CONTRASTO ALL’ESTORSIONE ORGANIZZATA: L’ESPERIENZA ITALIANA
CONTRASTO ALL’ESTORSIONE ORGANIZZATA: L’ESPERIENZA ITALIANA
Progetto CEREU - Countering Extortion and Racketeering in EU (HOME/2013/ISEC/AG/FINEC/400005213)
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CONTRASTO ALL’ESTORSIONE ORGANIZZATA: L’ESPERIENZA ITALIANA
Punti fondamentali
L’approccio italiano al contrasto all’estorsione organizzata è basato su una sinergia tra politiche di contrasto al problema più ampio della criminalità organizzata e di stampo mafioso e misure studiate appositamente per far fronte
a questo problema specifico. Gli elementi
fondamentali di tale approccio comprendono:
• un Commissario straordinario che ha la responsabilità di coordinare una serie di attività e iniziative antiestorsione e antiracket in tutta Italia;
• un Fondo di solidarietà che opera a supporto delle vittime della criminalità, l’estorsione e l’usura organizzata;
• una serie di politiche e di misure protettive, fra cui quelle volte alla protezione dei collaboratori di giustizia e dei testimoni;
• un inquadramento legislativo che mette le organizzazioni della società civile in condizione di partecipare alla lotta contro la criminalità organizzata e le attività di tipo mafioso, in particolare per quanto riguarda il supporto alle vittime;
• il riutilizzo sociale dei beni confiscati, particolarmente importante per la sua valenza simbolica ed economica.
L’estorsione organizzata è un reato che coinvolge ogni parte della società, minaccia il benessere delle comunità locali e danneggia la crescita e lo sviluppo delle attività d’impresa. Nessuna nazione ne è immune, sebbene questo reato vari a seconda del periodo, del luogo e del contesto economico.
L’estorsione può essere commessa da un unico esecutore o può far parte di strategie criminali più complesse. In questo senso il caso dell’Italia è tipico, perché le mafie di questo paese ricorrono sistematicamente all’estorsione organizzata.
L’Italia ha una lunga storia riguardo alla criminalità organizzata, caratterizzata dal rapporto specifico tra mafia ed estorsione e dalle misure senza
eguali adottate dal governo contro la criminalità organizzata negli ultimi venticinque anni. Inoltre l’Italia ha maturato un’esperienza davvero unica nel contrasto all’estorsione mediante il coinvolgimento della società civile. È per tale motivo che le politiche contro l’estorsione che sono state sviluppate in questo paese meritano un’attenzione speciale e potrebbero fungere da modello di best practice per la lotta contro questo fenomeno distruttivo.
L’estorsione e la criminalità organizzata in Italia
L’estorsione è definita in generale come l’atto di richiedere denaro mediante il ricorso alla violenza effettiva o minacciata. L’estorsione organizzata, invece, è la pratica sistematica dell’estorsione; storicamente è stata legata principalmente alla criminalità organizzata e all’offerta di protezione extragiudiziale, ovvero la pratica in base a cui i gruppi di criminalità organizzata impongono pagamenti periodici in cambio della disponibilità a garantire la sicurezza di determinati individui o imprese.
* Questo policy brief è stato scritto da Xxxxx Xxxxxxxx, dottoranda presso la Scuola di studi internazionali dell’Università di Trento, e Xxxxxxx Xxxxxx dell’associazione Libera.
In Europa e in tutto il mondo, l’estorsione organizzata è oggi considerata una manifestazione della criminalità di stampo mafioso. È dunque importante comprendere i tratti distintivi che caratterizzano l’estorsione quando viene commessa all’interno di ambienti criminali controllati da organizzazioni di stampo mafioso. La gestione del racket costituisce parte integrante della storia della criminalità organizzata italiana1. Di fatto la formazione dei gruppi mafiosi in Sicilia coincise con la nascita del mercato della protezione, e l’estorsione organizzata è stata definita la caratteristica fondamentale della criminalità organizzata.
In Sicilia, l’estorsione organizzata risale agli anni dell’Unità d’Italia, alla fine del XIX secolo, quando le autorità locali e nazionali appena create si dimostrarono incapaci di mantenere l’ordine. A ciò si aggiunsero la presenza del banditismo e l’offerta di protezione come servizio da parte di eserciti privati di ex proprietari terrieri. Tali gruppi, che in seguito si consolidarono dando vita al fenomeno che fu conosciuto con il nome di Mafia, riuscirono a
capitalizzare la sfiducia della popolazione nei confronti
delle autorità statali e a specializzarsi nell’offerta di servizi di protezione e di risoluzione delle dispute tra commercianti e agricoltori. Il fenomeno finì per essere definito il nuovo «settore della protezione»2.
I gruppi mafiosi offrivano servizi in un’ampia gamma di aree: eliminazione dei concorrenti negli affari; protezione dei lavoratori e dei sindacati; intimidazioni nei confronti degli imprenditori per proteggerli da estorsioni, furti e angherie da parte delle forze di polizia; recupero crediti; mediazione e risoluzione delle dispute e altro ancora.
Nelle regioni dell’Italia meridionale, i gruppi di criminalità organizzata praticavano l’estorsione regolamentando i mercati all’ingrosso, fissando i prezzi, influenzando gli acquisti, offrendo garanzie sulla qualità dei prodotti e occasionalmente proteggendo i lavoratori dagli abusi e dallo sfruttamento. Con l’andare del tempo tali organizzazioni crearono reti affaristiche allo scopo di reinvestire i propri profitti e presero il nome
di imprese mafiose. In Campania, per esempio, l’estorsione organizzata è legata alla nascita della Camorra alla fine del XIX secolo. La Camorra
si infiltrò prima di tutto nelle aree urbane, in particolare la città di Napoli, e si espanse in tutto il paese mediante la pratica delle tipiche attività criminali; l’estorsione era usata come mezzo per commettere altri crimini tra cui il gioco d’azzardo, il traffico di stupefacenti e le rapine. L’estorsione
praticata dalla Camorra è oggi sistematica come nel contesto siciliano ed è evoluta in un mercato della protezione, grazie al quale la Camorra ha ottenuto
il monopolio sul territorio. Le attività estorsive della Camorra assumono spesso la forma di una strategia che è basata su un doppio ricatto poiché prevede non solo l’imposizione di una tassazione periodica in
cambio di protezione privata, ma anche l’imposizione di beni e servizi (per esempio forniture, prodotti e personale).
Uno studio condotto in precedenza3 ha dimostrato che l’estorsione organizzata beneficia la criminalità di stampo mafioso sotto quattro aspetti cruciali:
1. Permette alle organizzazioni di stampo mafioso di esercitare il controllo sull’economia, la politica e la società in una determinata area geografica. Inoltre la pratica continuativa dell’estorsione fa sì che le vittime si abituino a tale reato e possano finire per colludere con la criminalità organizzata.
2. È legata all’allocazione dei territori tra i diversi gruppi di stampo mafioso, che successivamente esercitano un controllo diretto su di essi e in tale modo minano ulteriormente l’autorità dello Stato.
3. Rappresenta una delle fonti di finanziamento
principali per le organizzazioni criminali.
4. Permette alla criminalità organizzata di stampo mafioso di infiltrarsi nelle imprese lecite, o estorcendo denaro o altri benefici finanziari o acquisendo direttamente l’impresa.
1. Per ulteriori informazioni vedi X. Xx Xxxxxxx, «Racketeering in Campania: How Clans Have Adapted and How the Extortion Phenomenon Is Perceived», Global Crime 17, n.1, 2016, pp.21- 47; X. Xxxxxxxx, The Sicilian Mafia: The Business of Private Protection, Harvard University Press, Cambridge 1993.
2. Ibid.
3. Transcrime, «Study on Extortion Racketeering: The Need for an Instrument to Combat Activities of Organised Crime», 2009. Studio finanziato dalla Commissione europea – Direzione generale giustizia, libertà e sicurezza, Milano – Trento: Transcrime.
Il ricorso fruttuoso e graduale all’estorsione organizzata nei confronti delle imprese da parte delle organizzazioni di stampo mafioso è dovuto alla sua stessa natura: si tratta di un reato facile da
commettere, perché non richiede grossi investimenti iniziali ed è un’attività a basso rischio. L’estorsione organizzata in genere viene commessa in territori dove la criminalità organizzata ha già consolidato la propria influenza. Di conseguenza le intimidazioni richiedono solo in alcuni casi di ricorrere alla violenza. Il timore suscitato dalla minaccia di farlo riduce il rischio che la vittima denunci l’estorsione all’autorità. Tale effetto deterrente è ottenuto anche mediante l’adeguamento delle quote estorsive imposte alle possibilità finanziarie delle vittime.
La negoziazione dell’entità di tali quote permette di instaurare una sorta di complicità tra vittima ed estorsore, complicità che può diventare a sua volta una vera e propria collaborazione. L’entità della quota dipende anche dalle necessità del gruppo criminale che pratica l’estorsione, le quali possono determinare un incremento o un calo nel tempo.
I soggetti presi di mira dalle strategie estorsive sono selezionati solitamente in base a una serie di criteri specifici, tra i quali è cruciale la valutazione delle possibilità finanziarie delle vittime. Sotto questo aspetto i gruppi di stampo mafioso in genere
prendono di mira imprese i cui input, output e profitti
sono facili da monitorare. Tipologie di imprese
comunemente vittimizzate sono i ristoranti, gli hotel, i bar e i negozi – cioè in genere piccole o medie imprese. Si tratta di esercizi locali che sono facilmente identificabili e non possono trasferire la propria attività altrove senza incorrere in costi significativi. Se il proprietario si rifiuta di pagare, l’organizzazione criminale può danneggiare la sua attività, generalmente mediante un atto violento plateale che lancia un messaggio a lui e all’intera comunità. La violenza fisica nei confronti del proprietario o dei suoi dipendenti è però limitata, perché gli estorsori cercano di ridurre al minimo il rischio di essere denunciati dalla vittima. Gli altri mezzi usati per fare pressione comprendono le telefonate anonime di minaccia e le minacce nei confronti dei familiari della vittima.
Figura 1. Numero di estorsioni denunciate dalle Forze dell’ordine all’Autorità giudiziaria in Italia. Anni 2007-2014
8.500
8.000
7.500
7.000
6.500
6.000
5.500
5.000
2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014
Fonte: Istituto nazionale di statistica (ISTAT)
Tabella 1. Stime relative agli introiti derivanti dall’estorsione organizzata per regione (milioni di €)
Introiti totali | Introiti totali | ||||
Regione | Margine inferiore | Margine superiore | Regione | Margine inferiore | Margine superiore |
Abruzzo | 32,1 | 84,1 | Marche | 58,9 | 164,2 |
Puglia | 260,0 | 773,2 | Molise | 0,99 | 25,7 |
Basilicata | 13,4 | 34,2 | Piemonte | 130,8 | 374,4 |
Calabria | 322,9 | 929,9 | Sardegna | 19,7 | 51,1 |
Campania | 821,7 | 2.255,9 | Sicilia | 395,8 | 1.117,4 |
Xxxxxx Xxxxxxx | 69,0 | 194,1 | Trentino Alto Adige | 113,2 | 323,5 |
Friuli Venezia Giulia | 21,9 | 59,9 | Toscana | 22,1 | 57,5 |
Lazio | 116,4 | 300,6 | Umbria | 14,0 | 38,3 |
Liguria | 32,0 | 86,2 | Valle d’Aosta | 0,76 | 19,6 |
Lombardia | 119,7 | 345,6 | Veneto | 179,9 | 506,6 |
Italia | 2.762,1 | 7.743,0 |
Fonte: Lisciandra 2014
In base alle statistiche ufficiali le estorsioni in Italia sono in costante aumento dal 2007 (si veda la Figura 1), sebbene un’indagine nazionale di vittimizzazione delle imprese abbia riportato che nell’Italia meridi- onale il 30 per cento degli imprenditori è vittima di estorsione4. Quelli che non lo sono hanno espresso il timore di poter essere presi di mira. È opportuno sot- tolineare che più del 70 per cento di questi casi non sono stati denunciati alle forze di polizia e solo poche vittime hanno notificato informalmente le autorità. In termini di quote estorsive versate ai gruppi di stampo mafioso, il commercio (vendita all’ingrosso e al det- taglio) è il settore con i valori più elevati; in base alle stime gli introiti complessivi di origine estorsiva sono compresi tra 1,37 miliardi e 2,43 miliardi di euro5.
L’edilizia è al secondo posto tra i settori più soggetti all’estorsione e rappresenta una percentuale com- presa tra il 14,3 per cento e il 20,1 per cento degli introiti totali derivanti da estorsioni in Italia6. Come mostra la Tabella 1, le regioni caratterizzate da una presenza storica della criminalità organizzata sono ai primi posti in termini di introiti di origine estorsiva: Campania, Sicilia, Calabria e Puglia. È però in corso un incremento significativo di tale reato in alcune regioni dell’Italia centrale e settentrionale, come il
Veneto e la Lombardia.
Il quadro legislativo e istituzionale
Negli ultimi trent’anni l’Italia ha sviluppato un quadro legislativo a tutto campo per combattere la criminalità organizzata e in particolare l’estorsione organizzata. Di seguito sono presentati gli strumenti legislativi fondamentali e le misure protettive più importanti per le vittime di tali reati.
L’estorsione organizzata come reato
L’introduzione della legislazione antiracket in Italia fu favorita dagli sviluppi occorsi negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, quando le istituzioni pubbliche condussero intense attività di law
enforcement contro la criminalità organizzata. Xxxxx
prima metà degli anni Ottanta un pool di procuratori in Sicilia avviò la prima grande indagine sui gruppi mafiosi, che nel 1986 condusse al primo processo per mafia7. A seguito del processo aumentò la consapevolezza dell’opinione pubblica e del mondo politico riguardo non solo alle possibili misure di contrasto, ma anche alla necessità di proteggere
le vittime di reati legati alla mafia. Nel 1990 il parlamento italiano approvò la Legge 302/1990, che stabilì una serie di norme di compensazione nei confronti delle vittime della criminalità organizzata e del terrorismo8. Era una legge innovativa in quanto stabilì che i reati commessi dalla mafia erano perpetrati contro lo Stato e di conseguenza le istituzioni pubbliche dovevano proteggere e aiutare le vittime. Un anno dopo un uomo d’affari siciliano, Xxxxxx Xxxxxx, fu ucciso dopo essersi rifiutato di versare a un gruppo mafioso una percentuale dei propri profitti in cambio di servizi di protezione.
Poiché Xxxxxx aveva deciso di rendere pubblica la sua battaglia privata attraverso i media, la sua morte sollevò un’ondata di risentimento in tutto il paese e portò la Confindustria a costituirsi parte civile in tutti i processi per estorsione organizzata. Il Parlamento europeo approvò una risoluzione sull’omicidio dell’imprenditore siciliano9, a cui fece seguito nel febbraio 1992 l’approvazione della prima legge antiracket da parte del parlamento italiano10.
Il Codice penale italiano definisce l’estorsione nell’Articolo 629: «Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 1.000 a euro 4.000».
In base alle disposizioni del Codice penale, le
caratteristiche fondamentali di questo reato sono:
(a) il ricorso alla violenza effettiva o minacciata;
(b) il beneficio illecito di cui gode l’esecutore; (c) la perdita economica sofferta dalla vittima. Per essere considerato sistematico, però, il reato di estorsione deve essere commesso con alcune circostanze
4. Transcrime, Progetto PON Sicurezza 2007 – 2013. Gli Investimenti Xxxxx Xxxxx, Transcrime-Joint Research Centre on Transnational Crime, Milano 2013.
5. X. Xxxxxxxxxx, «Proceeds from Extortions: The Case of Italian Organised Crime Groups», Global Crime 15, n.1-2, 2014, pp.93- 107.
6. Ibid.
7. Il cosiddetto maxi processo, che si concluse con 360 condanne di membri di organizzazioni criminali di stampo mafioso.
8. Legge 302/20 dell’ottobre 1990 sulle norme a favore delle vittime
del terrorismo e della criminalità organizzata.
9. Parlamento europeo, Resolution on the murder by the Mafia of the businessman Xxxxxx Xxxxxx in Palermo, 12 settembre 1991.
10. Legge 172/1992, approvata il 18 febbraio 1992 per la conversione del Decreto legge 419/1991 sull’istituzione del fondo di solidarietà per le vittime di estorsione.
aggravanti, che sono definite nella Legge 575/1965 e la Legge 203/199111. In base all’Articolo 7 della prima legge, se l’estorsione è commessa da una persona sottoposta a misure di prevenzione antimafia la
pena viene aumentata da un terzo alla metà, mentre l’Articolo 3, Comma 1 della Legge 203/1991 dichiara che la pena dovrebbe essere aumentata nella stessa misura quando il reato in questione viene commesso per agevolare la criminalità organizzata. Lo stesso articolo considera il fatto di soddisfare le condizioni descritte nell’Articolo 416-bis del Codice penale
una circostanza aggravante del reato di estorsione organizzata.
Legislazione antimafia
Negli ultimi decenni le autorità italiane hanno adot- tato e implementato varie politiche mirate diretta- mente al contrasto della criminalità organizzata. Tali misure hanno ampliato il numero e il raggio d’azione degli strumenti giudiziari e di law enforcement e
al tempo stesso hanno fatto da complemento agli approcci più tradizionali, che non erano più efficaci alla luce della persistente influenza della criminalità organizzata all’interno delle istituzioni pubbliche. Le misure a cui si fa riferimento comprendono diversi provvedimenti: criminalizzazione di nuove tipologie di attività illecite (per esempio la complicità con la criminalità organizzata); ampliamento dei poteri delle autorità di indagine; introduzione della confisca di prevenzione dei beni della criminalità organizzata; istituzione del programma di protezione dei testi- moni e dei collaboratori di giustizia.
Dal 2011 l’intero corpus legislativo contro la criminalità organizzata è stato accorpato nel Decreto legge n.159, noto anche con il nome di Codice unico antimafia12. Le pene previste dal codice valgono per le persone accusate di
partecipazione ad associazione di tipo mafioso, come stabilito nell’Articolo 416-bis del Codice penale italiano. Il reato di associazione di tipo mafioso si configura quando i membri del gruppo sfruttano la reputazione violenta della propria organizzazione
11. Legge 575/1965 sulle disposizioni contro la Mafia; Legge 203/1991 recante provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa.
12. Decreto legge 159/2011, Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 136/2010.
criminale per commettere un reato, oppure per acquisire la gestione o il controllo di attività economiche e concessioni. La promozione, direzione, partecipazione e gestione di tali organizzazioni criminali sono punibili con pene severe che vanno
da 7 a 24 anni di reclusione. La confisca del
patrimonio e dei beni appartenenti ai criminali o usati per commettere il reato è indicata come
misura complementare. Inoltre in casi specifici un
giudice può decidere di ordinare la confisca come misura preventiva. Tali misure sono presentate più in dettaglio nei prossimi paragrafi.
Una misura specifica contro i membri di organizzazioni di stampo mafioso, che è tuttora oggetto di dibattito a livello internazionale, è il regime speciale di detenzione previsto dall’Articolo 41-bis della Legge sull’ordinamento penitenziario. Tale disposizione fu approvata nel 1986 e la sua applicazione inizialmente fu limitata alle situazioni di instabilità o di grave disordine nelle carceri italiane. A seguito della strage di Capaci (Sicilia),
in cui il procuratore Xxxxxxxx Xxxxxxx, sua moglie
e tre agenti di scorta furono uccisi dalla mafia, l’Articolo 41-bis fu esteso in modo da permettere al Ministro di Giustizia di introdurre per ragioni di sicurezza e ordine pubblico ulteriori restrizioni riguardo ai detenuti appartenenti alla mafia. In
particolare può essere vietato ai reclusi comunicare con il mondo esterno (compresi i familiari) e con
gli altri detenuti, nonché svolgere attività ricreative e sportive. Questo regime fu introdotto allo scopo di privare i membri della criminalità organizzata di qualunque opportunità di portare avanti le proprie
attività criminali dal carcere. Durante la sua missione in Italia nel 2008, il Gruppo di lavoro dell’Onu sulla detenzione arbitraria ha dichiarato ripetutamente che tale forma di detenzione non equivale né a tortura né a un trattamento disumano o degradante.
Il law enforcement e la risposta giudiziaria all’estorsione organizzata
Il ruolo principale nella lotta alla criminalità organizzata in Italia è svolto dal Ministero dell’Interno. Xxxx è incaricato di salvaguardare l’ordine pubblico e di prevenire i reati. Per coordinare in modo migliore le attività di law enforcement contro la criminalità organizzata, nel 1995 il governo italiano istituì il Consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata, che riporta al Ministero dell’Interno. Tale organismo è presieduto dallo stesso Ministro dell’Interno; gli altri membri sono
il Direttore generale della pubblica sicurezza, il Comandante generale dei Carabinieri, il Comandante generale della Guardia di finanza, i direttori dei servizi di intelligence e il Direttore della Direzione investigativa antimafia (DIA). Il Consiglio definisce
le linee guida per la prevenzione e le attività investigative e individua le risorse, i metodi e i mezzi tecnici necessari. Inoltre monitora i risultati conseguiti in relazione agli obiettivi strategici delineati e propone provvedimenti volti a colmare eventuali lacune del sistema.
La legislazione italiana ha anche istituito alcune cariche speciali a cui è affidato il contrasto all’estorsione organizzata nel paese, come quella del Commissario straordinario per il coordinamento
delle iniziative antiracket e antiusura. Il Commissario ha la responsabilità di coordinare le iniziative prese contro l’estorsione e l’usura in tutto il paese. Fa parte del Comitato di solidarietà per le vittime dell’estorsione e dell’usura, istituito dal Ministero dell’Interno, che esamina le richieste di accesso al fondo di solidarietà e delibera al riguardo.
Oltre a ciò, sono state create nell’ambito del sistema italiano di law enforcement diverse unità speciali dedicate alla lotta alla criminalità organizzata. La Direzione centrale anticrimine è stata istituita all’interno delle forze di polizia
italiane per coordinare le indagini sulla criminalità organizzata nonché le attività di prevenzione e controllo della polizia di Stato sul territorio italiano. Tale direzione, interna alla Polizia di Stato, è strutturata in tre unità principali: il Servizio centrale operativo, il Servizio controllo del territorio e la Polizia scientifica. L’altra unità specializzata è
la Direzione centrale della Polizia criminale, le
cui funzioni principali comprendono la raccolta di intelligence, la fornitura e l’ampliamento del
supporto tecnico e scientifico agli agenti di polizia
e alla magistratura, il coordinamento delle misure di protezione dei testimoni e dei collaboratori di giustizia e la cooperazione internazionale. Inoltre la Direzione centrale della Polizia criminale si occupa del coordinamento operativo tra Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di finanza e DIA.
Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato
Dipartimento della pubblica sicurezza
Guardia di Finanza
Carabinieri
Polizia di Stato
Direzione centrale della
Polizia criminale
Commissario straordinario per il coordinamento delle iniziative antiestorsione
Direzione investigativa antimafia (DIA)
Ministero dell’Interno
Consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata
Figura 2. Quadro istituzionale per il contrasto alla criminalità e all’estorsione organizzata in Italia
Ministero di Giustizia | |
Procuratore nazionale antimafia (PNA) | |
Direzione nazionale antimafia (DNA) | |
Direzioni distrettuali antimafia (DDA) |
GICO
SCICO
ROS
Servizio centrale operativo
Fonte: Ministero dell’Interno e Ministero di Giustizia italiani, elaborazione degli autori
Tra le altre unità speciali si trovano il Raggruppamento operativo speciale (ROS) dei Carabinieri, il Servizio centrale di indagine sulla criminalità organizzata (SCICO) e il Gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata (GICO) della Guardia di finanza. ROS e SCICO sono chiamati a svolgere le indagini nei casi legati alla criminalità organizzata e insieme al Servizio centrale operativo della Polizia collaborano nell’ambito della DIA, che
è incaricata di svolgere indagini preventive su gruppi di criminalità organizzata e organizzazioni di stampo mafioso. Il Ministero di Giustizia e la Direzione nazionale antimafia (DNA) sono le altre due istituzioni fondamentali nella lotta alla criminalità organizzata. La DNA comprende procuratori specializzati nelle indagini sulla criminalità organizzata e nel contrasto alla stessa, ed è diretta dal Procuratore nazionale antimafia.
Tutte le statistiche ufficiali sull’estorsione organizzata e sui fascicoli di reato in generale sono raccolti dal Ministro dell’Interno nel database
SDI (Sistema d’indagine). Lo SDI, introdotto nel 2004, è il più grande database usato dalle forze di polizia italiane per monitorare le attività criminali e raccogliere dati su di esse. Grazie all’introduzione di questo nuovo sistema, la consultazione e l’analisi di informazioni legate a reati sono diventate attività di
routine per tutti gli organismi operativi e investigativi.
Il sistema permette anche la ricerca integrata con una serie di database esterni, che mette a
disposizione un corpus di informazioni considerevole. Per quanto riguarda l’estorsione i dati sono riferiti a tutte le tipologie note di questo reato, comprese le estorsioni una tantum tra individui, che costituiscono la maggioranza dei casi denunciati.
I principali organi d’indagine: DIA e DNA
La DIA fu istituita mediante il Decreto legge 345/199113, integrato dalla Legge 410/1991, allo scopo di attenuare la rivalità fra i tre organi di law enforcement più importanti in Italia: Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di finanza. La DIA ha la responsabilità di coordinare la raccolta
di intelligence e lo svolgimento di indagini
13. Decreto legge 345/1991 sulle disposizioni urgenti per il coordinamento delle attività informative e investigative nella lotta contro la criminalità organizzata.
specificamente legate alla criminalità organizzata.
L’intenzione è che le sue attività portino alla
luce le strutture, le ramificazioni nazionali e internazionali, gli obiettivi e il modus operandi dei gruppi di criminalità organizzata e tutte le attività legate alla criminalità organizzata, compresa l’estorsione organizzata. Uno dei compiti principali di quest’organismo è il monitoraggio delle transazioni sospette e la proposta di misure preventive contro i potenziali sospetti. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti condivide con l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, la Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato e la DIA la responsabilità di monitorare i grandi appalti pubblici di costruzione (per esempio le autostrade e le centrali idroelettriche, che sono particolarmente vulnerabili alle infiltrazioni mafiose).
La DIA appartiene all’Expert Working Group for the Fight against Eastern European Organised Crime (Gruppo di lavoro di esperti sulla lotta alla criminalità organizzata dell’Europa orientale) dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) ed è partner dell’unità nazionale Europol. Inoltre presta assistenza nella produzione degli archivi di
lavoro per fini analitici (AWF), che sono lo strumento
principale di cooperazione investigativa per lo sviluppo dell’Europol Information System (EIS)14. Inoltre elabora analisi criminali e implementa progetti informativi e operativi in vista di iniziative di prevenzione sulla sorveglianza e su indagini specifiche per l’Europol.
L’equivalente della DIA in ambito giudiziario è la DNA, che fu istituita mediante il Decreto legge 367/199115, integrato dalla Legge 8/1992. La DNA coordina le attività delle ventisette Direzioni distrettuali antimafia (DDA). La DNA non è autorizzata a svolgere indagini per proprio conto, ma raccoglie informazioni e supervisiona la raccolta di prove. Inoltre tiene incontri periodici con le DDA per armonizzarne i metodi e le pratiche giudiziarie.
14. L’EIS è un database che raccoglie dati sui reati, gli individui coinvolti e altri dati correlati per supportare gli stati membri, l’Europol e i suoi partner cooperativi nella lotta contro la criminalità organizzata, il terrorismo e altre forme di reati gravi. I dati sono inseriti nell’EIS dagli stati membri tramite sistemi automatizzati di condivisione dei dati.
15. Decreto legge 367/1991 sul coordinamento delle indagini nei
procedimenti per reati di criminalità organizzata.
Il procuratore della DNA coopera con altri procuratori nell’ambito di indagini legate alla criminalità organizzata, risolve possibili conflitti sulle modalità di conduzione delle stesse e si prende
carico delle indagini preliminari avviate al livello delle DDA, per esempio quando non sono state rispettate le direttive generali o quando il coordinamento non è efficace. La DNA non ha il potere di proporre misure preventive come il sequestro di beni o di ordinare intercettazioni di comunicazioni. Inoltre, in base
alla Legge 367/200116 quando un pubblico ministero richiede l’assunzione di prove all’estero è obbligato a informare il Procuratore nazionale antimafia (PNA) nei casi riferiti a reati di tipo mafioso. Il PNA dirige la DNA ed è nominato dal Consiglio superiore della magistratura. Il PNA coordina le indagini svolte da ogni DDA per garantire la condivisione
di informazioni da parte di tutti gli organi di law
enforcement interessati e le DDA.
La DNA ha anche un Servizio di studio e documentazione incaricato di acquisire e analizzare informazioni su reati commessi dalla criminalità organizzata, compreso il traffico di stupefacenti, la tratta di persone, il riciclaggio di denaro, la confisca di beni, i reati ambientali e l’infiltrazione nell’ambito degli appalti pubblici. Esiste un accordo tra la DNA e l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, volto a mettere le due istituzioni in condizione di piazzare una serie di «bandierine rosse» che possono servire a rilevare la possibile infiltrazione di gruppi mafiosi.
In base alle disposizioni del Decreto legge 369/200117, integrato dalla Legge 431/2001, la DNA partecipa al Comitato di sicurezza finanziaria ed è incaricata di far luce sulle transazioni finanziarie sospette legate a organizzazioni di stampo mafioso.
Oltre a tutto ciò è stato creato un servizio informativo volto a facilitare l’attività della DNA e le DDA, supportato dalla Direzione generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia18. I sistemi SIDNA/SIDDA sono
i sistemi informativi della DNA e delle DDA. Il SIDDA è il risultato dell’interconnessione tra tutti
i database locali delle DDA, in cui le informazioni sui procedimenti penali degli atti giudiziari legati alla criminalità organizzata sono divise per regione. Il SIDNA è il sistema informativo di livello nazionale gestito dalla DNA. Il SIDNA contiene non solo le informazioni del SIDDA ma anche quelle provenienti da altri database, compresi quelli
dell’INPS (Istituto nazionale di previdenza sociale) e dell’Anagrafe tributaria. Tutte le DDA, il PNA e il suo vice procuratore hanno accesso al SIDNA, poiché contiene dati attinenti alle loro attività.
La DNA ha creato anche un’Unità di servizio per
la cooperazione internazionale, che riunisce i procuratori apartenenti alla Rete giudiziaria
europea (European Judicial Network - EJN). Per quanto riguarda i reati di tipo mafioso la DNA funge da punto di contatto centrale dell’EJN in Italia. Il Ministero di Giustizia italiano è a capo di un recente progetto pilota dell’UE volto alla creazione di un sistema informativo comune che agevolerà la cooperazione tra gli organi investigativi degli stati membri nell’ambito dell’inquadramento Eurojust. La Commissione europea ha deciso di supportare questo progetto sulla base dell’esperienza attinente che la DNA ha maturato svolgendo la manutenzione del sistema SIDNA/SIDDA.
Le misure e gli strumenti penali di contrasto all’estorsione organizzata in Italia
In base alla legislazione italiana, gli organi preposti all’applicazione della legge possono usare tutti gli strumenti investigativi esistenti contro l’estorsione organizzata: sorveglianza, intercettazione di comunicazioni, indagini sotto copertura, informatori, servizi di protezione dei testimoni, team di indagine congiunti, strumenti di indagine finanziaria e collaboratori di giustizia. Le misure sottoelencate sono previste dalla legislazione italiana contro
la criminalità organizzata, di conseguenza sono applicate anche nei casi di estorsione organizzata.
16. Legge 367/2011 sulla ratifica ed esecuzione dell’Accordo tra Italia e Svizzera che completa la Convenzione europea di
assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, fatto a Roma il 10 settembre 1998, nonché conseguenti modifiche al codice penale e al codice di procedura penale.
17. Decreto legge 369/2001 sulle misure urgenti per reprimere e contrastare il finanziamento del terrorismo internazionale.
18. La Direzione generale dei servizi informativi automatizzati
fa parte del Ministero della Giustizia ed è incaricata di pianificare, progettare, sviluppare e gestire i sistemi informativi automatizzati degli uffici giudiziari e dell’amministrazione
della giustizia. Inoltre è responsabile dell’integrazione e dell’interconnessione tra i sistemi informativi automatizzati di altre amministrazioni.
L’applicazione di strumenti d’indagine speciali nei casi di estorsione
L’intercettazione di comunicazioni, che comprende le intercettazioni telefoniche, la perquisizione a distanza e le intercettazioni ambientali, svolge un ruolo cruciale nella maggioranza dei casi che coinvolgono gruppi di criminalità organizzata, perché tali metodi possono permettere di raccogliere prove di valore
da usare nei procedimenti penali. In alcuni casi le informazioni raccolte mediante l’intercettazione di comunicazioni possono avere solo un ruolo di supporto nella raccolta di altre evidenze, invece di
essere usate come prove in sede di processo. Inoltre vengono costantemente introdotte e usate nuove tecnologie allo scopo di permettere, facilitare e scambiare comunicazioni. Ciò rende necessario che la portata dell’intercettazione come mezzo speciale d’indagine abbia una natura dinamica.
Le intercettazioni telefoniche e ambientali sono ampiamente usate in Italia come strumento investigativo per combattere la criminalità organizzata. La sorveglianza di questo tipo è regolamentata dal Codice di procedura penale (Artt. 266-271), che contiene disposizioni molto
rigorose. Nelle indagini sulla criminalità organizzata, però, la Legge 203/1991 autorizza la sorveglianza elettronica «quando l’intercettazione è necessaria per lo svolgimento di indagini in relazione ad un delitto di criminalità organizzata [...] in ordine ai quali sussistano sufficienti indizi» (Articolo 13). Un mandato di sorveglianza elettronica documentato deve essere emesso da un giudice su richiesta
del pubblico ministero. Può essere concesso per un massimo di quaranta giorni, ma un giudice può estenderlo ulteriormente. In caso di urgenza il mandato, o la sua estensione, possono essere disposti temporaneamente dal procuratore. In tal
caso, però, il mandato dovrebbe essere sottoposto a un giudice entro ventiquattro ore unitamente a una richiesta di convalida.
La legislazione italiana permette il ricorso alle intercettazioni preventive in base all’Articolo 226 delle norme di attuazione del Codice di procedura penale. Questo tipo di intercettazione è usato solo per indagare sui reati di stampo mafioso e sul terrorismo al fine di raccogliere informazioni utili e prevenire l’esecuzione di ulteriori reati gravi. Le informazioni ottenute non possono essere usate come prove in sede di processo, ma possono costituire la base di nuove indagini.
L’indagine sotto copertura è considerata uno strumento investigativo di ultima istanza. È considerata intrusiva e molto rischiosa e, di conseguenza, richiede la presentazione di evidenze della mancata disponibilità di altri strumenti d’indagine. Inoltre è uno strumento strettamente limitato alle indagini su reati gravi e sul terrorismo. Sebbene le indagini sotto copertura siano impiegate da anni dagli organi italiani di law enforcement, l’implementazione della Convenzione delle
Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale (2000) ha condotto all’armonizzazione delle disposizioni sulle indagini sotto copertura.
Attualmente il ricorso alle indagini sotto copertura è regolamentato dall’Articolo 9 della Legge 146/200619 e dagli articoli 97 e 98 del Decreto
del presidente della Repubblica 309/199020. Tale Decreto è specificamente mirato al ricorso alle indagini sotto copertura su reati in materia di stupefacenti. Nel 2010 l’Articolo 8 della Legge 136/201021 ha introdotto l’estorsione, l’usura, il sequestro a fini di riscatto e la contraffazione come reati su cui possono indagare agenti sotto copertura. Se vengono coinvolti in indagini sotto copertura volte a trovare prove all’interno di un organizzazione criminale, gli agenti sono immuni da qualunque procedimento penale quando commettono determinati reati, rigorosamente definiti per legge: riciclaggio di denaro; impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita; delitti contro la libertà personale; reati connessi alla detenzione, l’uso e il traffico di armi, munizioni ed esplosivi; dare nascondiglio a un altro criminale e
acquisto di stupefacenti. Sono i comandanti di polizia di livello più alto ad autorizzare tali operazioni, e il pubblico ministero deve sempre esserne informato in dettaglio. A fini investigativi, il sequestro di
beni illeciti e l’arresto di criminali possono essere prorogati dai pubblici ministeri qualora la polizia ne faccia richiesta.
19. Legge 146/2006 sulla ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale.
20. Decreto del presidente della Repubblica 309/1990, testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza.
21. Legge 136/2010 contenente un piano straordinario contro le mafie nonché una delega al Governo in materia di normativa antimafia.
Box 1. L’operazione Crimine-Infinito
L’operazione Crimine-Infinito fu un’indagine sulla ‘Ndrangheta condotta dalle DDA di Reggio Calabria e Milano dal 2003 al 2011. Portò all’arresto di oltre 150 persone e alla condanna di 110 persone riconosciute colpevoli di diversi reati tra cui associazione di stampo mafioso, omicidio, traffico di stupefacenti, ostacolo del libero esercizio di voto, riciclaggio di denaro, corruzione, estorsione e usura. Quest’operazione di polizia è particolarmente importante perché
fu la prima a identificare un’organizzazione strutturata della ‘ndrangheta in una regione settentrionale del paese, che storicamente non era stata associata alla nascita e allo sviluppo della criminalità organizzata di stampo mafioso. Inoltre fu la prima operazione a condurre all’arresto e alla condanna di un numero così alto di persone per reati di tipo mafioso in una regione non caratterizzata da una lunga presenza della criminalità organizzata di stampo mafioso.
L’operazione portò alla luce oltre sedici gruppi della ‘Ndrangheta (chiamati «locali») che operavano sul territorio della regione Lombardia. Una scoperta importante riguardò l’esistenza di una struttura criminale con tre livelli direzionali: un livello inferiore attivo nelle aree geografiche circoscritte e di piccole
dimensioni; un livello intermedio che coordinava le sezioni locali al livello regionale; e un terzo livello che costituiva la leadership dei gruppi
xx era incaricato di mantenere i contatti con la
Calabria per ricevere ordini.
L’operazione prevedette il ricorso a diversi strumenti speciali d’indagine. In particolare, la polizia e i Carabinieri registrarono oltre 25.000 ore di intercettazioni telefoniche e 20.000 ore di intercettazioni ambientali. L’operazione prevedette anche il ricorso a team investigativi congiunti
e una stretta collaborazione fra due Direzioni distrettuali antimafia. Gli imputati avevano praticato l’estorsione in diverse occasioni, allo scopo di ottenere il controllo su determinate aziende e sul territorio nel quale erano attivi. Le autorità stabilirono che furono commessi più di 130 incendi dolosi contro imprese private e oltre 70 casi di intimidazione nei confronti di individui mediante l’uso di armi, tra cui bombe22.
Il ricorso a indagini specialistiche economiche e finanziarie per smantellare gruppi di criminalità organizzata si è dimostrato particolarmente utile. Le indagini finanziarie sono regolamentate dall’Articolo 2-bis della Legge 575/1996, la quale dichiara che
gli organi di law enforcement, i procuratori e la DIA possono indagare sul livello di vita, gli asset finanziari e le operazioni economiche dei presunti criminali
per trovare le prove di reati di tipo mafioso, come l’estorsione. Nel corso di tali indagini la polizia e i procuratori possono richiedere a qualunque ente pubblico o impresa privata di rivelare qualunque informazione pertinente. Le indagini economiche e finanziarie sono mirate (a) alla sospensione delle eventuali attività economiche volte al riciclaggio dei proventi di reati, e (b) al sequestro e alla confisca di beni.
La confisca di beni
La confisca come misura specifica per la lotta alle organizzazioni di stampo mafioso fu introdotta dalla Legge 646/1982, nota anche come Xxxxx Xxxxxxx-Xx Xxxxx dal cognome dei suoi promotori.
Tale legge introdusse l’Articolo 416-bis del Codice penale, che prevede la confisca dei beni dei membri della mafia. L’idea è che «il crimine non debba pagare» e l’obiettivo finale è quello di indebolire
le organizzazioni criminali di stampo mafioso
privandole dei loro beni.
Dal 1982 la legislazione italiana è cambiata e ha introdotto nuove disposizioni. Oggi prevede tre tipi diversi di confisca: confisca basata su una condanna, confisca come misura preventiva e confisca
estesa. Le differenze principali sono i procedimenti nell’ambito dei quali sono applicate queste misure e l’onere della prova che richiedono. Tutte e tre le misure hanno però in comune questi prerequisiti:
• Riguardano beni che sono i proventi, il prodotto o il prezzo di un reato, messi a disposizione dell’esecutore o di terze parti per suo conto.
• Riguardano proprietà sulla cui origine lecita il
sospetto non è in grado di dare spiegazioni chiare.
• Riguardano proprietà che evidenziano una sproporzione ingiustificabile tra reddito dichiarato e attività economica effettiva dell’esecutore del reato.
22. Ordine di applicazione di misure coercitive, Tribunale ordinario di Milano, N. 43733/06 R.G.N.R. and N. 8265/06 R.G.G.I.P., p.75 e pp.132-149.
Le basi principali per la confisca sono o l’affiliazione formale a un’organizzazione criminale, o la collaborazione senza appartenenza formale. Il rapporto deve essere fondato su basi ragionevoli, rilevate nell’ambito di un procedimento penale in corso o concluso. Mentre la prova dell’affiliazione non è richiesta al fine di identificare la minaccia sociale rappresentata dal sospetto, la certezza della partecipazione funzionale alle attività dell’organizzazione criminale costituisce un requisito minimo. Queste novità legislative
sono mirate all’«oggettificazione» delle misure cautelari antimafia, con l’obiettivo di contrastare le organizzazioni criminali e gli strumenti che usano per arricchirsi. Le nuove disposizioni hanno separato la procedura di attivazione delle misure preventive dal procedimento penale.
La confisca basata su una condanna viene applicata in seguito a una sentenza definitiva per reati gravi. Il Codice penale italiano dispone tale confisca nell’Articolo 240 del Codice penale e il sequestro nell’articolo 321 del Codice di procedura penale.
Oltre a soddisfare i requisiti sopraelencati, i beni dovrebbero avere un legame diretto con la condotta criminale. Il campo di applicazione di questa misura include reati diversi, fra cui i reati gravi e quelli commessi dalla criminalità organizzata. Comprende il reato di associazione di tipo mafioso prescritto nell’Articolo 416-bis del Codice penale. Questa misura è oggi usata meno frequentemente perché richiede una sentenza definitiva e una valutazione del necessario legame tra il bene e la condotta criminale.
La confisca non basata su una condanna, o confisca come misura preventiva, viene applicata indipendentemente da alcun procedimento penale. Il Decreto legislativo 159/2011 (ovvero il Codice antimafia) ha consolidato e riorganizzato tutte le leggi e gli strumenti legislativi esistenti contro la criminalità organizzata e i beni illeciti. Contiene una
serie di disposizioni per la gestione e lo smaltimento dei beni confiscati. Il Decreto prevede il sequestro (Articolo 20) e la confisca (Articolo 24) quando i beni hanno un valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato e alle attività economiche del sospetto e quando le evidenze suggeriscono che provengano da attività illecite. Tale misura prende di mira i beni, non la persona.
La confisca estesa fu introdotta dal Decreto legge 306/1992 sulle modifiche urgenti al nuovo Codice di procedura penale e sui provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa, e in particolare dall’Articolo 12-sexies, che dispose la confisca obbligatoria in caso di condanna penale o di patteggiamento della pena per determinati reati gravi. Viene applicata nell’ambito del procedimento penale ma può essere emessa in relazione a qualunque bene, anche se non legato a reati specifici. Viene applicato il requisito della sproporzione ingiustificabile. In questo caso l’onere della prova è invertito: l’imputato dovrebbe dimostrare l’origine lecita dei beni. Come misura preventiva, il sequestro è previsto dall’Articolo 321 del Codice di procedura penale.
I collaboratori di giustizia
Un collaboratore di giustizia è un criminale condannato che decide di collaborare con le autorità preposte all’applicazione della legge e con i
procuratori. Questi collaboratori offrono informazioni utili alle indagini in cambio di una pena ridotta e
di protezione nei confronti di loro stessi e dei loro familiari dagli altri membri dell’organizzazione criminale. Quando le misure ordinarie applicate dalle forze di polizia o dal Ministero di Giustizia appaiono inadeguate a garantire la sicurezza personale di collaboratori di giustizia o testimoni protetti possono essere applicate misure di protezione straordinarie23.
Tali misure, che comprendono disposizioni di natura personale, economica e giudiziaria, sono regolamentate principalmente dalla Legge 82/1991, così come modificata dalla Legge 45/200124.
I collaboratori firmano un accordo con lo Stato, che li obbliga a fornire informazioni utili sul gruppo di criminalità organizzata in cambio di assistenza finanziaria e protezione. I collaboratori di giustizia sono il fattore di impatto più importante nella lotta
contro la Mafia, poiché danno informazioni sui gruppi
di criminalità circa i loro obiettivi, le reti di contatti,
23. Articolo 9 della Legge 82/1991.
24. Legge 82/1991 sulla conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 15 gennaio 1991, n.8, recante nuove misure in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e
per la protezione di coloro che collaborano con la giustizia; Xxxxx 45/2001 sulla modifica della disciplina della protezione e del trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia nonché disposizioni a favore delle persone che prestano testimonianza.
Tabella 2. Numero di beni confiscati per regione (1983-2015, al 31 dicembre 2015)
Regione | Imprese | Immobili | TOTALE |
Sicilia | 885 | 7976 | 8861 |
Campania | 637 | 2793 | 3430 |
Calabria | 335 | 2738 | 3073 |
Puglia | 217 | 1984 | 2201 |
Lazio | 380 | 1455 | 1835 |
Lombardia | 276 | 1430 | 1706 |
Piemonte | 31 | 320 | 351 |
Xxxxxx Xxxxxxx | 49 | 255 | 304 |
Abruzzo | 6 | 261 | 267 |
Sardegna | 12 | 245 | 257 |
Toscana | 22 | 178 | 200 |
Veneto | 6 | 174 | 180 |
Liguria | 17 | 74 | 91 |
Umbria | 4 | 70 | 74 |
Marche | 6 | 52 | 58 |
Friuli Venezia Giulia | 2 | 40 | 42 |
Xxxxxxxxxx | 0 | 00 | 00 |
Xxxxxxxx Xxxx Xxxxx | 1 | 17 | 18 |
Valle d’Aosta | 0 | 6 | 6 |
Molise | 0 | 5 | 5 |
Fonte: Dati forniti dall’ANBSC e raccolti da Confiscati Bene (xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx)
i reati pianificati e commessi. Tali informazioni permettono alle autorità di raccogliere in modo molto più facile e veloce le prove richieste per l’arresto di boss della criminalità di alto profilo e per il sequestro di beni illeciti.
La necessità di una legge sulla protezione dei collaboratori di giustizia e dei testimoni emerse con particolare evidenza negli anni Settanta e Ottanta, quando diversi gruppi di criminalità organizzata italiani iniziarono ad assistere le autorità. Così, la Legge 82/1991 istituì nell’ambito
del Ministero dell’Interno e del Ministero di Giustizia una Commissione centrale per la protezione
dei collaboratori di giustizia e dei testimoni. La Commissione valuta le condizioni di pericolo e minaccia a cui un collaboratore di giustizia è esposto. La legge dispose anche la creazione di un Servizio centrale di protezione nell’ambito del Ministero dell’Interno. Tale ente gestisce un
programma speciale di protezione che comprende il cambiamento temporaneo o permanente di identità
e/o di ubicazione, l’assistenza economica e la risocializzazione. La Legge 203/1991 introdusse la possibilità di pene detentive ridotte per i collaboratori di giustizia, mentre il Decreto legislativo 119/1993 rese possibile per i testimoni e collaboratori
di giustizia cambiare identità. Quest’ultimo provvedimento fu profondamente influenzato dal Programma di protezione dei testimoni degli Stati Uniti. A metà del 2015, 1235 collaboratori di giustizia e 85 testimoni protetti hanno ricevuto assistenza in cambio della loro collaborazione25; le cifre hanno segnato un aumento costante dal 2010 (Figura 3). Ciò ha portato a successi significativi nella lotta contro la mafia e ha avuto come risultato diretto o indiretto l’arresto di numerosi boss xxxxxxx00.
25. Relazione al Parlamento sulle speciali misure di protezione sulla loro efficacia e sulle modalità generali di applicazione, Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, giugno 2015.
26. Xxxxxxxx Xxxx, a capo del gruppo mafioso più potente della città di Palermo, fu arrestato nel 2010 grazie alle testimonianze fornite da collaboratori di giustizia.
Figura 3. Collaboratori di giustizia e parenti sotto protezione (2010-2015, al 30 giugno 2015)
4.670
4.655
3.963
3.920
3.934
4.350
1.027 1.093 1.059
1.144
1.203
1.235
6.000
5.000
4.000
3.000
2.000
1.000
0
alle vittime di reati di tipo mafioso e alle vittime di usura ed estorsione. Il fondo è gestito per conto del Ministero dell’Interno dalla Consap28, un’azienda pubblica che ha la funzione principale di gestire la concessione di servizi assicurativi pubblici. Malgrado i fondi siano stati unificati per legge, l’allocazione
dei fondi di supporto è tuttora affidata a due Comitati distinti. I due Comitati hanno sede presso il Ministero dell’Interno e godono di poteri decisionali.
Il Comitato di solidarietà per le vittime di reati di tipo mafioso è presieduto da un Commissario e ha
2010
2011 2012 2013 2014 2015
Parenti dei collaboratori di giustizia Collaboratori di giustizia
sei membri, che rappresentano rispettivamente i ministeri dell’Interno, della Giustizia, dello Sviluppo economico, dell’Economia e la finanza, del Lavoro, la salute e le politiche sociali, e la Consap. I membri hanno un mandato quadriennale che non può
Fonte: Ministero dell’Interno
Le misure proattive di contrasto all’estorsione organizzata in
Italia
Oltre agli organismi specializzati nella lotta all’estorsione organizzata e oltre alle misure penali legate alle indagini e ai procedimenti per reati
di stampo mafioso tra cui l’estorsione, lo Stato italiano ha adottato una serie di misure proattive per contrastare la criminalità organizzata e in particolare l’estorsione organizzata, molte delle quali non hanno eguali all’interno dell’UE. Tali misure comprendono: l’istituzione di un fondo di solidarietà per le vittime
di reati di stampo mafioso, delle richieste estorsive e dell’usura; un complesso programma di protezione dei testimoni; il coinvolgimento della società civile nella lotta alla criminalità organizzata; il riutilizzo sociale di beni confiscati.
Il fondo di solidarietà per le vittime della criminalità organizzata, l’estorsione e l’usura
L’Italia ha istituito un fondo di solidarietà per le vittime di reati di stampo mafioso, delle richieste estorsive e dell’usura27. Il fondo è stato creato mediante la fusione di due fondi di solidarietà precedentemente esistenti, rivolti rispettivamente
essere rinnovato. Il Comitato di solidarietà per le vittime dell’estorsione e dell’usura è presieduto da un Commissario e ha nove membri, i quali
rappresentano i ministeri dello Sviluppo economico (1 rappresentante) e dell’Economia e la finanza (1); la Consap (1), varie associazioni antiracket e antiusura
(3) e il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) (3).
I Comitati sono presieduti dal Commissario straordinario, che stabilisce l’entità dei fondi concessi alle vittime di reati della criminalità organizzata e in particolare di estorsione e usura. Le vittime possono ricevere una compensazione monetaria o un prestito. L’allocazione dei fondi alle vittime di estorsione e di reati organizzati segue una procedura rigorosa. Dopo aver sporto una denuncia ufficiale alle forze di polizia, le vittime possono ottenere l’accesso al Fondo di solidarietà compilando un modulo che è a disposizione sui siti Web delle prefetture italiane e della polizia di Stato. In ogni prefettura esiste una persona di riferimento, incaricata di dare informazioni e supporto per la richiesta di accesso al Fondo di solidarietà. L’entità della compensazione viene stabilita sulla base delle perdite economiche dirette sofferte dalle vittime, dei guadagni perduti e dei danni fisici subiti o dalla vittima o dai suoi familiari.
27. Decreto legge 225/2010 sulla proroga dei termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie.
28. La Consap (Concessionaria servizi assicurativi pubblici, www. xxxxxx.xx) gestisce servizi assicurativi pubblici, oltre a svolgere altre funzioni di pubblico interesse che le sono affidate dallo Stato sulla base delle norme, le concessioni e gli accordi vigenti.
Le misure di protezione per le vittime di estorsione organizzata
In base alle disposizioni sulla protezione dei collaboratori di giustizia e dei testimoni dettate dalla Legge 45/2001, le vittime di estorsione organizzata possono essere beneficiarie di misure di protezione come testimoni di giustizia. Modificando le leggi precedenti29, la Legge 45/2001 ha definito
la differenza tra collaboratori e testimoni di giustizia. Mentre i collaboratori sono persone che in passato facevano parte di un gruppo di criminalità
organizzata e accusano altri e se stessi di determinati reati in cambio di protezione e indulgenza, i testimoni sono vittime che prestano testimonianza in relazione a indagini penali in cambio di protezione. Nella maggioranza dei casi i testimoni sono persone che o si sono rifiutate di pagare o hanno deciso di smettere di farlo.
Per avere diritto alla protezione, il testimone deve trovarsi in una situazione di pericolo imminente a seguito della testimonianza che ha prestato contro uno o più membri della criminalità organizzata.
Inoltre la persona a cui viene fornita protezione deve essere attendibile nelle sue dichiarazioni e dare informazioni che risultino cruciali affinché l’indagine e i procedimenti penali possano proseguire in modo efficace.
Le misure speciali di protezione comprendono servizi di protezione e dispositivi tecnologici di sicurezza. Se tali misure si dimostrano insufficienti viene attivato un programma speciale di protezione che può prevedere il trasferimento della persona protetta e della sua famiglia in un posto sicuro, la fornitura di assistenza personale ed economica, il cambiamento di identità e l’assistenza per intraprendere una
nuova vita. La persona o le persone protette sono obbligate ad accettare di seguire una serie di regole; per esempio devono adempiere alle norme di sicurezza e continuare a cooperare con la giustizia. Se la collaborazione viene sospesa il programma di protezione può essere revocato.
Figura 4. Testimoni di giustizia e parenti sotto protezione (2010-2015, al 30 giugno 2015)
289 | 289 | 255 | 267 | 267 | 272 | |||||||
83 | 88 | 81 | 80 | 85 | 84 |
400
300
200
100
0
2010 2011 2012 2013 2014 2015
Parenti dei testimoni di giustizia Testimoni di giustizia
Fonte: Ministero dell’Interno
Il coinvolgimento della società civile nella lotta all’estorsione
Dagli anni Novanta del secolo scorso l’Italia ha sviluppato numerose misure per dare aiuto alle vittime di estorsione organizzata. Tali misure hanno l’obiettivo di proteggere e dare supporto alle vittime e ai testimoni, che decidono di denunciare reati penali. Uno degli atti normativi principali sotto questo aspetto è la Legge 302/199030, che tra le altre cose incoraggia la creazione di organizzazioni della società civile che oppongano resistenza e lottino contro i fenomeni legati ai racket. La legge dichiara che «[la] richiesta può essere presentata
attraverso rappresentante legale e, previo consenso, da associazioni od organizzazioni registrate in un apposito elenco tenuto dal prefetto e avente tra i suoi scopi quello di offrire assistenza e solidarietà alle persone danneggiate da attività estorsive». Tali disposizioni provocarono la creazione di diverse
associazioni e fondazioni antiracket operanti perlopiù in piccole comunità locali. A seguito dell’adozione delle prime misure, varie piccole imprese si riunirono per fondare associazioni antiracket che nel 1996 si fusero dando vita alla Federazione italiana antiracket (FAI). In seguito sono state create altre
tre associazioni antiracket: Addiopizzo, Libera e SOS
Impresa.
29. In particolare la Legge 82/1992.
30. Legge 302/1990 a favore delle vittime del terrorismo e della
criminalità organizzata.
La Federazione italiana antiracket (FAI)31 è la più importante organizzazione tra i movimenti antiracket. Si tratta di un’organizzazione di coordinamento che ha riunito molte associazioni antiracket locali a sé stanti in un’unica entità. In tale modo il movimento antiracket si rafforzò e ottenne la legittimità necessaria per interagire con le istituzioni a tutti i livelli. L’ampio riconoscimento di cui la Federazione gode da parte delle istituzioni le permette inoltre
di aiutare le vittime di estorsione che non hanno ancora denunciato la propria situazione alla polizia e di offrire un punto di riferimento e di supporto sicuro. La FAI svolge tre attività principali: accresce la consapevolezza su come e dove acquistare beni e servizi offerti da imprese, o venduti in negozi,
che non hanno rapporti con la mafia; assiste le vittime di estorsione durante i procedimenti penali in cui fungono da testimoni e le aiuta a far fronte a situazioni finanziarie complicate, mediante una serie di helpdesk antiracket; si costituisce parte civile nei procedimenti penali relativi a reati di estorsione.
Insieme alla FAI, la Confederazione generale dell’industria italiana (Confindustria)32 ha aderito ad alcune delle attività antiracket, compresa la
creazione di helpdesk antiracket per dare supporto ai membri che decidono o di denunciare organizzazioni criminali che chiedono loro denaro in cambio di protezione, o di prestare testimonianza nell’ambito
di un processo. Inoltre Confindustria procede
all’espulsione di qualunque membro coinvolto in reati legati ai racket, all’usura e ad altri atti illeciti di stampo mafioso. L’organizzazione ha anche firmato un accordo con il Ministero dell’Interno, la Banca d’Italia, tutte le associazioni di settore nazionali e
le associazioni antiracket e antiusura, in base a cui l’elenco di banche coinvolte nella gestione del fondo di solidarietà alle vittime dell’estorsione dell’usura è stato reso pubblico. Grazie a quest’iniziativa,
le vittime di estorsione oggi possono identificare facilmente le principali entità coinvolte nella gestione del fondo e la collaborazione tra le banche, il Ministero dell’Interno, Confindustria e le associazioni antiracket in tutt’Italia è stata facilitata.
31. Per ulteriori informazioni: xxx.xxxxxxxxxx.xxxx.
32. Per ulteriori informazioni: xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx.
33. Per ulteriori informazioni: xxx.xxxxxx.xx.
34. L’helpdesk SOS Giustizia è un servizio che Xxxxxx fornisce alle vittime della criminalità organizzata. È mirato a dare aiuto e supporto alle vittime in relazione alla burocrazia
«Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie»33 fu fondata nel marzo 1995 con l’obiettivo di coinvolgere e dare supporto alle persone interessate alla lotta contro la criminalità organizzata. Libera
è un network di oltre 1200 gruppi, associazioni e istituti scolastici che si sono presi l’impegno di sviluppare sinergie politico-culturali e organizzative atte a diffondere la cultura della legalità. La
legge sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alla criminalità organizzata, l’educazione nell’area dello stato di diritto democratico, la lotta alla corruzione, l’organizzazione di campi incentrati su attività educative contro la mafia e varie iniziative
antiracket sono alcune delle attività principali svolte da Libera. L’organizzazione è strutturata sulla base di diverse priorità: educazione, riutilizzo dei beni confiscati, memoria, sport, attività internazionali e helpdesk SOS Giustizia34. Una delle aree in cui Libera è attiva da molti anni è quella del riutilizzo sociale dei beni confiscati. La Legge 109/1996 permette
alle organizzazioni private, alle cooperative e alle amministrazioni comunali, provinciali e regionali di usare per scopi sociali tutte le proprietà acquisite a partire da attività illecite. La legge ha permesso la conversione di oltre 4.500 proprietà in strutture adibite ai servizi sociali. Diversi terreni confiscati in
Sicilia, Calabria, Campania, Puglia e Lazio sono stati affidati a cooperative di studenti che li usano per produrre colture biologiche.
Addiopizzo35 fu creata nel maggio 2005, quando pubblicò per la prima volta il suo manifesto. Ha come obiettivo principale quello di offrire alle vittime dell’estorsione (costrette a versare il «pizzo», da cui l’organizzazione prende il nome) un modo alternativo di svolgere la propria attività. La più originale tra
le numerose iniziative di Addiopizzo è il cosiddetto
«consumo critico», che l’organizzazione ha definito come un patto tra cittadini, consumatori e soggetti economici volto alla creazione di un’economia indipendente dalla mafia. L’idea è quella di orientare il consumo verso l’economia lecita e premiare le persone che si oppongono ai racket. L’organizzazione ha creato e promosso la cosiddetta «mappa pizzo- free», che riunisce centinaia di imprenditori e proprietari di esercizi che appoggiano e aderiscono alla campagna a favore del consumo critico. Queste mappe in italiano, inglese e tedesco sono esposte
amministrativa, alle leggi complesse e quando prestano testimonianza in tribunale. 35. Per ulteriori informazioni: xxx.xxxxxxxxxx.xxx.
in negozi di vario tipo aderenti alla campagna. Le richieste di adesione sono valutate sulla base del pagamento di una quota di garanzia, una
serie di documenti (di natura procedurale, legale, amministrativa e giornalistica) e/o qualunque evidenza che possa supportare la valutazione del Comitato riguardo all’inserimento nell’elenco. Inoltre il richiedente deve sottoscrivere una dichiarazione formale e un impegno solenne per iscritto nei confronti dei cittadini/consumatori, promettendo di non cedere all’estorsione. Deve anche impegnarsi
a rispettare la legalità nell’esercizio della propria attività economica, come condizione necessaria per essere inserito nell’elenco dei soggetti economici da sostenere. L’elenco viene distribuito e condiviso con tutti i consumatori aderenti.
SOS Impresa36 fu fondata a Palermo nel 1991 per iniziativa di un gruppo di imprenditori. Ha l’obiettivo di difendere la loro libera iniziativa imprenditoriale e di opporre resistenza al racket. SOS Impresa ha promosso diverse campagne per incoraggiare le
vittime a denunciare i casi di estorsione alle autorità. L’organizzazione è nota soprattutto per la campagna mediatica intitolata «Chi sceglie, sono lo Stato». Ha prodotto un video a favore delle vittime di estorsione, che mira ad accrescere la consapevolezza riguardo alle tipologie di supporto offerte alle vittime dallo Stato italiano. SOS Impresa ha promosso lo sviluppo di strategie di difesa contro l’estorsione, e incoraggia l’adozione di diverse iniziative antiracket. Inoltre l’associazione offre assistenza legale e solidarietà alle vittime della criminalità organizzata, soprattutto quelle sottoposte a estorsione. Le sue attività comprendono la pubblicazione sul proprio sito web di notizie sulle indagini e i processi legati all’estorsione organizzata e alla criminalità organizzata in genere, la trascrizione di ogni processo in cui si costituisce parte civile e l’organizzazione di varie iniziative a livello locale e nazionale (per esempio il No Usura Day). L’associazione organizza incontri, dibattiti e convegni allo scopo di accrescere la consapevolezza delle istituzioni riguardo all’impatto della criminalità organizzata sull’economia locale e nazionale.
Queste associazioni antiracket svolgono un ruolo cruciale per ovviare all’isolamento che colpisce la maggior parte delle vittime di estorsione. Sono nate grazie all’impegno congiunto di diversi soggetti economici, che si sono organizzati per dare una risposta più forte e più efficace all’estorsione attraverso la mediazione tra le istituzioni pubbliche e le vittime. Tali iniziative hanno permesso di individuare e punire molti membri della criminalità
organizzata grazie alle testimonianze delle vittime. Le associazioni antiracket supportano le vittime non solo assistendole quando sporgono denuncia o richiedono di poter accedere al Fondo di solidarietà, ma anche offrendo loro un supporto psicologico e sociale per l’intera durata dei procedimenti penali.
Il riutilizzo sociale dei beni confiscati
L’Italia permette all’autorità regionali e locali di gestire i beni confiscati allo scopo di compensare le comunità locali colpite da reati di stampo mafioso. Tale possibilità fu introdotta dalla Legge 109/199637 a seguito di un’iniziativa popolare promossa da Libera. La legge definì le norme di riutilizzo per scopi sociali dei beni confiscati alle organizzazioni criminali. La componente del riutilizzo sociale è uno strumento eccellente nella lotta alla criminalità organizzata,
a causa del suo importante significato simbolico ed
economico.
L’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC) è l’organismo principale responsabile delle iniziative legali legate ai beni sequestrati e confiscati. Il suo ruolo comprende la gestione complessiva dei beni confiscati, la
loro restituzione allo Stato, la manutenzione delle proprietà e il loro affidamento alle regioni, province, amministrazioni comunali o terze parti. Uno dei suoi compiti principali è il monitoraggio di follow-up dei beni affidati per evitarne l’abuso o l’appropriazione da parte di gruppi criminali.
L’agenzia pone fortemente l’enfasi sulla trasparenza, perché la legge stabilisce che dovrebbe conservare informazioni pubbliche sull’ubicazione, l’utilizzo presente e lo stato di tutti i beni confiscati.
36. Per ulteriori informazioni: xxx.xxxxxxxxxx.xx.
37. Legge 109/1996 sulla gestione e destinazione di beni sequestrati o confiscati.
L’ANBSC svolge un ruolo fondamentale nel processo
di conversione, perché garantisce l’integrità dei
beni confiscati fino alla consegna al beneficiario finale. Nel mettere a disposizione le sue competenze tecniche e legali in relazione al bene, l’agenzia coordina le proprie attività con l’amministrazione comunale in cui la proprietà è ubicata allo scopo di ottenere informazioni dettagliate su di essa. Una volta portata a termine l’ispezione, le autorità locali vengono coinvolte nel monitoraggio e nelle attività necessarie per assicurarsi che i beneficiari usino il bene per scopi leciti.
L’ANBSC coinvolge i potenziali beneficiari nell’utilizzo dei beni nella fase in cui esiste un ordine di confisca definitivo emesso dal tribunale. In tale fase le entità e le istituzioni coinvolte possono
Figura 5. Il ruolo dell’ANBSC nel procedimento di confisca
informare l’agenzia del proprio interesse di acquisire il bene e possono presentare un progetto dettagliato. Il potenziale beneficiario deve specificare lo scopo per il quale utilizzerà il bene e se intenda usarlo direttamente o meno. A volte entità private come associazioni e ONG sono coinvolte indirettamente nella gestione dei beni, sulla base di un accordo ufficiale tra queste stesse entità e le autorità locali. Una volta ricevuti i beni confiscati le entità locali devono mettere pubblicamente a disposizione tutte le informazioni pertinenti sui beni acquisiti in vista del riutilizzo sociale, compresa la destinazione e l’utilizzo presente dei beni, che vengono aggiornate
periodicamente. Dopo l’allocazione l’ANBSC monitora
le modalità di impiego del bene per un anno. Può revocarla se i beni sono stati usati per scopi diversi da quelli pattuiti al momento della locazione.
Fase giudiziaria
Fase amministrativa
i
rocediment istruttori
Criminalità organizzata
NETWORK
ANBSC
Fornitura di linee guida per la fase di confisca
Gestione degli asset sequestrati
NETWORK
ANBSC
Fornitura di linee guida
per la fase di sequestro
Assistenza agli amministratori giudiziari
Assistenza alle autorità giudiziarie
NETWORK
ANBSC
Fornitura di linee guida per la fase di confisca definitiva
Allocazione dei beni confiscati
a terze parti
Sequestro cautelare
Confisca definitiva
Comunità
P
Fonte: Consorzio RECAST 2014
Box 2. Calcestruzzi Xxxxxxx Xxxxxx, Società Cooperativa
Quello di Xxxxxxxxxxxx Ericina38 è un caso illuminante per quanto riguarda il riutilizzo sociale dei beni confiscati. L’azienda fu fondata nel 1991 a Trapani perché producesse cemento; il suo proprietario era Xxxxxxxx Xxxxx, un mafioso locale. Nel 1996, quando Xxxxx fu accusato di avere legami con il boss della mafia Xxxxxx Xxxxxxx Xxxxxx e un’indagine portò
alla luce oltre sessanta casi di estorsione da lui commesse in Sicilia, tutte le azioni della società furono sequestrate.
Quattro anni dopo l’azienda fu confiscata e Xxxxx fu arrestato. Il ritrovamento di un registro contenente i nomi delle vittime di
estorsione, le somme e le date dei pagamenti portò alla condanna di Xxxxx e di altre quindici persone per estorsione, detenzione di armi e coinvolgimento nella criminalità organizzata. Dopo la confisca la gestione dell’azienda fu affidata a un amministratore nominato dal custode giudiziario dell’azienda Xxxxx Xxxxxxxxxxx. La produzione fu ridotta
drasticamente e il fatturato annuo scese da 2,2 milioni a 1,1 milioni di euro. Malgrado questa crisi un gruppo di ex dipendenti dell’azienda decise di portare avanti la produzione e di rilevare Calcestruzzi Ericina.
Alcuni gruppi mafiosi locali cercarono di boicottare l’attività dell’azienda tramite le intimidazioni e l’isolamento. La seconda strategia, in particolare, rese difficile per l’azienda trovare clienti malgrado i prezzi competitivi. Il fine ultimo dei criminali era quello di fare in modo che alcuni intermediari della famiglia Xxxxx riuscissero ad acquisire l’azienda. I magistrati, però, prevennero
tale sviluppo avviando un procedimento di allocazione dell’azienda per il riutilizzo
sociale. Nel 2002 Calcestruzzi Xxxxxxx divenne
un’impresa in comproprietà, gestita da una cooperativa di ex dipendenti, e riuscì a concludere nuovi contratti.
Nel 2004 l’amministratore giudiziario si assicurò che l’Associazione nazionale produttori aggregati riciclati e l’azienda Pescale coordinassero la realizzazione del piano
di conversione di Calcestruzzi Ericina, che prevedeva la costruzione di una piattaforma di riciclo per l’accumulo di residui materiali e la produzione di nuovo cemento. Nel 2008 fu fondata Xxxxxxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxx, una società cooperativa, che nel 2009 fu affidata alla cooperativa di ex dipendenti mediante un decreto amministrativo emesso dalla Prefettura di Trapani.
38. Per ulteriori informazioni: xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx.
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Cofinanziato dal Programma di prevenzione e lotta contro la criminalità dell’Unione Europea
Questo progetto è stato finanziato con il supporto della Commissione Europea. Questa pubblicazione riflette unicamente le opinioni dei suoi autori e la Commissione Europea non potrà essere ritenuta responsabile per gli usi che potrebbero essere fatti delle informazioni in essa contenute.