L'emergenza abitativa
RAPPORTO SULLA CONDIZIONE ABITATIVA DEGLI IMMIGRATI IN ITALIA
L'emergenza abitativa
Per le fasce deboli della popolazione il problema della casa in Italia è divenuto ancora più drammatico dopo la liberalizzazione degli affitti favorita dalla legge 431/98.
Lievitano senza freni i canoni, invece di affiorare in superficie il "sommerso" sprofonda negli "abissi"(quasi il 70% dei contratti in vigore è completamente o parzialmente in "nero"), l'offerta di case in affitto regolare si contrae (secondo il SUNIA nel 1999 i contratti registrati sarebbero diminuiti del 5% rispetto all'anno precedente, con utilizzazione del canone "concordato", o "calmierato", ben al di sotto del 30%) e di edilizia residenziale pubblica non si parla quasi più, che anzi grande impegno viene profuso nella svendita del patrimonio immobiliare degli enti. Mentre la politica del sussidio non riesce a limitare l'esclusione costringendo gli ultimi inquilini rimasti ad esibire la "tessera di povero".
I dati del centro studi NOMISMA confermano per il 2000 una forte lievitazione degli affitti rispetto al 1999, nella misura tra il 10 e il 20%. Tanto che un appartamento di 100 mq nel centro storico di Roma è arrivato a 3.300.000 mensili(+ 13,7%) mentre la stessa metratura in estrema periferia costa
1.300.000 mensili(+ 11%).
Con tale emergenza caratterizzata da scarsità di abitazioni in affitto economico, da poca edilizia sociale(appena il 5% del totale patrimonio abitativo) e poco razionalmente organizzata e da insufficienti interventi alternativi mirati alle fasce deboli, deve misurarsi il flusso degli immigrati che investe l'Italia in maniera sempre più massiccia (secondo le ultime stime ne sarebbero presenti circa
1.490.000 pari al 2,5% della popolazione) e che è caratterizzato da una varietà di etnie non riscontrabile in altri paesi europei, dal momento che è l'unico caso al mondo in cui le prime cinque comunità straniere immigrate (Marocco, Albania, Filippine, ex Jugoslavia, Romania) totalizzano appena il 30% della presenza totale.
In fatto di immigrazione soprattutto a livello europeo ci si sta rendendo conto della potenziale insensatezza della politica di chiusura finora seguita (ideologia dell'invasione) che ha privilegiato l'adozione di provvedimenti di contenimento anziché la programmazione ed il coordinamento di interventi destinati all'assistenza ed alla integrazione.
La svolta di Marsiglia
Nell'attuale contesto mondiale, è del resto giocoforza abituarsi all'idea dell'ineluttabilità delle migrazioni delle popolazioni dei paesi poveri (quasi 5 miliardi di persone) verso i paesi ricchi (con soli 850 milioni di abitanti): il fenomeno è determinato in larga misura dall'erosione delle popolazioni delle campagne e dal formarsi di quelle enormi trappole mortali costituite dagli agglomerati urbani dai quali, per sopravvivere, si può soltanto scappare. Pur non essendo un'alternativa allo sviluppo, le migrazioni costituiscono una valvola di sfogo che non si può sopprimere ma solo cercare di regolamentare.
Ed ecco che a Marsiglia nel luglio 2000 si è avuta una svolta: su iniziativa francese, i ministri degli Interni e della Giustizia Europei hanno infatti varato una serie di provvedimenti per favorire, anziché arginare, l'immigrazione regolare e rimuovere gli ostacoli ad una piena integrazione degli immigrati. Alla svolta ha contribuito certamente la ripresa economica (gli imprenditori dei vari paesi tra cui l'Italia chiedono mano d'opera flessibile e a poco prezzo per far fronte alle nuove commesse). Certo, vi è sempre l'allarme "criminalità", ma il discorso verso l'immigrazione si va facendo più variegato e più razionale: il 13 luglio, in un'intervista al Corriere il ministro dell'Industria X. Xxxxx afferma che "l'immigrazione può essere una vera ricchezza per il paese e che il Governo sta valutando l'opportunità di aumentare le quote d'ingresso dei lavoratori extracomunitari in Italia". Ma al di là degli aspetti produttivi si guarda da più parti all'immigrazione anche come a un antidoto per frenare il pericoloso invecchiamento della nostra popolazione.
Specie alla luce della nuova ideologia dell' "accoglienza"(anche Xxxxx ha annunciato l'apertura delle frontiere a 100.000 lavoratori immigrati annui) che fa prevedere per il futuro l'allargamento dei flussi di immigrazione regolare, con conseguente incremento del popolo degli immigrati (si calcola che nel 2010 il numero degli stranieri presenti in Italia potrebbe raggiungere i tre milioni pari al 5% della popolazione) non sembra più rinviabile il problema di assicurare, senza tralasciare misure specifiche di intervento, un alloggio dignitoso e civile a chi produce e contribuisce all'arricchimento anche culturale del nostro paese.
Dal "Primo Rapporto della Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati" risulta che circa il 60% degli stranieri in Italia sarebbe già riuscito a trovare un alloggio(1) inserendosi nei normali canali dell'affitto e anche, per una piccola quota, dell'acquisto. Il che, oltre ad avere del "miracoloso", indica, secondo la Commissione, la capacità da parte di molti immigrati di risolvere il problema con le proprie risorse, ma può anche significare la carenza delle politiche abitative in quanto gli immigrati sarebbero lasciati a se stessi di fronte alle difficoltà che incontrano sul mercato. Occorre peraltro aggiungere come coloro che hanno trovato una soluzione abitativa relativamente stabile possano presumibilmente identificarsi con la fascia di immigrati stabilmente residente in Italia da almeno cinque anni (circa 500.000 nel 1998). E' del resto evidente che non tutti gli immigrati sono "poveri". Alcuni sono commercianti, altri calciatori di grido, per i quali il problema abitativo è del tutto marginale.
(1) secondo la maggior parte delle associazioni di immigrati interpellate sul punto, circa il 30% sarebbe riuscito a trovare un normale alloggio, un altro 30% abiterebbe in condizioni di precarietà e sovraffollamento, il restante 40% sarebbe praticamente "disperso" in mille rivoli senza fissa dimora.
La fascia degli esclusi
Pur prendendo atto del dato "tranquillizzante" fornito dalla Commissione per le politiche di integrazione, andrebbe pur sempre verificato in quale misura le soluzioni abitative già adottate presentino fenomeni di degrado e di sovraffollamento come denunciato dalle associazioni. E' comunque certo che gli esclusi dal mercato sono tanti: per più di 600.000 immigrati (tenendo conto anche degli irregolari e dei nuovi flussi annuali) e soprattutto per quelli che vivono nei grossi agglomerati urbani di Milano, Roma, Torino, Napoli, la situazione abitativa risulta disperata, e tale da poter avere a breve termine gravi ripercussioni sull'ordine pubblico.
Sistemazioni abitative precarie con gradi di disagio improbabili per abitanti italiani, riguardano facilmente anche immigrati che hanno lavoro e reddito. Secondo la Cooperativa DAR di Genova, che opera proprio per assicurare il diritto alla casa, "anche gli immigrati in grado di pagare un ragionevole corrispettivo, non trovano sul mercato offerte se non a prezzi assolutamente proibitivi e troppo spesso in condizioni indegne." Si arriva al punto che gli immigrati neo-assunti nelle fabbriche del Nord, sempre più avide di mano d'opera a buon mercato, pur di conservare il posto di lavoro senza allontanarsi troppo dall'area industriale, con il primo salario pagano la prima rata di un'auto usata per dormirci la notte. Mentre nella capitale del Giubileo tutti sanno che i lavoratori extracomunitari, almeno come provvisoria sistemazione, non disdegnano di dormire sotto i ponti del Tevere (Garibaldi, Cavour, Xxxxx, Industria, Testaccio, Duca d'Aosta) che funzionano anche come punti di aggregazione specifici per le varie etnie. Sempre a Roma è cronaca di ieri l'accampamento di un centinaio di fuorusciti curdi (uomini, donne e bambini) sul Colle Oppio, in un enorme tappeto di moquette a due passi dalla Domus Aurea. Ancora nella capitale il 13 settembre di quest'anno, un blitz della Polizia nel quadro della serie di perquisizioni di tipo etnico disposte non si sa in base a quale "mandato" nel quartiere Esquilino, viene scoperto un appartamento affittato da proprietario italiano per svariati milioni a trenta cinesi accatastati in due stanze.
Nel Nord Italia, dove è meno problematica la ricerca di un lavoro, è invece veramente difficile trovare casa. E ciò in passato ha dato luogo a vistose forme di protesta. Ad esempio, il 12 novembre 1998 un centinaio di extracomunitari occupano la basilica di X. Xxxxxxxx di Bologna per rivendicare il loro diritto alla casa.
Nonostante le proteste e le denuncie, nessun serio provvedimento viene adottato in favore degli
immigrati senza casa e la situazione permane grave in tutto il Nord : il 15 settembre 2000 a Verona un incendio notturno si sviluppa in uno scantinato di un edificio pericolante dove dormono una ventina di extracomunitari, un giovane polacco muore.
Ed anche nella prosperosa Parma il disagio abitativo degli immigrati ha ricreato le baraccopoli (il Sud del Nord): " tra eleganti palazzi e parchi, non si vedono, annidate sotto i piloni delle tangenziali, miniaturizzate nei caselli abbandonati della ferrovia e nelle case coloniche pericolanti delle campagne. Di giorno gli abitanti si dileguano, ognuno a compiere il proprio lavoro vendendo fiori o accendini.
Sopra le campate di cemento rumore di camion e automobili in corsa, tonfi sordi che animano ossessivamente il silenzio…
Vicino al torrente Baganza, dove un casotto nasconde i resti di due letti a castello, nell'inverno del 1998 un algerino di 35 anni morì assiderato, aveva un regolare permesso di soggiorno, ma non trovava un'abitazione."(da "Il Manifesto" 22/7/2000/Xxxxx Xxxxxxxxxx).
E secondo gli industriali del Nord-Est lo slancio del nuovo "miracolo economico" rischia di essere rallentato proprio dalla totale carenza di case per le migliaia di extracomunitari da assumere.
Oltre che con le difficoltà comuni agli altri cittadini italiani che cercano una casa in affitto, gli immigrati si trovano a dover fare i conti con alcune particolari "discriminazioni":
1) i proprietari di case non affittano a stranieri (specie se di colore o albanesi) senza adeguate garanzie,
2) se affittano a stranieri pretendono un costo aggiuntivo e in molti casi, per i regolari, anche la stipula di una fideiussione bancaria;
3) se affittano a stranieri, specie nelle grandi città, l'affitto è in genere transitorio e si paga a persona anziché a mq.;
4) anche le agenzie immobiliari approfittano della situazione chiedendo spesso somme rilevanti (fino a 250.000 lire) a titolo di mediazione per la ricerca di un appartamento che mai si materializzerà e negando il risarcimento, anche parziale, della somma ricevuta.
La discriminazione, la differenza passa dunque anche per le case, che possono assumere un colore diverso a seconda dei loro inquilini.
Ed agli extracomunitari di colore la maggior parte dei proprietari preferisce non dare la propria casa e tenerla sfitta.
Un regime speciale
L'emergenza-casa per gli immigrati diventa più acuta nelle grandi città. E nelle grandi città l'Osservatorio dell'Ares 2000 ha potuto stimare con una certa approssimazione i prezzi medi delle case offerte agli stranieri.
L'analisi ha tenuto conto dei livelli medi dei canoni "concordati" stabiliti per ogni città dalle parti sociali in applicazione della legge 431, dei livelli dei canoni liberi (con le differenziazioni già accertate in precedenti ricerche), dell'indagine Istat sui consumi delle famiglie, delle indicazioni delle associazioni degli immigrati, nonché di alcune agenzie immobiliari.
E' certamente grave, ma non può essere smentito: il passaparola fra proprietari ha creato ormai delle regole non scritte, degli accordi taciti (potremo anche chiamarlo un cartello) che ha delineato un canone "speciale" per immigrati., canone che si colloca oltre il livello del canone libero, provocando automaticamente l'espulsione dei più deboli dal mercato.
Dalla tabella 1 risulta che gli affitti più cari per gli immigrati riguardano Roma, mentre Napoli ha superato nel caro-casa Milano.
In pratica, per fare un esempio, un immigrato residente a Roma che volesse affittare per sé e per la sua famiglia un piccolo appartamento di 60 mq in una zona intermedia, situata tra centro e periferia, dovrà pagare una somma mensile non inferiore a lire 1.020.000; se fosse cittadino italiano ne basterebbero 600.000 (canone concordato).
Un immigrato a Milano dovrà invece pagare lire 780.000 (anziché lire 390.000 in quanto italiano).
Secondo la proiezione in tabella il canone "speciale" medio per gli immigrati si assesta a seconda delle città sul 60-70% in più rispetto al canone medio concordato e sul 25% in più rispetto al canone medio libero, tenendo altresì conto che si tratta nell'80% dei casi di contratti in nero (favoriti dal bisogno urgente di casa da parte degli immigrati e dalla loro ignoranza sulla normativa degli affitti).
A detta di alcuni rappresentanti degli immigrati, in particolare dell'Associazione Dhuumcatu (nata per tutelare i diritti di migliaia di immigrati del Bangladesh e di altri paesi orientali) le cifre Ares (che, si ricorda, si riferiscono a canoni "medi") sarebbero sottostimate in quanto in città come Roma, Firenze o Milano, sarebbe ben difficile trovare, anche in periferia, un appartamento per stranieri a meno di 1 milione al mese.
Naturalmente alla spesa del solo canone vanno aggiunte le altre spese necessarie per l'abitazione e cioè per le utenze (energia elettrica, gas, acqua, condominio, ecc.) nonché per la manutenzione ordinaria e straordinaria., complessivamente una spesa aggiuntiva al canone di circa 300.000 mensili.
A questo punto l'onere appare difficilmente sopportabile da un immigrato con un reddito non superiore alle lire 1.300.000. La spesa media per l'abitazione secondo l'indagine Istat sui consumi per le famiglie è del 23%. Nel caso delle famiglie degli immigrati raggiungerebbe il 90% in quanto la famiglia non avrebbe più margini di reddito per gli altri consumi vitali. La conseguenza più logica è l'espulsione dell'immigrato dal mercato, con ricerca di soluzioni estremamente precarie ed al limite della povertà.
Vi è da aggiungere che secondo l'interpretazione di alcune Regioni, anche ammettendo che l'immigrato riesca a stipulare un contratto concordato, non avrebbe comunque possibilità di accedere ai contributi del Fondo di sostegno all'affitto destinato alle famiglie più bisognose, contributi che sarebbero riservati, in mancanza di una previsione specifica contraria, soltanto ai cittadini italiani.
Abitazioni sotto standard
Ma il "regime speciale" non riguarda soltanto il livello del canone, riguarda anche l'oggetto del
contratto e cioè il tipo di abitazione.
Approfittando della disponibilità degli immigrati e della loro necessità di gestire spesso situazioni di irregolarità, è stato attivato un mercato specifico con diffuso ricorso ad abitazioni sotto standard, ad un patrimonio fuori mercato di edifici sotto i limiti di abitabilità già considerati irrecuperabili alle esigenze della popolazione locale.
Queste particolarità del mercato dell'affitto, ora in alternativa ora in aggravio rispetto all'altra discriminazione sul livello del canone, sono state segnalate praticamente ovunque: in Veneto, a Bergamo, a Palermo, nel Salento, in Toscana.
Dieci metri quadrati per ogni immigrato
Circa 600.000 immigrati in Italia, quasi la popolazione di una città come Genova, sono in costante ricerca di un alloggio. Nel frattempo sono costretti a dormire sotto i ponti, in macchina, in carrozze ferroviarie abbandonate, in baracche, in centri di prima accoglienza, in dormitori pubblici, in centri di detenzione "amministrativa", in carcere (spesso considerato un estremo rifugio), in magazzini fatiscenti a trecentomila lire mensili insieme ad altre decine di sfortunati, in centri sociali, in case occupate, in edifici pericolanti oppure, i più fortunati, trovano ospitalità presso altre famiglie di immigrati. Per cercare di soddisfare od alleviare questa fame di case gli interventi pubblici sono scarsi e disorganici, e ci si affida quasi esclusivamente alle associazioni di volontariato.
Regione per regione abbiamo cercato di valutare in linea di larga approssimazione, e tenendo conto che la domanda è molto differenziata (vi è richiesta di case in affitto per lunghi periodi, ma anche di alloggi collettivi, di centri di accoglienza, di alloggi provvisori) il numero delle abitazioni -di edilizia sociale a prezzo politico- sufficiente a risolvere almeno temporaneamente il problema di alloggio dei lavoratori immigrati.
Reperire tali abitazioni è estremamente urgente e le autorità preposte dovranno decidere se intervenire sul mercato attuale con una politica limitata al sostegno dei gruppi più deboli ed al loro inserimento nei centri storici e nei nuclei periferici di residenza pubblica, oppure tornare ad una politica più decisa, quella del mattone, e cioè con un piano straordinario per una nuova edilizia sociale per gli immigrati che tenga conto delle singole etnie e delle loro esigenze specifiche nel quadro di una valorizzazione ambientale, piano di cui ha recentemente parlato il presidente dell'ANCE Xxxxxxx Xx Xxxxxxxx.
In ordine a quest'ultima proposta che comporterebbe nuovi insediamenti in città già sovraffollate hanno espresso riserve le forze politiche ecologiste. Positiva è stata invece la reazione del Ministro dei Lavori Pubblici Xxxxx Xxxx secondo cui " ci siamo abituati a ragionare sul fatto che il 75% della popolazione italiana è rappresentata da proprietari di casa, e abbiamo costruito un muro di indifferenza nei confronti del restante 25% che non la possiede. E' doveroso pensare a una casa per le classi più povere".
Va anche rilevato come in Italia non si possa continuare a parlare dei problemi degli immigrati solo in termini di "ordine pubblico", ma se è necessario continuare a parlare di "ordine", allora va precisato con forza che il lasciare 600.000 persone con scarsi mezzi di sussistenza e senza casa non sembra il modo migliore per prevenire la "micro-criminalità"
La tabella 2, che non comprende gli immigrati senza permesso di soggiorno, è puramente indicativa, e partendo da una percentuale nazionale di senza casa stimabile intorno al 40% del totale evidenzia percentuali più basse in alcune regioni dove la situazione generale abitativa è meno drammatica.
Ad esempio nelle Marche, da una indagine più vasta che l'Ares sta portando avanti sulla condizione lavorativa degli immigrati e sulla loro integrazione, che comprende logicamente anche la condizione abitativa, emergono dati meno drammatici soprattutto riguardanti immigrati che lavorano ormai da diversi anni in aziende (per lo più fabbriche di scarpe) situate in provincia di Ascoli, Macerata e Ancona,
" Le scarpe e la casa "
In sintesi da tale indagine risulta che la maggior parte (32%) dei lavoratori immigrati presenti nelle Marche è di origine marocchina, seguiti dai nigeriani(12%) e dagli albanesi(8%); che l'80% possiede il permesso di soggiorno; che il 36% è iscritto a un sindacato; che il 28% coabita con altri extracomunitari; che più dell'80% abita in una casa in affitto ; che infine il pagamento dell'affitto costituisce l'urgenza più pressante per più del 40% degli immigrati.
D'altra parte in alcune zone della Sicilia (ad esempio Mazara del Vallo) gli immigrati tunisini appaiono perfettamente integrati in quartieri con caratteristiche anche architettoniche dei paesi arabi, e hanno quindi scarsi problemi di alloggio.
Al contrario si può intuire che nelle regioni con città tipo Milano o Roma, dove la giungla degli affitti rende estremamente difficile l'inserimento abitativo, il "40% di senza casa" potrebbe considerarsi sottostimato.
Vi è quindi la necessità di assicurare agli immigrati con permesso di soggiorno ma senza casa un minimo di 370.000 posti letto e un numero di alloggi non inferiore a complessivi 4 milioni di mq.(calcolando per ciascun immigrato uno spazio vitale di 10 mq). Con un costo calcolabile in circa
8.000 miliardi, che creerebbe peraltro un patrimonio pubblico produttivo e troverebbe comunque copertura nel bilancio , specie dopo gli annunci del governo sullo "sfondamento" delle entrate fiscali previsto per il 2001( 12 mila miliardi di eccedenza delle entrate per imposte ordinarie e 50.000 miliardi per le licenze sui telefonini di nuova generazione).
Da rilevare che sul totale di immigrati con permesso di soggiorno al 31.12.98, 549.224 sono maschi e
484.011 femmine. Il 46,8% sono coniugati, mentre risultano iscritte all'anagrafe il 27,4 di famiglie con minori a carico.
Le statistiche recentemente diffuse dall'Istat (1999) indicano una crescita molto significativa delle nascite di bambini stranieri (da genitori entrambi stranieri). Le iscrizioni anagrafiche all'inizio 1999 hanno raggiunto la ragguardevole cifra di circa 187.000 unità, poco meno del doppio rispetto al 1996. Poiché i due terzi di questi bambini sono nati in Italia, l'Istat non li considera tra gli immigrati, pur facendo essi parte integrante dei nuclei familiari degli immigrati.
Il rapporto di esposizione all'irregolarità, pur essendo diminuito rispetto agli anni precedenti, è complessivamente stimato nell'ordine di 30-35 irregolari per ogni cento regolari.
Raggiunge livelli massimi tra albanesi, marocchini, rumeni, polacchi, ma presenta valori superiori alla media anche per quanto riguarda i brasiliani, i tunisini, i cinesi e i peruviani.
Per gli irregolari risulta certamente più difficile rispetto ai regolari la ricerca di una casa; per cui si è calcolata una percentuale di senza casa di circa il 45% del totale degli irregolari (anziché del 40% come stimato per i regolari).
La tabella n.5 trova una corrispondenza con le stime effettuate dal Censis in ordine alla domanda marginale di case in affitto nelle province italiane. Secondo tali stime, seppure effettuate per il 1993, gli immigrati rappresentavano quasi il 70% della domanda marginale in provincia di Roma, il 54,6 a Milano, il 51% a Firenze, il 27% a Napoli.
Questi dati, che evidenziano il carattere prevalentemente urbano-metropolitano della presenza di immigrati nel nostro paese, fanno riflettere sulla difficoltà di trattare aggregativamente la problematica della questione abitativa degli immigrati nel nostro paese.
Il problema abitativo interessa in misura maggiore gli immigrati di confessione islamica sia per la maggiore incidenza come numero complessivo di immigrati che per le caratteristiche familiari.
La "prova di alloggio"
Secondo la normativa sulla sanatoria per gli immigrati presenti in Italia prima del 27 marzo 1998, una delle condizioni essenziali per poter ottenere la regolarizzazione è la prova di poter disporre di un alloggio. Ora, poiché la situazione di irregolare non permette al proprietario che affitta un appartamento all'immigrato di dichiararlo ufficialmente, non resta che dichiarare di essere ospiti di altri stranieri(regolari) con i quali si coabita. Ma un alloggio occupato da più di due persone a stanza è irregolare e non è considerato idoneo al fine di ottenere la sanatoria. Ed ecco che si crea un mercato irregolare in cui gli immigrati che intendono ottenere la regolarizzazione sono costretti a versare dalle 200.000 lire ad un milione per ottenere una "prova di alloggio".
Su tali abusi verificatisi ad opera di proprietari e di funzionari l'associazione Duumcatu ha già inoltrato diversi esposti alla Procura della Repubblica del Tribunale di Roma, con conseguente apertura di procedimenti anche a carico di alcuni ispettori di polizia.
"Avevo un sogno quando sono arrivato in Italia - ci dice Xxxxxxxx Xxxx Xxxx fondatore dell'associazione - credevo che qui venissero realmente rispettati i diritti al lavoro, alla casa, alla salute, purtroppo è rimasto un sogno".
Una microcittà per ogni etnia?
Rileva sottolineare che gli immigrati appartenenti alle comunità africane (Marocco, Senegal, Tunisia) per il 53-58% e filippine per il 43% risultano presenti in Italia da più di 5 anni, mentre i rumeni (per l'81%), gli albanesi (per il 70%) i polacchi (per il 65%) gli ex-jugoslavi (64%), i peruviani (per il 63%) risultano presenti in Italia da meno di 5 anni.
Per quanto riguarda i minori a carico, la proporzione è relativamente bassa per le componenti rumena e senegalese (la prima di immigrazione recente e di età relativamente giovane, la seconda caratterizzata da progetti migratori che contemplano raramente il ricongiungimento familiare), e assume valori intermedi in quella marocchina.
Vi è invece una proporzione elevata di soggiornanti con minori fra i cinesi e gli ex-jugoslavi (rispettivamente 14,9 e 15,5%). Ciò che stupisce è la quota modesta di minori a carico fra i filippini (5,7%). Forse spiegabile con il fatto che trattasi di una comunità con predominanza femminile inserita nei servizi alla famiglia italiana. Per le donne filippine risulta complesso svolgere i ruoli di madre e di lavoratrice, ruoli che invece non sembrano incompatibili fra le donne cinesi lavoratrici- casalinghe.
Un elemento rilevante al fine di programmare interventi abitativi è il fattore "mobilità". A questo proposito è stata accertata una bassa mobilità nelle comunità del Marocco e delle Filippine, mentre un'alta mobilità è stata riscontrata per gli immigrati della ex Jugoslavia, dell'Albania e dell'Est europeo.
Occorre inoltre tener conto delle specificità delle varie Regioni. Mentre ad esempio nel Lazio prevalgono i gruppi delle Filippine (26.933) e della Polonia (12.867), in Lombardia prevalgono i gruppi del Marocco( 30.952 ), dell'Egitto ( 15.797 ) e dell'Albania (14.002). Anche In Piemonte sono più numerosi i gruppi del Marocco (21.738) e dell'Albania (8.672) mentre in Sicilia, come è noto, i più numerosi sono sempre i tunisini ( 11.978).
Secondo una recente indagine della CISL gli extra-comunitari neo assunti nel periodo 1999-2000 (i dati forniti dal Min. del Lavoro in tabella riguardano il 1998) sarebbero 200.500 unità pari al 24,5% del totale. Le nuove assunzioni sarebbero concentrate nelle piccole imprese del settore delle costruzioni (42.000 lavoratori stranieri) e nei servizi (87.000 pari al 20% del totale degli assunti), in particolare servizi di pulizia(20.000 assunzioni). Mettendo a confronto questi dati con quelli della tabella 8 e della tabella successiva relativa ai dati ufficiali INPS sugli immigrati dipendenti da imprese, si deve ritenere che la maggior parte delle nuove assunzioni abbia un carattere temporaneo e precario.
I dati relativi all'occupazione "ufficiale" nel sistema delle imprese rimangono molto al di sotto del numero effettivo di immigrati regolarmente residenti in Italia per motivi di lavoro (circa 550.000 secondo la fonte del Ministero dell'Interno).
"Non è dato sapere quanti abbiano trovato un'occupazione senza essere registrati come stranieri, e quanti si siano inseriti nel settore domestico, in quello agricolo, nel lavoro autonomo. Resta il dubbio che una parte cospicua dei regolarizzati sia rifluita, per scelta o per necessità, nel mercato parallelo dell'occupazione irregolare" (dal "Quinto Rapporto sulle migrazioni 1999" dell'ISMU).
Secondo il dossier immigrazione 1999 della Caritas, i lavoratori domestici extracomunitari avrebbero superato in Italia le 100.000 unità e sarebbero in prevalenza asiatici. Un dato interessante è quello dell'incidenza degli uomini nel lavoro domestico: gli uomini sfiorano la metà (45%) dell'intera categoria delle Colf.
Sempre secondo il dossier Caritas i lavoratori agricoli extracomunitari sarebbero tra i 30 e i 40mila, di cui il 90% maschi, in prevalenza europei dell'Est e nordafricani; mentre i lavoratori autonomi sarebbero circa 50.000, di cui solo 4000 assicurati all'INPS, e con una assoluta prevalenza di cinesi.
Dalla tabella 9 emerge comunque chiaramente come gli auspicabili investimenti in abitazioni per immigrati occupati debbano essere concentrati soprattutto nel Nord Italia.
Centri di accoglienza: 17.200 posti letto per più di 100.000 richieste
I permessi di soggiorno concessi in Italia a cittadini stranieri nel corso del 1998 sono stati circa
150.000. La maggior incidenza nei nuovi flussi spetta all'Europa con ben la metà dei permessi (55.465 di cui 38.362 ai paesi dell'Est). L'area dell'Est detiene ben il 34,6% dei nuovi arrivi. Asia e America detengono quote di nuovi permessi rispettivamente del 21 e 14%. L'Africa è il paese più penalizzato nel confronto tra residenti(29%) e nuovi arrivati(14%).
Per realizzare una accoglienza adeguata nei confronti dei nuovi flussi migratori sono necessarie strutture alloggiative temporanee, che rispondano a bisogni urgenti per un tempo limitato, e siano integrate da misure di accompagnamento. Vi è cioè richiesta di strutture flessibili per una accoglienza rapida e rapida dismissione, accompagnate da servizi di orientamento.
I Centri di accoglienza attualmente disponibili in Italia appaiono del tutto insufficienti. Si tratta di 820 strutture di cui 620 ubicate nel Nord, che sono in grado di offrire 17.200 posti letto di fronte ad una domanda urgente di almeno 100.000 posti letto. Il Lazio, dove affluiscono annualmente circa 16.000 nuovi immigrati, dispone soltanto di 36 centri, con circa 900 posti letto complessivi.
Naturalmente il ruolo dei centri e il loro funzionamento è strettamente legato all'esistenza attorno ai centri stessi di una gamma di offerte di alloggi che consenta di uscirne. Finora è avvenuto infatti in moltissimi casi che la turnazione degli ospiti dei Centri sia stata impedita dalla carenza di altre offerte, e sia stata così snaturata la funzione di semplice accoglienza di queste strutture.
Come cambia la città
Quali caratteristiche ha presentato finora l'inserimento abitativo delle comunità di immigrati nelle nostre città?
Sicuramente emergono due "situazioni insediative": i centri storici e i vecchi quartieri di edilizia popolare.
Nei centri storici gli immigrati "occupano" lentamente interi quartieri (San Salvario a Torino, Xxxxxxx a Brescia, Vasto a Napoli, Canonica-Sarpi a Milano), oppure si insediano in spazi connotati dalla prossimità alle principali stazioni ferroviarie (Porta Palazzo a Torino, l'area attorno a S.Xxxxx Novella a Firenze, l'Esquilino a Roma). In alcuni casi, come giustamente affermano i ricercatori dell'ISMU, redattori del "Quinto rapporto sulle migrazioni 1999" già citato, la localizzazione ripercorre gli spazi che in passato avevano già ospitato le immigrazioni del meridione (come nel caso emblematico di Porta Palazzo a Torino), in altri arrivano a compimento di un lungo processo di spopolamento e di disinvestimento immobiliare (come ad esempio a Palermo), o di più recenti cambiamenti nelle scelte abitative dei ceti medio-alti che ai centri storici preferiscono sempre di più aree di tipo suburbano (Parma, Reggio Emilia, in parte Brescia)
Ma ciò che appare più importane è il processo di territorializzazione . Ad una sistemazione alloggiativa in un patrimonio già degradato e concesso ad affitti molto elevati (sopportabili solo a prezzo di un alto grado di affollamento) si accompagna un forte sviluppo di esercizi commerciali e pubblici gestiti dagli stessi immigrati. Sviluppo che in alcuni casi coesiste con la nascita di attività artigianali e con l'avvio di nuclei di economia etnica.
Si crea quindi un circolo virtuoso: l'inserimento abitativo e la connessa area commerciale richiama altri immigrati e altri nuclei della stessa comunità residenti in altre parti della città che consentono la
sopravvivenza e lo sviluppo dei "negozi etnici", mentre lavoratori soli, famiglie ricongiunte trovano ospitalità presso parenti e connazionali, rendendo sempre più il quartiere come etnicamente connotato.
L'insediamento degli immigrati nei centri storici attiva dei processi minimali di manutenzione di un patrimonio edilizio in abbandono e degradato, e attraverso le forme di commistione tra lavoro artigianale e residenza nonché la ricostituzione di una vita di strada e di vicinato, non fa che arricchire il paesaggio urbano superando i fenomeni di sterilizzazione e banalizzazione che lo affliggevano ( X.Xxxxxxx: I centri storici).
Il medesimo "ingranaggio" stenta a mettersi in moto nelle periferie delle città. Numerosi nuclei si sono inseriti soprattutto in vecchi quartieri di edilizia economica popolare, dove cominciano ad assumere un certo peso e rilevanza le assegnazioni ad immigrati. Questa situazione è particolarmente evidente a Milano, e ciò a seguito di alcune leggi regionali (n.91/1983, n.28/1990) che hanno previsto la parità tra cittadini italiani e stranieri per la partecipazione ai bandi di concorso per l'assegnazione di alloggi pubblici senza alcuna discriminazione dovuta alla nazionalità o al periodo di residenza.
Contrariamente ai centri storici, i quartieri residenziali periferici sono caratterizzati da una rigidità tra tipi di alloggi offerti ed esigenze degli immigrati, che sono sia quelle di offrire ospitalità temporanea a connazionali, sia quelle di una più intensa vita in pubblico e negli spazi aperti. In particolare l'esigenza di aprire spazi commerciali od artigianali specifici (macellerie islamiche, negozi import- export orientali, lavanderie a gettone, negozi di telefonie internazionali, ecc.), può trovare realizzazione soltanto nelle vie adiacenti al quartiere. Pertanto, se nei centri storici la presenza di popolazioni immigrate contribuisce al recupero di alcuni spazi altrimenti abbandonati, nei vecchi quartieri di edilizia popolare esiste un profondo scarto tra la rigidità delle strutture edilizie, sia tipologica che normativa, e le pratiche di vita degli immigrati residenti nelle periferie, rigidità che impedisce ogni processo spontaneo di trasformazione e adeguamento degli spazi alle mutevoli necessità degli abitanti (X.Xxxxx: Vecchi quartieri di edilizia popolare).
Cosa fare ?
Enti locali unitamente ad organizzazioni del terzo settore hanno finora portato avanti alcuni progetti per favorire l'inserimento abitativo degli immigrati e bloccare il loro processo di "esclusione" prima che potesse diventare irreversibile.
Si tratta di interventi variegati di vario livello, che fanno leva sugli scarsi finanziamenti esistenti, e sfruttano gli spazi offerti dal sistema dell'ERP (edilizia residenziale pubblica) e dalla legislazione sull'immigrazione, ma nello stesso tempo introducendo formule tipologiche ed organizzative inedite, non previste nel nostro sistema istituzionale e prendendo a modello esperienze di altri paesi.
Tra i vari interventi occorre citarne alcuni.
1) Azioni immobiliari sociali. Consistono principalmente nello svolgere un'azione di intermediazione tra proprietari e immigrati offrendo garanzie per l'affitto e un'integrazione economica, nonché costituire e gestire un patrimonio di alloggi da affittare a prezzi contenuti.
2) Agenzie. Forme organizzative di natura pubblica o privata che hanno il compito di svolgere efficacemente l'azione immobiliare sociale sul modello francese o belga, e di coordinare diverse azioni nel territorio per facilitare l'inserimento abitativo (Agenzie sociali meritorie in questo campo sono la Cooperativa DAR di Genova, il Comitato Arcata di Roma, l'agenzia Casa Amica a Bergamo).
3) Sistemazioni collettive. Consistono nella gestione, a livello di associazioni, di strutture alloggiative di emergenza o secondarie nel quadro del superamento dei centri di prima accoglienza.
Come si vede, la risposta istituzionale e sociale offre spunti positivi e d'avanguardia, ma di fronte ad un problema così urgente e drammatico e di dimensioni quantitative assolutamente inusuali, appare
riduttiva ed insufficiente.
La vera dimensione dell'emergenza-immigrati è stata intuita dal Presidente dell'ANCE nel lanciare l'idea di un "piano sociale straordinario di edilizia popolare", proposta che sarebbe stata già presa in considerazione dal Ministro Xxxx.
Naturalmente il dibattito è aperto e dovrebbe portare nel più breve tempo possibile - anche in vista della "finanziaria"- al varo di un pacchetto-casa che comprenda progetti polivalenti e intercambiabili proporzionati, a livello organizzativo e di costi, all'entità numerica degli immigrati che vengono "accolti" nel nostro territorio in misura sempre più crescente.
Si può già prevedere che tali provvedimenti non saranno incentrati unicamente su nuove costruzioni, ma incentiveranno l'utilizzo e la ristrutturazione dell'esistente sempre con riferimento alle esigenze specifiche delle singole comunità, e amplieranno in proporzione dei reali bisogni il campo di interventi economici integrativi dell'affitto. A quest'ultimo riguardo è auspicabile che sia disposta a carico degli enti locali l'integrazione della differenza tra canone reale e canone convenzionato.
Il varo di un pacchetto casa ad hoc dovrebbe comunque essere l'occasione per riconsiderare la politica abitativa nei confronti di tutte le fasce deboli attuando i dovuti correttivi e sanando almeno parzialmente le ferite di un liberismo troppo spinto.
Va infine sottolineato come provvedimenti intesi a reperire nuove case per fasce deboli e immigrati andrebbero incontro anche alle esigenze delle imprese (maggiore produttività) ed a quelle dei comuni cittadini (cosiddetto ordine pubblico).
Principali pubblicazioni consultate
- "Primo rapporto sull'integrazione degli immigrati in Italia" a cura di Xxxxxxxx Xxxxxxx(Xx. Xx Xxxxxx/ 2000)
- "Quinto rapporto sulle migrazioni 1999" a cura della Fondazione Cariplo per le iniziative e lo studio sulla multietnicità (Xx. Xxxxxx Xxxxxx /2000)
- "Annuario Sociale 2000" a cura del Gruppo Xxxxx (ed.Feltrinelli/2000)
- "Dossier Immigrazione 1999" a cura della Caritas di Roma
- "Pluralismo, multiculturalismo e estranei" di Xxxxxxxx Xxxxxxx (ed.Xxxxxxx)
- "L'immigrazione alle soglie del 2000" a cura di Xxxxxx Xxxxxx (xx.Xxxxxx)
- "Guida al pianeta immigrazione" a cura di Xxxxxx Xxxxxxx (Xx.Xxxxxxx)
- "Immigrazione e criminalità" di Xxxxxx Xxxxxxxx (ed. Il Mulino)
Il dossier "IL COLORE DELLE CASE" è stato redatto a cura di X. Xxxxxx, X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxxxx e X. Xxxxxxxxx ha collaborato Xxxxxxxx Xxxx Xxxx.
Roma, settembre 2000.
L'Ares 2000 ha sede in Xxxx xxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxx 000, telefax 06/5131400 Xxxx0000@xxxxxx.xx
CONDIZIONE ABITATIVA DEGLI IMMIGRATI IN ITALIA
Immigrati in Italia: dove abitano, come vivono, a chi si rivolgono LA CONDIZIONE ABITATIVA DEGLI IMMIGRATI NEL NOSTRO PAESE
Ricerca di PeopleSWG per SUNIA e ANCAb Legacoop
Il 77% degli immigrati divide piccoli appartamenti con altre tre, talora quattro persone, molto spesso in condizioni di sovraffollamento. Il 37% non ha firmato un regolare contratto di locazione e tuttavia più della metà paga canoni d'affitto superiori alle 500.000 lire, che salgono ad una media di 900.000 lire nel centro Italia.
Questi alcuni dei dati emersi dall’indagine condotta dall’Istituto di ricerche PeopleSWG per conto del SUNIA (Sindacato Unitario Nazionale Inquilini e Affittuari) e dell’ANCAb Legacoop (Associazione Nazionale Cooperative di Abitanti), allo scopo di analizzare la condizione abitativa degli immigrati in Italia. I risultati della ricerca sono stati presentati oggi a Roma, nei locali dell’Hotel Nazionale, da Xxxxxxx Xxxxxxx, responsabile dell’indagine di PeopleSWG, Xxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx Generale del SUNIA e Xxxxx Xxxxxxxx Presidente di ANCAb-Legacoop.
Dopo la ricerca di un lavoro, trovare casa è il problema prioritario degli immigrati giunti nel nostro Paese: tre intervistati su dieci lo ritengono l’ostacolo principale riscontrato al loro arrivo in Italia.
Quanti riescono a trovare una casa in affitto, vivono in media con altre tre persone, in condizioni di sovraffollamento talora estremo (4 o 5 persone in una o due stanze, con un canone mensile di L. 700.000), e nel 7% dei casi senza servizi igienici interni all’abitazione. Particolarmente difficoltosa la condizione abitativa degli immigrati nelle aree del centro Italia, dove al sovraffollamento si accompagna la frequente assenza di servizi igienici, o la sola presenza di un lavabo o di un wc.
Accanto ai disagi relativi alle inadeguatezze strutturali ed alla fatiscenza degli stabili, l’incidenza dell’affitto sul reddito risulta l’aggravante principale della condizione abitativa degli immigrati nel nostro Paese. Tuttavia, il 35% degli immigrati valuta positivamente la propria condizione abitativa e meno di un terzo del campione ha chiesto l’intervento di interlocutori istituzionali o di associazioni. La metà degli intervistati ritiene comunque importante poter contare su un sindacato degli inquilini.
RISULTATI DELL'INDAGINE
SUNIA ANCAB-LEGACOOP
Condizioni abitative degli immigrati in Italia
Obiettivi
Sunia si propone di aprire un nuovo segmento di mercato rappresentato dagli affittuari provenienti da paesi esteri e residenti in Italia.
In questo contesto si inserisce il lavoro di cui presentiamo i risultati che ha sviluppato i seguenti ambiti tematici:
le condizioni abitative degli immigrati
la domanda di miglioramento della condizione abitativa e le priorità di intervento la fiducia nei soggetti istituzionali
la conoscenza delle organizzazioni sindacali e di Sunia e la propensione nei confronti di un'adesione al sindacato degli inquilini
Metodologia
L'indagine è di tipo quantitativo ha coinvolto un campione nazionale di 1000 immigrati. Le interviste di tipo personale sono state condotte con un questionario semi-strutturato e a ciascun intervistato è stata data la possibilità di rispondere in italiano, francese o inglese.
Le interviste sono state effettuate presso i phone center messi a disposizione dalla rete commerciale Western Union.
nord ovest | 20,9% | Milano, Torino, Brescia, Genova |
nord est centro | 31,2% 21,4% | Treviso Verona, Padova, Bologna, Reggio Emilia Modena Firenze, Perugia, Viterbo, Roma |
sud/isole | 26,5% | Napoli, Caserta, Bari, Reggio Calabria, Catania |
La distribuzione delle interviste nelle città campione è la seguente:
,
Analisi dei risultati
Il profilo socio-culturale
La provenienza
L'Africa è il continente di provenienza più rappresentato nel nostro campione (53%), in particolare lo è l'area Nord africana, cui fa seguito la presenza dell'Est europeo (20%).
La distribuzione territoriale nel nostro Paese indica una concentrazione di immigrati di origine africana nelle regioni del nord (Nord Africa nel nord est; Africa Subsahariana nel nord ovest), mentre gli est europei risiedono perlopiù nelle regioni del sud/isole.
Ulteriori segmenti rappresentati sono gli immigrati dell'area orientale (6% Medio/Estremo Oriente) più concentrati nelle regioni del centro Italia, e dell'India (4%) distribuiti in modo omogeneo sul territorio nazionale.
E' apprezzabile anche la presenza di immigrati dell'Unione Europea (9%) e dell'America (7%).
Le religioni prevalenti sono quella Musulmana (41%) e Cattolica (29%); è inoltre rilevante l'appartenenza ortodossa e serbo/ortodossa (8%).
Le motivazioni dell'immigrazione in Italia
La spinta verso l'emigrazione è indubbiamente la ricerca del lavoro (58%), declinata anche attraverso il desiderio di aiutare la famiglia (20%) o l'assenza di opportunità nel proprio Paese di origine (12%).
La scelta dell'Italia è guidata proprio dall'offerta di lavoro (34%), e rappresenta inoltre il ricongiungimento con i parenti e gli amici che li avevano preceduti (27%) ed è comunque un Paese consigliato (25%), non solo meno difficile da raggiungere e dove si spera che sia più facile ottenere il permesso di soggiorno.
E' inoltre diffusa, specie tra quanti si fermano nelle regioni del centro-sud/isole, la percezione di un tessuto sociale permeato di libertà e tolleranza (9%).
Il tempo trascorso in Italia dal campione è mediamente di 3 anni; il 15% ha raggiunto il paese da meno di un anno e la maggior parte lo ha fatto in un periodo compreso negli ultimi 1-3 anni (45%).
Tra gli immigrati dell'ultimo anno prevalgono le presenze dell'est Europa e dell'Africa Subsahariana, mentre negli arrivi superiori ai 5 anni, accanto al forte flusso proveniente dall'Africa si evidenzia il segmento dell'Estremo Oriente.
Il tempo vissuto in Italia discrimina ovviamente la conoscenza della lingua: osserviamo che le maggiori difficoltà si presentano tra gli immigrati che vivono nel nostro paese da meno di tre anni, e solo dopo i tre anni la lingua parlata, scritta e letta comincia a diventare patrimonio condiviso da una quota apprezzabile del campione (varia tra il 55% e il 65%).
Il profilo scolare e occupazionale
La scolarità dichiarata evidenzia una concentrazione della frequenza tra i 15 e i 21 anni (agli intervistati veniva chiesto fino a quanti anni d'età hanno frequentato la scuola), per il 12% lo studio è continuato dopo i 21 anni e solo il 2% non ha mai frequentato la scuola.
Gli immigrati che xxxxxxxxx xxxxx xxxxxxx xxx xxxx xxx x xxx xxxxxx xxxxxxxxxx un profilo scolare più elevato.
L'attesa del lavoro si traduce positivamente per l'85% del campione, di questi però il 41% dichiara di non avere alcun contratto (condizione che nel sud/isole raggiunge il 58%) e solo il 27% ha un contratto a tempo pieno (nelle regioni del centro la quota aumenta fino al 35%).
La condizione occupazionale indica una più forte presenza di occupati nell'industria (come operaio specializzato e generico) e nel settore edile nel nord Italia, mentre nel sud/isole prevalgono più che altrove i lavori di pulizia e sorveglianza.
E' interessante osservare come nel lavoro gli immigrati vivano condizioni diverse a seconda delle aree di residenza: i colleghi sono prevalentemente italiani nel nord ovest, provengono dal proprio paese di origine nel centro-sud/isole, e la commistione tra i due (italiani e stranieri) risulta più diffusa nel nord est.
La condizione abitativa
La priorità del lavoro come motivo di emigrazione si traduce nella principale difficoltà riscontrata all'ingresso nel nostro Paese (42%).
A questo, che è il primo ostacolo da superare, fa seguito la possibilità di avere una casa in affitto, seconda difficoltà incontrata in ordine di importanza (28%), e di ottenere documenti regolari (22%).
Il problema della casa sembra particolarmente sentito nel nord est (38%) e dagli immigrati dal Medio/Estremo Oriente.
Quasi la totalità del campione vive in abitazioni in affitto e la proprietà risulta marginale (5% del totale) e più diffusa nei segmenti di origine orientale ed est europea.
I regimi locativi
L'assenza di contratto è la condizione più diffusa (37%), lo è particolarmente nel sud/isole dove supera la metà degli immigrati residenti (59%), mentre nelle altre zone risulta nettamente inferiore (si passa da un massimo del 31% nel nord est ad un minimo del 24% nelle regioni centrali).
L'affitto a libero mercato è secondo per importanza (28%), con una punta percentuale nel centro (34%), mentre le altre tipologie appaiono polverizzate.
Patto in deroga rappresenta il 9% del totale affittuari (con una punta pari al 22% nelle regioni centrali)
Equo canone rappresenta l'8% del totale (prevale di poco nelle regioni del nord)
Regimi vari (contratti per foresterie, transitori, per studenti, abitazioni arredate, affitto di posto letto) raggiungono il 17% del totale e nella metà dei casi vengono saturati da abitazioni arredate e affitto di posti letto (più diffusi nel sud/isole)
Canone sociale o agevolato è inferiore all'1% del totale affittuari.
Tipologie di proprietà immobiliare
Nella maggior parte dei casi le abitazioni sono di proprietà di singoli privati (81%), le società private ne possiedono il 6%, mentre risultano esigue le altre tipologie di proprietà, tra le quali gli Enti Pubblici raggiungono un complessivo 3%.
I canali per trovare la casa
La conoscenza personale è quella che meglio risponde in questo momento alle esigenze di trovare
una casa, sia essa rappresentata dal singolo privato (29% con una punta del 45% nel sud/isole), sia dalla rete amicale o dei colleghi di lavoro (27%), che consente una sistemazione come ospite o facilitando il subentro nell'appartamento.
Quest'ultima condizione sembra più diffusa nelle regioni centrali e coinvolge soprattutto est europei e africani.
Le forme più strutturate dell'agenzia (15%) e dell'annuncio sul giornale (18%) vengono indicate per lo più nel nord ovest, così come Caritas e i servizi sociali, che rispondono però ad un segmento piuttosto contenuto (rispettivamente 5% e 3%).
Tipologia di abitazione
Circa tre quarti del campione abita un appartamento in un condominio (71% con una punta pari all'80% nel nord ovest) e sono rappresentate in modo apprezzabile altre due formule: la casa indipendente (12% prevale nel centro) e la stanza singola (11%, prevale nel nord est).
La pensione risulta scarsamente significativa, e rappresenta una soluzione per lo più nell'area del nord ovest e nella prima fase dell'immigrazione (tra quanti vivono in Italia da meno di un anno il 7% vive in pensione o albergo a fronte di un valore medio pari al 2%).
Composizione dell'abitazione e abitanti
Le abitazioni in affitto hanno in media due stanze e la maggior parte degli immigrati condivide l'appartamento con la famiglia o con altre persone non appartenenti al nucleo familiare.
L'analisi incrociata del numero di stanze disponibili con il numero di abitanti identifica una situazione di sovraffollamento o di sovraffollamento estremo che interessa il 73% del campione, senza forti scostamenti tra le diverse etnie.
Questa situazione viene condivisa in misura lievemente inferiore dai soggetti immigrati più di recente (66%) e presenta la sua punta massima nelle aree centrali della penisola (84%). Secondo questo parametro, la situazione abitativa più favorevole è riscontrabile nel nord est (61% di sovraffollamento e sovraffollamento estremo).
Il problema riguarda tanto gli appartamenti di dimensioni più contenute, quanto quelli fino ai 75 mq, e presenta le seguenti caratteristiche:
nel caso di sovraffollamento estremo gli abitanti sono in media 4,6 in appartamenti di una/due stanze, con 700.000 lire di affitto
nel caso di sovraffollamento gli abitanti sono in media 3,4 in appartamenti di due stanze con un affitto di 600.000 lire
Sempre nelle aree centrali della penisola, accanto alla condizione di sovraffollamento più marcata, le abitazioni sono più spesso che altrove prive di servizi igienici all'interno dell'appartamento (13% contro un valore medio pari al 7%) e si riscontra la presenza esclusiva del lavabo o del wc in misura superiore di quanto viene dichiarato nelle altre aree del Paese (4% contro un valore medio pari al 2%).
Onerosità dell'affitto sul reddito
Il reddito annuo medio dichiarato dal campione ammonta a 14 milioni circa e risulta lievemente superiore nelle regioni del nord ovest e nel centro, mentre la quota più bassa viene registrata nel sud/isole con 11 milioni.
Per quanti vivono con la famiglia (mediamente i nuclei familiari sono composti da 4 persone) il reddito annuo raggiunge i 17 milioni.
L'incidenza dichiarata dell'affitto sul reddito è pari mediamente al 24%, non presenta forti scostamenti nelle zone campione, fatta eccezione per le aree centrali dove risulta lievemente più contenuta (20%).
La percezione della propria condizione economica si esprime in termini positivi (buona e non manca nulla) nel 23% dei casi, a questo segmento corrisponde un reddito annuo dichiarato superiore a quello medio (22 milioni) con una onerosità più contenuta della media (18% contro il 24% medio).
Sul versante opposto, ad un vissuto di difficoltà economica dichiarato dal 31% del campione corrisponde il reddito medio più basso (non raggiunge 9 milioni) con un'incidenza media dell'affitto che tocca quasi il 30%.
Valutazione della condizione abitativa
La durata media dell'abitazione è di due anni e per il 58% del campione si tratta della prima casa abitata in Italia.
Tra gli immigrati da almeno tre anni (40% del totale) oltre la metà ha abitato più di un appartamento, e tra questi la maggioranza afferma di avere migliorato la propria condizione abitativa (la soddisfazione è più diffusa nelle aree del nord est e del centro).
Nel complesso la situazione abitativa viene definita positivamente (buona e non manca nulla) dal 35% degli immigrati.
Il 22% la definisce "difficile"; questa valutazione si accompagna ad una sostanziale assenza di relazione con i vicini di casa, e indica nell'affitto troppo caro e nella mancanza di spazio i problemi più pressanti, ma non i soli.
Questo segmento denuncia le condizioni precarie degli appartamenti e degli stabili e, inoltre, il rischio di sfratto.
I problemi da risolvere segnalano priorità diverse nelle aree campione:
l'affitto troppo caro viene indicato come il primo intervento da oltre la metà del campione ed in particolare nelle aree del centro Italia;
la mancanza di spazio, secondo problema per importanza, pesa soprattutto nel nord ovest;
la mancanza di contratto e il rischio di sfratto, presenti in tutte le aree, assumono una valenza più consistente nel sud/isole;
le condizioni precarie dell'appartamento e dello stabile risultano più pesanti nel nord est e nel sud/isole.
L'aspetto relazionale, che fa riferimento ai rapporti problematici degli immigrati con i proprietari dell'appartamento e con i vicini, anche se non risulta prioritario tra i miglioramenti abitativi auspicati, viene indicato come aspetto importante in particolare nel sud/isole.
Le difficoltà indicate risultano condivise da tutti o quasi gli abitanti dell'appartamento e solo nel 17% dei casi riguardano esclusivamente l'intervistato (sono per lo più situazioni in cui è presente una coabitazione con persone estranee al nucleo familiare).
Si tratta inoltre di difficoltà per le quali un terzo degli immigrati non è in grado di trovare una soluzione, o forse non in tempi brevi (vissuto espresso in prevalenza nelle aree del sud/isole).
A questo proposito le azioni intraprese coinvolgono meno del 40% dei soggetti che segnalano la problematicità della propria situazione abitativa; il riferimento più frequente in questi casi è lo sportello dell'immigrato o le associazioni gestite dagli immigrati stessi (nord est e centro), cui fanno seguito i servizi sociali e la Caritas (sud/isole; Caritas in particolare rappresenta un punto di riferimento per quanti sono immigrati da meno di un anno).
La fiducia nelle istituzioni e la conoscenza del sindacato
In generale il rapporto con le istituzioni e le reti associative riguarda il 64% del campione, con una più diffusa "familiarità" espressa dagli immigrati residenti nelle aree centrali (74%).
Gli uffici degli enti locali, le questure e gli uffici di polizia rappresentano gli interlocutori più importanti, e a questi fanno seguito consolati e ambasciate e sportelli dell'immigrato.
Un terzo riferimento è rappresentato dalle associazioni di volontariato e i servizi sociali, mentre appare contenuta la segnalazione dei luoghi di culto tradizionali e del sindacato.
Gli interlocutori più citati, presumibilmente incontrati nel momento della prima accoglienza, sono anche quelli che raccolgono le segnalazioni di più forte insoddisfazione (in particolare questura e polizia); di converso la valutazione favorevole riguarda in primo luogo Caritas e le associazioni di volontariato assieme alle chiese e luoghi di culto.
Sempre Caritas raccoglie l'espressione di fiducia più consistente, assieme ai consolati e ambasciate, ma nel complesso questo elemento di valutazione appare decisamente contenuto.
Il sindacato
Il 7% del campione dichiara di essersi rivolto ad un sindacato. Lo hanno fatto per lo più gli immigrati da oltre tre anni, i residenti nelle aree del centro Italia e in generale per problemi legati al lavoro.
La condizione abitativa ha rappresentato una spinta solo per una parte marginale.
Sono complessivamente 20 soggetti, di questi 12 si sono rivolti a Sunia (2 nel nord est; 6 nel centro; 4 nel sud/isole).
La conoscenza del Sindacato degli inquilini viene segnalata dal 30% del campione, è più diffusa nelle aree del nord est e del centro; nelle regioni centrali è inoltre presente una quota di immigrati che già si è rivolta al Sunia (9% contro il 4% del campione totale).
Nel sud/isole prevale il segmento di quanti non ne hanno mai sentito parlare (83%).
L'importanza attribuita al ruolo di Sunia è indubbiamente elevata ed è condivisa da circa la metà del campione (48%).
E' importante osservare che il 36% non è in grado di esprimere un'opinione e che questo segmento (più rappresentato nel sud/isole) viene saturato non solo da immigrati in Italia da meno di un anno, ma anche da soggetti che vivono nel nostro Paese da oltre tre anni.
La scarsa conoscenza determina anche l'impossibilità di intuire il vantaggio che potrebbe derivare da un'attività di Sunia mirata alle problematiche abitative degli immigrati.
Anche in questo caso appare elevata la quota di soggetti senza opinione (36%), mentre la proposta di aderire al sindacato viene accolta favorevolmente da un complessivo 37% del campione (44% tra quanti stanno cercando una nuova abitazione in affitto).
Di nuovo riscontriamo che la risposta positiva più consistente viene espressa dai residenti nelle aree centrali, da quanti vivono in Italia da più lungo tempo (oltre 5 anni) e dalle comunità provenienti dal medio/estremo Oriente e dal nord Africa.
Le motivazioni favorevoli ad una potenziale adesione a Sunia identificano nella comune condivisione dei problemi l'elemento di forza, problemi che possono essere evidenziati e portati alla luce da un'organizzazione qualificata e non dal singolo soggetto.
La mancata conoscenza dell'attività svolta da Sunia non è il solo fattore che frena l'avvicinamento al sindacato.
Esistono infatti elementi di sfiducia dichiarata (più marcati nel nord ovest, tra gli est europei e orientali e nel segmento di più recente immigrazione), ma anche di timore nei confronti di eventuali reazioni della controparte (centro e soprattutto sud/isole; immigrati da oltre 5 anni).
Le cooperative edilizie
Il 18% del campione ha sentito parlare delle cooperative edilizie; la conoscenza è più diffusa nel nord est e nel centro e tra gli immigrati orientali.
Il 3% del campione ha avuto contatti con le cooperative; il segmento è rappresentato in prevalenza dagli immigrati africani e da quanti vivono in Italia da oltre 5 anni.
L'interesse nei confronti di questo tipo di organizzazione viene condiviso dal 46% del campione, con punte apprezzabili (56%) nel nord ovest e nel centro.
Il futuro: abitazione in affitto o proprietà
Un complessivo 26% degli immigrati sta cercando una nuova casa: il 23% in affitto (nord ovest e sud/isole), il 3% sta pensando all'acquisto (centro).
Solo il 5% andrà ad abitare da solo (nord ovest e immigrati da meno di un anno).
Tra gli immigrati che cercano un nuovo affitto la valutazione di Sunia risulta più favorevole rispetto a quella espressa da chi non ha intenzione di cambiare abitazione, ferma restando però la presenza di una quota elevata che non ne ha mai sentito parlare (6 soggetti su 10 che cercano una nuova abitazione).
Alcune considerazioni conclusive
Per quanti sono immigrati nel nostro Paese, dopo la ricerca di un lavoro, è la casa l'ostacolo principale da superare.
Non a caso l'abitazione rappresenta la più importante tra le richieste di intervento rivolte allo Stato italiano, assieme ai permessi di soggiorno e cittadinanza.
L'attuale situazione abitativa vede il prevalere delle case in affitto (solo il 5% vive in una casa di proprietà), senza alcun contratto e di proprietà di singoli privati.
Le più gravi difficoltà emergono nelle aree del centro Italia dove appare importante la condizione di sovraffollamento che, più che altrove, si può accompagnare all'assenza di servizi igienici interni, o alla sola presenza di un lavabo o di un wc.
Le condizioni abitative generali sono appesantite dall'incidenza dell'affitto sul reddito, particolarmente onerosa nelle fasce più basse di reddito (30%), ma anche nella media del campione (24%).
I problemi emersi non riguardano però solo l'aspetto economico, ma anche quello strutturale, relativo alla precarietà degli appartamenti e degli stabili.
Ciò nonostante, il 35% degli immigrati valuta positivamente la propria condizione abitativa e meno di un terzo del campione ha chiesto l'intervento di interlocutori istituzionali o di associazioni.
L'azione di Sunia si inserisce in un contesto caratterizzato dai seguenti aspetti:
il sindacato non è ancora sufficientemente conosciuto; potenzialmente l'adesione viene percepita vantaggiosa;
la diffidenza espressa non è riconducibile esclusivamente ad una dichiarazione di sfiducia; nella maggior parte dei casi la sospensione del giudizio fa riferimento alla necessità di comunicazione delle attività svolte dal sindacato stesso.