L’organizzazione degli obbligazionisti
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Università degli Studi di Milano Corso di Dottorato in Scienze Giuridiche
CURRICULUM DI DIRITTO COMMERCIALE - XXIX CICLO
L’organizzazione degli obbligazionisti
TRA DISCIPLINA SOCIETARIA E DELLA CRISI D’IMPRESA ED AUTONOMIA CONTRATTUALE
Xxxxxxx Xxxxxx
Tutor:
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxx Xxxxxxxx
COORDINATORE DEL CURRICULUM:
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxx
A.A. 2016/2017
Indice
Capitolo I
Antitesi tra gruppo e individuo e organizzazione degli obbligazionisti
1. Premessa. 1
2. Individuazione dell’ambito di indagine. 11
3. Il conflitto interno al gruppo obbligazionario. Dialettica tra diritti individuali e collettivi degli obbligazionisti e stato dell’arte in dottrina e in giurisprudenza. 19
3.1. L’interpretazione estensiva dell’art. 2415, comma 1, n. 2: critica. 24
3.2. La tesi che esclude l’estensione dell’art. 2415, comma 1, n. 2,
alle modifiche inerenti i «dati tipizzanti» del prestito. 36
4. Il trattamento degli obbligazionisti nel “nuovo” diritto della crisi.
Una proposta di rilettura dell’art. 2415 in chiave sistematica. 49
4.1. Ruolo e poteri dell’assemblea degli obbligazionisti nelle “nuove” procedure di concordato. 52
4.2. Classazione unitaria di obbligazionisti e creditori “finanziari” comuni. Ammissibilità e riflessi sul ruolo dell’assemblea e
sulla posizione del singolo obbligazionista. 59
4.3. Il primato dell’assemblea degli obbligazionisti nelle “nuove” procedure di concordato. 63
4.4. Trattamento degli obbligazionisti “al di fuori” delle procedure di concordato, tenuto conto dell’evoluzione della disciplina
concordataria. 76
5. Il supporto del dato comparatistico. In particolare, la disciplina statunitense. 79
Capitolo II
L’organizzazione degli obbligazionisti tra disciplina e contratto
1. Premessa. Gli obbligazionisti tra organizzazione legale e autonomia contrattuale. 87
2. Rilevanza domestica e transfrontaliera della questione proposta. 90
3. Natura della disciplina organizzativa tra teoria generale del diritto societario ed autonomia privata. 96
3.1 La disciplina organizzativa nella prospettiva dell’emittente e
del sistema capitalistico. 105
3.2 La disciplina organizzativa nella prospettiva degli obbligazionisti: inderogabilità “di protezione”? 111
3.3 Deroghe alla disciplina e tipicità normativa della fattispecie obbligazionaria. 117
3.4 Il supporto del dato comparatistico. 122
4. Natura “tendenzialmente” derogabile del modello organizzativo e
profili di diritto fallimentare. 136
5. Dal diritto interno al diritto internazionale privato. Riflessi della ricostruzione proposta sull’assetto organizzativo delle emissioni all’estero di società italiane. 142
Capitolo III
I conflitti di interesse tra gli obbligazionisti dall’organizzazione legale agli assetti convenzionali
1. Ancora sulla dialettica tra gruppo e individuo. Dal modello legale all’integrazione convenzionale delle prerogative di gruppo. 157
2. Le modalità di deroga ed integrazione della disciplina legale quale
primo presidio a tutela di ciascuna parte del rapporto di prestito. 162
3. La necessaria uniformità delle condizioni del prestito obbligazionario e il pari trattamento degli obbligazionisti. 170
4. Conflitti di interesse e tutela degli obbligazionisti di minoranza nel modello organizzativo legale. 177
4.1 Interferenza di interessi esterni nel processo decisionale collettivo e tutela degli obbligazionisti di minoranza. 181
4.2 Interessi “atipici” ed organizzazione legale: conflitto di interessi od “oppression of minority”? 189
5. Rafforzamento delle regole di soluzione del conflitto in presenza di un’organizzazione di natura pattizia. 196
Capitolo I
Antitesi tra gruppo e individuo e organizzazione degli obbligazionisti
Sommario: 1. Premessa. - 2. Individuazione dell’ambito di indagine. - 3. Il conflitto interno al gruppo obbligazionario. Dialettica tra diritti individuali e collettivi degli obbligazionisti e stato dell’arte in dottrina e in giurisprudenza. - 3.1. L’interpretazione estensiva dell’art. 2415, comma 1, n. 2: critica. - 3.2. La tesi che esclude l’estensione dell’art. 2415, comma 1, n. 2, alle modifiche inerenti i «dati tipizzanti» del prestito. - 4. Il trattamento degli obbligazionisti nel “nuovo” diritto della crisi. Una proposta di rilettura dell’art. 2415 in chiave sistematica. - 4.1. Ruolo e poteri dell’assemblea degli obbligazionisti nelle “nuove” procedure di concordato. -
4.2. Classazione unitaria di obbligazionisti e creditori “finanziari” comuni. Ammissibilità e riflessi sul ruolo dell’assemblea e sulla posizione del singolo obbligazionista. - 4.3. Il primato dell’assemblea degli obbligazionisti nelle “nuove” procedure di concordato. - 4.4. Trattamento degli obbligazionisti “al di fuori” delle procedure di concordato, tenuto conto dell’evoluzione della disciplina concordataria. -
5. Il supporto del dato comparatistico. In particolare, la disciplina statunitense.
1. Premessa.
Le forme di finanziamento dell’impresa sociale vengono tradizionalmente suddivise dagli studiosi di finanza aziendale (1) in due distinte categorie, a seconda che le stesse realizzino un apporto di risorse finanziarie qualificabili come capitale “di rischio” (equity) ovvero come capitale “di debito” (debt). Nell’ordinamento italiano il tipo sociale che, più di ogni altro, agevola l’accesso dell’impresa alle risorse finanziarie dell’uno e dell’altro tipo, ma anche – con il progressivo evolversi dei mercati finanziari e del diritto societario – a forme di approvvigionamento finanziario più innovative e sovente a cavallo tra equity e debt (2), è senz’altro quello della società per azioni (3).
(1) Si veda, in proposito, il noto lavoro sulla struttura del capitale d’impresa di X. XXXXXXXXXX –
X. XXXXXX, The Cost of Capital, Corporate Finance, and the Theory of Investment, in American Economic Review, vol. 48, n. 3, June 1958, 261-297.
(2) Si tratta di forme cc.dd. “ibride” di finanziamento dell’impresa sociale che presentano, al contempo, caratteristiche tipicamente proprie degli strumenti rappresentativi del capitale di rischio
Le capacità di approvvigionamento finanziario proprie della società azionaria si presentano in primo luogo potenziate, rispetto a quelle proprie delle altre società di capitali, per le modalità di rappresentazione e frazionamento del capitale sociale, incorporato, come è noto, in titoli destinabili all’offerta e alla negoziazione nei mercati dei capitali ed annoverati – proprio in virtù della loro fisiologica destinazione alla circolazione presso il pubblico – tra i «valori mobiliari», e quindi gli «strumenti finanziari» di cui al Testo unico dell’intermediazione finanziaria.
Sotto il profilo della raccolta del capitale di debito, la legge attribuisce poi alle società per azioni la facoltà – originariamente considerata un vero e proprio “privilegio” (4) – di emettere titoli obbligazionari ai sensi degli artt. 2410 e ss.
e di quelli rappresentativi del capitale di debito. Le combinazioni tra elementi propri dell’uno e dell’altro tipo sono molteplici e possono dar vita a fattispecie variamente articolate, tutte riconducibili, secondo la prassi internazionale, al più ampio genus degli hybrid capital securities, comunemente definiti, in ambito domestico, come “strumenti finanziari ibridi”. Per una recente e compiuta analisi delle singole fattispecie e delle ricadute che la contaminazione tra equity e debt può avere sulla disciplina applicabile a tali strumenti, si veda, da ultimo, X. XXXXXXXXX, Le obbligazioni ibride tra obbligo di rimborso e partecipazione sociale, in Collana di Diritto dell’Economia diretta da X. X. Xxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 1 ss.
(3) Si è infatti osservato che, per effetto della riforma del 2003, la novellata disciplina della società per azioni si segnala, rispetto a quella previgente «per una circostanza di fondo, attinente alla stessa configurazione concettuale della società: la quale non si presta più ad essere ricostruita in termini di (disciplina del) soggetto dell’impresa, e dunque di imprenditore, quanto piuttosto in quelli di disciplina, oggettiva, dell’impresa, e, in particolare, di disciplina del suo finanziamento, prima ancora che del suo svolgimento». Così, X. XXXXX Xx, Fattispecie societaria e strumenti finanziari, in Riv. dir. comm., 2003, 11-12, 805-806.
(4) In particolare, nel suo contributo scientifico in materia di obbligazioni del 1951, Xxxxxx Xxxxxxxxx definiva la possibilità di creare ed emettere obbligazioni come un «privilegio (a favore delle società per azioni e degli altri enti all’effetto equiparati) in deroga al principio generale […] della impossibilità di debiti astratti, fuorché nei casi legalmente previsti», rilevando altresì che «la legge ha voluto riservare alle sole società per azioni, le cui partecipazioni sociali sono incorporate in titoli di credito, collocabili nel pubblico, il privilegio di poter provvedere al proprio finanziamento mediante titoli obbligazionari a loro volta collocabili nel pubblico» (cfr. X. XXXXXXXXX, Problemi in tema di titoli obbligazionari, in BBTC, 1951, I, 29-32). Tale prospettiva, poi ulteriormente ripresa diversi anni dopo nel lavoro monografico di Xxxxxxxx Xxxxxxx (X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari della società per azioni, in Saggi di Diritto Commerciale, collana diretta da X. Xxxxxxxxx, Milano, 1964, 7 ss.), merita oggi di essere, almeno in parte, ridimensionata, in considerazione dei plurimi interventi normativi varati, in via d’urgenza, dal Governo negli ultimi anni allo scopo di ampliare ed agevolare l’accesso da parte delle imprese italiane ai mercati dei capitali, domestici e non, consentendo non solo alle società per azioni ma anche alle società a responsabilità limitata la quotazione di obbligazioni (con riguardo alle prime) ovvero di titoli di debito (con riguardo alle seconde), per quanto – con riferimento ai titoli di debito emessi dalle società a responsabilità limitata – permangano a tutt’oggi le più restrittive previsioni in termini di
cod. civ., a loro volta idonei, per le loro caratteristiche intrinseche e di disciplina, ad essere collocati presso il pubblico.
L’obbligo di rimborso, che contraddistingue le obbligazioni dagli strumenti di equity, determina l’instaurarsi di un rapporto giuridico tra la società emittente ed i portatori dei titoli obbligazionari indubbiamente diverso – e che merita di rimanere ben distinto – dal legame intercorrente tra la società ed i suoi azionisti. Su questo rilievo si fonda la tradizionale opinione (5) secondo cui le emissioni obbligazionarie, ove collocate sul mercato dei capitali, si rivolgano ad un pubblico di risparmiatori interessati ad un investimento caratterizzato da rendimenti non particolarmente elevati a fronte di un profilo di rischio tendenzialmente ridotto: una forma di investimento finanziario, quindi, dalle caratteristiche diametralmente opposte rispetto a quelle proprie degli strumenti rappresentativi del capitale di rischio (le azioni, in primis), che invece sopportano, per primi, i rischi derivanti dall’andamento della gestione sociale a fronte di una remunerazione del capitale investito potenzialmente più elevata.
Occorre peraltro precisare come tale prospettiva, ed in particolare la netta distinzione tra equity e debt e, coerentemente, passando dall’oggetto ai soggetti dell’investimento, tra diverse tipologie di stakeholder interessate al primo ovvero al secondo tipo di strumento finanziario, meriti oggi di essere in parte rivisitata
qualità soggettive del sottoscrittore e successiva circolazione dei titoli di cui all’art. 2483, comma 2, cod. civ. Con riguardo ai richiamati provvedimenti, il riferimento corre, più precisamente, al d.l. 22 giugno 2012, n. 83 (c.d. Decreto per la crescita), poi convertito con modifiche sostanziali in l. 7 agosto 2012, n. 134 e ulteriormente modificato con il d.l. correttivo 18 ottobre 2012, n. 179, a sua volta convertito in l. 17 dicembre 2012, n. 221. Sulla medesima materia il legislatore è poi tornato a circa un anno di distanza in due successive occasioni, con il d.l. 13 dicembre 2013, n. 145 (c.d. Decreto destinazione Italia), poi convertito in l. 21 febbraio 2014, n. 9, e con il d.l. 13 giugno 2014
n. 91 (c.d. Decreto competitività).
(5) Si veda, in questo senso, X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari della società per azioni, in Saggi di Diritto Commerciale, collana diretta da X. Xxxxxxxxx, Milano, 1964, 2, secondo cui l’appello al mercato dei capitali di debito, che trova luogo con l’emissione di obbligazioni «si rivolge, come è a tutti noto, non a finanziatori miranti ad ottenere un’alta remunerazione del loro capitale, connessa però ai rischi derivanti dall’andamento della gestione sociale, ma al pubblico dei risparmiatori che desiderano investire le loro disponibilità col minimo rischio, sia quanto al rimborso del capitale che al pagamento delle periodiche utilità», osservando come, proprio per tali sue caratteristiche, l’emissione obbligazionaria rappresenti una delle operazioni maggiormente idonee a realizzare una raccolta capillare o, con espressione ancor più efficace, un vero e proprio “drenaggio” di capitali, potenzialmente di entità assai considerevoli.
alla luce della profonda evoluzione e maturazione che i mercati finanziari hanno conosciuto nell’ultimo decennio, ed in particolare – lo si è già accennato – in ragione della diffusione e del riconoscimento legislativo, da un lato, di (i) strumenti finanziari che, pur qualificandosi come obbligazioni, presentino caratterizzazioni tipiche del capitale di rischio, quali, ad esempio, la clausola di subordinazione di cui all’art. 2411, comma 1, cod. civ. ovvero una remunerazione legata all’andamento economico della società (obbligazioni cc.dd. partecipanti ex art. 2411, comma 2, cod. civ.), e, dall’altro lato, di (ii) strumenti finanziari che, pur forniti dei diritti amministrativi tipicamente riconosciuti agli azionisti, non si qualifichino come azioni ma piuttosto come strumenti finanziari diversi, cc.dd. partecipativi (art. 2346, comma 6, cod. civ.).
Tuttavia, pur dovendosi dare atto delle molteplici varianti e delle diverse combinazioni di equity e debt che possono plasmare ciascuna singola emissione nel rinnovato contesto del diritto azionario e dei mercati finanziari, permane a tutt’oggi la possibilità di identificare le azioni, per un verso, e le obbligazioni (quantomeno nella loro connotazione “semplice” o, per così dire, tradizionale), sul versante opposto, come i due tipi opposti di strumenti finanziari che, per antonomasia, rappresentano – rispettivamente – l’espressione cartolare dell’equity e del debt.
In particolare, focalizzando l’attenzione sulla fattispecie obbligazionaria, per quanto il riconoscimento di obbligazioni subordinate o indicizzate ne renda i contorni assai variabili, potendosi quasi arrivare a dissolvere la linea di confine che la separa dal capitale di rischio, l’obbligazione continua a godere di una indiscutibile autonomia causale e tipologica rispetto agli strumenti di equity, a prescindere da quale sia di volta in volta la concreta declinazione dello strumento obbligazionario (tra quelle astrattamente ammesse dal legislatore), se non altro in considerazione di un elemento pacificamente riconosciuto come caratterizzante ed
imprescindibile: il diritto – per quanto eventualmente subordinato o postergato – al rimborso del capitale investito (6).
Né tale affermazione appare smentita dalla circostanza che il legislatore della riforma abbia espressamente assoggettato alla disciplina delle obbligazioni anche gli strumenti finanziari, comunque denominati, che condizionano «i tempi e l’entità» del rimborso del capitale all’andamento economico della società emittente (art. 2411, comma 3, cod. civ.). Come è stato osservato (7), tali
(6) Efficacemente, è stata adottata in dottrina l’espressione “strumenti finanziari obbligazionari” allo scopo di racchiudervi modelli di provvista finanziaria tra di loro eterogenei ma tutti accomunati da una nozione ampia di obbligo di rimborso a carico dell’emittente, che ricorre tanto nell’obbligazione di tipo classico (intesa come frazione di un rapporto di mutuo collettivo o plurisoggettivo, al più variabile nella remunerazione) quanto negli strumenti finanziari – comunque da qualificarsi come “obbligazionari” – di cui all’art. 2411, commi 1 e 2, cod. civ. Tali ultimi strumenti, infatti, per quanto presentino un obbligo di rimborso subordinato alla previa soddisfazione di altri creditori dell’emittente ovvero una remunerazione variabile o condizionata in dipendenza di parametri oggettivi (anche) relativi all’andamento economico della società, costituiranno pur sempre un’operazione di raccolta fondi con obbligo di rimborso, «secondo una nozione non necessariamente coincidente con l’obbligo di restituzione nel contratto di mutuo, ma comunque espressiva di una funzione di finanziamento»; in questo senso, si veda X. XXXXXX, Gli strumenti finanziari obbligazionari, Milano, 2012, 2 ss.; in senso conforme, si esprime anche X. XXXXXXX, Il finanziamento delle società di capitali, Milano, 2013, 192, secondo cui «la ricorrenza dell’elemento del diritto al rimborso – anche se condizionato – è quello che “fa categoria” e che porta con sé i caratteri normativi essenziali della competenza all’emissione e della esistenza dei limiti di emissione a garanzia di un equilibrato rapporto tra investimento e finanziamento». In senso conforme, si veda anche X. XXXXXXXXX, Le obbligazioni ibride, 46 e 60, che, in maniera del tutto condivisibile, evidenzia come «una più accentuata partecipazione dei creditori alle sorti e al rischio d’impresa della società emittente in virtù del vincolo di subordinazione non pregiudica di per sé la qualificazione del prestito come emissione obbligazionaria ed anzi rientra a tutti gli effetti nella relativa fattispecie normativa» fermo restando che «per quanto subordinate siano le obbligazioni, non si potrà prevedere che esse vengano postergate, nel pagamento degli interessi e, soprattutto, nel rimborso del capitale, alle pretese dei soci della società emittente in ipotesi di liquidazione (volontaria o coatta) di quest’ultima» e neppure si potrà prevedere che tali diritti siano
«soddisfatti pari passu con i diritti dei soci alla quota di riparto» poiché in questi casi «i portatori delle obbligazioni parteciperebbero al rischio d’impresa in misura di fatto equivalente a quella dei soci della società emittente, tanto da porre in discussione la causa di finanziamento dell’operazione e scivolare verso una causa di natura prevalentemente partecipativa».
(7) X. XXXXX XX, Fattispecie societaria e strumenti finanziari, 806 ss.; X. XXXXXX, Gli strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi nelle società per azioni, Torino, 2012, 35 ss.; G. L. XXXXXXXXXX, Art. 2410, in Società di capitali. Commentario a cura di X. Xxxxxxxx – X. Xxxxxx d’Alcontres, Napoli, 2004, 928 ss., secondo cui «se all’autonomia contrattuale è riconosciuta una vasta area di intervento per la creazione di strumenti finanziari “ibridi”, variamente articolati nell’attribuzione di diritti amministrativi e nella modulazione dell’intensità di assunzione del rischio d’impresa, le sole obbligazioni mantengono gli elementi essenziali inerenti alle operazioni di raccolta del capitale di credito: la durata limitata rispetto al contratto sociale, la previsione, naturaliter, del rimborso della somma finanziata e del corrispettivo (“rendimento”) per il finanziamento»; in senso parzialmente difforme, X. XXXXXXXXX, Le obbligazioni ibride, 78 ss., il quale evidenzia come la fattispecie “innominata” di cui all’art. 2411, comma 3, cod. civ. appaia
strumenti non ampliano il concetto tipologico di obbligazione, che continua a designare tutti – e soltanto – quegli strumenti che non esprimano alcuna partecipazione al rischio della mancata restituzione del capitale investito in dipendenza dell’andamento dell’impresa sociale. Semmai, accanto al profilo tipologico viene a delinearsi un concetto normativo di obbligazione, che abbraccia tutti gli strumenti finanziari sottoposti alla relativa disciplina, comprensivo quindi non solo delle obbligazioni in senso proprio (ossia quelle rappresentative di un’operazione di prestito con obbligo di rimborso) ma anche degli strumenti, comunque denominati, che non garantiscano un diritto alla restituzione del capitale, essendo quest’ultimo condizionato all’andamento economico dell’emittente.
In altri termini, diversamente da quanto accade nel caso delle azioni e più in generale degli strumenti che “partecipino” al rischio d’impresa, l’emissione obbligazionaria realizza pur sempre un’operazione di prestito (e – come si avrà modo di evidenziare nel presente lavoro – è lo stesso legislatore a definirla come tale nella disciplina sull’organizzazione degli obbligazionisti), riconducibile sotto il profilo civilistico, guardando cioè al rapporto contrattuale che viene ad instaurarsi tra società ed obbligazionisti, ad una causa mutuatizia e volta a soddisfare il bisogno di capitale, di debito ma tendenzialmente a medio e lungo termine, da parte dell’emittente.
Già tali preliminari rilievi sulle caratteristiche del prestito obbligazionario lasciano intuire quanto diversa possa essere la relazione contrattuale che si innesta tra società ed obbligazionisti, quali parti contrapposte di un rapporto di credito, rispetto al legame intercorrente tra la stessa società e i suoi azionisti: questi ultimi,
ben più ampia rispetto a quella obbligazionaria – tipologicamente intesa – e non possa escludersi tout court che, tra le molteplici varianti possibili, la stessa possa assumere anche la foggia di obbligazioni vere e proprie. In particolare, ponendo il caso “limite” di uno strumento finanziario
c.d. perpetuo, cioè che si caratterizzi per una durata particolarmente lunga, anche eventualmente coincidente con quella della società emittente, e preveda altresì una clausola di subordinazione ex art. 2411, comma 1, cod. civ., si verserebbe, secondo l’Autore citato, in una fattispecie qualificabile «sì come obbligazione subordinata, ma anche come strumento il cui rimborso dipenda, nel tempo (lunga durata) e nell’entità (spiccata subordinazione) dall’andamento della società emittente». Per ulteriori riferimenti bibliografici in materia di strumenti cc.dd. irredimibili o perpetui, si rinvia alla successiva nota 44.
prendendo parte al contratto sociale, si rendono altresì compartecipi dell’iniziativa imprenditoriale comune e dei rischi alla stessa connessi e conseguenti.
Basti osservare che, se l’interesse del singolo azionista non può confliggere con l’interesse sociale, e laddove ciò avvenga la deliberazione assembleare che risulti deviata dall’interesse confliggente del socio sarà impugnabile a norma dell’art. 2373 cod. civ., l’interesse dell’obbligazionista, specie nell’esercizio dei diritti allo stesso attribuiti quale titolare dello strumento obbligazionario (8) e dunque creditore della società, ben potrà essere – e verosimilmente il più delle volte sarà
– divergente da, se non del tutto contrapposto a, quello proprio della società medesima, sua debitrice.
Piuttosto, è tra gli stessi sottoscrittori e portatori delle obbligazioni emesse nell’ambito della medesima operazione di prestito che, per via della regolamentazione uniforme dei titoli nei quali il prestito è frazionato, viene ad instaurarsi una spiccata comunanza di interessi, derivante dalla piena omogeneità dei termini e delle condizioni che disciplinano il loro rapporto con la società debitrice, per quanto ciascun obbligazionista rimanga titolare di una sua propria ed individuale posizione di credito nei confronti della società emittente (9).
(8) Tale affermazione non ha, peraltro, una portata assoluta, dovendo invece essere ridimensionata qualora l’emissione obbligazionaria sia caratterizzata da clausole in grado di incidere sulla posizione dei titolari delle obbligazioni emesse così da approssimarla a quella propria dell’azionista o comunque dei portatori di strumenti di equity, soprattutto in presenza di situazioni di crisi ovvero di temporanea difficoltà economico-finanziaria dell’emittente. Basti pensare, ad esempio, al caso in cui il regolamento di emissione del prestito preveda una clausola di subordinazione ai sensi della quale i diritti di credito degli obbligazionisti, a titolo di restituzione del capitale e di pagamento degli interessi, siano integralmente subordinati alla previa soddisfazione di tutti gli altri creditori della società emittente. È evidente che, in tali ipotesi, la posizione degli obbligazionisti potrebbe, per più concorrenti ragioni (prima fra tutte quella di essere esposti alle nefaste conseguenze di un eventuale fallimento della società prima ed in misura potenzialmente più rilevante di ogni altro creditore non egualmente subordinato dell’emittente) ritenersi in una certa misura allineata a quella propria degli azionisti più che a quella degli altri creditori che vantino nei confronti della società posizioni di credito garantite o comunque antergate rispetto a quelle dei primi.
(9) Di indiscutibile attualità restano al riguardo le chiarissime pagine di G. F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, in Trattato delle società per azioni diretto da G. E. Colombo e G. B. Portale, 5, Controlli. Obbligazioni, Torino, 1988, rist. 1998, 487 ss., ove si evidenzia come tale situazione di comunanza di interessi, frazionati in una pluralità di posizioni individuali, ciascuna delle quali rappresentativa di un credito tendenzialmente esiguo, unitamente al lungo arco di tempo in cui il rapporto è normalmente destinato a svolgersi, renda necessaria la predisposizione di forme di coordinamento sul piano legislativo «al duplice ma non contrastante fine di assicurare una più
A ciò si aggiunga che la (tendenzialmente) modesta entità di ciascuna singola posizione di credito, l’incorporazione di tali posizioni in titoli che ne agevolano la circolazione e quindi il potenziale mutamento – anche in misura rilevante lungo la vita del prestito – dei soggetti finanziatori, così come la potenziale (e verosimile) dispersione dei titoli tra un numero significativo di soggetti, sono tutte caratteristiche proprie delle operazioni di prestito obbligazionario che fanno emergere l’esigenza di un coordinamento legislativo dei diversi, concorrenti ed, in alcuni casi, contrapposti, centri di interesse che vengono a svilupparsi in tale contesto.
Così, per contemperare i plurimi interessi coinvolti il legislatore ha dettato per gli obbligazionisti – ma anche, di riflesso, per la stessa società emittente – una specifica disciplina organizzativa, ai sensi della quale i sottoscrittori del prestito obbligazionario, al pari di ogni loro successore o avente causa, anche a seguito della circolazione dei titoli sul mercato, sono costituiti in una organizzazione di categoria, dotata di determinati poteri e competenze “di gruppo”.
Secondo la più diffusa ed accreditata lettura della disciplina (10), la stessa risponderebbe non solo all’esigenza di (a) coordinare le posizioni individuali dei
efficace tutela degli obbligazionisti e di agevolare, ove l’evolversi della situazione dell’emittente lo renda necessario, accordi modificativi delle originarie condizioni del prestito».
(10) G. F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, 488; ID., Gli strumenti di finanziamento: le obbligazioni, in Il diritto delle società per azioni: problemi, esperienze, progetti, a cura di X. Xxxxxxxxx – X. Xxxx, Milano, 1993, 243; A. DE VITA, La disciplina delle obbligazioni in Europa, in Società, 1991, 357; X. XXXXXXX, Artt. 2415-2420, in Obbligazioni - Bilancio a cura di X. Xxxxxx e L.A. Xxxxxxx, in Commentario alla riforma delle società diretto da P. G. Xxxxxxxxx e L. A. Bianchi - X. Xxxxxx - X. Xxxxxx, Milano, 2006, 205. Secondo altro orientamento, la disciplina dell’organizzazione degli obbligazionisti appare invece fortemente sbilanciata a favore dell’emittente e primariamente finalizzata a facilitarne la libertà di manovra, pur a fronte di una massa rilevante di creditori; ciò anche in considerazione dell’influenza riverberatasi sulla disciplina codicistica delle scelte già precedentemente effettuate dal legislatore per regolare la posizione degli obbligazionisti nelle situazioni di insolvenza, sfociate in una prima embrionale forma di organizzazione nella disciplina del concordato preventivo (e precisamente, negli artt. 25 e ss. della l. n. 197 del 24 maggio 1903). In particolare, secondo un’autorevole opinione, limitando l’autonomia dei singoli obbligazionisti, la disciplina consentirebbe essenzialmente all’emittente di
«più agevolmente ottenere da un’assemblea deliberante a maggioranza ciò che le sarebbe, altrimenti, assai arduo ottenere da ciascuno degli obbligazionisti» (così, X. XXXXXXX, La società per azioni, in Tratt. Dir. comm. e dir. pubbl. ec. diretto da X. Xxxxxxx, VII, Padova, 1988, 403); in senso conforme, si vedano anche X. XXXXXX, Le opposizioni dei creditori nel diritto delle società, Milano, 1978, 173 ss. e X. XXXXXXXXX, Azioni di diritto comune e diritti individuali degli azionisti, in Riv. dir. comm., 1952, I, 12 ss.). Diversa appare la posizione di X. XXXXXXXXXX, Diritti
singoli obbligazionisti al fine di assicurarne una più efficace tutela nei confronti della società emittente, ma anche all’obiettivo di (b) consentire alla società di instaurare un dialogo unitario con la collettività degli obbligazionisti, piuttosto che con ciascun singolo obbligazionista, così da potere più agevolmente modificare od aggiornare le condizioni del prestito, ove ciò si renda necessario durante la vita dell’operazione alla luce del progressivo evolversi della relativa situazione economico-finanziaria, specie tenuto conto della natura di organismo produttivo – per definizione in costante evoluzione – propria del soggetto finanziato (11).
Muovendo da tali prime considerazioni, si potrebbe dire che la disciplina relativa all’organizzazione degli obbligazionisti intenda assicurare un equilibrio tra gli interessi, variamente compositi, che di regola vengono in rilievo quando una società per azioni decida di indebitarsi nei confronti del “pubblico” (intendendosi per tale una cerchia potenzialmente vasta e non previamente individuata di soggetti) avvalendosi della facoltà di emettere obbligazioni.
In questa prospettiva, più oltre indagata in maggior dettaglio, l’istituzione di una organizzazione di gruppo ex lege potrebbe essere anche espressione di interessi ed
individuali degli azionisti privilegiati e degli obbligazionisti, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1952, 115 ss., secondo cui, per quanto l’organizzazione degli obbligazionisti sia tipicamente introdotta nelle legislazioni moderne per meglio tutelare gli interessi degli obbligazionisti medesimi, di fatto, per il modo in cui la disciplina è stata introdotta nell’ordinamento italiano, la stessa ha finito col peggiorare la loro posizione individuale. In maniera del tutto condivisibile, a tali posizioni si è tuttavia obiettato che, semmai, il potere dispositivo riconosciuto al gruppo, specie in ordine alle modifiche delle condizioni del prestito ex art. 2415, comma 1, n. 2, cod. civ., realizza anche l’interesse della società, liberandola dalla necessità di ottenere il previo consenso di ciascun obbligazionista. Non è tuttavia possibile revocare in dubbio che una proposta di modifica delle condizioni del prestito favorevole alla società potrà essere approvata «solo se ricorrano circostanze obiettive che rendano ciò utile per gli obbligazionisti […]. Il vantaggio per la società debitrice può concorrere ma non può essere né esclusivo né determinante» (così, G. F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, 488); in senso conforme si vedano anche X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 200, e X. XXXXXX, Gli obbligazionisti nel concordato della società, Milano, 1981, 48-50; secondo tale ultimo Autore, anche sulla base di un riesame dei lavori preparatori al codice civile, «con l’organizzazione degli obbligazionisti viene resa possibile una difesa in forma collettiva, e non più individuale, degli interessi degli obbligazionisti; in questo modo si ha una protezione più efficace e un rafforzamento della posizione degli stessi».
(11) In questo senso, G. F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, 487.
esigenze di tutela ultra partes (12), che – seppure estranei alla posizione contrattuale e soggettiva dei singoli obbligazionisti e della società emittente – il legislatore avrebbe comunque considerato meritevoli di protezione in coerenza con l’impianto complessivo del diritto azionario. Si tratta, in particolare, dell’interesse generale dei creditori sociali (diversi dagli obbligazionisti) che, sebbene terzi rispetto al rapporto di prestito obbligazionario, nutrono un evidente e certamente legittimo interesse affinché la struttura finanziaria della società debitrice, ove si avvalga del “privilegio” di finanziarsi creando ed offrendo sul mercato dei capitali i propri titoli obbligazionari, assicuri alla società medesima gli strumenti per interloquire con la propria controparte (marcatamente plurisoggettiva) in relazione alle vicende del credito ed essere così in grado, ad esempio, di proporre agli obbligazionisti di aggiornarne nel tempo le condizioni, possibilità di fatto negata qualora si richiedesse all’emittente di rintracciare ciascun portatore dei titoli ed instaurare un dialogo con ognuno di essi. La considerazione di tali ulteriori interessi potrebbe assumere un rilievo determinante sotto il profilo della qualificazione, se non dell’intera disciplina organizzativa degli obbligazionisti, almeno di talune delle singole disposizioni che la compongono, le quali – ove dettate per la protezione di interessi diffusi o comunque ultra partes – assumerebbero una rilevanza (anche) esterna, così sottraendosi alla disponibilità delle parti del prestito sottostante all’emissione obbligazionaria.
(12) Secondo X. XXXXXXXXX, Problemi in tema di titoli, 29, le norme dettate dal codice civile in materia di obbligazioni «non sono poste solo a tutela degli obbligazionisti; sono poste innanzitutto a tutela degli altri creditori della società e per ragioni di ordine pubblico». Secondo X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 38 e 202-204, «sulla natura imperativa [delle norme sull’organizzazione degli obbligazionisti] non pare possano esservi dubbi», sul presupposto che le forme legali (e non convenzionali) di organizzazione attesterebbero «il progressivo affermarsi della rilevanza sociale degli interessi degli obbligazionisti, in ordine ai quali si è sempre più avvertita una esigenza di tutela suggerita da sfiducia nel diretto governo di tali interessi da parte dei titolari. Questa tendenza […] si inquadra in un generale orientamento dei vari legislatori a penetrare nei rapporti privati a scopo di difesa dei contraenti deboli». Sul tema della imperatività ovvero derogabilità della disciplina organizzativa in esame, ci si soffermerà più ampiamente nel prosieguo del presente lavoro, ed in particolare nei paragrafi 3 e 4 del successivo Capitolo II.
2. Individuazione dell’ambito di indagine.
È dunque nel più ampio contesto dell’articolazione e della potenziale interferenza dei plurimi centri di interesse individuati in premessa che, andando a colmare una evidente e da più parti segnalata lacuna del previgente codice di commercio del 1882 (13), si innesta la disciplina organizzativa degli obbligazionisti di cui agli articoli da 2415 a 2420 cod. civ. ai sensi della quale questi ultimi sono costituiti ex lege in un «gruppo unitario nel comune interesse dei singoli che lo compongono» (14).
Sotto l’egida del miglior perseguimento del comune interesse, il “gruppo” obbligazionario è stato così provvisto di veri e propri organi (15), consistenti in un’assemblea di categoria (art. 2415 cod. civ.), dotata – come meglio si dirà a breve – di una serie di competenze che le consentono di porsi quale interlocutore unico della società emittente su determinate materie, nonché di un rappresentante comune (art. 2417 cod. civ.), al quale è attribuita non solo la funzione di eseguire le delibere assunte dalla predetta assemblea, ma anche il compito di tutelare – ancora una volta – gli «interessi comuni» (art. 2418, comma 1, cod. civ.) degli obbligazionisti nei rapporti con la società emittente, anche in sede fallimentare
(13) Tra gli studiosi che vivamente auspicavano l’introduzione di una disciplina legislativa in relazione all’organizzazione degli obbligazionisti meritano in particolare di essere ricordati Xxxxxxx e Navarrini i quali, già sotto il vigore del codice di commercio e sul modello delle scelte operate in altri Paesi, avevano messo in luce la necessità di un coordinamento collettivo delle posizioni individuali degli obbligazionisti (si vedano, in particolare, le ancora attuali pagine di C. VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, II, Le società commerciali, Milano, 1929, 341 ss. e di
X. XXXXXXXXX, Delle società e delle associazioni commerciali, Milano, 1924, 731 ss.).
(14) Cfr. Relazione al codice civile, § 987.
(15) Salve le diverse posizioni sul rapporto tra gli organi rappresentativi del gruppo obbligazionario e la struttura ed articolazione organica interna della società emittente, su cui ci si tornerà nel § 5 del successivo Capitolo II, la qualificazione giuridica dell’assemblea degli obbligazionisti e del rappresentante comune come “organi” – dopo qualche iniziale esitazione – appare ormai pacifica, con l’effetto, tra l’altro, che gli atti compiuti da tali organi saranno direttamente imputabili al gruppo obbligazionario e che quest’ultimo sarà direttamente responsabile degli eventuali illeciti commessi dal rappresentante comune nell’esercizio delle sue funzioni. Sul punto, si vedano, tra gli altri, X. XXXXXXXXX, Il rappresentante comune degli obbligazionisti, in Riv. dir. comm., 1968, I,
138 ss.; X. XXXXX, La tipicità delle società, Padova, 1974, 226; G. F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, 509; ma anche, più di recente, X. XXXXXXX, Artt. 2415-2420, 205.
ovvero nell’ambito delle procedure di composizione concordata della crisi d’impresa (16).
Le competenze dell’assemblea degli obbligazionisti, organo avente funzioni di natura essenzialmente deliberativa (atteso che – come appena ricordato – tanto l’esecuzione delle delibere, quanto la tutela sostanziale e la rappresentanza processuale degli obbligazionisti per la tutela dei comuni interessi sono attribuite al rappresentante comune), sono individuate nel primo comma dell’art. 2415 cod. civ., che, da un lato, prevede un criterio di competenza di carattere generale (art. 2415, comma 1, n. 5), e, dall’altro lato, elenca analiticamente una serie di specifiche materie in ordine alle quali l’assemblea è competente a deliberare secondo il principio maggioritario, vincolando tutti gli obbligazionisti ancorché assenti, astenuti o dissenzienti (art. 2415, comma 1, nn. 1-4).
Muovendo dal criterio di carattere generale, la norma di chiusura contenuta nell’art. 2415, comma 1, n. 5, attribuisce all’assemblea la competenza a deliberare su qualsiasi materia «di interesse comune degli obbligazionisti»: tale categoria, se per un verso si sottrae ad una compiuta analisi casistica, per altro verso – anche
(16) Sulla base del primo comma dell’art. 2418 cod. civ. si tende a riconoscere al rappresentante comune una sfera di autonomia nell’attuazione della tutela degli interessi comuni degli obbligazionisti. Secondo l’opinione prevalente, infatti, il rappresentante comune non è unicamente organo esecutivo delle decisioni assembleari ma è anche investito di poteri deliberativi in funzione della migliore tutela degli interessi collettivi. In questo senso, si vedano G. F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, 514 ss.; X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 254 ss.; X. XXXXXX, Gli obbligazionisti nel concordato, 74 ss.; X. XXXXXXXXXX, L’organizzazione degli obbligazionisti, 185 ss.; X. XXXXXXXXX, Il rappresentante comune, 149; e, per ulteriori riferimenti bibliografici in argomento, cfr. X. XXXXXX, Le società per azioni. Obbligazioni, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale fondata da X. Xxxxxxx, Torino, 2000, 426 ss.). Si è peraltro precisato che la libertà deliberativa del rappresentante comune resta comunque circoscritta dalle competenze specificamente attribuite all’assemblea dall’art. 2415, comma 1, nn. 1-4, cod. civ., con la conseguenza che – ad esempio – il rappresentante comune non potrebbe assumere iniziative da cui possa derivare una modificazione delle originarie condizioni del prestito, né aderire a proposte di concordato, in mancanza di previa approvazione assembleare; per contro, con riguardo alla categoria residuale delle materie di interesse comune di cui al n. 5 della richiamata disposizione, si realizzerebbe una competenza concorrente tra assemblea e rappresentante comune, fermo restando che le deliberazioni assunte dalla prima prevalgono sulle eventuali iniziative intraprese dal secondo, tenuto invece a dare esecuzione alla volontà assembleare (in questo senso, G. F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, 514-515). Secondo X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 254-255, occorre peraltro distinguere tra «azioni che consentono un esperimento sia individuale che collettivo, e azioni che consentono solo un esperimento collettivo», ritenendo che «mentre le azioni rivolte contro i terzi possono essere deliberate dal r.c., per il promovimento di azioni contro la società o contro i suoi amministratori sia sempre necessaria la deliberazione dell’assemblea».
valorizzando il tenore testuale della norma, che fa espressamente riferimento ad “altri” oggetti di interesse comune – assume un pregnante significato sul piano sistematico, in quanto serve a precisare che il potere deliberativo del gruppo, riunito in assemblea, deve sempre intendersi funzionale al perseguimento di un interesse comune ed in ciò trovi il proprio limite (17).
In questo senso, anche le altre categorie analiticamente individuate dall’art. 2415 dovrebbero intendersi come una specificazione di alcune delle materie nelle quali in concreto può manifestarsi l’interesse comune degli obbligazionisti, per quanto – come si avrà modo di argomentare nel successivo § 3 del presente Capitolo – quando poi si è trattato di delineare in concreto il perimetro di specifiche competenze attribuite all’assemblea, così da tracciare una chiara linea di confine tra diritti collettivi (o, più propriamente, esercitabili a maggioranza) e diritti individuali degli obbligazionisti, il richiamo alla nozione di «interesse comune» non è parso risolutivo. In assenza di puntuale definizione legislativa (18), è infatti sullo stesso significato di tale ultima locuzione che a monte non si riscontra unanimità di vedute (19).
(17) In questo senso, si vedano, tra gli altri, X. XXXXX, Le società, in Trattato di diritto civile italiano fondato da X. Xxxxxxxx, vol. X, Torino, 1985, 509; X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 223 ss.; G. F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, 488; R. CAVALLO BORGIA, Società per azioni. Tomo IV. Delle obbligazioni, in Commentario del Codice Civile Scialoja – Branca, a cura di X. Xxxxxxx, 2005, 151; X. XXXXXXXXXX, L’organizzazione degli obbligazionisti, Milano, 2008, 98.
(18) Nella disciplina dell’organizzazione degli obbligazionisti, l’espressione «interesse comune» è piuttosto ricorrente (così in relazione ai poteri dell’assemblea, come appena visto, ma anche in relazione ai poteri del rappresentante comune ex art. 2418, commi 1 e 2, cod. civ.). Tuttavia – lo si è già osservato – manca una precisa qualificazione dell’interesse comune sul piano legislativo, essendo così rimesso all’interprete il compito di individuare come lo stesso debba essere inteso.
(19) Basti osservare – anticipando solo in parte quanto si dirà più in dettaglio nel successivo § 3.1 – che, se una linea di pensiero ritiene vi sia sostanziale coincidenza tra l’interesse comune degli obbligazionisti, cui l’art. 2415 cod. civ. fa espressamente riferimento, e «l’interesse tipico di creditore al puntuale rispetto degli obblighi assunti da parte della società» (così, X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 34), secondo altro orientamento, più incline ad affermare la sensibilità di tale interesse alle vicende della vita sociale, l’interesse comune si esplicherebbe «nella tutela in forma unitaria dell’adempimento di obbligazioni globalmente assunte dalla società emittente verso il gruppo» (così, X. XXXXXXXXX, Il rappresentante comune, 127); in questo senso, l’interesse del gruppo si qualificherebbe come «l’interesse a che permanga inalterata l’uniformità e l’unitarietà delle posizioni individuali derivanti dalla titolarità delle obbligazioni, e cioè l’interdipendenza delle singole posizioni stesse, proprio perché tale sussistenza assicura che le pretese creditorie dei singoli vengano soddisfatte dalla società in maniera egualitaria (così, X. XXXXXXXXXX, L’organizzazione degli obbligazionisti, 28). Appare sin da subito evidente che se si prende a
Venendo ora alle categorie specifiche di competenza, può osservarsi come – oltre a due materie di carattere strumentale rispetto alla stessa possibilità di funzionamento dell’organizzazione di gruppo, vale a dire (i) la nomina e revoca del rappresentante comune (art. 2415, comma 1, n. 1) e (ii) la costituzione di un fondo spese collettivo volto, nuovamente, alla tutela degli interessi comuni (art. 2415, comma 1, n. 4) – si prevedano due ulteriori attribuzioni che attengono direttamente alla sfera dei diritti sostanziali vantati da ciascun obbligazionista nei confronti dell’emittente, e precisamente la competenza a deliberare: (iii) in ordine alle «modificazioni delle condizioni del prestito» (art. 2415, comma 1, n. 2), nonché (iv) sulla proposta di concordato avanzata dalla società (art. 2415, comma 1, n. 3), che a sua volta comporta – di regola – una rilevante modifica (prima tra tutti, l’eventuale falcidia del credito) dei diritti incorporati nei titoli obbligazionari.
riferimento la nozione di «interesse comune » al fine di individuare, ad esempio, in via concreta ed analitica quali tra le possibili modificazioni delle originarie condizioni del prestito possano essere oggetto di deliberazione a maggioranza ai sensi dell’art. 2415, comma 1, n. 2, cod. civ. e quali invece debbano intendersi sottratte alla competenza assembleare in quanto attratte, secondo i generali princìpi del diritto contrattuale, dalla sfera dei diritti individuali di ciascun singolo obbligazionista, l’appiattimento dell’interesse comune a quello tipico di ciascun creditore dell’emittente ai sensi di un prestito obbligazionario (id est, quello ad ottenere puntuale soddisfazione delle ragioni di credito vantante ai sensi dei titoli posseduti) porterebbe ad escludere tutte quelle modificazioni che, per se considerate, alterino o comunque modifichino in peius tali ragioni di credito. Per contro, se l’interesse comune coincide con l’esigenza di mantenere una tutela unitaria dei diritti incorporati in tutti i titoli emessi nel contesto della medesima operazione, allora le maglie della competenza assembleare in ordine alle modificazioni del prestito possono espandersi potenzialmente in via illimitata, ricomprendendovi anche modifiche peggiorative dei diritti individuali di credito degli obbligazionisti, ove approvate dalle maggioranze di legge con effetto vincolante per tutti gli obbligazionisti (ancorché dissenzienti ma in minoranza) così da assicurare che tutte le posizioni di credito rappresentante nei singoli titoli facenti parte della medesima emissione obbligazionaria siano egualmente interessate dalle modifiche approvate in via assembleare e sia pertanto salvaguardata la piena uniformità del trattamento delle pretese creditorie dei singoli. Ed in questo senso, si veda, infatti, X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 228- 230; X. XXXXXXXXX, Il rappresentante comune, 128 ss.; X. XXXXXX, Le obbligazioni convertibili, 38; R. CAVALLO BORGIA, Società per azioni. Tomo IV. Delle obbligazioni, 132-134. Su tale orientamento, che non si ritiene di poter condividere del tutto e rispetto al quale si rendono necessari alcuni correttivi quando poi si tratti di alterare la stessa causa, ovvero gli elementi essenziali e tipologici, del rapporto di prestito, si tornerà, più ampiamente, nel successivo § 3 del presente Capitolo. Per una efficace sintesi dei contorni che la nozione di interesse comune ha assunto secondo le diverse ricostruzioni dottrinali, si veda anche X. XXXXXX, Le società per azioni, 362 -364.
Il potere di modificare le originarie condizioni del prestito costituisce indubbiamente il punto più delicato della disciplina per il rischio, ampiamente avvertito dagli interpreti (20), di abusi da parte della maggioranza in danno degli obbligazionisti di minoranza. In tal modo, si ammette infatti che, con deliberazione assembleare maggioritaria, possano essere accolte proposte di modifica avanzate dall’emittente, eventualmente anche in peius rispetto alle originarie condizioni del prestito (ad esempio, a fronte di momentanee situazioni di crisi o comunque di un deterioramento delle relative condizioni economico- finanziarie rispetto a quelle esistenti al momento dell’emissione). In tali circostanze, la deliberazione assembleare di accoglimento della proposta di modifica andrebbe così a sostituirsi al consenso che la società avrebbe dovuto raccogliere, secondo i generali princìpi del diritto dei contratti, da ciascun singolo obbligazionista, da esprimersi nelle forme di cui all’art. 1326 cod. civ.
Appare evidente come tale aspetto della normativa, che più di ogni altro devia dai comuni princìpi di diritto contrattuale, dia maggiore enfasi all’antitesi tra gruppo e individuo, in quanto viene a determinarsi una potenziale preminenza (21) del gruppo degli obbligazionisti rispetto alle posizioni individuali degli stessi e, conseguentemente, una possibile compressione dei diritti individuali degli obbligazionisti (ovvero, riprendendo un’espressione diffusa nell’ordinamento anglosassone, una «oppression of minority» (22)), specie laddove dissentano dalle modifiche proposte ma siano in minoranza rispetto alla collettività rappresentata
(20) Cfr., in questo senso, X. XXXXXXXX, Diritto delle società, Napoli, 1963, 424; G. F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, 496; X. XXXXXXX, Artt. 2415-2420, 219.
(21) In tal senso, si veda X. XXXXXX, Gli obbligazionisti nel concordato, 44, secondo cui tale preminenza sarebbe proprio il risultato del combinato disposto dell’art. 2415, comma 1, n. 2, cod. civ. e dell’art. 2419 cod. civ. In particolare, l’Autore ritiene che «l’organizzazione degli obbligazionisti ha la preminenza rispetto alle posizioni individuali degli stessi, come risulta dall’art. 2419 c.c., secondo cui le azioni individuali degli obbligazionisti sono precluse se incompatibili con le deliberazioni dell’assemblea, previste dall’art. 2415 c.c., e dall’art. 24151, n. 2, c.c.», non mancando tuttavia di precisare – e tale considerazione va senz’altro condivisa – che tale preminenza debba ritenersi più o meno marcata a seconda del modo in cui si interpreti la disposizione da ultimo richiamata. In senso conforme, si vedano anche X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 35 e X. XXXXX, recensione a X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 159.
(22) Su tale fattispecie, di matrice giurisprudenziale, si soffermerà più ampiamente l’attenzione nel
§ 4.2 del Capitolo II.
in assemblea. La misura di tale preminenza è poi strettamente connessa al significato che si intenda attribuire all’art. 2415, comma 1, n. 2, risultando tanto più marcata quanto più si allarghino sul piano interpretativo le maglie della competenza assembleare in discorso.
Come si avrà modo di vedere in maggior dettaglio nel successivo § 3, le posizioni espresse in argomento sia dalla dottrina, sia dalla giurisprudenza non sono state affatto univoche nel corso del tempo. Anticipando però alcune delle considerazioni che saranno più ampiamente svolte in seguito, si può sin da ora affermare che, accanto ad un orientamento che ha proposto una lettura decisamente ampia della previsione in discorso (23), si riscontra nella gran parte degli interpreti che si sono interrogati circa l’esatta portata di tale competenza assembleare la tendenza a reagire all’anomalia rispetto al principio generale di autodeterminazione contrattuale restringendone per quanto possibile il perimetro applicativo ed escludendovi gli aspetti essenziali o tipizzanti del prestito quali, ad esempio, il diritto di ciascun obbligazionista al pagamento degli interessi e al rimborso del capitale oppure la conversione forzata del prestito in capitale di rischio dell’emittente (24).
La tendenza interpretativa appena richiamata appare ancora più condivisibile oggi (specie sotto il profilo dell’inquadramento sistematico della disciplina) alla luce della progressiva evoluzione della legislazione italiana – ed in particolare il riferimento corre alle novità più di recente introdotte nel c.d. diritto della crisi d’impresa con cui la normativa dell’organizzazione degli obbligazionisti presenta significativi profili di intersezione (25) –, ma anche in considerazione del dato comparatistico e dei più recenti sviluppi giurisprudenziali conosciuti da alcuni dei
(23) X. XXXXX, Le società, 509; X. XXXXXXXXX, Il rappresentante comune, 129; X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 227.
(24) Tra gli altri, G. F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, 496 ss.; X. XXXXXXX – X. XXXXXXXXXXX, Società di capitali, II, Torino, 2006, 175 ss.; X. XXXXXXXX, Xxxxx xx xxxxxxx xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 34; X. XXXXXXXXX, Obbligazioni, in X. Xxxxxxx – X. Xxxxxxxxx – X. Xxxxxxxx – X. Xxxxxxxxxx, Le società per azioni, in Trattato di diritto commerciale, diretto da X. Xxxxxxx, IV, Padova, 2010, 885 ss.; X. XXXXXXX, Artt. 2415-2420, 215 ss.; X. XXXXXX, Gli strumenti finanziari obbligazionari, 95 ss.; X. XXXXXXXXXX, L’organizzazione degli obbligazionisti, 115 ss.
(25) Su tali novità si soffermerà l’attenzione nel successivo § 4.
Paesi finanziariamente più evoluti proprio sul tema del conflitto tra collective right e individual right nel contesto di emissioni obbligazionarie (26).
Nondimeno, una volta individuato il perimetro (ed i limiti) della competenza assembleare secondo il percorso metodologico appena tracciato, il punto nodale della ricostruzione – che allo stato non risulta essere stato oggetto di considerazione specifica e su cui il presente lavoro si vuole soffermare – è se tale regola di competenza sia o meno espressione di una norma di carattere imperativo, come tale indisponibile alle parti del rapporto obbligazionario. In altri termini, assumendo per un momento che non tutti i termini e le condizioni del prestito obbligazionario possano essere modificati a maggioranza secondo la corretta interpretazione dell’art. 2415, comma 1, n. 2, cod. civ., occorre verificare se tale possibilità possa comunque essere recuperata sul piano convenzionale ed essere così oggetto di regolamentazione pattizia.
Più precisamente, si tratta di verificare se il regolamento di emissione possa attribuire espressamente all’assemblea degli obbligazionisti competenze ulteriori rispetto a quelle individuate dall’art. 2415 cod. civ. e segnatamente – con riguardo alle modificazioni delle condizioni del prestito – se l’autonomia contrattuale delle parti dell’operazione di prestito (vale a dire, società emittente e sottoscrittori del prestito obbligazionario) possa anche ricondurre tra le competenze dell’assemblea quei diritti e posizioni individuali che, in mancanza di una espressa manifestazione di volontà in tal senso da parte dei soggetti interessati, si ritiene debbano permanere nella disponibilità individuale di ciascuno di essi.
La soluzione del quesito proposto impone tuttavia di svolgere una preliminare analisi circa la stessa natura della disciplina relativa all’organizzazione degli obbligazionisti, in considerazione degli interessi che in essa vengono in rilievo e, quindi, in merito alla possibilità per le parti del rapporto obbligazionario di disporvi, anche in deroga all’assetto ed alle linee di equilibrio già tratteggiati dal legislatore.
(26) All’esame di tali profili sarà dedicato il successivo § 5.
La possibilità di riconoscere spazi di intervento dell’autonomia contrattuale nella materia qui considerata presuppone, infatti, il superamento di un duplice onere dimostrativo: da un lato – lo si è già anticipato in premessa – occorre appurare che la deroga ipotizzata (vale a dire, l’ampliamento pattizio delle competenze assembleari) non pregiudichi in qualche modo interessi ultra partes, di cui siano quindi portatori soggetti terzi rispetto alle parti del rapporto obbligazionario, eventualmente protetti dal legislatore per ragioni di ordine pubblico economico, e dunque sottratti alla disponibilità dell’emittente e dei suoi obbligazionisti; dall’altro lato, ove il primo onere dimostrativo sia positivamente assolto, occorrerà verificare che gli interessi privati delle parti, per quanto unicamente ascrivibili alla loro sfera giuridica soggettiva, siano per le stesse disponibili e non appaiano invece parimenti sottratti alla loro libertà contrattuale allo scopo di assicurarne una migliore tutela ed un più equilibrato contemperamento sul piano legislativo.
Per potere svolgere compiutamente tale analisi, sarà quindi necessario soffermarsi preliminarmente sulla ratio e sugli interessi coinvolti nell’intera disciplina sull’organizzazione degli obbligazionisti, posto che l’esame isolato di uno soltanto – sia pure tendenzialmente il più significativo – dei profili di tale esiguo, ma parimenti complesso, articolato porterebbe verosimilmente alla luce più interrogativi che non soluzioni. Assumendo infatti per un momento che la ricostruzione induca a sostenere la derogabilità della norma di competenza di cui all’art. 2415, comma 1, n. 2, cod. civ., in mancanza di una esaustiva ricostruzione degli interessi protetti dalla disciplina organizzativa e di una più estesa indagine su eventuali profili imperativi ed inderogabili della stessa, ben ci si potrebbe chiedere se ad analoga conclusione possa allora pervenirsi anche con riguardo ad altri rilevanti segmenti di disciplina, quali, ad esempio, l’iter e i quorum assembleari, la nomina del rappresentante comune ma persino, e più a monte, la stessa esistenza dell’organizzazione e degli organi di cui la stessa si avvale.
In altri termini, sviluppando ulteriormente la riflessione si perviene inevitabilmente al più radicale interrogativo se le parti del rapporto
obbligazionario non siano libere di rinunziare tout court – per via convenzionale – allo schema organizzativo di legge, soprattutto qualora una simile iniziativa sia volta a sostituire detto schema con un assetto contrattuale meglio confacente alle caratteristiche proprie di una determinata emissione. Un’esigenza, quest’ultima, tutt’altro che puramente teorica ed anzi piuttosto ricorrente e di indiscutibile rilevanza pratica anche nelle emissioni sui mercati di capitali esteri da parte di società italiane, ove si pone – come meglio si dirà nel prosieguo – il problema di allineare la regolamentazione del prestito allo standard riconosciuto dal mercato (straniero) cui l’emittente intenda rivolgersi.
3. Il conflitto interno al gruppo obbligazionario. Dialettica tra diritti individuali e collettivi degli obbligazionisti e stato dell’arte in dottrina e in giurisprudenza.
Dalla disciplina normativa della collettività degli obbligazionisti emergono due elementi essenziali: la presenza di una organizzazione di gruppo di natura legale e, al contempo, la persistenza di diritti individuali in capo ai singoli componenti del gruppo obbligazionario (27). Da un lato, come già si è detto in premessa, il legislatore attribuisce all’assemblea degli obbligazionisti una serie di competenze, in ordine alle quali la delibera approvata in xxx xxxxxxxxxxxxx xxxxxxx tutti gli obbligazionisti; dall’altro lato, le iniziative individuali di questi ultimi non vengono precluse tout court per essere avocate alla competenza dell’organizzazione di gruppo, prevedendosi piuttosto un criterio di coordinamento – ancorché imperfetto e, come si vedrà nel prosieguo, foriero di più di un dubbio interpretativo – tra azione individuale ed azione di gruppo.
In particolare, l’art. 2419 cod. civ. legittima espressamente le «azioni individuali» degli obbligazionisti: questi ultimi infatti non vengono spogliati, per il sol fatto di
(27) Così, X. XXXXXXX, Recensione a X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari delle società per azioni, Milano, 1964, in BBTC, 1965, I, 575.
essere parte dell’organizzazione di gruppo, della loro individuale posizione di credito e, coerentemente, neppure del diritto di tutelare in via parimenti individuale tale loro posizione nei confronti dell’emittente. Xxxxxxxxx, nell’ottica di far conciliare le due concorrenti – ma non reciprocamente escludenti
– qualità di creditore sociale e membro del gruppo obbligazionario proprie di ciascun obbligazionista, il legislatore ha limitato la possibilità di intentare azioni individuali, precisando che le stesse non possano confliggere o, più precisamente, risultare “incompatibili” con le deliberazioni dell’assemblea previste dall’art. 2415 cod. civ. (28).
(28) Per quanto la disposizione dell’art. 2419 cod. civ. faccia unicamente riferimento alle deliberazioni assunte dall’assemblea degli obbligazionisti, si discute se il criterio di coordinamento ivi previsto debba ritenersi applicabile anche rispetto alle azioni eventualmente promosse in via autonoma dal rappresentante comune a norma dell’art. 2418 cod. civ., allo scopo di «tutelare gli interessi comuni degli obbligazionisti nei rapporti con la società». A tale riguardo, l’opinione prevalente ritiene di dovere valorizzare la ratio sottesa all’art. 2419 cod. civ., privilegiando le forme di tutela riferibili alla collettività degli obbligazionisti ogni qualvolta vengano in gioco gli interessi comuni, nonché la funzione di interprete dell’interesse comune attribuita al rappresentante degli obbligazionisti. Viene così proposta una lettura estensiva dell’art. 2419 cod. civ., che – a tacere del suo tenore testuale – circoscriverebbe la libertà di iniziativa individuale dell’obbligazionista alle sole ipotesi di inerzia tanto dell’assemblea, quanto del rappresentante comune rispetto a materie di interesse comune. In questo senso, si vedano G. F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, 520; X. XXXXXXXXX, Il rappresentante comune, 149; X. XXXXXX, Gli obbligazionisti nel concordato, 74; A FORMIGGINI, Diritti individuali, 117 ss.; ad ulteriore supporto dell’orientamento testé segnalato, tale ultimo Autore evidenzia, tra l’altro, che la disciplina attribuisce agli obbligazionisti un rimedio specifico per l’ipotesi in cui gli stessi non intendano aderire, e piuttosto desiderino opporsi, all’operato del rappresentante comune. Si tratta, in particolare, della possibilità di convocare l’assemblea, purché si sia titolari di almeno la ventesima parte del prestito obbligazionario emesso e non estinto, per deliberare la revoca e sostituzione del rappresentante; qualora tale rimedio non sia esperibile o comunque non abbia esito positivo, l’intervento ad infringendum del singolo obbligazionista sarebbe peraltro comunque possibile, secondo l’Autore, ma resterebbe soggetto alla valutazione del giudice, che potrebbe anche ritenere l’operato del rappresentante conforme all’interesse comune e, per l’effetto, prevalente rispetto all’azione individuale. Con riferimento a tale ricostruzione, occorre tuttavia evidenziare che il mancato richiamo alle iniziative intraprese dal rappresentante comune nella disposizione di coordinamento di cui all’art. 2419 cod. civ., non pare il frutto di una mera svista legislativa. Va infatti rilevato che nel Progetto d’Xxxxxx del 1925 si faceva espressamente riferimento, all’art. 234, anche alle azioni promosse dal rappresentante comune, così escludendo la possibilità di azioni individuali con esse incompatibili, mentre, nel successivo Progetto Asquini del 1940, ed in particolare nel relativo art. 272, tale riferimento scompare del tutto. Si è osservato in proposito che, in mancanza di qualsivoglia spiegazione in merito a tale inversione di rotta nell’ambito dei lavori preparatori, il fatto che la disciplina positiva di cui all’art. 2419 cod. civ. non richiami espressamente le azioni autonomamente intraprese dal rappresentante comune ex art. 2418 cod. civ. non sia di per sé sufficiente per escludere che un’azione individuale sia comunque preclusa, ove incompatibile con le prime (in questo senso, X. XXXXXX, Gli obbligazionisti nel concordato, 75-76). In argomento, corre nondimeno l’obbligo di ricordare che l’art. 2419 cod. civ. costituisce indubbiamente una norma di carattere eccezionale, volta a stabilire, nello specifico campo di azione attribuito all’assemblea degli obbligazionisti, una prevalenza dell’iniziativa collettiva
Tale limite costituirebbe, secondo i più, la manifesta espressione di un ulteriore elemento caratterizzante della disciplina organizzativa: la preminenza del gruppo rispetto alle posizioni individuali dei singoli obbligazionisti, che resterebbero subordinate sia a quanto deliberato dall’assemblea, sia alle azioni collettive eventualmente intraprese in esecuzione di quanto dalla prima deciso o comunque avviate dal rappresentante comune nel perseguimento di interessi comuni (29).
Occorre però osservare che tale elemento si arricchisce di significato sul piano interpretativo, contribuendo a delineare il rapporto tra diritti individuali e diritti collettivi degli obbligazionisti, solo nella misura in cui sia a monte chiaramente individuata la linea di confine tra quanto, per effetto della vis attractiva dell’interesse comune, ricada tra le competenze proprie del gruppo (e, dunque, nel potere deliberativo dell’assemblea e nel potere esecutivo e di intervento – anche in via autonoma – del rappresentante comune), e quanto invece esuli dal centro gravitazionale dell’organizzazione di gruppo per restare nella piena disponibilità di ciascun singolo obbligazionista, quale creditore uti singulus della società emittente.
rispetto a quella individuale, in deroga non solo ai principi generali del diritto dei contratti ma anche, e soprattutto, al diritto individuale di difesa dei propri diritti ed interessi legittimi, costituzionalmente riconosciuto e garantito (art. 24 Cost.). Da questo angolo visuale, la tendenza ad attribuire all’art. 2419 cod. civ. un ambito di applicazione più esteso rispetto a quello letteralmente ivi previsto potrebbe suscitare più di una perplessità sia sul piano della legittimità costituzionale, sia sul piano della coerenza rispetto ai criteri di interpretazione di cui all’art. 14 disp. prel. cod. civ. Al di là di tali complessi profili ermeneutici, si può comunque affermare che, anche ammettendo – per ipotesi – una lettura estensiva dell’art. 2419, così da ricomprendervi le iniziative intraprese dal rappresentante comune, la centrale questione della preminenza dell’iniziativa individuale rispetto a quella collettiva ruota essenzialmente intorno al riconoscimento, o meno, di uno “zoccolo duro” di situazioni individuali indisponibili al gruppo, in tutte le sue declinazioni organiche, e dunque a prescindere che l’interesse comune del gruppo sia tutelato e perseguito in via assembleare o piuttosto direttamente dal rappresentante comune, pur in mancanza di una previa deliberazione assembleare. In altri termini, si tratta pur sempre – e più a monte – di capire fin dove possa spingersi l’agire collettivo in nome della tutela degli interessi comuni degli obbligazionisti, anche in via preminente rispetto agli interessi del singolo.
(29) In questo senso, tra molti, si vedano X. XXXXX, Recensione a X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari delle società per azioni, Milano, 1964, in Riv. dir. comm., 1965, I, 159 ss.; X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 31 ss.; G. F. XXXXXXXXXX, Le obbligazioni, 518 ss.; X. XXXXXX, Gli obbligazionisti nel concordato, 45 ss.; X. XXXXXXXXXX, L’organizzazione degli obbligazionisti, 197 ss.
La preminenza del gruppo rispetto all’individuo, infatti, in tanto esiste ed è prevista a livello normativo in quanto si ricada nell’ambito di intervento che lo stesso legislatore abbia riconosciuto al primo, e dunque a condizione che si versi tra le materie di competenza dell’assemblea ai sensi dell’art. 2415. Tra queste, il potere di decidere in ordine alle modificazioni delle condizioni del prestito di cui all’art. 2415, comma 1, n. 2, si segnala – come detto – quale momento di maggiore esaltazione della dialettica tra diritti o poteri individuali e diritti o poteri collettivi degli obbligazionisti ed è del tutto evidente come l’interpretazione di tale disposizione abbia una diretta e significativa ricaduta sulla ricostruzione complessiva del rapporto tra l’organizzazione del gruppo obbligazionario e i suoi singoli componenti.
In altri termini, il criterio di coordinamento stabilito dall’art. 2419 cod. civ. non appare idoneo ad indicare, per se, il bilanciamento operato dal legislatore tra diritti individuali e interessi comuni degli obbligazionisti: per quanto tale disposizione abbia indubbiamente l’effetto di limitare l’agire del singolo allo scopo di salvaguardare l’operato del gruppo, la sua portata effettiva deve necessariamente essere valutata in ragione del terreno lungo il quale l’operato della collettività può svolgersi, i cui confini risulteranno più o meno estesi a seconda del modo in cui si interpretino le competenze di cui all’art. 2415 cod. civ., ed in particolare quella relativa alle modifiche del prestito, potenzialmente idonea ad incidere, anche spiccatamente, sulle posizioni individuali dei singoli obbligazionisti.
Se il ragionamento interpretativo portasse a delimitare il potere dell’assemblea di modificare le condizioni del prestito, salvaguardando una cerchia di situazioni individuali indisponibili a maggioranza, la tradizionale prospettiva – che ravvisa nella disciplina de qua una preminente emersione della volontà del gruppo rispetto alle posizioni individuali dei singoli obbligazionisti – potrebbe financo essere del tutto capovolta, dovendosi semmai discorrere di una preminenza dei diritti e dei poteri individuali dei singoli obbligazionisti a meno che non si versi in una delle materie espressamente attribuite alla competenza dell’assemblea ai sensi
dell’art. 2415. Una prospettiva quest’ultima che troverebbe ulteriore conforto nella circostanza che, anche con riguardo alle materie da ultimo menzionate, l’azione individuale non è oggetto di totale avocazione in favore del gruppo, il cui intervento non può perciò in alcun caso considerarsi “egemonico” (30), come invece accade in altri ordinamenti europei (31), tanto è vero che l’iniziativa del singolo continua ad essere ammessa e legittimata purché compatibile con quanto eventualmente già deliberato dall’assemblea (32).
(30) Così viene invece definito – ma tale definizione non appare, per quanto appena osservato, condivisibile – da X. XXXXXXXXXX, L’organizzazione degli obbligazionisti, 200.
(31) È questo, ad esempio, il caso dell’ordinamento francese e dell’ordinamento spagnolo, nei quali
– rispetto ai poteri attribuiti dalla legge all’organizzazione di gruppo e salvi gli ambiti di regola espressamente previsti e consentiti dal legislatore – si assiste ad una totale avocazione della competenza decisoria e degli strumenti di tutela con conseguente carenza di legittimazione del singolo obbligazionista. In particolare, con riguardo alla disciplina francese, gli obbligazionisti sono organizzati in una «masse qui jouit de la personnalité civile» cui è attribuita la funzione principale di tutelare gli «intérêts commun des obligataires» (Art. L228-46 Code de commerce). Quanto alla legittimazione all’esercizio delle azioni a tutela dei predetti interessi comuni, si precisa quindi che «les représentants de la masse, dûment autorisés par l'assemblée générale des obligataires, ont seuls qualité pour engager, au nom de ceux-ci, les actions en nullité de la société ou des actes et délibérations postérieurs à sa constitution» (Art. L228-54(1) Code de commerce) e che – a fronte di tale avocazione a favore del rappresentante de la masse – le iniziative intraprese dai singoli sulle medesime materie «doit être déclarée d'office irrecevable» (Art. L228-54(3) Code de commerce). Sulla disciplina previgente, cfr. X. XXXXXX, Les pouvoirs des assemblées d'obligataires, Paris, 1948, 163 ss.; X. XXXXXXXXXX, Le nouveau régime des obligataires, Paris, 1936, 63; e per ulteriori riferimenti bibliografici in argomento, v. anche X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 32 e X. XXXXXX, Gli obbligazionisti nel concordato, 49. Analogamente, in Spagna, l’art. 419 X.X. Xxx., 0/0000, del 2 luglio, prevede che gli obbligazionisti siano costituiti ex lege in una organizzazione di gruppo (c.d. «sindicato»), competente a decidere, ove convocato in assemblea, per la necessaria e migliore difesa dei comuni interessi degli obbligazionisti (segnatamente, secondo il successivo art. 424 del richiamato Regio Decreto «para acordar lo necesario a la mejor defensa de los legítimos intereses de los obligacionistas frente a la sociedad emisora, modificar, de acuerdo con la misma, las garantías establecidas, destituir o nombrar al comisario, ejercer, cuando proceda, las acciones judiciales correspondientes y aprobar los gastos ocasionados por la defensa de los intereses comunes»). Quanto alle azioni individuali, si prevede che le stesse debbano essere compatibili sia con quanto deciso dal sindicato sia con le facoltà specificamente a quest’ultimo attribuite, essendo così ammissibili solo «cuando no contradigan los acuerdos del sindicato, dentro de su competencia y xxxx compatibles con las facultades que al mismo se hubiesen conferido» (art. 426 del citato R.D. Leg., 1/2010). In argomento, si veda X. XXXXXX, Gli strumenti finanziari, 83, anche per ulteriori riferimenti alla dottrina spagnola, seppure in relazione alla disciplina previgente.
(32) Ed anzi, proprio sul rilievo che – in mancanza di contrasto tra azione individuale e delibera adottata dall’assemblea degli obbligazionisti – l’art. 2419 cod. civ. fa salvo il diritto degli obbligazionisti di esercitare azioni individuali, si è osservato come tale regola possa prevalere su – e pregiudicare il successo di – iniziative di gruppo già avviate, ancorché non ancora sfociate in una formale delibera di approvazione in sede assembleare. In questo senso, si è posto ad esempio il caso in cui gli obbligazionisti fossero chiamati a valutare la fattibilità di un piano di ristrutturazione del debito e, previo esito positivo di tale valutazione, approvarne la realizzazione
3.1 L’interpretazione estensiva dell’art. 2415, comma 1, n. 2: critica.
Proprio in ragione di quanto sin qui rilevato, tra le competenze attribuite dal legislatore all’assemblea degli obbligazionisti, quella a deliberare sulle modificazioni inerenti le originarie condizioni del prestito costituisce l’attribuzione indubbiamente più seducente, ma, come detto, anche la più controversa. Sebbene ad essa sia stata dedicata una significativa attenzione da parte degli interpreti, a tutt’oggi gli orientamenti formatisi nel corso degli anni non hanno condotto a risultati del tutto univoci e condivisi.
Del resto, nella stessa Relazione al codice civile (n. 987) si riconosce che «il punto più delicato della riforma è per questa parte costituito dal potere riconosciuto agli obbligazionisti, che rappresentano la metà delle obbligazioni emesse e non estinte, di deliberare con effetto vincolante anche per gli assenti e i
in via assembleare accogliendo anche le conseguenti proposte di modifica delle originarie condizioni del prestito (al di là dell’ulteriore problema inerente la natura e la tipologia di modifiche ammissibili in sede assembleare, che verrà approfondito nel prosieguo del presente lavoro). Si è evidenziato in proposito che, nelle more della decisione degli obbligazionisti in ordine alla proposta di ristrutturazione finanziaria dell’emittente, l’iniziativa del singolo obbligazionista (si pensi alla costituzione in mora dell’emittente ovvero all’avvio di un’azione giudiziaria nei suoi confronti) potrebbe anche comportare il fallimento dello stesso, ove non sia in condizione di potervi far fronte, con conseguenze nefaste per tutti gli obbligazionisti. Ma allo stesso modo, se anche l’emittente fosse in grado di assorbire l’impatto di isolate iniziative da parte di singoli obbligazionisti, il soddisfacimento delle ragioni di credito di questi ultimi potrebbe in ogni caso comportare il fallimento dell’iniziativa di ristrutturazione collettiva del debito, non essendo verosimilmente i più disposti ad accettare comportamenti opportunistici dei singoli creditori in minoranza. Tali perplessità, sollevate in particolare da X. XXXXXXX, Artt. 2415 – 2420, 223-224, possono in verità essere in parte ridimensionate, sotto il profilo della rilevanza pratica, se si aderisce alla tesi secondo cui il requisito della incompatibilità (tra azione individuale e delibera assembleare) sia destinato a prevalere rispetto all’ordine cronologico nel quale sia stata, rispettivamente, assunta la delibera e proposta l’azione individuale. Con la conseguenza che, tornando all’esempio della ristrutturazione del debito, quand’anche nelle more della decisione degli obbligazionisti in ordine all’approvazione della ristrutturazione proposta dall’emittente, uno o più singoli obbligazionisti avessero intrapreso azioni giudiziali individuali nei confronti dell’emittente, tali iniziative – fatta unicamente salva l’ipotesi (invero statisticamente poco probabile) di avvenuta formazione del giudicato – sarebbero in ogni caso destinate a cadere nel momento in cui l’assemblea approvasse la proposta di ristrutturazione del debito, per sopravvenuta incompatibilità con la relativa deliberazione. In questo senso, ed in maniera del tutto condivisibile (anche in ragione del tenore testuale dell’art. 2419 cod. civ., che non detta alcun criterio cronologico per l’applicazione della norma di coordinamento ivi prevista), si vedano G. F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, 520; X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 196, nt. 2. Sul coordinamento tra iniziativa individuale e competenza assembleare negli accordi di ristrutturazione per i quali sia fatta richiesta di omologazione ex art. 182-bis l. fall., si tornerà più ampiamente nel successivo § 4.3 e in particolare sub nota 99.
dissenzienti eventuali modificazioni delle condizioni del prestito, poiché in tal modo si attribuisce alla maggioranza indicata la facoltà di approvare mutamenti sostanziali dell’originario rapporto, quali possono essere quelli che attengono alla misura degli interessi, al rimborso anticipato delle obbligazioni e alle garanzie concesse all’atto dell’emissione».
Muovendo dal passo della Relazione appena richiamato un autorevole orientamento dottrinale (33) ha ritenuto che le modificazioni del prestito suscettibili di deliberazione a maggioranza possano riguardare anche aspetti sostanziali o clausole essenziali del regolamento di emissione, ivi comprese, tra le altre, quelle riguardanti la misura degli interessi, nonché l’epoca e l’entità del rimborso della somma prestata dagli obbligazionisti, purché si tratti di modificazioni imposte dalla situazione dell’emittente e dunque obiettivamente giustificabili e non arbitrariamente adottate. In altri termini, quando la situazione della società emittente lo richieda, non sussisterebbero limiti ai poteri dell’assemblea, che ben può decidere, a maggioranza, di modificare anche le condizioni del prestito da cui discendano i diritti individuali di pagamento facenti capo a ciascun obbligazionista, sia in termini di remunerazione sia in termini di restituzione del capitale (di debito) dagli stessi investito nella società.
(33) Cfr. X. XXXXX, Le società, 509; X. XXXXXXXXX, Il rappresentante comune, 129; X. XXXXXX, Le obbligazioni convertibili in azioni, Milano, 1971, 38; X. XXXXXX, Gli obbligazionisti nel concordato, 44 e ss.; R. CAVALLO BORGIA, Le obbligazioni convertibili in azioni, Milano, 1978, 191; ID., Società per azioni. Tomo IV. Delle obbligazioni, 151 ss., secondo cui in particolare
«trovando l’organizzazione la sua ragion d’essere nell’esistenza di uno scopo comune e nell’intento di agevolarne la realizzazione, i poteri del gruppo non possono non ricomprendere ogni tipo di modifica accessoria o sostanziale che sia ritenuta necessaria per il perseguimento dell’interesse comune», ritenendo per un verso che «l’unico vero limite di competenza per materia dell’assemblea può […] essere agevolmente ravvisato proprio nell’interesse collettivo degli obbligazionisti» e per altro verso che sia «sufficiente garanzia contro arbitrarie e pretestuose modificazioni […] la maggioranza particolarmente elevata richiesta per la validità delle deliberazioni». In senso conforme, si veda anche X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 227 ss. secondo cui – quando si tratti di depauperare il contenuto economico delle posizioni individuali degli obbligazionisti – i poteri dell’assemblea degli obbligazionisti sono, entro la sfera di competenza del gruppo e salvo il conflitto di interessi, tendenzialmente illimitati. Ed in questo senso, da ultimo, v. anche X. XX XXXX – X. XXXXXX D’ALCONTRES, voce Obbligazioni di società, in Enc. dir., Xxxxxx, XX, 0000, 835, secondo cui l’assemblea degli obbligazionisti può assumere
«decisioni che mutano anche sostanzialmente gli originari termini del rapporto» purché sussista un interesse meta-individuale del gruppo.
Gli orientamenti che, pur con differenti sfumature, riconoscono una portata tendenzialmente illimitata alla competenza assembleare inerente le modificazioni delle condizioni del prestito convergono nell’interpretare il requisito dell’interesse comune alla stregua di un limite di carattere generale del perimetro d’azione della maggioranza, sicché esulerebbe dai poteri dell’organo assembleare quello di deliberare su materie che non riguardino collettivamente gli obbligazionisti (34).
Come anticipato nel precedente § 2, l’idoneità di tale requisito a fungere da crinale tra le posizioni disponibili a maggioranza e quelle riservate a ciascun obbligazionista suscita tuttavia più di una perplessità, specie se si tiene a mente il lungo (ed ancora irrisolto) dibattito sull’esatta interpretazione del concetto di interesse comune, su cui la dottrina ha assunto nel tempo posizioni differenziate.
Una linea di pensiero ha ritenuto che vi sia sostanziale coincidenza tra l’interesse comune degli obbligazionisti e «l’interesse tipico del creditore al puntale rispetto degli obblighi assunti da parte della società debitrice» (35). In questo senso, l’interesse comune costituirebbe in verità una proiezione aggregata degli interessi singoli ed individuali di ciascun obbligazionista, preso in considerazione quale creditore dell’emittente e quindi, per definizione, interessato al puntuale rispetto degli obblighi da quest’ultimo assunti, alla cui tutela unitaria sarebbe preordinata l’organizzazione degli obbligazionisti. Orbene, se questo è il vero significato da attribuire alla locuzione in discorso, non si vede però come possa risultare compatibile con l’interesse (comune a tutti gli obbligazionisti) ad ottenere il puntuale adempimento delle obbligazioni assunte dall’emittente la decisione di modificarne termini e condizioni in senso peggiorativo per i sottoscrittori e portatori del prestito o, ancor peggio, quella di sopprimere, in tutto o in parte, gli obblighi di pagamento originariamente assunti dalla società.
(34) X. XXXXXXXX, Diritto delle società, 412-413; X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 34 e 228 ss.; R. CAVALLO BORGIA, Società per azioni. Tomo IV. Delle obbligazioni, 133; X. XXXXXX, Gli obbligazionisti nel concordato, 49-50; X. XXXXXXXXX, Il rappresentante comune, 107; X. XXXXXX, Le obbligazioni convertibili, 38.
(35) X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 34. In senso critico, si vedano X. XXX – X. XXXXXXX XXXXXX, Società per azioni. Tomo II. Delle obbligazioni, Bologna, 2000, 58 ss.; X. XXXXXXXXXX, L’organizzazione degli obbligazionisti, 20 ss.
A conclusioni differenti si potrebbe giungere ove si ritenesse che l’interesse comune sia quello di ottenere, tempo per tempo, il migliore soddisfacimento possibile rispetto alle obbligazioni originariamente assunte dall’emittente, tenuto conto delle sue mutate condizioni economico-finanziarie durante la vita del prestito (36) ed alla luce di una valutazione prospettica che faccia ritenere il
(36) Si è evidenziato, a tale proposito, che in assenza del principio di maggioranza, il rifiuto di una minoranza anche esigua di obbligazionisti di aderire ai nuovi termini e condizioni del prestito proposti dalla società in crisi e in potenziale stato di insolvenza, verosimilmente ne impedirebbe l’accoglimento anche da parte di tutti gli altri obbligazionisti. Tale conclusione è agevolmente rincontrabile nella prassi, posto che difficilmente i creditori di una società in potenziale stato di insolvenza sono disposti a modificare, o rinunciare a, parte delle loro pretese ove esposti al rischio di possibili comportamenti opportunistici (c.d. free rider) da parte di una minoranza o anche di alcuno soltanto di essi.
Basti osservare che, nei finanziamenti bancari di grandi operazioni di acquisizione societaria, tipicamente realizzati in pool tramite la compartecipazione di una pluralità di istituti bancari e finanziari, ciascuno destinatario di una “quota di partecipazione” nel finanziamento, la tendenza in assoluto prevalente è quella di fornire alla società prenditrice non soltanto le risorse finanziarie necessarie per l’acquisizione della target, ma anche quelle che consentano il totale rifinanziamento del debito pre-esistente in capo a quest’ultima (ed eventualmente alle altre società del gruppo ad essa facenti capo) con un duplice obiettivo: (i) quello di escludere dal gruppo di società, quale risultante ad esito dell’operazione di acquisizione, la presenza di creditori finanziari terzi rispetto al pool delle banche finanziatrici; e, al contempo, (ii) quello di sottoscrivere una convenzione intercreditoria (c.d. intercreditor agreement) vincolante per i predetti istituti – nonché per ogni loro successore o avente causa in caso di sindacazione o successivo trasferimento delle quote di partecipazione nel finanziamento – ai sensi della quale vengono assunti reciproci impegni contrattuali volti a coordinare ogni futura decisione in ordine al finanziamento concesso, ivi compresa quella di intraprendere iniziative giudiziali nei confronti della società in caso di mancato pagamento ovvero inadempimento di altre obbligazioni assunte ai sensi della documentazione finanziaria, nonché stabilire l’ordine di priorità dei pagamenti tempo per tempo effettuati dalla società finanziata. In tal modo, l’intera classe dei creditori finanziari risulta vincolata alle pattuizioni intercreditorie ed è sventato in radice il rischio di comportamenti opportunistici da parte di uno o più degli operatori finanziari.
Anche sulla scorta di questi rilievi di ordine pragmatico, si è ritenuto che il «diritto della maggioranza degli obbligazionisti di modificare le condizioni del prestito vincolandovi anche la minoranza costituisce allora una regola che tutela allo stesso tempo l’interesse dell’emittente, oltre a quello degli obbligazionisti stessi» (così, X. XXXXXXX, Artt. 2415-2420, 208; in senso conforme, cfr. anche R. CAVALLO BORGIA, Società per azioni. Tomo IV. Delle Obbligazioni, 151, secondo cui ratio della disciplina sarebbe proprio quella di consentire ogni modifica, accessoria o sostanziale, che la mutevole situazione economico-finanziaria renda eventualmente necessaria).
In verità, quantomeno quando si tratti di incidere in misura significativa sui diritti individuali degli obbligazionisti, riducendo o comunque modificando in peius il diritto al pagamento degli interessi ovvero alla restituzione del capitale, tale conclusione parrebbe senz’altro condivisibile ove all’emittente non sia data altra alternativa (rispetto al sottoposizione alla procedura di fallimento) se non quella di richiedere agli obbligazionisti una revisione delle condizioni del prestito obbligazionario ex art. 2415 cod. civ.
Tuttavia, soprattutto a seguito dei recenti interventi di riforma che hanno interessato il c.d. diritto della crisi d’impresa (a partire dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito nella l. 14 maggio 2005, n. 80, con il quale è stata introdotta la possibilità di suddividere i creditori in più «classi» nelle procedure di concordato), il legislatore italiano ha offerto all’impresa azionaria una tale pluralità di strumenti per la composizione concordata della crisi, ampliando notevolmente gli spazi di
sacrificio attuale effettivamente utile ed opportuno per gli obbligazionisti, in quanto funzionale al perseguimento di risultati futuri (37). In questa prospettiva, infatti, persino la totale abrogazione dell’obbligo di restituire la somma prestata oppure la conversione del prestito in equity, potrebbe apparire compatibile e coerente con l’interesse comune degli obbligazionisti, in quanto miri a sventare il rischio di insolvenza della società emittente e le conseguenze maggiormente pregiudizievoli che dalla stessa potrebbero discendere per gli obbligazionisti (ad esempio, in termini di revocatoria fallimentare dei pagamenti da questi ultimi già ricevuti (38)).
manovra già previsti nel contesto della previgente disciplina delle procedure di concordato, da rendersi opportuna una ulteriore riflessione di ordine metodologico, interrogandosi in particolare se, al di fuori di tali procedure, ogni rilevante alterazione degli originari assetti contrattuali dei rapporti di credito (ancorché plurisoggettivi e incorporati in titoli, come nel caso delle obbligazioni) non debba piuttosto ritenersi assoggettata ai principi generali del diritto contrattuale, e dunque al consenso di tutte le parti coinvolte.
È, del resto, di palmare evidenza che la modificazione delle condizioni del prestito eventualmente approvata dall’assemblea degli obbligazionisti in sede di concordato, anche qualora implichi per gli obbligazionisti un sacrificio maggiore rispetto a quello imposto nella stessa procedura agli altri creditori (o classi di creditori), rimarrebbe ad ogni buon conto un sacrificio minore di quello che si verifica in ipotesi di modificazione peggiorativa delle condizioni del prestito ai sensi dell’art. 2415, comma 1, n. 2, quanto la società è in bonis ed analogo sacrificio non sia richiesto a tutti gli ulteriori creditori (obbligazionari e non) della società emittente (in questo senso, cfr., per tutti, X. XXXXXX, Gli obbligazionisti nel concordato, 12). Su tali profili, si tornerà più ampiamente nel successivo § 4.
(37) In questo senso, si veda G. F. XXXXXXXXXX, Le obbligazioni, 488 ss., secondo cui devono per contro essere considerate illegittime tutte quelle modifiche delle condizioni del prestito che non siano giustificate da «una situazione oggettiva della società che le faccia ritenere necessarie nell’interesse degli obbligazionisti». Conforme è anche il pensiero di X. XXXXXXXXX, Il rappresentante comune, 129 ss., il quale aggiunge che «dovrebbero ritenersi modificabili tutte quelle situazioni attinenti al prestito, per consentire alla società, da una parte, ed agli obbligazionisti, dall’altra di rinsaldare l’operazione, impedendo il ricorso al fallimento o ad altre procedure concorsuali, ben più pregiudizievoli per gli uni e per l’altra. Sulla base di queste considerazioni risulterebbero allora modificabili tutti quegli elementi del prestito, che siano richiesti da particolari circostanze». Tuttavia, come meglio si dirà nel prosieguo e per le ragioni già in parte anticipate nella precedente nota 36, appare piuttosto discutibile che l’ottica del legislatore sia quella di configurare gli obbligazionisti come una categoria di creditori sociali chiamata a rendersi partecipe, più delle altre, delle situazioni di crisi dell’emittente ed a sacrificare la propria posizione creditizia così da scongiurare scenari di dissesto fallimentare aventi conseguente più deleterie, atteso che questa parrebbe piuttosto essere la ratio propria delle procedure di composizione concordata della crisi d’impresa, cui pure sono chiamati a partecipare gli obbligazionisti ma in concorso con tutti gli altri creditori della società.
(38) Si pensi, in particolare, al caso in cui la richiesta di soppressione dell’obbligo di rimborso sia formulata dall’emittente dopo avere effettuato una serie di pagamenti a favore degli obbligazionisti a titolo di interessi ed anche, eventualmente, a titolo di capitale (ove, ad esempio, il rimborso dei titoli segua un piano di ammortamento rateale). In tal caso, gli obbligazionisti potrebbero essere
Tuttavia, se si ritiene che l’interesse comune degli obbligazionisti ad ottenere il soddisfacimento delle proprie ragioni di credito debba essere inteso in senso dinamico, e dunque ponderato alla luce delle circostanze sopravvenute lungo la vita del prestito, l’interrogativo che a questo punto si pone è se una così complessa valutazione, sia sotto il profilo prospettico (in termini di apprezzamento delle future prospettive economico-finanziarie dell’emittente) sia sotto il profilo comparativo (rispetto ad altre soluzioni alternative concretamente praticabili), possa essere legittimamente rimessa al mero giudizio della maggioranza lasciando ad essa soltanto le sorti dei diritti individuali di pagamento di tutto il gruppo obbligazionario, compresi quegli obbligazionisti che, ancorché in minoranza, abbiano manifestato il proprio dissenso rispetto alla decisione assembleare o comunque non abbiano attivamente contribuito alla sua adozione.
Il tema appare di ancor più centrale rilevanza se si considera che – diversamente da quanto accade in sede concorsuale e nelle procedure di concordato in particolare – la decisione assembleare che approvi una modifica peggiorativa proposta dall’emittente in bonis non pare soggetta ad alcuno scrutinio giudiziale che consenta di verificare l’effettiva rispondenza all’interesse collettivo della decisione medesima. Anche per tale ragione, la questione qui sollevata non sembra poter essere adeguatamente affrontata focalizzando l’attenzione sulla sola disciplina della collettività prevista dal codice civile; piuttosto, si rende necessaria una ricostruzione sistematica degli equilibri tra gruppo e individuo nel contesto delle emissioni obbligazionarie anche alla luce dei poteri riconosciuti all’assemblea in sede concorsuale, con particolare riguardo al caso in cui sia
interessati alla soppressione dell’obbligo di rimborso dell’importo residuo in linea capitale o, ancor più, alla conversione del prestito in equity, qualora ciò consenta all’emittente di evitare l’insolvenza e, di riflesso, agli obbligazionisti di non essere esposti al rischio di revocatoria fallimentare dei pagamenti già ricevuti sino a quella data. In questo senso, si veda X. XXXXXXX, Artt. 2415-2420, 217, nt. 30, il quale evidenzia tuttavia come, in ragione della disciplina di cui all’art. 67 l. fall., la revocatoria richiede comunque la sussistenza di un elemento soggettivo (i.e., la scentia decoctionis, presunta juris tantum nei casi di cui all’art. 67, comma 1, n. 1, e che deve essere provata dal curatore nei casi di cui all’art. 67, comma 2) che ben può variare dall’uno all’altro obbligazionista e presumibilmente, anche in ragione dei flussi informativi tipicamente in loro possesso, sarà ben diversa per gli investitori istituzionali e per quelli retail, sicché può ben dubitarsi che l’interesse a scongiurare il rischio di revocatoria sia comune a tutti gli obbligazionisti.
avanzata dall’emittente una proposta di soluzione concordata della crisi (la cui approvazione, lo si rammenta, ricade specificamente tra le competenze dell’assemblea ex art. 2415, comma 1, n. 3, cod. civ.).
Una simile proposta, infatti, verosimilmente comporterebbe una sostanziale alterazione delle originarie condizioni del prestito (basti pensare alla falcidia di quanto dovuto dall’impresa emittente a titolo di rimborso del capitale e/o di pagamento degli interessi), ma ciò avverrebbe nel più ampio contesto di una “transazione collettiva” cui prenderebbero altresì parte gli ulteriori creditori (o classi di creditori) della società e la cui speciale disciplina certamente offre ai creditori (ivi inclusi gli obbligazionisti) di minoranza strumenti di opposizione e verifica, in via giudiziale, della decisione assunta dalla relativa assemblea, ove la proposta concordataria sia ritenuta peggiorativa rispetto ad altre «alternative concretamente praticabili» (artt. 129, comma 5, e 180, comma 4, l. fall.). Strumenti questi ultimi che non paiono essere invece offerti agli obbligazionisti in caso di approvazione da parte dell’assemblea, ex art. 2415, comma 1, n. 2, di modifiche in peius al di fuori delle ridette procedure, a meno che non si ritenga di poter rintracciare analoghe prerogative nell’art. 2416 cod. civ., interpretando estensivamente – ma sul punto ci si soffermerà più ampiamente in seguito – il sindacato giudiziario di legittimità della delibera ivi previsto (39).
Tornando ancora per un momento al requisito dell’interesse comune, come detto largamente chiamato dai sostenitori della lettura estensiva dell’art. 2415, comma 1, n. 2, a fungere da presupposto e limite del potere assembleare a tutela dei diritti di ciascun obbligazionista uti singulus, merita rilevare come l’orientamento maggiormente accreditato tra gli interpreti individui l’interesse comune nella particolare forma di tutela unitaria e collettiva degli interessi degli obbligazionisti, che è resa necessaria dal carattere specifico dell’operazione di prestito obbligazionario, quale emissione di titoli di massa di rilevante entità nel
(39) Tali spunti di riflessione saranno più ampiamente sviluppati nel successivo § 4 del presente Capitolo.
valore e nel numero (40). In questo senso, l’interesse collettivo degli obbligazionisti sarebbe essenzialmente rappresentato dalla necessità di conservare un trattamento unitario dei diritti individuali derivanti dai titoli detenuti, di modo che sia assicurato il mantenimento della condizione di serialità ed omogeneità dei titoli facenti parte della medesima emissione obbligazionaria, e conseguentemente l’identità di situazione giuridica fra gli obbligazionisti in quanto tali (41). Assicurando tale trattamento unitario ed uniforme, verrebbe quindi garantita la parità di trattamento da parte della società nei confronti di tutti i portatori dei titoli obbligazionari (42).
Così inteso, l’interesse comune non consentirebbe però in alcun modo di valutare nel merito la rispondenza di una determinata decisione assembleare agli interessi propri di ciascun obbligazionista, nella sua obiettiva posizione di creditore della società emittente. In altri termini, il presupposto dell’interesse comune non verrebbe meno neppure nei casi in cui l’assemblea decidesse del tutto arbitrariamente ed in mancanza di ragioni obiettivamente giustificabili di abrogare, in tutto o in parte, i diritti di pagamento degli obbligazionisti, nella misura in cui gli effetti della delibera si riverberino comunque in via paritaria ed uniforme su tutti i titoli obbligazionari oggetto dell’emissione.
Appare quindi evidente che, nell’accezione appena richiamata, difficilmente il solo requisito della compatibilità della decisione assembleare con l’interesse comune può costituire un presidio efficace e concreto a tutela dei diritti individuali degli obbligazionisti, ove indebitamente intaccati o pregiudicati dalle decisioni assunte dalla maggioranza.
(40) X. XXXXXXX XXXXXX, Società per azioni. Tomo IV. Delle obbligazioni, 133; X. XXXXXXXXX, Il rappresentante comune, 107; X. XXXXXXXXXX, L’organizzazione degli obbligazionisti, 27 ss.; X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 228 ss.
(41) Di “identità” di situazione giuridica parla, in particolare, X. XXXXXX, Gli obbligazionisti nel concordato, 50, il quale evidenzia che «[p]roprio in quanto di interesse comune fra gli obbligazionisti si può parlare solo in quanto i titoli obbligazionari, di cui gli obbligazionisti sono portatori, abbiano caratteristiche uguali, si ammette, in caso di più serie di obbligazioni, l’esistenza per le differenti serie di obbligazioni di assemblee differenti e di differenti rappresentanti comuni».
(42) In questo senso, X. XXXXXXXXXX, L’organizzazione degli obbligazionisti, 28.
Secondo alcuni autori (43), sarebbe peraltro lo stesso intervento di riforma del 2003 ad avallare una interpretazione estensiva dell’art. 2415, comma 1, n. 2. In particolare, per quanto tale intervento non abbia interessato (o almeno non direttamente) la disciplina organizzativa in esame, l’ampliamento in sede di riforma dei contorni della fattispecie obbligazionaria, sia sotto il profilo del contenuto dei titoli (art. 2414 cod. civ.), sia in punto di diritti degli obbligazionisti (art. 2411 cod. civ.), costituirebbe, secondo il richiamato orientamento, una conferma indiretta circa l’ampiezza dei poteri dell’assemblea, potenzialmente legittimata a modificare qualsiasi condizione del prestito ed ogni diritto individuale che dalla medesima discenda.
Come ricordato nel precedente § 1, è oggi espressamente riconosciuta la possibilità di emettere obbligazioni subordinate, ossia obbligazioni in cui il diritto al rimborso del capitale e al pagamento degli interessi è subordinato, in tutto o in parte, al pagamento di altri creditori della società (artt. 2411, comma 1, e 2414, comma 1, n. 4, cod. civ); parimenti, è legittima la previsione di clausole di indicizzazione degli interessi (artt. 2411, comma 2, cod. civ. e 2414, comma 1, n. 4, cod. civ.) ai sensi della quale i tempi o l’entità del pagamento degli interessi corrispettivi dipendano da parametri oggettivi anche (ma non necessariamente) relativi dall’andamento economico della società emittente. Al di là delle fattispecie legislativamente tipizzate, è altresì pacificamente riconosciuta la riconducibilità allo schema obbligazionario di strumenti finanziari cc.dd. perpetui, aventi una scadenza coincidente con la durata statutaria della società emittente (44), anche qualora alla durata perpetua si aggiunga una clausola di subordinazione in linea capitale ed interessi ex art. 2411, comma 1, cod. civ. (45).
(43) Cfr. X. XXXXXXX XXXXXX, Società per azioni. Tomo IV. Delle obbligazioni, 153 ss.; X. XXXXXXX, Artt. 2415-2420, 222 ss.; X. XXXXXX, Gli strumenti finanziari, 94.
(44) Si tratta di strumenti finanziari nei quali il diritto al rimborso del capitale investito non è esigibile sino alla scadenza della società emittente o alla sua messa in liquidazione (volontaria o coatta), ove anteriore. In aggiunta, di regola, tali strumenti (perpetual notes secondo la terminologia anglosassone internazionale) prevedono che, in sede di liquidazione della società, il rimborso del capitale dato in prestito avvenga in via postergata rispetto al soddisfacimento di tutti gli altri creditori sociali (clausola c.d. di postergazione o subordinazione). Sui prestiti cc.dd. irredimibili o perpetui, si vedano, in particolare, X. XXXXXXXXX, Struttura finanziaria e governo
Muovendo dalla considerazione che la riforma del diritto societario abbia ulteriormente allargato le maglie dell’autonomia statutaria e le possibilità di diversificazione dei mezzi di finanziamento dell’impresa azionaria, dando alle obbligazioni una “veste” giuridica sempre più flessibile e mutevole, si è argomentato (46) che nel rinnovato contesto della disciplina non possa non riconoscersi pari elasticità anche alle competenze proprie dell’assemblea. In altri termini non si vede come possano essere sottratte alla competenza assembleare condizioni del prestito che ben sono disponibili alla società emittente ed ai sottoscrittori all’atto della emissione e sottoscrizione del prestito obbligazionario.
Tali argomentazioni non possono essere tuttavia condivise. È senz’altro vero che l’ordinamento ha schiuso le porte ad una pluralità di fattispecie obbligazionarie, le quali non consentono di considerare l’obbligazione alla stregua di un monolite ma piuttosto – riprendendo una efficace espressione adottata in dottrina – come una fattispecie «a geometria variabile» (47), i cui contorni possono volta per volta variare, a seconda delle scelte convenzionalmente fatte in sede di regolamentazione del prestito.
Ciò nondimeno, appaiono opportune due importanti precisazioni. La prima è che
– come già rilevato in precedenza – per quanto subordinate od indicizzate, le obbligazioni continuano a mantenere una loro autonomia causale e tipologica, nella quale il diritto al rimborso rappresenta a tutt’oggi un elemento tipizzante ed in grado di differenziare l’obbligazione (nella sua accezione tipologica) da altre tipologie di strumenti finanziari. E una conferma di ciò la si può rinvenire nello
nelle società di capitali, Bologna, 2001, 57 ss.; ID., Perpetual notes e titoli obbligazionari a lunga o lunghissima scadenza, in BBTC, 1991, I, 606 ss.; P. G. XXXXXXXXX, Le obbligazioni nel Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, in BBTC, 1994, I, 488 ss.; X. XXXXXX, I crediti subordinati, Torino, 2000, 99 ss.; X. XXXXXX, Gli strumenti finanziari partecipativi e non, 358 ss.; nonché, più di recente, X. XXXXXXXXX, Le obbligazioni ibride, 108 ss.
(45) In questo senso, X. XXXXXXXXX, Le obbligazioni ibride, 78 ss.
(46) Così, in particolare, R. CAVALLO BORGIA, Società per azioni. Tomo IV. Delle obbligazioni, 153; X. XXXXXXX, Artt. 2415-2420, 222 ss.
(47) Cfr. X. XXXXXXXXX, Le obbligazioni ibride, 16.
stesso art. 2411 cod. civ, che al comma 2 consente l’emissione di obbligazioni per le quali il pagamento degli interessi – e soltanto degli interessi – può dipendere, sia nell’an sia nel quantum, da parametri oggettivi anche legati all’andamento della società, mentre la possibilità di condizionare i tempi e l’entità del rimborso all’andamento della società è ammessa al successivo comma 3 con riguardo a strumenti finanziari “comunque denominati”. Tale ultima disposizione, se da un lato estende la disciplina propria delle obbligazioni anche a tutti gli strumenti con rimborso indicizzato all’andamento della società, dall’altro lato non qualifica tali strumenti come obbligazioni in senso tipologico, diversamente da quanto avviene per le obbligazioni con interessi indicizzati ex art. 2411, comma 2 (48).
Venendo alla seconda precisazione, se è vero che l’obbligazione presenta oggi una “geometria” variabile, deve parimenti essere osservato che la scelta tra le diverse connotazioni alternative che lo strumento può assumere è comunque volontariamente operata da tutte le parti originarie del rapporto obbligazionario. Conforta, in tal senso, che tali elementi, oltre a dover essere indicati nel titolo a norma dell’art. 2414 cod. civ., debbano essere oggetto di puntuale disciplina nel regolamento di emissione del prestito, i cui termini e condizioni vengono espressamente accettati da ciascun obbligazionista all’atto della sottoscrizione
(48) Una conferma di tale ricostruzione è data dallo stesso iter parlamentare che ha preceduto l’approvazione dell’art. 2411 cod. civ., nel suo testo definitivo, così come recepito nel d.lgs. n. 6/2003. In proposito, occorre ricordare che, sino a pochi giorni prima della pubblicazione del decreto delegato in Gazzetta Ufficiale, la bozza dell’art. 2411 prevedeva due soli commi, il primo dei quali dedicato – come anche nella sua versione definitiva ed oggi vigente – alle obbligazioni subordinate, e il secondo relativo invece alle obbligazioni indicizzate, ove si prevedeva che i tempi e l’entità tanto del rimborso del capitale, quanto del pagamento degli interessi potessero variare in dipendenza di parametri oggettivi anche relativi all’andamento economico della società. Segnatamente, la bozza di decreto delegato trasmessa dal Consiglio dei Ministri alle Camere in data 30 settembre 2002 prevedeva, all’art. 2411, comma 2, che «I tempi e l’entità del rimborso del capitale e del pagamento degli interessi possono variare in dipendenza di parametri oggettivi anche relativi all’andamento economico della società». Come è noto, la formulazione della norma è stata modificata a pochi giorni dal varo della riforma: il principio di cui al comma 2 è stato mantenuto solo con riguardo al pagamento degli interessi, mentre la possibilità di condizionare tempi e modalità del rimborso all’andamento economico dell’impresa sociale è stata ripresa in un ulteriore (ed ultimo comma) della disposizione, ove la possibilità di un rimborso indicizzato all’andamento della società viene riferita non più alle obbligazioni, bensì a strumenti finanziari, comunque denominati, precisando che anche nei confronti di tale ultima fattispecie – ancorché diversa da quella obbligazionaria – troverà applicazione la disciplina propria delle obbligazioni.
delle obbligazioni ovvero in sede di successivo acquisto del titolo sul mercato c.d. secondario (49).
In tutti i casi, si tratta quindi di una peculiare modulazione delle caratteristiche del prestito che viene sin dall’origine accettata da ciascun obbligazionista: il generale principio di libertà ed autodeterminazione contrattuale non subisce alcuna compressione né interferenza e non si pongono pertanto i problemi di coordinamento tra diritti individuali e collettivi degli obbligazionisti che invece emergono quando si tratti di dare un concreto significato alla regola di competenza assembleare in materia di successive modificazioni del prestito ex art. 2415, comma 1, n. 2. In tanto può parlarsi di contrapposizione tra sfera individuale e sfera collettiva degli obbligazionisti, in quanto si versi in una materia decisa – o che possa essere decisa – dalla maggioranza con effetti vincolanti anche per la minoranza degli obbligazionisti. Ma, per le motivazioni appena esposte, non è questa la situazione in cui si versa laddove l’operazione di prestito si connoti ab origine per la presenza delle predette clausole di subordinazione od indicizzazione, ed in tale sua connotazione sia volontariamente e liberamente accettata da ciascun singolo sottoscrittore dei titoli.
Si tratta, in conclusione, di profili di disciplina ben distinti e non sembra che il riconoscimento di maggiori spazi all’autonomia negoziale nella fase di strutturazione dell’operazione di prestito possa fornire validi elementi
(49) Tale considerazione non pare possa essere contraddetta sulla base del rilievo che il regolamento del prestito è normalmente di competenza della società emittente e quindi la definizione dei relativi termini e condizioni rientrerebbe tra i poteri propri della stessa (in questo senso, X. XXXXXXXXXX, L’organizzazione degli obbligazionisti, 125, nt. 85). Sebbene il regolamento di emissione sia formalmente redatto e proposto dalla società emittente, da un lato, sul piano prettamente giuridico, il suo contenuto viene individualmente accettato da ciascun sottoscrittore del prestito, con l’acquisto delle obbligazioni emesse, e, dall’altro lato, sotto il profilo pratico, non occorre sottovalutare che soprattutto nell’ambito delle emissioni obbligazionarie di rilevante entità gli emittenti sono di regola assistiti nella strutturazione ed organizzazione dell’operazione (ivi compresa la predisposizione del regolamento del prestito) da soggetti istituzionali specializzati, tipicamente individuati sotto la denominazione di arrangers, che supportano l’emittente in tutte le attività prodromiche all’emissione, proprio allo scopo di tenere contro della tipologia di mercato e di investitori cui l’emittente intende rivolgersi. In particolare, si intende evidenziare che le scelte operate dall’emittente in sede di predisposizione del regolamento del prestito hanno un rilevante impatto sulle possibilità di buona riuscita dell’operazione, alla luce della percezione che di esse possono avere il mercato ed i potenziali investitori cui l’offerta si rivolga.
interpretativi rispetto all’ampiezza del potere dell’assemblea di approvare modifiche alle condizioni del prestito originariamente pattuite lungo la vita dell’operazione.
3.2 La tesi che esclude l’estensione dell’art. 2415, comma 1, n. 2, alle modifiche inerenti i «dati tipizzanti» del prestito.
Muovendo da una prospettiva diametralmente opposta rispetto a quella propria degli orientamenti poc’anzi esaminati, altri filoni interpretativi tendono piuttosto ad arginare il più possibile il potere della maggioranza rispetto ai diritti individuali degli obbligazionisti, circoscrivendo e delimitando l’ambito di applicazione dell’art. 2415, comma 1, n. 2, cod. civ.
Prima di addentrarsi nel merito dei diversi orientamenti formatisi nel xxxxx xxx xxxxx, xxxx xx xxxx di svolgere due considerazioni di carattere generale e preliminare.
La prima considerazione è che, pur nella varietà dei percorsi argomentativi e delle soluzioni tecniche proposte, le tesi che suggeriscono una limitazione del potere assembleare in ordine alle modifiche del prestito appaiono tutte accomunate da una preoccupazione di ordine pratico, e precisamente dal timore che la modifica a maggioranza delle originarie condizioni dell’investimento costituisca all’atto pratico soltanto uno strumento per agevolarne la ridefinizione secondo termini di gradimento per l’emittente e per gli obbligazionisti di maggioranza ma vincolanti per tutti gli obbligazionisti, così arrecando un grave vulnus alla posizione giuridica individuale di coloro che rispetto alla proposta di modifica siano dissenzienti ma in minoranza. Un timore quest’ultimo particolarmente avvertito là dove il gruppo obbligazionario sia composto da investitori aventi caratteristiche soggettive assai diverse: si pensi, ad esempio, alla compresenza di investitori retail ed investitori cc.dd. istituzionali, oppure di obbligazionisti che siano altresì creditori “commerciali” dell’emittente (ad esempio, fornitori dell’emittente), obbligazionisti che siano anche creditori “finanziari” dell’emittente (quali gli
istituti di credito o gli intermediari finanziari ex art. 106 tub) e investitori del tutto terzi, che – al di là del rapporto obbligazionario – non abbiano alcun ulteriore legame (né commerciale, né partecipativo o di lavoro), e neppure alcuna esposizione creditoria, con l’emittente.
La peculiare posizione di alcuni obbligazionisti, derivante dalla compresenza di ulteriori rapporti contrattuali con l’emittente, può creare significativi disallineamenti tra obbligazionisti che concorrono nella valutazione sulla convenienza od opportunità di determinate modifiche del prestito sottoposte all’assemblea, specie ove si tratti di renderne le condizioni meno gravose o più elastiche per l’emittente medesimo. Tali modifiche, infatti, se in linea di principio e per se considerate indeboliscono la posizione contrattuale dell’obbligazionista in quanto tale, per altro verso possono dare all’emittente quei maggiori margini di manovra che gli consentano di superare una momentanea situazione di crisi, favorendo una ordinata ripresa dei relativi rapporti commerciali e finanziari. In questo senso, è facile intuire come obbligazionisti, che siano pure creditori commerciali o finanziatori della società, possano considerare preminenti i collateral benefit derivanti dalla facilitazione concessa all’emittente rispetto al deterioramento che ne derivi in ordine alle condizioni che regolano l’emissione, di per sé considerate (50).
La preoccupazione di fondo appena rappresentata risulta peraltro – venendo così alla seconda considerazione di carattere preliminare – pienamente giustificata se si tiene a mente la natura propria dell’operazione di prestito obbligazionario sotto il profilo puramente contrattualistico. Il regolamento di emissione delle obbligazioni
(50) Seppure con specifico riguardo all’applicazione del principio maggioritario in sede concordataria, su cui si tornerà più ampiamente nel successivo § 4, si è opportunamente osservato come «in tanto il principio maggioritario [sia] riconducibile ai principi del diritto dei contratti […] in quanto esso operi in presenza di una omogeneità di interessi tra i votanti», con la precisazione che, in applicazione dei principi di correttezza e buona fede che regolano ogni manifestazione di autonomia privata e, conseguentemente, pure l’esercizio del voto, appare possibile escludere dal voto il creditore che vota «sulla base di interessi atipici (cioè propri dei creditori non in quanto tali, ma come terzi) che confliggono con l’interesse tipico (come creditore) del votante e degli altri creditori» (così, X. XXXXXX, Lupi e conflitto di interessi dei creditori nel concordato, in Riv. dir. comm. e dir. gen. obbl., 2014, parte I, 54-55).
costituisce, infatti, normalmente un contratto “completo” (51) e pienamente efficace in tutti i suoi elementi, richiedendo unicamente di essere eseguito dalle parti – ed in particolare dalla società emittente (52) – durante la vita del prestito.
(51) Riprendendo i tradizionali criteri di classificazione proposti in dottrina (cfr. O. E. XXXXXXXXXX, Transaction Cost Economics and the Governance of Contractual Relations, in Journal of Law and Economics, 1979, 237; I. R. MACNEIL, Contracts: Adjustment of Long-Term Economic Relations under Classical, Neoclassical and Relational Contract Law, in 72 Northwestern Law Review, 1978, 853; X. XXXXXXX, Il principio di correttezza nelle deliberazioni assembleari, Milano, 1987, 107; X. XXXXXX, Il conflitto di interessi del socio tra codice e disciplina del mercato mobiliare, in Riv. Soc., 1988, 361 ss.; P.J. JAEGER – X. XXXXXXX, Appunti di diritto commerciale, Milano, 2000, 220), per contratto “completo” si intende ogni contratto che preveda esplicitamente i diritti ed i doveri delle parti per ogni possibile futuro atteggiarsi del rapporto contrattuale, dipendente sia da comportamenti delle parti stesse, sia dall’evoluzione della realtà circostante. In particolare, secondo la teoria di Xxxxxxx, il diritto contrattuale “classico” mirerebbe a disciplinare rapporti di scambio tra le parti aventi carattere immediato, in quanto volti a soddisfare esigenze immediate delle parti e non già un’attività da svolgersi nel continuo. Pertanto, in tali casi il diritto considera il singolo rapporto contrattuale in via isolata, senza preoccuparsi della successiva evoluzione della realtà circostante: definiti tutti gli elementi contrattuali ab origine, si tratta puramente di imporne l’adempimento e predeterminare le conseguenze di un eventuale inadempimento. A questo paradigma, ne viene affiancato un secondo, definito “neoclassico”, nel quale le parti stringono ripetutamente nel tempo una pluralità di relazioni non precisamente identificabili ex ante ma funzionali ad uno scopo più o meno composito e divengono frequenti clausole di indicizzazione del valore delle prestazioni ovvero clausole di arbitraggio per consentire l’adeguamento degli originari termini contrattuali. A tale ultima categoria di rapporti, si ritiene riconducibile il contratto di s.p.a (così, X. XXXXXX, Il conflitto di interessi del socio, 372), in quanto «gli accordi tra soci hanno ad oggetto non [n.d.r., enfasi aggiunta] un regolamento compiuto e definitivo di interessi, ma essenzialmente un insieme di regole per la produzione di nuove determinazioni volitive necessarie a raggiungere gli scopi prefissati». Elementi che, invece, come meglio si vedrà a breve, non paiono ravvisabili nella fattispecie obbligazionaria, che non richiede di per sé nuove determinazioni volitive lungo la vita dell’operazione ma basa il proprio regolamento su un’operazione dalla prevalente causa mutuatizia già definita in tutti i suoi elementi sin dal momento della creazione ed emissione dei titoli. E – giova precisarlo – tale affermazione non pare possa essere confutata per il sol fatto che, ai sensi del più volte richiamato art. 2411, comma 2, cod. civ., l’elemento accessorio della remunerazione possa non essere del tutto cristallizzato ab origine per essere invece indicizzato sulla base di parametri oggettivi anche riferibili all’andamento economico della società: neppure in tale specifica ipotesi, infatti, si tratterebbe di regolare ex ante situazioni ignote e future, in quanto verrebbe comunque indicato sin dall’origine il parametro (oggettivo, seppure mutevole nel tempo) di indicizzazione, e le condizioni del prestito incorporerebbero in via automatica le fluttuazioni del parametro rideterminando, tempo per tempo, la misura degli interessi, senza richiedere alcun ulteriore intervento o nuovo accordo delle parti.
(52) Di regola, infatti, gli obblighi a carico degli obbligazionisti si esauriscono già nella fase iniziale dell’operazione di prestito, e precisamente al momento della emissione e sottoscrizione dei titoli, con contestuale versamento da parte degli obbligazionisti della somma data in prestito in favore della società emittente, a titolo di prezzo di sottoscrizione. Fanno eccezione quelle operazioni di prestito nelle quali – ai sensi del regolamento di emissione – i sottoscrittori del prestito assumono altresì l’impegno nei confronti dell’emittente a sottoscrivere ulteriori emissioni obbligazionarie che si prevede siano realizzate in un momento successivo dall’emittente medesimo; si tratta ad ogni modo di ipotesi eccezionali e meno frequenti nella prassi, nelle quali peraltro l’impegno è direttamente assunto da ciascun sottoscrittore (tipicamente, soggetti istituzionali) nel relativo contratto di sottoscrizione, senza essere incorporato nelle condizioni di
Tale rilievo ha una portata determinante rispetto all’indagine oggetto del presente lavoro e si ricollega al fondamentale distinguo già operato in premessa (v. § 1 che precede) tra la diversa natura del contratto sociale e del rapporto di prestito obbligazionario. Con il primo, gli azionisti si rendono compartecipi di un’attività comune, e precisamente di un insieme di atti caratterizzati dalla loro funzionalizzazione allo scopo imprenditoriale (la produzione e lo scambio di beni e servizi) distribuiti nel tempo e non puntualmente identificabili ex ante (53). Il contratto di società, infatti, non può che qualificarsi – sotto tale profilo – come un contratto “incompleto”, che gli azionisti svilupperanno durante societate avvalendosi dell’assetto organizzativo della società medesima.
Nel contratto sociale è la stessa natura del contratto a richiedere, per il suo futuro svolgimento, che siano previsti meccanismi per poterne ottenere, nel corso del tempo, l’integrazione e l’aggiornamento alla luce delle circostanze sopravvenute (54). Al contrario, il rapporto di prestito obbligazionario, per quanto destinato a svolgersi lungo un arco di tempo tendenzialmente medio-lungo, non richiede di
emissione di cui al regolamento del prestito, cosicché non possa circolare ed intendersi automaticamente trasferito agli eventuali successivi acquirenti del titolo obbligazionario. Xxxxxxxxx, si assiste più frequentemente a clausole del regolamento di emissione che attribuiscano espressamente all’emittente la facoltà di riaprire l’emissione obbligazionaria offrendo sul mercato titoli di nuova emissione aventi le medesime caratteristiche delle obbligazioni originariamente emesse e del tutto fungibili con le medesime (clausole cc.dd. di riapertura dell’emissione o, secondo la terminologia anglosassone internazionale, di “top-up”). A titolo esemplificativo, si veda l’art. 1 del regolamento del prestito obbligazionario di IPI S.p.A. (denominato "IPI S.P.A. 7% 2014 - 2021"), reperibile al link xxxx://xxx.xxx-xxx.xxx/xxxxxxxxx/xxxxxxxxx/xx-xxxxxxx/xxxxxxxx- obbligazionario/allegato-A-regolamento.pdf. Al di là di tali specifiche previsioni, di regola dunque è l’emittente a dovere eseguire le obbligazioni di pagamento nei termini previsti dal regolamento lungo la durata del prestito, ed in particolare l’obbligo di corrispondere periodicamente gli interessi e di rimborsare il capitale alla scadenza ovvero in più rate secondo il piano di ammortamento prestabilito, ma anche di adempiere agli ulteriori impegni (informativi, di fare o di non fare) tipicamente previsti a tutela degli obbligazionisti nell’ambito di tali operazioni.
(53) Così, X. XXXXXX, Il conflitto di interessi del socio, 373.
(54) In particolare, si è osservato che per tutte le società l’esercizio in comune di un’attività economica «richiede, per sua natura, la persistenza del rapporto sociale, pone l’esigenza di mezzi destinati all’attività ed esige, per la sua attuazione, ulteriori determinazione rispetto a quelle iniziali, non essendo possibile prevedere quanto sarà richiesto dalle effettive condizioni di svolgimento delle singole operazioni. […] In questo quadro, anche nelle società il principio maggioritario costituirebbe semplicemente il mezzo tecnico più adeguato alla struttura del contratto di organizzazione per assicurarne l’attuazione» (così, X. XXXXXXX, Il principio id correttezza, 108-111).
per sé – o almeno non necessariamente – un’attività di costante integrazione ed aggiornamento così da regolamentare lo svolgimento di atti, necessari per lo sviluppo del rapporto ma al contempo non puntualmente identificabili ex ante e neppure idonei ad essere previamente disciplinati in tutti i loro elementi (55). Piuttosto, i diritti e gli obblighi delle parti del rapporto di prestito sono esattamente quelli individuati nel relativo regolamento di emissione, così come proposto dalla società emittente ed accettato dai sottoscrittori dei titoli. Lo svolgimento dell’attività d’impresa, ed il fisiologico e costante mutamento delle condizioni economico-finanziarie della società, assumeranno rilevanza ai fini del rapporto obbligazionario se e nella misura in cui siano state oggetto di disciplina negoziale o, semmai, sotto il profilo della capacità dell’emittente di onorare gli impegni originariamente assunti.
Da tali considerazioni discendono delle rilevanti conseguenze sul ruolo che l’assemblea degli obbligazionisti è chiamata a svolgere e, di riflesso, sulla effettiva portata delle relative attribuzioni. Proprio in quanto non preordinata allo svolgimento di alcuna attività comune (56) bensì a dare una tutela collettiva di interessi (comunque) individuali (57) derivanti da una posizione giuridica soggettiva ben definita in tutti i suoi elementi (cristallizzati nel regolamento di emissione), l’assemblea degli obbligazionisti vanta competenze di carattere specifico e non generale. La presenza dell’assemblea degli obbligazionisti soddisfa un’esigenza pratica, di carattere organizzativo, che discende dalla peculiare modalità di rappresentazione e frazionamento del rapporto (plurisoggettivo) di credito in titoli di massa, di regola distribuiti presso un numero rilevante di soggetti.
(55) In senso conforme, cfr. X. XXXXXX, Gli strumenti finanziari obbligazionari, 101.
(56) Ciò che si verifica invece con riguardo all’assemblea dei soci, e in questo senso v. P.J. JAEGER
– X. XXXXXXX, Appunti di diritto commerciale, 220; X. XXXXXXX, Il principio di correttezza, 108 ss.; X. XXXXXX, Il conflitto di interessi, 373 ss.; X. XXXXXX, Gli strumenti finanziari obbligazionari, 100 ss.; X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 222 ss.
(57) In questo senso, v. X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 222; G.F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, 487; X. XXXXXX, Gli strumenti finanziari obbligazionari, 100.
Sulla scorta di tali preliminari considerazioni, l’assemblea degli obbligazionisti sembra esprimere una ipotesi, certamente eccezionale e dettata come detto dalle peculiarità proprie dell’operazione, di “interferenza” del principio maggioritario rispetto ad una relazione contrattuale che si configura ab origine come un rapporto “completo”, quantomeno nell’accezione civilistica poc’anzi ricordata.
Da questo angolo visuale appare allora senz’altro condivisibile, ma soprattutto coerente con i criteri di interpretazione dettati dall’art. 14 disp. prel. cod. civ., lo sforzo interpretativo di ricostruire i limiti delle competenze attribuite dal legislatore all’assemblea tenendone a mente la portata eccezionale e derogatoria rispetto al generale principio di autonomia contrattuale.
Uno sforzo di questo tipo, venendo ora al merito degli orientamenti “restrittivi” prima menzionati, può riconoscersi nella linea interpretativa che ritiene di dovere interpretare letteralmente il perimetro della competenza assembleare di cui all’art. 2415, c. 1, n. 2, cod. civ., valorizzando il tenore testuale della locuzione
«modificazione delle condizioni del prestito» utilizzata dal legislatore. Segnatamente, al termine “condizioni” dovrebbe attribuirsi il significato di “modalità” – o di clausola “accessoria” – del prestito obbligazionario, rimanendo per contro escluse, e dunque sottratte alla disponibilità della maggioranza assembleare, le condizioni “essenziali” dello stesso, la cui modificazione potrebbe alterare la posizione giuridica soggettiva e i diritti individuali del singolo obbligazionista (58).
La distinzione testé richiamata, tendenzialmente volta a sottrarre all’assemblea i profili contrattuali più rilevanti del rapporto di prestito obbligazionario, non ha tuttavia portato a risultati soddisfacenti per più ordini di ragioni: oltre a non potersi attribuire in via univoca tale significato semantico alla formula legislativa (che richiama le “condizioni” tutte del prestito, senza precisare quali possano
(58) Si vedano, al riguardo, X. XXXXXXXX, Diritto delle società, 424-425; A. XXXXXXXXXX, Diritti individuali, 103; P. G. JAEGER – X. XXXXXXX, Appunti di diritto commerciale, 446; R. CLARIZIA, Assemblea degli obbligazionisti, 320; X. XXXXXXX, voce Obbligazioni di società, in Enc. giur., XXI, Roma, 1990, 5; F. FERRARA JR – X. XXXXX, Gli imprenditori e le società, Milano, 2001, 599.
ricadervi e quali non) (59), la tesi sconta significativi limiti in sede applicativa, posto che lo stesso criterio secondo cui stabilire quali condizioni debbano ritenersi essenziali e quali non, appare di per sé ambiguo (60). Basti osservare che, al di là dell’impostazione teorica di fondo, tra gli stessi sostenitori della tesi non si riscontra unanimità di vedute sulla concreta individuazione degli elementi del prestito che debbano essere considerati “essenziali” e, per l’effetto, immodificabili senza il consenso di tutti gli interessati.
Mentre, infatti, si ritiene concordemente che l’obbligo di restituzione del capitale costituisca una condizione essenziale del prestito e, per l’effetto, non sia disponibile a maggioranza, si registrano posizioni discordanti ed ulteriormente differenziate rispetto alla qualificazione di alcuni elementi del rapporto obbligazionario tutt’altro che marginali, quali, ad esempio, i premi o gli interessi corrispettivi oppure le garanzie, reali o personali, che eventualmente assistano l’emissione, rimanendo così irrisolta la questione se una modifica, riduzione o totale soppressione di uno o più di tali elementi possa o meno considerarsi disponibile a maggioranza (61).
Appurata la difficile applicazione pratica di tale ricostruzione, un secondo orientamento (62), parimenti teso a dare una lettura restrittiva all’ambito di
(59) Ed anzi, a ben vedere, la Relazione al codice civile, pur nella sua ambiguità, sembra deporre in senso del tutto opposto, in particolare ove si precisa che con la disciplina de qua «si attribuisce alla maggioranza suindicata la facoltà di approvare mutamenti sostanziali dell’originario rapporto» (corsivo aggiunto), menzionando, ma solo a titolo esemplificativo, le clausole inerenti alla misura degli interessi, al rimborso anticipato delle obbligazioni e alle garanzie eventualmente concesse all’atto dell’emissione.
(60) E, in proposito, si vedano anche le considerazioni critiche di G. F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, 496; X. XXXXXX, Gli obbligazionisti nel concordato, 46; R. CAVALLO BORGIA, Società per azioni. Tomo IV. Delle obbligazioni, 152; X. XXXXXXXXXX, L’organizzazione degli obbligazionisti, 118; X. XXXXXXX, Artt. 2415-2420, 216 ss., nonché, per un sintetico riepilogo delle singole posizioni espresse sul punto, X. XXXXXX, Le società per azioni, 368.
(61) Per una efficace sintesi delle varie posizioni espresse dalla dottrina sul punto, si veda X. XXXXXX, Le società per azioni, 367 ss.
(62) In particolare, muovono in quest’ordine di idee, tra gli altri, G.F. CAMPOBASSO, L’organizzazione degli obbligazionisti, 496 ss.; G. L. XXXXXXXXXX, Art. 2415, in Società di capitali. Commentario a cura di X. XXXXXXXX – X. XXXXXX D’ALCONTRES, Napoli, 2004, 950-951;
M. G. XXXXXXXXXX, L’organizzazione degli obbligazionisti, 119 ss.; X. XXXXXXX, Artt. 2415-2420, 216-217.
competenza di cui all’art. 2415, comma 1, n. 2, ha invece ritenuto che il limite della competenza assembleare debba essere individuato sulla base di altri criteri discretivi. Criteri che discendono dalla fattispecie “prestito obbligazionario” e dai tratti caratterizzanti della posizione dell’obbligazionista in quanto tale.
In particolare, guardando alla fattispecie in esame sotto il profilo tipologico, non pare potersi revocare in dubbio che lo strumento obbligazionario sia pur sempre rappresentativo di un’operazione di prestito, realizzando una forma di raccolta del capitale di credito e dunque con obbligo di rimborso (63). Come già in precedenza ricordato, anche a seguito della riforma le obbligazioni continuano a costituire una forma cartolare di raccolta del capitale di credito e la possibilità che le stesse partecipino al rischio di impresa può unicamente ammettersi con riguardo al rendimento di esse (art. 2411, comma 2, cod. civ.) ovvero all’ordine o ai tempi di rimborso del capitale (art. 2411, comma 1, cod. civ.). La grey zone degli strumenti finanziari che partecipino al rischio di impresa anche in termini di restituzione del capitale è, invece, assegnata agli strumenti ibridi, comunque denominati (art. 2411, comma 3, cod. civ.) (64).
La dottrina largamente maggioritaria riconosce quale scopo primario dell’emissione obbligazionaria quello di realizzare un’operazione di credito, tendenzialmente a medio e lungo termine, di natura collettiva (65). Per quanto il riconoscimento espresso delle obbligazioni subordinate e di quelle con interessi
(63) Un’autorevole opinione, pur rimarcando che – ad esito della riforma del 2003 – i caratteri tipologici di azioni, da un lato, ed obbligazioni, dall’altro lato, appaiono oramai «completamente sbiaditi», ha più di recente ribadito che la fattispecie obbligazionaria è riconducibile a quegli
«strumenti emessi sulla base di una operazione di mutuo e che diano diritto alla restituzione della somma prestata» (così, X. XXXXXX XXXXXXX XX, Strumenti finanziari e società per azioni, in La riforma del diritto societario dieci anni dopo. Quaderni di Giur. Comm., 2015, 70). In senso conforme, tra gli altri, si vedano A GIANNELLI, Le obbligazioni ibride, 60 ss.; X. XXXXXX, Gli strumenti finanziari, 35 ss.
(64) Su punto, si vedano i riferimenti bibliografici di cui alla nota 7 che precede.
(65) Cfr. G. F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, 497; X. XXXXXXX, La società per azioni, 195, G. FRÈ, Società per azioni, 586; X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 8; N, CIOCCA, Gli strumenti finanziari, 26 ss.. In giurisprudenza, riconduce la fattispecie obbligazionaria al rapporto di mutuo Trib. Milano, 1 marzo 1951, in BBTC, 1951, II 136; App. Genova, 11 giugno 1994, in Società, 1995, 796.
indicizzati all’andamento economico della società, compiuto con la riforma del 2003, equivalga ad ammettere che le obbligazioni possano altresì esprimere – sotto il profilo della disciplina – una causa associativa, nel senso della compartecipazione dei creditori obbligazionisti alle sorti, ed in particolare al rischio d’impresa, della società emittente, il “tipo” obbligazionario continua ad esprimere una causa di finanziamento, quantomeno in via prevalente (66).
Il diritto alla restituzione del capitale dato in prestito è dunque intangibile dalla maggioranza ed ogni rinuncia o modifica peggiorativa dello stesso deve considerarsi assoggettata ai comuni canoni del diritto contrattuale e dunque non può essere convenuta senza il consenso di ciascun obbligazionista. Ma, al pari del diritto al rimborso della somma prestata, secondo tale linea interpretativa sono altresì insopprimibili a maggioranza tutti i dati “tipizzanti” la fattispecie prestito obbligazionario, intesa come «mutuo fruttifero frazionato in titoli di credito di massa» (67).
Seguendo tale impostazione, risulterebbe così sottratta all’assemblea la decisione di convertire coattivamente i titoli obbligazionari in azioni o strumenti finanziari diversi oppure ancora in titoli di credito non di massa; parimenti, non sarebbe disponibile all’assemblea la decisione di imporre agli obbligazionisti l’erogazione di nuove somme in favore della società emittente.
(66) Cfr. X. XXXXXXXXX, Art. 2411, in Obbligazioni - Bilancio a cura di X. Xxxxxx e L.A. Xxxxxxx, in Commentario alla riforma delle società diretto da P. G. Xxxxxxxxx e L. A. Bianchi - X. Xxxxxx - X. Xxxxxx, Milano, 2006, 29. Il richiamo al mutuo – merita segnalarlo – non pare negato neppure dagli autori che riconoscono la piena astrattezza del titolo obbligazionario, osservandosi che la “causalità” del titolo obbligazionario deve riferirsi unicamente all’adozione di un determinato “tipo” di disciplina giuridica, quale appunto quella del mutuo, senza che per questo soltanto venga meno la completa astrazione del rapporto cartolare rispetto a quello fondamentale (in questo senso,
X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 70 ss., pur riconducendo la fattispecie obbligazionaria al rapporto di mutuo sotto il profilo causale, qualifica le obbligazioni come “titoli a causalità formale”, rilevando che «se si accede alla terminologia per cui i titoli causali sono (anche) quelli soggetti ad una determinata disciplina causale tipica, non si può negare alle obbligazioni il carattere causale […]; se, per contro, si vuole restringere la qualifica di causali ai soli titoli che consentono il trasferimento di una posizione condizionata alla valida esistenza del c.d. rapporto fondamentale, allora le obbligazioni dovranno essere qualificate come titoli astratti o semicausali»).
(67) G. F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, 497.
È discusso se sia elemento parimenti tipizzante della fattispecie quello della onerosità del prestito obbligazionario (68). Ad avviso dello scrivente depone a favore di una risposta negativa, così suggerendo di annoverare tra i poteri dell’assemblea anche quello di sopprimere il diritto alla (futura) percezione di ogni interesse a valere sul prestito obbligazionario, ove ciò risulti compatibile con l’interesse comune, il riconoscimento espresso da parte del legislatore delle obbligazioni con interessi indicizzati di cui all’art. 2411, comma 2, cod. civ. In tale fattispecie, ben potrebbe accadere che – in ragione delle condizioni economiche della società – venga del tutto meno il diritto alla percezione degli interessi durante la vita dell’emissione, senza che ciò precluda la possibilità che strumenti di tal tipo continuino a qualificarsi, in tutto e per tutto, come “obbligazioni”. Peraltro, se le tesi che escludono la tangibilità a maggioranza dei tratti tipizzanti del prestito obbligazionario ricostruiscono tali tratti alla luce dello schema mutuatizio, in quanto strumenti di capitale di credito, non può tralasciarsi che la disciplina civilistica del mutuo configura tali interessi come elemento
(68) Secondo un autorevole orientamento, è senz’altro ammissibile una riduzione del tasso di interessi, con eventuale parziale modificazione del criterio di remunerazione, così come una temporanea sospensione del relativo pagamento, ma non anche una totale soppressione degli interessi medesimi, che comporterebbe una alterazione strutturale della fattispecie da mutuo “fruttifero” a mutuo gratuito (in questo senso, cfr. G.F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, 497; X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 228; P.J. JAEGER – X. XXXXXXX, Appunti di diritto commerciale, 220). Secondo altra opinione, la modifica degli interessi, in termini di variazione del tasso o parametro di riferimento o di riduzione del saggio di interessi od anche di totale soppressione degli interessi corrispettivi, sarebbe materia senz’altro disponibile all’assemblea in quanto elemento naturale, ma non anche essenziale, della fattispecie mutuatizia secondo la disciplina dettata negli artt. 1813 e ss. cod. civ. (ed in particolare – per quanto attiene agli interessi – nell’art. 1815 cod. civ.), alla quale l’operazione di prestito obbligazionario è riconducibile (in questo senso, X. XXXXXXXXXX, L’organizzazione degli obbligazionisti, 120 ss.). In giurisprudenza, si segnala sul punto Trib. Monza, 10 aprile – 13 giugno 1997, in Riv. dir. comm., II, 358 e in Società, 1998, 179, secondo cui è ammissibile una riduzione del tasso di interessi per un determinato periodo di tempo, nonché, nello stesso senso, App. Milano, 17 novembre 1998, in Società, 1999, 196, secondo cui «è la stessa ratio della norma, che vuol rendere praticabile l’esigenza di adeguare, nell’interesse stesso della collettività degli obbligazionisti, le condizioni del prestito all’eventualmente mutata situazione economica della società debitrice: rientra dunque nei poteri dell’assemblea degli obbligazionisti deliberare […] in tema di misura degli interessi», ma limitatamente a quelli non ancora esigibili; ancora prima, Trib. Milano, 18 settembre 1989, in Giur. comm., 1990, II, 507 e in Società, 1990, 473, aveva escluso la possibilità di rinunciare a maggioranza agli interessi già maturati, in quanto già entrati a far parte dei patrimoni individuali degli obbligazionisti (mentre in motivazione la pronuncia sembra aderire alla tesi favorevole alla possibilità di rinunciare in via assembleare alla futura percezione di ogni interesse, ove sorretta da un concreto interesse comune degli obbligazionisti). E per ulteriori riferimenti di giurisprudenza e dottrina sul punto, v. anche X. XXXXXX, Le società per azioni, 370 ss.
naturale e non essenziale del negozio, facendo salva la possibilità per le parti di convenire un mutuo gratuito (art. 1815 cod. civ.).
Naturalmente – pare opportuno precisarlo – quanto appena affermato vale unicamente per gli interessi maturandi e non anche per quelli già maturati ed entrati a far parte del patrimonio dei singoli obbligazionisti quali crediti esigibili nei confronti dell’emittente: in tale ultimo caso, non potrebbe infatti più discorrersi di mera modificazione di una condizione del prestito ma piuttosto di una vera e propria rinuncia ad un diritto quesito, che ragioni di certezza del diritto
– anche tenuto conto di eventuali vicende di circolazione del credito – impongono di sottoporre al consenso di ciascun singolo obbligazionista, titolare del credito (69).
Altro tema su cui non si riscontra unanimità di vedute, neppure tra gli stessi sostenitori della tesi restrittiva qui proposta, attiene alla liberazione, in tutto o in parte, delle garanzie, reali o personali (70), che assistano l’emissione obbligazionaria.
(69) E in questo senso, si vedano gli orientamenti giurisprudenziali richiamati nella nota 68 che precede.
(70) La circostanza che le obbligazioni di pagamento incorporate nei titoli obbligazionari siano oggetto di garanzia personale da parte di soggetti terzi è particolarmente ricorrente nelle emissioni realizzate da emittenti facenti parte di grandi gruppi societari, anche internazionali, nelle quali l’emissione è tipicamente effettuata da una delle società controllate ma, allo scopo di migliorarne il profilo di rischio e di legare il merito creditizio dell’operazione alla performance ed all’andamento economico dell’intero gruppo di appartenenza piuttosto che alla singola società che si rivolga al mercato del capitale di credito, si prevede altresì la concessione di garanzie personali, di regola in forma di garanzia autonoma a prima richiesta, da parte della relativa società capogruppo (cc.dd. parent company guarantee) nonché, eventualmente, di una o più società collegate (intercompany guarantee). Gli esempi in tal senso sono numerosissimi, soprattutto nell’ambito dei programmi di offerta (come definiti ai sensi dell’art. 2, lett. k, della Direttiva 2003/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 novembre 2003 – c.d. Direttiva Prospetto), che consentono l'emissione di obbligazioni – di regola sottoposte alla legislazione inglese – in modo continuativo o ripetuto durante un determinato periodo di tempo sulla base di termini e condizioni generali inizialmente fissati (salve le condizioni specifiche e di dettaglio, comunemente note come final terms¸ da definirsi in corrispondenza di ciascuna emissione). E si veda, ad esempio, il programma di emissioni di tipo “Euro Medium Term Note” realizzato dal gruppo Enel e, da ultimo, rinnovato in data 20 ottobre 2015, reperibile sul sito ufficiale dell’Irish Stock Exchange (xxxx://xxx.xxx.xx) presso il quale è stato quotato. È evidente come, specie in tali contesti, la decisione di liberare le garanzie accessorie al prestito obbligazionario possa avere un rilievo tutt’altro che marginale per gli obbligazionisti, posto che dalla stessa potrebbe anche discendere una sostanziale alterazione, in peius, dell’originario profilo di rischio dell’investimento.
Per quanto si tratti di previsioni indubbiamente accessorie rispetto al rapporto di prestito (prova ne sia il fatto che la loro presenza è solo eventuale e tutt’altro che necessaria ai fini del perfezionamento dell’emissione, essendo perlopiù guidata da ragioni di opportunità commerciale), come osservato da dottrina autorevole, «si potrebbe fondatamente affermare che intangibile è da considerarsi non solo la qualità di obbligazionista in genere ma anche la partecipazione a quella data categoria di obbligazionisti, indipendentemente dal rilievo causale degli elementi che concorrono ad identificarla» (71).
Secondo un orientamento, peraltro, la materia in questione è indisponibile ove si tratti di garanzie ipotecarie di primo grado costituite ex art. 2412, comma 3, cod. civ., la cui permanenza per tutta la durata dell’operazione si rende necessaria affinché non vengano meno i presupposti che hanno a monte legittimato la deroga ai limiti quantitativi dall’emissione prevista, in via eccezionale, dalla richiamata norma (72).
Tali argomentazioni non paiono tuttavia convincenti. Quanto alla possibilità di ricostruire il novero degli elementi intangibili del prestito di volta in volta secondo le caratteristiche proprie di una data emissione, si tratta di un approccio interpretativo che, di fatto, svilisce ogni tentativo di distinguere tra caratteristiche tipizzanti e non della fattispecie obbligazionaria, atteso che – esclusa unicamente la possibilità di prevedere un’obbligazione senza diritto di rimborso, ancorché condizionato o subordinato – le obbligazioni presentano, come già osservato, una geometria variabile ed in questo senso ciascuna singola emissione potrebbe, in linea di principio, fare categoria a sé ed ogni sua specifica condizione doversi, in questa prospettiva, qualificare come intangibile.
Pertanto, ad avviso dello scrivente gli elementi intangibili del prestito obbligazionario non possono che essere individuati ex ante, prescindendo dalle caratteristiche dell’emissione in concreto e soffermando unicamente l’attenzione sulle caratteristiche il cui venir meno comporterebbe una ricaratterizzazione o
(71) Così, G. F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, 498.
(72) In questo senso, si veda X. XXXXXXXXXX, L’organizzazione degli obbligazionisti, 126 ss.
conversione del titolo obbligazionario in uno strumento finanziario tipologicamente diverso.
Quanto al problema specifico dell’art. 2412, comma 3, cod. civ., le perplessità espresse da alcuni commentatori e poc’anzi ricordate paiono muovere dall’assunto che una liberazione della garanzia ipotecaria determini necessariamente una violazione di quanto previsto dalla norma in questione. In verità, diverse e tutt’altro che remote sono le situazioni nelle quali la liberazione o riduzione delle ipoteche può essere effettuata senza in alcun modo contravvenire al disposto dell’art. 2412 cod. civ. L’emittente potrebbe infatti decidere, a fronte della liberazione delle garanzie, di non avvalersi più della deroga ai limiti quantitativi all’emissione, avendo raggiunto una dotazione patrimoniale sufficiente ad assicurare il rispetto del rapporto massimo di cui all’art. 2412, comma 1, cod. civ.; oppure si potrebbe procedere con una liberazione parziale o riduzione pro tanto delle garanzie ipotecarie al fine di tenere conto del progressivo ammortamento del prestito e quindi della riduzione tempo per tempo dell’ammontare complessivo delle obbligazioni garantite, senza violare la soglia massima dei due terzi di cui all’art. 2412, comma 3, cod. civ.
Ma una soluzione favorevole all’inclusione di tale materia tra quelle disponibili a maggioranza pare altresì suggerita da una lettura coordinata della disciplina della competenza assembleare di cui all’art. 2415 cod. civ. con la disciplina dettata in argomento dal legislatore in ambito concordatario. Basti osservare, in proposito, che, ai sensi degli artt. 127, comma 2, e 177, comma 2, l. fall, il voto sulla proposta di concordato da parte di creditori muniti di diritti di prelazione è ammesso solo a condizione che gli stessi rinuncino alla garanzia. Atteso che sulle proposte di concordato decide l’assemblea degli obbligazionisti ai sensi dell’art. 2415, comma 1, n. 3, cod. civ, è giocoforza ritenere che – almeno in funzione dell’approvazione di una proposta di concordato – l’assemblea degli
obbligazionisti sia implicitamente chiamata a decidere se rinunciare o meno alle cause legittime di prelazione che assistano il prestito (73).
4. Il trattamento degli obbligazionisti nel “nuovo” diritto della crisi. Una proposta di rilettura dell’art. 2415 in chiave sistematica.
Si è fin qui evidenziato come i poteri attribuiti all’assemblea degli obbligazionisti in materia di «modificazioni delle condizioni del prestito» ai sensi dell’art. 2415,
c. 1, n. 2, cod. civ. pongano più di una problematica sotto il profilo del coordinamento tra l’interesse comune e i diritti individuali dei portatori dei titoli, soprattutto in termini di protezione e tutela degli obbligazionisti di minoranza a fronte di eventuali alterazioni in peius delle loro ragioni di credito per volontà della maggioranza assembleare. Problematiche queste ultime che inducono ad interrogarsi se – tra le condizioni regolatrici del prestito obbligazionario – non debba comunque ricercarsi uno “zoccolo duro” di situazioni indisponibili senza il consenso di ciascun singolo obbligazionista.
In questa prospettiva, le ricostruzioni interpretative susseguitesi nel tempo e su cui si è già precedentemente soffermata l’attenzione, meritano oggi di essere nuovamente meditate per tenere conto degli impatti che, anche solo indirettamente, le novità introdotte dal legislatore italiano nell’ambito del c.d. diritto della crisi d’impresa possano avere sulla disciplina dell’organizzazione degli obbligazionisti e in particolare sui poteri dell’assemblea.
Ed infatti, sebbene l’art. 2415 cod. civ. – disposizione che, tra le altre cose, espressamente attribuisce all’assemblea degli obbligazionisti il potere di approvare le proposte di concordato – sia rimasto del tutto invariato nel tempo, le procedure di concordato cui lo stesso fa riferimento sono state profondamente ridisegnate dagli interventi legislativi che hanno interessato la legge fallimentare
(73) In questo senso, cfr. X. XXXXXX, Gli obbligazionisti nel concordato, 94; F. FERRARA JR, La posizione degli obbligazionisti nel concordato della società emittente, in Dir. fall., 1960, I, 29; contra, X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 236.
nel corso dell’ultimo decennio, a partire dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito nella l. 14 maggio 2005, n. 80, con il quale – seguendo l’esempio dei principali ordinamenti stranieri (ed in particolare, dell’ordinamento statunitense) ed estendendo quanto già previsto con il c.d. decreto Parmalat (74) relativamente al concordato delle «grandi imprese in stato di insolvenza» – è stata, tra l’altro, introdotta la possibilità di suddividere i creditori in più «classi» anche nelle ordinarie procedure di concordato (75).
Si intende evidenziare in questa sede come tali novità legislative diano, oggi più che in passato, poteri assai ampi e pervasivi all’assemblea degli obbligazionisti, rendendo possibile non solo che, con il consenso della maggioranza assembleare,
(i) siano modificate in peius condizioni essenziali del prestito, anche laddove si tratti di dati tipizzanti della fattispecie obbligazionaria quali il diritto al rimborso della somma originariamente prestata all’emittente, ma anche che (ii) siano riservati agli obbligazionisti trattamenti “deteriori” rispetto a quelli riservati ad altri creditori all’interno della proposta concordataria.
Come meglio si vedrà in seguito, l’estensione dei poteri e delle competenze assembleari nel contesto delle procedure di concordato può tuttavia offrire una duplice – ed opposta – chiave di lettura rispetto all’individuazione dei confini del
(74) D.l. 23 dicembre 2003, n. 347, convertito nella l. 18 febbraio 2004, n. 39.
(75) Merita ricordare che la disciplina del concordato preventivo è stata più di recente oggetto di ulteriori modifiche, con il d.l. 27 gennaio 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 132. Per effetto delle modifiche apportate da tale decreto, è oggi riconosciuta ai creditori che siano chiamati a valutare la proposta di concordato preventivo la facoltà di avanzare una proposta “concorrente” rispetto a quella formulata dalla società debitrice. Sull’argomento si tornerà più ampiamente nel prosieguo del presente paragrafo, posto che la novità legislativa pone una serie di ulteriori tematiche in punto di coordinamento tra disciplina dell’organizzazione degli obbligazionisti e “nuova” disciplina concordataria (cfr., in particolare, la successiva nota 98). Per un approfondimento ed alcune prime riflessioni sulla nuova fattispecie si vedano, tra molti, G. D’ATTORRE, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, in Il fall. e le altre proc. concorsuali, 2015, fasc. 11, 1163 ss.; X. XXXXX – X. XXXXXXXXXX, Le proposte concorrenti nel concordato preventivo, in Diritto della banca e del mercato finanziario¸ 2015, fasc. 4, 93 ss.; X. XXXXX, La contendibilità dell’azienda in crisi. Dal concordato in continuità alla proposta alternativa del terzo, in xxx.xxxxxx.xx, 2 febbraio 2016, 1 ss.; X. XXXXXXX, Di un ordinato ma timido disegno di legge delega sulla crisi d’impresa, in Il fall. e le altre proc. concorsuali, 2016, fasc. 3, 261 ss.; X. XXXXXXX, La miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: un primo commento, in Il fallimentarista, 2015, reperibile su xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx.
terreno di azione dell’assemblea in merito alle proposte di modifica del prestito che siano formulate al di fuori di tali procedure (e quindi, nell’ambito della competenza di cui al numero 2 – e non già al numero 3 – dell’art. 2415, comma 1, cod. civ.).
Da un lato, infatti, si potrebbe essere tentati di argomentare che la tendenza legislativa degli ultimi anni, per quanto manifestatasi più specificamente nel contesto del diritto della crisi, sia espressione dell’esigenza, di ordine generale, di agevolare la rinegoziazione dei rapporti finanziari della società azionaria, allargando sempre più le modalità di utilizzo del, e gli strumenti di ricorso al, principio maggioritario. In questa prospettiva, tra le tesi interpretative prima ricordate parrebbero allora trovare oggi maggiore cittadinanza, sul piano sistematico, le posizioni che riconoscono all’assemblea un ruolo tendenzialmente illimitato quando si tratti di ridefinire con l’emittente ed eventualmente modificare le originarie condizioni del prestito.
Tale prospettiva si scontra, tuttavia, con una considerazione certamente non trascurabile: pur dimostrando un tendenziale favor per il superamento degli stati di crisi dell’impresa sociale mediante soluzioni alternative al fallimento, il legislatore ha ritenuto di perseguire tale obiettivo “potenziando” gli strumenti concordatari di soluzione della crisi e non può escludersi che tale scelta discenda proprio dalla volontà di canalizzare verso le procedure di concordato previste dalla legge fallimentare ogni ipotesi di rinegoziazione “agevolata” della situazione debitoria dell’impresa mediante utilizzo del principio maggioritario. Un approccio di questo tipo si spiegherebbe anche in ragione degli specifici strumenti di controllo, sindacato e tutela giudiziale che, come si vedrà in seguito, offrono in sede concordataria significativa protezione ai creditori della società, ivi inclusi gli stessi obbligazionisti, così contemperando l’esigenza di facilitare il governo della crisi con quella di proteggere le situazioni giuridiche soggettive dei creditori sociali a fronte di eventuali proposte concordatarie oltremodo penalizzanti. Strumenti che, allo stato, non troverebbero applicazione al di fuori delle richiamate procedure concordatarie.
4.1 Ruolo e poteri dell’assemblea degli obbligazionisti nelle “nuove” procedure di concordato.
Partendo dal primo dei profili appena evidenziati (id est, il potere dell’assemblea di modificare in peius le condizioni essenziali del prestito), non pare potersi revocare in dubbio che, nel contesto delle procedure di concordato, l’assemblea degli obbligazionisti abbia il potere di approvare, a maggioranza, condizioni che incidano anche significativamente sui diritti individuali di pagamento degli obbligazionisti: basti pensare alla falcidia di quanto dovuto dalla società debitrice a titolo di rimborso del capitale datole in prestito. Il concordato, sia esso preventivo o fallimentare, mira infatti, per definizione, ad una “riorganizzazione” dell’assetto patrimoniale e finanziario della società (76) ed è impensabile che, in tale prospettiva, lo stesso non abbia una incidenza sostanziale sui relativi rapporti obbligatori (artt. 135 e 184 l. fall.), modificandoli sotto svariati profili (in primis, in termini di tempi, modalità e quantum del rimborso, nonché di remunerazione del capitale di debito) col consenso dei creditori di maggioranza e previa omologazione del tribunale.
In tale contesto, negare la competenza dell’assemblea degli obbligazionisti rispetto all’approvazione di proposte concordatarie che prevedano modificazioni sostanziali delle loro ragioni di credito significherebbe in concreto sopprimere tout court la competenza assembleare di cui all’art. 2415, comma 1, numero 3), cod. civ., non potendosi realisticamente immaginare una proposta di concordato che non comporti alcuna riduzione od altra modifica delle ragioni di credito vantate dagli obbligazionisti nei confronti della società debitrice (77).
(76) Di “riorganizzazione” proprietaria e finanziaria, discorre in particolare X. XXXXXXXX, Struttura finanziaria, classi di creditori, 708.
(77) Ci si potrebbe semmai domandare se, ogni qualvolta ne derivi una modificazione delle condizioni del prestito, la proposta di concordato non debba considerarsi assoggettata al quorum rafforzato di cui al comma 3 dell’art. 2415 cod. civ., sebbene tale ultima disposizione richiami formalmente la sola materia di cui al comma 1, numero 2, della stessa disposizione (ossia, le modificazioni delle condizioni del prestito, fuori – o comunque a prescindere – da eventuali procedure di concordato). Per le ragioni che saranno esposte in seguito, si ritiene tuttavia che il trattamento degli obbligazionisti nel concordato, anche in termini di alterazione dei loro originari diritti di pagamento nei confronti dell’emittente, debba essere tenuto ben distinto – sotto il profilo della competenza e dell’iter assembleare – da quello degli obbligazionisti di una società in bonis,
Merita piuttosto di essere verificato se, in ambito concordatario, la maggioranza assembleare possa spingersi oltre, approvando, in via vincolante per tutti gli obbligazionisti, ancorché assenti o dissenzienti, condizioni per il soddisfacimento dei crediti obbligazionari che siano non solo (come di regola accade) peggiorative rispetto a quelle originarie, ma anche deteriori – o comunque meno favorevoli – rispetto a quelle riservate agli altri creditori dell’impresa proponente.
Sotto il vigore della precedente disciplina sul concordato di cui alla legge fallimentare (78), le opinioni della dottrina sul punto erano discordanti. Un primo orientamento (79) aveva dato al quesito risposta negativa argomentando che la competenza di cui all’art. 2415, comma 1, n. 3, cod. civ. riguardasse la proposta di concordato «così come prevista dalle legge fallimentare» e che, pertanto, soggiacesse alle regole proprie di tale procedura, ivi incluso il principio della par condicio creditorum ex art. 2741 cod. civ. che – secondo tale linea interpretativa – imporrebbe sempre e comunque il pari trattamento dei creditori chirografari, obbligazionisti e non, anche nel contesto delle procedure di concordato.
con la conseguenza, tra l’altro, che il predetto quorum rafforzato dovrebbe ritenersi applicabile alle sole modificazioni del prestito che siano proposte all’assemblea al di fuori di una procedura di soluzione concordata della crisi. Coerente con tale impostazione appare altresì la considerazione di ordine pratico che «anche qualora tale modificazione [n.d.r., la modificazione richiesta agli obbligazionisti nel concordato] implichi per gli obbligazionisti un sacrificio maggiore di quello imposto nel concordato stesso agli altri creditori, tuttavia si ha per gli obbligazionisti un sacrificio minore di quello che si verifica, invece, nell’ipotesi di modificazione delle obbligazioni quanto la società è in bonis» (cfr. X. XXXXXX, Gli obbligazionisti nel concordato, 12).
(78) Il riferimento corre, evidentemente, alle procedure di concordato così come disciplinate dalla legge fallimentare (Regio decreto n. 267 del 16 marzo 1942) prima degli interventi di riforma di cui al d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito nella l. 14 maggio 2005, n. 80. Vale invece ricordare che la disciplina del concordato vigente ancor prima dell’introduzione della stessa legge fallimentare, e in particolare l’art. 27 della legge n. 197 del 24 maggio 1903, espressamente prevedeva e consentiva tale possibilità (cfr., in argomento, X. XXXXXXX, Del fallimento, III, Milano, 1923, 564 ss., nonché, per ulteriori riferimenti bibliografici sul punto, X. XXXXXX, Le società per azioni. Obbligazioni, 380).
(79) F. FERRARA JR., La posizione degli obbligazionisti, 21 ss., che evidenzia altresì il cambiamento intervenuto rispetto alla previgente disciplina di cui alla legge n. 197/1903; in senso conforme anche X. XXXXXXXXXX, Del concordato preventivo, in Commentario Scialoja-Branca alla Legge fallimentare a cura di F. Bricola, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx, Artt. 160-186, Bologna – Roma, 1979, 80 ss. Condivisibilmente, osserva che la soluzione del quesito interpretativo dipende essenzialmente dal ruolo che si ritiene di poter assegnare al principio della par condicio creditorum nello specifico contesto delle procedure di concordato, G. F. CAMPOBASSO, L’organizzazione degli obbligazionisti, 499, nt. 23.
Un secondo orientamento propendeva invece per una soluzione favorevole, ammettendo che potessero essere riservate condizioni speciali agli obbligazionisti nel contesto di procedure di concordato. In particolare, secondo una posizione (80) il principio della par condicio creditorum non pareva confliggere con la possibilità per l’assemblea degli obbligazionisti di approvare, a maggioranza, condizioni diverse, ed anche deteriori, rispetto a quelle riservate agli altri creditori coinvolti nella procedura. Tale principio, si è osservato (81), vale nella misura in cui – e fintantoché – non intervenga il consenso dei creditori cui sia proposta la condizione deteriore, consenso che nel caso di specie verrebbe espresso dall’assemblea degli obbligazionisti a norma dell’art. 2415, comma 1, n. 3, cod. civ. Secondo tale impostazione, quindi, la maggioranza assembleare può, nel contesto della procedura di concordato, accettare condizioni deteriori di soddisfacimento del credito obbligazionario, vincolando a tale decisione tutti gli obbligazionisti, ivi inclusi quelli assenti o dissenzienti ma in minoranza.
Peraltro, secondo un’ulteriore posizione interpretativa (82), anch’essa formatasi sotto il vigore della precedente disciplina delle procedure di concordato contenuta nella legge fallimentare, è a monte da escludersi che il principio della par condicio creditorum si traduca in un precetto per il quale la proposta concordataria debba sempre e necessariamente prevedere uguale trattamento per tutti i creditori chirografari. Tale conseguenza potrebbe unicamente discendere da una norma di diritto positivo che, sia pure solo implicitamente, vincoli il contenuto della proposta di concordato nel senso di interdire una disparità di trattamento tra creditori chirografari. Non ravvisandosi la sussistenza di una simile norma nella disciplina speciale del concordato di cui alla legge fallimentare, secondo tale ricostruzione non pareva possibile negare che fra i poteri della maggioranza dei creditori votanti nella procedura di concordato rientrasse anche quello di approvare un concordato che prevedesse disparità di
(80) X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 235.
(81) X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 235.
(82) X. XXXXXX, Gli obbligazionisti nel concordato, 14 ss.
trattamento tra creditori chirografari, senza necessità dell’ulteriore consenso dei creditori sfavoriti (83) e, conseguentemente, senza neppure richiedere il consenso dell’assemblea degli obbligazionisti ove questi ultimi fossero i creditori sfavoriti ma in minoranza rispetto ai creditori consenzienti.
Tali orientamenti – lo si è già detto, ma vale la pena di sottolinearlo – si sono tutti formati e sviluppati in epoca antecedente rispetto alle più recenti modifiche che, in particolare a partire dal 2005, hanno interessato la disciplina del concordato preventivo e fallimentare. È evidente, al riguardo, che gli interventi di riforma, e soprattutto la previsione delle diverse «classi» di creditori, abbiano un impatto certamente non trascurabile su tali tematiche.
Anzitutto, il trattamento “differenziato” dei creditori nelle procedure di concordato è oggi, per tabulas, ammesso (84). Ciò è vero almeno nell’ipotesi in cui la proposta della società preveda la suddivisione del proprio ceto creditorio in più classi, secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei, in virtù di quanto previsto dal “nuovo” art. 124, comma 2, l. fall., con riferimento al concordato fallimentare, e dal “nuovo” art. 160, comma 1, l. fall., con riferimento al concordato preventivo. In tali casi, infatti, la proposta di concordato può in linea di principio prevedere «trattamenti differenziati fra creditori appartenenti a classi diverse».
Volgendo in particolare lo sguardo sulla posizione degli obbligazionisti, ne discende che, ove collocati in una propria classe autonoma per omogeneità di
(83) X. XXXXXX, Gli obbligazionisti nel concordato, 16-17. Tale orientamento troverebbe ulteriore sostegno nell’attuale assetto della disciplina concordataria, che, ammettendo il trattamento differenziato di creditori appartenenti a classi diverse, ha indubbiamente affievolito il ruolo da assegnare al principio della par condicio creditorum in ambito concordatario. Si è infatti osservato che, nella nuova disciplina delle procedure di concordato, tale principio si tradurrebbe essenzialmente (i) nel divieto di raggruppare in un’unica classe creditori “di rango diverso” e (ii) nel divieto di trattare diversamente creditori collocati nella medesima classe (in questo senso, tra gli altri, X. XXXXXX, La classazione dei creditori nel concordato preventivo (un’analisi comparatistica), in Giur. comm., 2007, I, 574; A. LA MALFA, Art. 124, in Commentario alla legge fallimentare diretto da X. Xxxxxxxxx, Artt. 124-215, Milano, 2010, 444).
(84) Sui limiti entro cui tale facoltà può essere esercitata, alla luce della portata che si ritiene di potere oggi attribuire al principio della par condicio creditorum nell’ambito delle procedure di concordato, si veda la precedente nota 83.
posizione giuridica e di interessi economici, gli stessi potranno essere destinatari di un diverso trattamento, più favorevole od anche peggiorativo, rispetto a quello riservato a una o più ulteriori classi di creditori, a condizione che ciò sia espressamente previsto dalla proposta di concordato per classi e, nel caso del concordato fallimentare, siano altresì indicate le ragioni di tale trattamento differenziato come richiesto dall’art. 124, comma 2, lett. b, l. fall.
Coerentemente con gli approdi già raggiunti sul ruolo dell’assemblea degli obbligazionisti nelle procedure di concordato sotto il vigore della precedente disciplina (85), sembra peraltro potersi confermare che, anche qualora collocati in una classe autonoma, gli obbligazionisti siano – almeno in assenza di un diverso assetto convenzionale, sulla cui ammissibilità ci si soffermerà più oltre – comunque chiamati a manifestare anzitutto il proprio orientamento sulla proposta
(85) In particolare, quanto al rapporto tra l’assemblea degli obbligazionisti e l’adunanza dei creditori di cui all’art. 174 l. fall., i più recenti interventi di riforma non paiono smentire l’orientamento dominante nel vigore della precedente disciplina, secondo i quali (i) l’assemblea – diversamente da quanto poteva dirsi con riferimento all’adunanza degli obbligazionisti di cui alla (più risalente) disciplina degli artt. 26 e ss. della legge n. 197 del 24 maggio 1903 – svolge una funzione propedeutica rispetto al voto da esprimersi nell’adunanza dei creditori di cui all’art. 174
l. fall., (ii) il voto sulla proposta di concordato è quindi espresso dal rappresentante comune nell’adunanza medesima, sulla base della deliberazione assembleare, in via unitaria in nome e per conto di tutti gli obbligazionisti e (iii) il voto degli obbligazionisti deve intendersi dato, ai fini della maggioranza di somma, per l’intero ammontare del prestito obbligazionario, ossia per la totalità delle obbligazioni emesse e non estinte (e non già limitatamente all’ammontare delle obbligazioni detenute dagli obbligazionisti di maggioranza che in assemblea si siano espressi in senso favorevole alla proposta di concordato). Tra i sostenitori di tale orientamento, si vedano, per tutti, X. XXXXXX, Gli obbligazionisti nel concordato, 32 ss.; G. F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, 500; A. MAISANO, Il concordato preventivo della società, Milano, 1980, 24. Per una conferma della tesi post riforma, cfr. X. XXXXXXXX, Struttura finanziaria, classi di creditori e ordine delle prelazioni nei concordati di società, in Dir. fall., 2010, 712; X. XXXXXXXXXX, L’organizzazione, 131 ss.; X. XXXXXX, Gli obbligazionisti e i titolari di strumenti finanziari non partecipativi nelle procedure di concordato, in Riv. soc., fasc. 1, 2014, 60 ss. Peraltro, dal momento che non è più richiesta la maggioranza di numero (id est, la maggioranza dei creditori ammessi al voto nel concordato) ai fini dell’approvazione della proposta di concordato (sia esso preventivo o fallimentare), può ritenersi superato il precedente dibattito su come dovesse calcolarsi a tale scopo il voto degli obbligazionisti. Nel vigore della precedente disciplina delle procedure di concordato, infatti, la dottrina era divisa tra chi affermava che il voto dovesse, ai fini della maggioranza di numero, considerarsi come un voto unico e quindi dato da un unico creditore (ed in questo senso, si vedano F. XXXXXXX XX, La posizione degli obbligazionisti, 32; X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 234; X. XXXXXXX, Il concordato preventivo, 606) e chi, per contro, sosteneva che il voto dovesse intendersi dato, nella maggioranza di numero, sulla base del numero complessivo dei creditori obbligazionisti (in questo senso, cfr. X. XXXXXX, Gli obbligazionisti nel concordato, 62 ss.; X. XXXXXXXXXX, Sul voto degli obbligazionisti nel concordato della società, in Riv. soc., 1976, 1174; R. CAVALLO BORGIA, Società per azioni. Tomo IV. Delle obbligazioni, 158).
di concordato in assemblea ai sensi dell’art. 2415, comma 1, n. 3, cod. civ., e dunque – deve ritenersi – secondo le regole di funzionamento e l’iter procedurale propri dell’assemblea medesima (86), così come disciplinata dal codice civile (87).
(86) Xxx così non fosse, dovrebbe allora sostenersi che, nel caso di concordato per classi, si fuoriesca dal perimetro di competenza dell’assemblea degli obbligazionisti ex art. 2415 cod. civ. e la decisione sia pertanto rimessa a ciascun singolo obbligazionista, chiamato a votare direttamente e personalmente nella relativa classe di appartenenza, secondo le regole procedimentali previste dalla legge fallimentare. Il “peso” di ciascun singolo obbligazionista verrebbe così determinato, ai fini della maggioranza di somma, sulla base del valore dei titoli obbligazionari dallo stesso detenuti. A supporto di una siffatta ricostruzione, si potrebbe invocare la circostanza che la competenza dell’assemblea in materia di proposte di concordato (art. 2415, comma 1, n. 3, cod. civ.) sia stata introdotta dal legislatore in epoca antecedente rispetto all’introduzione del concordato per classi e, pertanto, tale fattispecie necessariamente non rientrava nell’intenzione del legislatore (che pure rileva ex art. 12 disp. prel. cod. civ.).
Un simile orientamento non pare, tuttavia, convincente, per più ordini di ragioni.
In primo luogo, in sede di riforma delle procedure di concordato il legislatore non ha ritenuto di precisare o meglio circoscrivere la materia di competenza di cui all’art. 2415, comma 1, n. 3: la norma continua a fare riferimento alle proposte di concordato tutte, e non può escludersi che il mancato intervento legislativo sul punto sia il frutto di una scelta consapevole ed intenzionale del legislatore medesimo, volta a mantenere ampia la competenza dell’assemblea in materia di concordato (ed anzi, in mancanza di indicazioni di senso opposto, è questo l’assunto da cui dovrebbe muovere il ragionamento interpretativo). E – si osservi – non si sta qui proponendo di interpretare estensivamente tale regola di competenza, così contravvenendo al divieto di cui all’art.
14 disp. prel. cod. civ. tenuto conto della natura eccezionale della regola di competenza assembleare (si vedano, in proposito, le considerazioni già svolte nel precedente § 3.2); piuttosto, si tratta di attribuire all’art. 2415, comma 1, n. 3, il senso «proprio delle parole secondo la connessione di esse», e dunque di darvi un’interpretazione letterale secondo l’art. 12 disp. prel. cod. civ.
In secondo luogo, se si sostenesse tale tesi, occorrerebbe a rigore sposarla sino in fondo. Ciò significa che, nel nuovo panorama del diritto della crisi, non dovrebbe riconoscersi più alcuno spazio alla competenza assembleare rispetto alle proposte di concordato, siano esse con o senza classi. La fattispecie di concordato cui faceva riferimento il legislatore del ’42 non è infatti in tutto e per tutto equiparabile a quella del concordato senza classi nel nuovo diritto della crisi. Il fatto che l’ordinamento preveda (oggi) la possibilità di suddivisione del ceto creditorio in classi ha infatti dei riflessi anche rispetto all’ipotesi in cui il proponente non preveda tale classazione: basti pensare, in proposito, al dibattito formatosi in merito all’estensione del sindacato sulla proposta di concordato nel caso in cui la stessa non preveda una suddivisione in classi ma sussistano eterogeneità di interessi e/o posizione giuridica tra i creditori tali da giustificarne la classazione. Pertanto, se si adotta l’argomentazione per la quale la competenza assembleare disposta dal legislatore del ’42 non teneva conto delle nuove varianti di proposta concordataria riconosciute oggi dal nostro ordinamento, si giungerebbe ad una sostanziale – ed inammissibile – soppressione dell’intero ambito di applicazione dell’art. 2415, comma 1, n. 3, cod. civ.
Da ultimo, merita ricordare che l’art. 2415 cod. civ. prevede altresì, al numero 5, che l’assemblea sia competente a deliberare sulle altre materie di interesse comune degli obbligazionisti. Si è già detto che tale norma di chiusura assume un pregnante significato sul piano sistematico, in quanto serve a precisare che il potere deliberativo del gruppo, riunito in assemblea, deve sempre intendersi funzionale al perseguimento di un interesse comune, che ne costituisce fondamento e limite al tempo stesso. Xxxxxx, al netto di ogni considerazione sulla portata della materia di competenza specifica di cui al numero 3 della disposizione, pare comunque difficile sostenere che l’introduzione delle classi nella disciplina del concordato abbia fatto venire meno tale situazione di comunanza di interessi e, per l’effetto, lo spazio di competenza assembleare prima pacificamente riconosciuto su tali materie.
La volontà della maggioranza assembleare sarà così manifestata nella procedura di concordato per il tramite del rappresentante comune, che agirà in nome e per conto della “classe” degli obbligazionisti, dichiarando un voto unitario (favorevole ovvero contrario all’approvazione della proposta concordataria) per tutto il gruppo obbligazionario (88) e per l’intero ammontare del prestito emesso (vale a dire, per l’importo complessivo delle obbligazioni emesse e non estinte) (89). Ancora una volta, quindi, è a monte la maggioranza assembleare a determinare l’orientamento del voto degli obbligazionisti ai fini dell’approvazione della proposta concordataria, anche nell’ipotesi in cui tale proposta preveda un
(87) La funzione preparatoria dell’assemblea degli obbligazionisti implica che la stessa, in mancanza di diversa indicazione da parte del legislatore, si svolgerà con l’osservanza delle regole procedimentali previste dal codice civile, in particolare (ma non soltanto) con riguardo alla legittimazione ad intervenire e a votare nell’assemblea, nonché ai quorum costitutivi e deliberativi previsti per il relativo procedimento collegiale di deliberazione. In questo senso, si vedano G. F. XXXXXXXXXX, Le obbligazioni, 499; X. XXXXXX, Gli obbligazionisti nel concordato, 83 ss.; A. MAISANO, Il concordato preventivo della società, Milano, 1980, 124; F. FERRARA, La posizione degli obbligazionisti, 24; X. XXXXXXXXXX, L’organizzazione degli obbligazionisti, 136. Contra, ma la posizione (pur non trascurabile) è minoritaria, X. XXXXXXX, Il voto degli obbligazionisti, 307, secondo cui, muovendo dalla tesi per cui il voto espresso nell’assemblea degli obbligazionisti avrebbe direttamente ad oggetto la proposta di concordato (e non già l’orientamento da esprimersi ai fini del voto nella procedura di concordato in nome e per conto dell’intero gruppo obbligazionario e per la totalità delle obbligazioni in essere), il procedimento assembleare sarebbe, in tali casi, sottoposto alle regole procedimentali proprie della legge fallimentare (vale a dire, quelle dettate con riguardo all’adunanza dei creditori).
(88) La posizione è stata confermata anche a seguito della riforma delle procedure di concordato, tra gli altri, da X. XXXXXXX XXXXXX, Società per azioni. Tomo IV. Delle obbligazioni, 158; X. XXXXXX, Gli obbligazionisti e i titolari di strumenti, 62, quest’ultimo anche sulla scorta della considerazione che «sostenere il contrario e dunque che il rappresentante comune possa esprimere un voto divergente, presentandosi come mero nuncius (non dell’esito di una deliberazione retta dal metodo collegiale, ma) di tante manifestazioni individuali di voto prestate in separata sede, equivarrebbe a negare la lettera dell’art. 2415 c.c.».
(89) Pur senza negare che allo stato il dato del diritto positivo deponga in questo senso, è stato osservato da un Autore che il risultato di tale ricostruzione è quello di una “doppia intermediazione”, nel senso che il rapporto tra obbligazionista e società debitrice è, in primis, mediato dall’assemblea e, in secundis, mediato dal trattamento del gruppo creditorio, nel suo complesso, nel concordato, con la discutibile conseguenza, tra l’altro, che si assisterebbe ad un
«effetto leva del peso del voto degli obbligazionisti ai fini della formazione della maggioranza concordataria, […] “pesando” per l’intero ammontare del prestito ancora in essere e non solo per la maggioranza di questo formatasi in assemblea» (così, X. XXXXXX, Gli obbligazionisti e i titolari di strumenti, 62-63).
trattamento differenziato, ed eventualmente deteriore, per la relativa “classe” di appartenenza (90).
4.2 Classazione unitaria di obbligazionisti e creditori “finanziari” comuni. Ammissibilità e riflessi sul ruolo dell’assemblea e sulla posizione del singolo obbligazionista.
Particolarmente complessa appare la questione se gli obbligazionisti possano essere uniti ad altri creditori della società in sede di formazione delle “classi” di creditori nella procedura di concordato. Secondo il disposto degli artt. 124 e 160 l. fall., è presupposto per la formazione di una “classe” di creditori il superamento di un duplice test di allineamento degli interessi tra i creditori dei quali si proponga una classazione unitaria, e precisamente: l’omogeneità della (i) “posizione giuridica” e (ii) degli “interessi economici” di cui gli stessi siano portatori. Detto altrimenti, ove si proponga di raggruppare i creditori in classi, è esclusa la possibilità di riunire nella medesima classe crediti di natura eterogenea (91).
(90) L’affermazione contenuta nel corpo del testo non esclude peraltro che l’iniziativa individuale del singolo obbligazionista possa, seppure in via residuale, trovare spazio – nel senso di consentire a quest’ultimo di esprimere direttamente il proprio voto sulla proposta di concordato (sia che la stessa preveda o meno la classazione dei creditori), computandosi tale voto come quello degli altri creditori sia nella maggioranza in numero sia in quella in somma – in caso di inerzia dell’assemblea degli obbligazionisti, ad esempio in ragione del mancato raggiungimento dei quorum necessari per la valida costituzione e deliberazione, in applicazione del principio sancito dall’art. 2419 cod. civ. e nella misura in cui tale iniziativa non risulti incompatibile con alcuna precedente deliberazione dell’assemblea ovvero non sia caducata da una deliberazione assembleare che intervenga successivamente e risulti con essa incompatibile. In questo senso, cfr.
X. XXXXXX, Gli obbligazionisti nel concordato, 69 ss.; G. F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, 501;
T. E. XXXXXXXXX, La deliberazione del concordato preventivo, in Trattato di diritto delle procedure concorsuali, diretto e coordinato da U. Apice, III, Torino, 2011, 371; G. D’ATTORRE, Commento all’Articolo 177, in AA. VV., Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Commento per articoli a cura di X. Xxxxx, X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 294.
(91) Si parla, in proposito, del c.d. requisito di “doppia omogeneità”. In argomento, cfr., tra gli altri,
A. LA MALFA, Art. 124, in Commentario alla legge fallimentare diretto da X. Xxxxxxxxx, Xxxx. 000- 000, Xxxxxx, 2010, 47 ss.; X. XXXXXX, Concordato preventivo, conflitti di interessi fra creditori e sindacato dell’Autorità giudiziaria, in Il fallimento, 2009, fasc. 1, 30 ss.; X. XXXXXX, La classazione dei creditori nel concordato, 570 ss.; X. XXXXXX, La filigrana del nuovo concordato preventivo, in AA. VV., Il concordato preventivo e la ristrutturazione del debito di impresa, Torino, 2006).
La soluzione del quesito dipende allora, in primis, dal significato che si ritenga di dover assegnare al (duplice) test appena ricordato. In dottrina sono state fornite diverse esemplificazioni sui possibili criteri di classazione del ceto creditorio, mettendosi in luce come all’interno della pletora dei creditori possano scorgersi prospettive di investimento ben diverse, tenuto conto dell’ammontare e del titolo giuridico della pretesa da ciascuno vantata, così come della natura o dell’attività professionale o commerciale del relativo titolare (92).
Se si interpreta in senso “forte” il requisito di omogeneità della posizione giuridica, si dovrebbe concludere che pretese derivanti da titoli giuridici aventi diversa natura (ad esempio, in quanto talune rivenienti da specifici rapporti contrattuali con la società debitrice e talaltre da rapporti di credito di natura cartolare, come nel caso dei titoli obbligazionari) non possano essere raggruppate in un’unica classe, neppure quando vantino il medesimo rango e, ad esempio, siano parimenti chirografarie oppure assistite da garanzie di pari grado ed equivalente natura. In questa prospettiva, si dovrebbe ritenere che i portatori delle obbligazioni non possano, in alcun caso, essere riuniti nella medesima classe dei creditori non obbligazionisti e dovrebbe conseguentemente darsi risposta negativa al quesito appena posto.
Tuttavia, una simile conclusione non pare accettabile per più ordini di ragioni. Si pensi al caso in cui l’indebitamento finanziario assunto da una determinata società per azioni sia, in parte, rappresentato da (i) finanziamenti a medio-lungo termine concessi in “pool” da una pluralità di istituti di credito e, per la restante parte, da
(ii) obbligazioni, parimenti di medio-lungo termine, unicamente collocate presso istituti di credito ed altri investitori istituzionali. Si immagini che il rango dei
(92) Così, vengono indicate quali possibili classi di creditori: “piccoli” creditori, obbligazionisti, lavoratori dipendenti, fornitori, finanziatori e così via. E poi, ancora, creditori di rango diverso, distinguendosi non soltanto tra creditori garantiti e non, ma anche tra creditori muniti di garanzie di grado diverso oppure di diversa tipologia, nonché tra creditori chirografari subordinati o non subordinati per effetto di eventuali accordi di postergazione, clausole de non petendo etc., con la società debitrice. Si tende, invece, ad escludere che assuma rilevanza la natura o l’identità del titolare della pretesa, anche in considerazione del fatto che lo stesso soggetto ben potrebbe essere portatore di più pretese oggetto di separata e distinta classazione (in questo senso, si veda X. XXXXXX, La classazione dei creditori nel concordato, 572).
crediti rivenienti, rispettivamente, dai finanziamenti in pool e dalle obbligazioni sia il medesimo (ad esempio, in entrambi i casi, chirografario e non subordinato). Nello scenario in ipotesi, le posizioni giuridiche dei finanziatori non cartolari e quelle proprie degli obbligazionisti appaiono, almeno in linea di principio, del tutto affini, per la parità di rango e di durata del credito, per la medesima tipologia di rapporto (id est, rapporto di finanziamento plurisoggettivo) che lega alla società debitrice gli obbligazionisti, da un lato, e il pool di banche finanziatrici, dall’altro lato, ma anche – e nella misura in cui tale elemento possa a sua volta assumere rilievo in concreto (93) – per la medesima natura dei soggetti coinvolti (banche ed investitori istituzionali).
Non potendosi escludere a priori che un pieno allineamento di posizione giuridica ed interessi economici possa sussistere anche tra obbligazionisti e creditori finanziari ma non obbligazionari, non sembra condivisibile una ricostruzione della disciplina che escluda tout court la possibilità che tali “categorie” di creditori siano raggruppate in un’unica classe. In assenza di un precetto di diritto positivo in tal senso, tale impostazione muoverebbe da una lettura perlopiù formalistica del requisito di omogeneità della posizione giuridica tra creditori della stessa classe.
Piuttosto, partendo dal presupposto che tale unitaria classazione non sia, in linea teorica, interdetta e vada verificata caso per caso alla luce del requisito di “doppia omogeneità” (anche, quindi, tenuto conto del necessario allineamento di interessi economici (94)), si pone il problema di capire quali sarebbero in tal caso le modalità di intervento e di espressione del voto degli obbligazionisti nella classe. Ed infatti, se, per un verso, gli obbligazionisti sono provvisti di una propria
(93) In dottrina si tende ad escludere che la natura o l’identità del titolare della pretesa assuma (perlomeno, di regola) rilevanza ai fini della ripartizione in classi, anche in considerazione del fatto che lo stesso soggetto ben potrebbe essere portatore di più pretese oggetto di separata e distinta classazione (in questo senso, cfr. X. XXXXXX, La classazione dei creditori nel concordato, 576).
(94) Diversamente da quanto poc’anzi accennato con riguardo al requisito di omogeneità della posizione giuridica, appare più difficile offrire criteri astratti di individuazione delle condizioni di omogeneità degli interessi economici tra i creditori, atteso che – come è stato osservato – tali interessi possono variare di caso in caso in relazione alla molteplicità degli elementi patrimoniali in gioco (in questo senso, A. LA MALFA, Art. 124, 48).
assemblea competente, tra l’altro, a deliberare in materia di concordato, per altro verso, gli altri creditori sociali con essi raggrupparti in un’unica classe non sarebbero dotati di analoga organizzazione collettiva.
Sotto tale profilo, se – come già si è detto – si ritiene di poter confermare anche nel contesto della nuova disciplina del concordato l’orientamento dominante (95) prima della riforma di tali procedure, secondo cui (a) l’assemblea degli obbligazionisti assume in tale contesto una funzione propedeutica rispetto al voto da esprimersi nel concordato, (b) il voto sulla proposta di concordato è espresso dal rappresentante comune sulla base della deliberazione assembleare ed in via unitaria in nome e per conto di tutti gli obbligazionisti, e (c) tale voto deve intendersi dato, ai fini della maggioranza di somma, per la totalità delle obbligazioni emesse e non estinte, pare possibile applicare, sul piano metodologico, i medesimi criteri interpretativi anche quando si tratti di raccordare la disciplina propria dell’assemblea degli obbligazionisti con quella propria della classe di creditori nel concordato, classe che – nel caso che qui ci occupa – riunirebbe al contempo creditori obbligazionisti e non obbligazionisti.
In questa prospettiva, la volontà degli obbligazionisti sarà, anche nello scenario in ipotesi, mediata dall’organo assembleare, e precisamente la stessa verrà anzitutto manifestata in assemblea da ciascun obbligazionista secondo le regole di svolgimento e di deliberazione proprie di quest’ultima e quindi unitariamente espressa, sulla base della delibera così assunta, dal rappresentante comune nella classe di appartenenza degli obbligazionisti nell’ambito della procedura di concordato. Ai fini del calcolo della maggioranza di somma necessaria per l’approvazione della proposta concordataria ad opera della classe di appartenenza degli obbligazionisti, il voto di questi ultimi dovrà intendersi dato secondo l’orientamento (96) espresso dalla maggioranza assembleare per la totalità delle
(95) Si veda, in proposito, quanto precisato nella precedente nota 85.
(96) Efficacemente, osserva che l’assemblea degli obbligazionisti non esprime, tecnicamente, un voto sulla proposta di concordato, ma piuttosto decide l’“orientamento” che il rappresentante comune dovrà tenere nell’adunanza dei creditori X. XXXX, Art. 2415, in Il nuovo diritto delle società, a cura di X. Xxxxxx Xxxxxxx, II, Padova, 2005, 1284.
obbligazioni emesse e non estinte (97) e andrà a sommarsi al voto espresso nella
classe dagli ulteriori creditori sociali che ne siano parte.
4.3 Il primato dell’assemblea degli obbligazionisti nelle “nuove” procedure di concordato.
Sulla base delle considerazioni sin qui svolte, non pare potersi negare che all’assemblea degli obbligazionisti sia attribuito un terreno di azione piuttosto ampio nel contesto delle procedure di concordato. Ciò era senz’altro vero sotto il vigore della precedente disciplina concordataria, specie per coloro che
(97) Se la ricostruzione proposta è corretta, deve ritenersi che non sia neppure interdetto, in linea di principio, il raggruppamento in un’unica classe di creditori titolari di obbligazioni oggetto di emissioni separate e distinte, ove siano comunque ravvisabili posizioni giuridiche ed interessi economici omogenei tra i diversi “gruppi” obbligazionari. Anche in tali casi, assumerà peculiare rilievo il ruolo dell’assemblea degli obbligazionisti (rectius, delle rispettive assemblee degli obbligazionisti). In particolare, ciascun gruppo obbligazionario (id est, ciascun gruppo di portatori di obbligazioni oggetto della medesima emissione) esprimerà il proprio orientamento rispetto alla proposta di concordato nella propria assemblea degli obbligazionisti ai sensi dell’art. 2415, coma 1, n. 3, cod. civ., e la deliberazione così assunta da ciascuna assemblea determinerà l’orientamento del voto da esprimersi nella classe, in via unitaria in nome e per conto di tutti gli obbligazionisti della medesima emissione. Ai fini della maggioranza di somma, il voto dovrà intendersi dato per l’intero ammontare delle obbligazioni emesse e non estinte di ciascuna emissione (e vedi, in proposito, gli orientamenti già richiamati nella nota 85 che precede). Quanto alla necessità di un’assemblea degli obbligazioni distinta per ciascuna emissione obbligazionaria, è orientamento ormai dominante in dottrina che, pur in mancanza di una espressa previsione in tal senso, qualora vi siano più emissioni di obbligazioni, le stesse diano luogo ad altrettante autonome organizzazioni, dotate ciascuna della propria assemblea, nonché del proprio rappresentante comune (in questo senso, cfr., fra gli altri, G.F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, 493; X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 209 ss.; X. XXXXXXXXX, Il rappresentante comune, 141; A. FORMIGGINI, Diritti individuali, 103). Tale opinione va senz’altro condivisa, se è vero – come già si è avuto modo di argomentare nel precedente § 2 del presente Capitolo I – che (i) il potere deliberativo del gruppo, riunito in assemblea, deve sempre intendersi funzionale al perseguimento di un interesse comune ed in ciò trovi il proprio limite (e, in proposito, si vedano gli Autori citati nella precedente nota 17) e (ii) un pieno allineamento ed una effettiva comunione di interessi ricorre solo tra titolari di titoli obbligazioni che abbiano le medesime caratteristiche (ad esempio, in termini di durata, interessi, piano di ammortamento, condizioni di rimborso, etc.). E’ stato, del resto, opportunamente evidenziato che, ove così non fosse, «con il regime della maggioranza si potrebbe deliberare a sfavore delle obbligazioni di serie minori o delle serie in avanzato corso di ammortamento o delle serie dotate di maggiori garanzie» (X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 209). Saranno parimenti necessarie assemblee distinte nelle ipotesi in cui, con una stessa emissione, siano create obbligazioni aventi diritti diversi (e quindi, più serie di titoli, tra di loro non fungibili), poiché più sono in questo caso le singole comunioni di interessi e l’unità formale dell’emissione non attenua in alcun modo la diversità sostanziale delle singole serie di obbligazioni contestualmente emesse (in questo senso, cfr. G. F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, 493; X. XXXXXXX, I titoli obbligazionari, 210).
ammettono, seguendo l’orientamento sopra richiamato, la possibilità di riservare agli obbligazionisti – previo consenso della relativa assemblea – condizioni deteriori rispetto a quelle offerte agli altri creditori; ma appare ancor più incontestabile oggi alla luce dell’impatto sulla posizione degli obbligazionisti delle modifiche alla disciplina concordataria (98).
(98) Come meglio si dirà a breve, ci si riferisce in questo senso alla centralità del ruolo dell’assemblea nelle proposte di concordato che prevedano la classazione dei creditori e un trattamento differenziato per la classe nella quale è collocato il gruppo degli obbligazionisti. Peraltro, si è già menzionata nella precedente nota 75 l’ulteriore novità delle proposte cc.dd. concorrenti introdotta con riferimento al concordato preventivo con il d.l. 27 gennaio 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 132. In particolare, secondo il novellato art. 163, comma 4, l. fall. «uno o più creditori che, anche per effetto di acquisti successivi alla presentazione della domanda di cui all’art. 161, rappresentano almeno il dieci per cento dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata ai sensi dell’art. 161, secondo comma, lett. a), possono presentare una proposta concorrente di concordato preventivo e il relativo piano non oltre trenta giorni prima dell’adunanza dei creditori».
La previsione di una proposta concordataria alternativa rispetto a quella del debitore non rappresenta, in verità, una novità assoluta nel nostro ordinamento. Come è noto, nel contesto della procedura di concordato fallimentare è riconosciuta ai creditori la facoltà di avanzare autonome proposte di concordato ex art. 124 l. fall., come modificato dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.
Ciò nondimeno, merita di essere osservato come il legislatore non si sia preoccupato, né nel 2006 quando ha riconosciuto la possibilità di iniziativa ex latere creditoris nel concordato fallimentare, né più di recente in sede di introduzione delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, di operare un coordinamento tra il riconoscimento di tali facoltà in capo ai creditori e la disciplina dell’assemblea degli obbligazionisti di cui al codice civile, in particolare per il caso in cui i creditori interessati a presentare la proposta di concordato fallimentare ovvero la proposta concorrente di concordato preventivo siano uno o più obbligazionisti.
Partendo dal presupposto che una simile facoltà vada senz’altro riconosciuta anche agli obbligazionisti (che in questo senso non possono certamente subire un trattamento discriminatorio rispetto ai diritti e alle facoltà riconosciuti agli altri creditori dell’emittente), si tratta piuttosto di capire se tale facoltà spetti a ciascun obbligazionista oppure al gruppo obbligazionario nel suo complesso previa deliberazione assembleare.
In tale prospettiva, può anzitutto osservarsi che, con riguardo alla proposta ex latere creditoris nel concordato fallimentare, l’art. 124, comma 1, l. fall. fa riferimento «ad uno o più creditori», senza alcuna ulteriore specificazione. Una interpretazione letterale (ma non sistematica) della norma lascerebbe ragionevolmente ritenere che tali (uno o più) creditori possano anche essere obbligazionisti, dovendosi in tal senso riconoscere la possibilità di iniziativa del singolo, senza che la stessa sia necessariamente mediata dall’assemblea del relativo gruppo obbligazionario.
Analogamente, con riguardo alla proposta concorrente nel concordato preventivo, l’art. 163, comma 4, l. fall. fa riferimento a «uno o più creditori» che rappresentino «almeno il dieci per cento dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale» depositata dal debitore a norma dell’art. 161, comma 2, lett. a), l. fall., senza distinzione alcuna tra creditori obbligazionisti e non: anche in tal caso dovrebbe quindi ritenersi ammissibile l’iniziativa di uno o più obbligazionisti, ove sia soddisfatto il requisito minimo del dieci per cento appena richiamato.
Tuttavia, come già si è precedentemente argomentato, il legislatore ha tracciato un limite espresso rispetto alla possibilità per il singolo obbligazionista di intraprendere iniziative individuali, precisando, all’art. 2419 cod. civ., che queste ultime non possano essere “incompatibili” con le deliberazioni dell’assemblea previste dall’art. 2415 cod. civ. (sul conflitto tra azione individuale e deliberazione assembleare si vedano le argomentazioni e i riferimenti bibliografici di cui alla precedente nota 32).
Ed infatti, sulla base delle argomentazioni sopra sviluppate, nel vigore della nuova disciplina concordataria e nella prospettiva di un coordinamento “sistematico” tra tale disciplina e le disposizioni del codice civile relative all’organizzazione degli obbligazionisti, deve ritenersi che:
(i) a prescindere dalla circostanza che la proposta di concordato preveda o meno la suddivisione in classi del ceto creditorio, l’assemblea possa senz’altro approvare proposte di concordato che riducano le pretese creditorie degli obbligazionisti rispetto a quelle originariamente previste dal regolamento del
Xxxxxx, a norma dell’art. 2415, comma 1, n. 3, cod. civ., l’assemblea è competente a deliberare sulle «proposte di concordato». Come è noto la disposizione è rimasta nella sua originaria formulazione del 1942 ed è fuor di dubbio che il riferimento era in origine unicamente relativo alle proposte di concordato presentate dal debitore. Ciò nondimeno, almeno quando la proposta ex latere creditoris sia una reazione all’iniziativa presa dal debitore (con la presentazione della sua proposta di concordato) la decisione di formulare una proposta concordataria alternativa o concorrente rispetto a quella propria del debitore costituisce, pur sempre, una modalità di espressione dell’orientamento del creditore rispetto alla proposta concordataria del debitore medesimo. In tali casi, le due valutazioni sono strettamente connesse e, in un certo senso, tra di loro interdipendenti: è evidente infatti che se il creditore ritiene soddisfacente la proposta del debitore, non ha ragione per presentare una proposta autonoma o concorrente rispetto alla prima; viceversa, la decisione di non approvare la proposta concordataria presentata dal debitore è del tutto compatibile con la volontà di proporre una soluzione alternativa, ed anzi è ad essa prodromica. Seguendo tale ragionamento, sembra potersi sostenere che la competenza dell’assemblea a deliberare sulla proposta di concordato presentata dal debitore implichi altresì la competenza della medesima a deliberare soluzioni concordatarie alternative o concorrenti, quantomeno nel caso in cui queste ultime seguano ad una proposta già presentata dal debitore e su cui l’assemblea sia chiamata a decidere ex art. 2415, comma 1, n. 3 (ed allo stato è questa l’unica ipotesi possibile con riguardo al concordato preventivo, atteso che l’iniziativa originaria resta di esclusivo appannaggio della società debitrice).
Con specifico riguardo al concordato fallimentare, non vi poi è alcuna ragione per escludere che l’assemblea sia convocata dal rappresentante comune ovvero da un numero di obbligazionisti che rappresentino almeno il ventesimo delle obbligazioni emesse e non estinte per valutare la proposizione di una autonoma proposta di concordato fallimentare, quale materia di interesse comune ex art. 2415, comma 1, n. 5, cod. civ.
Quanto sopra non esclude ovviamente che, fino a quando l’assemblea rimanga inerte o comunque nella misura in cui l’iniziativa individuale non risulti incompatibile con quella collettiva, seguendo la più accreditata interpretazione dell’art. 2419 cod. civ. (e vedi in proposito la precedente nota 32), anche uno o più obbligazionisti, agendo fuori dall’organo assembleare, possano assumere l’iniziativa di presentare proposte autonome o concorrenti di concordato. Resta inteso che, per proporre una proposta concorrente di concordato preventivo, tali obbligazionisti dovranno detenere un numero di obbligazioni che “pesino” almeno il dieci per cento dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale» depositata dal debitore a norma dell’art. 161, comma 2, lett. a), l. fall.
Da ultimo, va osservato che la competenza dell’assemblea a deliberare sulle proposte di concordato ex art. 2415, comma 1, n. 3, cod. civ., in mancanza di qualsivoglia indicazione di senso contrario, deve senz’altro ritenersi riferita – a seguito dell’introduzione dell’istituto della proposta concorrente – non solo alle proposte formulate dalla società debitrice, ma anche alle eventuali proposte presentate, in via concorrente, da uno o più altri creditori della società.
prestito, così rimodulando – ai fini del concordato – i diritti individuali di pagamento degli obbligazionisti;
(ii) tanto nel concordato con classi, quanto nel concordato senza classi, la competenza dell’assemblea degli obbligazionisti avrà ad oggetto l’orientamento, necessariamente unitario, dell’intero gruppo obbligazionario rispetto alla proposta concordataria, che sarà espresso nella procedura di concordato dal rappresentante comune secondo quanto deciso dalla maggioranza assembleare in via vincolante per tutti gli obbligazionisti, ancorché assenti o dissenzienti (99);
(99) Pur in mancanza di una espressa previsione in tal senso all’interno della legge fallimentare, si tende – condivisibilmente – a ritenere che la volontà degli obbligazionisti debba essere mediata dall’assemblea anche nel caso di accordi di ristrutturazione dei debiti dei quali sia richiesta l’omologazione del Tribunale ex art. 182-bis l. fall.
Secondo X. XX XXXXXX, Società per azioni. Obbligazioni, deposito, iscrizione e pubblicazione delle modificazioni, recesso, operazioni sul capitale. Artt. 2410-2447 decies, in La riforma del diritto societario, a cura di X. Xx Xxxxxx, seconda edizione, 2007, 110 ss., in particolare, per quanto non vengano «dettate specifiche regole per i prestiti obbligazionari in relazione agli accordi di ristrutturazione dei debiti previsti dall’art. 182-bis l.f. […] è sempre l’assemblea degli obbligazionisti che deve esprimere il proprio assenso alla proposta, senza che ciascuno degli obbligazionisti possa far valere una propria autonoma posizione». In questo senso, si è espresso anche il Tribunale di Milano in una pronuncia del 2010 (cfr. Trib. Milano, Sez. II, decr., 25 marzo 2010, in Il Fallimento, 2011, 1, 92 ss.), con riguardo ad un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall. il quale prevedeva – tra le altre cose – la proroga del termine di rimborso di un prestito obbligazionario, affermando l’inammissibilità dell’accordo di ristrutturazione in quanto la modifica delle condizioni del prestito in esso contemplata non risultava previamente approvata secondo l’iter di cui all’art. 2415, comma 1, n. 2, cod. civ., «dal momento che l’assemblea degli obbligazionisti non risulta essersi svolta prima del deposito del ricorso, né potendosi considerare superflua per il fatto che i titolari del 75% del prestito obbligazionario avrebbero sottoscritto gli accordi di ristrutturazione (i quali tra l’altro prevedono, come si è detto, anche la modifica della data di scadenza del prestito)». La decisione dei giudici milanesi (commentata e condivisa da X. XXXXXXXXXXX, L’accordo di ristrutturazione ed il controllo del tribunale nel giudizio di omologazione, in Il Fallimento, 2011, 1, 98 ss.) appare degna di nota in quanto non si limita a confermare la competenza assembleare ex art. 2415, comma 1, n. 2, cod. civ. in merito all’approvazione di accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis l. fall. ma si spinge oltre, escludendo che l’approvazione individuale dell’accordo da parte dei singoli obbligazionisti, sebbene titolari del 75% del prestito obbligazionario, possa essere di per sé sufficiente per superare la necessità di una formale e previa approvazione assembleare secondo la procedura di cui al codice civile.
Pur non essendo questa la sede per poter approfondire puntualmente i diversi temi e profili di coordinamento tra disciplina del gruppo obbligazionario e disciplina degli accordi di ristrutturazione ex art. 000-xxx, xxxx xx xxxx operare al riguardo, seppure sinteticamente, almeno due distinti rilievi.
Il primo rilievo è che la (pur condivisibile) affermazione di una competenza assembleare in materia, derivante dal combinato disposto dell’art. 2415, comma 1, n. 2, cod. civ. e dell’art. 182- bis l. fall., non necessariamente preclude – alla luce del principio di cui all’art. 2419 cod. civ. – ogni spazio di intervento individuale da parte dei singoli obbligazionisti, qualora l’assemblea resti inerte e l’iniziativa del singolo non si ponga in contrasto con alcuna deliberazione assembleare (sul punto, si veda in particolare la precedente nota 90). Resta, nondimeno, da osservarsi che, qualora un singolo obbligazionista aderisca ad un accordo di ristrutturazione dei debiti che – come è
(iii) con particolare riferimento al concordato per classi, il voto degli obbligazionisti, siano essi raggruppati in una classe autonoma e distinta rispetto agli altri creditori, siano essi raggruppati in un’unica classe insieme ad altri creditori, obbligazionisti e non – come pure si ritiene di poter ammettere, almeno in linea teorica –, sarà in ogni caso espresso nel concordato dal relativo rappresentante comune sulla base dell’orientamento previamente stabilito dalla maggioranza assembleare, ancora una volta con deliberazione assunta ai sensi dell’art. 2415 cod. civ., vincolante per tutti gli obbligazionisti, ancorché assenti o dissenzienti;
(iv) sempre nel concordato per classi, l’assemblea degli obbligazionisti, chiamata come detto a deliberare sull’orientamento del voto di tutto il gruppo obbligazionario nel concordato, potrà altresì esprimersi a favore di proposte di concordato che prevedano un trattamento differenziato, ed anche peggiorativo, per gli obbligazionisti medesimi rispetto a quello riservato ad altri creditori della società proponente. Peraltro, tale possibilità non è da escludersi neppure nel caso in cui la proposta di concordato non preveda la ripartizione in classi, ove si ritenga di aderire all’orientamento già formatosi prima della riforma delle procedure di concordato, secondo cui con il consenso dell’assemblea è comunque possibile
verosimile accada – modifichi il contenuto del titolo dallo stesso detenuto, si porrebbero le medesime problematiche dibattute in dottrina circa l’ammissibilità di modifiche individuali e pattuite bilateralmente (tra emittente e singoli obbligazionisti) in relazione alle condizioni dei titoli detenuti dal singolo obbligazionista interessato dall’accordo modificativo, anche alla luce delle caratteristiche proprie dell’emissione e del principio di parità di trattamento, sui quali si tornerà più ampiamente nel § 3 del successivo Capitolo III.
Quale secondo rilievo, deve poi evidenziarsi che la competenza dell’assemblea degli obbligazionisti relativamente all’approvazione di accordi di ristrutturazione che comportino una modifica delle condizioni del prestito obbligazionario potrebbe – almeno teoricamente – subire l’interferenza della disciplina convenzionale eventualmente inserita nel regolamento di emissione del prestito, che in linea di principio potrebbe anche rimettere la materia alla decisione individuale dei singoli obbligazionisti ovvero assoggettarla a processi decisionali collettivi diversi da quelli previsti dal codice civile. In un simile scenario, si tratterà piuttosto di vagliare la tenuta legale di simili pattuizioni integrative ovvero derogatorie rispetto alla disciplina codicistica, muovendo anzitutto dalla natura della disciplina organizzativa degli obbligazionisti e degli interessi dalla stessa protetti. Tale analisi troverà svolgimento nel successivo Capitolo II.
riservare agli obbligazionisti un trattamento diverso, e financo deteriore, rispetto a quello offerto agli altri creditori (100).
Le considerazioni sinora avanzate, ove ritenute condivisibili, indubbiamente portano a riconoscere una spiccata primazia dei poteri della maggioranza assembleare rispetto alla volontà dei singoli obbligazionisti nel contesto delle procedure di concordato, sebbene si tratti di decidere della sorte delle loro individuali ragioni di credito e nonostante dall’approvazione della proposta concordataria possano derivare sostanziali modificazioni delle stesse (101).
Gli interventi di riforma che hanno interessato le procedure di concordato enfatizzano ulteriormente il primato dell’assemblea. Nell’intento di rendere più agevole ed immediata la soluzione delle crisi mediante il ricorso allo strumento concordatario, la nuova disciplina ammette espressamente un trattamento differenziato di creditori appartenenti a classi diverse e, come sin qui argomentato, deve ritenersi che in tali ipotesi sarà (ancora una volta) l’assemblea a decidere l’orientamento degli obbligazionisti e a doversi eventualmente
(100) Una simile conclusione si espone, tuttavia, ad alcuni rilievi critici: non si tratta, infatti, meramente di adattare la tesi sostenuta prima della riforma al nuovo contesto della disciplina concordataria, muovendo dal presupposto che gli approdi raggiunti nel vigore della precedente disciplina, e dunque in epoca antecedente all’introduzione delle classi nel concordato, possano essere oggi confermati nelle procedure di concordato che non prevedano la ripartizione dei creditori in classi.
Rispetto ad una simile impostazione, si potrebbe infatti obiettare che, se nel nuovo sistema è proprio la ripartizione in classi, secondo omogeneità di posizione giuridica e di interessi economici, a consentire che siano fatte condizioni diverse a creditori appartenenti a classi parimenti diverse, in mancanza di tale presupposto (e quindi, essenzialmente, nel concordato senza classi) non possano allora ammettersi trattamenti «differenziati», neppure in termini di condizioni speciali riservate ai soli obbligazionisti rispetto a tutti gli altri creditori interessati dalla procedura di concordato.
(101) Criticamente, X. XXXXXX, Gli obbligazionisti e i titolari di strumenti, 62, evidenzia che – per quanto le norme depongano nel senso qui divisato – la scelta del legislatore non appare ragionevole in quanto, se ha «un senso che l’assemblea deliberi a maggioranza sulle eventuali modifiche delle condizioni del prestito, di guisa che nel rapporto con la società si formi una volontà uniforme espressiva di posizioni identiche», «meno senso ha che l’assemblea sia chiamata a deliberare su una proposta concernente la riorganizzazione complessiva del patrimonio imprenditoriale, piuttosto che sui termini di soddisfazione dei crediti individuali, laddove – in entrambi i casi – l’appartenenza del creditore ad un (finanziamento di) “gruppo” non implica e non esprime alcuna connotazione differenziale della sua posizione rispetto a quella di qualsiasi altro prestatore (individuale) di fondi».
esprimere contro o a favore di un trattamento per questi ultimi deteriore rispetto a quello riservato ad altri creditori della società.
Specialmente nel caso in cui la società debitrice abbia fatto un massiccio ricorso al mercato dei capitali di debito mediante l’emissione di obbligazioni, il ruolo dell’assemblea diviene poi determinante non solo in quanto strumento di mediazione e di sintesi della volontà del gruppo obbligazionario, ma anche perché da esso discende una sorta di “effetto leva” del peso degli obbligazionisti ai fini della formazione della maggioranza concordataria (giacché, come già detto, la volontà della maggioranza assembleare vincola tutti gli obbligazionisti, seppure assenti o dissenzienti, e ai fini della maggioranza di somma nel concordato pesa per l’intero ammontare del prestito emesso e non estinto come se tutti gli obbligazionisti si fossero espressi a favore della proposta concordataria) (102).
Il riconoscimento di un così ampio terreno di azione a favore dell’assemblea degli obbligazionisti si spiega alla luce del favor che il legislatore italiano riserva alla società debitrice che decida di intraprendere una procedura di composizione “concordata” della crisi d’impresa, quale soluzione alternativa rispetto al fallimento o che comunque, con specifico riferimento al concordato preventivo, le consenta di evitare un aggravamento della crisi e, quindi, di prevenire lo stato di insolvenza.
In questo senso, si ammette che i diritti individuali degli obbligazionisti subiscano l’interferenza del principio maggioritario solo in quanto ciò sia funzionale al raggiungimento di un obiettivo che il legislatore considera preminente (id est, la soluzione concordata della crisi d’impresa). Come opportunamente è stato osservato, da questo angolo visuale, tutti i creditori (obbligazionisti e non) della
(102) In particolare, poiché la maggioranza assembleare pesa per l’intero ammontare del prestito ai fini della procedura di concordato, ove tale ammontare rappresenti di per sé la porzione maggioritaria dei debiti della società, la sola maggioranza degli obbligazionisti (pur rappresentando in verità una porzione comunque minoritaria dell’indebitamento complessivo della società) sarà in grado di decidere da sola le sorti della proposta concordataria, in via vincolante non solo per gli obbligazionisti dissenzienti ma in minoranza, ma anche per gli altri creditori del concordato (i cui crediti abbiano un importo aggregato inferiore rispetto a quello dell’intero prestito obbligazionario in essere). Per alcune riflessioni critiche su tali approdi della riforma delle procedure di concordato, cfr. X. XXXXXX, Gli obbligazionisti e i titolari di strumenti, 61 ss.
società devono considerarsi non già titolari di pretese intangibili, ma piuttosto di diritti soggettivi affievoliti dallo stato di crisi in cui versa l’impresa (103). A fronte di tale “affievolimento”, peraltro, detti creditori sono tutelati attraverso una serie di strumenti, tra i quali spiccano senz’altro – per rilevanza – il giudizio di omologazione rimesso al tribunale ai sensi dell’art. 129 l. fall., in caso di proposta di concordato fallimentare, e ai sensi dell’art. 180 l. fall, in caso di proposta di concordato preventivo, nonché l’eventuale opposizione proposta dai singoli creditori rispetto all’omologazione medesima.
Non è possibile approfondire in questa sede l’articolato, ed ancora aperto, dibattito su quale sia, a seguito della riforma, il ruolo dell’Autorità giudiziaria nel procedimento di omologazione e se il sindacato della medesima debba interpretarsi in senso “forte”, estendendosi anche alla regolarità sostanziale della proposta con particolare riguardo ai profili di convenienza e di fattibilità economica della stessa (104), o piuttosto in senso “restrittivo”, dovendosi limitare ad una formale verifica di legittimità della procedura e della votazione (105).
(103) Così, X. XXXXXXXX, Struttura finanziaria, classi di creditori, 708.
(104) Cfr., in argomento, A.M. AZZARO, Art. 129, in Commentario alla legge fallimentare diretto da X. Xxxxxxxxx, Artt. 124-215, Milano, 2010, 133; X. XXXXXX, La classificazione dei creditori nel concordato, 589 ss.; X. XXXXXX, Concordato preventivo, conflitti di interessi fra creditori e sindacato dell’Autorità giudiziaria, in Il fallimento, 2009, fasc. 1, 30 ss.; ID, Dai soci di minoranza ai creditori di minoranza, in Fall., 2009, 1064; X. XXXXXXXX, I problemi procedurali del concordato preventivo, in AA. VV., Il concordato preventivo e la ristrutturazione del debito di impresa, 2006, 67 ss.; P. F. CENSONI, Il concordato preventivo: gli organi, gli effetti, il procedimento, in Il nuovo diritto fallimentare. Novità ed esperienze, Bologna 2010, 1015 ss.
(105) Secondo tale impostazione, il tribunale si limiterebbe a verificare la regolarità formale degli atti della procedura, la persistenza dei presupposti di ammissibilità della proposta, nonché la sussistenza delle maggioranze richieste dalla legge, astenendosi invece dal porre in essere un giudizio di merito sulla proposta concordataria. In questo senso, cfr., fra gli altri, A.M. AZZARO, Art. 129, 131; X. XXXXX, Il nuovo concordato fallimentare, in Le nuove procedure concorsuali, a cura di X. Xxxxxxxxx, 2008 442. Conf. Cass., sez. I, 29 ottobre 2013, n. 24359, secondo cui «A seguito della riforma di cui al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e al d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, nel giudizio di omologazione del concordato fallimentare il controllo del tribunale è limitato alla verifica della regolarità formale della procedura e dell'esito della votazione - salvo che non sia prevista la suddivisione dei creditori in classi ed alcune di esse risultino dissenzienti - restando escluso ogni controllo sul merito, ad eccezione dell'indagine sull'eventuale abuso dell'istituto. La valutazione sul contenuto della proposta concordataria, riguardando il profilo della convenienza, è, invece, devoluta ai creditori, sulla base del parere inerente ai presumibili risultati della liquidazione formulato dal curatore e dal comitato dei creditori, mentre al giudice delegato spetta soltanto un controllo sulla ritualità della proposta medesima»; e vedi anche Xxxx., sez. I, 27 maggio 2013, n. 13083, secondo cui «in tema di concordato preventivo, il controllo del tribunale
Può, però, ritenersi oramai acquisita al dibattito la considerazione che, laddove sia proposta opposizione ex art. 129, comma 5, l. fall, in ipotesi di concordato fallimentare, ovvero ex art. 180, comma 4, l. fall., in ipotesi di concordato preventivo, il sindacato giudiziario possa ricomprendere ogni profilo di legittimità, anche «sostanziale», della proposta concordataria e del relativo procedimento di ammissione, approvazione ed omologazione.
In particolare, nel concordato per classi il creditore di una classe dissenziente potrà provocare, ricorrendo in opposizione, un controllo sulla «convenienza» della proposta, verificando se soluzioni «alternative concretamente praticabili» (in primis, evidentemente, la liquidazione concorsuale) non avrebbero consentito un miglior realizzo del relativo credito (giudizio c.d. «comparativo» di convenienza della proposta concordataria). Lo stesso dicasi rispetto alla proposta di concordato preventivo che non preveda la formazione di classi, ove una minoranza qualificata
va effettuato sia verificando l'idoneità della documentazione prodotta (per la sua completezza e regolarità) a corrispondere alla funzione che le è propria, consistente nel fornire elementi di giudizio ai creditori, sia accertando la fattibilità giuridica della proposta, sia, infine, valutando l'effettiva idoneità di quest'ultima ad assicurare il soddisfacimento della causa della procedura. Xxxxxxxxx, dunque, nell'ambito di detto controllo, la correttezza e la coerenza delle argomentazioni svolte e delle motivazioni addotte dal professionista a sostegno del formulato giudizio di fattibilità del piano; l'eventuale impossibilità giuridica di dare esecuzione, sia pure parziale, alla proposta di concordato; l'eventuale inidoneità della proposta, se emergente "prima facie", a soddisfare in qualche misura i diversi crediti rappresentati. Resta, invece, riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito di detto giudizio, che ha ad oggetto la fattibilità del piano e la sua convenienza economica». Sull’argomento si sono recentemente pronunciate anche le Sezioni Unite (Cass., SS. UU., 15 maggio 2015, n. 9935) rilevando che «[d]opo la riforma, il concordato preventivo non solo ha mantenuto la funzione di prevenire il fallimento attraverso una soluzione alternativa della crisi, ma tale funzione viene svolta con un accentuato carattere negoziale dell'istituto e con un ridimensionamento dei connotati pubblicistici: è affidata perciò soltanto ai creditori, sia pure sulla base di un’informazione la cui correttezza e completezza è controllata dal tribunale (Cass. 9 maggio 2013, n. 11014; Cass. 27 maggio 2013, n. 13083), la valutazione di convenienza della proposta di concordato e della fattibilità economica del relativo piano, restando consentita al tribunale solo la valutazione della fattibilità giuridica, anche sotto il profilo della idoneità ad assicurare il soddisfacimento della causa della procedura». L’orientamento della suprema Corte sembra quindi confermare che – per quanto fattibilità del piano e convenienza economica dello stesso possano considerarsi escluse dal perimetro del sindacato in sede di omologazione del concordato – l’accertamento della regolarità della procedura implichi necessariamente una verifica sul fatto che i voti espressi siano per se validamente dati, in quanto consapevoli ed informati (ed in questo senso, si veda X. XXXXXX, Concordato preventivo, conflitti, 30 ss.).
di creditori dissenzienti (id est, titolari di almeno il venti per cento dei crediti ammessi al voto) ne contesti la convenienza ex art. 180, comma 4, l. fall (106).
Valorizzando ulteriormente il richiamato strumento di opposizione ed in applicazione dei generali princìpi di correttezza, si ritiene che in tal sede i creditori possano denunziare ogni possibile vizio che abbia inquinato il processo decisionale collettivo, non solo in termini di carenza o falsità delle informazioni ad essi fornite per esprimersi sulla proposta, ma anche sotto il profilo degli eventuali conflitti di interesse o abusi di maggioranza che abbiano alterato la votazione in danno dei creditori di minoranza (107).
Lo strumento di opposizione costituisce allora uno scudo a tutela dei diritti individuali dei creditori che, per quanto affievoliti dall’applicazione del principio maggioritario, meritano comunque di essere protetti da soluzioni concordatarie che non superino il test di convenienza “comparativa” o siano approvate in situazioni di conflitto, abuso o carenza informativa.
Resta da chiedersi – e la questione appare tutt’altro che marginale – se di tale scudo possano beneficiare anche gli obbligazionisti in quanto tali. Si tratta, in particolare, di capire come la disciplina sull’organizzazione degli obbligazionisti debba coordinarsi con i diritti di opposizione dati ai singoli creditori nelle procedure di concordato.
In virtù del ruolo attribuito all’assemblea degli obbligazionisti nel procedimento di approvazione delle proposte di concordato, si potrebbe a stretto rigore sostenere che la posizione del singolo obbligazionista rispetto alla proposta concordataria
(106) Come noto, la legittimazione in capo alla minoranza qualificata di creditori titolari di almeno il venti per cento dei crediti ammessi al voto nella procedura di concordato preventivo è stata introdotta con il d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con legge 7 agosto 2012, n. 134.
(107) Così, X. XXXXXXXX, Il «nuovo» concordato fallimentare, in BBTC, 2006, 5, 542-543; ID., Struttura finanziaria, classi dei creditori, 710; X. XXXXXX, Gli obbligazionisti e i titolari¸ 66 ss. In senso contrario, A.M. AZZARO, Art. 129, 135, secondo cui invece eventuali abusi della maggioranza dovrebbero essere valutati e risolti «all’interno del sistema di controlli (del curatore, del g.d., del comitato dei creditori), che la legge articola in vista della votazione, affinché appunto il concordato approvato a maggioranza sia idoneo ad assolvere alla funzione assegnatagli dalla legge senza (quindi) pregiudicare l’interesse dei creditori».
sia in tutto e per tutto assorbita dalla volontà della maggioranza assembleare. Formalmente, infatti, il singolo obbligazionista dissenziente ma in minoranza avrà esso stesso concorso all’approvazione della proposta: ciò si verifica in quanto i voti contrari “di minoranza” non assumono alcuna rilevanza esterna ai fini dell’approvazione della proposta di concordato.
Come già si è detto, se l’assemblea degli obbligazionisti, con le maggioranze previste dall’art. 2415 cod. civ., delibera a favore della proposta, il rappresentante comune esprime nell’adunanza dei creditori un voto unitario che – ai fini della maggioranza di somma prevista dalla legge fallimentare – tiene altresì conto del “peso” della frazione del prestito obbligazionario detenuta dagli obbligazionisti assenti o dissenzienti.
Pertanto, l’obbligazionista in minoranza sarà, al contempo, “dissenziente” nella prospettiva interna del gruppo obbligazionario e del relativo iter assembleare, come disciplinato dal codice civile, ed “assenziente” nella prospettiva esterna della procedura di concordato, nella quale il voto allo stesso riconducibile sarà infatti uniformato a quello proprio della maggioranza dell’assemblea degli obbligazionisti e, per l’effetto, risulterà a favore della proposta concordataria.
Sulla base di tali considerazioni, si è affermato che il singolo obbligazionista non avrebbe possibilità di esercitare personalmente l’opposizione nel concordato, se non previa vittoriosa impugnazione, con conseguente annullamento, della delibera assembleare ex art. 2416 cod. civ. (108). Ma una simile conclusione si espone, ad avviso dello scrivente, a rilievi critici non trascurabili.
Anzitutto, tale ricostruzione conduce ad approdi difficilmente giustificabili sul piano sistematico e della ragionevolezza sostanziale. Si verrebbe infatti a creare
(108) È questo, in particolare, l’orientamento espresso da X. XXXXXXXX, Struttura finanziaria, classi di creditori, 713, secondo cui il singolo obbligazionista è «assoggettato alla decisione dell’organo collegiale e quindi privato, non solo del diritto di votare individualmente […] ma anche della legittimazione ad opporsi all’omologazione del concordato, se non in esito alla vittoriosa della delibera dell’assemblea degli obbligazionisti».
una incolmabile disparità di trattamento tra creditori “dissenzienti” (109) comuni e obbligazionisti, riconoscendosi ai primi soltanto la possibilità di sollecitare un sindacato giudiziario sulla legalità e sulla convenienza, almeno comparativa (rispetto alle alternative concretamente percorribili), della proposta di concordato e del relativo iter di ammissione, approvazione ed omologazione (110). Gli obbligazionisti resterebbero per contro privati di tale diritto di difesa, per il sol fatto della loro appartenenza ad una organizzazione di gruppo.
In secondo luogo, la disciplina organizzativa degli obbligazionisti non è preordinata a “comprimerne” i diritti di difesa. Riprendendo alcune delle considerazioni svolte in premessa, vale infatti ricordare come tale disciplina risponda alla duplice esigenza di (a) coordinare le posizioni individuali dei singoli obbligazionisti al fine di assicurarne una più efficace tutela nei confronti della società emittente e (b) consentire alla società di instaurare un dialogo unitario con la collettività degli obbligazionisti (111). Tenuto conto della fisiologica destinazione dei titoli obbligazionari alla circolazione e alla loro diffusione presso un numero rilevante e non predeterminato di soggetti, l’obiettivo è quello di consentire iniziative collettive e coordinate, e non già di reprimere le iniziative individuali volte a difendere i diritti soggettivi di ciascuno. Queste ultime, come pure si è precedentemente osservato, restano infatti consentite a norma dell’art.
(109) A scopo di chiarezza, il termine “dissenziente” è qui utilizzato in senso a-tecnico, tenendo unicamente conto del contenuto sostanziale – favorevole o contrario – del singolo voto rispetto alla proposta di concordato, ancorché eventualmente assorbito dal voto difforme della relativa maggioranza assembleare.
(110) Si potrebbe obiettare che, in ogni caso, è data agli obbligazionisti la possibilità di impugnare la delibera ex art. 2416 cod. civ.: si tratta tuttavia di uno strumento di reazione rispetto a vizi di invalidità (nullità o annullabilità) della deliberazione assembleare, che ben si distinguono dai vizi di legalità formale e sostanziale (ivi compreso il controllo sulla convenienza della proposta) che è possibile denunciare in sede di opposizione ex artt. 129, comma 5, l. fall. e 180, comma 4, l. fall. (in questo senso, si veda anche X. XXXXXX, Gli obbligazionisti e i titolari di strumenti, 64 – 66). Non è peraltro detto che la deliberazione che approvi una proposta non conveniente (ove sottoposta al vaglio di convenienza comparativa di cui alle richiamate disposizioni) sia, per questo soltanto, una deliberazione affetta da vizi di invalidità e, quindi, impugnabile a norma dell’art. 2416 cod. civ. (in argomento, cfr. X. XXXXXXXXXX, L’organizzazione degli obbligazionisti, 139 ss.;
X. XXXXXXX, Artt. 2415-2420, 237 ss.; X. XXXXXX, Società per azioni. Obbligazioni, 477 ss.).
(111) Si rinvia, in proposito, alle argomentazioni sviluppate nel § 1 del presente Capitolo I nonché, per i riferimenti dottrinali a sostegno della tesi, alla precedente nota 10.
2419 cod. civ. sia in caso di inerzia dell’assemblea sia a prescindere dall’attività assembleare, purché non siano con quest’ultima incompatibili.
Ciò detto, l’opposizione all’omologazione ben può essere finalizzata alla censura di vizi della proposta concordataria o delle diverse fasi procedimentali che abbiano condotto alla sua approvazione ed omologazione del tutto esogeni rispetto al procedimento di decisione collegiale dell’assemblea degli obbligazionisti. In altri termini, un conto è la possibilità di sindacare la validità della deliberazione assembleare per vizi di nullità o di annullabilità che ne abbiano inficiato l’adozione o formazione (art. 2416 cod. civ.), altro è quella di provocare un sindacato giudiziario su ogni eventuale profilo di illegittimità, formale o sostanziale, della proposta concordataria (artt. 129, comma 5, e 180, comma 4, l. fall.).
Proprio per la diversità dei piani di azione, non solo l’iniziativa del singolo obbligazionista non pare confliggere con il requisito di compatibilità di cui al richiamato art. 2419 ma anzi della stessa potrà altresì beneficiare l’intero “gruppo” obbligazionario, qualora – ad esito del sindacato giudiziale – il procedimento concorsuale di approvazione della proposta concordataria risulti viziato per profili che esulino da eventuali vizi “endogeni” della delibera assembleare (i quali rileverebbero invece in sede di impugnazione ex art. 2416 cod. civ.) o comunque la proposta stessa soddisfi gli obbligazionisti in misura inferiore rispetto a quanto non otterrebbero, ad esempio, in caso di liquidazione concorsuale.
In conclusione, pare doversi ritenere che, tra le tutele e le difese poste a favore dei creditori dissenzienti nel contesto delle procedure concordatarie, quella dell’opposizione all’omologazione vada altresì riconosciuta agli obbligazionisti dissenzienti ma in minoranza. Resta inteso che, per poter proporre opposizione ex art. 180 l. fall. nel concordato preventivo senza classi, tali obbligazionisti dovranno possedere, individualmente o congiuntamente, titoli obbligazionari che, per importo, rappresentino almeno il venti per cento dei crediti ammessi al voto.
4.4 Trattamento degli obbligazionisti “al di fuori” delle procedure di concordato, tenuto conto dell’evoluzione della disciplina concordataria.
Tenuto conto delle considerazioni sin qui svolte in merito alla posizione degli obbligazionisti e al ruolo del relativo organo assembleare nell’ambito delle procedure concordatarie, come da ultimo riformate, si potrebbe essere indotti a ritenere che, se (i) l’ordinamento italiano ha ulteriormente favorito – tramite i nuovi e più flessibili strumenti testé ricordati – il ricorso alle procedure di soluzione concordata della crisi con l’obiettivo di agevolare il superamento degli stati di crisi e (ii), ove la società debitrice abbia fatto ricorso all’emissione di obbligazioni, il ruolo dell’assemblea degli obbligazionisti assume in tale contesto spiccata rilevanza e centralità, allora un’interpretazione sistematica della disciplina dell’assemblea degli obbligazionisti (come dettata dall’art. 2415 e ss. cod. civ.) dovrebbe essere coerente con l’obiettivo di ordine generale appena ricordato. In questa prospettiva, dovrebbe così ammettersi il ricorso al metodo assembleare ex art. 2415, comma 1, n. 2, cod. civ. ogni qualvolta sopravvenga una situazione di crisi che giustifichi un adeguamento delle condizioni del prestito rispetto alle mutate vicende economiche dell’emittente (112), anche al di fuori di una specifica procedura di concordato regolata dalla legge fallimentare ed a prescindere dalla qualificazione (come essenziale od accessoria, tipizzante o non) delle condizioni volta per volta oggetto di modificazione, senza addossare alla società l’arduo onere di rintracciare ciascun obbligazionista e richiederne il consenso individuale.
La ricostruzione appena prospettata non terrebbe però conto dei plurimi fattori che suggeriscono, rectius impongono, di distinguere la posizione dell’obbligazionista (come singolo e come parte del “gruppo” obbligazionario) nelle vicende modificative delle condizioni del prestito che si svolgono e restano all’interno di
(112) In questo senso, l’evoluzione dell’ordinamento italiano, e precipuamente del c.d. diritto della crisi d’impresa, assumerebbe significato anche oltre i confini delle specifiche procedure concorsuali ivi disciplinate, fornendo oggi una argomentazione interpretativa in più e di ordine sistematico per avallare gli orientamenti interpretativi già descritti nel § 3.1 che precede.
procedure di composizione concordata (e concorsuale) della crisi da quella che gli è riconosciuta ove siano prospettate modificazioni dei termini originari del rapporto per via puramente negoziale e bilaterale (tra l’emittente, da un lato, e il gruppo obbligazionario, dall’altro lato) al di fuori di tali procedure.
Se è vero che i poteri dell’assemblea degli obbligazionisti sono particolarmente significativi nel contesto delle sopra richiamate procedure, pari rilevanza deve nondimeno riconoscersi agli specifici strumenti di tutela, preventiva (si pensi alle condizioni di ammissibilità della proposta e al giudizio di omologazione) ovvero successiva (si pensi, in particolare, all’opposizione all’omologazione), che proteggono le posizioni individuali degli obbligazionisti, ove intaccate da proposte concordatarie illegittime od anche soltanto meno convenienti rispetto ad altre soluzioni alternative concretamente praticabili. Xxxxxxxxx che, per quanto si possa cercare di enfatizzare il rimedio dell’impugnazione ex art. 2416 cod. civ. (113), risultano a ben vedere del tutto assenti al di fuori di tali procedure.
Peraltro, nelle procedure di concordato il sacrificio degli obbligazionisti si realizza comunque in concorso con quello richiesto agli altri creditori della società emittente così da realizzare una sorta di “transazione collettiva” di tutte le ragioni di credito vantate dagli stessi creditori, per quanto il trattamento loro riservato possa, a determinare condizioni, essere differenziato.
Nel caso delle procedure di concordato il sacrificio richiesto agli obbligazionisti, in ragione delle modificazioni peggiorative delle originarie condizioni del prestito previste dalla proposta concordataria, appare, quindi, minore rispetto a quello che si avrebbe ove le medesime modifiche (si pensi, ad esempio, ad una sostanziale riduzione dell’importo del debito) siano proposte dall’emittente ai soli obbligazionisti e decise dalla maggioranza assembleare ex art. art. 2415, comma 1, n. 2, cod. civ. al di fuori di qualsivoglia procedura concorsuale ed in assenza di ogni scrutinio giudiziario. In tale caso, infatti, la riorganizzazione economico- finanziaria dell’emittente graverebbe unicamente sulle spalle degli obbligazionisti ed andrebbe a vantaggio non solo della società emittente, ma anche di altri
(113) Sia consentito rinviare, in proposito, alle considerazioni già svolte nel precedente § 4.3.
creditori ai quali, per contro, potrebbe non essere richiesta alcuna rinuncia rispetto alle originarie condizioni del credito o – nella migliore delle ipotesi – potrebbero essere state riservate condizioni più favorevoli rispetto a quelle proposte agli obbligazionisti.
Muovendo da tali considerazioni, non pare dunque possibile equiparare la posizione del singolo obbligazionista che, pur dissentendone, sia assoggettato al volere della maggioranza assembleare nel contesto di una procedura di concordato, con quella dell’obbligazionista che sia invece vincolato ad una deliberazione assembleare al di fuori di ogni schema concorsuale.
Piuttosto, è proprio valorizzando l’evoluzione del diritto della crisi e la volontà del legislatore di introdurre strumenti più flessibili – ma controllati – per la composizione concordata della crisi d’impresa, che a maggior ragione trovano credito le tesi “restrittive” circa l’ambito della competenza assembleare di cui all’art. 2415, comma 1, n. 2, cod. civ., al di fuori di esse (114). In altri termini, la totale compressione della volontà del singolo rispetto a quella della maggioranza si giustifica per la speciale natura e disciplina delle procedure di concordato ed in esse trova il suo limite.
Al di fuori dell’ambito di applicazione delle speciali disposizioni di cui alla legge fallimentare, ogni alterazione degli originari assetti contrattuali dei rapporti di credito deve – di regola – ritenersi assoggettata ai principi generali del diritto contrattuale, e dunque al consenso di tutte le parti coinvolte, pur (ed anzi, soprattutto) in presenza di situazioni di temporanea crisi economico-finanziaria dell’impresa debitrice.
Con specifico riguardo alla posizione degli obbligazionisti, pare allora doversi distinguere la linea di confine tra principio maggioritario e prerogative dei singoli tracciata dal legislatore nell’ambito delle procedure di soluzione concordata della crisi d’impresa, nel qual caso gli orizzonti della competenza assembleare vedono la loro massima estensione, da quella operante al di fuori delle ridette procedure,
(114) Sulle argomentazioni addotte dai sostenitori di tali tesi, ci si è già ampiamente soffermati nel
§ 3.2 che precede.
ove la preminenza del principio maggioritario non troverebbe alcun idoneo temperamento, mancando le tutele proprie di una procedura in concorso tra i creditori ed ogni controllo o forma di scrutinio giudiziario sul trattamento delle singole classi o categorie di creditori sociali.
5. Il supporto del dato comparatistico. In particolare, la disciplina statunitense.
La ricostruzione sin qui proposta induce, evidentemente, a prediligere una interpretazione restrittiva dell’art. 2415, c. 1, n. 2, cod. civ., e dunque della competenza dell’assemblea a decidere in ordine alle «modificazioni delle condizioni del prestito», limitandone il più possibile l’ambito applicativo e salvaguardando, in particolare, i “dati tipizzanti” del prestito obbligazionario, tra i quali primariamente rientra il rimborso della somma originariamente data in prestito.
Tali considerazioni trovano, peraltro, un significativo riscontro sul piano comparatistico.
In particolare, negli Stati Uniti le emissioni obbligazionarie oggetto di offerta al pubblico interstatale e di ammontare rilevante sono assoggettate alla disciplina del
c.d. Trust Indenture Act (una legge federale del 1939, di seguito “TIA”) (115).
(115) Più precisamente, il TIA trova inderogabilmente applicazione con riferimento alle emissioni di bond che siano (i) rivolte al pubblico mediante un’offerta di sottoscrizione ed acquisto c.d. “interstatale” mediante utilizzo delle piattaforme di commercio tra Stati (c.d. interstate facility) e
(ii) di ammontare complessivo superiore a quello tempo per tempo fissato dalla Securities and Exchange Commission (SEC). Per un approfondimento sul contenuto e sulle finalità del TIA, si veda X. XXXX – X. XXXXXXXX, Securities Regulation, IV, Xxxxxxxxx (Md), 2000, 1591 ss. Per contro, le emissioni che non abbiano tali caratteristiche o che, comunque, siano espressamente esentate dall’ambito di applicazione del TIA sono regolamentate su base puramente convenzionale da un indenture che disciplina, inter alia, (a) i poteri e i doveri del trustee, prima e dopo un inadempimento da parte dell’emittente, (b) i rapporti tra emittente, trustee e bondholder, nonché
(c) le prerogative della maggioranza e i diritti intangibili dei singoli bondholder. Sebbene, come detto, in questi casi la disciplina “organizzativa” sia di origine puramente convenzionale, l’American Bar Association ha elaborato un modello di indenture che ad oggi costituisce lo standard di riferimento per la quasi totalità delle emissioni obbligazionarie non assoggettate al TIA. Tale modello, introdotto per la prima volta nel 1983, con la denominazione di “Model
Proprio allo scopo di ovviare ai problemi derivanti dalla dispersione dei portatori dei titoli, il TIA prevede che la società emittente nomini un trustee (116), chiamato a tutelare gli interessi dei bondholder, e stabilisce, tra le altre cose, i poteri e i doveri a quest’ultimo facenti capo, nonché i poteri spettanti alla maggioranza dei bondholder. I rapporti tra emittente, trustee ed obbligazionisti sono, più in dettaglio, disciplinati in un contratto (c.d. indenture), sottoscritto tra emittente e trustee ed accettato, per adesione, dai bondholder in sede di sottoscrizione ed acquisto dei titoli, il cui contenuto è a sua volta vincolato alle previsioni della legge federale.
Quanto alla dialettica tra diritti individuali degli obbligazionisti e principio maggioritario, la Section 316(b) del TIA espressamente prevede che i diritti di pagamento degli obbligazionisti, siano essi relativi al rimborso del capitale ovvero alla remunerazione del prestito, non possano in alcun modo essere intaccati o comunque pregiudicati («impaired or affected») senza il consenso di ciascun singolo bondholder (117).
Simplified Indenture”, è stato successivamente oggetto di revisione ed integrazione e, nel 1999, l’associazione ha pubblicato una nuova versione, denominata “Revised Model Simplified Indenture” (disponibile sul sito web della richiamata associazione: xxx.xxxxxxxxxxx.xxx), che prevede una disciplina più dettagliata con riguardo al trustee, nonché una disciplina specifica in relazione alle obbligazioni subordinate. Sui contenuti di tale standard contrattuale – con particolare riguardo ai diritti individuali degli obbligazionisti ed alla loro dialettica con la regola maggioritaria in ipotesi di modifiche del regolamento del prestito (indenture) – si tornerà più ampiamente nel § 3.4 del Capitolo II.
(116) La circostanza che il trustee sia nominato dall’emittente implica una specifica attenzione del legislatore federale sulle possibili situazioni di conflitto di interessi in cui lo stesso possa versare quando chiamato a tutelare gli interessi propri degli obbligazionisti. A tali aspetti è in particolare dedicata la Section 310 del TIA, che prevede non solo una serie di requisiti soggettivi volti ad assicurare la professionalità ed indipendenza del trustee, ma anche una serie di situazioni di “conflict of interests”, al ricorrere delle quali il trustee è tenuto a dimettersi qualora si sia verificato un inadempimento in relazione al prestito e lo stesso non sia stato rimediato entro un periodo massimo di novanta giorni dalla sopravvenienza del conflitto. Per una più puntuale descrizione delle singole situazioni di conflitto, si veda X. XXXXXX, Gli strumenti finanziari, 85.
(117) Letteralmente, ai sensi della Section 316(b) del TIA, «the right of any holder of any indenture security to receive payment of the principal of and interest on such indenture security, on or after the respective due dates expressed in such indenture security, […] shall not be impaired or affected without the consent of such holder».
Storicamente le Corti statunitensi hanno interpretato la richiamata Section 316(b) in modo da circoscrivere il più possibile il perimetro applicativo del divieto e lasciare alla società emittente la possibilità di apportare – compatibilmente con il tenore letterale della stessa – il più ampio novero di modifiche alle condizioni del prestito nel contesto dei c.d. out-of-court restructuring, ossia di accordi volontari di ristrutturazione del debito non soggetti ad alcuno scrutinio di natura giudiziale, previo unicamente il consenso dei bondholder espresso in via maggioritaria.
La sola, ma invalicabile, barriera tradizionalmente individuata dalla giurisprudenza statunitense in applicazione della richiamata Section 316(b) consisteva nella impossibilità per l’assemblea di acconsentire ad una formale abrogazione dei diritti di pagamento degli obbligazionisti (c.d. «legal right to the principal and interest»), restando di contro disponibili alla maggioranza assembleare eventuali modifiche che – lungi dall’intaccare sul piano strettamente giuridico il diritto di pagamento – semmai avrebbero pregiudicato il «practical right» degli obbligazionisti di realizzare il proprio credito, ossia, secondo altra prospettiva, l’effettiva capacità dell’emittente di adempiere le obbligazioni di pagamento incorporate nei titoli (118).
Pare tuttavia meritevole di cenno la circostanza che due recenti pronunce delle Corti federali del Distretto Sud di New York (119), rispettivamente del dicembre 2014 e del gennaio 2015, abbiano proposto una più ampia lettura della Section 316(b) del TIA, sostenendo che tale disposizione sia in verità indirizzata a proteggere il diritto – non solo formale, ma anche – sostanziale degli
(118) In questo senso, ex multis, UPIC & Co. v. Kinder-Care Learning Centers, Inc. (S.D.N.Y. 1992); In re Northwestern Corp. (Bankr. D. Del. 2004); YRC Worldwide Inc. v. Deutsche Bank Trust Co. Americas (D. Kan. 2010).
(119) Marblegate Asset Mgmt. v. Education Mgmt. Corp. (S.D.N.Y. 2014); MeehanCombs Global Credit Opportunities Funds, LP v. Caesars Entertainment Corp. (S.D.N.Y. 2015). Merita peraltro di essere segnalato come progenitrice di tale orientamento sia stata una decisione assunta da una Corte federale del medesimo Distretto con riferimento al caso “Federated” della fine degli anni ’90 (Federated Strategic Income Fund v. Mechala Grp. Jam. Ltd. (S.D.N.Y. 1999)), nella quale – pur in distonia con l’orientamento al tempo (ed ancora sino allo scorso anno) prevalente – la Corte aveva già affermato che la Section 316(b) del TIA «protects the ability, and not merely the formal right, to receive payment in some circumstances».
obbligazionisti ad ottenere la restituzione della somma data in prestito ed il pagamento degli interessi nei termini ed alle condizioni originariamente stabiliti nel regolamento di emissione.
Secondo l’orientamento espresso nelle decisioni testé menzionate, non sarebbe pertanto modificabile a maggioranza alcuno dei cc.dd. core term, ossia dei termini e delle condizioni del prestito obbligazionario potenzialmente in grado di incidere sulla effettiva possibilità per gli obbligazionisti di ottenere il soddisfacimento delle obbligazioni di pagamento vantate nei confronti dell’emittente. In questa prospettiva, le Corti del Distretto Sud di New York hanno sostenuto, più specificamente, che anche la liberazione di parent company guarantee (garanzie personali concesse dalla controllante dell’emittente) che assistano il prestito obbligazionario, in quanto deteriori le concrete possibilità di restituzione del credito, sia decisione necessariamente rimessa al consenso unanime di tutti gli obbligazionisti, trovando «unsatisfying the notion that Section 316(b) protects
only against formal, explicit modification of the legal right to receive payment» (120).
Ove portata alle sue estreme conseguenze, la richiamata posizione delle Corti distrettuali potrebbe evidentemente determinare un sensibile ridimensionamento del ruolo dell’assemblea con riguardo alle emissioni obbligazionarie assoggettate alle disposizioni del TIA, posto che, almeno in linea di principio, la gran parte delle condizioni regolatrici dell’emissione, ivi inclusi i cc.dd. negative covenant (ossia gli impegni di non fare, tra i quali tipicamente si annoverano le clausole cc.dd. di negative pledge, no disposal o no further indebtedness) assunti dall’emittente e i parametri finanziari (cc.dd. interest service cover ratio, debt service cover ratio, et similia) che lo stesso si impegna a rispettare per tutta la durata del prestito, hanno proprio lo scopo di evitare che la capacità dell’emittente di fare fronte alle obbligazioni assunte – si parla, in particolare, di «noteholders’
(120) Cfr. Education Management, Section 4 «Plaintiffs Have Demonstrated a Likelihood of Success on the Merits – a. The Trust Indenture Act Affords a Broad Protection Against Nonconsensual Debt Reorganizations».
ability to receive payment» (121) – possa essere pregiudicata durante la vita del prestito.
Per quanto si tratti di pronunce non definitive (ed anzi, con riguardo al caso Xxxxxxxxxx, già oggetto di riforma in appello nel gennaio 2017 (122)) e in ogni caso di per sé non sufficienti per segnare una vera e propria un’inversione di rotta rispetto alla tradizionale e consolidata impostazione giurisprudenziale circa la portata applicativa del divieto di cui alla Section 316(b), pare nondimeno degna di nota la ricostruzione “di sistema” operata in tali occasioni dalle Corti distrettuali, la quale indubbiamente offre ulteriori spunti – sul piano dell’esperienza comparata
– a supporto delle considerazioni svolte nel precedente § 4 in ordine al diverso
(121) Education Management, Section 4 «Plaintiffs Have Demonstrated a Likelihood of Success on the Merits – a. The Trust Indenture Act Affords a Broad Protection Against Nonconsensual Debt Reorganizations». Contra, cfr. In Magten Asset Management Corporation & Law Debenture Trust
«Company of New York, x. Xxxxxxxxxxxx Corporation (Bankr. D. Del. 2004) secondo cui, invece, TIA § 316(b) does not provide a guarantee against the issuing company's default or its ability to meet its obligations. Accordingly, the fact that the deletion of section 5.01 might make it more difficult for holders to receive payment directly from plaintiff does not mean that the deletion without unanimous consent violates TIA § 316(b)».
(122) Si veda Marblegate Asset Mgmt. v. Education Mgmt. Corp. (Docket No. 15-2124-cv(L), 17 January 2017). La decisione della Corte di Xxxxxxx sembra in verità porsi in linea di continuità con l’orientamento fortemente critico nei confronti delle pronunce delle Corti distrettuali di New York sopra richiamate, diffusosi tra accademici e professionisti del settore (cfr. M. J. XXX, The Trust Indenture Act of 1939 in Congress and the Courts in 2016: Bringing the SEC to the Table, in Harvard Law Review Forum, 10 maggio 2014, disponibile su xxxx://xxxxxxxxxxxxxxxx.xxx/0000/00/xxx-xxxxx-xxxxxxxxx-xxx-xx-0000-xx-xxxxxxxx-xxx-xxx-xxxxxx- in-2016-bringing-the-sec-to-the-table/; X. XXXXXX, The Examiners: It’s Bad Public Policy to Empower Holdout Bondholders, in The Wall Street Journal, 1 ottobre 2015, disponibile su xxxx://xxxxx.xxx.xxx/xxxxxxxxxx/0000/00/00/xxx-xxxxxxxxx-xxx-xxxxxxxxx-xxxxxx-xx-xxxxxxx-xxxx out-bondholders>; K. N. XXXX, How Judges Are Skewing Bond Law, in The Wall Street Journal, 8 novembre 2015, disponibile su xxx.xxx.xxx/xxxxxxxx/xxx-xxxxxx-xxxxxxxxxx-xxxx-xxx- 1447019326). Tra le maggiori critiche mosse agli orientamenti espressi dalle Corti distrettuali vi è soprattutto l’incertezza che ne discenderebbe circa la legittimità di un intero settore del mercato finanziario, alimentato – oramai da decenni – da ristrutturazioni finanziarie di natura stragiudiziale ed extra-concorsuale (out-of-courts reorganisation), basate anche su di una lettura testuale e dai contorni più chiaramente definiti delle restrizioni poste dalla Section 316(b) del TIA (in questo senso cfr. X. XXX, Exit Consents in Debt Restructurings, 13 febbraio 2017, disponibile su xxxxx://xxxx.xxx/xxxxxxxxx0000000X, secondo cui peraltro l’interpretazione estensiva data dalle Corti distrettuali non sarebbe conforme al disposto normativo della Section 316(b) sulla base dell’argomentazione – invero, puramente formale e non del tutto convincente – che «the value of a legal right to payment may decrease due to a variety of reasons, such as the obligor becoming less creditworthy. As long as the formal legal right remains intact, the fact that the value of that legal right is diminished or lost due to the action or omission of the obligor or a third party does not, by itself, give rise to a claim against the obligor or the third party».
atteggiarsi della dialettica tra diritti collettivi ed individuali dentro e fuori dalle procedure concorsuali.
In particolare, i giudici statunitensi hanno specificamente evidenziato, nelle motivazioni delle decisioni prima richiamate (123), come la ratio della Section 316(b) del TIA sia – nella loro opinione – proprio quella di evitare che le difficoltà economico-finanziarie dell’emittente possano essere superate mediante rinunce o concessioni dallo stesso ottenute facendo ricorso ad accordi di ristrutturazione che non constino né di alcuno scrutinio giudiziale, né del consenso unanime di tutti gli obbligazionisti, piuttosto che ricorrere più opportunamente ad una formale
«corporate reorganization», come disciplinata dal Chapter 11 del Bankruptcy Code statunitense (124). Secondo tale linea interpretativa, quindi, poiché l’ordinamento statunitense offre all’impresa sociale la possibilità di comporre la propria situazione di crisi, in accordo con i creditori, mediante il ricorso alla corporate reorganization, ed in tale sede il raggiungimento dell’accordo trova ampia facilitazione sia nell’utilizzo della formula maggioritaria, sia nella
(123) Cfr. Education Management, par. 18, che a sua volta richiama Xxxxx v. UBS Fin. Servs., Inc., 538 F.3d 1319, 1325 (10th Cir. 2008) secondo cui «Section 316(b) was adopted with a specific purpose in mind to prevent out-of-court debt restructurings from being forced upon minority bondholders. Specifically, § 316(b) was designed to provide judicial scrutiny of debt readjustment plans to ensure their equity».
(124) In particolare, la Corte osserva che «[t]he reports of the House and Senate subcommittees responsible for drafting the Trust Indenture Act offer precisely the same understanding of the purpose of Section 316(b): "Evasion of judicial scrutiny of the fairness of debt readjustment plans is prevented by this prohibition. [...] This prohibition does not prevent the majority from binding dissenters by other changes in the indenture or by a waiver of other defaults, and the majority may of course consent to alterations of its own rights." […] This Court is wary of the murkiness of legislative history, and the risk that "judicial reliance on legislative materials like committee reports [...] may give unrepresentative committee members - or, worse yet, unelected staffers and lobbyists - both the power and the incentive to attempt strategic manipulations of legislative history to secure results they were unable to achieve through the statutory text." Allapattah, 545
U.S. at 568. Yet courts and commentators to consider the legislative purpose and history of the Trust Indenture Act have come to the same conclusion, even while often disparaging the result: that Section 316(b) was intended to force bond restructurings into bankruptcy where unanimous consent could not be obtained. See Xxxxx v. UBS Fin. Servs., Inc., 538 F.3d 1319, 1325 (10th Cir. 2008) ("Section 316(b) was adopted with a specific purpose in mind - to prevent out-of-court debt restructurings from being forced upon minority bondholders. [...] Specifically, § 316(b) was designed to provide judicial scrutiny of debt readjustment plans to ensure their equity» - cfr. Education Management, Section 4 «Plaintiffs Have Demonstrated a Likelihood of Success on the Merits – a. The Trust Indenture Act Affords a Broad Protection Against Nonconsensual Debt Reorganizations».
possibilità di suddividere i creditori in classi distinte, riservando loro trattamenti differenziati (125), al di fuori di tale procedura ed almeno con riguardo alle emissioni assoggettate al TIA (cui direttamente si riferiscono le pronunce appena richiamate), ogni alterazione, formale o sostanziale, dei diritti di pagamento degli obbligazionisti dovrebbe richiedere il previo consenso di ciascuno di essi.
L’esperienza comparatistica assume, nel caso di specie, una rilevanza tutt’altro che trascurabile, posto che le riforme introdotte dal legislatore italiano con riguardo alla disciplina della composizione concordata della crisi d’impresa hanno indubbiamente trovato ispirazione, soprattutto con riguardo all’introduzione delle classi e alla disciplina dell’opposizione all’omologazione, nel modello delineato dal Chapter 11 del Bankruptcy Code per la corporate reorganization (126). Il progressivo avvicinamento della disciplina italiana delle procedure di concordato al modello statunitense costituisce, evidentemente, una ragione in più per riservare una particolare attenzione all’evoluzione e alle soluzioni tempo per tempo adottate in tale ordinamento anche in punto di equilibrio tra collective right e individual right dei bondholder.
Accanto all’esperienza statunitense, vale infine la pena di ricordare – ad ulteriore supporto della ricostruzione sin qui proposta – la soluzione adottata dal più vicino ordinamento francese. Secondo la disciplina relativa all’organizzazione degli obligataires prevista dal code de commerce, infatti, i portatori di obbligazioni emesse da società francesi sono riuniti di diritto in un’organizzazione («masse des obligataires»), cui è attribuito per espressa previsione di legge un novero assai
(125) Vale ricordare, in proposito, che l’ordinamento statunitense prevede, sin dal 1978, la possibilità di collocare, nel contesto di una formale corporate reorganization, «a claim or an interest in a particular class», a condizione che «such claim or interest is substantially similar to the other claims or interests of such class» (cfr. § 1122(b) del Chapter 11).
(126) In questo senso, si veda X. XXXXXX, La classificazione dei creditori, 568 ss., che svolge tra l’altro una accurata disamina e comparazione dei nuovi istituti introdotti nell’ambito della disciplina concordataria italiana con le corrispondenti previsioni della disciplina statunitense relativa alla corporate reorganization di cui al Chapter 11, con particolare riguardo ai criteri di formazione delle classi previsti nell’uno e nell’altro ordinamento, nonché ai rimedi (opposizione all’omologazione vs. best interest test) previsti dalle due discipline a confronto per la tutela dei creditori di minoranza.
ampio ed articolato di competenze, che tuttavia – come meglio si vedrà nel prosieguo (127) – non ricomprende, o almeno non “di regola”, anche la rinuncia, totale o parziale, ai diritti di pagamento degli obbligazionisti. Ciò nondimeno, tale competenza, esclusa quando la società è in bonis, è espressamente riconosciuta alla maggioranza assembleare nello specifico contesto delle procedure concorsuali di “sauvegarde”, le quali presentano numerosi profili di affinità con le nostre procedure di concordato, in virtù di una speciale disposizione di legge (128) ai sensi della quale la deliberazione assembleare di approvazione del piano di salvaguardia proposto dalla società emittente può anche comportare una totale o parziale rinunzia da parte degli obligataires rispetto ai diritti di credito vantati nei confronti della società proponente.
(127) Sulla disciplina organizzativa francese e sulla relativa ricostruzione da parte della dottrina francese prevalente, ci si soffermerà più ampiamente nel § 3.4 del successivo Capitolo II.
(128) Xxx. Xxx. X000-00, xxxx xx commerce: “La délibération peut notamment porter sur des délais de paiement, un abandon total ou partiel des créances obligataires et, lorsque le débiteur est une société par actions dont tous les actionnaires ne supportent les pertes qu'à concurrence de leurs apports, des conversions de créances en titres donnant ou pouvant donner accès au capital. Le projet de plan peut établir un traitement différencié entre les créanciers obligataires si les différences de situation le justifient. Il prend en compte les accords de subordination entre créanciers conclus avant l'ouverture de la procédure”.
Capitolo II
L’organizzazione degli obbligazionisti tra disciplina e contratto
Sommario: 1. Premessa. Gli obbligazionisti tra organizzazione legale e autonomia contrattuale. - 2. Rilevanza domestica e transfrontaliera della questione proposta. - 3. Natura della disciplina organizzativa tra teoria generale del diritto societario ed autonomia privata. - 3.1 La disciplina organizzativa nella prospettiva dell’emittente e del sistema capitalistico. - 3.2 La disciplina organizzativa nella prospettiva degli obbligazionisti: inderogabilità “di protezione”? - 3.3 Deroghe alla disciplina e tipicità normativa della fattispecie obbligazionaria. - 3.4 Il supporto del dato comparatistico. - 4. Natura “tendenzialmente” derogabile del modello organizzativo e profili di diritto fallimentare. - 5. Dal diritto interno al diritto internazionale privato. Riflessi della ricostruzione proposta sull’assetto organizzativo delle emissioni all’estero di società italiane.
1. Premessa. Gli obbligazionisti tra organizzazione legale e autonomia contrattuale.
Le argomentazioni sviluppate nel precedente Capitolo ed in particolare la ricostruzione proposta in ordine alla dialettica tra diritti individuali e collettivi degli obbligazionisti nel modello organizzativo di cui agli artt. 2415 ss. cod. civ., inducono a ritenere che, tra le competenze attribuite direttamente dalla legge all’assemblea degli obbligazionisti, non possa intendersi ricompresa l’approvazione di proposte di modifica che alterino i tratti tipologici dell’operazione di prestito.
Si è nondimeno precisato che ad una diversa conclusione deve pervenirsi quando si tratti di modifiche o alterazioni del rapporto di prestito proposte nello specifico contesto delle procedure di soluzione concordata della crisi disciplinate dalla legge fallimentare. Anche valorizzando i segnali provenienti dalle riforme più di recente intervenute nel diritto della crisi d’impresa e dalla disciplina concorsuale statunitense cui il nostro legislatore sembra essersi ampiamente ispirato, è parso infatti che i poteri dell’assemblea degli obbligazionisti assumano una valenza spiccatamente diversa, più ampia ed incisiva, quando la stessa sia chiamata ad intervenire in ambito concorsuale.
In tale prospettiva, si è osservato che, mentre nelle formali procedure di composizione concordata della crisi l’ambito di competenza dell’assemblea conosce, come si è detto, la sua massima estensione, potendo quest’ultima approvare, con deliberazione maggioritaria, proposte di concordato che abbiano l’effetto di modificare (anche significativamente) i termini dell’originario rapporto sinallagmatico, fuori dalle stesse tale competenza pare incontrare dei limiti invalicabili, non potendo intaccare – se non all’unanimità – nessuno di quei diritti individuali degli obbligazionisti che derivino dalle caratteristiche tipologiche e strutturali dell’investimento nello strumento obbligazionario.
In questo senso, l’assemblea non potrebbe, tra l’altro, convenire a maggioranza su una proposta di modifica che comporti la totale o parziale soppressione del diritto al rimborso del capitale investito, né approvare la conversione delle obbligazioni (ordinarie) in strumenti di equity (129), posto che in entrambi i casi verrebbe per
(129) Come già argomentato nel testo (cfr. § 3.2 del Capitolo I, cui si rinvia per un più ampio sviluppo della questione), non pare invece che debbano annoverarsi tra i caratteri strutturali ovvero tipizzanti della fattispecie obbligazionaria gli interessi e le eventuali garanzie accessorie al prestito: i primi sono infatti un elemento naturale e non necessario del rapporto di mutuo, cui può essere causalmente ricondotto il rapporto di prestito; le seconde, invece, hanno carattere puramente eventuale e, laddove previste, la loro liberazione non pare alterare il sinallagma contrattuale sottostante all’emissione obbligazionaria. Più complesso appare il tema della modifica sostanziale di clausole di indicizzazione degli interessi all’andamento economico della società nel caso di obbligazioni indicizzate ex art. 2411, comma 2, cod. civ., ovvero della soppressione di clausole di conversione, nel caso di obbligazioni convertibili ex art. 2420-bis cod. civ.: si potrebbe infatti argomentare che tali fattispecie costituiscano dei sotto-tipi speciali di obbligazioni, ancorché sprovvisti di tipicità legale, con caratteri “differenziali” rispetto all’obbligazione ordinaria tali da comportare una traslazione del rapporto cartolarizzato da un puro rapporto di prestito ad un rapporto con causa mista (in questo senso, cfr. G.F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, 498).
effetto della modifica radicalmente alterata – in tutto o in parte – la natura dell’investimento rappresentato dai, e frazionato nei, titoli di debito originariamente emessi dalla società e sottoscritti da ciascun investitore.
Giunti a tale primo ordine di conclusioni, ci si deve nondimeno interrogare se un più esteso campo d’azione possa essere attribuito alla maggioranza assembleare per via pattizia. Più precisamente, si tratta di indagare se la linea di confine che delimita l’ambito di competenza attribuito ex lege all’assemblea in materia di modificazioni del prestito possa essere superata sul piano convenzionale mediante l’inserimento nel regolamento di emissione di apposite clausole volte ad ampliarne il perimetro applicativo.
Ed infatti, un conto è negare che il principio di autonomia contrattuale possa essere del tutto compresso dalla volontà della maggioranza assembleare, così salvaguardando – almeno di regola – i tratti tipizzanti dell’operazione (130) e i correlati diritti individuali degli obbligazionisti (modificabili solo previo consenso di ciascuno di essi), altro è verificare se la stessa libertà contrattuale delle parti (emittente, da un lato, e sottoscrittori del prestito, dall’altro) non possa a sua volta tracciare una diversa linea di confine tra competenza assembleare e prerogative individuali, ad esempio ampliando il perimetro delle materie attribuite all’assemblea degli obbligazionisti.
Occorre valutare, in altri termini, se la disciplina organizzativa degli obbligazionisti, ivi compresi i poteri e le competenze dell’assemblea, abbia natura dispositiva ovvero inderogabile. La soluzione del quesito, come già evidenziato nelle premesse del presente lavoro, pone all’interprete l’onere di ricercare gli interessi sottesi alla disciplina de qua, indagandone in particolare la natura, privata e disponibile ovvero generale o comunque ultra partes. È sulla base degli interessi protetti dal legislatore con il modello organizzativo di cui agli artt. 2415 e ss. cod. civ., e quindi delle finalità perseguite dalla disciplina, che l’interprete
(130) In merito a quali termini e condizioni del prestito obbligazionario vadano annoverati tra i caratteri “tipizzanti” della fattispecie, sia consentito rinviare a quanto già esposto precedentemente nel testo, e precisamente al § 3.2 del Capitolo I.
può ricostruire i margini di un eventuale, legittimo, intervento dell’autonomia contrattuale rispetto all’assetto delineato nel codice civile.
2. Rilevanza domestica e transfrontaliera della questione proposta.
Se si osserva la prassi dei mercati finanziari, si coglie immediatamente la rilevanza pratica ed applicativa dell’indagine che qui ci si propone di svolgere, non solo in ambito domestico ma anche rispetto all’operatività transnazionale delle società azionarie italiane.
Come è noto, sino alla fine degli anni ’90 il finanziamento delle imprese italiane, ivi comprese quelle costituite in forma di società per azioni, era terreno di elezione pressoché esclusiva delle banche e degli intermediari finanziari autorizzati alla concessione di finanziamenti ai sensi del testo unico bancario (d.lgs. n. 385/1993, di seguito, per brevità, “tub”) (131). Per converso, il ricorso delle imprese al mercato dei capitali di debito mediante emissione di obbligazioni era assai limitato e ancor meno frequenti erano i casi di approvvigionamento transfrontaliero di capitali mediante quotazione di emissioni obbligazionarie nei mercati esteri (132).
Per quanto i mercati obbligazionari italiani non abbiano raggiunto a tutt’oggi un livello di maturazione equiparabile a quella dei Paesi finanziariamente più evoluti
(131) Sulle origini della riserva di attività a favore di banche e intermediari finanziari di cui all’art. 106 tub, a partire dalla c.d. “legge bancaria” del 1939-1938, nonché sul processo evolutivo del sistema bancario italiano, si vedano X. XXXXXXX, La storia dell’ordinamento bancario e finanziario italiano fra crisi e riforme, in X. Xxxxxxx (a cura di), diritto delle banche e degli intermediari finanziari, Padova, 2008, 53 ss.; X. XXXXXXXXX, Diritto delle banche, Milano, 2012, 11 ss.; X. XXXXXXXXXX – C.M. TARDIVO, Manuale di diritto bancario e degli operatori finanziari, Milano, 2009, 69 ss.; X. XXXXXXXXX, Banche e attività bancaria, in X. XXXXXXX – X. XXXXXXXXX, Diritto degli intermediari e dei mercati finanziari, 2015, Milano, 143 ss.
(132) Cfr. BANCA D’ITALIA, Bollettino economico n. 41, novembre 2003, 4°, ove si rilevava, tra l’altro, come il ricorso ai prestiti obbligazionari abbia visto – per le cause richiamate nel testo – un aumento significativo solo a partire dalla fine degli anni ’90, registrando nel quadriennio 1999- 2002, un volume medio annuo di euro 16,5 miliardi, rispetto al volume medio di soli euro 200 milioni raggiunto negli anni 1994-1998.
all’interno della c.d. “area euro” (133), l’avvento della moneta unica ed il conseguente annullamento del rischio di cambio all’interno dell’area, così come l’ampliamento dei limiti quantitativi all’emissione di cui all’art. 2412 cod. civ., hanno senz’altro favorito il ricorso da parte delle società per azioni italiane al canale finanziario dei prestiti obbligazionari, anche mediante emissioni rivolte ad investitori istituzionali operanti sui mercati europei.
La legislazione di riferimento di tali mercati, ed in particolar modo del mercato dei cc.dd. eurobond, che costituisce la principale trading venue per la quotazione delle emissioni “ordinarie” (134) da parte di società italiane, è quella inglese, che – come meglio si vedrà in seguito – diverge sensibilmente da quella italiana con riguardo a più di un profilo inerente l’“organizzazione” dei bondholder ed il rapporto tra questi ultimi, singolarmente considerati, e la collettività, tipicamente rappresentata dal trustee secondo la volontà espressa dal bondholders’ meeting nelle materie a quest’ultimo attribuite (135).
(133) Cfr. X. XXXXXXX, Un sistema finanziario per la crescita. Intervento del Vice Direttore Generale della Banca d’Xxxxxx, Xxxxxx, 00 gennaio 2014, disponibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxxx.xx, il quale osserva che, sebbene la raccolta obbligazionaria rimanga inferiore a quella registrata in altri Paesi avanzati, tra il 2009 e il 2014 i collocamenti obbligazionari sono cospicuamente cresciuti, ammontando in media a 30 miliardi annui, con punte di oltre 35 negli anni in cui si sono acuite le difficoltà di accesso al credito (2009 e 2012). In altri termini, la crisi finanziaria sembra registrare, tra i propri effetti collaterali, anche una progressiva trasformazione del sistema finanziario italiano, da un sistema tradizionalmente di tipo banco-centrico ad un sistema sempre più mercato-centrico.
(134) Diversamente da quanto accade, invece, per i prestiti obbligazionari cc.dd. high yield, che a fronte di una rischiosità dell’investimento maggiore rispetto a quella propria di un’emissione ordinaria, presentano rendimenti particolarmente elevati. Tali strumenti, nati e diffusi inizialmente presso i soli mercati obbligazionari statunitensi ed emessi unicamente da società costituite negli Stati Uniti, hanno fatto ingresso nell’arco dell’ultimo decennio anche nei mercati obbligazionari europei (si veda, in argomento, X. XXXXXXXX, The Adaptive Capacity of Markets and Convergence in Law: UK High Yield Issuers, US Investors and Insolvency Law, in The Modern Law Review, Vol. 78, Issue 3, 2015, 431-460). In ragione della loro origine e del maggior interesse dimostrato dagli investitori americani per tale tipologia di strumenti, tali operazioni individuano tipicamente nella legge federale degli Stati Uniti e dello Stato di New York la propria legislazione di riferimento (si vedano, in proposito, E. I. XXXXXX, The Anatomy of the High Yield Bond Market: After Two Decades of Activity-Implications For Europe, New York University, Center for Law and Business, Working Paper No. 98-021, dicembre 1998, 17 ss.; X. XXXX, Law and Practice of International Finance, London, 2008, 1178 ss.).
(135) In particolare, tra gli aspetti della disciplina di legge inglese che più marcatamente si differenziano dal modello legale italiano, come meglio si vedrà nel successivo § 3.4 del presente Capitolo II, si segnala l’utilizzo dello schema del trust al fine di disciplinare i profili dell’organizzazione dei bondholder inerenti la nomina e i poteri del loro rappresentante nei
Tale legislazione consente, tra le altre cose, che un amplissimo novero di materie, ivi compresa la modifica dei termini di rimborso e di rendimento del prestito od anche la conversione del bond in equity instrument, siano decise a maggioranza dal relativo bondholders’ meeting, secondo termini e condizioni interamente stabiliti in via convenzionale tra le parti e riportati nel regolamento di emissione dello strumento (terms and conditions). Termini e condizioni, questi ultimi, cui le società italiane che intendano offrire le proprie obbligazioni nell’euromercato dovranno necessariamente conformarsi il più possibile allo scopo di rendere l’offerta di investimento comparabile rispetto a quelle già diffuse sul mercato medesimo e – di riflesso – maggiormente appetibile per i relativi investitori. In tale prospettiva, si può ragionevolmente affermare che gli emittenti italiani che vogliano affacciarsi al mercato dei capitali di debito oltre i confini nazionali siano di fatto costretti ad allinearsi alla prassi degli eurobond e a sottoporre la regolamentazione delle proprie emissioni alla legislazione inglese.
Tali considerazioni trovano agevolmente riscontro se si prendono in esame i programmi di emissione di obbligazioni di medio-lungo termine (cc.dd. Euro medium-term note programme) costituiti dai principali emittenti italiani nel corso dell’ultimo decennio. Nella quasi totalità dei casi (136) si tratta di prestiti sottoposti alla legislazione inglese, disciplinati in maniera del tutto aderente allo standard adottato nelle emissioni di bond collocate sull’euromercato da parte dei più rilevanti emittenti stranieri.
rapporti con la società emittente (in argomento, cfr. in proposito, X. XXXX, Xxx and Practice, 179 ss.; ID., International Loans, Bonds and Securities Regulation, London, 1995, 164 ss.; X. XXXXXXX, Corporate Finance Law, London, 1992, 271 ss.).
(136) Tra i più recenti programmi di emissione di eurobond di medio-lungo periodo costituiti da emittenti italiani ed assoggettati alla legge inglese, si vedano, a titolo esemplificativo, AEROPORTI DI ROMA S.P.A., Prospetto relativo al Programma di Emissioni Obbligazionarie (Euro Medium Term Note Programme) per un importo massimo di €1,5 miliardi, approvato il 28 aprile 2016; TERNA - RETE ELETTRICA NAZIONALE S.P.A., Prospetto relativo al Programma di Emissioni Obbligazionarie (Euro Medium Term Note Programme) per un importo massimo di €8 miliardi, approvato il 15 dicembre 2015; A2A S.P.A., Prospetto relativo al Programma di Emissioni Obbligazionarie (Euro Medium Term Note Programme) per un importo massimo di €4 miliardi, approvato il 19 dicembre 2014; ENEL S.P.A. – ENEL FINANCE INTERNATIONAL N.V., Prospetto relativo al Programma di Emissioni Obbligazionarie (Euro Medium Term Note Programme) per un importo massimo di €35,000,000,000, approvato il 20 ottobre 2015.
Occorre tuttavia investigare se sia legittimo per una società italiana assoggettare alla legge inglese, e più in generale ad una legislazione straniera, oltre ai termini e alle condizioni economiche del prestito obbligazionario, anche profili della regolamentazione del rapporto sui quali sia direttamente e specificamente intervenuto il nostro legislatore, quali in particolare l’organizzazione del gruppo degli obbligazionisti e i relativi rapporti con la società emittente. Il tema si pone anche alla luce di una constatazione derivante, anch’essa, da un esame della prassi applicativa: sebbene – come poc’anzi rilevato – le società italiane assoggettino le obbligazioni destinate a circolare sull’euromercato alla legge inglese e propongano condizioni del tutto in linea con quelle formatesi in tale ordinamento, tanto la documentazione contrattuale che disciplina l’emissione, quanto il relativo prospetto informativo non riportano previsioni chiare ed univoche circa il perimetro d’applicazione della clausola sulla scelta di legge. Nell’ambito delle condizioni del regolamento inerenti le decisioni che possono essere assunte a maggioranza, si adoperano tipicamente formulazioni omnicomprensive che includono – inter alia – il potere di ridurre o persino azzerare del tutto il credito degli obbligazionisti, sia a titolo di restituzione della somma data in prestito, sia a titolo di corresponsione degli interessi («reducing or cancelling the amount of principal or the rate of interest payable in respect of the Notes») (137).
(137) Cfr. A2A S.P.A., Prospetto relativo al Programma di Emissioni Obbligazionarie (Euro Medium Term Note Programme) per un importo massimo di €4 miliardi, approvato il 19 dicembre 2014, sezione “Terms and Conditions of the Notes”, Condition 14 (Meetings of Noteholders and Modification). In AEROPORTI DI ROMA S.P.A., Prospetto relativo al Programma di Emissioni Obbligazionarie (Euro Medium Term Note Programme) per un importo massimo di €1,5 miliardi, approvato il 28 aprile 2016, il novero delle materie di competenza assembleare è indicato in maniera ancor più ampia e al contempo più dettagliata, includendo non solo modifica in peius del diritto al pagamento degli interessi e della sorte capitale (sia in termini di riduzione del quantum, sia in termini di totale soppressione dell’obbligo di pagamento) ma anche la possibilità di convertire o sostituire (exchange) le obbligazioni emesse con strumenti finanziari di altra natura, anche emessi da società terze rispetto all’emittente, persino non ancora costituite al momento dell’approvazione della delibera di conversione o di approvazione dell’exchange. Più precisamente, tra le cc.dd. “Reserved Matters” – vale a dire le materie che possono essere deliberate dall’assemblea degli obbligazionisti con il quorum “rafforzato” di almeno la metà delle obbligazioni emesse e non estinte – si annoverano: «any proposal: (i) to change any date fixed for payment of principal or interest in respect of the Notes, to reduce or cancel the amount of principal or interest payable on any date in respect of the Notes or to alter the method of calculating the amount of any payment in respect of the Notes on redemption or maturity or the date for any such payment; (ii) to effect the exchange, conversion or substitution of the Notes for, or the conversion of the Notes into, shares, bonds or other obligations or securities of the Issuer or
Comunemente, a tali clausole generali si accompagnano tuttavia talune previsioni di salvaguardia volte a fare comunque salve le norme imperative o inderogabili dell’ordinamento italiano («subject to the mandatory provisions of Italian law», et similia) (138): una sorta di escamotage, quindi, che di fatto lascia all’interprete il compito di ricostruire quali profili dell’emissione debbano seguire la legislazione convenzionalmente prescelta ed indicata, in xxx xxxxxxxx, xxx xxxxxxxxxxx xxx xxxxxx (xxx contractus) e quali invece la legge del Paese di origine dell’emittente (lex societatis) (139).
any other person or body corporate formed or to be formed» (cfr. Condition 11 dei Terms and Conditions di cui alla p. 57 e ss. del relativo prospetto informativo). La formulazione di cui sopra è evidentemente ispirata allo standard di derivazione anglo-americana (cfr. in proposito X. XXXX, Law and Practice, 177 ss.), ed in questa prospettiva lo sforzo degli operatori sembra essere stato quello di annoverare tali materie tra quelle che possono essere decise dall’assemblea con il quorum deliberativo “rafforzato” di cui all’art. 2415, comma 3, cod. civ., pur nell’incertezza del perimetro di applicazione della competenza di cui all’art. 2415, comma 1, n. 2, cod. civ., relativamente alle modificazioni delle condizioni del prestito.
(138) Cfr. TERNA - RETE ELETTRICA NAZIONALE S.P.A., Prospetto relativo al Programma di Emissioni Obbligazionarie (Euro Medium Term Note Programme) per un importo massimo di €8 miliardi, approvato il 15 dicembre 2015, ove si precisa che le regole di funzionamento del meeting of the Noteholders troveranno applicazione «to the extent permitted under the applicable laws and regulations of the Republic of Italy» e, con riguardo alla nomina del representative of the Noteholders (id est, il rappresentante comune), che lo stesso può coincidere con la medesima entity chiamata a svolgere il ruolo di trustee (ai sensi del relativo agency agreeement) nella misura in cui ciò sia compatibile con le norme imperative di diritto italiano («subject to the mandatory provisions of Italian law») – cfr. Condition 15 (Meetings of Noteholders, Modification and Waivers) dei relativi Terms and Conditions. In A2A S.P.A., Prospetto relativo al Programma di Emissioni Obbligazionarie (Euro Medium Term Note Programme) per un importo massimo di €4 miliardi, approvato il 19 dicembre 2014, sezione “Terms and Conditions of the Notes”, Condition 14 (Meetings of Noteholders and Modification), si precisa invece che «[a]ll meetings of the Noteholders will be held in accordance with applicable provisions of Italian law in force at the time».
(139) Come meglio si vedrà nel successivo § 5 del presente Capitolo, la circostanza che si tratti di una emissione obbligazionaria realizzata da società impone altresì di valutare, sotto il profilo del diritto internazionale privato, se l’intera disciplina delle obbligazioni – ivi comprese le norme inerenti l’organizzazione degli obbligazionisti – non debba essere considerata quale materia di diritto societario, assoggettata alla lex societatis (o lex loci incorporationis) secondo il disposto dell’art. 25 della l. 218/1995.
Inoltre, quand’anche l’emissione si perfezioni con il collocamento dei titoli presso un mercato straniero e per quanto le parti abbiano prescelto la legge straniera per il regolamento del prestito (tipicamente, come già si è detto, la legge inglese nel caso di emissioni di eurobond ovvero la legge statunitense, con riguardo all’emissione di prestiti obbligazionari high yield), il collegamento con l’ordinamento italiano, in ragione del luogo di costituzione dell’emittente, assume indubbiamente rilevanza nella prospettiva del diritto internazionale privato e potrebbe limitare gli effetti della scelta di legge convenzionalmente operata dalle parti. Vengono infatti in rilievo le clausole cc.dd. di “salvaguardia” previste dal diritto internazionale privato, più oltre esaminate in maggior dettaglio (cfr. successivo § 5), a partire dagli artt. 16 e 17 della legge n. 218 del 31
La questione dei margini di derogabilità della disciplina dell’organizzazione, soprattutto con riguardo alle competenze assembleari e al coordinamento tra diritti individuali e interessi comuni degli obbligazionisti, riveste allora all’atto pratico una rilevanza non solo domestica (e sotto il profilo del diritto interno) ma anche transnazionale (e dunque sotto il profilo del diritto internazionale privato), la cui soluzione inevitabilmente interferisce con la capacità delle società azionarie italiane di sfruttare in maniera effettiva e concreta i mercati obbligazionari esteri ed attingere alle risorse finanziarie rese disponibili dagli investitori stranieri.
Da un punto di vista puramente tecnico-giuridico, nel caso delle emissioni “domestiche” (id est, interamente collocate in Italia e sottoposte alla legislazione italiana) si tratterà di capire quali profili della disciplina abbiano, secondo il diritto materiale interno, carattere dispositivo e se e quali norme abbiano invece natura imperativa o comunque inderogabile, risultando in quanto tali sottratte alla disponibilità contrattuale delle parti (emittente ed obbligazionisti); nel caso delle emissioni transfrontaliere, tipicamente collocate sull’euromercato da emittenti italiani e sottoposte a legislazione straniera, si tratterà di indagare se e quali aspetti della disciplina organizzativa italiana – con particolare, ma non esclusivo, riguardo alle competenze assembleari ex art. 2415 cod. civ. – debbano necessariamente trovare applicazione per il sol fatto che l’emissione, sebbene collocata all’estero e sottoposta a legislazione inglese, sia realizzata da una società per azioni italiana sulla base dei criteri di collegamento e di soluzione dei conflitti stabiliti dal diritto internazionale privato.
Nell’uno e nell’altro caso l’indagine, pur con i dovuti distinguo sul piano delle norme e dei criteri interpretativi rispettivamente applicabili, ruota evidentemente attorno al problema cardine della possibile interferenza di interessi generali o comunque meta-individuali con i privati interessi di cui sono portatrici le sole
maggio 1995 con la quale è stato riformato il nostro sistema di diritto internazionale privato, che fanno salvi rispettivamente i principi di ordine pubblico dell’ordinamento italiano, nonché le norme cc.dd. di applicazione necessaria, le quali – in ragione del loro oggetto e del loro scopo – debbono essere applicate nonostante il richiamo alla legge straniera, per arrivare agli artt. 9 e 21 del Regolamento CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 luglio 2008 n. 593 in materia di legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (c.d. “Regolamento Roma I”), che parimenti fanno salvi l’ordine pubblico del foro e le norme di applicazione necessaria (come ivi definite).