Contract
ACCORDO DEL TESTO UNICO DELLE DISPOSIZIONI CONTRATTUALI ECONOMICHE E NORMATIVE DELLE CATEGORIE DEL COMPARTO UNICO DELLA VALLE D’AOSTA.
SEZIONE III Codice di comportamento, norme e procedimenti disciplinari e controversie di lavoro.
…OMISSIS… Art. 106
1. Nel rispetto del principio di gradualità e proporzionalità delle sanzioni in relazione alla gravità della mancanza ed in conformità di quanto previsto dal contratto, il tipo e l’entità di ciascuna della sanzioni sono determinati in relazione ai seguenti criteri generali:
a) intenzionalità del comportamento, grado di negligenza, imprudenza o imperizia dimostrate, tenuto conto anche della prevedibilità dell’evento;
b) rilevanza degli obblighi violati;
c) responsabilità connesse alla posizione di lavoro occupata dal dipendente;
d) grado di danno o di pericolo causato all’amministrazione, agli utenti o a terzi ovvero al disservizio determinatosi;
e) sussistenza di circostanze aggravanti o attenuanti, con particolare riferimento al comportamento del lavoratore, ai precedenti disciplinari nell’ambito del biennio previsto dalla legge, al comportamento verso gli utenti;
f) al concorso nella mancanza di più lavoratori in accordo tra di loro.
2. La recidiva nelle mancanze previste ai commi 4, 5 e 6, già sanzionate nel biennio di riferimento, comporta una sanzione di maggiore gravità tra quelle previste nell’ambito dei medesimi commi.
3. Al dipendente responsabile di più mancanze compiute con unica azione od omissione o con più azioni od omissioni tra loro collegate ed accertate con un unico procedimento, è applicabile la sanzione prevista per la mancanza più grave se le suddette infrazioni sono punite con sanzioni di diversa gravità.
4. La sanzione disciplinare dal minimo del rimprovero verbale o scritto al massimo della multa di importo pari a quattro ore di retribuzione si applica, graduando l’entità delle sanzioni in relazione ai criteri di cui al comma 1, per:
a) inosservanza delle disposizioni di servizio, anche in tema di assenze per malattia, nonché dell’orario di lavoro, compresa l’omissione delle formalità prescritte per il controllo, a norma di legge, della presenza;
b) condotta non conforme ai principi di correttezza verso superiori o altri dipendenti o nei confronti degli utenti o del pubblico;
c) negligenza nell’esecuzione dei compiti assegnati, nella cura dei locali e dei beni mobili o strumenti affidati al dipendente o sui quali, in relazione alle sue responsabilità, debba essere espletata attività di custodia o vigilanza;
d) inosservanza degli obblighi in materia di prevenzione degli infortuni e di sicurezza sul lavoro ove non ne sia derivato danno o disservizio;
e) rifiuto di assoggettarsi a visite personali disposte a tutela del patrimonio dell’Amministrazione, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 6 della legge n. 300/1970;
f) insufficiente rendimento, rispetto ai carichi di lavoro e, comunque, nell’assolvimento dei compiti assegnati;
g) violazioni di doveri di comportamento derivanti dal Codice di comportamento di cui all’art. 105 (Codice di comportamento) e non ricompresi specificatamente nelle lettere precedenti, da cui sia derivato disservizio ovvero danno o pericolo all’amministrazione, agli utenti o ai terzi.
L’importo delle ritenute per multa sarà introitato dal bilancio dell’Amministrazione e destinato ad attività sociali a favore dei dipendenti. Il lavoratore ha facoltà di prendere visione della documentazione relativa al versamento.
5. La sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino ad un massimo di dieci giorni si applica, graduando l’entità della sanzione in relazione ai criteri di cui al comma 1, per:
a) recidiva, ovvero particolare gravità nelle mancanze previste dal comma 4;
b) ingiustificato ritardo, non superiore a dieci giorni, a trasferirsi nella sede assegnata dai superiori;
c) svolgimento di attività che ritardino il recupero psico fisico durante lo stato di malattia o di infortunio;
d) comportamenti minacciosi, gravemente ingiuriosi, calunniosi o diffamatori nei confronti di altri dipendenti o degli utenti o di terzi;
e) alterchi negli ambienti di lavoro, anche con utenti o con terzi;
f) manifestazioni ingiuriose nei confronti dell’amministrazione, salvo che siano espressione della libertà di pensiero, ai sensi dell’articolo 1 della legge n. 300/1970;
g) atti, comportamenti o molestie, anche di carattere sessuale, lesivi della dignità della persona;
h) stato di ubriachezza manifesta durante il servizio;
i) sistematici e reiterati atti o comportamenti aggressivi, ostili e denigratori che assumano forme di violenza morale o di persecuzione psicologica nei confronti di un altro dipendente;
j) occultamento, da parte del responsabile della custodia, del controllo o della vigilanza, di fatti e circostanze di lieve entità relativi ad illecito uso, manomissione, distrazione o sottrazione di somme o beni di pertinenza dell’Amministrazione o ad essa affidati;
k) arbitrario ed ingiustificato abbandono del posto di lavoro per un periodo fino a due giorni anche non consecutivi;
l) condotta pregiudizievole per l’amministrazione che abbia comportato risarcimento danni ai sensi dell’art. 55 sexies del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165 come introdotto dall’art. 69 del
D. lgs. 27 ottobre 2009, n. 150;
m) svolgimento di altra attività lavorativa non incompatibile e senza la necessaria autorizzazione, secondo quanto previsto dall’art. 72, comma 2, della L.r. n. 22/2010, con avvenuta ottemperanza alla diffida a cessare l’attività stessa, ovvero avvenuto svolgimento di durata limitata di altra attività lavorativa non incompatibile senza la preventiva e necessaria autorizzazione;
n) violazioni di doveri di comportamento derivanti dal Codice di comportamento di cui all’articolo 105 (Codice di comportamento) e non ricompresi specificatamente nelle lettere precedenti da cui sia, comunque, derivato grave danno all’Amministrazione, agli utenti o a terzi.
6. La sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da undici giorni a tre mesi, si applica graduando l’entità della sanzione in relazione ai criteri di cui al comma 1, per:
a) recidiva nel biennio delle mancanze previste al comma precedente oppure quando le mancanze ivi previste presentino caratteri di particolare gravità;
b) assenza ingiustificata dal servizio per un periodo fino a tre giorni, anche non consecutivi;
c) occultamento, da parte del responsabile della custodia, del controllo o della vigilanza, di fatti e circostanze di grave entità relativi ad illecito uso, manomissione, distrazione o sottrazione di somme o beni di pertinenza dell’Amministrazione o ad essa affidati;
d) persistente insufficiente rendimento o fatti, colposi o dolosi, che dimostrino grave incapacità ad adempiere adeguatamente agli obblighi di servizio;
e) esercizio, attraverso sistematici e reiterati atti e comportamenti aggressivi ostili e denigratori, di forme di violenza morale o di persecuzione psicologica nei confronti di altro dipendente al fine di procurargli un danno in ambito lavorativo o addirittura di escluderlo dal contesto lavorativo;
f) atti, comportamenti o molestie, anche di carattere sessuale, di particolare gravità che siano lesivi della dignità della persona;
g) percosse o tentativo di percosse negli ambienti di lavoro, anche per motivi non attinenti al servizio, contro superiori, altri dipendenti o terzi;
h) comportamenti ostativi all’attività ordinaria dell’ente di appartenenza e tali da comportare ritardi e inadempienze nell’erogazione dei servizi agli utenti;
i) condotta pregiudizievole per l’amministrazione che abbia comportato un rilevante risarcimento danni ai sensi dell’art. 55 sexies del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165 come introdotto dall’art. 69 del D. lgs. 27 ottobre 2009, n. 150;
j) mancato esercizio o decadenza dell'azione disciplinare, dovuti all'omissione o al ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del procedimento disciplinare o a valutazioni sull'insussistenza dell'illecito disciplinare irragionevoli o manifestamente infondate, in relazione a condotte aventi oggettiva e palese rilevanza disciplinare secondo quanto previsto dall’art. 55-sexies, comma 3, del D. lgs. n. 165/2001, come novellato dal D. lgs. n. 150/2009;
k) svolgimento di altra attività lavorativa incompatibile, secondo quanto previsto dall’art. 72, comma 2, della L.r. n. 22/2010, con avvenuta ottemperanza alla diffida a cessare l’attività stessa.
Nella sospensione dal servizio prevista dal presente comma, il dipendente è sempre privato della retribuzione ed il relativo periodo non è, in ogni caso, computabile ai fini dell’anzianità di servizio.
7. La sanzione disciplinare del licenziamento con preavviso si applica per:
a) recidiva plurima, almeno tre volte nell’anno, nelle mancanze previste nei commi 5 e 6, anche se di diversa natura, o recidiva, nel biennio, in una mancanza tra quelle previste nel comma 6, che abbia comportato l’applicazione della sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione, fatto salvo quanto previsto al comma 8 lett. a);
b) assenza ingiustificata dal servizio per un numero di giorni superiore a tre, anche non consecutivi nell’arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall’Amministrazione;
c) recidiva ovvero rilevante entità nell’infrazione di cui al comma 6, lett. c;
d) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto per motivate esigenze di servizio;
e) continuità, nel biennio, di comportamenti rilevati attestanti il perdurare di una situazione di rendimento insufficiente o fatti, colposi o dolosi, che dimostrino grave incapacità ad adempiere adeguatamente agli obblighi di servizio;
f) furto o danneggiamento volontario di materiale e di beni dell’Amministrazione;
g) recidiva nel biennio, anche nei confronti di persona diversa, di sistematici e reiterati atti e comportamenti aggressivi ostili e denigratori e di forme di violenza morale o di persecuzione psicologica nei confronti di un collega al fine di procurargli un danno in ambito lavorativo o addirittura di escluderlo dal contesto lavorativo;
h) condanna passata in giudicato per un delitto che, commesso fuori dal servizio e non attinente in via diretta al rapporto di lavoro, non ne consenta l’oggettiva prosecuzione per la sua specifica gravità;
i) reiterati comportamenti ostativi all’attività ordinaria dell’ente di appartenenza e comunque tali da comportare gravi ritardi e inadempienze nella erogazione dei servizi agli utenti;
j) violazioni di doveri di comportamento derivanti dal Codice di comportamento di cui all’articolo 105 (Codice di comportamento) e non ricompresi specificatamente nelle lettere precedenti di gravità tale secondo i criteri di cui al comma 1, da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro.
8. La sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso si applica per:
a) recidiva, negli ambienti di lavoro, di percosse o tentativo di percosse contro superiori o altri dipendenti o terzi, anche per motivi non attinenti al servizio;
b) accertamento che l’impiego o la progressione di carriera sono stati conseguiti mediante la produzione di documenti falsi e, comunque, con mezzi fraudolenti, ovvero che la sottoscrizione del contratto individuale di lavoro sia avvenuta a seguito di presentazione di documenti falsi;
c) condanna passata in giudicato:
α) per i delitti indicati dagli artt. 58, comma 1, lett. “a”, “b” limitatamente all’art. 316 del Codice penale, lett. “c”, “d” ed “e” e 59, comma 1, lett. “a”, limitatamente ai delitti già indicati dall’art. 58, comma 1, lett. “a” e all’art. 316 del Codice penale, lett. “b” e “c” del D. lgs. n. 267/2000;
β) per gravi delitti commessi in servizio;
γ) per i delitti previsti dall’art. 3, comma 1 della legge 27 marzo 2001, n. 97;
d) condanna passata in giudicato per un delitto commesso in servizio o fuori servizio che, pur non attenendo in xxx xxxxxxx xx xxxxxxxx xx xxxxxx, non ne consenta neanche provvisoriamente la prosecuzione per la sua specifica gravità;
e) ipotesi in cui il dipendente venga arrestato perché xxxxx, in flagranza, a commettere reati di peculato o concussione o corruzione e l’arresto sia convalidato dal giudice per le indagini preliminari;
f) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza dal sevizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia;
g) reiterazione nell’ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell’onore e della dignità personale altrui;
h) condanna penale definitiva, in relazione alla quale è prevista l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l’estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro;
i) mancata ottemperanza alla diffida alla cessazione dell’attività non incompatibile di cui all’art. 72, comma 2, della L.r. n. 22/2010, ovvero svolgimento di attività per la quale la dovuta autorizzazione non è stata concessa;
j) omessa ovvero non veritiera comunicazione circa l’inizio o le variazioni dell’attività lavorativa esterna;
k) violazioni intenzionali degli obblighi non ricompresi specificamente nelle lettere precedenti, anche nei confronti dei terzi, di gravità tale, in relazione ai criteri di cui al comma 1, da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro.
9. Le mancanze non espressamente previste nei commi da 4 a 8 sono comunque sanzionate secondo i criteri di cui al comma 1, facendosi riferimento, quanto all’individuazione dei fatti, agli obblighi dei dipendenti previsti dai codici di comportamento adottati dai singoli enti del comparto unico e quanto al tipo e misura delle sanzioni, ai principii desumibili dai commi precedenti.
10. Per tutti gli effetti disciplinati dal comma 8 del presente articolo la sentenza prevista dall’art.
444 del codice di procedura penale è equiparata a condanna, come meglio specificato nel successivo articolo 109 (Connessione tra procedimento disciplinare e procedimento penale), comma 9.
11. Al codice disciplinare deve essere data la massima pubblicità mediante pubblicazione sul sito internet istituzionale dell’ente ovvero, in mancanza di sito internet, mediante affissione in luogo accessibile a tutti i dipendenti, individuato da ogni singola amministrazione.
12. Il Codice disciplinare deve essere reso pubblico con le modalità di cui al comma precedente e si attua dal quindicesimo giorno successivo a quello dell’affissione o della pubblicazione sul sito internet.
13. Per le infrazioni disciplinari e le sanzioni per fatti commessi prima della data di sottoscrizione del presente Testo unico, anche in caso di avvenuta conoscenza dopo detta sottoscrizione, trovano applicazione le disposizioni contenute nel C.C.R.L. 27/03/2003 se più favorevoli. I procedimenti disciplinari già iniziati alla data di sottoscrizione del presente Testo unico restano regolati dalle norme procedurali contenute nel citato X.X.X.X. 00/00/0000.
X.X. Xx disposizioni dell’art. 106 scritte in corsivo non sono di fonte pattizia ma derivano direttamente dall’art. 55bis del D. lgs. n. 165/2001, come introdotte dall’art. 69 del D. lgs.
n. 150/2009 e, pertanto, non derogabili dai contratti o dagli accordi collettivi regionali di lavoro secondo quanto indicato anche dall’art. 73, comma 1 della legge regionale n. 22/2010.
Art. 107
(Sanzioni e procedure disciplinari)
1. Le violazioni, da parte del lavoratore, dei doveri disciplinati negli artt. 105 (Codice di comportamento) e 106 (Codice disciplinare) del contratto danno luogo, secondo la gravità dell’infrazione, previo procedimento disciplinare, all’applicazione delle seguenti sanzioni disciplinari:
a) rimprovero verbale;
b) rimprovero scritto (censura);
c) multa con importo non superiore a quattro ore di retribuzione;
d) sospensione dal servizio e dalla retribuzione fino ad un massimo di dieci giorni;
e) sospensione dal servizio e dalla retribuzione fino ad un massimo di quindici giorni;
f) sospensione dal servizio e dalla retribuzione da undici giorni e fino ad un massimo di tre mesi;
g) licenziamento con preavviso;
h) licenziamento senza preavviso.
2. Per le infrazioni di minore gravità, per le quali è prevista l’irrogazione di sanzioni che vanno dal rimprovero scritto alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni compresa, il procedimento disciplinare, se il responsabile della struttura ha qualifica dirigenziale, si svolge secondo le disposizioni del comma 3. Quando il responsabile della struttura non ha qualifica dirigenziale o comunque per le infrazioni punibili con sanzioni più gravi di quelle indicate nel primo periodo, il procedimento disciplinare si svolge secondo le disposizioni del comma 5. Per le infrazioni per le quali è comminabile unicamente la sanzione del rimprovero verbale, da infliggere entro 20 giorni dalla conoscenza del fatto da parte del dirigente, lo stesso provvede entro i successivi 15 giorni alla predisposizione di un verbale della sanzione comminata, sottoscritto, oltre che da lui, anche dal dipendente per presa visione ed inserito nel fascicolo personale del dipendente.
3. Il responsabile, con qualifica dirigenziale, della struttura in cui il dipendente lavora, anche in posizione di comando o di fuori ruolo, quando ha notizia di comportamenti punibili con taluna delle sanzioni disciplinari di cui al comma 2, primo periodo, senza indugio e comunque non oltre venti giorni contesta per iscritto, ad eccezione del rimprovero verbale, l’addebito al dipendente medesimo e lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, con l’eventuale assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell’associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato, con un preavviso di almeno dieci giorni. Entro il termine fissato, sotto pena di decadenza dall’esercizio del diritto di difesa, il dipendente convocato, se non intende presentarsi, può inviare una memoria scritta o, in caso di grave ed oggettivo impedimento, formulare motivata istanza di rinvio del termine per l’esercizio della sua difesa. Dopo l’espletamento dell’eventuale ulteriore attività istruttoria, il responsabile della struttura, sentito il soggetto competente per l’ente in materia di procedimenti disciplinari, conclude il procedimento, con l’atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione, entro sessanta giorni dalla contestazione dell’addebito. In caso di differimento superiore a dieci giorni del termine a difesa, per impedimento del dipendente, il termine per la conclusione del procedimento è prorogato in misura corrispondente. Il differimento può essere disposto per una sola volta nel corso del procedimento. La violazione dei termini stabiliti nel presente comma comporta, per l’amministrazione, la decadenza dell’azione disciplinare.
4. Il responsabile della struttura, se non ha qualifica dirigenziale ovvero se la sanzione da applicare è più grave di quelle di cui al comma 2, primo periodo, trasmette gli atti, entro cinque giorni dalla notizia del fatto, all’ufficio individuato ai sensi del comma 5, dandone contestuale comunicazione all’interessato.
5. Ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari ai sensi del comma 2, secondo periodo. Il predetto ufficio contesta l’addebito al dipendente, lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, istruisce e conclude il procedimento secondo quanto previsto nel comma 3, ma, se la sanzione da applicare è più grave di quelle di cui al comma 2, primo periodo, con applicazione di termini pari al doppio di quelli ivi stabiliti e salva l’eventuale sospensione ai sensi dell’articolo 109 (Connessione tra procedimento disciplinare e procedimento penale). Il termine per la contestazione dell’addebito decorre dalla data di ricezione degli atti trasmessi ai sensi del comma 4 ovvero dalla data nella quale l’ufficio ha altrimenti acquisito notizia dell’infrazione, mentre la decorrenza del termine per la conclusione del procedimento resta comunque fissata alla data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora. La violazione dei termini di cui al presente comma comporta, per l’amministrazione, la decadenza dell’azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall’esercizio del diritto di difesa.
6. Ogni comunicazione al dipendente, nell’ambito del procedimento disciplinare, è effettuata tramite posta elettronica certificata, nel caso in cui il dipendente disponga di idonea casella di posta, ovvero tramite consegna a mano con sottoscrizione per ricevuta. Per le comunicazioni successive alla contestazione dell’addebito, il dipendente può indicare, altresì, un numero di fax, di cui egli o il suo procuratore abbia la disponibilità. In alternativa all’uso della posta elettronica certificata o del fax ed altresì della consegna a mano, le comunicazioni sono effettuate tramite raccomandata postale con ricevuta di ritorno. Il dipendente ha diritto di accesso agli atti istruttori del procedimento. E’ esclusa l’applicazione di termini diversi o ulteriori rispetto a quelli stabiliti nel presente articolo.
7. Nel corso dell’istruttoria, il capo della struttura o l’ufficio per i procedimenti disciplinari possono acquisire da altre amministrazioni pubbliche informazioni o documenti rilevanti per la definizione del procedimento. La predetta attività istruttoria non determina la sospensione del procedimento, né il differimento dei relativi termini.
8. Il lavoratore dipendente o il dirigente, appartenenti alla stessa amministrazione pubblica dell’incolpato o ad una diversa, che, essendo a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio di
informazioni rilevanti per un procedimento disciplinare in corso, rifiuta, senza giustificato motivo, la collaborazione richiesta dall’autorità disciplinare procedente ovvero rende dichiarazioni false o reticenti, è soggetto all’applicazione, da parte dell’amministrazione di appartenenza, della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, commisurata alla gravità dell’illecito contestato al dipendente, fino ad un massimo di quindici giorni.
9. In caso di trasferimento del dipendente, a qualunque titolo, in un’altra amministrazione pubblica, il procedimento disciplinare è avviato o concluso o la sanzione è applicata presso quest’ultima. In tali casi i termini per la contestazione dell’addebito o per la conclusione del procedimento, se ancora pendenti, sono interrotti e riprendono a decorrere dalla data del trasferimento.
10. In caso di dimissioni del dipendente, se per l’infrazione commessa è prevista la sanzione del licenziamento o se comunque è stata disposta la sospensione cautelare dal servizio, il procedimento disciplinare ha egualmente corso secondo le disposizioni del presente articolo e le determinazioni conclusive sono assunte ai fini degli effetti giuridici non preclusi dalla cessazione del rapporto di lavoro.
11. Per quanto non previsto dalle norme contrattuali in materia di sanzioni e procedimenti disciplinari, trovano applicazione le disposizioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165, come novellato dal X.Xxx. 27 ottobre 2009 n. 150.
N.B. Le disposizioni dell’art. 107 scritte in corsivo non sono di fonte pattizia ma derivano direttamente dall’art. 55bis del D. lgs. n. 165/2001, come introdotte dall’art. 69 del D. lgs.
n. 150/2009 e, pertanto, non derogabili dai contratti o dagli accordi collettivi regionali di lavoro secondo quanto indicato anche dall’art. 73, comma 1 della legge regionale n. 22/2010.
Art. 108
(Determinazione concordata della sanzione)
1. L’autorità disciplinare competente ed il dipendente, in via conciliativa, possono procedere alla determinazione concordata della sanzione disciplinare da applicare fuori dei casi per i quali la legge ed il contratto prevedono la sanzione del licenziamento, con o senza preavviso.
2. La sanzione concordemente determinata in esito alla procedura conciliativa di cui al comma 1 non può essere di specie diversa da quella prevista dalla legge o dal contratto collettivo per l’infrazione per la quale si procede e non è soggetta ad impugnazione.
3. L’autorità disciplinare competente o il dipendente può proporre, all’altra parte, l’attivazione della procedura conciliativa di cui al comma 1, che non ha natura obbligatoria, entro il termine dei 5 giorni successivi all’audizione del dipendente per il contradditorio a sua difesa, ai sensi dell’art. 55-bis, comma 2, del D. lgs. n. 165/2001. Dalla data della proposta sono sospesi i termini del procedimento disciplinare, di cui all’art. 55-bis del D. lgs. n. 165/2001. La proposta dell’autorità disciplinare o del dipendente e tutti gli altri atti della procedura sono comunicati all’altra parte con le modalità dell’art. 55-bis, comma 5, del D. lgs. n. 165/2001.
4. La proposta di attivazione deve contenere una sommaria prospettazione dei fatti, delle risultanze del contraddittorio e la proposta in ordine alla misura della sanzione ritenuta applicabile. La mancata formulazione della proposta entro i termini di cui al comma 3 comporta la decadenza delle parti dalla facoltà di attivare ulteriormente la procedura conciliativa.
5. La disponibilità della controparte ad accettare la procedura conciliativa deve essere comunicata entro i 5 giorni successivi al ricevimento della proposta, con le modalità dell’art. 55-bis, comma 5, del D. lgs. n. 165/2001. Nel caso di mancata accettazione entro il suddetto termine, da tale momento riprende il decorso dei termini del procedimento disciplinare, di cui all’art. 55-bis del D. lgs. n. 165/2001. La mancata accettazione comporta la decadenza delle parti dalla possibilità di attivare ulteriormente la procedura conciliativa.
6. Ove la proposta sia accettata, l’autorità disciplinare competente convoca nei 3 giorni successivi il dipendente, con l’eventuale assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell’associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato.
7. Se la procedura conciliativa ha esito positivo, l’accordo raggiunto è formalizzato in un apposito verbale sottoscritto dall’autorità disciplinare e dal dipendente e la sanzione concordata dalle parti, che non è soggetta ad impugnazione, può essere irrogata dall’autorità disciplinare competente.
8. In caso di esito negativo, questo sarà riportato in apposito verbale e la procedura conciliativa si estingue, con conseguente ripresa del decorso dei termini del procedimento disciplinare, di cui all’art. 55-bis del D. lgs. n. 165/2001.
9. In ogni caso la procedura conciliativa deve concludersi entro il termine di 30 giorni dalla contestazione e comunque prima dell’irrogazione della sanzione. La scadenza di tale termine comporta l’estinzione della procedura conciliativa eventualmente già avviata ed ancora in corso di svolgimento e la decadenza delle parti dalla facoltà di avvalersi ulteriormente della stessa.
Art. 109
(Connessione tra procedimento disciplinare e procedimento penale)
1. Il procedimento disciplinare, che abbia oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni di minore gravità di cui all’articolo 107 (Sanzioni e procedure disciplinari), comma 2, primo periodo, non è ammessa la sospensione del procedimento. Per le infrazioni di maggiore gravità, di cui all’articolo 107 (Sanzioni e procedure disciplinari), comma 2, secondo periodo, l’ufficio competente, nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all’esito dell’istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale, salva la possibilità di adottare la sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del dipendente.
2. Se il procedimento disciplinare, non sospeso, si conclude con l’irrogazione di una sanzione, e, successivamente, il procedimento penale viene definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso, l’autorità competente, ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall’irrevocabilità della pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l’atto conclusivo in relazione all’esito del giudizio penale.
3. Se il procedimento disciplinare si conclude con l’archiviazione ed il processo penale con una sentenza irrevocabile di condanna, l’autorità competente riapre il procedimento disciplinare per adeguare le determinazioni conclusive all’esito del giudizio penale. Il procedimento disciplinare è riaperto, altresì, se dalla sentenza irrevocabile di condanna risulta che il fatto addebitabile al dipendente in sede disciplinare comporta la sanzione del licenziamento, mentre ne è stata applicata una diversa.
4. Nei casi di cui ai commi 1, 2 e 3 il procedimento disciplinare è, rispettivamente, ripreso o riaperto entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza all’amministrazione di appartenenza del lavoratore ovvero dalla presentazione dell’istanza di riapertura ed è concluso entro centottanta giorni dalla ripresa o dalla riapertura. La ripresa o la riapertura avvengono mediante il rinnovo della contestazione dell’addebito da parte dell’autorità disciplinare competente ed il procedimento prosegue secondo quanto previsto nell’art. 107 (Sanzioni e procedure disciplinari). Ai fini delle determinazioni conclusive, l’autorità procedente, nel procedimento disciplinare ripreso o riaperto, applica le disposizioni dell’articolo 653, commi 1 ed 1-bis, del codice di procedura penale.
5. Ai sensi dell’art. 5, comma 4, della legge 27.03.2001 n. 97, nel caso in cui sia pronunciata sentenza penale irrevocabile di condanna, che può dar luogo a sanzione disciplinare, nei confronti del dipendente, il procedimento disciplinare deve avere inizio o, in caso di intervenuta sospensione, proseguire entro il termine di 90 giorni dalla comunicazione della sentenza all’amministrazione.
6. Ai sensi dell’art. 5, comma 4, della legge 27.03.2001 n. 97, il procedimento disciplinare deve concludersi entro 180 giorni decorrenti dal termine di inizio o di proseguimento, fermo restando quanto disposto dall’art. 653 del Codice di procedura penale.
7. Come disposto dall’art. 1 della legge 27.03.2001 n. 97, che ha modificato l’art. 653 del codice di procedura penale, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l’imputato non lo ha commesso.
8. Come disposto dall’art. 1 della legge 27.03.2001 n. 97, che ha modificato l’art. 653 del codice di procedura penale, la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento
della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.
9. In forza di quanto disposto dall’art. 2 della legge 27.03.2001 n. 97, che ha modificato l’art. 445, comma 1, secondo periodo, del codice di procedura penale, la sentenza prevista dall’art. 444, comma 2 (applicazione della pena su richiesta), del codice di procedura penale ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.
N.B. Le disposizioni dell’art. 109 scritte in corsivo non sono di fonte pattizia ma derivano direttamente dall’art. 55ter del D. lgs. n. 165/2001, come introdotte dall’art. 69 del D. lgs.
n. 150/2009 e, pertanto, non derogabili dai contratti o dagli accordi collettivi regionali di lavoro secondo quanto indicato anche dall’art. 73, comma 1 della legge regionale n. 22/2010.
Art. 110
(Trasferimento o sospensione cautelare in corso di procedimento disciplinare)
1. L’Amministrazione, laddove riscontri la necessità di espletare accertamenti su fatti addebitati al dipendente a titolo di infrazione disciplinare punibili con la sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione, può disporre, nel corso del procedimento disciplinare, il trasferimento ad altro ufficio o l’allontanamento dal lavoro per un periodo non superiore a trenta giorni, con conservazione della retribuzione.
2. Quando il procedimento disciplinare si conclude con la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, il periodo dell’allontanamento cautelativo deve essere computato nella sanzione, ferma restando la privazione della retribuzione limitata agli effettivi giorni di sospensione irrogati.
3. Il periodo trascorso in allontanamento cautelativo, escluso quello computato come sospensione dal servizio, è valutabile agli effetti dell’anzianità di servizio.
4. L’Amministrazione, laddove riscontri la necessità di espletare accertamenti su fatti addebitati al dipendente a titolo di infrazione disciplinare punibili con la sanzione del licenziamento con o senza preavviso, può disporre, anche prima che sia esaurito o iniziato il procedimento disciplinare, il trasferimento ad altro ufficio o l’allontanamento dal lavoro a tempo indeterminato.
5. Al dipendente sospeso dal servizio ai sensi del comma precedente sono corrisposti un’indennità pari al 50% della retribuzione fissa mensile e gli assegni del nucleo familiare, con esclusione di ogni compenso accessorio, comunque denominato, anche se pensionabile.
6. La sospensione disposta prima dell’inizio del procedimento disciplinare è revocata e il dipendente ha diritto alla riammissione in servizio ed alla corresponsione della retribuzione non percepita, se la contestazione degli addebiti, ai sensi del comma 4 dell’art. 107 (Sanzioni e procedure disciplinari), non ha luogo entro 20 giorni dalla data in cui è stato comunicato al dipendente il provvedimento di sospensione.
Art. 111
(Sospensione cautelare in caso di procedimento penale [obbligatoria])
1. Il dipendente che sia colpito da misura restrittiva della libertà personale è sospeso d’ufficio dal servizio con privazione della retribuzione per la durata dello stato di detenzione o comunque dello stato restrittivo della libertà.
2. Resta fermo per tutti gli enti del comparto l’obbligo di sospensione del lavoratore in presenza dei casi già previsti dagli artt. 58, comma 1, lett. a), b), limitatamente all’art. 316 del codice penale, lett. c), d) ed e), e 59, comma 1, lett. a), limitatamente ai delitti già indicati nell’art. 58 comma 1, lett. a) e all’art. 316 del codice penale, lett. b) e c) del D.Lgs.n. 267 del 2000.
3. Nel caso dei delitti previsti all’art. 3, comma 1, della legge n. 97 del 2001, trova applicazione la disciplina ivi stabilita. Per i medesimi delitti, qualora intervenga condanna anche non definitiva, ancorché sia concessa la sospensione condizionale della pena, trova applicazione l’art. 4, comma 1, della citata legge n. 97 del 2001.
4. Nei casi indicati ai commi precedenti si applica quanto previsto dall’art. 109 in tema di rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale.
5. Al dipendente sospeso dal servizio ai sensi del presente articolo sono corrisposti un’indennità pari al 50% della retribuzione base mensile di cui all’art. 127 (Nozione di retribuzione), comma 2, lett. b), la retribuzione individuale di anzianità ove acquisita e gli assegni del nucleo familiare, con esclusione di ogni compenso accessorio, comunque denominato.
6. Nel caso di sentenza definitiva di assoluzione o di proscioglimento, pronunciata con la formula “il fatto non sussiste”, “non costituisce illecito penale” o “l’imputato non lo ha commesso”, quanto corrisposto, durante il periodo di sospensione cautelare, a titolo di assegno alimentare verrà conguagliato con quanto dovuto al lavoratore se fosse rimasto in servizio, escluse le indennità o compensi comunque collegati alla presenza in servizio, agli incarichi ovvero a prestazioni di carattere straordinario. Ove il procedimento disciplinare riprenda per altre infrazioni il conguaglio dovrà tener conto delle sanzioni eventualmente applicate.
7. In tutti gli altri casi di riattivazione del procedimento disciplinare a seguito di condanna penale, ove questo si concluda con una sanzione diversa dal licenziamento, al dipendente precedentemente sospeso viene conguagliato quanto dovuto se fosse stato in servizio, escluse le indennità o compensi comunque collegati alla presenza in servizio, agli incarichi ovvero a prestazioni di carattere straordinario; dal conguaglio sono esclusi i periodi di sospensione del comma 1 e quelli eventualmente inflitti a seguito del giudizio disciplinare riattivato a seguito della condanna penale.
8. Quando vi sia stata sospensione cautelare dal servizio a causa di procedimento penale, la stessa conserva efficacia, se non revocata, per un periodo di tempo comunque non superiore a cinque anni. Decorso tale termine, la sospensione cautelare dal servizio, dipendente dal procedimento penale, è revocata ed il dipendente è riammesso in servizio, salvo casi in cui, per reati che comportano l’applicazione delle sanzioni previste ai commi 7 ed 8 dell’art. 106 (Codice disciplinare), l’ente ritenga che la permanenza in servizio del dipendente provochi un pregiudizio alla credibilità dello stesso a causa del discredito che da tale permanenza potrebbe derivargli da parte dei cittadini e/o, comunque, per ragioni di opportunità e operatività dell’ente stesso. In tal caso, può essere disposta, per i suddetti motivi, la sospensione dal servizio, che sarà sottoposta a revisione con cadenza biennale. Il procedimento disciplinare rimane, comunque, sospeso sino all’esito del procedimento penale.
9. Qualora la sentenza definitiva di condanna preveda anche la pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici, l’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari dell’ente sospende il lavoratore per la durata della stessa.
Art. 112
(Sospensione cautelare in caso di procedimento penale [facoltativa])
1. Il dipendente, fatti salvi i casi di cui all’articolo precedente, può essere sospeso dal servizio con privazione della retribuzione anche nel caso in cui venga sottoposto a procedimento penale che non comporti la restrizione della libertà personale quando sia stato rinviato a giudizio per fatti direttamente attinenti al rapporto di lavoro o comunque tali da comportare, se accertati, l’applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento con o senza preavviso.
2. L’Amministrazione, cessato lo stato di restrizione della libertà personale di cui al comma 1 dell’articolo precedente, può prolungare anche successivamente il periodo di sospensione del dipendente, fino alla sentenza definitiva, alle medesime condizioni di cui al comma 1 del presente articolo.
3. Al dipendente sospeso dal servizio ai sensi del presente articolo sono corrisposti un’indennità pari al 50 per cento della retribuzione fissa mensile e, se dovuti, gli assegni del nucleo familiare, con esclusione di ogni compenso accessorio, comunque denominato, anche se pensionabile.
4. In caso di sentenza definitiva di assoluzione o proscioglimento con formula piena, quanto corrisposto nel periodo di sospensione cautelare a titolo di assegno alimentare ai sensi del comma precedente, verrà conguagliato con quanto dovuto al lavoratore se fosse rimasto in servizio.
5. Quando vi sia stata sospensione cautelare del servizio a causa di procedimento penale, la stessa conserva efficacia, se non revocata, per un periodo di tempo comunque non superiore a cinque anni. Decorso tale termine la sospensione cautelare è revocata di diritto e il dipendente riammesso in servizio. Il procedimento disciplinare rimane, comunque, sospeso sino all'esito del procedimento penale.
Art. 113
(Trasferimento a seguito di rinvio a giudizio
- articolo 3 della legge 27.03.2001 n. 97)
1. Salva l’applicazione della sospensione dal servizio in conformità a quanto previsto all’art. 112 (Sospensione cautelare in caso di procedimento penale [facoltativa]), quando nei confronti di un dipendente è disposto il giudizio per alcuni dei delitti previsti dagli artt. 314, 1° comma (peculato), 317 (concussione), 318 (corruzione per un atto d’ufficio), 319 (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio), 319-ter (corruzione in atti giudiziari) e 320 (corruzione di persona incaricata di pubblico servizio) del codice penale, l’amministrazione di appartenenza lo trasferisce ad un ufficio diverso da quello in cui prestava servizio al momento del fatto, con attribuzione di funzioni corrispondenti, per inquadramento, mansioni e prospettive di carriera, a quelle svolte in precedenza. L’amministrazione di appartenenza, in relazione alla propria organizzazione, può procedere al trasferimento di sede, o all’attribuzione di un incarico differente da quello già svolto dal dipendente, in presenza di evidenti motivi di opportunità circa la permanenza del dipendente nell’ufficio in considerazione del discredito che l’amministrazione stessa può ricevere da tale permanenza.
2. Qualora, in ragione della qualifica rivestita, ovvero per obiettivi motivi organizzativi, non sia possibile attuare il trasferimento di ufficio, il dipendente è posto in posizione di aspettativa o di disponibilità, con diritto al trattamento economico in godimento salvo che per gli emolumenti strettamente connessi alle presenze in servizio, in base alle disposizioni dell’ordinamento dell’amministrazione di appartenenza.
3. Salvo che il dipendente chieda di rimanere presso il nuovo ufficio o di continuare ad esercitare le nuove funzioni, i provvedimenti di cui ai commi 1 e 2 perdono efficacia se per il fatto è pronunciata sentenza di proscioglimento o di assoluzione anche non definitiva e, in ogni caso, decorsi cinque anni dalla loro adozione, sempre che non sia intervenuta sentenza di condanna definitiva. In caso di proscioglimento o di assoluzione anche non definitiva, l’amministrazione, sentito l’interessato, adotta i provvedimenti consequenziali nei dieci giorni successivi alla comunicazione della sentenza, anche a cura dell’interessato.
4. Nei casi previsti dal comma 3, in presenza di obiettive e motivate ragioni per le quali la riassegnazione all’ufficio originariamente coperto sia di pregiudizio alla funzionalità di quest’ultimo, l’amministrazione di appartenenza può non dare corso al rientro.
5. Il decreto che dispone il giudizio nei confronti dei dipendenti pubblici, per alcuno dei delitti contemplati nel presente articolo, viene comunicato all’amministrazione di appartenenza, ai sensi dell’articolo 133, comma 1-bis, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale.
Art. 114
(Trasferimento in caso di procedimento penale [facoltativo])
1. In alternativa a quanto previsto dall’art. 112 (Sospensione cautelare in caso di procedimento penale [facoltativa]) del contratto, l’amministrazione può trasferire il dipendente ad ufficio diverso da quello in cui prestava servizio, con attribuzione di funzioni corrispondenti, per inquadramento, mansioni e prospettive di carriera, a quelle già svolte precedentemente. L’amministrazione di appartenenza, in relazione alla propria organizzazione, può procedere al trasferimento di sede, o all’attribuzione di un incarico differente da quello già svolto dal dipendente, in presenza di evidenti motivi di opportunità circa la permanenza del dipendente nell’ufficio in considerazione del discredito che l’amministrazione stessa può ricevere da tale permanenza.
Art. 115
(Composizione delle controversie di lavoro)
1. Per la risoluzione delle controversie individuali di lavoro le parti possono alternativamente instaurare un giudizio innanzi al Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, o deferire, secondo quanto stabilito al successivo art. 118 (Procedura arbitrale), la questione ad arbitri, previo in entrambi i casi l’esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione nelle forme indicate ai successivi artt. 116 (Tentativo alternativo di conciliazione in sede sindacale) e 117 (Tentativo obbligatorio di conciliazione davanti al Collegio di conciliazione istituito presso la Direzione regionale del lavoro ai sensi dell’art. 66 del D.lgs. 30.03.2001 n. 165), ovvero ancora ricorrere alla procedura conciliativa – arbitrale di cui all’art. 119 (Conciliazione nella procedura arbitrale).
Art. 116
(Tentativo alternativo di conciliazione in sede sindacale)
1. Fatto salvo quanto previsto in materia disciplinare dall’art. 125 (Impugnazione delle sanzioni disciplinari), per tutte le controversie individuali riguardanti il rapporto di lavoro e di impiego dei dipendenti compresi nella sfera di applicazione del contratto, è possibile, in alternativa con quanto disciplinato al successivo art. 117 (Tentativo obbligatorio di conciliazione davanti al Collegio di conciliazione istituito presso la Direzione regionale del lavoro ai sensi dell’art. 66 del D.lgs. 30.03.2001 n. 165), il tentativo di conciliazione in sede sindacale, secondo le norme e le modalità di cui al presente articolo, da esperirsi davanti ad una Commissione composta da un dirigente nominato dal responsabile della struttura per la conciliazione, ove esista, o, in mancanza, dal dirigente responsabile in materia di personale e da un rappresentante dell’Organizzazione Sindacale dei lavoratori alla quale il dipendente sia iscritto o abbia conferito mandato.
2. Il lavoratore interessato alla definizione della controversia richiede il tentativo di conciliazione mediante l’Organizzazione Sindacale alla quale sia iscritta od abbia conferito mandato, che deve a sua volta denunciare la controversia al dirigente competente a mezzo di lettera raccomandata a.r. contenente gli elementi essenziali della controversia stessa.
3. Qualora il tentativo di conciliazione sia richiesto dall’Amministrazione, il dirigente competente deve dare comunicazione con lettera a.r. al dipendente interessato, invitandolo a designare entro otto giorni dalla data di ricevimento della comunicazione, l’Organizzazione Sindacale dei lavoratori che dovrà assisterlo.
4. Ricevuta la richiesta o la segnalazione, l’Amministrazione provvederà, entro i successivi dieci giorni, a convocare presso la propria sede la Commissione per esperire il tentativo di conciliazione, che dovrà comunque esaurirsi entro il termine di novanta giorni da detta richiesta o segnalazione. Trascorso inutilmente tale termine, il tentativo di conciliazione si
considera comunque espletato ai fini dell’articolo 412 bis del codice di procedura civile e dell’art. 119 (Conciliazione nella procedura arbitrale).
5. Dell’esame di ogni vertenza dovrà essere redatto verbale, che deve essere sottoscritto dalle parti interessate e dal rappresentante dell’Organizzazione Sindacale, sia nel caso di composizione della stessa sia nel caso di mancato accordo facendo risultare gli estremi della conciliazione o del mancato accordo.
6. Ai sensi dell’art. 411, 3° comma, del codice di procedura civile, se la conciliazione riesce, il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso la Direzione regionale del lavoro a cura di una delle parti o per il tramite dell’associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertatane la autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria del Tribunale di Aosta. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto.
7. Ai sensi dell’art. 412, commi 1 e 3, del codice di procedura civile, se la conciliazione non riesce, si forma processo verbale con l’indicazione delle ragioni del mancato accordo; in esso le parti possono indicare la soluzione anche parziale sulla quale concordano, precisando quando è possibile, l’ammontare del credito che spetta al lavoratore. In quest’ultimo caso il processo verbale acquista efficacia di titolo esecutivo, osservate le disposizioni di cui al comma precedente.
8. Ai sensi dell’art. 2113, ultimo comma, del codice civile, alla conciliazione prevista dal presente articolo non si applicano le disposizioni dell’art. 2113 stesso, commi 1°, 2° e 3°, del codice civile.
9. La conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione non può dare luogo a responsabilità amministrativa.
N.B. Le disposizioni dell’art. 116 scritte in corsivo non sono di fonte pattizia ma derivano direttamente dall’art. 55, comma 3 del D. lgs. n. 165/2001, come introdotte dall’art. 68 del
D. lgs. n. 150/2009 e, pertanto, non derogabili dai contratti o dagli accordi collettivi regionali di lavoro secondo quanto indicato anche dall’art. 73, comma 1 della legge regionale n. 22/2010.
Art. 117
(Tentativo obbligatorio di conciliazione davanti al Collegio di conciliazione istituito presso la Direzione regionale del lavoro ai sensi dell’articolo 66
del decreto legislativo 30.03.2001 n. 165)
1. Fatto salvo quanto previsto in materia disciplinare dall’art. 125 (Impugnazione delle sanzioni disciplinari), i dipendenti compresi nella sfera di applicazione del contratto possono esperire, in alternativa a quanto disciplinato all’art. 116 (Tentativo alternativo di conciliazione in sede sindacale), il tentativo obbligatorio di conciliazione, con le procedure di cui ai commi seguenti, dinanzi ad un collegio di conciliazione istituito presso la Direzione regionale del lavoro nella cui circoscrizione si trova l’ufficio cui il lavoratore è addetto, ovvero era addetto al momento della cessazione del rapporto. Le medesime procedure si applicano, in quanto compatibili, se il tentativo di conciliazione è promosso dalla pubblica amministrazione. Il collegio di conciliazione è composto dal direttore della Direzione regionale del lavoro o da un suo delegato, che lo presiede, da un rappresentante del lavoratore e da un rappresentante dell’amministrazione.
2. La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dal lavoratore, è consegnata alla Direzione presso il quale è istituito il Collegio di conciliazione competente o spedita mediante raccomandata a.r.. Copia della richiesta deve essere consegnata o spedita a cura dello stesso lavoratore al dirigente competente della struttura del personale dell’amministrazione di appartenenza.
3. La richiesta deve precisare:
a) l’Amministrazione di appartenenza e la sede alla quale il lavoratore è addetto;
b) il luogo dove gli devono essere fatte le comunicazioni inerenti alla procedura;
c) l’esposizione sommaria dei fatti e delle ragioni poste a fondamento della pretesa;
d) la nomina del proprio rappresentante nel collegio di conciliazione o la delega per la nomina medesima ad un’organizzazione sindacale.
4. Entro trenta giorni dal ricevimento della copia della richiesta, l’Amministrazione, qualora non accolga la pretesa del lavoratore, deposita presso la Direzione osservazioni scritte. Nello stesso
atto nomina il proprio rappresentante in seno al collegio di conciliazione. Entro i dieci giorni successivi al deposito, il Presidente fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione. Dinanzi al Collegio di conciliazione il lavoratore può farsi rappresentare o assistere anche da un’organizzazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. Per l’Amministrazione deve comparire un soggetto munito del potere di conciliare.
5. Se la conciliazione riesce, anche limitatamente ad una parte della pretesa avanzata dal lavoratore, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti del Collegio di conciliazione. Il verbale costituisce titolo esecutivo. Alla conciliazione non si applicano le disposizioni dell’art. 2113, commi 1°, 2° e 3°, del codice civile.
6. Se non si raggiunge l’accordo tra le parti, il Collegio di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se la proposta non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti.
7. Nel successivo giudizio sono acquisiti, anche d’ufficio, i verbali concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito. Il giudice valuta il comportamento tenuto dalle parti nella fase conciliativa ai fini del regolamento delle spese.
8. La conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione, in adesione alla proposta formulata dal Collegio di cui al comma 1, non può dare luogo a responsabilità amministrativa.
Art. 118
(Procedura arbitrale)
1. Se il tentativo di conciliazione di cui agli artt. 116 (Tentativo alternativo di conciliazione in sede sindacale) e 117 (Tentativo obbligatorio di conciliazione davanti al Collegio di conciliazione istituito presso la Direzione regionale del lavoro ai sensi dell’art. 66 del D.lgs. 30.03.2001 n. 165) non riesce, le parti possono concordare, in alternativa al giudizio ordinario, di deferire la risoluzione della controversia, anche tramite l’Organizzazione sindacale alla quale aderiscono o abbiano conferito mandato, ad un Collegio Arbitrale, composto da tre membri, di cui due nominati separatamente da ciascuna parte ed il terzo, Presidente del Collegio Arbitrale, nominato di comune accordo dagli arbitri ed in caso di disaccordo dal Presidente del Tribunale di Aosta.
2. Salvo diverso accordo tra le parti, il Collegio Arbitrale ha sede presso la sede dell’Amministrazione interessata.
3. La facoltà delle parti di scegliere tra il ricorso all’autorità giudiziaria o al collegio arbitrale può essere esercitata fino allo scadere del termine assegnato all’altra per nominare l’arbitro.
4. La richiesta di attivare la procedura arbitrale, sottoscritta dal lavoratore, deve essere spedita mediante raccomandata a.r. al dirigente competente della struttura del personale dell’amministrazione di appartenenza. Nel caso in cui sia l’Amministrazione a richiedere l’arbitrato la richiesta deve essere avanzata al dipendente, nella medesima forma, dal dirigente competente in materia di personale.
5. La richiesta deve contenere le generalità della parte, l’esposizione sommaria dei fatti, il riferimento al tentativo di conciliazione esperito e la formulazione dei quesiti.
6. La parte che riceve la richiesta deve, nel termine perentorio di trenta giorni dal ricevimento, dichiarare se aderisce o non aderisce all’arbitrato mediante lettera raccomandata a.r.. Trascorso inutilmente tale termine, l’arbitrato si intende rifiutato.
7. Nel caso in cui la parte interpellata aderisca all’arbitrato, l’altra deve nei successivi trenta giorni nominare l’arbitro di competenza e renderlo noto a mezzo raccomandata a.r.; nei successivi quindici giorni anche l’altra parte deve comunicare con le medesime formalità le generalità dell’arbitro nominato.
8. In mancanza di tale seconda nomina, la parte interessata può chiedere, mediante ricorso, che la nomina sia fatta dal Presidente del Tribunale di Aosta, che provvederà ai sensi dell’art. 810, 2° comma, del codice di procedura civile.
9. L’accettazione dell’incarico da parte degli arbitri deve essere data per iscritto. Nella stesso documento gli arbitri devono dichiarare espressamente di accettare gli onorari determinati nel successivo comma 16.
10. Nel corso della procedura arbitrale le parti possono farsi assistere, a proprie spese, da esperti di fiducia.
11. Il Collegio Arbitrale dovrà pronunciare il lodo entro novanta giorni dall’accettazione dell’ultimo arbitro, con possibilità di prorogare detto termine di ulteriori trenta giorni in caso di necessità
di assunzione di mezzi istruttori. Il Collegio deve darne comunicazione alle parti tramite raccomandata a.r.
12. Nel procedimento gli arbitri devono rispettare il principio del contraddittorio, consentendo alle parti di esporre i propri assunti, di conoscere le prove e le risultanze del processo ed in tempo utile le richieste di controparte, nonché di presentare, entro i termini prefissati, documenti, memorie e repliche, nonché, dopo la chiusura dell'istruttoria, di valutare gli elementi raccolti ed eventualmente controdedurre. Devono, pertanto, necessariamente disporre l’audizione delle parti, assegnare alle parti un termine per deduzione di mezzi istruttori e produzione documenti e ulteriore termine per eventuali mezzi in materia contraria, valutare l’ammissibilità dei mezzi di prova ed in caso affermativo ammetterli con ordinanza, procedere all’assunzione dei testi e all’interrogatorio formale delle parti, valutare la necessità di ammettere anche d’ufficio consulenze d’ufficio, assegnare un termine per depositare e scambiare memorie conclusive ed un ulteriore termine per repliche e disporre la discussione finale. Su tutte le questioni che si presentano nel corso del procedimento gli arbitri provvedono con ordinanza, che può essere comunicata alla parti anche tramite fax. Parimenti lo scambio degli atti tra le parti può essere effettuato tramite fax.
13. Nel giudicare gli arbitri sono tenuti all’osservanza delle norme inderogabili di legge e di contratto collettivo.
14. Il lodo è deliberato a maggioranza di voti dagli arbitri riuniti in conferenza personale e redatto per iscritto. Esso deve contenere: a) l’indicazione delle parti; b) l’indicazione dell’atto di compromesso e dei quesiti relativi; c) l’esposizione sommaria dei motivi; d) il dispositivo; e) l’indicazione della sede dell’arbitrato e de luogo e del modo in cui è stato deliberato; f) la sottoscrizione di tutti gli arbitri, con l’indicazione del giorno, mese e anno in cui è apposta. Le varie sottoscrizioni, senza necessità di ulteriore conferenza personale, possono avvenire in luoghi diversi. Il lodo è valido anche se sottoscritto dalla maggioranza degli arbitri, purché si dia atto che esso è stato deliberato in conferenza personale di tutti, con la espressa dichiarazione che l’altro non ha voluto o non ha potuto sottoscriverlo.
15. Nella pronuncia del lodo arbitrale si applica l’art. 429, 3° comma, del codice di procedura civile. Il Collegio redige il lodo in tanti originali quante sono le parti e ne dà comunicazione a ciascuna parte mediante consegna di un originale, anche con spedizione in plico raccomandato, entro il termine di cui al comma 9.
16. Gli arbitri hanno diritto al rimborso delle spese, all’indennità di trasferta negli importi e con le modalità stabilite per i dirigenti regionali dal contratto collettivo regionale vigente e all’onorario per l’opera prestata, liquidato direttamente dagli stessi in sede di lodo. Detto onorario è pari al 2 % del valore della controversia con un importo minimo di € 500,00; il 40% dell’onorario così determinato spetta al Presidente ed il restante 60% è suddiviso in parti uguali tra gli altri due componenti del Collegio arbitrale. Nel caso in cui il valore della controversia sia indeterminato esso è calcolato su quello definito nel lodo; qualora, invece, il valore sia indeterminabile, l’onorario resta fissato in € 500,00.
17. Il comportamento complessivo delle parti viene valutato dal Collegio per l’applicazione degli artt. 91, 1° comma, e 92 del codice di procedura civile;
18. Allorquando, nel presente articolo, si fa riferimento alla raccomandata a.r., trova applicazione la disciplina concernente le comunicazioni contemplata nell’art. 107 (Sanzioni e procedure disciplinari), comma 6.
Art. 119
(Conciliazione nella procedura arbitrale)
1. Le parti possono decidere di ricorrere all’arbitrato disciplinato dal contratto anche senza avere prima esperito il tentativo di conciliazione nelle forme di cui ai precedenti artt. 116 (Tentativo alternativo di conciliazione in sede sindacale) o 117 (Tentativo obbligatorio di conciliazione davanti al Collegio di conciliazione istituito presso la Direzione regionale del lavoro ai sensi dell’art. 66 del D.lgs. 30.03.2001 n. 165). In questo caso il collegio arbitrale è tenuto ad espletare un tentativo di conciliazione che sostituisce e produce gli effetti di quello disciplinato all’art. 116.
2. Una volta attivato il procedimento arbitrale a norma dell’articolo precedente, il collegio arbitrale deve fissare un’apposita udienza in cui le parti dovranno comparire personalmente – assistiti da esperti di fiducia - e in cui il collegio esperirà il tentativo di conciliazione.
3. Il tentativo di conciliazione deve esaurirsi entro il termine di 30 giorni.
4. In questo caso i termini per la pronuncia del lodo di cui al comma 11 del precedente art. 118 (Procedura arbitrale) si computano dall’esaurimento del tentativo di conciliazione.
5. Se la conciliazione riesce si applica l’art. 116, comma 6, del contratto. In questo caso gli onorari di cui al comma 16 del precedente art. 118 sono ridotti al 50%
6. Se la conciliazione non riesce si procede come disciplinato dall’art. 116, comma 7, del contratto e il collegio avvia la trattazione contenziosa nei modi e con gli effetti di cui all’art. 118.
Art. 120
(Sostituzione di arbitri)
1. Quando per qualsiasi motivo vengono a mancare tutti o alcuni degli arbitri nominati, si provvede alla loro sostituzione secondo quanto è stabilito per la nomina dall’art. 118 (Procedura arbitrale).
Art. 121
(Capacità di essere arbitro)
1. Gli arbitri possono essere sia cittadini italiani sia stranieri.
2. Non possono essere arbitri i minori, gli interdetti, gli inabilitati, i falliti e coloro che sono sottoposti a interdizione dai pubblici uffici.
Art. 122
(Ricusazione arbitri)
1. Xxxxxxxx parte può rifiutare l’arbitro che essa non ha nominato nei seguenti casi:
a) se ha interesse nel procedimento o in altro vertente su identica questione di diritto;
b) se egli stesso o il coniuge è parente o affine fino al quarto grado o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;
c) se egli stesso o il coniuge ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori;
d) se ha dato consiglio o prestato patrocinio nel procedimento o ha deposto in esso come testimone o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico;
e) se è tutore, curatore, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se inoltre è amministratore o gerente di un ente, di un’associazione anche non riconosciuta, di un comitato di una società o stabilimento che ha interesse nel procedimento;
f) se esistono gravi motivi di convenienza.
2. Il rifiuto dell’arbitro deve essere portato a conoscenza dell’altra parte tramite raccomandata a.r. entro il termine perentorio di 15 giorni dalla comunicazione della nomina o dalla sopravvenuta conoscenza della causa del rifiuto.
3. Un secondo rifiuto consecutivo comporta la rinuncia all’arbitrato, ferma restando la possibilità di adire l’autorità giudiziaria.
Art. 123
(Questioni pregiudiziali)
1. Qualora gli arbitri ritengano che la definizione della controversia dipenda dalla risoluzione in via pregiudiziale concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione della clausola di un contratto o accordo collettivo, ne informano le parti e sospendono il procedimento.
2. Ove le parti non dichiarino per iscritto ed entro 15 giorni l’intenzione di rimettere la questione al collegio arbitrale e di accettarne la decisione in via definitiva, il procedimento si estingue.
3. L’estinzione del procedimento è immediatamente comunicata dal collegio arbitrale alle parti.
Art. 124
(Impugnazione ed esecutività del lodo arbitrale)
1. Ai sensi dell’art. 412 quater del codice di procedura civile, sulle controversie aventi ad oggetto la validità del lodo arbitrale decide in unico grado il Tribunale, in funzione del giudice del lavoro, di Aosta. Il ricorso è depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo.
2. Trascorso tale termine, o se le parti hanno comunque dichiarato per iscritto di accettare la decisione arbitrale, ovvero se il ricorso è stato respinto dal Tribunale, il lodo è depositato nella cancelleria del Tribunale di Aosta. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto.
Art. 125
(Impugnazione delle sanzioni disciplinari)
1. L’impugnazione dei provvedimenti disciplinari, per licenziamenti con o senza preavviso, secondo quanto disposto dall’art. 55, comma 3 del D. lgs. n. 165/2001 come novellato dall’art. 68 del D. lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, è materia riservata alla legge, mentre per quanto concerne i tentativi facoltativi di conciliazione per i restanti provvedimenti disciplinari e per tutte le altre controversie di lavoro, si fa riferimento, per la relativa procedura, a quanto disposto dagli articoli 116 (Tentativo alternativo di conciliazione in sede sindacale) e 117 (Tentativo obbligatorio di conciliazione davanti al Collegio di conciliazione istituito presso la Direzione regionale del lavoro ai sensi dell’art. 66 del D.lgs. 30.03.2001 n. 165), fermo restando che la sanzione disciplinare del licenziamento, con o senza preavviso, non può formare oggetto di conciliazione e che l’esito delle procedure conciliative relative a procedimenti disciplinari non è impugnabile e non può consistere in una sanzione di tipologia diversa da quella prevista per l’infrazione per cui si procede.