Contract
6 Assetti istituzionali per l’integrazione delle reti ospedaliere
1 Introduzione
2 L’Ospedale Maggiore e l’Azienda ospedaliero-universitaria 3 Il contratto di rete – il consorzio interaziendale
4 Una diversa ripartizione delle funzioni tra Azienda ospedaliero-universitaria e Aziende USL 5 L’ipotesi di integrazione tra Azienda ospedaliero-universitaria e Azienda USL
1 Introduzione
In allegato 5 sono state discusse diverse soluzioni organizzative potenzialmente in grado di favorire la razionalizzazione dell’offerta di prestazioni ospedaliere a partire dall’istituzione di Unità operative interaziendali o dalla loro cessione da una Azienda all’altra per favorire la concentrazione di dotazioni di particolare rilievo vincolandole al servizio dell’intera area metropolitana, fino all’istituzione di Dipartimenti interaziendali quali ambiti organizzativi di ampia dimensione in grado di gestire in modo unitario l’insieme delle Unità operative (o di loro componenti) tra loro complementari. Queste soluzioni modificano i modelli organizzativi interni alle Aziende senza introdurre modifiche nei loro assetti istituzionali, se non per quanto riguarda la costituzione di un Organo di governo interaziendale a cui devolvere la programmazione e l’alta gestione di alcune funzioni di interesse comune, ipotesi che dovrebbe essere supportata da una preventiva modifica degli Atti aziendali. In ogni caso, le soluzioni analizzate in allegato 5 non comportano modifiche di ampia portata nelle funzioni complessive attribuite alle singole Aziende né alterano in modo significativo i rispettivi confini.
In questo allegato, sono invece approfondite alcune ipotesi che comportano modifiche negli assetti istituzionali con trasferimenti significativi di funzioni e attività da un’Azienda all’altra ovvero a soggetti giuridici di nuova istituzione. Più specificamente, nella prossima sezione è esaminata l’ipotesi di cessione di un ramo di attività (l’Ospedale Maggiore) attualmente in capo all’Azienda USL di Bologna a favore dell’Azienda ospedaliero-universitaria. In sezione 3 viene invece analizzata l’ipotesi di istituzione di un soggetto di natura consortile a favore del quale le Aziende potrebbero conferire alcune funzioni e attività per consentirne una gestione pienamente unitaria e tale da superare le difficoltà osservate nelle collaborazioni realizzate ai sensi dell’art. 22 ter della l.r. 43/2001. Infine, in sezione 4 viene esaminato il caso di cessione di alcune Unità operative dalle Aziende USL all’Azienda ospedaliero-universitaria e viceversa per configurare Aziende caratterizzate da una maggiore focalizzazione rispettivamente alla valorizzazione delle strutture che possono candidarsi a divenire punti di riferimento per le reti cliniche di interesse regionale e nazionali e all’integrazione delle funzioni ospedaliere di riferimento distrettuale con i corrispettivi servizi territoriali.
2 La cessione dell’Ospedale Maggiore all’Azienda ospedaliero-universitaria
La concentrazione in un’unica Azienda ospedaliera dell’intera capacità produttiva per l’erogazione di tutte le prestazioni ospedaliere - da quelle di riferimento distrettuale a quelle di altissima complessità - quale risulterebbe dalla fusione dell’Ospedale Maggiore con l’Azienda ospedaliero- universitaria - si pone in controtendenza rispetto agli orientamenti prevalenti (si vedano allegati 1 e 2) a favore del potenziamento di strumenti per l’integrazione verticale tra gestori dell’assistenza territoriale e dell’assistenza ospedaliera. Più specificamente, pur potendo tale opzione facilitare nel medio termine l’adozione di iniziative di razionalizzazione e di valorizzazione di centri specialistici, porta con sé diversi rischi di rilievo per quanto riguarda il governo complessivo di un sistema che si pone da tempo obiettivi di contenimento complessivo delle attività ospedaliere e di rafforzamento dei raccordi organizzativi tra queste e i servizi territoriali, destinati invece ad assumere un rilievo maggiore. In quanto segue, descriviamo brevemente le considerazioni che porterebbero a non considerare in via prioritaria questa opzione.
In primo luogo occorre notare che se la fusione porta con sé operazioni di razionalizzazione che, a parità di fattori produttivi impiegati, aumentano i livelli potenziali di produzione, un primo rischio di notevole rilievo è che vi sia un potente effetto di attrazione sui flussi in entrata che, sotto il vincolo della riduzione complessiva dei tassi di ospedalizzazione, andrà a ridurre i volumi di attività negli altri ospedali dell’area metropolitana. Questo effetto, sarà inevitabilmente più rilevante sugli ospedali di riferimento dei Distretti meno centrali rendendo più difficile garantire nel tempo la loro sostenibilità. In secondo luogo, un’Azienda ospedaliero-universitaria che rimane unica produttrice di tutte le prestazioni ospedaliere a favore dei residenti in un ambito territoriale molto ampio, densamente abitato e con la più elevata frequenza di ultra 75-enni dell’intera area metropolitana, dovrebbe necessariamente impiegare una parte crescente delle proprie risorse nell’erogazione di prestazioni di medio-bassa complessità anche nelle Unità operative potenzialmente in grado di connotarsi quali punti di riferimento per le reti di interesse regionale o nazionale. Al riguardo, la maggiore separazione organizzativa con le Unità operative delle Aziende USL che governano le cure primarie e intermedie potrebbe accentuare la difficoltà a governare i flussi da e verso il territorio. Infine, la compresenza nell’area più popolosa di un monopolista finanziato anche sulla base delle prestazioni erogate e di un monopsonista che ha il mandato di potenziare le forme di assistenza domiciliari e le strutture per le cure primarie e intermedie, non contribuirebbe a facilitare le relazioni interaziendali che invece dovrebbero consentire una collaborazione particolarmente intensa per la gestione dei collegamenti tra i diversi livelli assistenziali.
3 Il contratto di rete – il consorzio interaziendale
Un modello che si propone di favorire una forte integrazione tra le risorse afferenti ai Dipartimenti interaziendali e di facilitare una piena caratterizzazione delle vocazioni delle strutture ospedaliere nell’area metropolitana “anche per perseguirne la piena valorizzazione rispetto alle funzioni previste dalla programmazione regionale e nazionale” richiede l’adozione di forme più dense e significative di coinvolgimento del personale in forza alle singole Aziende rispetto alle attività che si svolgono in tali Dipartimenti e che devono mirare all’interesse comune di tutta l’area.
Per realizzare tale modello senza costituire nuovi soggetti giuridici, ma con la necessità di un intervento legislativo della Regione, le Aziende dell’area metropolitana potrebbero definire un comune interesse a sviluppare un “contratto di rete” assimilabile a quello previsto e regolato per il settore privato tramite il Decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33. Tale norma, destinata esclusivamente ai datori di lavoro costituiti in forma di imprese ed alle imprese agricole, prevede oggi la possibilità di realizzare “contratti di rete”, i quali,
secondo il dato normativo, permettono agli imprenditori di «accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell'oggetto della propria impresa» (art. 3, c. 4 ter L. 33/2009) secondo schemi negoziali (consorzi, associazioni tra imprese, contratti di appalto, somministrazioni, ecc.) che rispettino i requisiti formali e sostanziali prescritti dalla legge.
Si tratta, in particolare, dell’indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti; delle modalità convenute per il monitoraggio degli obiettivi; della stesura di un “programma di rete” indicante diritti e obblighi di ciascun partecipante; delle modalità di realizzazione dello scopo comune; l’istituzione di un fondo comune se previsto; le regole di gestione del fondo; misura e criteri di valutazione dei conferimenti e degli eventuali contributi successivi che ciascun retista si obbliga a versare al fondo (art. 3, c. 4 ter L. 33/2009 lett. a-f). Per sviluppare l’aggregazione di imprese, definita dal programma confluito nel vincolo contrattuale, la cui realizzazione può essere indirizzata e governata anche attraverso un organo comune, la legge detta una particolare disciplina lavoristica del c.d. “distacco infrarete”, tradotta nelle innovative ipotesi della “codatorialità” e della “assunzione congiunta del personale” interessato al programma. Il distacco si configura quando un datore di lavoro (distaccante), per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto (distaccatario) per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa. Il distaccatario si avvale dunque legittimamente del lavoro del dipendente distaccato alle condizioni, concretamente verificabili, dell’interesse del datore distaccante e della temporaneità dell’utilizzo. In assenza di tali condizioni, come noto, e secondo la stessa disposizione dell’art. 30 D.Lgs. n. 276/2003, si realizza ipotesi di interposizione illecita di manodopera, come tale sanzionata sotto forma di somministrazione irregolare di lavoro1.
La previsione contenuta nell’art. 30, comma 4-ter, del D.lgs. n. 276/2003 prevede che “qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa che abbia validità ai sensi del decreto legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete, fatte salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall’articolo 2103 del codice civile”. Diversamente quindi dalle ordinarie ipotesi di distacco tra imprese, tramite le previsioni della legge del 2013 il distacco viene legittimato ed autorizzato automaticamente per via della sottoscrizione del contratto di rete di impresa, determinando questo una sorta di presunzione di interesse datoriale, che non necessità di verifica neppure nella sede giudiziale. Lo stesso requisito della temporaneità trova nel contratto di rete espressione di verifica e legittimità: il distacco è lecito fino a quando permane temporalmente l’interesse dei retisti all’utilizzo del
1 Il comma. 4-bis dell’art. 30 del D.Lgs. n. 276 prevede, a garanzia del prestatore, che «Quando il distacco avvenga in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell'articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo. In tale ipotesi si applica il disposto dell'articolo 27, comma 2.» («Nelle ipotesi di cui al comma 1 tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione»).
lavoratore nell’ambito del programma di rete. Resta invece definito secondo la ordinaria disciplina dell’art. 30 del D.Lgs. n. 276/2003 l’ambito della titolarità del rapporto e della responsabilità datoriale, che gravano sul datore distaccante, sotto il profilo degli obblighi retributivi e previdenziali, oltre che in tema di recesso; i poteri di direzione, controllo e disciplinare sono invece distribuiti sull’impresa retista distaccataria. Ciò contribuisce a determinare un incremento di flessibilità nella gestione del personale all’interno della rete e fra le imprese che ad essa partecipano, in termini di mobilità e di soddisfazione di esigenze produttive anche temporanee, mediante risorse che potrebbero non essere a disposizione di taluni dei datori retisti.
Il comma 4 ter del D.Lgs. n. 276/2003, come introdotto dalla legge del 2013, consente altresì di realizzare ipotesi di “codatorialità” nella rete di impresa, nel senso di ammettere una titolarità congiunta del rapporto di lavoro di dipendente assunto da uno dei datori, con disciplina negoziale definita e regolata nel contratto di rete: anche qui si tratta di strumento di gestione delle risorse umane caratterizzato dal programma di rete e dagli interessi espressi dai datori di lavoro partecipanti, con possibilità di moltiplicare e declinare i centri di imputazione dei poteri datoriali in modalità “plurale”, all’interno della rete. Se si accede all’orientamento che considera la codatorialità come strumento voluto dal legislatore per consentire alle aziende retiste un uso più flessibile dei rispettivi dipendenti all’interno della rete, secondo le modalità stabilite nel regolamento di rete ma con rapporti di lavoro che conserverebbero la loro natura tradizionale (nel senso che ogni lavoratore ha un rapporto bilaterale con il proprio datore di lavoro “originario”), allora la prospettiva potrebbe essere di grande interesse per i temi dell’integrazione tra i servi sanitari tra le quattro Aziende dell’area metropolitana.
E’ opportuno rilevare che modelli quali quelli sopra indicati esistono anche con riguardo alle forme di esercizio comune di attività fra amministrazioni pubbliche. Il riferimento è in particolare ai consorzi tra enti locali di cui all’art. 30 del D.Lgs. n. 67/2000 (Testo Unico degli Enti Locali – TUEL) il quale prevede che «Al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, gli enti locali possono stipulare tra loro apposite convenzioni» e che «le convenzioni di cui al presente articolo possono prevedere anche la costituzione di uffici comuni, che operano con personale distaccato dagli enti partecipanti, ai quali affidare l'esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all'accordo, ovvero la delega di funzioni da parte degli enti partecipanti all'accordo a favore di uno di essi, che opera in luogo e per conto degli enti deleganti». Al successivo art. 31 si prevede la possibilità di creare consorzi tra Enti locali: «1. Gli enti locali per la gestione associata di uno o più servizi e l'esercizio associato di funzioni possono costituire un consorzio secondo le norme previste per le aziende speciali di cui all'articolo 114, in quanto compatibili. Al consorzio possono partecipare altri enti pubblici, quando siano a ciò autorizzati, secondo le leggi alle quali sono soggetti».
Ed ancora, all’articolo 33 «Esercizio associato di funzioni e servizi da parte dei comuni», al fine di promuovere l’unificazione tra Comuni, si prevede che le regioni, nell'emanazione delle leggi di conferimento delle funzioni ai comuni, attuano il trasferimento delle funzioni nei confronti della generalità dei comuni. Al fine di favorire l'esercizio associato delle funzioni dei comuni di minore dimensione demografica, le regioni individuano livelli ottimali di esercizio delle stesse, concordandoli nelle sedi concertative di cui all'articolo 4. Nell'ambito della previsione regionale, i comuni esercitano le funzioni in forma associata, individuando autonomamente i soggetti, le forme e le metodologie, entro il termine temporale indicato dalla legislazione regionale. Le Regioni predispongono poi, concordandolo con i Comuni nelle apposite sedi concertative, un programma di individuazione degli ambiti per la gestione associata sovracomunale di funzioni e servizi, realizzato
anche attraverso le unioni, che può prevedere altresì la modifica di circoscrizioni comunali e i criteri per la corresponsione di contributi e incentivi alla progressiva unificazione. Infine, ed in via più generale, l’art. 15 della L. n. 241/1990 («Accordi tra pubbliche amministrazioni», prevede che «le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune». Significativamente però, oltre ad essere supportate da specifica disposizione di legge statale, tali ipotesi non prevedono alcuna possibile deroga alle norme lavoristiche circa l’imputazione del rapporto di lavoro in capo a chi esercita la funzione.
Presupposti, vantaggi e requisiti per l’attivazione dell’Azienda a rete
Innanzi tutto occorre richiamare nuovamente la necessità di definire un intervento normativo regionale che assuma una applicazione estensiva di porzioni della disciplina destinata alle reti di imprese per le Aziende titolari dei servizi sanitari dell’area metropolitana, importando in particolare gli strumenti del distacco e della codatorialità su contratto di rete. Sulla base della norma di legge regionale, mediante contratto o convenzione di rete che specifichi i profili di interesse per le Aziende convenzionate, si procederebbe alla costituzione di Dipartimenti interaziendali - tendenzialmente di tipo specialistico - in capo a una delle Aziende, mentre il personale delle Unità operative di ciascuna Azienda destinato alle relative attività verrebbe distaccato presso tali Dipartimenti (e dunque formalmente presso l’Azienda distaccataria prescelta). Con il contratto di rete, ferma l’impossibilità di incidere, derogandoli, sugli obblighi datoriali (nel senso di deroga a norme imperative), si possono regolare i rapporti reciproci fra i retisti ed i profili di gestione comune del personale (si può, ad esempio, prevedere in che misura i retisti fruiscono delle diverse prestazioni ai fini del regresso; a chi spettano e come sono regolati i profili della formazione e della ricerca; oppure chi esercita i poteri datoriali: solo la Direzione del Dipartimento interaziendale o anche le Direzioni delle Unità operative ad esso afferenti).
In ogni caso, il distacco potrebbe assicurare, nell’interesse di tutte le Aziende distaccanti, una notevole mobilità e flessibilità nella gestione dei professionisti, con la possibilità di immaginare forme di distacco parziale, con utilizzo condiviso della prestazione da parte di più Aziende coinvolte. In sostanza il contratto di rete potrebbe giustificare il fatto che il Dipartimento agisca mediante Unità operative che appartengono ad Aziende diverse, mentre il personale sul Dipartimento opera sulla base del potere direttivo esercitato da quest’ultimo nei termini previsti dal contratto di rete, fermo restando che la condivisione, fra più datori, del medesimo rapporto, implicherebbe l’imputazione degli obblighi concernenti il rapporto di lavoro in capo a tutti i codatori (con responsabilità solidale ex 1294 c.c.).
Fermo restando che gli oneri economici dei lavoratori distaccati gravano sulle rispettive Aziende distaccanti, l’utilizzo da parte della Azienda distaccataria (mediante i Dipartimenti interaziendali) determinerebbe l’applicazione, per tutto il periodo del distacco, dei contratti integrativi della distaccataria; resterebbe tuttavia da risolvere il problema dei fondi e del trattamento del personale distaccato, in quanto insistente, economicamente, sulle Aziende distaccanti. Di questo potrebbe farsi carico il contratto di rete, e a monte la norma regionale, prevedendo la costituzione di apposito fondo che alimenti una contrattazione aziendale di livello metropolitano destinata appunto all’esercizio delle attività comuni da parte dei retisti, naturalmente scontando, tale soluzione, problemi complessi di individuazione e legittimazione dei soggetti sindacali abilitati alla trattativa fra le Aziende di rete.
Come in parte desumibile dai punti precedenti, il modello qui illustrato introduce una netta discontinuità rispetto alle ipotesi di assegnazione temporanea finora impiegate nelle esperienze di integrazione tra Aziende sanitarie, favorendo il superamento di diverse difficoltà ora riscontrabili. Allo stesso tempo, il modello introduce immediati elementi problematici, dati dal fatto che le previsioni sul contratto di rete e sul distacco in tale ambito sono destinate per legge alle imprese, sì come introdotte da norma di legge – il D.Lgs. n. 276/2003 – che espressamente esclude le pubbliche amministrazioni dalla sua applicazione. Allo stesso modo, le previsioni del Testo unico sugli Enti locali circoscrivono la possibilità di esercizio di attività in comune ai soli enti locali. Occorre quindi verificare se sia possibile nell’ambito della competenza legislativa concorrente regionale introdurre, in materia di «tutela della salute» e quindi di organizzazione sanitaria ed ospedaliera regionale, disposizioni che estenderebbero sic et simpliciter le norme su reti, codatorialità e distacco alle Aziende sanitarie e andrebbero inevitabilmente ad invadere campo di potestà legislativa statale esclusiva in materia di rapporti di lavoro, e dunque di «ordinamento civile».
Sul piano sostanziale, si tratterebbe di introdurre una autonoma disciplina, guardando al modello delle reti di impresa e della codatorialità, che in effetti traduce in modo fedele l’interesse comune alla gestione espresso dai processi di integrazione sanitaria e ospedaliera portati avanti in modo coerente tramite molti atti di programmazione sanitaria da parte della Regione. In una prospettiva più evolutiva rispetto allo status quo, la soluzione qui discussa potrebbe essere interpretata come un affinamento in senso più strutturale del modello della assegnazione temporanea di cui 22 ter della Legge Regionale 26 novembre 2001, n. 43 che non a caso è stato introdotto «per la gestione stabile di attività di comune interesse» fra Enti della Regione. Un eventuale intervento regionale potrebbe, infatti, supportare dal punto di vista legislativo la regolazione dei profili di utilizzo e di mobilità del personale, del trattamento economico e dei fondi aziendali ad esso destinati - ad esempio ragionando in termini di contrattazione di livello aziendale metropolitano per le attività comuni -, della valutazione e delle responsabilità. L’intervento normativo, peraltro, sarebbe necessario anche perché nel settore privato, pur essendo ampiamente praticato il distacco nell’ambito del contratto di rete (sfruttando la previsione assoluta di automatico interesse del distaccante), assai meno esplorato (e praticato) è il tema della codatorialità e delle sue potenzialità, proprio nel timore che il modello sfoci in forme di intermediazione illecita; tenuto conto, fra l’altro, che il numero dei dipendenti coinvolti in tali processi tra imprese è normalmente limitato a poche e ben identificate professionalità.
Il Contratto di rete e l’Organo di governo
Nell’ipotesi che la Regione ritenga di poter adottare un provvedimento normativo tale da supportare questo modello organizzativo per l’area metropolitana di Bologna o comunque per gli ambiti provinciali in cui sono compresenti Aziende USL, IRCCS e Azienda ospedaliero-universitaria, tali soggetti potrebbero dar vita a un modello organizzativo che ruota intorno all’idea di Rete dei Dipartimenti interaziendali (o Consorzio interaziendale). Tale modello richiede in primo luogo una modifica degli Atti aziendali per introdurre la possibilità di svolgere alcune funzioni di interesse comune per l’area metropolitana mediante soluzioni innovative quali appunto il Contratto di Rete o il Consorzio. A seguito dell’approvazione degli Atti aziendali e della necessaria autorizzazione regionale, occorre poi definire un Accordo di programma generale che identifichi i Dipartimenti, le strutture e il personale che in tutto o in parte sono destinati alla realizzazione di attività considerate di interesse comune e ne definisca puntualmente i molti elementi necessari a chiarire le rispettive responsabilità, anche finanziarie, delle Aziende, dei Dipartimenti e delle Unità operative e a garantire il pieno rispetto delle norme - in particolare giuslavoristiche - e dei Contratti collettivi
nazionali e integrativi. Come ricordato in allegato 5, tale Accordo di programma definirebbe i termini dei poteri direttivi esercitati dai Direttori di Dipartimento su tutto il personale ad esso afferente - a prescindere dall’Azienda di riferimento -, fermo restando l’imputazione degli obblighi datoriali in capo a tutti i codatori. Ciò significa che, pur essendo la rete dei Dipartimenti interaziendali (Consorzio) mirata in primo luogo a valorizzare le Unità operative che possono ambire a divenire nodi di riferimento di reti sovra-metropolitana, differenziandone le vocazioni e potenziandone le dotazioni, l’Accordo di programma (lo statuto del Consorzio) nella definizione dei confini dei Dipartimenti in oggetto, deve tenere conto degli obiettivi complessivi del sistema metropolitano, e in primo luogo di raccordare in modo equilibrato le loro attività con quelle dei Dipartimenti territoriali e dei Dipartimenti di continuità (cfr. allegato 4).
Tuttavia, per quanto rilevante sia il suo ruolo e per quanto organico e sufficientemente dettagliato possa essere l’Accordo di programma di cui sopra, esso non può disciplinare in modo dettagliato le relazioni organizzative e gestionali a livello sub-dipartimentale. Per questo motivo, l’Accordo dovrebbe prevedere l’istituzione di un Organo strategico per il governo dei Dipartimenti interaziendali che comprenda tutti i Direttori generali delle Aziende - peraltro legati dal vincolo di responsabilità solidale rispetto agli obblighi datoriali -. Una volta stabiliti i confini della Rete (Consorzio) tra i Dipartimenti interaziendali nell’Accordo e in coerenza con gli indirizzi di programmazione generale definiti dagli Enti competenti, i principali compiti di tale Organo sarebbero quelli di definire gli obiettivi dei Dipartimenti, la nomina dei Direttori di Dipartimento (d’intesa con il Rettore, ove previsto), le regole di attribuzione dei budget complessivi e di concertazione delle politiche di investimento sulle infrastrutture di più grandi dimensioni, l’opportunità di individuare un responsabile operativo unitario del coordinamento tra i Dipartimenti e quindi le modalità per contribuire, nel rispetto delle prerogative istituzionale di tutti i soggetti coinvolti, al funzionamento delle reti formative e di ricerca previste dalla programmazione congiunta.
4 Diversa ripartizione di funzioni per l’Azienda ospedaliero-universitaria e per le Aziende USL Come osservato in allegato 5 nella discussione del modello organizzativo basato sulla cessione di attività o servizi ex art. 31 D.Lgs. n. 165/2001, tale forma di riorganizzazione mediante concentrazione di risorse da destinare ad attività di comune interesse per l’area metropolitana può costituire una soluzione adeguata per realizzare miglioramenti qualitativi ed economie in alcune circostanze in cui, ad esempio, l’offerta riguarda servizi standardizzabili e la cui erogazione può essere fortemente centralizzata non dovendo soddisfare particolari vincoli di equità di accesso o di prossimità. Sul piano formale, se la cessione di attività tra Aziende riguarda servizi assistenziali diretti alla persona di notevole consistenza, anche sotto il profilo dimensionale (ad es. uno stabilimento ospedaliero nel suo complesso), la relativa modifica nelle funzioni e nelle attività attribuite alle diverse Aziende comporta una modifica negli elementi costitutivi delle stesse, definiti dalla leggi regionali di istituzione, e si rende quindi necessario un intervento normativo regionale, ovvero, almeno un provvedimento della Giunta regionale che autorizzi le modifiche in oggetto quale sperimentazione gestionale ai sensi dell’art. 7 della legge regionale n. 29/2004.
In questa prospettiva di trasferimento di ampia portata di funzioni e attività assistenziali tra le attuali Aziende dell’area metropolitana si pone una diversa proposta volta alla valorizzazione, anche mediante differenziazione e specificazione dei loro obiettivi, delle strutture con particolare riguardo a quelle che potrebbero essere punti di riferimento di reti di valenza regionale e nazionale. Più specificamente, potrebbe essere considerata l’ipotesi di demandare a una singola Azienda la
direzione e la gestione delle strutture e delle attività riferibili ai Dipartimenti interaziendali di tipo specialistico che sarebbero a tal fine cedute dalle altre Aziende dell’area metropolitana; attività di cui la prima Azienda assumerebbe titolarità formale e sostanziale. Il modo più diretto per conseguire il risultato di collocare in un ambito gestionale unitario le attività dei Dipartimenti interaziendali senza procedere alla costituzione di una nuova Azienda, è dato dalla trasformazione dell’attuale Azienda ospedaliero-universitaria che, pur mantenendo la sua denominazione, muterebbe in parte la propria missione e il proprio ambito di riferimento, divenendo appunto il luogo in cui collocare i nuovi Dipartimenti di tipo specialistico con operatività su tutto il territorio metropolitano. In modo complementare, le strutture dell’Azienda ospedaliero-universitaria che si riterrà di collocare nei Dipartimenti di continuità dovrebbero essere conferite all’Azienda USL di Bologna, mantenendo una configurazione di Dipartimenti interaziendali per ambiti quali l’Emergenza-urgenza e i Servizi diagnostici.
Per quanto riguarda i Dipartimenti di tipo specialistico, assieme al passaggio dell’attività ceduta, si avrebbe il passaggio all’Azienda ospedaliero-universitaria del personale già addetto alle Unità Operative (o porzioni di Unità) cedute, così come selezionate sulla base delle esigenze di integrazione e quindi anche sulla base di processo graduale di trasferimento. Verrebbe così a determinarsi la piena assunzione della titolarità dei rapporti di lavoro e dei relativi poteri di gestione da parte dell’Azienda ospedaliero-universitaria nei termini già indicati e tali per cui essa si troverebbe ad operare tramite Dipartimenti a tutti gli effetti “aziendali” in cui sono collocate Unità operative (o porzioni di Unità) trasferite dalle Aziende cedenti pur mantenendo di norma la proprio collocazione nelle attuali sedi e comunque con piena mobilità del personale tra le stesse, del caso filtrata da accordo sindacale.
Gli atti formali necessari per la ridefinizione degli obiettivi e delle funzioni delle Aziende, sia quelli di competenza della Regione sia quelli di competenza delle Aziende stesse, dovrebbero prevedere la costituzione e la definizione delle competenze di un Organo collegiale che - per composizione e funzioni – sarebbero comparabili a quelle definite nella sezione precedente con riferimento all’Organo di governo interaziendale della rete (Consorzio) dei Dipartimenti di tipo specialistico. In questo caso, in particolare, tale Organo dovrebbe operare come interlocutore della Direzione della nuova Azienda ospedaliero-universitaria, essa stessa componente dell’Organo, nelle funzioni di programmazione e indirizzo strategico, coordinamento, verifica, oltre che di garante della definizione di linee funzionali di raccordo rispetto ai Dipartimenti territoriali e di continuità di pertinenza delle Aziende USL. Come ricordato, all’interno di questa soluzione, i Dipartimenti sarebbero aziendali, il che consentirebbe di semplificare alcuni passaggi procedurali. È tuttavia importante confermare un ruolo di presidio centrale dell’Organo collegiale al fine di rafforzare, anche su questo piano, gli strumenti che garantiscono che i Dipartimenti di tipo specialistico operino in pieno coordinamento con i Dipartimenti territoriali e di continuità e nell’interesse generale dell’area metropolitana. In considerazione della rilevante concentrazione di funzioni e attività riferibili a Unità operative o programmi inclusi in reti assistenziali, di ricerca e di didattica di interesse regionale e sovra-regionale e valutando l’opportunità di rafforzare le attività di ricerca traslazionale in ambito metropolitano, potrebbe essere considerata l’opzione di disegnare i Dipartimenti di tipo specialistico tenendo anche in considerazione la possibilità di candidarsi quali IRCCS.
Presupposti, vantaggi e requisiti per la ridefinizione degli obiettivi e delle funzioni tra le Aziende
La ridefinizione delle funzioni tra le Aziende dell’area metropolitana permette di indirizzare l’aggregazione e quindi l’attività dei Dipartimenti di tipo specialistico, riducendo i costi di transazione dovuti alla compresenza di Unità operative e di Dipartimenti facenti capo, pro quota,
ad Aziende diverse come invece avviene nei modelli basati sulla condivisione di funzioni. Sul piano procedurale, date le significative modifiche nelle componenti costitutive le Aziende, la Regione potrebbe valutare se, in questo caso sia opportuno procedere direttamente con provvedimento normativo, ovvero mediante lo strumento della sperimentazione gestionale ex art. 7 della l.r. 29/2004.
Rispetto ai modelli esaminati in precedenza, questo assetto che riconduce Unità operative e Dipartimenti all’interno delle Aziende, ancorché secondo un diverso disegno complessivo, potrebbero far emergere alcuni vantaggi nella gestione del personale coinvolto, sotto il profilo economico e normativo, nonché dell’attribuzione di incarichi: potrebbe infatti essere ipotizzata la costituzione di un nuovo fondo per la contrattazione, con nuovo sistema di pesatura degli incarichi e delle strutture; la valutazione del personale e delle strutture seguirebbe percorso specifico conformato alla particolare caratterizzazione dell’Azienda e dell’attività dei Dipartimenti e delle Unità operative ad essa afferenti. Data l’unicità datoriale, la proiezione specifica delle attività e l’assenza di linee indeterminate di confine con altre strutture diversamente caratterizzate, potrebbero facilitare le linee di direzione tra Direttori dei Dipartimenti e Direttori di Unità operative afferenti, al di là della loro dislocazione territoriale. Anche per quel che riguarda le politiche di reclutamento da parte delle Aziende esse potrebbero essere proiettate sulle attività individuate, evitando incertezze negli indirizzi e negli obiettivi attribuiti anche alle strutture che svolgono altre funzioni all’interno della programmazione di area metropolitana. Infine, sotto il profilo della sicurezza, potrebbero emergere alcuni vantaggi organizzativi prodotti dalla unicità del soggetto datoriale, così come peraltro avverrebbe per il modello caratterizzato dalla codatorialità. Come è stato osservato nell’analisi delle attuali esperienze di integrazione, tuttavia, potrebbero permanere aspetti problematici per le attività svolte su Unità operative inserite in contesti operativi più generali facenti capo ad altre Aziende, aspetti che devono essere definiti in sede di programmazione e alta gestione anche mediante le indicazioni di un Organo di governo metropolitano.
5 L’ipotesi di integrazione tra Azienda ospedaliero-universitaria e Azienda USL
La piena integrazione tra Azienda USL di Bologna e Azienda ospedaliero-universitaria di Bologna è preclusa espressamente sul piano normativo, in ultimo sulla base di una disposizione contenuta nella legge di stabilità per il 2016, che riserva questo tipo di operazione alle sole Regioni a statuto speciale.
Al riguardo, si ricorda che la Regione, nell’ambito delle procedure per dare applicazione all’art. 116 della Costituzione, ha avanzato la richiesta di una maggiore autonomia in ordine alla definizione dei sistemi di governance delle proprie Aziende. In caso di esito favorevole di tali procedure, questa soluzione istituzionale potrebbe essere riconsiderata tra quelle percorribili anche per l’area metropolitana di Bologna. In particolare, in tale ipotesi, a fianco di una nuova Azienda ospedaliero- universitaria costituita a tendere da Dipartimenti di tipo specialistico potenzialmente in grado di qualificarsi come IRCCS, si potrebbe prevedere una nuova Azienda sanitaria-universitaria con la vocazione di realizzare la piena integrazione tra i livelli assistenziali territoriali e ospedalieri - ad esclusione delle più alte specialità - e di integrare pienamente le funzioni di ricerca e di formazione in questi ambiti di cruciale rilevanza per lo sviluppo futuro del Servizio sanitario.