DIFETTO DI CONFORMITÀ DELLE MERCI NELLA VENDITA INTERNAZIONALE
Contrattualistica Internazionale
DIFETTO DI CONFORMITÀ DELLE MERCI NELLA VENDITA INTERNAZIONALE
Dogana e Fiscalità Internazionale
ESPORTAZIONE CON TRASPORTO A CURA DEL CONCESSIONARIO NON RESIDENTE – NUOVE “CONTRADDIZIONI” DELLA CLAUSOLA DI RESA EX WORKS
RISPOSTA AI QUESITI DEGLI ABBONATI
a cura di Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxxx
LE OPERAZIONI TRIANGOLARI COMUNITARIE
di Xxxxxxx Xxxxx e Xxxxxxxx Xxxxxxx
IL CERTIFICATO EUR 1 E’ ANCORA RICHIESTO NELLE ESPORTAZIONI VERSO IL MESSICO?
Anno IV, n. 20 - 15 ottobre 2008
Contrattualistica Internazionale
DIFETTO DI CONFORMITA’ DELLE MERCI NELLA VENDITA INTERNAZIONALE
di Xxxx Xxxxxxxxx
La legge applicabile
Uno degli aspetti pratici di maggiore rilevanza nel commercio internazionale è il difetto di conformità delle merci, per
la cui definizione occorre identificare la legge applicabile al relativo contratto di vendita.
Sul problema della legge applicabile possono presentarsi due diverse ipotesi: le parti indicano la legge applicabile al contratto, nel qual caso il contratto è regolato dalla disciplina dettata dall’ordinamento nazionale concordato, ovvero le parti non esprimono alcuna preferenza. In quest’ultimo caso, la legge applicabile al contratto viene individuata grazie ai criteri di diritto internazionale privato. In proposito, assume un ruolo fondamentale la Convenzione di Roma del 1980, grazie alla quale si evitano sia il conflitto tra ordinamenti nazionali sia la sovrapposizione di norme disomogenee.
La Convenzione di Vienna
Alla Convenzione di Roma, che ha carattere generale, si aggiungono altre convenzioni internazionali che dettano nor- me sostanziali uniformi per singoli istituti o tipi contrattuali. La più importante convenzione di questo tipo è la nota Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di merci, la quale si applica:
• direttamente quando le parti di un contratto di vendita di merci hanno la loro sede d’affari in Stati che sono contraenti della Convenzione; oppure
• quando le norme di diritto internazionale privato riferibili al contratto portano all’applicazione della legge di uno Stato contraente.
Si evince, quindi, che alla vendita di beni mobili tra soggetti aventi la sede d’affari in Stati diversi, la Convenzione di Vienna è applicabile in un considerevole numero di casi. Di qui la necessità di affrontare il difetto di conformità delle merci nella vendita internazionale in base all’analisi della disciplina dettata in proposito dalla Convenzione.
La conformità dei beni
Secondo l’art. 35 della Convenzione di Vienna, il venditore deve consegnare merci la cui quantità, qualità e genere, nonché imballaggio e confezione, corrispondono a quelli previsti dal contratto. Se le parti non convengono altrimenti, le merci sono conformi al contratto solo se:
a) sono idonee agli usi ai quali servirebbero abitualmente merci dello stesso genere;
b) sono atte a ogni uso speciale, espressamente o tacitamente portato a conoscenza del venditore al momento
della conclusione del contratto;
c) possiedono le qualità di una merce che il venditore ha presentato all’acquirente come campione o modello;
d) sono imballate o confezionate secondo i criteri usuali per le merci dello stesso tipo, oppure, in difetto di un criterio usuale, in maniera adatta a conservarle e proteggerle.
Le clausole contrattuali che regolano i vizi possono modificare tali previsioni, adattandole al caso specifico. Tali clauso- le richiedono tuttavia una particolare attenzione da parte del redattore del contratto. Infatti, mentre il venditore tenderà a ridurre la propria responsabilità, per evitare future contestazioni, il compratore tenderà ad essere tutelato nel modo più ampio.
La denunzia dei vizi
La Convenzione di Vienna, in materia di denunzia dei vizi, prevede che l’acquirente debba esaminare le merci o farle esaminare nel termine più breve possibile, considerate le circostanze. Se durante l’esame, viene scoperto un difetto di conformità, l’acquirente decade dal diritto di far valere tale difetto se non lo denuncia al venditore, precisandone la natura, entro un termine ragionevole a partire dal momento in cui l’ha constatato o avrebbe dovuto constatarlo.
Le espressioni “entro un termine ragionevole” e “nel più breve tempo possibile” hanno carattere generale e devono perciò essere valutate in concreto, caso per caso, dal giudice, il quale, nella sua decisione, deve tenere conto di varie cir- costanze. Per esempio, se oggetto del contratto sono beni deperibili, il tempo ragionevole della denuncia è più breve di
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DIFETTO DI CONFORMITA’ DELLE MERCI NELLA VENDITA INTERNAZIONALE
di Xxxx Xxxxxxxxx
quello entro il quale deve essere fatta la denuncia del difetto di conformità di beni non deperibili Il termine ragionevole, comunque, comincia a decorrere dal momento in cui il difetto viene scoperto, ossia dal momento in cui il compratore, o chi per esso, esegue il controllo. Il controllo, però, deve essere effettuato “nel più breve tempo possibile”.
Anche tale dicitura della Convenzione, ha carattere generale e viene valutata in concreto. Tuttavia, la giurisprudenza tende ad avere una posizione rigida in merito all’interpretazione del “più breve tempo possibile”, facendolo coincidere con il momento della consegna, se i vizi sono palesi e facilmente riconoscibili.
Per contro, nel caso in cui i difetti siano occulti, la tempestività del compratore è collegata al momento dell’effettiva scoperta, che di norma non può andare oltre la prima utilizzazione del bene. Allo stesso modo, nell’ipotesi in cui il bene, dopo la consegna, venga rispedito a un terzo acquirente, al quale la merce sia stata rivenduta, i tempi per la denuncia saranno più lunghi, in quanto è ragionevole pensare che i difetti possano essere visibili solo quando la merce abbia raggiunto il luogo di destinazione finale.
I rimedi offerti dalla legge
Nel caso in cui il compratore abbia riscontrato difetti nella merce e tempestivamente denunciato la loro presenza al venditore, i rimedi offerti dagli ordinamenti nazionali sono, di norma, la riduzione del prezzo ovvero la risoluzione del contratto. La Convenzione di Vienna, invece, offre rimedi più articolati, spesso tesi alla conservazione del contratto e del rapporto commerciale.
In primo luogo, infatti, il compratore può esigere l’adempimento esatto, attraverso la richiesta di:
• completamento della fornitura, ovvero
• sostituzione della merce non conforme, salvo che il difetto di conformità costituisca un’inosservanza essenziale
del contratto, ovvero
• riparazione della merce, ove ciò non appaia irragionevole, date le circostanze.
Sia la richiesta di sostituzione sia quella di riparazione, però, devono essere formulate al momento della denuncia del difetto di conformità o entro un termine ragionevole a decorrere dalla denuncia.
II compratore, poi, in caso di difetto di conformità delle merci al contratto può chiedere la riduzione del prezzo propor- zionalmente alla differenza fra il valore delle merci effettivamente consegnate e il valore che le merci avrebbero dovuto avere. La riduzione del prezzo, però, non può essere chiesta se il venditore pone riparo alle sue mancanze e adempie ai suoi obblighi, ovvero se il compratore rifiuta di accettare l’adempimento degli obblighi del venditore.
La Convenzione, poi, concede un ulteriore rimedio secondo il quale il compratore può fissare al venditore un termine supplementare, di durata ragionevole, per l’adempimento dei suoi obblighi. Scaduto inutilmente il termine, il comprato- re può chiedere la risoluzione del contratto, a prescindere dal fatto che l’inadempimento possa essere qualificato come essenziale.
Xxxx Xxxxxxxxx, Avvocato specializzato in diritto commerciale e contrattualistica internazionale. Studio Legale Bacciardi & Partners di Pesaro.
Dogana e Fiscalità Internazionale
ESPORTAZIONE CON TRASPORTO A CURA DEL CONCESSIONARIO NON RESIDENTE - NUOVE “CONTRADDIZIONI”
DELLA CLAUSOLA DI RESA EX WORKS
di Xxxxxxx Xxxxxx
Gran parte degli esportatori predilige ancora oggi inserire nei contratti o nelle condizioni generali di vendita la clau-
sola di resa delle merci EX WORKS.
Sotto il profilo doganale e fiscale (I.V.A.), in passato il sottoscritto ed altri commentatori hanno messo in evidenza i rischi di questa prassi, suggerendo agli esportatori di assumere maggiori oneri in relazione alla spedizione/trasporto internazionale ed alla dichiarazione doganale delle merci. In particolare si è più volte notato che, a fronte di un imme- diato trasferimento a carico del cessionario dei rischi di perdita e danneggiamento delle merci già al momento della loro messa a disposizione presso il proprio stabilimento, con la resa EX WORKS Incoterms 2000 il venditore assume il rischio di una mancata o non corretta dichiarazione doganale di esportazione e la conseguente non legittimazione del regime di non imponibilità IVA con il quale ha emesso la propria fattura di esportazione ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera B del D.P.R. 633 / 72.
L’articolo 8, comma 1, lettera B riguarda tipicamente le fatture di esportazione emesse nei confronti di cessionari di altri paesi comunitari o extracomunitari non residenti che curano o si occupano direttamente delle operazioni di spedizione o trasporto internazionale e che devono fornire al venditore italiano la prova doganale dell’avvenuta espor- tazione, entro 90 giorni dalla data di emissione della fattura, ai fini della legittimazione della non imponibilità IVA. Risposta Agenzia delle Dogane ad istanza di interpello
Le insidie della resa EX WORKS sono rappresentate anche dal caso particolare in cui il cessionario non residente, ad esempio un’impresa francese, indica al cedente italiano che il destinatario diretto della merce è un’impresa extra- comunitaria, ad esempio un’impresa russa. In questo caso, come previsto dalla Circolare dell’Agenzia delle Entrate n.13/1994, quando il cedente italiano accetta l’eventuale istruzione dell’impresa francese di consegnare la merce di- rettamente all’impresa russa che invia un proprio vettore di fiducia, l’operazione dovrebbe sempre essere considerata imponibile IVA italiana.
Fino ad oggi la dichiarazione doganale di esportazione in Italia a cura o a nome del cessionario non residente è stata compilata indicando all’interno della casella 2 (speditore/esportatore) il codice generico (e pertanto non identificativo) “0”, spesso accompagnato dall’identificazione del cessionario e del suo codice IVA (se residente in altro paese comu- nitario).
Questa prassi in realtà è stata soltanto tollerata ma giuridicamente era stata posta in dubbio da parte di alcune Dire- zioni Regionali e Uffici dell’Agenzia delle Dogana sulla base della Circolare dell’Agenzia delle Dogane n. 45/D del 2006.
Insidie della resa Ex Works
Il 1° ottobre 2008 l’Agenzia delle Dogane, rispondendo ad una istanza di interpello presentata da uno doganalista e richiamando la Circolare n.45/2006, ha chiarito che l’indicazione del codice “0” nella casella 2 non è sufficiente e che pertanto il cessionario non residente debba, per agire quale esportatore in Dogana, dotarsi preliminarmente di una posizione IVA italiana.
In particolare è stato ribadito che il cessionario non residente che agisce in dogana quale esportatore debba provvede- re, alternativamente, a nominare un rappresentante fiscale/IVA o ad identificarsi ai fini IVA direttamente in Italia (in questo secondo caso soltanto se soggetto IVA già identificato in altro Paese comunitario).
In mancanza di questo presupposto, spesso oneroso per il cessionario, la cessione ex art. 8, comma 1, lettera B, posta in essere dal venditore italiano trova oggi un limite operativo all’atto della dichiarazione doganale di esportazione e potrebbe essere considerata operazione imponibile IVA italiana.
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Dogana e Fiscalità Internazionale
ESPORTAZIONE CON TRASPORTO A CURA DEL CONCESSIONARIO NON RESIDENTE - NUOVE “CONTRADDIZIONI”
DELLA CLAUSOLA DI RESA EX WORKS
di Xxxxxxx Xxxxxx
Conclusioni
In attesa di ulteriori chiarimenti operativi da parte dell’Agenzia delle Dogane e delle Entrate ed in alternativa alla proce- dura di identificazione diretta o alla rappresentanza fiscale da parte dei cessionari non residenti, il cedente italiano può gestire l’esportazione nel modo seguente:
1) abbandonare la clausola di resa EXW e concordare con il cessionario una clausola più onerosa, ad esempio FCA;
2) assumere (addebitandolo) almeno l’onere di concludere direttamente il contratto di trasporto o spedizione internazionale diretta, anche ponendo a carico del cessionario non residente le relative spese di nolo e assicurazione;
3) emettere, in conseguenza di quanto sopra, una fattura di esportazione non imponibile IVA ex art.8, comma 1, LETTERA A) del D.P.R. 633/72, precisando all’interno del documento:
• “sold to”: cessionario non residente
• “shipped to”: destinatario extracomunitario della merce o, almeno, il Paese extracomunitario di destinazione
• il termine di resa Incoterms 2000 corretto e comunque diverso da EX WORKS
4) procedere, in qualità di esportatore diretto, alla dichiarazione di esportazione;
5) monitorare, tramite il sistema elettronico Automated Export System (A.E.S.) in vigore dal 01.07.08, l’effettiva esportazione della merce e recuperare la relativa prova utile a legittimare la non imponibilità IVA dell’operazione;
6) ricordare, se necessario, al cessionario non residente e non identificato ai fini IVA in Italia che potrà emettere, nei confronti del terzo soggetto extracomunitario e destinatario effettivo della merce, una fattura “fuori campo
IVA” secondo le norme di territorialità previste dalla propria legge IVA nazionale applicabile.
Xxxxxxx Xxxxxx, Avvocato e doganalista, specialista in diritto doganale, diritto dei trasporti e I.V.A. internazionale. Professore a contratto presso l’Università di Macerata. Studio Legale Bacciardi & Partners - Pesaro/Milano.
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Soste al carico
a cura di Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxxx
Ho letto con interesse il numero di International Trade (n. 13 - 1 luglio 2008), soprattutto l’articolo dell’Avvocato Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxxx in merito alle soste al carico. Questo articolo indicava quanto segue: “Qualora tali tempi siano superati, è dovuto al vettore - per ogni ora o frazione eccedente i trenta minuti - un compenso di Euro 25,09/ora (fino alle ore 20:00)”. Abbiamo ricevuto da parte di un nostro trasportatore un addebito di Euro 50,00 per 10 minuti di sosta. Abbiamo contattato il nostro trasportatore citando l’articolo sovramenzionato dell’Avvocato Xxxxxxxx e lui ci ha risposto che quanto citato è relativo alla vecchia legislazione poiché l’accordo per i trasporti contenitori è decaduto in data 31/12/2005 e non più rinnovato. Di conseguenza il tutto viene fatto in base al d.l. 286/2005 (liberalizzazione delle tariffe e quindi aperta alla libera contrattazione dei prezzi). Vorremmo capire se è davvero così e se il trasportatore doveva addebitarci un importo inferiore o possa addebitarci qualsiasi importo a sua discrezione.
Rispondo con piacere al Vostro quesito inoltratomi dalla redazione di International Trade in merito al mio articolo sulle “soste” al carico.
Effettivamente l’Accordo Contenitori del 2005 è disapplicato dal 28/02/2006 per effetto dell’entrata in vigore della cd. “Riforma dell’Autotrasporto”, attuata tra l’altro con il D.Lgv. 286/2005 che ha abolito i minimi tariffari obbligatori (l’Accordo era stato prorogato fino al 30/04/2006) e ad oggi non è stato ancora rinnovato, malgrado i rappresentanti dell’utenza e dei vettori si siano più volte riuniti per discuterne il rinnovo, almeno in qualche forma.
Pur non essendo più “obbligatorio” attesa la liberalizzazione delle tariffe, l’Accordo costituisce comunque un parametro significativo per le modalità di computo delle indennità accessorie dovute al vettore (quindi non per la tariffa chilometrica o a viaggio), se tali indennità non sono state pattuite contrattualmente tra singolo utente e singolo vettore.
In mancanza di accettazione di una specifica “clausola penale” sui tempi di sosta, l’addebito per la sosta al carico deve rifondere l’autotrasportatore dei costi inutilmente sostenuti nel periodo di attesa, che non potranno ragionevolmente spingersi oltre il costo orario del personale autista, maggiorato del potenziale mancato guadagno per il “fermo macchina”: in tale ottica può purtroppo risultare “ragionevole” anche un addebito di Euro 50 per ora o frazione, anche se - laddove l’effettiva sosta di soli 10 minuti possa essere provata da XX.XX. documentalmente, con orari di inizio e fine carico sottoscritti dall’autista sulla lettera di vettura - c’è sicuramente molto da eccepire sull’effettività del “danno” subito dal trasportatore per tale sosta.
Un consiglio pratico per il futuro può essere quello di richiedere al trasportatore, prima del conferimento dell’incarico, una copia delle condizioni tariffarie praticate in caso di sosta al carico e/o pattuire per iscritto una tariffa concordata di sosta oraria (con un massimo per sosta giornaliera/notturna), proposta che “commercialmente” può aver senso soprattutto in caso di conferimento di incarichi continuativi allo stesso trasportatore.
Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxxx, Avvocato internazionalista, consulente in diritto marittimo ed economia dei trasporti. Studio legale a Verona.
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Scheda Rischio Paese: Australia
Fortis Bank parte del gruppo Fortis, uno dei maggiori gruppi europei di bancassicurazione, è presente in Italia a Milano, Padova, Bologna, Torino e Firenze. Fortis Bank è l’unica banca internazionale con una rete mondiale e soluzioni innovative a disposizione delle piccole e medie imprese Italiane che operano sui mercati esteri.
Per saperne di più, xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xxx. Global Trade Finance, Xxxxxxx Xxxxxxxxx Tel x00 00 00 000 000,
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Rating sovrano: 0
Categoria SACE: 0,7
N.B.: Il rating Xxxxxx xx xx 0 (xxxxxxxx) x 00 (xxxxxxxx). Dal 18 è già default
Rating politico: 1,1
Valutazione Xxxxxxx Xxxxx, 0 maggio 2008
Punti di forza
Negli ultimi anni, l’Australia ha sperimentato una robusta crescita economica (vicino al 4% nel 2007), trainata da:
• settore minerario (minerali di ferro, alluminio, rame, nichel), che ha beneficiato del boom di merci e di termini più forti di scambi commerciali;
• aumento delle destinazioni delle esportazioni in Asia (soprattutto in Giappone, Cina, Xxxxx del Sud, India), dove la prospettiva di crescita economica è generalmente migliore rispetto a Stati Uniti e all’Europa (anche se non totalmente immuni da rallentamenti);
• forte investimento motivato da un elevato gradi di utilizzo della capacità produttiva (oltre l’82%);
• dinamica dei settori affini a quello minerario: costruzione, ingegneria, trasporti;
• forte domanda interna sostenuta da un tasso basso di disoccupazione (4%) e dalle imposte sul reddito che sono state abbassate;
• surplus fiscale (che ha reso possibile una tassazione più leggera);
• stabilità politica dopo l’ampia vittoria nelle elezioni di Novembre 2007 dei Labour (86 seggi su 150, alla Camera dei Deputati).
Rischi
L’Australia non può evitare le attuali pressioni inflazionistiche a livello mondiale, nonostante le condizioni di una politica monetaria restrittiva:
• il core inflation e l’inflazione globale, guidati da una crescita economica robusta e da salari alti;
• i prezzi che sono fuori dalla portata della politica monetaria;
• l’agricoltura vulnerabile per gravi condizioni atmosferiche spinge l’inflazione interna;
• il divario tra il tasso di interesse della Riserve Bank of Australia e l’equivalente della Federal Reserve americana di oggi è del 5,25%: questa differenza attira investitori e rafforza il tasso di cambio del dollaro australiano. Questa tendenza rende più convenienti le importazioni, aggravando ulteriormente il deficit commerciale (2% del PIL nel 2007), aggiungendo ulteriore pressione sul disavanzo delle partite correnti (6,2% del PIL).
S T A T I S T I C H E
MEMORANDUM DATA
Popolazione (tasso di crescita): 20,43 mln (0.8%) Tasso di disoccupazione 4,40%
PIL: 906.885 mln USD (2007)
PIL pro capite:44.380 USD (2007)
PIL PER SETTORE PRODUTTIVO
Agricoltura: 3,0%
Industria: 26,4%
Servizi: 70,6%
Scheda Rischio Paese: Australia
a cura di
INDICATORI ECONOMICI PRINCIPALI
(s) stimato, (p) previsto | 2004 | 2005 | 2006 | 2007(s) | 2008(p) | 2009(p) |
Tasso di crescita economica (%) | 3,8 | 2,8 | 2,8 | 3,9 | 2,9 | 2,5 |
Tasso di inflazione (%) | 2,3 | 2,7 | 3,5 | 2,3 | 3,4 | 3,1 |
Bilancio pubblico / PIL (%) | 0,9 | 1,2 | 1,2 | 1,3 | 1,5 | 1,4 |
Bilancia estera: | ||||||
Bilancia commerciale / PIL (%) | -2,8 | -1,9 | -1.3 | -2,0 | -1,9 | -1,7 |
Partite correnti / PIL (%) | -6,1 | -5,7 | -5,4 | -6,2 | -6,2 | -6,0 |
Fabbisogno finanziario¹ (mln USD) | -94.653 | -120.515 | -114.704 | -140.200 | -171.032 | -169.084 |
Investimenti esteri netti diretti (mln USD) | 25.771 | -1.661 | 2.905 | -8.146 | -7.971 | -6.251 |
Riserve valutarie estere (mln USD) | 35.803 | 41.941 | 53.448 | 24.769 | 29.117 | 31.090 |
Debito estero: | ||||||
Debito estero totale (mln USD) | 452.700 | 546.708 | 628.229 | 824.924 | 878.960 | 909.498 |
Debito a breve termine (mln USD) | 78.122 | 97.161 | 131.410 | 168.329 | 167.607 | 167.767 |
Debito scaduto (capitale & interessi) (mln USD) | 0,0 | 0,0 | 0,0 | 0,0 | 0,0 | 0,0 |
Riserve valutarie estere/Debito estero totale (%) | 7,9 | 7,7 | 8,5 | 3,0 | 3,3 | 3,4 |
Riserve valutarie estere/Debito a breve termine (%) | 45,8 | 43,2 | 40,7 | 14,7 | 17,4 | 18,5 |
Debito estero / PIL (%) | 70,8 | 76,7 | 88,1 | 91,0 | 96,9 | 100,3 |
Debt service ratio² (%) | 52,4 | 61,6 | 51,7 | 52,7 | 57,1 | 61,7 |
1. Partite correnti – ripagamenti per quota capitale del debito estero 2. Totale ripagamenti per quote capitale e interessi del debito estero / valore esportazioni |
FLUSSI COMMERCIALI
Destinazione delle esportazioni (2006):
Origine delle importazioni: (2007)
Esportazioni in Giappone (Fob) | 19,3% | Importazioni dalla Cina (Cif) | 15,9% |
Esportazioni in Cina (Fob) | 12,1% | Importazioni dagli Stati Uniti (Cif) | 15,6% |
Esportazioni in Xxxxx del Sud (Fob) | 7,4% | Importazioni dal Giappone (Cif) | 10,6% |
Esportazioni negli Stati Uniti (Fob) | 6,1% | Importazioni da Singapore (Cif) | 6,6% |
Principali esportazioni (2007): | Principali importazioni (2006): | ||
Carbone (Fob) | 12,3% | Beni intermedi (Cif) | 47,4% |
Carne e prodotti dalla carne (Fob) | 4,2% | Beni di consumo (Cif) | 30,6% |
Grano (Fob) | 2,7% | Beni capitali (Cif) | 22,0% |
Xxxx xxxxxx (Fob) | 1,4% |
LE OPERAZIONI TRIANGOLARI COMUNITARIE
di Xxxxxxx Xxxxx e Xxxxxxxx Xxxxxxx
Le operazioni triangolari in ambito comunitario rappresentano un’agevolazione concessa agli operatori economici dal legislatore sovranazionale, il quale è appositamente intervenuto in materia per ridurre le difficoltà e gli appesantimenti amministrativi connessi a tale tipologia di transazione, peraltro molto diffusa nella prassi dei traffici internazionali.
Sistema semplificato di triangolazione
La possibilità di ricorrere allo schema “semplificato” della triangolazione, infatti, non era prevista nella Direttiva comunitaria n. 680 del 16 dicembre 1991, con cui è stato disciplinato originariamente il regime “transitorio” degli scambi intracomunitari. Di fatto, nell’ottica di perseguire intuibili esigenze di controllo delle transazioni una volta eliminate le barriere doganali, per la realizzazione di operazioni triangolari era necessario identificarsi ai fini IVA nello Stato membro del primo fornitore o dell’acquirente destinatario finale dei beni, “con l’obbligo della nomina di un rappresentante fiscale nel Paese di destinazione o di origine dei beni da parte del soggetto promotore della triangolare (il cedente – cessionario)”.
“In tal modo, il rappresentante avrebbe ricevuto direttamente i beni dal fornitore (realizzando in proprio un acquisto intracomunitario), con successiva cessione interna – soggetta ad imposta – nei confronti del proprio cliente” (cfr., C.M. n. 13 del 23.02.1994, paragrafo 16). Al fine di evitare l’obbligo di nomina del rappresentante fiscale nei vari Stati membri interessati dalle transazioni commerciali, il legislatore comunitario ha introdotto un sistema semplificato di triangolazione, imperniato sul ruolo del promotore dell’operazione e sull’obbligo posto a suo carico di “designare” il cessionario (acquirente destinatario finale) quale “debitore dell’imposta” nel proprio Stato membro.
Normativa di riferimento
A livello normativo non esiste una definizione espressa dell’operazione triangolare che ne identifichi compiutamen- te i presupposti; una precisa definizione di tali operazioni, infatti, non è presente né nella disciplina comunitaria né in quella nazionale. Il concetto di operazione triangolare ed i relativi meccanismi di funzionamento devono, quin- di, essere “ricostruiti” attraverso l’analisi delle varie disposizioni normative che ad essa fanno riferimento a vario titolo, nonché alle interpretazioni di fonte ministeriale. Quanto alla normativa interna, le principali disposizioni riguardanti le triangolazioni comunitarie contenute nel D.L. n. 331/1993, sono quelle di cui ai seguenti articoli:
• 38, comma 7: (definizione di acquisto intracomunitario);
• 40, comma 2, secondo periodo: (territorialità dell’acquisto intracomunitario);
• 44, comma 2, lett. a): (definizione di soggetto passivo “designato”);
• 46, comma 2, ultimo periodo: (fatturazione delle cessioni di beni acquistati senza pagamento
dell’IVA ex art. 40, c. 2 secondo periodo).
Le predette disposizioni recepiscono nella legislazione interna la disciplina comunitaria, attualmente contenuta negli articoli 42, 141 e 197 della Direttiva 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE. Occorre, pertanto, esaminare le singole norme sopra richiamate per individuare i presupposti applicativi del particolare meccanismo che regola le triangolazioni in ambito comunitario.
Numero dei soggetti
La triangolazione “comunitaria” può essere realizzata esclusivamente quando intervengono nell’operazione “sog- getti d’imposta appartenenti a tre diversi Stati comunitari” (cfr., C.M. n. 13 del 23.02.1994, paragrafo 16.2).
Tali soggetti sono il fornitore, il primo cessionario e rivenditore (cd. “promotore”) e l’acquirente destinatario finale dei beni. La necessaria compresenza di tre soggetti passivi d’imposta identificati ai fini IVA in tre diversi Stati membri, rende la triangolare comunitaria molto più “rigida” rispetto a quella nazionale in esportazione di cui al- l’art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972.
A differenza di quest’ultima, infatti, la triangolare comunitaria non è configurabile nei seguenti casi:
LE OPERAZIONI TRIANGOLARI COMUNITARIE
di Xxxxxxx Xxxxx e Xxxxxxxx Xxxxxxx
• quando, sebbene in presenza di tre soggetti identificati ai fini IVA, due di essi siano residenti in un medesimo Stato membro;
• quando, pur intervenendo nell’operazione tre soggetti residenti in tre diversi Stati membri, anche uno solo di essi sia un privato o un ente non soggetto passivo d’imposta, non potendosi realizzare cessioni intracomunitarie;
• quando, sebbene in presenza di tre soggetti passivi IVA di tre Stati membri diversi, si realizzano cessioni gratuite, non potendosi realizzare cessioni intracomunitarie che, per previsione di legge, devono avvenire a titolo oneroso.
Designazione del debitore dell’imposta
L’ulteriore requisito che si ricava dal combinato disposto delle norme che disciplinano la triangolazione in ambito comunitario, fondamentale per la sua configurabilità, è rappresentata dalla “designazione” del debitore d’imposta da parte del soggetto che promuove l’operazione triangolare. In sostanza, il promotore della triangolazione deve indicare, quale soggetto passivo responsabile per l’assolvimento dell’IVA nello Stato membro di destinazione dei beni, il suo cliente, destinatario finale di essi. La “designazione” deve essere espressa e chiaramente indicata nella fattura emessa dal promotore nei confronti del destinatario finale (ex art. 46, comma 2, D.L. n. 331/1993), il quale realizza l’acquisto intracomunitario nello Stato membro di residenza integrando la fattura ricevuta secondo le regole della disciplina co- munitaria. La procedura sopra indicata richiede la massima attenzione e la necessità di provvedere in via preventiva alla corretta formalizzazione della “designazione” (cfr., R.M. n. 128/E del 7.09.1998). Quanto alla terminologia uti- lizzata nella Direttiva comunitaria n. 2006/112/CE già citata, nel testo della versione in inglese, il soggetto designato è indicato come quello che “has been designated in accordance with article 197 as liable for payment of VAT” (vedi articoli 42, lett. a) e 141, lett. e) della Direttiva).
Meccanismo
Le triangolazioni comunitarie condividono il tipico meccanismo con cui si realizzano le operazioni triangolari, sia quelle in esportazione di cui all’art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972, sia quelle “nazionali” disciplinate dall’art. 58, comma 1, del D.L. n. 331/1993, sebbene non si ravvisi, per esse, un’espressa definizione di tale meccani- smo analoga a quella esplicitata negli articoli da ultimo citati. Quanto emerge dalla normativa interna di cui al D.L. n. 331/1993, è il riferimento generico alla spedizione o trasporto dei beni nel territorio dello Stato ai cessionari nazionali soggetti passivi d’imposta (art. 38, comma 7) od alla spedizione o trasporto da uno Stato membro in altro stato mem- bro (art. 46, comma 2). Più indicativa, al riguardo, è la normativa comunitaria di cui all’art. 141, lett. c), della Direttiva
n. 2006/112/CE, ove si prevede che i beni acquistati dal soggetto passivo che promuove l’operazione triangolare, “siano direttamente spediti o trasportati a partire da uno Stato membro diverso” da quello in cui il promotore è identificato ai fini IVA e “a destinazione della persona nei confronti della quale egli effettua la cessione successiva”. Anche la triangolazione comunitaria, quindi, deve essere concepita fin dall’origine come una transazione unitaria, dove i beni, in presenza di un trasporto unico, vengono trasferiti direttamente dallo Stato membro di partenza, in cui si trovano al momento della cessione, allo Stato membro di destinazione dell’acquirente finale, senza essere previamente trasporta- ti nello Stato membro del soggetto promotore. A fronte di due cessioni, fra il fornitore ed il promotore e fra quest’ul- timo ed il destinatario finale, concepite entrambe nell’ambito di un’operazione commerciale complessa unitaria, viene effettuato un unico trasporto dei beni. Affinché un’operazione venga qualificata come triangolare, pertanto, assume rilevanza la reale volontà delle parti coinvolte nella transazione e la corretta e coerente formalizzazione dei documenti amministrativi, di trasporto e di natura contrattuale e commerciale.
A tale ultimo riguardo, nel caso tipico in cui sia il primo fornitore a provvedere al trasporto od alla spedizione dei beni direttamente al destinatario finale, con mezzi propri o affidando l’incarico a terzi in nome e conto proprio, assume un ruolo importante la lettera con cui il promotore della triangolazione conferisce, al fornitore medesimo, l’incarico di provvedere al trasferimento dei beni direttamente al suo cliente nello Stato membro di destinazione finale.
LE OPERAZIONI TRIANGOLARI COMUNITARIE
di Xxxxxxx Xxxxx e Xxxxxxxx Xxxxxxx
Riflessi IVA delle triangolazioni
Gli adempimenti IVA relativi alle operazioni triangolari, riflettono la natura unitaria della transazione e si differenzia- no a seconda del ruolo rivestito dal soggetto nazionale: fornitore, promotore o destinatario finale.
Fornitore
Il fornitore italiano effettua una cessione intracomunitaria nei confronti del promotore comunitario e, conseguente- mente, emette fattura in regime di non imponibilità ai sensi dell’art. 41, comma 1, del D.L. n. 331/1993.
Promotore
Il promotore italiano pone in essere le due seguenti operazioni:
1. un acquisto intracomunitario nei confronti del fornitore comunitario: riceve la fattura senza addebito d’imposta e deve integrarla a norma dell’art. 46 del D.L. n. 331/1993, senza però indicare l’IVA ai sensi dell’art. 40, comma 2, dello stesso decreto;
2. una cessione intracomunitaria nei confronti del destinatario finale: emette la fattura senza addebito di IVA a norma dell’art. 41, comma 1, del D.L. n. 331/1993, designando espressamente su di essa il cliente finale quale responsabile, in sua sostituzione, del pagamento dell’IVA nello Stato membro di arrivo dei beni.
Destinatario finale
Il cliente finale italiano effettua un acquisto intracomunitario dal promotore comunitario: riceve la fattura senza addebito d’imposta, con la quale il promotore stesso lo designa espressamente quale responsabile per il pagamento dell’imposta in Italia, e la integra con le modalità ordinarie.
Prove
Come si è detto, nell’ambito di una triangolazione comunitaria i beni devono essere trasferiti direttamente dallo Stato membro del fornitore a quello di destinazione finale, ove è identificato ai fini IVA il cliente del promotore. Ai fini della corretta fatturazione delle cessioni intracomunitarie in regime di non imponibilità, da parte del fornitore e del pro- motore, nonché dell’acquisto intracomunitario da parte del soggetto destinatario finale, è necessario, per tutti e tre gli operatori coinvolti, poter dimostrare l’effettivo trasferimento fisico dei beni dallo Stato membro di partenza a quello di arrivo. In tema di prove, alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea (cfr., in particolare, la sentenza 27 settembre 2007, causa C-409/04) e dell’interpretazione fornita in materia dall’Agenzia delle Entrate (cfr., R.M. n. 345/E del 28.11.2007), un ruolo rilevante è stato attribuito alla lettera di vettura internazionale (cd. “CMR”), soprat- tutto quando è possibile ottenerne copia firmata anche dall’acquirente destinatario finale. I documenti di trasporto, la documentazione di carattere commerciale relativa all’operazione, da cui desumerne chiaramente la natura triangolare (fra cui le lettere d’incarico), le fatture ed i modelli Intrastat regolarmente annotati, nonché la documentazione banca- ria che attesti la correttezza e l’effettività dei pagamenti, possono, complessivamente considerati, costituire un valido supporto probatorio idoneo a dimostrare che i beni sono stati realmente trasferiti direttamente nello Stato membro di destinazione finale. In ogni caso, da parte degli operatori, deve essere prestata la massima attenzione nella prepara- zione e nella formalizzazione di tutti i documenti relativi alle transazioni in triangolazione.
Modelli Intrastat
Le particolarità delle triangolazioni comunitarie, quali operazioni complesse in cui intervengono tre soggetti passivi d’imposta, si riflettono anche nella compilazione dei modelli Intrastat, le cui istruzioni indicano modalità specifiche di annotazione. Le diverse tipologie di operazioni triangolari nell’ambito della disciplina dei modelli Intrastat saranno oggetto di un successivo articolo di futura pubblicazione.
Xxxxxxx Xxxxx e Xxxxxxxx Xxxxxxx, Consulenti in materia di fiscalità internazionale. Studio Sirri – Xxxxxxx - Xxxxxxx & Associati, Forlì.
IL CERTIFICATO EUR 1 E’ ANCORA RICHIESTO NELLE ESPORTAZIONI VERSO IL MESSICO?
di Xxxxxxx Xxxxxx
Ho appena finito di leggere l’articolo riguardante le semplificazioni doganali all’esportazione verso il Messico ed ho alcune domanda da porre. Il certificato EUR 1 è ancora richiesto? Mi pare di capire che può essere sostituito dalla dichiarazione in fattura ma in questo caso, è necessario essere riconosciuti come esportatore autorizzato per poter dichiarare in fatture l’origine preferenziale delle merci.
Sì, il certificato EUR.1 continua a rappresentare il documento richiesto dalle Autorità doganali messicane al fine di concedere il trattamento tariffario preferenziale (dazio ridotto o 0%) alle merci di certa origine preferenziale della Comunità europea.
Il certificato EUR.1 non è obbligatorio, ma facoltativo; il certificato EUR.1 può infatti essere rilasciato dalle autorità doganali comunitarie e accettato dalle autorità messicane unicamente in relazione alle merci prodotte nella Comunità e che soddisfano le condizioni/regole di origine preferenziale contenute nel Trattato di libero scambio commerciale Comunità europea/Messico.
L’esportatore di merci di certa origine preferenziale comunitaria può scegliere, ottenendo gli stessi effetti, tra:
A) certificato EUR.1 oppure
B) dichiarazione sostitutiva EUR.1 apposta, normalmente, all’interno della fattura di esportazione.
La dichiarazione sostitutiva EUR.1 può essere apposta liberamente, senza necessità di autorizzazione doganale, limi- tatamente alle partite di merce di valore inferiore ad euro 6.000. Relativamente alle partite di merci di valore superiore ad euro 6.000, la dichiarazione sostitutiva EUR.1 può essere apposta soltanto se l’esportatore ha richiesto ed ottenuto dalla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Dogane apposito riconoscimento di esportatore autorizzato, secondo le procedure e le condizioni di legge.
Xxxxxxx Xxxxxx, Avvocato e doganalista, specialista in diritto doganale, diritto dei trasporti e I.V.A. internazionale. Studio Legale Bacciardi & Partners - Pesaro/Milano.
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International Trade. Case Studies, problem solving and tools - periodico telematico registrato presso il Tribunale di Ravenna n.1248 del 29-12-2004.
Anno IV, n. 20 - 15 ottobre 2008
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