COLLEGIO DI BOLOGNA
COLLEGIO DI BOLOGNA
composto dai signori:
(BO) MARINARI Presidente
(BO) XXXXX XXXXXXXX VELI Membro designato dalla Banca d'Italia (BO) DI STASO Membro designato dalla Banca d'Italia
(BO) XXXXXXXXX Membro di designazione rappresentativa degli intermediari
(BO) ALVISI Membro di designazione rappresentativa dei clienti
Relatore ESTERNI - XXXXXX XXXXXX
Seduta del 20/02/2018
FATTO
Con ricorso presentato in data 1.08.2017, cui univa copia del reclamo dd. 19 maggio 2017, il ricorrente, imprenditore individuale, deduceva di essere titolare del rapporto di c/c n.
***844 sul quale era stata accordata un’apertura di credito per l’importo di 50.000,00 euro. Il ricorrente lamentava che in data 19.01.2017 l’intermediario aveva comunicato il suo recesso dall’apertura di credito e dalla convenzione di assegno collegata al suddetto c/c contestualmente intimando l’estinzione, entro il termine di quindici giorni, del relativo debito, pari alla somma di 53.540,05 euro, e preannunciando, in caso di mancato pagamento, la segnalazione della posizione debitoria del ricorrente presso la Centrale dei Rischi. Il ricorrente lamentava altresì che, successivamente, il suo nominativo era stato effettivamente segnalato in Centrale dei Rischi “con grave ed ingiusto danno”. In data 19.05.2017 il ricorrente esperiva reclamo con cui contestava l’illegittimità del recesso della banca dal contratto di apertura di credito nonché “la debenza della somma di euro 53.540,05 richiesta dall’intermediario a titolo di esposizione sul c/c”, ritenendo che la stessa fosse il risultato di una “violazione dei termini contrattuali e legali per addebiti illeciti/indebiti a seguito di applicazione di tassi ed interessi passivi eccedenti la misura dell’interesse legale ex art. 1284 c.c. (nell’ipotesi di superamento del tasso soglia usuraio) e, comunque, non pattuiti, commissioni trimestrali e di “massimo scoperto”, spese non documentate e non oggetto di pattuizione, capitalizzazioni trimestrali degli interessi
passivi, applicazione di valute fittizie rispetto a quelle di effettiva liquidità, salvo se altro”, e richiedeva, altresì: a) copia del contratto di conto corrente di corrispondenza; b) copia del contratto di apertura di credito e di anticipazione bancaria; c) successive eventuali variazioni contrattuali intervenute nel corso del rapporto; d) estratti contabili trimestrali dall’inizio del rapporto ad oggi; e) tutta la documentazione afferente al rapporto di c/c di tempo in tempo sottoscritta, anche dai garanti. In data 21.06.2017 la banca rispondeva al reclamo ribadendo la correttezza del proprio operato ma non inviava copia della documentazione richiesta dal ricorrente, in quanto riteneva di aver già rilasciato copia dei “contratti originari” al momento “della stipula”, mentre si dichiarava disponibile a fornire al ricorrente, a spese, “copia della documentazione inerente singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni” riservandosi di trasmetterla “nei termini di legge”. Il ricorrente ribadiva le medesime contestazioni col ricorso all’ABF, con cui lamentava, altresì, la mancata trasmissione della documentazione bancaria richiesta col reclamo, precisando che: a) il contratto di apertura di conto corrente e quello di affidamento bancario non erano stati forniti né in sede di stipula, né successivamente, ancorché richiesti; b) la mancata produzione della documentazione richiesta da parte dell’istituto bancario sarebbe illegittima ed in palese violazione dell’obbligo di buona fede e correttezza ex artt. 1175 e 1375 c.c. (rinviando a Cass. n. 11004/2006); c) l’argomento della trasmissione della documentazione previo pagamento delle spese risulterebbe dilatorio ed ingiustificato, essendo l’intermediario dotato di tecnologie informatiche tali da consentirgli un’agevole ottemperanza della suddetta istanza.
Il ricorrente concludeva chiedendo all’ABF: di “verificare la legittimità/liceità del recesso adoperato dalla banca, delle segnalazioni conseguenti”; “di ottenere copia della documentazione integrale come richiesta”, “di verificare integralmente la debenza di eventuali crediti in favore della banca o del correntista”.
In data 31.10.2017 si costituiva l’intermediario depositando le proprie controdeduzioni cui univa, fra l’altro, copia del contratto di conto corrente e del documento di sintesi riferito allo stesso (all. 1 e 2), un estratto del IV trimestre 2015 del conto corrente (all. 5), un report interno denominato “Centrale dei Rischi” (all. 6), due missive inviate dallo stesso intermediario al ricorrente rispettivamente in data 11.09.2017 e in data 21.09.2017.
L’intermediario deduceva che il ricorrente appartiene ad un gruppo familiare composto di diverse società, alcune clienti, le quali avevano anch’esse presentato ricorsi aventi il medesimo tenore, seppur afferenti a rapporti di conto corrente diversi. Il conto corrente n.
*844 oggetto di contestazione era stato in realtà perfezionato con altro imprenditore individuale, poi deceduto in data 22 ottobre 2015, con conseguente cancellazione della ditta dal registro delle imprese nel gennaio 2017, mentre l’odierno ricorrente era subentrato nella gestione dell’attività avendone ereditato l’azienda. L’intermediario deduceva che sul predetto conto corrente era stata accordata al precedente titolare un’apertura di credito di euro 50.000,00 e che al momento del decesso dell’originario titolare il conto presentava un saldo debitore di euro -49.536,71. Il ricorrente, a dire dell’intermediario, avrebbe dichiarato (nel corso di molteplici incontri intercorsi prima della comunicazione di revoca del 19 gennaio 2017) di voler estinguere, tramite un piano di rientro, il debito nel quale era subentrato per effetto di successione mortis causa. Tuttavia, tale piano di rientro non era mai stato presentato. Attesi il progressivo peggioramento della situazione aziendale e di grupppo e l’aumento degli sconfinamenti in Centrale dei Rischi, l’intermediario decideva di costituire in mora il ricorrente in data 19.01.2017. L’intermediario affermava quindi di aver tentato a più riprese, ma senza successo, di prendere contatto col ricorrente xxxxxx quest’ultimo avrebbe comunicato, tramite il proprio avvocato, di non essere in grado di proporre un piano di rientro. In data 23.05.2017 il ricorrente esperiva reclamo, al quale veniva dato riscontro dall’intermediario in data
21.06.2017. In data 11.09.2017 l’intermediario inviava al ricorrente, come da sua richiesta, gli estratti conto nei termini previsti dall’art. 119 TUB. In data 22.08.2017 il ricorrente inviava un’ulteriore diffida, alla quale l’intermediario dava riscontro in data 21.09.2017. All’indomani della presentazione del ricorso, la posizione del ricorrente sarebbe stata segnalata in Centrale dei Rischi quale “credito contestato” a decorrere dal 15.09.2017.
L’intermediario eccepiva in via pregiudiziale, la parziale inammissibilità del ricorso con riferimento alla domanda all’ABF “(…) di verificare integralmente la debenza di eventuali crediti in favore della banca o del correntista”, in quanto tale domanda rimetterebbe all’Arbitro lo svolgimento di attività di natura consulenziale che gli è preclusa (a tal fine l’intermediario richiamava la decisione del Collegio di Napoli n. 3359/16). Nel merito l’intermediario eccepiva l’infondatezza del ricorso e ne chiedeva il rigetto, in quanto l’apertura di credito, di cui parte ricorrente lamenta l’illegittima revoca, si sarebbe invero già risolta in seguito al decesso della parte affidata, non potendo il fido cadere in successione mortis causa. Quanto alla richiesta di consegna documentale, l’intermediario trasmetteva, unitamente alle controdeduzioni, copia del contratto di conto corrente risalente al 1985 (all. 1), i documenti di sintesi concernenti le condizioni contrattuali riferite al 30.06.2016, 30.09.2016, 2.01.2017, 31.03.2017 e 30.06.2017 (all. 2) nonché l’estratto
conto n. 4/2017 concernente i movimenti del periodo 1.10.2015-31.12.2015 (all. 5) e copia della lettera datata 11.09.2017 (all. 7) mediante la quale banca comunicava la trasmissione al ricorrente degli estratti conto relativi agli ultimi 10 anni, precisando che il titolare del conto era stato comunque informato, di volta in volta, delle condizioni vigenti senza che mai avesse lamentato la mancata ricezione di tale documentazione e senza che avesse mai esercitato il diritto di recesso. L’intermediario concludeva chiedendo all’ABF di dichiarare inammissibile il ricorso per la parte in cui viene richiesta al Collegio attività consulenziale e di rigettarlo per il resto in quanto infondato.
DIRITTO
Circa la domanda di accertamento della “debenza di eventuali crediti”.
Questo Collegio ritiene fondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso nella parte in cui si richiede all’ABF di accertare la correttezza dei calcoli effettuati dall’intermediario relativamente alla posizione debitoria gravante sul ricorrente. Il ricorrente, infatti, non fornisce alcuna prova dell’asserita illegittima quantificazione, da parte dell’intermediario, della somma richiesta in restituzione, per l’importo di euro 53.540,05 oltre ad interessi, commissioni e spese. Il ricorrente non offre neppure alcun inizio di prova circa la lamentata applicazione di interessi oltre soglia e di commissioni non pattuite contrattualmente, nonché su asserite capitalizzazioni trimestrali degli interessi passivi. Stante la natura esclusivamente documentale dell’istruttoria dinnazi all’Arbitro, non è possibile all’ABF verificare le doglianze generiche formulate dal ricorrente circa l’effettiva debenza del credito vantato dall’intermediario nei suoi confronti, né potrebbe soccorrere a tal fine la documentazione contrattuale trasmessa dall’intermediario in sede di controdeduzioni, stante l’eccessiva genericità con cui è formulata la contestazione. Si tratta, pertanto, di una richiesta esplorativa, come tale inammissibile in quanto implicherebbe lo svolgimento di attività consulenziale preclusa all’ABF. Anche recentemente questo Collegio ha affermato che lo svolgimento di attività consulenziale “è estranea alle competenze dell’ABF. Si veda, la decisione n. 10808/16 del Collegio di Napoli che ha chiarito come lo “svolgimento di una funzione di tipo consulenziale [sia] estranea agli scopi e alle funzioni dell’ABF, il quale è organo chiamato a dirimere controversie sulla base di fatti dedotti e provati e non già a rilasciare pareri o rendere servizi di natura consulenziale ai ricorrenti (e v., ex multis, ABF Napoli, nn. 3761/2015,
6836/2015 e 6767/2015; ABF Roma, n. 522/2015; ABF Milano, nn. 1897/2014 e
4404/2015)” (cfr. in tal senso il Collegio di Bologna, con la decisione n. 5230/17, Pres. Marinari).
Legittimità della revoca dell’affidamento su c/c.
L’intermediario ha dedotto che i contratti di conto corrente e di apertura di credito in relazione ai quali è insorta la presente controversia furono originariamente perfezionati con un’imprenditrice individuale, deceduta in data 22.10.2015. L’intermediario ha affermato che il ricorrente, anch’egli imprenditore individuale, “(…) è l’unico erede che ha accettato l’eredità” ed è subentrato, a titolo di successione mortis causa, nella proprietà dell’azienda della de cuius, dopo che “in seguito al decesso del titolare, risalente al 22.10.2015, la ditta individuale [di quest’ultima] è stata cancellata a gennaio 2017 dal registro delle Imprese (…)”. Dalle visure CCIAA prodotte dall’intermediario si evince il subentro mortis causa del ricorrente nella titolarità dell’azienda e la successiva iscrizione nel Registro delle Imprese, in data 9.12.2016, della sua ditta individuale in conseguenza della sua decisione di proseguirne la gestione. Risulta, dunque, che il ricorrente, nella sua qualità di unico erede della titolare dell’azienda alberghiera, cui inerivano altresì i contratti di conto corrente e di apertura di credito in corso di esecuzione alla morte di quest’ultima, ha accettato l’eredità ed è quindi subentrato, mortis causa, nella titolarità dei beni organizzati dalla de cujus per l’esercizio dell’impresa. Discorso più articolato sembra invece doversi fare per la successione nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda, ivi compresi quelli per cui è causa. Nelle sue controdeduzioni l’intermediario affaccia, invero per la prima volta, la tesi secondo cui tali contratti si sarebbero risolti al momento della morte dell’originaria titolare sul presupposto che si trattasse di contratti intuitu personae, come tali insuscettibili di cadere in successione ereditaria. Questa tesi, per come è stata formulata, non è accoglibile. Come è noto, in linea generale, una volta concluso il contratto questo non si estingue se è ancora in corso di esecuzione al momento della morte di una delle parti. Lo stesso vale per i contratti intuitu personae, ossia i contratti per i quali l’identità o le qualità personali di una delle parti siano stati determinanti del consenso dell’altra, i quali cadono in successione mortis causa anche ove risultassero, per previsione di legge o contrattuale, incedibili per atto fra vivi. Così, ad esempio, un’autorevole dottrina osserva che se muore il mutuatario, il contratto di mutuo prosegue nei confronti del suo successore, che restituirà la somma ricevuta dall’originario contraente al termine fissato nel contratto. Lo stesso sembra potersi affermare anche per il contratto di apertura di credito. Con riferimento ai contratti intuitu personae il venir meno del contraente la cui identità e le cui qualità personali siano stati determinanti del consenso dell’altro contraente potrà solo operare come giusta causa di recesso di quest’ultimo (tanto si inferisce, ex multis, dalle previsioni di cui agli artt. 1614, 1627, 2558 c.c.). Come è noto fanno eccezione a questa regola generale i contratti che obbligavano il defunto ad una prestazione di facere infungibile, come tale inesigibile a carico degli eredi, salvo il caso in cui l’obbligato fosse un imprenditore, ed i c.d. contratti personali, che si distinguono dai contratti intuitu personae in quanto i primi riflettono tipologicamente propensioni del tutto personali del contraente defunto, che i successori sono liberi di non condividere. Così, ad esempio, il mandato si estingue anche per morte del mandante (art. 1722 n. 4 c.c.), e allo stesso modo anche il conto corrente di corrispondenza verrebbe ad estinguersi per la morte del correntista trattandosi di un contratto misto nel quale le figure dell’apertura di credito o del deposito si combinano con quella del mandato (cfr. Cass. civ., sez. I, 21 aprile 2000, n. 5264).
Tuttavia, nel caso di specie, l’intermediario resistente, con la sua lettera dd. 19 gennaio 2017, ha dichiarato il proprio recesso non solo dal contratto di apertura di credito ma
anche dal contratto di conto corrente, suggerendo di averli ritenuti sino ad allora attivi per effetto della successione mortis causa del ricorrente nella posizione contrattuale dell’originaria titolare e di volerne determinare solo allora, con la dichiarazione di recesso, la risoluzione unilaterale. Si tratta, pertanto, di stabilire se tale dichiarazione di recesso possa considerarsi legittima, come ritiene l’intermediario, ovvero se debba considerarsi illegittima alla stregua delle contestazioni sollevate dal ricorrente. In particolare, l’attore ha chiesto all’Arbitro di “verificare la legittimità/liceità del recesso adoperato dalla Banca” senza null’altro argomentare salvo che, al momento in cui è stata comunicata la revoca dell’affidamento sul x/x x. **000 (xxxxxxx del 19.01.2017), l’esposizione debitoria sarebbe stata comunque inferiore rispetto all’accordato, il che peraltro non sembra corrispondere alle risultanze prodotte.
L’intermediario, in sede di controdeduzioni, ha eccepito l’infondatezza di siffatta doglianza argomentando che il recesso non sarebbe stato né arbitrario, né improvviso, avendo, fra l’altro, contattato diverse volte l’affidato, all’indomani del decesso dell’originaria titolare del conto e del fido, affinchè proponesse un piano di rientro per l’estinzione bonaria della sua esposizione debitoria ed avendogli comunicato il recesso dopo più di un anno, a fronte della sua dichiarata indisponibilità a proporre un piano di rientro, e comunque concedendogli un preavviso di 15 giorni ai fini del rientro. E’, peraltro, lo stesso ricorrente ad allegare la missiva, datata 19.01.2017, con la quale l’intermediario comunicava la revoca immediata dell’affidamento concedendo un termine di 15 giorni per il rientro.
In materia di recesso dal contratto di apertura di credito bancario, l’art. 1845 c.c. (rubricato Recesso dal Contratto) prevede che, in caso di apertura di credito a tempo determinato, “Salvo patto contrario, la banca non può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se non per giusta causa. Il recesso sospende immediatamente l'utilizzazione del credito, ma la banca deve concedere un termine di almeno quindici giorni per la restituzione delle somme utilizzate e dei relativi accessori. Se l'apertura di credito è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, mediante preavviso nel termine stabilito dal contratto, dagli usi o, in mancanza, in quello di quindici giorni”.
Con riferimento alle “operazioni a tempo indeterminato” anche l’ art. 1855 c.c. dispone che: “Se l’operazione regolata in conto corrente è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, dandone preavviso nel termine stabilito dagli usi o, in mancanza, entro quindici giorni”.
Nel caso in esame, l’art. 6 delle condizioni generali del contratto di conto corrente, prodotto dall’intermediario, prevede che “(…) Le aperture di credito che la Banca ritenesse eventualmente di concedere al Correntista sono soggette alle seguenti statuizioni: (…) c) l’Azienda di credito ha facoltà di recedere in qualsiasi momento, anche con comunicazione verbale, dall’apertura di credito, ancorché concessa a tempo determinato, nonché di ridurla o di sospenderla; per il pagamento di quanto dovuto sarà dato al correntista un preavviso non inferiore ad un giorno (…). La Banca dà immediata comunicazione scritta al cliente della riduzione, sospensione o recesso dall’apertura di credito (…) d) In ogni caso il recesso ha l’effetto di sospendere immediatamente l’utilizzo del credito concesso”.
A meno che il contratto di apertura di credito non abbia espressamente derogato a questa previsione contenuta nelle condizioni generali del contratto di conto corrente (ma il contratto di apetura di credito non è stato prodotto), si deve ritenere che per espressa pattuizione contrattuale, così come é consentito dallo stesso art. 1845 c.c. il cui incipit ne esplicita il tenore dispositivo, le parti hanno convenuto che, a prescindere dalla durata del contratto di apertura di credito, e dunque sia nei rapporti a tempo indeterminato che, in deroga all’art. 1845, comma 1 c.c., nei rapporti a tempo determinato, alla banca fosse attribuito un diritto potestativo di recesso unilaterale ad nutum, i.e. a prescindere dalla sussistenza di una giusta causa di recesso, con l’unico onere di concedere alla
controparte un preavviso di un giorno, laddove nel caso di specie l’intermediario ha concesso al ricorrente il termine di 15 giorni ai fini del rientro.
La banca ha successivamente chiarito, nelle controdeduzioni, che tale decisione è stata motivata dal fatto che, nonostante “l’ampia dilazione concessa per formalizzare un piano di rientro”, dopo oltre un anno dal decesso dell’originaria titolare l’erede si fosse dichiarato indisponibile a formalizzare una proposta in tal senso, contestualmente al “progressivo peggioramento della situazione finanziaria aziendale e di gruppo confermata dall’andamento degli sconfinamenti in Centrale dei Rischi”, documentata dall’intermediario resistente mediante il report prodotto sub all. 6 alle controdeduzioni.
D’altro canto, nel caso dei contratti intuitu personae, quale deve ritenersi quello di apertura di credito, il subentro dell’erede all’originario titolare può costituire in sé giusto motivo di recesso da parte dell’altro contraente, fermo restando che nel caso di specie lo stesso contratto di conto corrente conferisce alla banca il diritto di recesso ad nutum anche dall’apertura di credito, con il preavviso di un giorno, dunque inferiore a quello in effetti concesso al ricorrente nel caso in esame.
Alla luce di queste considerazioni il Xxxxxxxx ritiene di dover escludere che il recesso esercitato nel caso di specie possa qualificarsi come atto arbitrario e capriccioso, come tale abusivo. Resta da svolgere il controllo sulle modalità di esercizio del recesso.
La giurisprudenza dell’ABF ha un orientamento consolidato “secondo cui, ferma restando la valutazione imprenditoriale della banca in tema di meritevolezza del credito, la condotta di un intermediario in tema di concessione, revoca o rinegoziazione del credito, è vincolata al rispetto dei canoni generali di buona fede e correttezza che devono improntare la condotta della banca nelle relazioni con la propria (anche potenziale) clientela (cfr., ad es., ABF Milano, nn. 1172/2016 e 3105/2013). Tale orientamento si colloca nel solco dell’indirizzo della giurisprudenza di legittimità per il quale: “Qualora un contratto preveda il diritto di recesso "ad nutum" in favore di una delle parti, il giudice del merito non può esimersi, per il semplice fatto che i contraenti hanno previsto espressamente quella clausola in virtù della loro libertà e autonomia contrattuale, dal valutare se l'esercizio di tale facoltà sia stato effettuato nel pieno rispetto delle regole di correttezza e di buona fede cui deve improntarsi il comportamento delle parti del contratto. La mancanza della buona fede in senso oggettivo, espressamente richiesta dagli art. 1175 e 1375 c.c. nella formazione e nell'esecuzione del contratto, può rivelare, infatti, un abuso del diritto, pure contrattualmente stabilito, ossia un esercizio del diritto volto a conseguire fini diversi da quelli per i quali il diritto stesso è stato conferito. Conseguenzialmente, accertato l'abuso, può sorgere il diritto al risarcimento dei danni subiti. Tale sindacato, da parte del giudice di merito, deve pertanto essere esercitato in chiave di contemperamento dei diritti e degli interessi delle parti in causa, in una prospettiva anche di equilibrio e di correttezza dei comportamenti economici” (Cass. civ., sez. III, 18.9.2009, n. 20106). Tanto rammentato, va però rilevato che, nel caso di specie – per quanto, in assenza di controdeduzioni dell’intermediario, non sia possibile ricostruire con esattezza i termini della vicenda –, l’assunto intorno al quale ruota la narrazione del ricorrente non è in alcun modo provato (…)”.
Nel caso all’esame di questo Collegio, come si evince dalla missiva prodotta dalla stessa ricorrente, l’intermediario, conformemente alla previsione di cui all’art. 6 delle condizioni generali del contratto di conto corrente, ha comunicato il proprio recesso dal contratto di apertura di credito bancario dopo oltre un anno di trattative intese alla definizione bonaria di un piano di rientro ed accordando ulteriormente il termine di 15 giorni per il pagamento (“visto l’insoddisfacente andamento del rapporto, con la presente le comunichiamo la revoca immediata degli affidamenti a revoca a suo tempo accordati. Le chiediamo di provvedere, entro e non oltre 15 giorni dalla data di ricezione della presente, al pagamento
del nostro credito ammontante, S.E.&O. ad euro 53.540,05 (…)”), il che vale ad eslcudere che si sia trattato di un recesso improvviso, anche in considerazione di quanto argomentato dall’intermediario, non contestato dalla ricorrente, circa gli incontri precedenti finalizzati ad una chiusura bonaria dell’esposizione debitoria dell’affidato.
Fermo restando che l’Arbitro non può sindacare la valutazione del merito creditizio sulla base della quale una banca decida di revocare un fido ad un proprio cliente (in quanto tale valutazione rientra nell’esclusiva competenza dell’intermediario), da quanto acquisito agli atti non emergono evidenze di alcun abuso del diritto di recesso esercitato dalla banca, peraltro con modalità più favorevoli al cliente rispetto a quanto previsto in contratto.
Questo Collegio ritiene, pertanto, che la domanda del ricorrente intesa all’accertamento dell’illegittimità del recesso esercitato dalla banca non possa, nel caso di specie, essere accolta in quanto infondata, e comunque non provata, fermo che il ricorrente non svolge alcuna domanda di tipo risarcitorio a questo titolo.
Nello stesso senso si richiama un precedente del Collegio di Roma che, con la decisione
n. 1854/17, ha ribadito ancora una volta che l’ABF “non può sindacare il comportamento di una banca che decida di revocare un fido ad un proprio cliente, in quanto tale decisione attiene alla valutazione del merito creditizio di completa competenza dell’intermediario che eroga credito”, ed ha, altresì, escluso che possa considerarsi censurabile e/o abusiva la condotta della banca che risulti pienamente conforme alle previsioni contrattuali: “Infatti, il contratto sottoscritto dalle parti conferisce all’intermediario la facoltà di recedere immediatamente dal medesimo contratto con il preavviso di un giorno per la restituzione della somma finanziata. Considerato ciò, il ricorrente lamenta, nella fase esecutiva del contratto, un comportamento abusivo o illegittimo della controparte che, al contrario, è posto in essere in attuazione del medesimo senza che le doglianze in questione fossero state sollevate nella fase di stipulazione dell’accordo. In ragione di ciò si ritiene che la banca abbia operato legittimamente (…)”.
La valutazione della segnalazione in C.R.
Parte ricorrente chiede, altresì, all’ABF di “verificare la legittimità/liceità (…) delle segnalazioni conseguenti”, affermando che, in seguito alla missiva ricevuta in data 19.01.2017, nella quale l’intermediario comunicava la revoca dell’affidamento e lo informava di essere tenuto a segnalare presso la CR la situazione debitoria rilevata in caso di mancato pagamento, veniva poi effettivamente segnalato alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia “con grave ed ingiusto danno”.
Tuttavia, nel caso di specie, il ricorrente non ha assolto all’onere probatorio sullo stesso gravante in quanto non ha allegato la visura CR attestante le asserite illegittime segnalazioni. In un caso analogo, in cui il ricorrente lamentava l’illegittimità delle segnalazioni in Centrale Rischi, questo Collegio ha rilevato che «né i ricorrenti né l’intermediario hanno prodotto alcuna prova documentale circa la presunta segnalazione presso la Centrale Rischi di Banca d’Italia, limitandosi ad allegare soltanto l’evidenza della segnalazione presso la banca dati CRIF. Per questo motivo, la domanda di “rettifica dei dati in Centrale Rischi” non può trovare accoglimento» (cfr. Collegio di Bologna, decisione n. 17114/17).
Neanche l’intermediario ha allegato gli estratti delle visure CR, trasmettendo invece dei report, presumibilmente afferenti ad una procedura interna della Banca e presumibilmente elaborati sulla base di dati contenuti nella Centrale Rischi di Banca. Peraltro, dal report allegato dall’intermediario (all. 6), parrebbe evincersi che già a gennaio 2016 il ricorrente era presente nell’elenco “black list” per “Crediti scaduti o sconfinamenti da più di 90 giorni e non oltre 180” e per “Crediti scaduti o sconfinamenti più da più di 180 giorni”, mentre ad agosto 2017 (successivamente, quindi, alla revoca dell’affidamento) non risultavano
segnalazioni a sofferenza (“N. segnalanti sofferenza: 0”) o posizioni rettificate. Da tale allegato parrebbe quindi desumersi che le asserite segnalazioni presso la C.R., che l’intermediario avrebbe effettuato in seguito alla missiva datata 19.01.2017, di cui il ricorrente si duole, non sono “segnalazioni a sofferenza” ma, al più, segnalazioni di sconfinamento che l’intermediario era obbligato ad effettuare, ai sensi della Circolare n. 139/1991 di Banca d’Italia, e pertanto legittime.
Quanto al profilo rimediale, il ricorrente non chiede una tutela di tipo risarcitorio, limitandosi a sollecitare l’Arbitro ad una verifica di legittimità della segnalazione.
Pertanto, in conclusione, il mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante, non assolto, sul ricorrente e peraltro non sanato dal “principio di acquisizione processuale” (sul quale si rinvia alla decisione del Collegio di coordinamento 29.06.2017, n. 7716) induce questo Collegio a pronunciarsi per il non accoglimento di questa domanda in quanto sfornita di prova.
Richiesta documentale ex art. 119 TUB.
Il ricorrente ha chiesto, infine, all’ABF di disporre la trasmissione della documentazione contrattuale richiesta in sede di reclamo (contratto di conto corrente; contratto di apertura di credito; successive eventuali vaiazioni contrattuali intervenute nel corso del rapporto; estratti contabili trimestrali dall’inizio del rapporto sino ad oggi; tutta la documentazione di tempo in tempo sottoscritta dal l.r.p.t. della società correntista e da eventuali garanti).
Come è noto, l’art 119, quarto comma TUB, stabilisce che: “Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione”.
Le Disposizioni di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e Finanziari del 29.7.2009, emanate dalla Banca d’Italia, alla Sez. IV, par. 4, Richiesta di documentazione su singole operazioni, prevedono, inoltre, che: «Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell'amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni dalla richiesta, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Gli intermediari indicano al cliente, al momento della richiesta, il presumibile importo delle relative spese».
La richiesta riferita al contratto di conto corrente di corrispondenza sembra essere stata soddisfatta dall’intermediario, che ne ha allegata una copia alle proprie controdeduzioni.
Sembra essere stata del pari soddisfatta la richiesta di ricevere gli “estratti contabili trimestrali dall’inizio del rapporto ad oggi”, in quanto l’intermediario ha allegato alle controdeduzioni copia di una missiva dd. 11.09.2017 (all. 7) inviata al ricorrente, mediante la quale avrebbe trasmesso quanto richiesto con riferimento agli ultimi 10 anni di rapporto (come previsto dall’art. 119 TUB). Parte ricorrente, nulla ha replicato sul punto.
Non risultano, invece, essere state soddisfatte le pur legittime richieste riferite al “contratto di apertura del conto di affidamento bancario” e alle “successive eventuali variazioni intervenute”, ferma la produzione da parte dell’intermediario dei documenti di sintesi dd. 30.06.2016, 30.09.2016, 2.01.2017, 31.03.2017, 30.06.2017 (all. 2). Questo Collegio
ritiene, pertanto, che la domanda intesa ad ordinare all’intermediario di consegnare copia del contratto di apertura di credito e delle successive eventuali variazioni (fatta eccezione per i documenti di sintesi già prodotti sub all. 2) meriti accoglimento.
Quanto alla richiesta della ricorrente di ricevere “tutta la documentazione di tempo in tempo sottoscritta dal legale rappresentante della società correntista e da eventuali garanti”, si tratta di domanda eccessivamente generica.
Seppur consapevoli dell’esistenza dell’orientamento arbitrale che ritiene sufficiente una richiesta documentale ex art. 119 TUB anche se non specificatamente circoscritta (cfr. ex multis, seppur in materia di istanza ex art. 119 TUB presentata dai successori mortis causa del cliente, Collegio di Milano, decisione n. 720/2016: “va riconosciuto il diritto del ricorrente di acquisire copia delle movimentazioni inerenti a tutte le operazioni del periodo rispetto al quale il richiedente sia concretamente interessato, nel rispetto del limite temporale decennale e senza alcun onere per lo stesso di indicare specificamente gli estremi del rapporto a cui la documentazione medesima si riferisce, essendo sufficiente che l’interessato fornisca alla banca gli elementi minimi indispensabili per consentirle di individuare i documenti richiesti (Coll. Centro, 2/08/2013 n. 4219; Cass. 12/05/2006, n. 11004), a maggior ragione qualora si tratti di ricostruire una situazione pregressa ignota al successore e della quale non è stato parte (cfr. Coll. Centro, 2/08/2013 n. 4219; Cass. 22/05/1997, n. 4598”), si ritiene tuttavia che la sopracitata istanza, così come formulata, risulti obiettivamente inidonea a consentire all’intermediario un pieno soddisfacimento.
PER QUESTI MOTIVI
Il Collegio – in parziale accoglimento del ricorso – dichiara l’intermediario tenuto a procurare la consegna di copia della documentazione bancaria nei sensi di cui in motivazione.
Dispone, inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di Euro 200,00 (duecento/00) quale contributo alle spese della procedura e alla parte ricorrente quella di Euro 20,00 (venti/00) quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1