Linee guida all’adempimento delle obbligazioni contrattuali nella situazione di emergenza sanitaria covid -19∗
Linee guida all’adempimento delle obbligazioni contrattuali nella situazione di emergenza sanitaria covid -19∗
Indice:
PARTE I: DESCRIZIONE DELLA POSIZIONE GIURIDICA DELLE IMPRESE ITALIANE, CON RIFERIMENTO ALLA NORMATIVA ITALIANA E ALLE PRINCIPALI DISPOSIZIONI RIGUARDANTI I CONTRATTI INTERNAZIONALI.
A. Breve sintesi delle misure di contenimento
B. Posizione giuridica delle imprese rispetto alla normativa nazionale: la responsabilità da inadempimento contrattuale
C. Posizione giuridica delle imprese nel panorama internazionale ed europeo
PARTE II: SINTESI DELLE SITUAZIONI DI INADEMPIMENTO TOTALE O INESATTO, CON RIFERIMENTO ALLE OBBLIGAZIONI CONTRATTE IN ITALIA E ALL’ESTERO.
II. 1. Inadempimento totale (e definitivo)
II.2. Adempimento Inesatto
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PARTE I: DESCRIZIONE DELLA POSIZIONE GIURIDICA DELLE IMPRESE ITALIANE, CON RIFERIMENTO ALLA NORMATIVA ITALIANA E ALLE PRINCIPALI DISPOSIZIONI RIGUARDANTI I CONTRATTI INTERNAZIONALI
A. BREVE SINTESI DELLE MISURE DI CONTENIMENTO
Delibera OMS 30.01.2020: a causa della diffusione rapida ed estesa del virus denominato Covid- 19 viene dichiarata l’emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale;
Delibera OMS 11.03.2020: dichiara pandemia il Covid-19.
Sintesi delle più rilevanti misure urgenti di contenimento nel territorio nazionale:
- Decreto-Legge (‘D.L.’) 23.2.2020, n. 6: misure urgenti per il contenimento e la gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19;
- ‘D.L.’ 02.03.2020, n. 9: misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19;;
- DPCM 04.03.2020, 08.03.2020, 09.03.2020, 11.03.2020 e DPCM 22.03.2020: ulteriori
disposizioni concernenti misure urgenti riguardanti il contenimento e la gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili su tutto il territorio nazionale, successivamente abrogati dal DPCM 10.4.2020 (chiusura delle scuole e di tutti i negozi, ad eccezione di negozi di alimentari, supermercati, farmacie e altri negozi di beni di prima necessità, etc.);
- DPCM 26 aprile 2020, in vigore dal 04.05.2020, che abroga il DPCM del 10.04.2020: Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, applicabili sull’intero territorio nazionale;
- D.L. 17.03.2020, n. 18 ‘Cura Italia’ ( convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020,
n. 27): misure per rafforzare il servizio sanitario nazionale e il sostegno economico a famiglie, lavoratori e imprese connessi all'emergenza epidemiologica causata da COVID-19;
- D.L. 25 marzo 2020, n. 19, misure di contenimento per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19;
- D.L. 08.04.2020, n. 23: Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali;
∗Aggiornate al 16 novembre 2020
- D.L. 16 maggio 2020, n. 33, Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l'emergenza Epidemiologica da COVID-19, le cui disposizioni si applicano dal 18 maggio al 31 luglio 2020;
- D.L. 19 maggio 2020, n. 34 ‘Rilancio’, Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonche' di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19;
- DPCM 17 maggio 2020, modificato dal DPCM 18 maggio 2020, che abroga il DPCM 26 aprile 2020, le cui disposizioni sono efficaci dal 18 maggio fino al 14 giugno 2020;
- DPCM 11 giugno 2020, recante ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica del Covid-19, le cui disposizioni si applicano dalla data del 15 giugno 2020 in sostituzione di quelle del DPCM 17 maggio 2020 e sono efficaci fino al 14 luglio 2020;
- Decreto-legge 28 ottobre 2020, recante ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese e giustizia, connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19;
- Decreto-legge 9 novembre 2020, n. 149, recante ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese e giustizia, connesse all'emergenza epidemiologica da COVID- 19;
- DPCM 3 novembre 2020 recante ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 maggio 2020, n. 35, recante «Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19», e del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2020, n. 74, recante «Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19”, che abroga il DPCM del 14 ottobre 2020.
In virtù dei provvedimenti di contenimento sopra elencati, si sintetizzano di seguito le posizioni delle imprese.
Periodo anteriore al 17 maggio 2020
QUADRO 1. - Sospendono totalmente la produzione industriale o l’attività commerciale (anche al dettaglio) le imprese:
• le cui attività non siano incluse negli Allegati 1, 2 e 3, art. 1, c. 1, lett. z), aa), bb), cc) DPCM 26.04.2020.
In ogni caso, le imprese le cui attività sono sospese, possono effettuare la spedizione verso terzi di merci giacenti in magazzino nonché la ricezione in magazzino di beni e forniture, previa comunicazione al Prefetto (art. 2, c. 8, DPCM 26.04.2020). Le imprese, le cui attività vengono sospese per effetto delle modifiche dei codici elencati nell’Allegato 3, completano le attività necessarie alla sospensione, compresa la spedizione della merce in giacenza, entro tre giorni dall’adozione del decreto di modifica (art. 2, c. 7, DPCM 26.04.2020)
Quadro 2. - Possono continuare a svolgere attività industriale e commerciale le imprese:
• che hanno potuto proseguire le attività industriali o commerciali, ove organizzate a distanza o con lavoro agile (art. 1, c. 1, lett. k), n), art. 2, c. 2, DPCM 26.04.2020);
• che svolgono attività di produzione, trasporto, commercializzazione e consegna di farmaci, tecnologia sanitaria e dispositivi medico-chirurigici, di prodotti agricoli e alimentari, nonché attività funzionale a fronteggiare l’emergenza (art. 2, c. 4, DPCM 26.04.2020);
• che erogano servizi di pubblica utilità, nonché servizi pubblici essenziali (art. 2, c. 3, DPCM 26.04.2020)
• che svolgono attività di distribuzione e consegna di prodotti deperibili e di generi di prima necessità (art. 2, c. 5, DPCM 26.04.2020)
Periodo fino al 4 maggio
Quadro 3. - Possono continuare a svolgere attività industriale e commerciale, previa comunicazione al Prefetto, le imprese:
• che svolgono attività funzionali ad assicurare la continuità delle filiere delle attività di cui all’Allegato 3, nonché delle filiere delle attività dell’industria dell’aerospazio, della difesa e delle altre attività di
rilevanza strategica per l’economia nazionale, autorizzate alla continuazione, e dei servizi di pubblica utilità e dei servizi essenziali (art. 2, c. 3, DPCM 10.04.2020).
• che svolgono le proprie attività utilizzando impianti a ciclo produttivo continuo (art. 2, c. 6, DPCM 10.04.2020);
• che svolgono attività dell’industria dell’aerospazio e della difesa, incluse le lavorazioni, gli impianti, i materiali, i servizi e le infrastrutture essenziali per la sicurezza nazionale e il soccorso pubblico, nonché le altre attività di rilevanza strategica per l’economia nazionale (art. 2, c. 7, DPCM 10.04.2020).
Il Prefetto può sospendere le attività elencate qualora ritenga che non sussistano le condizioni elencate dal Decreto Ministeriale. Tuttavia, fino all’eventuale atto di sospensione, dette attività si intendono esercitate legittimamente (art. 2, c. 3 e 6, DPCM 10.04.2020).
Periodo compreso tra il 18 maggio e il 14 giugno 2020:
Quadro 4. – Sono sospese:
• le attività sciistiche (art. 1, c. 1, lett. h), DPCM 17 maggio 2020)
• le attività di sale giochi, sale scommesse e sale bingo (art. 1, c. 1, lett. l), DPCM 17 maggio 2020)
• gli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche (art. 1, c. 1, lett. m), DPCM 17 maggio 2020);
• le attività didattiche in presenza nelle scuole di ogni ordine e grado, compresa l’Università, nonché sono sospesi i servizi educativi per l’infanzia (art. 1, c. 1, lett. q), DPCM 17 maggio 2020);
• sono sospese le riunioni, i congressi, i meeting e gli eventi sociali in cui è coinvolto personale sanitario o personale incaricato dello svolgimento di servizi pubblici essenziali o di pubblica utilità (art. 1, c. 1, lett. v), DPCM 17 maggio 2020);
• sono sospese le attività di centri benessere, centri termali, centri culturali e centri sociali (art. 1, c. 1, lett. z), DPCM 17 maggio 2020).
Nelle Università e nelle Istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica, per tutta la durata della sospensione, le attività didattiche o curriculari possono essere svolte, ove possibile, con modalità a distanza (art. 1, c. 1, lett. s), DPCM 17 maggio 2020)
Periodo compreso tra il 15 giugno e il 14 luglio 2020:
Quadro 5. - Sono sospese:
• le attività didattiche in presenza nelle scuole di ogni ordine e grado, compresa l’Università, nonché sono sospesi i servizi educativi per l’infanzia (DPCM 11 giugno 2020, art. 1, c. 1, lett. q);
• sono sospese le riunioni, i congressi, i meeting e gli eventi sociali in cui è coinvolto personale sanitario o personale incaricato dello svolgimento di servizi pubblici essenziali o di pubblica utilità (art. 1, c. 1, lett. v), DPCM 17 maggio 2020);
• attività che abbiano luogo in sale da ballo (sospese fino a data da definire: DPCM 11.06.2020, art. 1, c. 1, lett. m)
• fiere e congressi (attività sospese fino al 14.07.2020: DPCM 11 giugno 2020, art. 1, c. 1, lett. m))
• servizi di crociera da parte delle navi passeggieri di bandiera italiana (art. 7, c. 1, DPCM 11 giugno 2020);
• restano vietati gli spostamenti da e per Stati e territori diversi da quelli di cui all’art. 6, c. 1, DPCM 11 giugno 2020.
Nelle Università e nelle Istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica, per tutta la durata della sospensione, le attività didattiche o curriculari possono essere svolte, ove possibile, con modalità a distanza (art. 1, c. 1, lett. r), s), DPCM 11 giugno 2020)
Periodo compreso tra il 6 novembre e il 3 dicembre 2020 (DPCM 03.11.2020)
Quadro 6. – Misure di contenimento differenziate per zone di rischio
1. Sono totalmente sospese: le attività industriali, commerciali e altre attività economiche o sportive di cui all’art. 1, c. 9, lett. c), f), g), l), m), n), o), r), t), oo); all’art. 2, c. 4, lett. c); nonché le attività commerciali al dettaglio non elencate nell’Allegato 23 del DPCM 03.11.2020 (v. art. 3, c. 4, lett. b), c)).
2. Non sono sospese: le attività elencate nell’Allegato 23, DPCM 03.11.2020 (art. 3, c. 4, lett. b)).
3. Sono autorizzate:
- competizioni sportive (ex art. 1, c. 1. lett. e)) che prevedono la partecipazione di atleti, tecnici, giudici e commissari di gara, e accompagnatori provenienti da Paesi per i quali l’ingresso in Italia è vietato o per i quali è prevista la quarantena, purché questi soggetti, prima dell’ingresso in Italia, effettuino un test molecolare o antigenico per verificare lo stato di salute. Il test deve essere negativo e non antecedente a 72h dall’arrivo in Italia (v. art. 1, c. 9, lett. h) DPCM 03.11.2020). E’ altresì autorizzata l’utilizzazione degli impianti sciistici da parte di atleti professionisti e non professionisti, riconosciuti di interesse nazionale dal CONI, dal CIP e/o dalle rispettive federazioni. Gli impianti sono altresì aperti a sciatori amatoriali purché esistano linee guida da parte della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, validate dal Comitato tecnico-scientifico rivolte ad evitare aggregazioni ed assembramenti (art. 1, c. 9, lett. oo));
- attività didattiche in presenza di scuole per l’infanzia o primo ciclo di istruzione, nonché in forma flessibile e a distanza le attività didattiche di scuole secondarie e dell’Università (art. 1, c. 9, lett. s), u)).
4. Sono autorizzate, ma con gravi limitazioni, le attività dei servizi di ristorazione (bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie), poiché il servizio in presenza è possibile dalle h 5.00 alle h 18.00 (esclusa la ristorazione negli alberghi) e il consumo al tavolo è consentito per un massimo di quattro persone (salvo che siano tutti conviventi): art. 1, c. 9, lett. gg) DPCM 03.11.2020
B. Posizione giuridica delle imprese rispetto alla normativa nazionale: la responsabilità da inadempimento contrattuale
§ 1.- Il problema della responsabilità per inadempimento contrattuale può riassumersi nel quesito del come vengano determinati i limiti oltre i quali il debitore della prestazione rimasta, in tutto o in parte, inadempiuta non risponde della mancata soddisfazione dell’interesse del creditore. L’art. 1218 del codice civile (‘c.c.’) si riferisce all’inadempimento come a qualsiasi forma di mancata esecuzione della prestazione, compreso il ritardo e l’esecuzione della prestazione (qualitativamente o quantitativamente) inesatta, sebbene per ognuna di queste circostanze possano scaturire responsabilità e rimedi diversi.
L’inadempimento propriamente detto si verifica quando l’impossibilità sopravvenuta sia totale e definitiva; oppure quando il debitore abbia dichiarato di non voler adempiere (per qualsiasi ragione: anche proponendo eccezione di validità del contratto, o eccezione di inadempimento della controparte); oppure quando le situazioni di adempimento inesatto o di ritardo si trasformino o si prolunghino fino a non essere più idonee a soddisfare l’interesse del creditore. Le norme del codice civile sull’impossibilità sopravvenuta della prestazione (art. 1256 c.c., art. 1463 c.c. per i contratti sinallagmatici, ossia con obbligazioni a carico di entrambe le parti) stabiliscono i limiti alla responsabilità del debitore della prestazione ancora dovuta: l’impossibilità sopravvenuta può estinguere in tutto o in parte l’obbligazione diretta alla realizzazione dell’interesse del creditore, e può essere allo stesso tempo liberatoria per il debitore – anche solo temporaneamente: art. 1256, c. 2 c.c., con esonero da eventuali danni da ritardo - ove tale impossibilità non sia a lui imputabile: sia cioè dovuta a caso fortuito o forza maggiore. Le regole della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione riguardano, dunque, il rapporto tra il comportamento del debitore, al quale l’art. 1176 c.c. impone diligenza (ossia: prudenza e osservanza di regole tecniche1) e il limite alla sua responsabilità delineato dalla causa esterna non imputabile, ex art. 1218
c.c. (come ad esempio un’emergenza sanitaria dichiarata). In primo piano si pone l’impedimento (caso fortuito o forza maggiore) che determina l’impossibilità della prestazione in sé e per sé considerata, al quale è riconosciuta l’efficacia di liberare il debitore da responsabilità per l’inadempimento (o adempimento inesatto, o ritardo), e che può addirittura, estinguere del tutto l’obbligazione, qualora l’impossibilità si dimostri totale o definitiva; sempreché l’impedimento esterno (nel nostro caso: le misure di contenimento dovute all’emrgenza sanitaria) sia accompagnato dall’osservanza delle regole di diligenza da parte del debitore della prestazione2.
§ 2.- Le norme del codice civile in esame senz’altro impongono una ricostruzione della responsabilità delle imprese in termini di qualificazione oggettiva dell’inadempimento, scevra da ogni riferimento allo sforzo personale dell’obbligato. Tuttavia, rileva pur sempre il comportamento del debitore, e quindi, il suo (eventuale) atteggiamento negligente, sia in fase di attuazione del rapporto, cioè quando la prestazione è ancora possibile (art. 1176 c.c.), sia quando intervenga un evento impeditivo esterno (caso fortuito o forza maggiore) che la renda materialmente o giuridicamente impossibile, in tutto o in parte, o ne sospenda l’esecuzione (art. 1218 c.c., 1256, c. 2, c.c.). La questione del collegamento tra debito assunto e responsabilità si risolve, nel nostro ordinamento, conferendo centralità al dovere di diligenza imposto al debitore dall’art. 1176 c.c., fino a farlo assurgere a criterio di applicazione generale; restituendo, altresì, particolare importanza al contenuto del contratto e alla sua interpretazione secondo il criterio della buona fede oggettiva (artt. 1175 e 1366 c.c.), ai fini della ricostruzione del contenuto dell’obbligo assunto dal debitore e, quindi, dell’ampiezza della prestazione cui questi è tenuto per soddisfare l’interesse preteso dal creditore. Nella fase di esecuzione della prestazione, la previa ricostruzione del rapporto e la comparazione di interessi contrapposti nel quadro di valori garantiti dall’ordinamento e dalla Costituzione in particolare3, possono condurre alla liberazione del debitore,
1 Cass., 28 luglio 2005, n. 15781.
2 Cass., 8 giugno 2018, n. 14915; Cass., 10 giugno 2016, n. 11914; Cass., 23 febbraio 2000, n. 2059; Cass., 2007, n. 21973.
3 Cass., SU, 6 maggio 2016, n. 9140.
anche a prescindere dall’intervento di una causa esterna, e quindi per ragioni organizzative e finanziarie interne alla sfera di controllo del debitore, qualora la realizzazione dell’interesse del creditore comporti l’attuazione del rapporto coinvolgendo in misura eccezionale o smisurata l’impegno del debitore. L’imposizione di un obbligo di buona fede anche al creditore rende «abusiva», e perciò «inesigibile», la prestazione del debitore, ove essa richieda mezzi di attuazione eccezionali e soprattutto estranei rispetto al contenuto dell’obbligo assunto. In questo senso, l’interpretazione secondo buona fede rende semmai abusiva, in circostanze estreme, l’insistenza del creditore nel pretendere l’adempimento.
§ 3. – In virtù di quanto precisato, il rapporto tra diligenza (art. 1176 c.c.) e forza maggiore (art. 1218 c.c.) risulta coerente ove si affermi che il debitore sia diligente soltanto se fa quanto è possibile per adempiere e per opporsi agli eventuali fatti impeditivi (diligenza-prudenza, o diligenza-perizia nelle attività professionali qualificate), in maniera conforme al contenuto dell’obbligazione, ossia secondo una valutazione relativa ma oggettivamente apprezzabile. L’impossibilità è, dunque, oggettiva nel senso della non rilevanza delle normali difficoltà in cui il debitore personalmente si trovi, né del generico sforzo personale xxxxxxxx0, ma in quanto oggettivamente valutabile in funzione del contenuto del rapporto. Di conseguenza, detta impossibilità è anche relativa, e non assoluta, in quanto non è eseguibile una prestazione, seppure ancora materialmente o giuridicamente possibile, laddove intervengano impedimenti, anche interni all’organizzazione o alla situazione personale o economica del debitore, che si oppongono al conseguimento del risultato dovuto attraverso strumenti e modalità di attuazione del rapporto «normali», ossia commisurati al contenuto dell’obbligazione, definito in virtù degli obblighi reciproci di buona fede in funzione dei contenuti del rapporto obbligatorio. Qualora il rapporto tra diligenza e forza maggiore dovesse risolversi nel senso dell’imputabilità di quest’ultima e quindi della responsabilità del debitore, il rimedio previsto dal codice civile è quello del risarcimento dei danni da inadempimento, o da adempimento inesatto (artt. 1218, 1223 c.c.). Nel caso più specifico dell’impossibilità totale e definitiva della prestazione, che provochi un inadempimento importante imputabile al debitore, seguirà anche la risoluzione del contratto (artt. 1453, 1455 c.c.).
§ 4. -Quanto detto con riferimento agli obblighi reciproci di buona fede e alla ricostruzione del contenuto del rapporto risolve anche il problema dell’impossibilità temporanea, e del suo trasformarsi in definitiva (art. 1256, c. 2, c.c.): il debitore non sarà più tenuto alla prestazione quando il creditore non vi abbia più interesse; oppure qualora non possa più essere ritenuto obbligato, benché permanga un’utilità residua del creditore ma la pretesa di adempimento sia inesigibile, secondo buona fede. In questo caso, però, si dovrà tenere conto della corrispettività delle prestazioni e della durata complessiva del rapporto negoziale. Nei casi di contratti di durata con termine finale (tipicamente: la somministrazione periodica a scadenze fisse di una partita di merci), in particolare, in cui la controprestazione consista nel pagamento di un corrispettivo forfettario, l’impossibilità temporanea della prestazione (la sospensione di una o più somministrazioni, causa difficoltà o eccessiva onerosità nei trasporti) può diminuire il valore delle prestazioni eseguite: pertanto, si dovrebbero prevedere rimedi elastici, che consentano la riduzione della controprestazione in danaro, analogamente a quanto previsto dall’art. 1464 c.c. per l’impossibilità parziale sopravvenuta nei contratti con prestazioni corrispettive. Ragionando in tal modo, trovano razionale soluzione molte altre questioni legate all’incidenza riconosciuta a fatti successivi alla conclusione del contratto sull’equilibrio delle prestazioni corrispettive ovvero sull’esattezza dell’adempimento, tali da giustificare la possibilità di scioglimento del vincolo sulla base della teoria dell’eccessiva onerosità sopravvenuta o della presupposizione (v. infra, §§ 6, 7).
§ 5. - L’accertamento della non imputabilità dell’impossibilità sopravvenuta, estintiva (o sospensiva) dell’obbligazione assunta dal debitore non consente di regola semplificazioni aprioristiche, ricorrendo all’individuazione di cause estranee classificate come non imputabili perché non prevedibili e/o non evitabili, né la loro indicizzazione. Si tratta, al contrario, di un’operazione interpretativa
4 Cass. civ., 15 novembre 2013, n. 25777; Cass., 10 giugno 2016, n. 11914.
complessa, che spetta al giudice di merito effettuare caso per caso, tenendo conto della tipologia del rapporto, della natura, dell’oggetto e delle modalità di esecuzione della prestazione oggetto dell’obbligazione, a valle di una corretta distribuzione degli oneri di prova.
Tuttavia, nella Parte II delle presenti Linee guida, si propongono percorsi in grado di semplificare le possibili posizioni delle imprese assillate dal disagio economico per l’adempimento, proprio o della controparte, degli obblighi negoziali assunti durante o in epoca anteriore alle misure di contenimento per l’emergenza sanitaria. La stessa normativa di emergenza, infatti, propone alcuni automatismi nell’individuazione dell’impossibilità sopravvenuta: così nel caso di contratti di trasporto aereo, ferroviario e marittimo, stipulati da categorie determinate di soggetti destinatari delle misure di contenimento (art. 28 D.L. 09.03.2020, n. 9); così l’art. 88 D.L. 17.03.2020, n. 18, che richiama espressamente l’istituto della impossibilità sopravvenuta della prestazione per i contratti di soggiorno, di acquisto di biglietti per spettacoli, musei e altri luoghi della cultura. La disposizione che contiene un riferimento più generale alle misure di contenimento, quali elementi da valutare al fine di escludere o limitare la responsabilità del debitore, è l’art. 91 D.L. 17.03.2020, n. 18 (“Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”): sebbene riferita ai contratti pubblici, vi è ragione per ritenere (per quanto argomentato supra) che tale norma trovi applicazione più generale, anche con riferimento ai contratti commerciali conclusi tra privati (B2B, ai quali esclusivamente queste Linee guida fanno riferimento).
§ 6. - Le ipotesi di avvenimenti imprevedibili, causa di superamento dell'alea economica normale (i rischi contrattualmente assunti) originariamente stabilita dalle parti nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita5 (si pensi al caso del venditore che adempie alla sua obbligazione principale, il trasferimento della proprietà del bene, mentre il compratore non ha ancora eseguito la sua prestazione, cioé il pagamento del prezzo, o l'ha eseguita solo in parte, come nel caso di pagamento rateale) rientrano nella c.d. ‘eccessiva onerosità sopravvenuta’ e sono disciplinate dagli artt. 1467-1469
x.x. Xx pensi all’acquisto di una partita di grano dall’estero il cui prezzo per tonnellata sia indicizzato ai costi - divenuti ad oggi esponenziali a causa delle misure di contenimento - di trasporto. L’eccessiva onerosità può essere dovuta anche a svalutazione della prestazione: si pensi ai casi di vendita di beni mobili, con effetti immediatamente traslativi del diritto di proprietà, allorché i beni ceduti si svalutino notevolmente sul mercato (es.: compravendita di una partita di capi di abbigliamento della nuova collezione estiva 2020), o perdano le caratteristiche funzionali essenziali per le quali erano stati acquistati (es.: compravendita di un immobile adibito a sala conferenze). In tali ipotesi, le norme citate consentono alla parte onerata di chiedere la risoluzione del contratto, che può essere evitata se la parte contro la quale è domandata la risoluzione offra di modificare equamente le condizioni del contratto (art. 1469, cc. 1 e 3, c.c.).
Impossibilità sopravvenuta ed eccessiva onerosità sopravvenuta hanno ambito di applicazione e rimedi diversi. Quanto all’ambito di applicazione: l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione (diversamente dalla impossibilità sopravvenuta della prestazione) trova fondamento nell’esigenza di contenere entro limiti di normalità l’alea dell’aggravio economico della prestazione, salvaguardando cioè una parte dal rischio di un eccezionale aggravamento economico derivante da gravi cause esterne, straordinarie ed imprevedibili, di turbamento dei rapporti socio economici6. Quanto ai rimedi: nell’eccessiva onerosità sopravvenuta, a differenza dell’impossibilità assoluta, la risoluzione può essere evitata in favore del più conveniente rimedio ‘manutentivo’ della rinegoziazione del contratto. Tuttavia, occorre precisare che la decisione di modificare equamente le condizioni del contratto spetta alla parte che non subisce gli effetti iniqui dell’evento sopravvenuto (art. 1467, c. 3, c.c.). Solo nel caso di contratti con obbligazioni da una sola parte (tipicamente i contratti gratuiti; oppure la fideiussione), l'art. 1468 c.c. prevede una disciplina diversa: la parte onerata può solo chiedere la riduzione dell'obbligazione o la
5 x. Xxxx., 19 ottobre 2006, n. 22396; Cass., 23 febbraio 2001, n. 2661.
6 Cass., 25 maggio 2007, n. 12235.
modifica delle modalità di esecuzione, ma non può chiedere la risoluzione del contratto. Per quanto migliore rispetto alla disciplina dell’impossibilità sopravvenuta, la disciplina di cui agli artt. 1467 e 1468
c.c. si rivela non particolarmente efficace, in quanto – come si è visto - rimette la scelta della rinegoziazione alla parte contrattualmente ‘più forte’, e comunque non incoraggia, né tanto meno ‘obbliga’ le parti verso la revisione delle condizioni negoziali. In questo senso, tuttavia, sembra indirizzato il legislatore il quale, sia pure in sede ancora di disegno di legge-delega al Governo per la revisione del codice civile” (DDL Senato 1151) avrebbe previsto il “diritto delle parti di contratti divenuti eccessivamente onerosi per cause eccezionali ed imprevedibili, di pretendere la loro rinegoziazione secondo buona fede ovvero, in caso di mancato accordo, di chiedere in giudizio l’adeguamento delle condizioni contrattuali in modo che venga ripristinata la proporzione tra le prestazioni originariamente convenuta dalle parti».
§ 7. - Rispetto alla ‘frustrazione’ dell'assetto di interessi originariamente predisposto dalle parti, invece, non vi sono disposizioni espresse nel codice civile: si pensi al caso dell’affitto di un ramo di azienda la cui attività, a seguito della promulgazione della normativa di emergenza sanitaria, rientri nel Quadro 1. Anche per queste ipotesi (si parla di ‘presupposizione’) la giurisprudenza italiana prospetta la risoluzione del contratto (in applicazione analogica degli stessi artt. 1467-1469 c.c. 7) per il venir meno di una situazione di fatto, presupposta da entrambi i contraenti (o presupposta da una sola parte ma nota anche alla controparte), la cui persistenza o il cui verificarsi venga ad integrare il fondamento essenziale del contratto. L'accertamento della sussistenza di una circostanza presupposta consiste essenzialmente in un'operazione di raffronto tra l'assetto di interessi iniziale e il risultato concreto che le parti realizzerebbero dando esecuzione ad un negozio che esplicherebbe i suoi effetti sulla base di circostanze esterne mutate, e che perciò finirebbe col soddisfare interessi diversi da quelli originariamente assunti (secondo una nozione di ‘causa concreta’ del contratto, ormai accreditata in giurisprudenza). Ciò che giustifica il ricorso al rimedio della risoluzione del contratto non è il mutamento in sé delle circostanze presupposte, quanto piuttosto il risultato di tale sconvolgimento della situazione di fatto, e cioé infine il mutamento radicale dell'obbligazione originariamente assunta e lo squilibrio funzionale del negozio che da esso deriva. Nelle ipotesi di frustrazione dello scopo assumono notevole importanza parametri quali: l'avvenuta completa esecuzione di una delle prestazioni (p.e.: la consegna dell’immobile, negli esempi di locazione commerciale o affitto di azienda: in tal caso, il rimedio risolutorio dovrebbe essere seguito dall’immediato rilascio dell’immobile); il lasso di tempo che una (o entrambe) le parti hanno lasciato intercorrere tra il momento della stipulazione e quello dell’esecuzione del contratto (un eccessivo ed ingiustificato prolungamento nell'attesa dell'esecuzione della prestazione difficilmente potrebbe giustificare la risoluzione di un negozio perfettamente idoneo ad esplicare i suoi effetti se i contraenti avessero diligentemente adempiuto per tempo alle proprie obbligazioni, prima del verificarsi della causa esterna non imputabile).
C. Posizione giuridica delle imprese nel panorama internazionale ed europeo
§ 1. - La natura internazionale di un contratto stipulato tra soggetti appartenenti ad ordinamenti giuridici diversi, oppure la cui prestazione principale deve essere eseguita in un ordinamento diverso da quello italiano (tipicamente, nei contratti di distribuzione), rende impossibile la trattazione unitaria del problema dell’inadempimento, o dell’adempimento inesatto, per causa di forza maggiore sopravvenuta. Ciò in quanto le parti di un contratto internazionale conservano la libertà di scegliere la legge applicabile al rapporto negoziale8: pertanto, è alla legge applicabile al contratto che occorre fare riferimento caso per caso, per trovare la soluzione al tema in esame. Se, invece, le parti di un contratto internazionale non
7 Cass. civ., 11 agosto 1990, n. 8200; Cass. civ., 31 ottobre 1989, n. 4554.
8 Così l’art. 3 del Regolamento Ue n. 593/2008 applicabile ai contratti stipulati tra soggetti appartenenti a Stati membri dell’Unione Europea; così l’art. 57 della L. n. 218/1995, il quale a sua volta rinvia all’art. 3 della Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 per la scelta delle legge nei contratti conclusi al di fuori della spazio comunitario
scelgono la legge applicabile al contratto, l’individuazione della disciplina applicabile al rapporto negoziale viene fatta secondo le norme di diritto internazionale privato9 del Paese del giudice competente a risolvere la controversia.
Tuttavia, stante la difficoltà di classificare e sintetizzare le diverse discipline delle possibili leggi straniere applicabili ai contratti internazionali, in questa sede potrà essere di utilità il ricorso a principi e regole di natura uniforme (c.d. lex mercatoria), ai quali spesso le parti di un contratto internazionale fanno riferimento, anche in presenza di una legge nazionale che disciplini il rapporto privato. Il riferimento, dunque, è a convenzioni o testi di soft law (ossia non cogenti), di respiro europeo o extraeuropeo, che disciplinano (anche) la materia dell’inadempimento contrattuale.
Tra le fonti del diritto comune europeo sono state selezionate quelle riguardanti i rapporti patrimoniali tra privati tra professionisti (B2B), inclusa la Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di merci (‘CISG’, ratificata in Italia con l. 11 dicembre 1985, n. 765). Il riferimento ai testi
«privati» di armonizzazione del diritto europeo (soft law) è limitato ai casi più rilevanti: i Principles of European Contract Law (‘PECL’, 1999), che rappresentano l’antecedente storico dell’armonizzazione della disciplina del contratto in Europa; il Draft Common Frame of Reference (‘DCFR’, 2009), in quanto testo con ambito disciplinare più ampio, poiché affronta in maniera completa tutto il diritto delle obbligazioni, tanto da includere anch’esso il tema dell’inadempimento all’interno della categoria più ampia delle obbligazioni. Tra le fonti del diritto uniforme del commercio internazionale si farà riferimento ai Principi Unidroit (‘PICC’, 2010).
§ 2. - Come si è detto, il limite alla pretesa dell’adempimento sta nel fatto che il debitore sia considerato diligente, e perciò esonerato dall’adempiere, soltanto se fa quanto è possibile per adempiere e per opporsi agli eventuali fatti impeditivi, in maniera conforme al contenuto dell’obbligazione, ossia secondo una valutazione relativa e oggettivamente apprezzabile (Parte I, B., §§ 1-5). Inoltre, nella valutazione della diligenza professionale si fa uso di standards tipici e oggettivi, adeguati al contenuto del rapporto e alla necessità del momento. Confermano questa soluzione al problema della responsabilità per inadempimento i testi di soft law europei e internazionali, nei quali l’impedimento (causa di esonero da responsabilità del debitore) viene individuato in un evento non prevedibile al momento in cui l’obbligazione è sorta (forza maggiore, force majeure, Act of God) e che, una volta verificatosi, resta al di fuori della sfera di controllo del debitore dal quale non ci si deve ragionevolmente attendere di dover evitare o superare detto impedimento o le sue conseguenze (art. 79 CISG; art. 7.1.7. PICC; art. 8:108 PECL; art.
III. - 3:104(1)(2) DCFR). Le fonti di soft law citate adottano essenzialmente la stessa impostazione del nostro codice civile, ossia fanno riferimento ad una nozione generale di forza maggiore quale causa di impossibilità sopravvenuta non imputabile, senza ricorrere ad esemplificazioni e liste di eventi. Impostazione opposta è stata scelta, invece, dalla International Chamber of Commerce (‘ICC’) che, nel 2003, ha diffuso una clausola-tipo di forza maggiore in grado di sollevare il debitore da responsabilità per inadempimento (‘ICC Force Majeure Clause’). Detta clausola (che può essere inserita, in tutto o in parte, nei contratti internazionali per facilitare l’accertamento delle responsabilità nel caso del sopravvenire di eventi imprevedibili ed inevitabili) consta, infatti, di un principio generale (c. 1: il sopravvenire di un evento che sfugge al controllo della parte, imprevedibile al momento della conclusione del contratto e i cui effetti non possono essere né evitati né superati) e di una lista esemplificativa di eventi che soddisfano in via presuntiva i requisiti indispensabili imposti dalla clausola generale. Tra questi eventi, spiccano con chiarezza l’epidemia (c. 3, lett. e)) e il sopravvenire di atti autoritativi e ordini regolamentari (persino illegittimi: c. 3, lett. d)) che impediscano o rendano illecita l’esecuzione della prestazione dovuta. Tuttavia, anche in questo modello di disciplina, le note esplicative alla clausola ricordano a chi intenda avvalersi di essa che incombe su di lui l’onere di dimostrare la non evitabilità e l’impossibilità di controllare gli effetti della causa sopravvenuta: chiaro richiamo alla diligenza del comportamento del debitore e, quindi, all’opportunità di una valutazione del caso concreto (v. supra, PARTE I, B., § 5).
9 Le regole di diritto internazionale privato sono norme promulgate dagli ordinamenti nazionali che, attraverso appositi criteri di collegamento, consentono di individuare la legge applicabile a rapporti negoziali che presentano elementi di estraneità rispetto all’ordinamento giuridico di partenza.
§ 3. - Alla causa sopravvenuta e non imputabile rappresentata dalla forza maggiore si affianca la nozione di hardship, alla quale nel 2003 la Camera di Commercio Internazionale ha dedicato un’altra clausola-tipo (‘ICC Hardship Clause’): essa identifica un evento (anch’esso imprevedibile e fuori dal controllo delle parti) che rende eccessivamente onerosa l’esecuzione della prestazione contrattuale, alterando sostanzialmente l’equilibrio del contratto, o per l’accrescimento dei costi della prestazione di una delle parti, o per la diminuzione del valore della controprestazione (art. 6.2.2. PICC). E’ opportuno precisare che sia i PICC sia la ICC Hardship Clause esordiscono ricordando l’eccezionalità del riconoscimento dello squilibrio contrattuale, la regola generale rimanendo quella della sopportazione del rischio sopravvenuto (in omaggio al più generale principio pacta sunt servanda). Al contrario di quanto accade nella disciplina del nostro codice civile (PARTE I, B., § 6) la soft law internazionale (unitamente alla prassi contrattuale internazionale) privilegia la rinegoziazione dei contenuti negoziali al fine di ristabilire l’equilibrio originario del rapporto e la conservazione del contratto (v. Sez. 2 PICC), talvolta imponendo alle parti una revisione degli obblighi contrattuali (c. 2 ICC Hardship Clause) o comunque riconoscendo alla parte onerata un diritto alla revisione delle condizioni economiche turbate (art. 6.2.3. PICC). Come nel nostro Disegno di Legge per la riforma del codice civile (DDL Senato 1151), anche i PICC (art. 6.2.3(3)) si spingono fino ad investire il giudice del potere di adeguare il contratto alle condizioni contrattuali originarie, conferendogli l’onere di ripristinare l’originario equilibrio tra le prestazioni (e quindi l’originaria distribuzione dei rischi di impresa). Per la ICC Hardship clause, invece, nel caso di fallimento dei negoziati il contratto si scioglie (c. 3 ICC Hardship Clause).
PARTE II: SINTESI DELLE SITUAZIONI DI INADEMPIMENTO TOTALE O INESATTO, CON RIFERIMENTO ALLE OBBLIGAZIONI CONTRATTE IN ITALIA E ALL’ESTERO.
Di seguito si definiscono i percorsi del possibile inadempimento (o adempimento inesatto) delle obbligazioni assunte dalle imprese, dovuto alle misure di contenimento citate nella Parte I, A. delle presenti linee guida.
Tabella 1.- Inadempimento: Quadro generale
INADEMPIMENTO
INESATTO TOTALE (e definitivo)
Ritardo Quantitativamente inesatto Qualitativamente inesatto
Rimedi:
Risarcimento; Risoluzione del contratto; Esecuzione in forma specifica; Azioni di esatto adempimento
II. 1. Inadempimento totale (e definitivo)
Tabella 2 - Inadempimento totale (e definitivo): Dettagli
INADEMPIMENTO TOTALE (e
definitivo)
B. Imputabile A. Non imputabile
Effetto estintivo dell'obbligazione, ma il debitore NON è liberato: a suo carico nasce un'obbligazione sussidiaria rispetto alla quale il creditore avrà a disposizione diversi rimedi
XXXXXX (a favore del creditore): Risarcimento dei danni; Risarcimento in forma specifica; Risoluzione del contratto; azione di adempimento
Effetto etintivo dell'obbligazione e liberatorio per il debitore
L’inadempimento totale è identificato dalla non esecuzione della prestazione dovuta: pertanto, si deve trattare di prestazioni erogate in un'unica soluzione e indivisibili (nelle attività manifatturiere o professionali, nel settore commercio, trasporti, costruzioni: forniture di quantità determinate di beni, realizzazione di un manufatto/ristrutturazione edilizia), di regola soggette a termine essenziale nell’interesse della parte non inadempiente, sia per espressa pattuizione, sia per la natura dell’oggetto del contratto10. Oppure si può trattare di contratti di durata, ad esecuzione continuata, periodica o differita, in cui l’inadempimento della/e singola/e prestazione/i sia divenuto importante (avuto riguardo all’interesse del creditore: art. 1455 c.c.).
A. Non imputabile
L’inadempimento totale e definitivo costituisce la conseguenza più radicale della causa di impossibilità sopravvenuta (forza maggiore) rappresentata dall’emergenza sanitaria. L’impresa non è in condizione di consegnare una partita di merci (alla data stabilita); di eseguire una ristrutturazione o una costruzione edilizia (nei termini essenziali stabiliti dalle parti); di eseguire una prestazione professionale (es.: consegna di un software) rispettando il termine essenziale pattuito; di rispettare le forniture periodiche nei tempi e nelle quantità convenute. Tale impossibilità non imputabile si traduce nell’estinzione, totale e definitiva, dell’obbligazione assunta dall’impresa, la quale è contestualmente liberata da qualsiasi responsabilità nei confronti della controparte negoziale (PARTE I, B. § 1), qualora si tratti di:
A.1. Imprese che si trovino nella situazione indicata nel Quadro 1. e 6.1. (PARTE I, A.), ossia che abbiano totalmente sospeso l’attività industriale o commerciale (es.: produzione/commercio di capi di
abbigliamento); oppure nella situazione indicata nel Quadro 3. (PARTE I, A.), a partire dalla data dell’atto di sospensione dell’attività emanato dal Prefetto; o infine nella situazione indicata nel Quadro 4 e Quadro 5 (PARTE I, A.).
A.2. Imprese che, pur non avendo sospeso (neanche in parte) la loro attività (Quadro 2, Quadro 6.2., 6.3., 6.4., PARTE I, A.) non siano comunque in grado di eseguire la prestazione pattuita, in quanto subiscano l’inadempimento del fatto del terzo-subfornitore (es.: mancata produzione/commercio di preparati farmaceuti, derivati del petrolio, etc., imputabile alla mancata consegna/irreperibilità delle materie prime; mancata consegna del software divenuta impossibile nei termini pattuiti a causa dell’assenza/riduzione delle ore lavorative per epidemia che ha colpito gli
CERTIFICAZIONE CAMERA DI COMMERCIO
CERTIFICAZIONE CAMERA DI COMMERCIO
informatici addetti alla programmazione) o per fatto dello stesso creditore (chiusura totale dell’attività imposta dal lockdown e quindi impossibilità di ricevere le merci). A queste situazioni si possono aggiungere quelle in cui si trovino le imprese che, pur avendo potuto riprendere la loro attività, si trovino di fatto in una situazione in cui l’impatto delle misure igienico-sanitarie e di fruizione contigentata, la perturbazione (mondiale) delle catene di approvvigionamento, della mobilità e dei trasporti, la minore domanda da parte dei consumatori, l’effetto negativo dell’incertezza sui piani di investimento e i problemi di liquidità, i diversi (e incerti) periodi di quarantena fiduciaria imposti dagli Stati esteri anche ai lavoratori italiani in trasferta, sia tale da impedire o scoraggiare fortemente la ripresa a molte categorie economiche (es.: ristorazione, bar, pub, gelaterie, pasticcerie, servizi inerenti la cura della persona) oppure la regolare esecuzione e completamento degli impegni contrattuali. Si pensi all’obbligazione assunta da un’azienda italiana di fornitura e messa in opera di impianti in uno stato asiatico, rispetto alla quale il periodo di lockdown, prima, e la quarantena fiduciaria, poi, impediscano di completare l’esecuzione della prestazione,
10 Cass. 14 febbraio 2013, n. 3710.
ossia la messa in opera degli impianti, stante la necessità della presenza in loco di personale tenico specializzato. In tal caso, il periodo di quantena imposto ai tecnici (sia in entrata nello Stato asiatico; sia al rientro nello Stato italiano) dai rispettivi organi di governo, renderebbe eccessivamente oneroso il completamento della prestazione, soprattutto se si tratti di un’azienza di medie dimensioni, per la quale anche solo l’assenza dal lavoro di due o più tecnici specializzati per un periodo complessivo di circa due mesi (inclusi del periodo di permanenza all’estero e dei periodi di quarantena) comporterebbe un grave sconvolgimento nell’organizzazione e nella produzione aziendale. Peraltro, nel caso ipotizzato, trattandosi di un contratto internazionale, in assenza di un termine essenziale per l’esecuzione totale della prestazione, si potrà fare riferimento alle clausole di forza maggiore o di hardship.
Nei contratti internazionali, l’ipotesi delle autorizzazioni di una Pubblica Autorità per l’esecuzione del contratto può essere causa di esonero dalla responsabilità e, ove comporti l’impossibilità totale della prestazione, determina la risoluzione del contratto (art. 6.1.15, 6.1.17 PICC).
Nei casi di forza maggiore previsti dalla lex mercatoria e dal diritto comune europeo (Parte I, C, § 2) la parte che intenda avvalersi di questa esimente è tenuta a notificare in tempi ragionevoli alla parte non inadempiente l’avverarsi di un’ipotesi di impossibilità sopravvenuta non imputabile, in applicazione del più generale principio di buona fede, e a rischio di dover corrispondere i danni subiti dalla controparte per la mancata o ritardata notifica (art. 79(4) CISG; cc. 4, 5, 6, 8 ICC Force Xxxxxxx Xxxxxx; art. 7.1.7.(3) PICC; art. 8:108(3) PECL; art. III. – 3:104(5) DCFR)).
La possibilità di invocare la forza maggiore per fatto del terzo-subfornitore, pur prevista, viene severamente circoscritta per evitare che si traduca in una ‘scusa’ per il debitore e quindi in un aggravio ingiusto per il creditore. Pertanto, le stesse condizioni richieste per la force majeure (incontrollabilità, imprevedibilità e non gestibilità delle conseguenze dell’evento: v. PARTE I, C., § 2) devono travolgere sia il debitore sia il terzo- subfornitore (art. 79(2) CISG; c. 2 ICC Force Majeure Clause).
Tuttavia: in entrambi i casi A.1. e A.2. l’inadempimento torna ad essere imputabile, nonostante il sopravvenire di una causa straordinaria rappresentata dall’emergenza sanitaria, per lo meno in quattro situazioni (rispetto alle quali acquista maggiore rilevanza il comportamento diligente tenuto dall’imprenditore: Parte I, B., §§ 1, 2):
i. Allorquando le imprese che si trovino nell’ipotesi A.1. debbano eseguire prestazioni che attengano al completamento delle attività necessarie alla sospensione, compresa la spedizione di merci in giacenza (QUADRO 1 e 3, PARTE I.A.). In tal caso, l’imputabilità dell’inadempimento può considerarsi certa, in quanto l’adempimento delle prestazioni preparatorie alla sospensione, soprattutto in prossimità della scadenza dei termini per l’esecuzione della prestazione, è imposto dallo stesso DPCM 26.04.2020, all’art. 2, cc. 7 e 8 (e, in precedenza, dai DPCM 10.04.2020, art. 2, cc. 11 e 12, e 22.03.2020, art. 1, c. 4). In queste situazioni si deve necessariamente fare riferimento ad una valutazione più complessa del comportamento del debitore, che tenga conto della diligenza-perizia impiegata, anche nell’interesse del creditore, cioè secondo una valutazione di buona fede (Parte I, § 3).
Una soluzione analoga è ipotizzabile per i contratti internazionali: nello stesso solco dell’esigibilità dell’obbligazione pecuniaria si inseriscono le disposizioni contenute nella soft law europea. I PECL consentono al creditore di un’obbligazione pecuniaria di adempiere ugualmente, anche qualora essa sia scaduta e il debitore abbia dichiarato di non voler adempiere, a meno che non sia possibile una diversa pattuizione, oppure l’adempimento del creditore sia irragionevole, avuto riguardo alle circostanze (art. 9:101; nello stesso senso: art. III. – 3:301 DCFR).
ii. Allorquando la prestazione dell’impresa che si trovi in entrambe le ipotesi A.1. e A.2. abbia ad oggetto la prestazione di un’obbligazione pecuniaria. Per loro stessa natura, tali obbligazioni sempre ritenute possibili1:
restano a carico dell’imprenditore- debitore il rischio di convertibilità nel caso in cui l’istituto di credito non sia in grado di assicurare il cambio dell’assegno in moneta locale1; nonché il rischio del mancato finanziamento1. Si può
individuare, tuttavia, un margine di esonero da responsabilità anche per le obbligazioni pecuniarie in due ipotesi: a) in termini di esigibilità della prestazione da parte del creditore, con riferimento alle modalità di esecuzione della prestazione. Si pensi ai mezzi di pagamento utilizzati dall’imprenditore-debitore: il fatto del creditore, ossia la mancata accettazione delle modalità di pagamento diverse da quelle concordate, può presentare – nelle circostanze estreme dell’emergenza sanitaria in atto
- le caratteristiche di una causa impeditiva esterna, estintiva dell’obbligo del debitore. b) in termini di eccessiva onerosità della prestazione pecuniaria, laddove la controprestazione risulti significativamente (cioè rispetto all’alea normale del contratto) svalutata (Parte I, § 6).
iii. Allorquando la prestazione dell’impresa, che si trovi in entrambe le ipotesi A.1. e A.2., abbia ad oggetto un’obbligazione di genere (es.: consegna di una quantità definita di lana kashmir), nelle particolari ipotesi in cui l’impresa: a) possa ricorrere alla propria provvista: in tal caso, è difficile ipotizzare il lockdown come causa impedita della prestazione, per lo meno ove l’obbligazione di consegna sia venuta a scadenza entro il 25 marzo, data in cui appunto la consegna sarebbe dovuta essere predisposta o le merci eventualmente consegnate al vettore; b) possa procedere alla produzione in-house dei beni: in tal caso, occorrerà stabilire – alla luce dell’interpretazione del contratto secondo buona fede – quali mezzi avrebbe potuto utilizzare il debitore per adempiere e, in definitiva, i limiti della produttività rispetto al fatto impeditivo sopravvenuto, entro la data del 25 marzo.
iv. Nei casi in cui la stessa normativa di emergenza preveda eccezioni alla sospensione dell’attività, e la valutazione del comportamento diligente comunque debba prevalere. Si pensi ai casi in qui, nel Quadro 4, Quadro 5, Quadro 6.3. (Parte I.A.), Università e Istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica, per tutta la durata della sospensione, si siano rifiutate – pur avendone la possibilità - di svolgere le attività didattiche o curriculari con modalità a distanza (ex art. 1, c. 1, lett. s), DPCM 17 maggio 2020; art. 1, c. 1, lett. s) DPCM 11 giugno 2020; art. 1, c. 9, lett. s), u) DPCM 03.11.2020).
Nelle ipotesi descritte sub A.1. e A.2., la controparte contrattuale non inadempiente non avrà a sua disposizione alcun rimedio (c.d. ‘sanzionatorio’) per sollecitare la prestazione rimasta inadempiuta, o per ottenere l’equivalente in danaro. Dal momento in cui la prestazione è divenuta impossibile (momento che si può fare risalire all’intervento normativo o regolamentare restrittivo delle attività produttiva o commerciale dalla quale dipende l’adempimento della prestazione), il contratto potrà, quindi, essere risolto dal giudice con effetti retroattivi: allo scioglimento del contratto, i soli rimedi a disposizione della controparte sono di natura restitutoria e comportano obblighi di rimborso a carico della parte inadempiente, nel caso in cui la controprestazione sia stata già eseguita, in tutto o in parte, dall’altra parte negoziale. In particolare:
- le prestazioni pecuniare devono essere reciprocamente restituite al loro valore nominale (c.d. ‘debito di valuta’). Tuttavia, tenuto conto dell'effetto retroattivo della pronuncia di risoluzione, devono
essere corrisposti dall’accipiens interessi di natura compensativa, che servono a compensare il creditore del mancato godimento dei frutti della somma stessa11
- nel caso in cui la controparte abbia trasferito alla parte esonerata dall’adempimento la proprietà di cose determinate, esse devono essere restituite nello stato in cui si trovavano al momento della prestazione, e il diritto di proprietà ritorna al titolare originario. Tale restituzione, tuttavia, è soggetta a rimborso delle spese sostenute (es: nel caso di spese di custodia, o di riparazioni straordinarie: art. 1150, c 1, c.c.), e di un’indennità (per i miglioramenti apportati alla cosa: in tal caso, la misura dell’indennità è dovuta entro i limiti del minor costo tra la spesa e l’aumento di valore della cosa: art. 1150, cc. 2, 3 , c.c.), dovuti dalla parte non inadempiente a favore della parte esonerata dall’adempimento che restituisca cosa specifica. Nel caso in cui la cosa sia andata distrutta, alla parte non inadempiente spetterà la restituzione del valore della cosa e dei frutti percepiti. In ogni ipotesi di restituzione dei frutti, la parte esonerata dall’adempimento avrà diritto alla loro compensazione con le spese da questi sostenute per la manutenzione/riparazione ordinaria della cosa (art. 1150, c. 4, c.c.). A sua volta, qualora alla restituzione della cosa determinata sia tenuta la parte non inadempiente, questa ha diritto al rimborso di tutte le spese necessarie ed utili (restano escluse le spese voluttuarie, la cui natura è risarcitoria), anche oltre il limite di aumento di valore della cosa (v. art. 1479, c. 3, c.c.).
- restituzioni e rimborsi lasciano impregiudicati i diritti dei terzi che abbiano conseguito la proprietà, un diritto reale o anche un diritto personale di godimento sulla cosa, purchè si tratti di diritti opponibili (ad es., mediante trascrizione dei successivi atti di trasferimento del diritto).
Nel caso in cui nel contratto sia stato stabilito un termine essenziale, con la precisazione che alla scadenza del termine il contratto si intenderà sciolto, non sarà necessario l’intervento del giudice: il contratto si intende risoluto di diritto, ossia la parte non inadempiente non dovrà comunicare la risoluzione. Gli effetti del contratto cessano dal momento in cui il termine è scaduto e la prestazione non è stata eseguita, residuando le medesime conseguenze di cui supra (art. 1457 c.c.).
Ulteriore rimedi non sanzionatori, ma ‘manutentivi’, a favore della parte non inadempiente e nel senso di preservare la conservazione del contratto, possono essere:
- l’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.): rimedio di ‘autotutela’, che protegge l’interesse di una parte a non privarsi della propria prestazione senza poter beneficiare del vantaggio della controprestazione (divenuta impossibile per causa non imputabile): l’interesse, cioè, a non essere messo in una situazione di diseguaglianza rispetto alla parte inadempiente.
- l’eccezione di insolvenza (art. 1461 c.c.): rimedio di ‘autotutela’ che consente alla parte non inadempiente di sospendere l’adempimento se le condizioni patrimoniali della controparte sono divenute tali da mettere in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione.
Non si ritiene, invece, possibile il ricorso alla clausola solve et repete, eventualmente inserita nel contratto e sottoscritta specificatamente dalla parte aderente. Si tratta, infatti, di una clausola di previo pagamento che esclude contrattualmente il ricorso all’eccezione di inadempimento o all’eccezione di insolvenza: poiché si basa su un accertamento complesso della responsabilità della parte inadempiente, si deve ritenere escluso il ricorso ad essa nelle situazioni di emergenza come quella in esame.
B. Imputabile
Come argomentato nella Parte I, §§ 1-5, l’imputabilità dell’inadempimento (o dell’adempimento inesatto: II.2.) può essere affermata qualora l’impossibilità della prestazione non sia dovuta alla forza maggiore sopravvenuta, ossia alla normativa di contenimento per emergenza sanitaria (es.: la prestazione rientri nella attività non sospese: Quadro 2, Quadro 6.2., Parte I, A.) oppure, benchè causata dalla forza maggiore sopravvenuta, essa sia comunque imputabile al debitore (es.: pur rientrando la prestazione nel Quadro 1, Parte I, A., l’impresa non ha provveduto ad effettuare la spedizione verso terzi di merci giacenti in magazzino, ovvero a ricevere in magazzino beni e forniture, oppure non ne abbia dato
11 Cass., S.U., 04.12.1992, n. 12942.
comunicazione al Prefetto e la prestazione debba pertanto essere revocata: Quadro 3, Parte I, A.; oppure: la prestazione rientra nelle attività sospese ma l’inadempimento sia comunque imputabile al debitore: v. Parte II, 1., A.2. iv))
Nel caso di inadempimento imputabile, la parte non inadempiente avrà a disposizione:
- Rimedi ‘sanzionatori’, come il risarcimento del danno (art. 1223 c.c.) e la risoluzione del contratto (ove l’inadempimento sia importante). La parte non inadempiente potrà anche avvalersi della clausola penale, ove inserita nel contratto, diretta a fissare perventivamente e forfettariamente l’ammontare del risarcimento (art. 1382 c.c.). Xxxxxx trattenere la caparra confirmatoria, fornita dalla parte inadempiente a garanzia della prestazione; ovvero pretendere il doppio, nel caso in cui la parte inadempiente sia l'ac’ipiens (art. 1385 c.c.). Nel caso in cui l’obbligazione secondaria di risarcire il danno resti anch’essa inadempiuta, la parte non inadempiente potrà ricorrere all’secuzione forzata (art. 2910 c.c.), forma grave di attuazione coattiva del diritto del creditore che necessita di un presupposto processuale qual è l’esistenza di un titolo esecutivo (sentenza, cambiale, atto pubblico).
- Rimedi ‘manutentivi’, come l’azione di adempimento, diretta ad ottenere la condanna del debitore all’adempimento dell’obbligazione (che però non può essere chiesta quando sia stata domandata la risoluzione: art. 1453, c. 2, c.c.). Oppure le azioni di regolarizzazione della prestazione (riparazione o sostituzione del bene oggetto dell’obbligazione rimasta inesattamente adempiuta). Oppure il risarcimento in forma specifica (art. 2058 c.c.), mezzo di rimozione diretta delle conseguenze pregiudizievoli dell’inadempimento che si risolve nel pretendere una prestazione diversa e succedanea rispetto a quella originariamente dovuta. Siccome si tratta di nuova prestazione, occorre una verifica in termini di onerosità per il debitore; in tal caso il giudice potrà disporre che il risarcimento avvenga per equivalente.
II. 2. Adempimento inesatto
Tabella 3. – Adempimento Inesatto Non Imputabile: Dettagli
B. Qualitativamente
A. Quantitativamente
ADEMPIMENTO INESATTO
C. Ritardo
Le ipotesi di inesatto adempimento possono riguardare sia prestazioni unitarie, da erogarsi in un’unica soluzione perché indivisibili (II.1.) o ad esecuzioni ripartite (es.: consegna di una quantità definita di grano, in due tranches successive, restituzione della somma unica di danaro mutuata in ratei stabiliti secondo un piano di riparto contenuto nel contratto di finanziamento); sia prestazioni ad esecuzione continuata (es.: forniture di energia elettrica, gas, vapore, acqua) o periodica (es.: fornitura di prodotti o servizi aventi contenuto digitale on demand, consegna a scadenze fisse di giornali, generi alimentari, canoni di locazione, etc.), tipiche dei c.d. ‘contratti di durata’. L’inesattezza dell’adempimento solleva difficoltà interpretative, dovute alla valutazione del comportamento del debitore secondo il canone della diligenza e alla luce del criterio della buona fede (Parte I, §§ 1-3). Non è possibile, insomma, individuare un principio generale applicabile ai contratti di durata ovvero ai rapporti giuridici di natura privatistica pendenti, nei quali cioè la prestazione di una o più parti non sia stata ancora compiutamente eseguita. Tuttavia, anche nei casi di inesattezza quantitativa può essere utile richiamare nuovamente l’art. 91 D.L. 17.03.2020 il quale, come precisato innanzi, afferma che il rispetto delle misure di contenimento è sempre valutato ai fini dell'esclusione della responsabilità del debitore (ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c.), anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.
In sintesi, nei casi di impossibilità sopravvenuta derivati dai provvedimenti restrittivi dell’autorità per l’emergenza sanitaria in corso, le inesattezze qualitative, quantitative, ovvero il ritardo nell’esecuzione della prestazione possono dirsi non imputabili nelle situazioni che seguono.
A. Inesattezza quantitativa
a) Impossibilità parziale (es.: svolgimento di attività lavorativa per un tempo inferiore al convenuto; consegna di una quantità di merce inferiore a quella stabilita nel contratto; mancata messa in esercizio degli impianti, a
completamento della prestazione di fornitura): qualora l’impresa si trovi nelle situazioni A1. e A2., descritte sub PARTE II.1., il creditore ha diritto alla parte della
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prestazione rimasta possibile (artt. 1258, 1464 c.c.). Ciò è possibile innanzitutto se la prestazione del creditore sia anche essa facilmente divisibile, come avviene per la controprestazione in danaro, o come può avvenire in taluni contratti di fornitura (si pensi alla vendita di impianti, cui si aggiunge l’obbligo del fornitore della messa in opera degli stessi avvalendosi unicamente del lavoro di tecnici aziendali specializzati). Il debitore non adempiente non sarà tenuto alla prestazione quando il creditore non via abbia più interesse; oppure qualora non possa più essere ritenuto obbligato, benché permanga un’utilità residua del creditore ma la pretesa di adempimento sia inesigibile (v. PARTE I, § 4.). In quest’ultimo caso, benché non sia prospettabile l’azione di adempimento a favore della parte non inadempiente per la restante parte dell’obbligazione, si dovrà tenere conto della corrispettività delle prestazioni e della durata complessiva del rapporto negoziale (v. infra, sub A.b)).
b) Impossibilità temporanea: qualora l’impresa si trovi nelle situazioni A1. e A2, descritte nella PARTE II.1., si verifica la sospensione dell’esecuzione, senza che alcuna responsabilità sia imputabile al debitore (art. 1256, c. 2, c.c.). Anche in questo
caso, come per l’impossibilità parziale, la parte non inadempiente non ha rimedi a sua disposizione, ma bisogna tenere conto della corrispettività delle prestazioni e della durata complessiva del rapporto. Nei casi di contratti di durata con termine finale, in particolare, in cui la controprestazione consista
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nel pagamento di un corrispettivo forfettario, l’impossibilità temporanea della prestazione può diminuire il valore delle prestazioni eseguite: pertanto, benché non vi sia espressa disposizione in tal senso, è possibile la scelta (rimessa al creditore) tra la riduzione del corrispettivo e la risoluzione del contratto (in applicazione analogica dell’art. 1464 c.c.) Tale disposizione, infatti, tende al ripristino dell’equilibrio contrattuale, rimettendo alle parti una ridefinizione del sinallagma in conseguenza di un mutamento imprevedibile direttamente incidente sulla prestazione pattuita: tende, dunque, alla conservazione del contratto, subordinando il recesso al difetto di un apprezzabile interesse all’adempimento parziale, e presuppone una logica del tutto differente da quella risarcitoria. Ad un risultato simile, ma meno efficace, si perviene ove si fosse in un’ipotesi di eccessiva onerosità sopravvenuta: fatto salvo il caso dei contratti con obbligazioni da una sola parte, se la parte onerata dovesse, infatti, chiedere la risoluzione del contratto, solo la parte a cui la domanda di risoluzione è rivolta potrebbe proporre l’adeguamento del contratto alle nuove condizioni economiche (Parte I, B., § 6). Ciò è vero soprattutto nei casi:
b). 1. dei contratti di locazione, sia ad uso abitativo sia ad uso commerciale (es.: l’affitto d’azienda, o di ramo d’azienda), rispetto ai quali l’impossibilità temporanea o parziale può trasformarsi o nell’eccessiva onerosità di una delle prestazioni in esecuzione (canoni di locazione), ovvero persino in una frustrazione dello scopo del contratto (v. Parte I, §§ 6, 7). In particolare, nel caso di locazioni commerciali il cui canone sia divenuto eccessivamente oneroso (o per la perdita di valore di mercato, oppure per il mancato/ridotto utilizzo dell’immobile), la richiamata disposizione generale sull’impossibilità parziale (art. 1464 c.c.) viene integrata e sostenuta da una norma speciale, l’art. 1623 c.c. (‘Modificazioni sopravvenute del rapporto contrattuale’), il quale espressamente prevede che “se, in conseguenza di una disposizione di legge, o di un provvedimento dell'autorità riguardanti la gestione produttiva, il rapporto contrattuale risulta notevolmente modificato in modo che le parti ne risentano rispettivamente una perdita e un vantaggio, può essere richiesto un aumento o una diminuzione del fitto ovvero, secondo le circostanze, lo scioglimento del contratto”. Si tratta di norme più adeguate, soprattutto rispetto al rimedio ordinario del recesso per gravi motivi12 previsto dalle leggi speciali in materia di locazioni (v.
12 X. Xxxx., 24 settembre 2019, n. 23639; Cass., 30 maggio 2014, n. 12291; considera gravi motivi avvenimenti del tutto estranei alla sfera di controllo del conduttore.
artt. 4 e 27, u.c. L. 27.07.1978, n. 392; art. 3, L. 09.12.1998, n. 431); rimedio che, comunque, non solo consiste nel non auspicabile scioglimento del rapporto (e contestuale restituzione dell’immobile da parte del conduttore), ma impone 6 mesi di preavviso: tempo del tutto inutile nella situazione straordinaria di emergenza sanitaria in corso. Nella diversa ipotesi in cui lo scopo della locazione dovesse essere frustrato dalle sopravvenute disposizioni di contenimento, facendo riferimento ai più recenti orientamenti giurisprudenziali la parte gravata potrà chiedere la risoluzione immediata del contratto.
b) 2. Nei contratti di appalto privato. L’impossibilità temporanea o parziale si può trasformare in eccessiva onerosità di una delle prestazioni ancora in esecuzione. In tal caso, la parte onerata potrà chiedere la rinegoziazione del prezzo in applicazione dell’art. 1664 c.c. (‘Onerosità e difficoltà dell’esecuzione’): “Qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d'opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto, l'appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo. La revisione può essere accordata solo per quella differenza che eccede il decimo”. Tuttavia, anche per situazioni in cui l’eccessiva onerosità della prestazione non ecceda il decimo del prezzo convenuto, la rinegoziazione del prezzo può risultare la soluzione più adeguata rispetto alla tipologia e all’oggetto del contratto di durata (Parte, I, § 6).
Nei contratti internazionali e nel diritto europeo dei contratti, la risoluzione dell’intero contratto è possibile solo ove l’adempimento parziale rappresenti un inadempimento importante. Si pensi ai casi di consegna dell’hardware ma non del software customizzato; oppure alla consegna di una macchina ma senza i documenti necessari per l’immatricolazione: in queste situazioni la prestazione può anche essere considerata come indivisibile, e allora la risoluzione del contratto è giustificata dal fatto che si tratti di un inadempimento totale, non parziale (art. 51(2) CISG; art. 9:302 sent 2 PECL; art. III.- 3:506(2)(b) DCFR). Nei casi di contratti di durata ad esecuzione periodica la CISG consente persino il ricorso alla risoluzione per le prestazioni future, nel caso di mancata fornitura di una sola somministrazione, se il creditore ha ragione di ritenere che anche le altre forniture non siano esatte, qualora il suo interesse non sia soddisfatto perché la prestazione passata e quella futura sono interdipendenti e l’inadempimento può considerarsi essenziale (art. 73(2)).
Nei casi di impossibilità temporanea (si pensi alla fornitura di impianti, ove non si sia potuto procedere alla loro messa in esercizio da parte del personale specializzato dipendente dalla stessa impresa di fornitura, come pure dedotto in obbligazione): la restante obbligazione del debitore è sospesa, senza ulteriori conseguenze, fino alla durata dell’evento impeditivo (art. 79(3) CISG; c. 6 ICC Force Majeure Clause). L’insistenza del creditore nel pretendere l’esecuzione (totale) della prestazione sarebbe contraria a buona fede: principio generale del diritto delle obbligazioni pacificamente assunto anche nei contratti internazionali (artt. 1:201, 6:102 PECL; art. 1:103 DCFR; art. 1.7. PICC). Nel caso sopra ipotizzato, la sospensione della messa in esercizio degli impianti può condurre alla risoluzione del contratto solo ove il suo perpetuarsi trasformi l’impedimento in un inadempimento grave e definitivo (art. 8:108(2) PECL; art. III.- 3:104(3) DCFR)). Quando un inadempimento (della prestazione residua) può intendersi grave e definitivo? Anche il prolungarsi delle limitazioni alle frontiere può essere considerato come un’ulteriore ragione di sospensione dell’esecuzione e del completamento della prestazione, avuto riguardo alle dimensioni dell’azienda fornitrice e al periodo di totale inutilizzabilità nella sede di produzione di importanti risorse del personale. E’ ben vero che il principio pacta sunt servanda viene ricordato anche nel comma 1 della ICC Hardship Clause; tuttavia, l’onerosità eccessiva (nel senso di ulteriore rispetto ai regolari rischi contrattuali assunti) della prestazione, lamentata da una delle parti, impone un dovere di rinegoziazione del contratto: v. comma 2 ICC Hardship Clause; art. 6:111(2) PECL; art. 6.2.3.(1) PICC. Nell’esempio sopra ipotizzato, i termini della rinegoziazione potrebbero riguardare la distribuzione dei costi del fermo dei tecnici per il mese imposto da entrambe le autorità governative, italiana e asiatica.
Il prolungarsi di questa situazione oltre le ragionevoli aspettative riposte dalle parti nell’esecuzione totale e tempestiva delle obbligazioni contrattuali potrà essere causa di risoluzione del contratto solo ove l’interesse di entrambe le parti risulti frustrato (v. ICC Force Majeure Clause).
B. Inesattezza qualitativa
a) Vi possono essere diverse tipologie di inesattezze qualitative nelle obbligazioni attributive (traslative o costitutive di un diritto, quali: vendite/forniture periodiche di beni o servizi; costituzione di garanzie reali o personali): qualità inferiore alla media (art. 1178 c.c.), vizi della cosa che la rendano inidonea all’uso o ne diminuiscono apprezzabilmente il valore; mancanza di qualità essenziali o promesse (mancanza di attributi di materia, struttura o misura che rendono i beni inadeguati alla loro funzione o che sono indicati dal titolo come dovuti); inesattezza giuridica (esistenza di diritti minori altrui); irregolarità legale (non corrispondenza a requisiti legali obbligatori); alienità (vendita di cosa altrui).
b) Si può verificare il caso della c.d. ‘inesattezza locativa’, per cui a causa delle difficoltà nei trasporti la prestazione dovrà essere eseguita in luogo diverso da quello previsto dal titolo dell’obbligazione (o dalla legge). Va contemperato secondo buona fede con l’interesse del creditore, perché potrebbe essere di scarsa importanza e quindi tollerabile; oppure trasformarsi in impossibilità totale e definitiva della prestazione.
In entrambi i casi, la scusabilità dell’inadempimento inesatto è più difficilmente imputabile alle misure restrittive imposte dall’emergenza sanitaria, anche qualora l’impresa si trovi nelle situazioni A1. e A2. descritte sub § II.1. Al più si può incoraggiare la parte non inadempiente a rinunciare all’azione di esatto adempimento, invogliandola semmai ad optare per la riduzione del prezzo, stante l’onerosità cui potrebbe incorrere l’impresa inadempiente nel regolarizzare la prestazione sotto il profilo qualitativo attraverso la riparazione o sostituzione dei prodotti (difficoltà nei trasporti, riduzione delle risorse umane disponibili, etc.)
I rimedi più convenienti in tutti i casi di adempimento inesatto
- L’eccezione di inadempimento, che non ha come presupposto la responsabilità della parte inadempiente, non richiede il requisito della gravità dell’inadempimento, ma deve essere esercitato nei limiti della buona fede contrattuale, criterio generale che impone al creditore di esercitare i propri poteri discrezionali in modo da salvaguardare il proprio interesse compatibilmente con l’utilità della controparte. In quest’ottica, l’eccezione di inadempimento può anche essere parziale, ossia proporzionale all’inadempimento (anche non imputabile) del debitore.
Nei contratti internazionali, il diritto comune europeo e la lex mercatoria prevedono l’eccezione di inadempimento come rimedio di ‘autotutela’ quando le prestazioni reciproche devono essere interamente eseguite (art. 58 CISG, art. 9:201 PECL; art. 7.1.3. PICC; art. III.-3:401 DCFR).
- L’eccezione di insolvenza (art. 1461), che conferisce ad una parte la possibilità di sospendere l’esecuzione della propria prestazione (ancor prima del verificarsi dell’inadempimento della controparte) se le condizioni patrimoniali della controparte siano divenute tali da mettere in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione.
Per i contratti internazionali, il diritto comune europeo ha ragionato sul rimedio della riduzione del prezzo, come di una soluzione in grado di realizzare un perfetto bilanciamento di interessi tra le parti, consentendo alla parte adempiente di ridurre il corrispettivo proporzionalmente alla prestazione ricevuta (o alternativamente: imponendo alla parte inadempiente di restituire parte dei pagamenti ricevuti). Si utilizza, infatti, una formula di riduzione proporzionata alla diminuzione di valore della prestazione al momento dell’adempimento rispetto al valore che in pari tempo avrebbe avuto una prestazione conforme. Questa tendenza si registra nei PECL (art. 9:401) e nel DCFR (art. III.- 3:601). Nella vendita europea di beni mobili, la riduzione proporzionale del prezzo segue il modello della CISG (art. 50).
C. Ritardo
Per tutte le imprese, i ritardi ‘tollerabili’ dovuti ai provvedimenti di contenimento per l’emergenza sanitaria - se ragguagliati al contenuto del rapporto e all’interesse del creditore - possono rappresentare cause di inesigibilità della prestazione da parte del creditore, anche ove si tratti di obbligazione pecuniaria. La tollerabilità può essere indicativamente commisurata alla durata delle misure di contenimento imposte nel periodo di emergenza sanitaria (5 marzo – 17 maggio 2020); tuttavia, sempre con riferimento al contenuto del rapporto e all’interesse del creditore, il periodo di tollerabilità può estendersi anche ben oltre questi termini:
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indicative sono, in tal senso, le misure a sostegno delle imprese previste dal D.L. 17.03.2020, ove si prorogano fino a 12 mesi i termini per i finanziamenti agevolati (art. 58, c. 1) e fino a 6 mesi i rimborsi di mutui e finanziamenti rateali (art. 56, c. 2, lett. c)). Inoltre, sempre indicativamente, il medesimo D.L. qualifica come inadempimento il protrarsi del mancato pagamento ad oltre 90 giorni dalla data di scadenza, sebbene limitatamente al caso specifico della trasformazione in crediti di imposta della cessione dei crediti pecuniari vantati nei confronti di debitori inadempienti (art. 55, cc. 1 e 5). Sempre a proposito della scusabilità del ritardo nei pagamenti, giova ricordare l’art. 11 del D.L. 08.04.2020, n. 23, il quale sospende fino al 30 aprile 2020 la scadenza dei termini di vaglia cambiari, cambiali e altri titoli di credito emessi prima del 9 aprile 2020.
Nei contratti internazionali e nel diritto comune europeo, la distinzione tra adempimento qualitativamente, quantitativamente inesatto e ritardo tende ormai ad essere superata. L’inesattezza dell’adempimento (ritardo incluso) viene disciplinata secondo un’unica logica, quella dell’induzione del debitore alla corretta esecuzione della prestazione ancora possibile attraverso il riconoscimento ad un contraente di un potere unilaterale di modificare o estinguere una relazione contrattuale. A questo scopo servono le azioni ‘manutentive’ di esatto adempimento (art. 7.1.4. PICC; art. 62 CISG; art. 9:102 PECL; Ch. 3, sec. 2 DCFR), la dilazione del termine di esecuzione prima di chiedere la risoluzione (art. 7.1.5. PICC; art. 63 CISG; art. 9:303(3) PECL; III.- 3:103 DCFR) il rimedio della riduzione del prezzo (v. supra).
La clausola di forza maggiore messa a disposizione dalla ICC nel 2003, utilizzata come modello in molti contratti internazionali, si limita a prevedere la sospensione dell’esecuzione delle obbligazioni rimaste inadempiute e dei relativi rimedi (a favore della controparte), per tutto il periodo della durata della causa di forza maggiore. La risoluzione del contratto, anche nella logica della ICC Force Majeure Xxxxxx (§ 8), resta l’ultima ratio: è stato escluso il ricorso ad un periodo pre-determinato, ed è stata invece preferita una formula che consente la risoluzione del contratto solo allorquando la durata dell’impedimento privi una o entrambe le parti delle ragionevoli aspettative riposte nell’esecuzione totale e tempestiva delle obbligazioni contrattuali. Questa formula dovrebbe essere preferita nei contratti internazionali; in taluni casi, invece, le parti inseriscono tempistiche predeterminate (p.e.: 180 giorni di ritardo dal momento della notifica dello stato di impossibilità sopravvenuta per causa di forza maggiore), che sortiscono l’unico risultato di complicare la ricostruzione dei reciproci obblighi residui delle parti, con il rischio di alimentare il contenzioso.