Cassazione civile , sez. III, 14 giugno 2007, n. 13958 Fatto
Xxxxxxxxxx xxxxxx , xxx. XXX, 00 giugno 2007, n. 13958 Fatto
Con atto di citazione notificato in data 19.8.1994 A.D. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Pordenone Ru. A. e X.X. xxxxxxxxx che in data (XXXXXXX) aveva acquistato da D.B.F. i beni immobili siti in (OMISSIS) e distinti al NCEU al (OMISSIS) con atto del notaio Xxxxxxx r.e. (OMISSIS) trascritto il 10.3.1993. L'attore precisava che, avendo richiesto un mutuo bancario, ne aveva ricevuto diniego in quanto era risultato che sui beni acquistati era stata iscritta il 26.11.1993 al n. (OMISSIS) un'ipoteca giudiziale per L. 500.000.000 dai convenuti Xx.Xx. e R.V. in forza di una sentenza di condanna in danno di D.B.F..
Aggiungeva che, in considerazione del pregiudizio sofferto, aveva chiesto ai convenuti di effettuare la cancellazione del vincolo iscritto per errore sui beni di cui il D.B. non era più proprietario, ma a nulla erano valse le sue richieste. Chiedeva pertanto che fosse dichiarata l'inefficacia dell'iscrizione in questione con condanna dei convenuti al risarcimento dei danni.
Si costituivano in giudizio i convenuti che resistevano alla domanda chiedendone il rigetto ed osservando che l'iscrizione ipotecaria, essendo stata iscritta su beni che non erano più del debitore, doveva considerarsi improduttiva di effetti per l'attore. In subordine chiedevano di poter chiamare in causa per esserne manlevati l'avv. G.A. che, su loro mandato aveva provveduto all'iscrizione ipotecaria.
Interveniva volontariamente in causa l'avv. G.A. chiedendo il rigetto della domanda in quanto l'iscrizione de qua doveva ritenersi improduttiva di qualsiasi effetto. In subordine chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa l'Allianz Pace Assicurazioni affinchè, accertata la responsabilità professionale in cui era incorso nell'iscrivere ipoteca su beni che non appartenevano più al debitore, fosse condannata a manlevarlo da ogni pronuncia a lui sfavorevole.
Si costituiva l'Allianz Pace Assicurazioni chiedendo il rigetto della domanda in quanto l'ipoteca iscritta era inefficace e, in subordine, il rigetto della domanda di manleva in quanto l'avv. G. aveva dato avviso del sinistro alla compagnia assicuratrice solo nel mese di luglio 1994 e cioè ben sette mesi dopo la richiesta formulata dagli attori ed inoltre non aveva adempiuto all'obbligo del salvataggio omettendo di dare corso alla cancellazione ed inducendo cosi gli attori a promuovere l'azione giudiziale. In conseguenza lo stesso era incorso nella perdita del diritto all'indennità prevista dall'art. 1915 c.c..
In corso di causa l'avv. G., a seguito dell'avvenuta cancellazione dell'ipoteca su assenso dei convenuti, pagava all'attore le spese inerenti alla cancellazione e questi ultimi rinunciavano agli atti del giudizio, con adesione delle altre parti costituite.
Istruita la causa mediante produzione documentale, il Tribunale di Pordenone con sentenza n. 435/98 in data 24.6 - 30.10.98 condannava la Allianz Pace Assicurazioni a pagare all'avv. G. la somma di L.
6.201.000 e l'avv. G. a rifondere ai convenuti Ru., R. e Allianz Pace Assicurazioni le spese di lite, dichiarando cessata, la materia del contendere relativamente alle domande formulate dall'attore.
Il Tribunale, premesso che la rinuncia agli atti del giudizio formulata dall'attore non era stata accettata dalla Allianz Pace Assicurazioni, rilevava: - che pacificamente l'ipoteca era stata iscritta per errore dall'avv. G. su beni non di proprietà del debitore; - che pertanto lo stesso versava in colpa professionale anche per aver ritardato la cancellazione dell'ipoteca; - che tali fatti avevano prodotto un danno potenziale all'attore, essendo indubbio che l'ipoteca costituisce un ostacolo alla libera circolazione del bene; - che perciò la domanda principale dell'Allianz Pace Assicurazioni era infondata e andava respinta.
In ordine alla domanda di manleva il Tribunale osservava:
- che nessuna prova quest'ultima aveva fornito relativamente all'eccepito ritardo con cui l'avv. G. avrebbe comunicato il sinistro;
- che il mancato adempimento dell'obbligo di salvataggio non poteva comportare l'esonero dell'assicuratore da responsabilità anche per quei danni che l'assicurato non avrebbe potuto evitare o limitare;
- che l'assicurato avrebbe potuto evitare le spese della causa promossa per cancellare l'ipoteca, ma non avrebbe comunque potuto far nulla per evitare i danni dipendenti dall'erronea iscrizione;
- che l'Allianz era perciò tenuta a pagare all'avv. G. la somma versata all'attore per le spese di cancellazione dell'ipoteca, ma non quanto pagato per spese legali.
Avverso detta sentenza interponeva appello l'avv. G. il quale chiedeva, in riforma dell'impugnata sentenza, dichiararsi che l'Allianz Pace Assicurazioni era tenuta a rimborsare ex art. 1917 c.c. all'assicurato appellante anche le somme da lui spontaneamente pagate in corso di causa all'attore
A.D. per competenze del suo legale e concordate in L. 1.820.700 nonchè a rifondergli le spese di soccombenza liquidate dal Tribunale a favore di F. e Ru. (pari a L. 6.136.500, oltre iva e epa ed a L. 310,000 per la registrazione della sentenza di primo grado), con gli interessi dalla domanda. Si costituiva in giudizio la SPA Allianz Subalpina Assicurazioni che resisteva all'impugnazione chiedendone il rigetto.
Con sentenza 00.0.0000 - 00.0.0000 la Corte d'Appello di Trieste, definitivamente pronunciando, decideva come segue:
"... 1 - In parziale accoglimento dell'appello e in conseguente riforma dell'impugnata sentenza del Tribunale di Pordenone n. 435/98, che nel resto conferma, ferma la compensazione per metà delle spese di lite di primo grado nel rapporto tra G.A. e Allianz - Subalpina SpA, condanna quest'ultima a pagare al G. la restante metà, liquidata, per la frazione in L. 2.900.000, di cui L. 350.000 per spese, L.
1.250.000 per diritti e L. 1.300.000 per onorari, oltre alle spese generali, iva e cpa come per legge;
2 - Compensa per metà le spese di lite del grado d'impugnazione e condanna la S.p.A. Allianz - Subalpina a rifondere a G. A. la restante metà liquidata, d'ufficio in mancanza di nota, in L. 2.125.000, di cui L. 175.000 per spese, L. 550.000 per diritti di procuratore e L. 1.400.000 per onorario di avvocato, oltre alle spese generali, iva e cpa come per legge".
Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione G. A.. La s.p.a. ALLIANZ SUBALPINA non ha svolto attività difensiva.
Diritto
I primi tre motivi di ricorso vanno esaminati insieme in quanto connessi.
La parte ricorrente G.A., con il primo motivo, denuncia "violazione o falsa applicazione dell'art. 1914
c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3; motivazione omessa e/o contraddittoria su di punti decisivi della controversia in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5 (anche per omesso esame di prove decisive)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue.
Il Tribunale, prima e la Corte poi, hanno ritenuto applicabile alla fattispecie di causa la disciplina dell'obbligo di salvataggio statuito dall'art. 1914 c.c.
L'avv. G., secondo il giudizio dei giudici di merito, avrebbe dunque colpevolmente omesso di attivarsi per evitare il radicamento della causa principale (quella promossa dal terzo proprietario dell'immobile gravato dall'ipoteca apparente), non provvedendo cioè a cancellare tempestivamente quest'ultima da lui iscritta sui beni dell'attore in nome e per conto dei convenuti (allora) clienti R. e Ru. e soprattutto non mettendo immediatamente a loro disposizione la somma necessaria all'operazione di L. 6.201.000.
Si contesta detta l'interpretazione.
L'obbligo di salvataggio è evidentemente riferibile solo a comportamenti in grado di elidere o diminuire la materialità del danno nell'ambito della diversa assicurazione sulle cose.
Infatti l'art. 1914 c.c., riferendosi alle spese di salvataggio, le pone a carico dell'assicuratore significativamente anche oltre i limiti della somma "assicurata", laddove tale nozione di "somma assicurata" può avere senso e significato solo se riferita all'assicurazione contro i danni a cose e non certo a quella di responsabilità civile (alla quale non può ovviamente essere estesa la funzione della regola proporzionale che la locuzione "somma assicurata" invece sottende).
Anche però ammettendo il contrario (e cioè che pure nell'assicurazione di r.c. valesse la regola dell'obbligo di salvataggio), è evidente che nell'obbligo di salvataggio mai potrebbe rientrare un
comportamento consistente nel pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare per la ragione che l'ipoteca era solo apparente e non in grado di determinare danni giuridicamente rilevanti.
Sarebbe come se, ad esempio, nell'ambito dell'assicurazione di r.c.a., si potesse riconoscere una qualche responsabilità al proprietario dell'auto assicurata che non si attivasse personalmente a definire l'incidente pagando di tasca propria il carrozziere della controparte.
Che l'assicurato non avesse per niente violato l'art. 1914 c.c. (ammesso e non concesso che tale norma potesse trovare applicazione in tema di assicurazione della r.c.) era anche provato dalle sue reiterate richieste al proprio assicuratore di intervenire nella gestione della lite, nonchè con dal puntuale invio delle lettere di diffida ricevute e di copia dell'atto giudiziario (la parte ricorrente cita il contenuto di talune lettere).
Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia "motivazione ancora illogica su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte scriveva che in ogni caso l'avv. G. avrebbe dovuto attivarsi alla cancellazione e ciò anche se a tal scopo sarebbe servita la volontà dei propri clienti (titolari dell'iscrizione de qua).
Tale circostanza (quella della necessaria partecipazione dei clienti che avrebbero dovuto recarsi da un notaio a presentare tempestivamente la rinuncia all'iscrizione, pagandone i relativi ingenti costi) avrebbe semmai potuto determinare - secondo la Corte - la reiezione della domanda di manleva avanzata dagli ex clienti e quindi la conseguente pronuncia di incolpevolezza del loro avvocato (che pertanto avrebbe dovuto restare assolto al pari della sua compagnia assicuratrice).
Peccato che tale ragionamento cozzasse con la statuita pronuncia di responsabilità professionale dell'avvocato contenuta proprio nella stessa sentenza di prime cure e non impugnata nè dall'avvocato nè dalla di lui assicuratrice. Solo quando l'avvocato ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare le determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione.
Con il terzo motivo la parte ricorrente denuncia "violazione dell'art. 1917 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) ed omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere riassunte come segue.
Era stato dedotto che il tener indenne l'assicurato avrebbe comportato l'obbligo per l'assicuratore di trattare in prima persona il sinistro, interloquendo con il danneggiato e gestendo direttamente la lite.
TENERE INDENNE non significa difatti RIMBORSARE, ma preservare il patrimonio dell'assicurato da esborsi: vuoi dire che l'assicuratore doveva mettere a disposizione i propri denari per definire il sinistro, senza poter pretendere che lo facesse il proprio assicurato.
La tesi non è stata oggetto della pronuncia.
I tre motivi sopra riassunti non possono essere accolti.
Con riferimento all'applicabilità o meno dell'istituto dell'obbligo di salvataggio all'assicurazione per la responsabilità civile va confermato il seguente principio di diritto già esposto da questa Corte Suprema: "L'art. 1914 cod. civ., il quale, in tema di assicurazione contro i danni, fa carico all'assicurato, a partire dal momento del verificarsi del sinistro ovvero dell'inizio dell'azione che lo generi, di attivarsi per evitare o diminuire il danno (obbligo di salvataggio), con diritto di rivalersi nei confronti dell'assicuratore delle spese a tale scopo affrontate (diritto autonomo ed indipendente dal credito indennitario), trova applicazione, in difetto di espressa deroga ed alla luce della sua "ratio" (tutela di un interesse comune ai due contraenti), anche nell'assicurazione della responsabilità civile, la quale rientra nell'ambito dell'assicurazione contro i danni, ferma però restando, in questa ipotesi, la necessità di utilizzare, come base di riferimento per il "quantum" di detta rivalsa, il parametro della somma assicurata (così adeguando il diverso criterio che la norma contempla con riferimento al solo caso dell'assicurazione contro i danni alle cose)" (Xxxx. Sentenza n. 11877 del 07/11/1991; cfr. anche, per le sue implicazioni, Xxxx. Sentenza n. 83 del 08/01/2004).
Le argomentazioni fondate sul rilevo che nella specie si trattava di un "... comportamento necessariamente connotato proprio dal pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare ..." sono prive di pregio.
E' infatti ovvio che l'obbligo di salvataggio concerne i danni che rassicurato può ancora evitare (in quanto non si sono ancora verificati) e quindi, nel caso di responsabilità professionale, i danni che possono ancora essere evitati dopo che si è accorto dell'errore commesso.
Quindi è del tutto immune da vizi logici o giuridici l'assunto dei Giudici di merito secondo cui l’assicurato avv. G., una volta emerso il suo errore non poteva ormai far nulla per evitare i danni (già) derivati dall'erronea iscrizione ma ben poteva e doveva (ex art. 1914 c.c.) attivarsi per evitare la causa con la conseguenza che la Allianz non era tenuta a rimborsargli quanto pagato per le spese legali.
Il richiamo a quanto accade nella assicurazione r.c.a. negli incidenti stradali è privo di pregio in quanto (di regola) in tali casi il fatto produttivo del danno si è ormai (del tutto) realizzato, l'assicurato non può far nulla per evitare i danni che si sono prodotti (factum infectum fieri nequit) e la compagnia assicuratrice deve quindi rimborsare all'assicurato (sia pur nei limiti del massimale) tutto quanto costui deve pagare al danneggiato (non potendo trovare dunque concreta applicazione l'art 1914 c.c.). Ben diversa, come già esposto (e per le ragioni sopra indicate), era la situazione nel caso in questione.
Contrariamente a quanto assume la parte ricorrente con l'assicurazione suddetta l'avv. G. si garantiva in effetti contro l'eventualità di dovere pagare di tasca propria somme a terzi danneggiati, ma solo per le voci di danno non rientranti nell'applicabilità dell'art. 1914 c.c. cit.
In altri termini, nelle fattispecie come quella in questione, obbligo di TENERE INDENNE non significa obbligo di preservare il patrimonio dell'assicurato qualunque sia il comportamento di quest'ultimo ed anche nell'ipotesi di violazione dell'obbligo di salvataggio, ma significa solo obbligo di RIMBORSARE nei limiti in cui non vi è stata violazione di detta norma.
Nella specie, una volta scoperto l'errore, scattava l'obbligo in questione in capo all'avvocato e non l'obbligo di gestione della lite (non emergente da alcuna norma) in capo alla compagnia assicuratrice. Quanto poi al ragionamento della Corte d'Xxxxxxx, asseritamente contraddittorio, oggetto del secondo motivo, è palese che detto Xxxxxxx ha inteso semplicemente affermare l'impossibilità (pure in astratto e quindi a prescindere da giudicati) per l'appellante di addurre a suo favore (nei rapporti con la compagnia assicuratrice) l'eventuale responsabilità dei suoi clienti in quanto in una siffatta ipotesi l'obbligo di detta compagnia non sarebbe stato ipotizzabile in diritto neppure in via di mera ipotesi (ha cioè esposto una affermazione del tutto immune dai vizi lamentati).
Quanto poi alla dedotta impossibilità per il professionista di procedere alla cancellazione senza la collaborazione dei suoi clienti, basta rilevare che secondo l'evidente (anche se parzialmente implicita) tesi dei Giudici di merito la responsabilità del professionista è consistita proprio nel non aver assunto (per tempo) alcuna iniziativa concreta e fattiva; è a tal proposito significativo che secondo lo stesso ricorrente "... Solo quando questi ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare te determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione ..."; il che implica che egli era in grado di far giungere la situazione "... a soluzione ..." pagando "... di tasca sua ..."; nel non averlo fatto tempestivamente consiste (secondo la tesi di detti giudici, come già esposto parzialmente implicita, ma del tutto immune dai vizi in questione) la violazione dell'obbligo di salvataggio.
Con il quarto motivo la parte ricorrente denuncia "vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) per omessa valutazione di documento in relazione ad un punto decisivo della controversia" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue.
La Corte ha ritenuta l'inesistenza dell'obbligo di gestione della lite in quanto non ricompreso in quello più generale di cui all'art. 1917 c.c..
A parte il fatto che, per quanto già detto sub il motivo 3), l'obbligo gestionale pareva davvero già ricompreso in quello di tener indenne l'assicurato, la Corte ha omesso di esaminare il documento 4 del fascicolo documenti dell'avv. G., costituito dalla fotocopia della polizza con relative clausole d'assicurazione al cui art. 2 (Cosa deve fare l'assicurato) c'era un paragrafo denominato "GESTIONE
DELLE VERTENZE" per il quale che "in caso di sinistro concernente il settore d - responsabilità l'assicurato deve inviare alla Società nel più breve tempo possibile le notizie i documenti e gli atti giudiziari relativi al sinistro adoperandosi per l'acquisizione degli elementi di difesa o per un componimento amichevole, astenendosi da qualsiasi riconoscimento di responsabilità.
La società può assumere la gestione delle vertenze tanto in sede stragiudiziale che giudiziale sia civile che penale a nome dell'assicurato designando ove occorra legali o tecnici ed avvalendosi di tutti i diritti ed azioni spettanti all'assicurato stesso. Sono a carico della Società le spese sostenute per resistere all'azione promossa contro l'assicurato entro il limite di un importo pari al quarto del massimale stabilito in polizza per il danno cui si riferisce la domanda. Qualora la somma dovuta al danneggiato superi detto massimale le spese vengono ripartite tra la Società e l'Assicurato in proporzione del rispettivo interesse. La Società non riconosce spese sostenute dall'assicurato per legali o tecnici che non siano da essa designati e non risponde di multe, ammende e delle spese di giustizia. Il diritto di transigere con i danneggiati spetta esclusivamente alla Società. L'Assicurato decade da ogni diritto qualora senza preventivo benestare della Società prenda accordi che impegnino la Società stessa pregiudicandone gli interessi".
Qualora la Corte "... avesse potuto esaminare ..." questa è l'espressione - di contenuto ambiguo - contenuta nel ricorso tale documento, certamente avrebbe dovuto scendere al merito della richiesta di condanna dell'assicuratore al rimborso dei costi pagati dall'assicurato, riconoscendone la debenza proprio anche sulla base del tenore di tale xxxxxxxx.
Se la clausola contrattuale de qua da un lato imponeva all'assicurato di "adoperarsi per un componimento amichevole" della controversia, ma dall'altro gli vietava tassativamente di riconoscersi responsabile e di stipulare transazioni pregiudizievoli per l'assicuratore, è evidente che la sua condotta di iniziale non accettazione di pagare L. 6.201.000 fosse coartata proprio dal rispetto da parte sua del dovere di non intraprendere azioni che significassero supina accettazione delle richieste avversarie o confessione della propria colpa (anche perchè il costo di cancellazione avrebbe poi dovuto essere sborsato dal proprio assicuratore).
Il motivo è inammissibile poichè la parte ricorrente non espone (chiaramente e ritualmente) di averlo già prospettato (negli stessi termini sostanziali) innanzi al Giudice dell'appello (che in effetti non parla di detta clausola), va infatti ribadito il seguente principio di diritto: "I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d'inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d'appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio.
Pertanto, ove il ricorrente proponga detta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito". (Cass. N. 05150 del 03/04/2003; v. tra le successive conformi: Cass. n. 1101 del 20/01/2006; e Cass. n. 21497 del 07/11/2005).
Sulla base di quanto sopra esposto il ricorso va respinto.
Non si deve provvedere sulle spese in quanto la parte intimata non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese. Così deciso in Roma, il 30 marzo 2007.
Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2007