diritto-dovere, all’art. 4, com- ma 2: “Nell’ambito della programmazione regionale e nel rispetto del quadro normativo delle singole regioni, le scuole secondarie di primo grado possono organizzare, in raccordo con le istituzioni del sistema educativo di istruzione e formazione del secondo ciclo ed i servizi territoriali previsti dalle regioni stesse, iniziative di orientamento e azioni formative volte a garantire il conseguimento del titolo conclusivo del primo ciclo di istruzione, anche ad integrazione con altri sistemi.”»
(97) d. la rocca, Eguaglianza e libertà contrattuale, cit. pp.85 ss.
viene a delineare consente di adattare l’azione della scuola, sulla base di uno schema cooperatorio, alle condizioni del minore nel contesto in cui si svi- luppa il processo educativo e consente, altresì, di definire consensualmente percorsi e responsabilità tra “parti” di un rapporto complesso, al cui interno si concretizzano “diritti” che, diversamente, continuerebbero a costituire semplici pretese nei confronti della pubblica amministrazione(98).
5. Effetti dell’introduzione del patto nello schema delle relazioni educative.
Le considerazioni precedenti sui profili relativi al ruolo delle “parti”
nell’ambito del patto di corresponsabilità e alla funzione propria dello stesso patto consentono di affrontare un ulteriore ordine di problemi: quello di de- finire gli effetti dell’introduzione di un regime convenzionale dei rapporti scuola-fami- glia nell’ambito dei processi educativi sul piano delle responsabilità recipro- che di ciascuna delle parti per gli aspetti “collaterali” al processo educativo. Non si può immaginare, infatti, una profonda modifica del rapporto inerente i ruoli sociali e istituzionali della famiglia e della scuola, il recupero di una dimensione educativa della “società” (nei suoi vari aspetti “istituzio- nali” di famiglia, di scuola, di organizzazioni pubbliche e private del “terri- torio”) senza corrispondentemente prefigurare una adeguata riarticolazione
dei profili di potere e di responsabilità(99).
(98) coMMissione delle coMunità euroPee Bruxelles, 2.7.2008 Proposta di DI- RETTIVA DEL CONSIGLIO recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le per- sone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale.
«La diversità delle società europee rappresenta uno dei punti forti dell’Europa e deve essere rispettata in linea con il principio di sussidiarietà. Questioni come l’organiz- zazione e il contenuto dell’istruzione, il riconoscimento della famiglia o del matrimonio, l’adozione, i diritti alla riproduzione e altre questioni simili vanno decise a livello nazio- nale. La presente direttiva quindi non richiede agli Stati membri di modificare le attuali leggi e prassi in relazione a tali questioni. Né ha un impatto sulle norme nazionali che disciplinano le attività delle chiese e di altre organizzazioni religiose o il loro rapporto con lo stato. Quindi, ad esempio, rimane agli Stati membri la facoltà di decidere se consentire l’ammis- sione selettiva alle scuole, se vietare o consentire di esibire o indossare simboli religiosi nelle scuole, se riconoscere i matrimoni tra persone dello stesso sesso e la natura di qualsiasi rapporto tra una religione organizzata e lo stato». La proposta, che ha già ricevuto il parere favorevole del Parlamento italiano, si aggiunge alle Direttive 2000/43/CE del 29 giugno 2000 e 2000/78/CE del 27 novembre 2000, rispettivamente in materia di discriminazioni fondate sulla razza e l’origine etnica e di discriminazioni in materia di occupazione e lavoro.
«Come nelle direttive 2000/43/CE, 2000/78/CE e 2002/73/CE20 è possibile giustificare la discriminazione indiretta (“se tale disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento sono appropriati e necessari”)».
(99) osservatorio nazionale della faMiglia, La cura della famiglia e il mondo del lavoro. Un piano di politiche familiari. A cura di X. xxxxxx e X. Xxxxxxxx. Milano 2008, pp. 338 ss., Uno schema di Piano nazionale di politiche per la famiglia.
Un esempio potrebbe essere costituito dai profili connessi al regime
della responsabilità civile per i danni prodotti dal minore.
Sotto un primo profilo si potrebbe pensare a un processo di esaltazio- ne degli eventuali aspetti di natura contrattuale della responsabilità dei pre- cettori, come pure sembrerebbe potersi affermare sulla scorta di una recente giurisprudenza (Cassazione Civile, Sezioni Unite, 27 Giugno 2002, n. 9346).
Sotto un secondo profilo si potrebbe pure pensare a possibili riflessi del nuovo regime della funzione educativa sui sistemi di esonero da respon- sabilità dei genitori, con l’effetto di rendere più articolata la prova di esone- ro della responsabilità degli stessi nell’ipotesi dell’art. 2048, 1° c., c.c. (100)
– Patto di corresponsabilità educativa e contrattualizzazione del regime di responsabilità della scuola:
a) La stipulatività del regime di distribuzione della funzione educativa fra geni- tori e scuola.
Sotto questo profilo è necessario tener presente il principio per il quale la responsabilità dei “precettori” è, secondo la concezione più diffusa e ampiamente accolta dalla giurisprudenza, una responsabilità conseguen- te alla funzione di vigilanza per i comportamenti dei minori nell’ambito spazio-temporale di competenza degli stessi precettori. La giurisprudenza è costante nell’affermare che la stessa responsabilità ex art. 2048, 2° c., è distinta dalla (e concorrente con la) responsabilità dei genitori ex art. 2048, 1° c. All’una ipotesi farebbero capo i comportamenti riferibili a una carenza educativa, dalla quale i genitori potrebbero essere esonerati solo con la di- mostrazione della specifica ottemperanza ai doveri che derivano loro dalla legge, nella misura e nella qualità che compete alla loro condizione cultu- rale e sociale; all’altra ipotesi farebbero capo i comportamenti riferibili ad una carenza di vigilanza in particolari ambiti, caratterizzati dalla specificità delle condizioni di azione, dalle attività svolte, dai contesti sociali e ambien- tali di una parte della vita del minore.
L’introduzione di un regime convenzionale nell’ambito del processo educativo non può essere ritenuta irrilevante rispetto al quadro consolidato scaturente dalla lettura consolidata.
Se è vero che il “patto” istituisce una corresponsabilità nell’ambito educativo, specificando in forma convenzionale ciò che non sarebbe possi- bile imporre per legge, per la norma costituzionale attributiva della respon- sabilità educativa ai genitori, deve essere altrettanto vero che la delega, an- che se parziale, di competenze proprie della responsabilità genitoriale può trasferire quote di responsabilità, per gli eventi dannosi prodotti dal minore, dalla sfera genitoriale alla sfera del precettore. In misura certamente ridotta,
(100) Cass. Sez. III civ. 21 settembre 2000, n.12501; Cass., Sez. III civ. 28 marzo 2001, 4481.
si potrebbe pensare a una situazione analoga a quella che si determina nel caso di affidamento familiare. La scuola verrebbe ad assumere, oltre alla re- sponsabilità propria per la vigilanza, un’ulteriore e autonoma responsabilità educativa, scaturente dal “patto” e commisurata ai compiti e alle funzioni attribuite consensualmente sulla base della stessa convenzione.
b) la stipulatività del regime di subordinazione dei minori alla scuola.
Anche sotto altro profilo è possibile immaginare effetti della rego- lazione consensuale del regime di corresponsabilità educativa. Ci riferia- mo, in particolare, agli effetti conseguenti alla trasformazione del rapporto scuola-minore-famiglia da rapporto fondato sull’autorità a rapporto fonda- to sul consenso negoziale.
In un quadro di rapporti autoritativi, i limiti della competenza di ciascuno degli attori dotati di autorità e di subordinazione degli allievi sono segnati dalla legge e dalla regolazione amministrativa. Nello specifico con- testo, i compiti, i comportamenti, le regole di organizzazione della vita ordi- naria dell’istituzione scolastica dipendono da provvedimenti amministrativi che, solo dal 1974, possono essere il risultato di decisioni di organi colle- giali partecipati. Il regime delle responsabilità è tendenzialmente adeguato al duplice profilo dell’esclusività del rapporto educativo e della conformità amministrativa dell’organizzazione scolastica. È facile immaginare che il problema della “disciplina” in ambito scolastico, come il problema della “subordinazione” dei minori all’autorità della scuola doveva essere risolto in termini di esclusività della decisione da parte della scuola.
La situazione si presenta con caratteristiche di maggiore complessità e articolazione nei casi in cui il rapporto tra minori e “autorità” preposta al coordinamento della loro attività non è fondato su un regime autoritati- vo pubblico, ma su un rapporto convenzionale. A titolo d’esempio, si può fare riferimento al rapporto di lavoro subordinato, nell’ambito del quale la “subordinazione” è l’effetto di un accordo che ne definisce il contenuto, i limiti, le caratteristiche e le funzioni.
A ben vedere, la trasformazione del rapporto scolastico in rapporto convenzionale, almeno per gli aspetti educativi, potrebbe avere effetti rego- lativi articolati sulla specifica “subordinazione” che lega l’allievo al docente e alla scuola e, sotto lo specifico profilo, potrebbe risultare articolabile e differenziabile in presenza di fondati e legittimi elementi giustificativi.
A titolo d’esempio, si può immaginare che problematiche connesse ad aspetti apparentemente secondari del rapporto, ma significativi sul piano della capacità di generare conflittualità, come la definizione degli orari, del- le fasi di trasferimento fisico da una struttura scolastica ad altra, del regime disciplinare generale e del regime disciplinare in occasione di particolari eventi (viaggi d’istruzione; spettacoli; manifestazioni sportive, ecc.), delle fasi di “ricreazione”, dell’ingresso a scuola e dell’uscita dalla stessa, posso- no costituire oggetto di regolazione convenzionale, incidente sullo stesso
principio di attribuzione della responsabilità fondato sul carattere funzio- nalmente “pubblico” dell’attività scolastica(101).
– Regime di prova della responsabilità dei genitori per il contenuto del processo educativo.
La trasformazione del regime di responsabilità educativa e la stessa ipotesi di corresponsabilizzazione tra scuola e famiglia, nonché la possi- bilità di articolare il processo educativo in termini personalizzati(102) e formalizzati, può determinare effetti anche sotto il profilo del regime del- la responsabilità dei genitori nei confronti dei terzi e, in particolare, sotto il profilo della struttura della prova liberatoria prevista dal primo comma dell’art. 2048 c.c. (103).
Se uno dei criteri per liberare i genitori da responsabilità è la dimo- strazione di aver provveduto alla formazione scolastica del figlio, si può ritenere che per effetto dell’introduzione del regime pattizio e della con- seguente articolazione e formalizzazione del processo educativo, si potrà richiedere l’ulteriore prova dell’adempimento delle eventuali prescrizioni imposte dallo stesso patto.
Sulla base di tali considerazioni, può essere riletta la ricorrente mas- sima giurisprudenziale per la quale «Ai fini della responsabilità del genitore per il fatto illecito del minore a norma dell’art. 2048 c.c., la circostanza che il figlio abbia frequentato la scuola e sia avviato ad un mestiere, se può valere ad escludere la presunzione di culpa in vigilando non è idonea a for- nire la prova liberatoria della presunzione di culpa in educando, all’uopo occorrendo che sia stata impartita al figlio un’educazione normalmente suf- ficiente ad impostare una corretta vita di relazione in rapporto al suo am- biente, alle sue abitudini, alla sua personalità».(ad es.: Xxxx. 11 agosto 1997
n. 7459). La responsabilità dei genitori è commisurata al concreto esercizio
(101) M.C. Xxxxxxxx, Vigilanza sul minore e responsabilità del Docente, in
‹xxxx://xxx.xxxxxxxx.xx/xxxxxxxx/xxx/xxxxxxxxx.xxxx›.
(102) X. Xxxx, Costruire la propria vita, Bologna, 2008, pp. 7 ss.
(103) Cass. Sez. III Civ. Sent. 15 luglio 2008, n. 19450 in CED. Deve essere innan- zitutto ribadito il principio secondo cui l’inadeguatezza dell’educazione impartita e della vigilanza esercitata su un minore, fondamento della responsabilità dei genitori per il fatto illecito dal suddetto commesso (art. 2048 c.c.), può essere desunta dalle modalità dello stes- so fatto illecito, che ben possono rivelare il grado di maturità e di educazione del minore, conseguenti al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori, ai sensi dell’art. 147 c.c. (tra le varie, cfr. Cass. 20 ottobre 2005, n. 20322).
A questo principio la sentenza impugnata si è adeguata, deducendo dalla stessa mo- dalità del fatto l’inadeguatezza dell’educazione impartita dai genitori al giovane aggressore (il piccolo B. aveva compiuto un fallo di gioco ai danni del S. e, dopo aver ricevuto una spallata da questo, scagliò una pietra che andò a colpire il fratello del S. stesso, X., estraneo al gioco). Il provvedimento, dunque, oltre a dichiarare i B./D. M. decaduti dalla prova con- traria richiesta e non reiterata, esplicitamente enuncia (cfr. pp. 3 e 4) il giudizio d’irrilevanza della prova stessa a fronte delle caratteristiche del fatto.
dell’azione educativa. Se la stessa azione risulta essere specificatamente ar- ticolata secondo percorsi più definiti di quanto non sia il generico percorso scolastico, la prova dell’adempimento dei doveri educativi risulta altrettanto articolata e puntuale.
Si può affermare anche che l’eventuale articolazione differenziale del patto in ragione delle condizioni economiche, sociali, culturali dei genitori e della famiglia potrà costituire principio di differenziazione della respon- sabilità educativa.
Esattamente per le stesse ragioni per le quali il principio di formaliz- zazione del processo educativo è alla base di un nuovo, potenzialmente più rigoroso, criterio di prova esonerante dalla responsabilità, lo stesso princi- xxx può costituire elemento di giustificazione in ordine alla dimostrazione del pieno adempimento ai doveri genitoriali.
L’appartenenza del minore ad una famiglia nel cui ambito esiste un disagio tale da essere formalizzato anche nel patto educativo di corre- sponsabilità, unitamente alla dimostrazione che i genitori abbiano adem- piuto nella misura pur ridotta prevista dallo specifico patto potrà costi- tuire significativo elemento di differenziazione ai fini dell’attribuzione della responsabilità.
6. Il modello del “patto” e le suggestioni conseguenti.
Le considerazioni che si è tentato di sviluppare sulla norma che in-
troduce il patto di corresponsabilità educativa nell’ordinamento della scuola secondaria di secondo grado aprono la strada a suggestioni e a profondi ripensamenti su molti aspetti della regolazione dei problemi attinenti alla “svolgimento della personalità”.
Probabilmente si tratta di una norma molto marginale nel conte- sto generale, della cui potenziale efficacia, forse, neppure il legislatore ha valutato adeguatamente la portata. Potrà succedere che, come per molte altre norme, la pratica applicativa riuscirà a sminuire gli effetti e a ri- condurre il sistema ad un equilibrio da quello che abbiamo immaginato in questa sede.
Forse non è inutile, tuttavia, richiamare ancora una volta il fatto che la norma che istituisce e rende obbligatorio il “patto di corresponsabili- tà educativa”, pur apparendo (ed essendo) una norma inserita nell’ordina- mento quasi per caso, con l’obiettivo immediato di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica, dei genitori, dei docenti sulla drammaticità delle tensioni connesse alla crisi di governabilità delle scuole, è comunque conse- guenza di un processo di riforma laborioso e lungo.
È sufficiente ripercorrere le tappe degli ultimi quindici anni di le- gislazione scolastica per rendersi conto che le affermazioni che abbiamo
fatto in riferimento al “patto di corresponsabilità” richiamano comunque concetti pedagogici, concezioni della pubblica amministrazione, modelli di tutela delle aspettative connesse ai problemi di attuazione dell’eguaglianza di fatto e al “pieno sviluppo della persona umana”, già al centro di un in- tenso dibattito.
La lettura dei processi normativi che anticipano e seguono la pro- clamazione dell’autonomia scolastica mostra chiaramente la misura dell’in- sufficienza di un sistema scolastico ancora fortemente ancorato al principio di auto- ritatività amministrativa come fondamento dei processi di formazione della cittadinanza.
Lo schema tradizionale di scuola organizzata sull’autorità del “pre- cettore”, in larga misura derivata dal paradigma delle autorità genitoriali e sociali di antico regime, e sulla gerarchizzazione unificante della scuola amministrazione dimostra chiaramente tutta la sua difficoltà(104).
I tentativi, degli anni settanta, di definire un modello di amministra- zione scolastica partecipativa, basata sull’elettività di organismi esponenziali de- gli interessi sono stati presto travolti da una realtà sociale che esigeva più responsabilizzazione diretta che rappresentanza.
Allo stesso modo, i tentativi di costruire un’amministrazione scola- stica (come tante altre amministrazioni) fondata sulla “partecipatività informa- tiva”, secondo il modello della riforma dell’amministrazione dei primi anni novanta e delle “carte dei servizi”, si è dovuto misurare con un modello so- ciale di scuola ancora basato sulla struttura gerarchica dell’amministrazio- ne e sulla collocazione autoritativa nei confronti dell’utenza. Quel modello sconta i limiti di una “contrattualità” non completa (si pensi solo al fatto che il documento informativo nei confronti dell’utenza viene definito dalla legge, impropriamente, “contratto formativo”), anche se apre la prospettiva di un nuovo ordine di relazioni, individualizzate e non semplicemente “rap- presentate”, tra scuola e famiglia.
Allo stato attuale della complessa evoluzione dell’autonomia scolasti- ca, emerge un elemento nuovo, qualificato dalla “contrattualizzazione” del rap- porto fra l’amministrazione, la famiglia e il minore. Potrebbe trattarsi di una prima manifestazione di una probabile evoluzione della funzione scolastica verso un regime negoziale, di autorità legittimata dal consenso e dalla condivisio- ne di progetti, orientata alla formazione di una cittadinanza consapevole e non imposta(105).
Il processo che abbiamo tentato di ricostruire nelle sue possibili evo- luzioni potrebbe indurre a profondi ripensamenti del regime di formalizza-
(104) X. xxxxx, Potestà e responsabilità, in I modelli familiari fra diritti e servizi, a cura di
X. xxxxxxx, cit. pp. 139 ss.
(105) t.h. Xxxxxxxx, Cittadinanza e classe sociale, a cura di X. Xxxxxxxx, cit.; X. xxxXxxx, Illuminismo sociologico, cit.; ID. La differenziazione del diritto; X. Xxxxxxx, Struttura e mutamento della famiglia, cit.
zione dello sviluppo della personalità sotto il profilo della regolazione della capacità d’agire dei minori. Allo stesso modo, potestà genitoriale e funzione della scuola (pubblica o privata, non importa) potrebbero essere rimesse in discussione in vista dell’adozione di un regime “privatistico” di definizione degli ambiti, delle responsabilità dei poteri reciproci(106).
La sensazione che si avverte è, certamente, quella del progressivo avanzamento di una nuova dimensione della sussidiarietà, che coinvolge e modifica profondamente le stesse concezioni di pubblico e di privato e rimette in discussione consolidati equilibri di ripartizione delle competenze fra stato-amministrazione e società (e per essa famiglia), nonché le stesse concezioni di solidarietà e responsabilità.
(106) X. xxxXxxx, Ordinamenti frammentati e Costituzioni sociali, Lectio magistralis, Università di Macerata, 30 aprile 2009 (dattiloscritto).