LA NUOVA DISCIPLINA DEI CONTRATTI DI FORNITURA DI CONTENUTI E SERVIZI DIGITALI AMBITO APPLICATIVO E PRESTAZIONE DEL CONSUMATORE
Università degli Studi di Padova
Dipartimento di Diritto Privato e Critica del Diritto Dipartimento di Diritto Pubblico, Internazionale e Comunitario
Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza a.a. 2022/2023
LA NUOVA DISCIPLINA DEI CONTRATTI DI FORNITURA DI CONTENUTI E SERVIZI DIGITALI AMBITO APPLICATIVO E PRESTAZIONE DEL CONSUMATORE
Relatore:
Xx.xx Professoressa Xxxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxxxxxx
Laureanda: Xxxxxx Xxxxxxxx Matricola 1173692
Indice
1. CAPITOLO 1 – LA DISCIPLINA DELLA GARANZIA DEI BENI DI CONSUMO: DALLA DIRETTIVA 1999/44/CE ALLA NUOVA DISCIPLINA INTRODOTTA DALLA DIRETTIVA 2019/771/UE E DALLA DIRETTIVA 2019/770/UE 3
1.1 La disciplina della garanzia dei beni di consumo nella Direttiva 1999/44/CE 3
1.2 La nuova disciplina introdotta dalla Direttiva (UE) 2019/771 e dalla Direttiva (UE) 2019/770: un New Deal per i consumatori 10
1.3 La direttiva 2019/771/UE e la direttiva 99/44/CE a confronto 13
1.4 La nuova direttiva 2019/770/UE in materia di fornitura di contenuti digitali e servizi digitali 22
2. CAPITOLO 2 – L’AMBITO DI APPLICAZIONE DEL CAPO I BIS DEL
2.1 L’ambito soggettivo di applicazione: professionisti e consumatori nel mercato digitale 32
2.2.1 L’ambito oggettivo di applicazione: la tipologia contrattuale 50
2.2.2 I c.d. contratti a pacchetto 62
2.2.3 I contratti di vendita di beni con elementi digitali 63
2.3 Il bene oggetto del contratto 64
2.4 I beni con elementi digitali 68
3 CAPITOLO 3 – LA CONTROPRESTAZIONE DEL CONSUMATORE A FRONTE DELLA FORNITURA DI CONTENUTI O SERVIZI DIGITALI 73
3.1.1 La controprestazione del consumatore consistente nel pagamento di un prezzo 74
3.1.2 La rappresentazione digitale di valore intesa come valuta virtuale 77
3.2.1. La fornitura di dati personali 85
3.2.2. La qualificazione dei dati personali 92
3.3 Il consenso al trattamento dei dati personali e la sua revoca 95
Conclusioni 99
Bibliografia Errore. Il segnalibro non è definito.
Introduzione
Il mercato digitale è in costante espansione. Scambi e rapporti contrattuali conclusi sia online che offline sempre più spesso hanno ad oggetto contenuti, servizi digitali e dispositivi smart. Basti pensare che solo in Italia i social network contano più di 25 milioni di utenti, il che significa che milioni di consumatori hanno concluso, non sempre in modo consapevole, un contratto di fornitura di servizi digitali.
La disciplina consumeristica, e più in generale il diritto privato, deve confrontarsi con i nuovi “prodotti” del mercato unico digitale al fine di non risultare, in concreto, inadeguata alla tutela del consumatore.
Il recepimento, nell’ordinamento italiano, della direttiva 2019/770/UE relativa a taluni aspetti dei contratti di fornitura di contenuti e servizi digitali, infatti, introduce una nuova disciplina all’interno del codice del consumo che solleva degli interrogativi: ad esempio, nell’ipotesi in cui il consumatore non corrisponda un prezzo in denaro ma fornisca i propri dati personali, il contratto potrebbe definirsi a titolo gratuito? A quale fattispecie contrattuale disciplinata dal codice civile può essere ricondotto il contratto di fornitura di contenuti e servizi digitali? Il consumatore ne diviene proprietario? E nel caso in cui la risposta sia negativa, quale diritto reale è idoneo a descrivere la situazione giuridica soggettiva che viene a crearsi? In cosa si differenziano i contenuti e i servizi digitali dai beni con elementi digitali?
Obiettivo di questo lavoro è tentare di rispondere a tali quesiti analizzando l’ambito di applicazione, soggettivo e oggettivo, della nuova disciplina contenuta all’interno del nuovo Capo I bis, Dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali, Codice del consumo.
1. CAPITOLO 1 – LA DISCIPLINA DELLA GARANZIA DEI BENI DI CONSUMO: DALLA DIRETTIVA 1999/44/CE ALLA NUOVA DISCIPLINA INTRODOTTA DALLA DIRETTIVA 2019/771/UE E DALLA DIRETTIVA 2019/770/UE
1.1La disciplina della garanzia dei beni di consumo nella Direttiva 1999/44/CE
Il 25 maggio del 1999 veniva approvata la direttiva 1999/44/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio su “taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo”, la quale aveva per oggetto il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative a taluni aspetti della vendita e delle garanzie concernenti i beni di consumo, al fine di assicurare un livello minimo uniforme di tutela dei consumatori nel quadro della realizzazione del mercato interno1, uno spazio senza frontiere interne nel quale è garantita la libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali.
Obiettivi primari della direttiva erano pertanto quello di contribuire alla realizzazione del mercato interno – anche attraverso l’ instaurazione di un regime concorrenziale, il quale sarebbe stato impedito dalle diverse normative degli Stati membri in materia di vendita di beni di consumo – e di stabilire un elevato livello di protezione dei consumatori fissando un obbligo di consegnare all’acquirente beni conformi, considerando che le principali difficoltà incontrate dai consumatori e la principale fonte di conflitti con i venditori riguardano la non conformità dei beni a quanto stabilito nel contratto2; inoltre vi era l’obiettivo di imporre al venditore obblighi di informazione, in particolare ai fini di una corretta e trasparente formulazione delle garanzie commerciali offerte da produttori o distributori.
Nelle intenzioni, i consumatori residenti in uno degli Stati membri sarebbero stati liberi, grazie ad un apparato di norme comune, di acquistare merci anche sul
1 Art. 1 della Direttiva 99/44/CE
2 Considerando 6 della Direttiva 99/44/CE
territorio di uno Stato membro diverso da quello di residenza3; di conseguenza, una base legislativa uniforme in materia di diritto dei consumatori, applicabile a prescindere dal luogo di acquisto dei beni nella Comunità, avrebbe rafforzato la fiducia dei consumatori e avrebbe permesso loro di trarre il massimo profitto dal mercato interno4.
Per quanto concerne l’ambito di applicazione della direttiva, questa si applicava sia ai contratti di vendita sia ai contratti di fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre, anch’essi considerati contratti di vendita ai fini della direttiva. Nel nostro ordinamento, perciò, la direttiva era altresì applicabile al contratto di permuta, di somministrazione, di appalto e d’opera, e a tutti gli altri contratti comunque finalizzati alla fornitura di beni di consumo da fabbricare e produrre, così come sancito dall’ormai abrogato art. 1519 bis del codice civile.
Tema centrale della direttiva era quello della conformità dei beni al contratto di vendita e del relativo obbligo per il venditore sancito dall’art. 2 della Direttiva il quale stabiliva, inoltre, delle presunzioni di conformità ed escludeva il difetto di questa nell’ipotesi in cui, al momento della conclusione del contratto, il consumatore fosse stato a conoscenza del difetto o non avrebbe potuto ragionevolmente ignorarlo, o, ancora, se il difetto di conformità avesse trovato la sua origine in materiali forniti dal consumatore5.
Veniva poi chiarito cosa si intendeva per “conformità”: conformità alla descrizione fatta dal venditore, possesso qualità che il venditore aveva presentato al consumatore come campione o modello; idoneità all’uso al quale servivano abitualmente beni dello stesso tipo e ad ogni uso speciale voluto dal consumatore e accettato dal venditore; presenza della qualità e delle prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo, che il consumatore poteva ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura del bene e, se del caso, delle dichiarazioni pubbliche sulle caratteristiche specifiche dei beni fatte al riguardo dal venditore, dal produttore o dal suo rappresentante, in particolare nella pubblicità o sull'etichettatura. Il venditore non era però vincolato alle dichiarazioni pubbliche qualora avesse dimostrato che queste non avevano influenzato la decisione del consumatore, o che
3 Considerando 2 della Direttiva 99/44/CE
4 Considerando 5 della Direttiva 99/44/CE
5 Art. 2 della Direttiva 99/44/CE
la dichiarazione non era stata resa dal venditore o che questa era stata corretta al momento della conclusione del contratto. Il venditore era inoltre responsabile per la non corretta installazione del bene se l’installazione era parte del contratto ed era stato il venditore stesso ad installare i beni o se questa era stata eseguita sotto la sua responsabilità, ovvero se l’errata installazione era stata effettuata dal consumatore a causa delle carenti istruzioni (c.d. IKEA-Klausel6).
Per quanto riguarda i rimedi a tutela del consumatore previsti in presenza di un difetto di conformità, questi aveva diritto in primo luogo al ripristino, senza dover sostenere alcun onere economico, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, salvo che tali rimedi fossero materialmente impossibili o sproporzionati, determinando spese irragionevoli per il venditore. L’articolo 3 non stabiliva un termine perentorio per l’effettuazione della riparazione o della sostituzione, ma si limitava a prevedere che queste dovessero essere effettuate entro un lasso di tempo ragionevole e senza notevoli inconvenienti per il consumatore, avendo riguardo della natura del bene e dello scopo per il quale il consumatore aveva voluto tale bene. In via sussidiaria il consumatore avrebbe potuto chiedere una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto.
Veniva rimesso agli Stati membri stabilire un termine entro il quale il consumatore aveva l’onere di denunciare al venditore eventuali difetti di conformità. Si era ritenuto opportuno però che tutti i consumatori comunitari disponessero di un termine di almeno due mesi per denunciare al venditore l’esistenza di un difetto di conformità. Gli Stati membri avrebbero dovuto evitare che tale termine pregiudicasse i consumatori che effettuavano acquisti transfrontalieri 7. In tale aspetto è da rinvenire un limite della Direttiva: differenti termini di decadenza avrebbero potuto minare gli acquisti di un consumatore residente in uno Stato membro effettuati su un altro Stato, diverso da quello di residenza.
La protezione minima garantita dalla direttiva non poteva essere derogata in modo pregiudizievole per il consumatore. I diritti che gli erano concessi non potevano
6 Termine coniato in Germania in tema di tutela consumeristica, in particolare si veda il § 434 - Bürgerliches Gesetzbuch (BGB), riguardante il difetto materiale (Sachmangel), prevede che un difetto materiale è presente anche nel caso in cui vi sia un articolo da installare e le istruzioni siano difettose, a meno che l'articolo non sia stato assemblato comunque correttamente
7 Considerando 19 e 20 della Direttiva 99/44/CE
essere esclusi o limitati ed eventuali clausole contrattuali o accordi conclusi con l’obiettivo di escludere o limitare i diritti sanciti dalla Direttiva prima che fosse stato notificato il difetto di conformità non sarebbero vincolanti per il consumatore8 e dunque non avrebbero prodotto alcun effetto, salvo che fossero stati conclusi successivamente alla denuncia da parte del consumatore del difetto di conformità. In ogni caso tali eventuali clausole seppur intervenute successivamente per non essere comunque prive di effetti non dovevano essere considerabili come abusive a norma dell’art. 3 par. 1 della direttiva 93/13/CEE9 il quale prevede che una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto. Per quanto riguarda il diritto di regresso, si prevedeva10 che quando era determinata la responsabilità del venditore finale nei confronti del consumatore a seguito di un difetto di conformità risultante da un'azione o da un'omissione del produttore, di un precedente venditore nella stessa catena contrattuale o di qualsiasi altro intermediario, il venditore finale aveva il diritto di agire nei confronti della persona o delle persone responsabili. Veniva poi rimesso alla normativa interna degli Stati membri determinare il soggetto o i soggetti nei cui confronti il venditore finale aveva diritto di agire, nonché le relative azioni e modalità di esercizio del diritto di regresso. Altro aspetto che, essendo stato rimesso alle legislazioni nazionali, avrebbe potuto causare incertezze e non essere in linea con gli obiettivi della direttiva.
Con riferimento ai termini della responsabilità del venditore, quest’ultimo era responsabile qualora il difetto di conformità si fosse manifestato entro due anni dalla consegna del bene. Si prevedeva poi che il termine di prescrizione dei diritti esercitabili dal consumatore a seguito della presenza del difetto di conformità previsto dalle diverse legislazioni interne degli Stati membri non potesse essere
8 Art. 7 della Direttiva 99/44/CE
9 1. Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.
2. Si considera che una clausola non sia stata oggetto di negoziato individuale quando è stata redatta preventivamente in particolare nell'ambito di un contratto di adesione e il consumatore non ha di conseguenza potuto esercitare alcuna influenza sul suo contenuto.
10 Art. 4 della Direttiva 99/44/CE
inferiore ai due anni dalla data della consegna del bene. Gli Stati membri avrebbero poi potuto prevedere l’onere a carico del consumatore di denunciare al venditore il difetto di conformità entro il termine di due mesi dalla data in cui ha constatato siffatto difetto. Secondo l’articolo 5 della direttiva si presumeva, fino a prova contraria, che i difetti di conformità che si fossero manifestati entro sei mesi dalla consegna esistessero già al momento della consegna stessa, a meno che tale ipotesi fosse incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità. Riguardo al tema della garanzia, questa era delineata come qualsiasi impegno di un venditore o di un produttore, assunto nei confronti del consumatore senza costi supplementari, di rimborsare il prezzo pagato, sostituire, riparare, o intervenire altrimenti sul bene di consumo, qualora esso non corrisponda alle condizioni enunciate nella dichiarazione di garanzia o nella relativa pubblicità11.
L’imposizione di tali oneri per il venditore si spiegava con la considerazione che le garanzie, essendo strumenti di marketing, non avrebbero dovuto avere l’effetto di indurre in errore il consumatore e proprio per evitare ciò dovevano contenere determinate informazioni12. In particolare, si prevede che la garanzia doveva indicare che il consumatore era titolare di diritti secondo la legislazione nazionale applicabile, disciplinante la vendita dei beni di consumo, e specificare che la garanzia lasciava impregiudicati tali diritti; indicare in modo chiaro e comprensibile l’oggetto della garanzia e gli elementi essenziali necessari per farla valere, la durata e l’estensione territoriale della garanzia, nonché il nome e l’indirizzo di chi la prestava. Il consumatore avrebbe potuto richiedere che la garanzia fosse stata disponibile per iscritto o su un altro supporto durevole a sua disposizione e a lui accessibile. Oltre che di carattere parziale, disciplinando soltanto “taluni aspetti” della vendita e delle garanzie dei beni di consumo13, quella perseguita dalla direttiva era un’armonizzazione minima. Ciò era chiaramente esplicitato dall’articolo 8, rubricato “Diritto nazionale e protezione minima”, il quale prevedeva che gli Stati membri possono adottare o mantenere in vigore, nel settore disciplinato dalla presente direttiva, disposizioni più rigorose, compatibili con il trattato, per
11 Art. 1 lett. e) della Direttiva 99/44/CE
12 Considerando 21) della Direttiva 99/44/CE
13 XXXXXXXX XX XXXXXXXXXX, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore. L’ordinamento italiano e la direttiva 99/44/CE sulla vendita e le garanzie dei beni di consumo, CEDAM, 2020, pag. 9
garantire un livello più elevato di tutela del consumatore. Analogamente, il considerando 24 della Direttiva dichiarava che occorre permettere agli Stati membri di adottare o mantenere in vigore, nel settore disciplinato dalla presente direttiva, disposizioni più rigorose al fine di garantire un livello di tutela dei consumatori ancora più elevato.
La scelta per l’armonizzazione minima non permetteva però di raggiungere l’obiettivo sancito nel primo articolo della direttiva, ovverosia un effettivo ed efficiente ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative a taluni aspetti della vendita e delle garanzie concernenti i beni di consumo, e non ha difatti impedito che si riscontrassero diversificazioni e frammentazioni della medesima disciplina nei diversi ordinamenti nazionali degli Stati membri.
La direttiva 99/44/CE è stata variamente recepita nei diversi ordinamenti degli Stati membri.
Per quanto riguarda il recepimento della direttiva nell’ordinamento tedesco, questa si è accompagnata ad una riforma di settori del diritto delle obbligazioni e della Parte Generale del codice civile. Il legislatore tedesco non ha dunque optato per una soluzione “minimale”14 consistente nel limitarsi a riprodurre la direttiva tale e quale. La normativa a tutela del consumatore, precedentemente contenuta in distinte e autonome leggi, dal 1° gennaio 2002 è stata inserita nel codice civile tedesco (Bürgerliches Gesetzbuch - BGB), si trattava però di norme applicabili alla generalità dei contratti di diritto privato. Le norme che regolavano specificatamente la compravendita di beni di consumo (§ 474 e ss. BGB) trovavano applicazione sia con riferimento ai contratti di compravendita di beni mobili stipulati tra un imprenditore e un consumatore, sia con riferimento ai contratti di permuta e d’appalto, stipulati sempre da un imprenditore e un consumatore.
Con riferimento all’ordinamento giuridico austriaco, il Parlamento austriaco ha attuato la direttiva 99/44/CE con la legge federale dell’8 maggio 2001, recante la riforma della disciplina della garanzia per i vizi delle cose (Gewährleistungsrechts-
14 XXXXX-XXXXXXX XXXXXXX, L’attuazione in Germania della direttiva concernente la vendita di beni di consumo, in L’attuazione della Direttiva 99/44/CE in Italia e in Europa. La tutela dell’acquirente di beni di consumo. Atti del Convegno internazionale dedicato alla memoria di Xxxxxxx Xxxxxxxxx, CEDAM, 2002, pag.235
Änderungsgesetz), riforma che era già da tempo avvertita come necessaria. Il recepimento della Direttiva nell’ordinamento austriaco è avvenuto attraverso l’inserimento nel Codice Civile austriaco (Allgemeines Bürgerliches Gesetzbuch - ABGB) di nuove norme, di carattere generale applicabili a qualunque compravendita di beni a titolo oneroso, anche avvenuta tra privati, sia nella Legge generale sulla tutela dei consumatori (Konsumentenschutzgesetz - KSchG). Nell’ordinamento austriaco, così come nell’ordinamento tedesco, vi è una disciplina speciale delle garanzie contenuta nel Codice del Commercio (Handelsgesetzbuch – HGB), che però non ha subito alcuna modifica in occasione dell’attuazione della direttiva 99/44/CE.
Per quanto riguarda la Francia, il recepimento della normativa è avvenuto con riguardo ai
soli contratti di compravendita di beni mobili materiali stipulati da un imprenditore e un consumatore. Sono stati ricompresi ai fini della garanzia anche l’acqua e il gas, se confezionati per la vendita in un volume delimitato o in quantità determinata. Mentre sono stati espressamente esclusi l’energia elettrica e i beni oggetto di vendita tramite asta giudiziaria. Per quanto riguarda i vizi di conformità il consumatore poteva appellarsi sia alle norme del Code de la Consommation, in cui è disciplinata la garantie légale de conformité pour les biens (dall’articolo L217-3 al L217-20) sia alle norme del Code Civil, dove trova disciplina la garantie de vices cachés, ovvero la garanzia per i vizi occulti (Article 1641)15.
Infine, relativamente al nostro ordinamento la Direttiva è stata recepita attraverso l’emanazione del d.lgs. 2 febbraio 2002, n. 24, il quale ha introdotto nel Codice civile gli articoli dal 1519-bis al 1519-nonies, disciplinanti la materia. Il legislatore italiano si è dovuto confrontare con diverse problematiche, tra le quali una garanzia di tipo diverso rispetto a quella disciplinata dall’ordinamento interno e il nuovo concetto di conformità del bene venduto, che nella Direttiva è il criterio di valutazione dell’adempimento, “il venditore deve consegnare al consumatore beni conformi al contratto di vendita”, ed è dunque ciò in cui si sostanzia la prestazione, ma anche l’oggetto della garanzia ai sensi dell’articolo 3 della Direttiva. Inoltre al
15 La garanzia legale in Italia ed in altri Paesi dell’UE, contributo a cura del Centro Europeo Consumatori Italia
difetto di conformità vengono ricondotte sia la presenza vizi occulti sia la mancanza di qualità, le quali erano, e sono tutt’ora, disciplinate separatamente nel codice civile16. Con il decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 è entrato poi in vigore il Codice del consumo, un corpus normativo contenente la disciplina consumeristica, nel quale è stata inserita anche la disciplina in esame, espunta di conseguenza dal codice civile.
1.2 La nuova disciplina introdotta dalla Direttiva (UE) 2019/771 e dalla Direttiva (UE) 2019/770: un New Deal per i consumatori
La disciplina finora delineata nel tempo è stata ritenuta anacronistica e non più adeguata alle nuove esigenze dettate da un’economia sempre più influenzata dall’evoluzione tecnologica. La tecnologia ha infatti finito per condizionare sia i mercati sia il comportamento, sempre più smart, dei consumatori17.
Già nel 2015 la tematica dell’economia digitale era stata una delle priorità della presidenza della Commissione europea di Xxxx-Xxxxxx Xxxxxxx: il Presidente Juncker congiuntamente al Commissario europeo per l’economia e la società digitali Xxxxxxx Xxxxxxxxx e ad Xxxxxx Xxxxx, Vicepresidente responsabile per il Mercato unico digitale aveva presentato una Strategia per il mercato unico digitale in Europa (Digital Single Market), al fine di sfruttare in maniera decisamente migliore le notevoli opportunità offerte dalle tecnologie digitali, che non conoscono confini. Per realizzare tale obiettivo si riteneva necessario avere il coraggio di superare i compartimenti stagni delle regolamentazioni nazionali nel settore delle telecomunicazioni, nella legislazione sui diritti d'autore e sulla protezione dei dati, nella gestione delle onde radio e nell'applicazione del diritto della concorrenza18.
16 X. XXXXXXXXX, La direttiva 1999/44 del Parlamento Europeo e del Consiglio e i problemi del suo inserimento nel diritto italiano, , in L’attuazione della Direttiva 99/44/CE in Italia e in Europa. La tutela dell’acquirente di beni di consumo. Atti del Convegno internazionale dedicato alla memoria di Xxxxxxx Xxxxxxxxx, CEDAM, 2002, pag. 284
17 X. XXXXXXX, Nuove tecnologie e beni di consumo: il problema dell’obsolescenza programmata
in Actualidad Jurídica Iberoamericana, n. 16, febbraio 2022, pp. 372-387
18 Bruxelles, 6.5.2015, COM (2015) 192 final, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle Regioni. Strategia per il mercato unico digitale in Europa
I tre pilastri della strategia della Commissione erano i) migliorare l’accesso ai beni e ai servizi digitali, ossia assicurare un migliore accesso, sia ai consumatori che alle aziende, ai beni e servizi online europei. Ciò avviene attraverso la rimozione delle barriere all’ecommerce ii) creare un ambiente dove i network e i servizi digitali possano prosperare, grazie a infrastrutture veloci, sicure e affidabili iii) il digitale come motore per la crescita, cosicchè ogni cittadino europeo possa goderne i benefici.
La direttiva 99/44/CE è stata dunque interamente sostituita dalla Direttiva 2019/771/UE19, approvata il 20 maggio 2019 dal Parlamento europeo e dal Consiglio e rientrante, assieme alla nuova Direttiva 2019/770/UE, nel pacchetto di direttive che intendono realizzare un New Deal for consumers20 attraverso un aggiornamento della normativa consumeristica al fine di renderla idonea all’era digitale.
Tra gli obiettivi primari del New Deal vi è quello di rimodernare l’acquis dei consumatori attraverso l’introduzione di nuovi strumenti per i consumatori – quali ad esempio le azioni individuali di riparazione – e garantire una maggiore trasparenza per i consumatori nei mercati online, che detengono ormai un ruolo preponderante. Il New Deal per i consumatori ha dunque preso coscienza della rapida evoluzione e trasformazione dei mercati, trasformazione che ha determinato la necessità di “ridefinire le norme UE sui consumatori per renderle idonee al XXI secolo”21. Tra i propositi vi è poi quello di rafforzare gli strumenti già esistenti per i consumatori, in particolare la risoluzione alternativa delle controversie e la risoluzione delle controversie online, grazie alle quali i consumatori possono risolvere tramite procedure semplici, rapide ed eque le controversie nazionali e transfrontaliere con i professionisti senza bisogno di adire le vie legali.
Le nuove direttive segnano il passaggio da un’armonizzazione minima ad un’armonizzazione massima mirata (targeted full harmonisation). Si prevede infatti, sia nella direttiva 2019/771/UE, che abroga e si sostituisce alla direttiva 1999/44/CE che nella direttiva 2019/770/UE, la nuova direttiva relativa a
19 Direttiva 2019/771/UE Articolo 23: La direttiva 1999/44/CE è abrogata a decorrere dal 1 gennaio 2022.
20 Bruxelles, 11.4.2018 COM (2018) 183 final, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato Economico e Sociale Europeo. Un "New Deal" per i consumatori 21 xxxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxxx/xxxxxxxxxxx/xxxxxx/xx/XXX_00_0000
determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali, che “Salvo che la presente direttiva disponga altrimenti, gli Stati membri non mantengono o adottano nel loro diritto nazionale disposizioni divergenti da quelle stabilite dalla presente direttiva, incluse le disposizioni più o meno severe per garantire al consumatore un livello di tutela diverso”.
Un’armonizzazione completa consente di superare la frammentazione normativa in materia di tutela consumeristica, obiettivo già auspicato nel 2011 attraverso la proposta di un regolamento relativo ad un diritto comune europeo della vendita (c.d. CESL), regolamento che però non è riuscito a veder la luce a seguito del fallimento dei negoziati.
Un’armonizzazione massima della tutela del consumatore permette di migliorare il funzionamento del mercato interno, di raggiungere una maggiore protezione per il consumatore, il quale si muove in una dimensione sempre più digitale, accresce la certezza giuridica e consente altresì lo sviluppo del commercio elettronico transfrontaliero, che rappresenta la quota più significativa delle vendite transfrontaliere di beni tra imprese e consumatori22.
Viene dunque delineata una disciplina dotata di un maggior grado di imperatività, non più derogabile neppure in melius e pertanto più adatta a descrivere un unico livello di protezione previsto per il consumatore. Il consumatore dunque non può più discrezionalmente decidere di rinunciare alla tutela garantita dalla normativa comunitaria per invocare diversi rimedi previsti dalla legislazione interna, nonostante tale scelta possa portare ad esiti a lui più favorevoli23.
Le due direttive si applicano a tutti i contratti da esse consideranti conclusi sia “offline” che online, ovvero ai contratti conclusi in presenza e anche a quelli conclusi a distanza, cioè quei contratti conclusi nell'ambito di un sistema di vendita o di prestazione di servizi a distanza organizzato dal fornitore che, per tale contratto, impieghi esclusivamente una o più tecniche di comunicazione a distanza fino alla conclusione del contratto, compresa la conclusione del contratto stesso. In quest’ultima categoria vi rientrano appunto i contratti conclusi online.
22 Considerando 1 della Direttiva 2019/771/UE
23 XXXXXXX XXXXXXXXXX, Risarcimento del danno e sospensione del pagamento del prezzo nella nuova disciplina dedicata alla fornitura di beni di consumo, CONTRATTO E IMPRESA, n. 3/2022, CEDAM
1.3 La direttiva 2019/771/UE e la direttiva 99/44/CE a confronto
La nuova direttiva 2019/771/UE ha lo scopo di contribuire al corretto funzionamento del mercato interno, offrendo al contempo un livello elevato di protezione dei consumatori, stabilendo norme comuni su determinate prescrizioni concernenti i contratti di vendita conclusi tra venditori e consumatori, in particolare le norme sulla conformità dei beni al contratto, sui rimedi in caso di difetto di conformità, sulle modalità di esercizio di tali rimedi e sulle garanzie commerciali24. Al contempo mira a garantire il giusto equilibrio tra il conseguimento di un elevato livello di protezione dei consumatori e la promozione della competitività delle imprese, assicurando al tempo stesso il rispetto del principio di sussidiarietà25.
Per quanto riguarda l’ambito oggettivo di applicazione della direttiva, questa si applica sempre ai contratti di vendita, intendendosi il contratto in base al quale il venditore trasferisce o si impegna a trasferire la proprietà di beni al consumatore, e quest’ultimo ne paga o si impegna a pagarne il prezzo, e anche in questo caso vi rientrano pure i contratti, anche atipici, fra un consumatore ed un venditore per la fornitura di beni da fabbricare o produrre. Riguardo l’ambito oggettivo di applicazione vi è però una nuova esclusione: si chiarisce infatti che la direttiva non si applica ai contratti di fornitura di un contenuto digitale o di un servizio digitale né al supporto materiale che funge esclusivamente da vettore del contenuto digitale. Tale previsione introducendo nuove categorie non trova ovviamente corrispondenza nella normativa previgente e ha la finalità di evitare la sovrapposizione con la direttiva 2019/770/UE. È necessario perciò intendere correttamente cosa si intende per contratti di vendita di beni con elementi digitali e per contratti di fornitura contenuti digitali o di servizi digitali proprio per delimitare gli ambiti di applicazione delle due direttive.
Con riferimento ai soggetti cui fa riferimento la direttiva, non vi sono mutamenti nella definizione di consumatore, intendendosi sempre qualsiasi persona fisica che, in relazione ai contratti oggetto della presente direttiva, agisca per fini che non rientrano nel quadro dell’attività commerciale, industriale, artigianale o
24 Articolo 1 della Direttiva 2019/771/UE
25 Considerando 2 della Direttiva 2019/770/UE
professionale di tale persona26. Per “venditore” si intende invece qualsiasi persona fisica o giuridica, indipendentemente dal fatto che sia di proprietà pubblica o privata, che, in relazione ai contratti oggetto della presente direttiva, agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, anche tramite qualsiasi altra persona che agisca in nome o per conto di tale persona fisica o giuridica, definizione non significativamente dissimile rispetto a quella rinvenibile nella direttiva previgente27. Il discrimine tra le due parti contrattuali è dunque sempre dato dallo scopo del contratto, che viene concluso dal consumatore per finalità estranee all’attività imprenditoriale, mentre viene stipulato dal professionista proprio nell’esercizio della propria attività. È rimasta totalmente invariata la nozione di produttore, ovvero il fabbricante di un bene, l’importatore di un bene nel territorio dell’Unione o qualsiasi altra persona che si presenta come produttore apponendo sul bene il suo nome, marchio o altro segno distintivo.
Relativamente alla nozione di bene, è da segnalare un ampliamento rispetto alla nozione adottata nella direttiva 1999/44/CE in quanto vi rientra – oltre qualsiasi bene bene mobile materiale, l’acqua e il gas quando sono messi in vendita in un volume delimitato o in quantità determinata – anche l’elettricità, sempre se venduta in volume delimitato o in quantità determinata, prima espressamente esclusa dalla nozione di bene di consumo adottata dalla direttiva28; e soprattutto la nuova categoria dei beni con elementi digitali, i quali fino a questo momento non erano stati disciplinati dal legislatore comunitario, nonostante nella pratica smartphone, computer, tablet siano ormai da tempo annoverabili tra i beni di consumo più diffusi.
Per “bene con elementi digitali” si intende qualsiasi bene mobile materiale che incorpora o è interconnesso con un contenuto digitale o un servizio digitale in modo tale che la mancanza di detto contenuto digitale o servizio digitale impedirebbe lo
26 Direttiva 1999/44/CE Art. 1: 2. Ai fini della presente direttiva si intende per: a) consumatore: qualsiasi persona fisica che, nei contratti soggetti alla presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nell'ambito della sua attività commerciale o professionale;
27 Direttiva 1999/44/CE Art. 1: 2. Ai fini della presente direttiva si intende per: c) venditore: qualsiasi persona fisica o giuridica che in base a un contratto vende beni di consumo nell'ambito della propria attività commerciale o professionale;
28 Direttiva 1999/44/CE Art. 1: 2. Ai fini della presente direttiva si intende per […] b) beni di consumo: qualsiasi bene mobile materiale tranne: i beni oggetto di vendita forzata o comunque venduti secondo altre modalità dalle autorità giudiziarie; l'acqua ed il gas, quando non confezionati per la vendita in un volume delimitato o in quantità determinata; l'energia elettrica;
svolgimento delle funzioni del bene. Pertanto detti contenuti o servizi sono necessari per il funzionamento del bene materiale. Se la mancanza del contenuto digitale o del servizio digitale incorporato o interconnesso non impedisce al bene materiale di svolgere le proprie funzioni allora non troverà applicazione la direttiva 2019/771/UE ma l’apposita direttiva 2019/770/UE.
Riguardo al tema della conformità, la disciplina previgente contenuta nella direttiva 99/44/CE sanciva all’articolo 2 delle presunzioni, o più opportunamente dei parametri, di conformità del bene al contratto29 mentre l’attuale normativa prevede degli specifici requisiti soggettivi e oggettivi di conformità.
Sotto il profilo dei requisiti soggettivi si prevede30 che per essere conforme al contratto di vendita, il bene deve corrispondere alla descrizione, al tipo, alla quantità e alla qualità contrattuale e possedere la funzionalità, la compatibilità, l’interoperabilità e le altre caratteristiche come previste dal contratto di vendita; deve essere idoneo ad ogni uso speciale voluto dal consumatore e che è stato da questi portato a conoscenza del venditore e da questo accettato; deve essere fornito assieme a tutti gli accessori, alle istruzioni, anche in materia di installazione, previsti dal contratto di vendita e con gli eventuali aggiornamenti sempre previsti dal contratto.
Per quanto riguarda i requisiti oggettivi di conformità31, i quali prescindono dalle previsioni contrattuali, il bene deve essere idoneo agli scopi per i quali si impiegano di norma beni dello stesso tipo, tenendo conto dell’eventuale diritto dell’Unione e nazionale, delle norme tecniche o, in mancanza di tali norme tecniche, dei codici di condotta dell’industria applicabili allo specifico settore; deve possedere la qualità e corrispondere alla descrizione di un eventuale campione o modello messo a disposizione dal venditore; deve poi essere consegnato assieme agli accessori,
29 Direttiva 99/44/CE Art.2: 2. Si presume che i beni di consumo siano conformi al contratto se:
a) sono conformi alla descrizione fatta dal venditore e possiedono le qualità del bene che il venditore ha presentato al consumatore come campione o modello; b) sono idonei ad ogni uso speciale voluto dal consumatore e che sia stato da questi portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto e che il venditore abbia accettato; c) sono idonei all'uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo; d) presentano la qualità e le prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo, che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura del bene e, se del caso, delle dichiarazioni pubbliche sulle caratteristiche specifiche dei beni fatte al riguardo dal venditore, dal produttore o dal suo rappresentante, in particolare nella pubblicità o sull'etichettatura.
30 Art. 6 della direttiva 2019/771/UE
31 Art. 7 della direttiva 2019/771/UE
compresi imballaggio, istruzioni per l’installazione o altre istruzioni, che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi di ricevere ed essere della quantità e possedere le qualità e le altre caratteristiche normali in un bene del medesimo tipo e che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura del bene e delle dichiarazioni pubbliche rese dal venditore, o per suo conto, e anche di quelle rese da altre persone nell’ambito dei passaggi precedenti della catena di transazioni commerciali, salvo che il venditore riesca a dimostrare che non ne fosse stato a conoscenza e non potesse ragionevolmente essere a conoscenza della dichiarazione o che queste siano state poi corrette prima della conclusione del contratto oppure che tale dichiarazione non avrebbe potuto avere alcuna influenza sulla decisione di acquistare il bene.
Nel caso in cui il contratto abbia ad oggetto un bene con elementi digitali, il venditore deve assicurare che al consumatore siano notificati e forniti gli aggiornamenti necessari al fine di mantenere la conformità del bene nel periodo di tempo che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, date la tipologia e la finalità dei beni e degli elementi digitali, e tenendo conto delle circostanze e della natura del contratto. Se poi il consumatore non dovesse installare entro un termine ragionevole gli aggiornamenti forniti dal venditore, quest’ultimo non sarebbe responsabile per qualsiasi difetto di conformità derivante unicamente dalla mancanza dell’aggiornamento pertinente, a condizione che il venditore abbia informato il consumatore circa la disponibilità dell’aggiornamento e le conseguenze della mancata installazione dello stesso da parte del consumatore e la mancata installazione da parte del consumatore o l’installazione errata dell’aggiornamento da parte del consumatore non sia dovuta a carenze delle istruzioni di installazione fornite al consumatore.
Essendo stata eliminata la disposizione contenuta all’art. 2 della previgente direttiva 99/44, non è più esclusa la responsabilità del venditore in tutti i casi in cui il difetto di conformità fosse conosciuto o conoscibile dal consumatore al momento della consegna. Si prevede ora che non vi è difetto di conformità se, al momento della conclusione del contratto di vendita, il consumatore era stato specificamente informato del fatto che una caratteristica particolare del bene si discostava dai requisiti oggettivi di conformità previsti e il consumatore ha espressamente e
separatamente accettato tale scostamento al momento della conclusione del contratto di vendita32.
È prevista la possibilità di derogare convenzionalmente ai requisiti oggettivi di conformità, in particolare è consentito ai professionisti, ritenendo di dover garantire una flessibilità sufficiente alle norme, di discostarsi dai requisiti oggettivi di conformità, purché il consumatore sia stato specificamente informato e lo abbia accettato separatamente o mediante una condotta attiva e inequivocabile33 e dunque anche per facta concludentia. Si richiede dunque al consumatore non più di essere diligente ma di essere informato.
Come nella direttiva previgente è presente la c.d. IKEA-Klausel: l’errata installazione del bene è considerata un difetto di conformità se questa fa parte del contratto di vendita ed è stata eseguita dal venditore o sotto la sua responsabilità, oppure se l’installazione è stata effettuata dal consumatore e l’errore sia dovuto a carenze nelle istruzioni di installazione fornite dal venditore o, per i beni con elementi digitali, fornite dal venditore o dal fornitore del contenuto digitale o del servizio digitale.
Si prevede poi che, se l’utilizzo del bene oggetto del contratto è impedito o limitato da restrizioni conseguenti ad una violazione dei diritti di un terzo, in particolare i diritti di proprietà intellettuale, gli Stati membri devono assicurare che il consumatore disponga dei rimedi previsti per difetto di conformità – ripristino della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, riduzione proporzionale del prezzo, risoluzione del contratto – salvo che la legislazione nazionale preveda in tali casi la nullità o la risoluzione del contratto di vendita34.
Viene confermata la presunzione prevista dalla direttiva previgente della sussistenza del difetto al momento della consegna qualora questo si manifesti entro un anno dalla consegna stessa, e non più di sei mesi come era previsto dalla direttiva 1999/44/CE35, salvo prova contraria o salvo che la presunzione sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità. Dopo un anno dalla consegna sarà onere del consumatore dimostrare la preesistenza del difetto al
32 Art. 7 della direttiva 2019/771/UE
33 Considerando 36 della Direttiva 2019/771/E
34 Art. 9 della direttiva 2019/770/UE
35 Art. 5 della direttiva 99/44/CE
momento della consegna del bene. Gli Stati membri possono estendere fino a due anni il periodo per cui opera la presunzione.
Per quanto riguarda il termine della responsabilità del venditore, quest’ultimo è responsabile nei confronti del consumatore di qualsiasi difetto di conformità sussistente al momento della consegna del bene e che si manifesta entro 2 anni da tale momento. Nel caso di beni con elementi digitali, se la fornitura del contenuto digitale o del servizio digitale è continuativa per un periodo di tempo, il venditore è responsabile anche per qualsiasi difetto di conformità del contenuto digitale o del servizio digitale che si verifica o si manifesta entro due anni dal momento della consegna dei beni con elementi digitali. Se il contratto prevede una fornitura continuativa per più di due anni, il venditore risponde di qualsiasi difetto di conformità del contenuto digitale o del servizio digitale che si verifica o si manifesta nel periodo di tempo durante il quale il contenuto digitale o il servizio digitale deve essere fornito a norma del contratto di vendita. È lasciata libertà agli Stati membri di mantenere in vigore o introdurre termini più lunghi rispetto a quelli previsti dalla direttiva.
Nella massima misura possibile, il risarcimento del danno cagionato dal venditore, e conseguente all’inosservanza di quanto previsto dalla direttiva, dovrebbe avere l’effetto di ripristinare la situazione in cui il consumatore si sarebbe trovato se i beni fossero stati conformi36. Obiettivo cui auspica la direttiva è pertanto quello della conservazione del contratto.
I rimedi previsti per il consumatore nel caso in cui sussista un difetto di conformità sono sempre il ripristino della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, salvo che ciò sia impossibile o eccessivamente oneroso per il venditore, tenuto conto del valore che il bene avrebbe in assenza del difetto di conformità, dell’entità del difetto e della possibilità di esperire il rimedio alternativo senza notevoli inconvenienti per il consumatore. Nelle intenzioni del legislatore, il fatto di consentire al consumatore di chiedere la riparazione dovrebbe incoraggiare un consumo sostenibile e contribuire a una maggiore durabilità dei prodotti37. È prevista sempre la riduzione del prezzo, questa volta però il legislatore fornisce
36 Considerando 61 della direttiva 2019/771/UE
37 Considerando 48 della direttiva 2019/771/UE
alcune indicazioni su come operare tale riduzione: questa deve essere infatti proporzionale alla diminuzione di valore del bene ricevuto dal consumatore rispetto al valore del bene se questo fosse stato conforme; nella direttiva previgente questa doveva soltanto essere “congrua” o “adeguata”. È possibile poi la risoluzione del contratto se il venditore non ha effettuato la riparazione o la sostituzione oppure si è rifiutato di rendere il bene conforme; se il difetto di conformità si è manifestato nonostante il tentativo del venditore di ripristinare la conformità del bene o se quest’ultimo è talmente grave da giustificare l’immediata riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto di vendita; oppure il venditore ha dichiarato, o risulta chiaramente dalle circostanze, che non procederà al ripristino della conformità del bene entro un periodo ragionevole, o senza notevoli inconvenienti per il consumatore. La disposizione che disciplina ricorrendo a termini quali “tempi ragionevoli” o “notevoli inconvenienti” non sembra però coerente con l’obiettivo di full harmonization.
La nuova direttiva attribuisce poi il diritto al consumatore di sospendere il pagamento del prezzo o di una sua parte fino a quando il venditore non abbia adempiuto agli obblighi sanciti dalla direttiva.
Stando al dato letterale, l’operatività dell’exceptio inadimpleti contractus, non è testualmente subordinata esclusivamente alla presenza di un difetto di conformità, la disposizione fa infatti riferimento in generale agli obblighi imposti al professionista dalla direttiva.
Agli Stati membri è lasciata la possibilità di stabilire le condizioni e le modalità che consentono al consumatore di esercitare il diritto di rifiutare il pagamento e anche se e in che misura un concorso del consumatore al verificarsi del difetto di conformità incida sul diritto del consumatore di avvalersi dei rimedi.38.
La possibilità di sospendere il pagamento del prezzo non era contemplata dalla direttiva previgente, ma a tale risultato poteva pervenirsi egualmente tramite la legislazione interna dei singoli Stati membri, l’art. 8 infatti prevedeva, in ossequio al principio della maggior tutela, che “l’esercizio dei diritti riconosciuti dalla presente direttiva lascia impregiudicato l’esercizio di altri diritti di cui il consumatore può avvalersi in forza delle norme nazionali relative alla
38 Art. 13 della direttiva 2019/771/UE
responsabilità contrattuale o extracontrattuale”. Il legislatore comunitario intendeva prevedere soltanto una regolamentazione parziale dei rimedi più direttamente idonei a garantire il superamento del difetto di conformità, garantendo al consumatore una protezione non derogabile in peius, ancorché come sottolineato in precedenza la possibilità di prevedere una disciplina interna più protettiva degli interessi del consumatore avrebbe frammentato ulteriormente le discipline nazionali39.
L’articolo 3 della direttiva 2019/771/UE prevede all’ultimo comma che la direttiva non limita la facoltà per gli Stati membri di permettere ai consumatori di scegliere un rimedio specifico qualora il vizio di conformità dei beni dovesse manifestarsi entro un periodo di tempo non superiore a 30 giorni successivi alla consegna. Inoltre, la direttiva non incide nemmeno sulle norme nazionali non specifiche per i contratti stipulati con i consumatori che prevedono rimedi specifici per taluni tipi di difetti non apparenti all’atto della conclusione del contratto di vendita.
La direttiva disciplina anche le garanzie commerciali, prevedendo che qualsiasi garanzia commerciale, redatta in un linguaggio semplice e comprensibile, vincola giuridicamente il garante secondo le condizioni stabilite nella dichiarazione di garanzia commerciale e nella relativa pubblicità disponibile al momento o prima della conclusione del contratto.
La disposizione relativa al diritto di regresso, riproduce quanto era già previsto dalla direttiva 1999/44/CE, tuttavia essendo la prima una direttiva di armonizzazione massima sarebbe stato opportuno fornire indicazioni maggiori e non rimettere, ancora una volta, la questione al diritto nazionale. Dopo aver stabilito che quando è determinata la responsabilità del venditore nei confronti del consumatore a seguito di un difetto di conformità risultante da un’azione o da un’omissione di una persona nell’ambito dei passaggi precedenti della catena di transazioni commerciali, il venditore ha il diritto di agire nei confronti della persona o delle persone responsabili nella catena di transazioni commerciali, si rimette ai legislatori nazionali il compito di individuare la persona nei cui confronti il venditore ha diritto di agire, nonché le relative azioni e modalità di esercizio.
39ALBERTO VENTURELLI, Risarcimento del danno e sospensione del pagamento del prezzo nella nuova disciplina dedicata alla fornitura di beni di consumo, CONTRATTO E IMPRESA. Dialoghi con la giurisprudenza civile e commerciale, n. 3/2022, CEDAM
Gli esiti della disciplina oggetto di armonizzazione possono apparire incoerenti o persino contraddittori con il proposito prefissato40, infatti nonostante l’obiettivo di armonizzazione massima, sono rimessi all’ordinamento interno dei vari Stati membri numerosi temi: la legalità dei beni, il risarcimento dei danni e aspetti relativi al diritto contrattuale generale quali la formazione, la validità, la nullità o gli effetti dei contratti; le conseguenze della risoluzione del contratto e taluni elementi riguardanti la riparazione e la sostituzione che non sono disciplinati dalla presente direttiva41. Spetta sempre alla legislazione nazionale disciplinare la nozione di “consegna”42, e la scelta del luogo in cui la riparazione e la sostituzione devono essere effettuate43. Sempre ai singoli ordinamenti viene rimessa la possibilità di introdurre o mantenere una disciplina del concorso del consumatore nella causazione del difetto di conformità44, la possibilità di prevedere la durata della garanzia superiore a due anni45 e altresì di ampliare di un anno, nella disciplina previgente soltanto di sei mesi, la durata della presunzione che il difetto di conformità fosse esistente al momento della consegna. È data poi la possibilità di introdurre regimi convenzionali di durata della garanzia relativamente ai beni di seconda mano non inferiori all’anno46.
Agli Stati membri è anche rimessa l’individuazione delle modalità di rimborso del prezzo al consumatore e di restituzione della merce in caso di risoluzione, l’introduzione di eventuali termini per provvedere e la disciplina di eventuali oneri connessi al rimborso47, la disciplina del risarcimento del danno48 e delle garanzie commerciali49.
40 XXXXXX XXXXXXXX, Osservazioni sulla nuova disciplina delle garanzie nella vendita di beni di consumo, in, CONTRATTO E IMPRESA. Dialoghi con la giurisprudenza civile e commerciale,
n. 2/2020, CEDAM
41 Considerando 18 della Direttiva 2019/771/UE
42 Considerando 38 della Direttiva 2019/771/UE
43 Considerando 56 della Direttiva 2019/771/UE
44 Art. 13 della Direttiva 2019/771/UE
45 Art. 10 della Direttiva 2019/771/UE
46 Considerando 43 della Direttiva 2019/771/UE
47 Considerando 60 della Direttiva 2019/771/UE
48 Considerando 61 della Direttiva 2019/771/UE
49 Considerando 62 della Direttiva 2019/771/UE
1.4 La nuova direttiva 2019/770/UE in materia di fornitura di contenuti digitali e servizi digitali
La direttiva fin qui considerata deve essere integrata con la direttiva 2019/770/UE relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali.
La direttiva 2019/770/UE è stata adottata a norma dell’articolo 26 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), il quale sancisce che l’Unione adotta le misure destinate all’instaurazione o al funzionamento del mercato interno, il quale comporta uno spazio senza frontiere, nel quale è assicurata la libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali; e dell’articolo 169 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ai sensi del quale al fine di promuovere gli interessi dei consumatori ed assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori, l'Unione contribuisce a tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori nonché a promuovere il loro diritto all'informazione, all'educazione e all'organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi. L'Unione contribuisce […] mediante: a) misure adottate a norma dell'articolo 114 nel quadro della realizzazione del mercato interno; b) misure di sostegno, di integrazione e di controllo della politica svolta dagli Stati membri.
Con l’approvazione della direttiva 2019/770/UE, considerata la direttiva “gemella” o più opportunamente “sorella” della direttiva 2019/771/UE, il legislatore comunitario ha disciplinato, per la prima volta, determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali. L’obiettivo auspicato è quello di instaurare un autentico mercato unico digitale, accrescere la certezza giuridica e ridurre i costi di transazione, in particolare per le piccole e medie imprese50, le quali, se offrono contenuti digitali o servizi digitali oltre frontiera, devono spesso affrontare costi aggiuntivi imputabili alla diversità delle normative nazionali di diritto contrattuale dei consumatori, e all’incertezza giuridica51. Come enunciato dal considerando 1 della direttiva, garantire ai consumatori un migliore accesso ai contenuti digitali e ai servizi digitali, e agevolare la fornitura di contenuto digitale
50 Considerando 3 della Direttiva 2019/770/UE
51 Considerando 4 della Direttiva 2019/770/UE
e di servizi digitali da parte delle imprese, può contribuire a promuovere
l’economia digitale dell’Unione e stimolare la crescita globale.
La direttiva 2019/770/UE stabilisce una disciplina comune per tutti gli stati membri su determinati aspetti quali la conformità del contenuto digitale o del servizio digitale al contratto, i rimedi in caso di difetto di conformità al contratto o di mancata fornitura e le modalità di esercizio degli stessi, nonché la modifica del contenuto digitale o del servizio digitale.
Essa è inoltre concepita come disciplina di carattere generale, cedevole rispetto a normative speciali. Si prevede infatti che in caso di conflitto tra le disposizioni della presente direttiva e una disposizione di un altro atto dell’Unione che disciplina uno specifico settore o oggetto, la disposizione di tale altro atto dell’Unione prevale.
La direttiva si applica a qualsiasi contratto in cui l’operatore economico fornisce, o si impegna a fornire, un contenuto digitale o un servizio digitale al consumatore e il consumatore corrisponde un prezzo o si impegna a corrispondere un prezzo o fornisce o si impegna a fornire dati personali all’operatore economico, fatto salvo il caso in cui i dati personali forniti dal consumatore siano trattati esclusivamente dall’operatore economico ai fini della fornitura del contenuto digitale o del servizio digitale o per consentire l’assolvimento degli obblighi di legge cui è soggetto l’operatore economico.
Si precisa52 che la direttiva non trova applicazione qualora per il contenuto digitale o per i servizi digitali non venga corrisposto un prezzo da parte del consumatore e l’operatore economico raccolga dati personali esclusivamente per fornire contenuto digitale o servizi digitali o al solo scopo di soddisfare obblighi di legge. Ciò potrebbe avvenire nei casi in cui la registrazione del consumatore è obbligatoria a norma di legge ai fini di sicurezza e di identificazione. La direttiva non si applica neppure nel caso in cui vengano raccolti dall’operatore economico soltanto metadati, ovvero dati che riguardano altri dati, definiti anche Data about Data, quali ad esempio le informazioni sul dispositivo del consumatore o la cronologia di navigazione, tranne nel caso in cui tale situazione sia considerata come un contratto dal diritto nazionale. Infine, la direttiva non trova applicazione nel caso in cui il consumatore non abbia stipulato un contratto con l’operatore economico e sia
52 Considerando 26 della Direttiva 2019/770/UE
comunque esposto a messaggi pubblicitari solamente al fine di ottenere l’accesso ad un contenuto o ad un servizio digitale. Tuttavia, viene attribuita agli Stati membri la facoltà di estendere l’applicazione della direttiva a tali situazioni o di disciplinare diversamente le situazioni escluse dall’ambito di applicazione.
La direttiva non si applica altresì nelle ipotesi in cui i contenuti digitali o i servizi digitali siano incorporati o interconnessi con beni materiali (c.d. beni con elementi digitali) e siano imprescindibili per il funzionamento del bene, e che sono forniti con il bene ai sensi di un contratto di vendita relativo a tali beni, indipendentemente dal fatto che detti contenuti digitali o servizi digitali siano forniti dal venditore o da un terzo. In tali casi troverà applicazione la direttiva sui contratti di vendita di beni di consumo. Pertanto, la direttiva 2019/771/UE potrebbe applicarsi ad esempio al contratto di vendita di uno smartphone, mentre il contratto di fornitura di un’applicazione scaricabile da un app store rientrerebbe nella direttiva 2019/770/UE.
Vengono esclusi espressamente all’articolo 3 dall’ambito di operatività della direttiva i contratti concernenti la fornitura di servizi diversi dai servizi digitali e il considerando 27 della direttiva chiarisce che si tratta dei contratti il cui oggetto principale non è lo strumento digitale, ma esso viene impiegato come mera modalità di “confezione” o consegna della prestazione richiesta dal consumatore. Il servizio in questione potrebbe essere una traduzione, un parere legale o una perizia tecnica. La direttiva non si applica inoltre ai servizi di comunicazioni elettroniche come definiti dall’art. 2 n. 4 della direttiva 2018/1972/UE, ad eccezione dei servizi di comunicazioni interpersonale senza numero, quali i servizi di posta elettronica e messaggistica online; ai servizi di assistenza sanitaria, ovvero i servizi prestati da professionisti sanitari a pazienti, al fine di valutare, mantenere o ristabilire il loro stato di salute, ivi compresa la prescrizione, la somministrazione e la fornitura di medicinali e dispositivi medici53. Sono poi esclusi i servizi di gioco d’azzardo, vale a dire servizi che implicano una posta pecuniaria in giochi di sorte, compresi quelli con un elemento di abilità, come le lotterie, i giochi da casinò, il poker e le scommesse, che vengano forniti mediante strumenti elettronici o qualsiasi altra
53 Art. 3 Direttiva 2011/24/UE concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera
tecnologia che facilita le comunicazioni e su richiesta individuale di un destinatario di tali servizi54; i servizi finanziari, di natura bancaria, creditizia, assicurativa, servizi pensionistici individuali, di investimento o di pagamento55; i software c.d. open source (software liberi e aperti) offerti dall’operatore economico sulla base di una licenza libera e aperta, in cui il consumatore non corrisponde un prezzo e i dati personali forniti dal consumatore sono trattati esclusivamente dall’operatore economico al fine di migliorare la sicurezza, la compatibilità o l’interoperabilità del software specifico.
Infine, non rientrano nell’ambito di applicazione neppure i contratti concernenti la fornitura di un contenuto digitale messo a disposizione del pubblico con mezzi diversi dalla trasmissione di segnale quale parte di uno spettacolo o di un evento, come le proiezioni cinematografiche digitali; o un contenuto digitale fornito a norma della direttiva 2003/98/CE, relativa al riutilizzo dell'informazione del settore pubblico, da enti pubblici degli Stati membri.
Anche per i contenuti e i servizi digitali sono fissati dei requisiti oggettivi e soggettivi di conformità. Per quanto riguarda questi ultimi si prevede che è conforme al contratto il contenuto digitale o il servizio digitale che: corrisponde alla descrizione, alla quantità e alla qualità previste dal contratto e presenta la funzionalità, la compatibilità, l’interoperabilità e le altre caratteristiche previste dal contratto; è idoneo ad ogni uso particolare voluto dal consumatore e che è stato da questi portato a conoscenza dell’operatore economico al più tardi al momento della conclusione del contratto e che l’operatore economico ha accettato; è fornito con tutti gli accessori, le istruzioni, anche in materia di installazione, e l’assistenza ai clienti previsti dal contratto ed è aggiornato come previsto dal contratto.
Con riferimento ai requisiti oggettivi, il contenuto digitale o il servizio digitale deve essere: adeguato agli scopi per cui sarebbe abitualmente utilizzato un contenuto digitale o un servizio digitale del medesimo tipo, tenendo conto, se del caso, dell’eventuale diritto dell’Unione e nazionale e delle norme tecniche esistenti, oppure, in mancanza di tali norme tecniche, dei codici di condotta dell’industria specifici del settore applicabili; della quantità e presenta la qualità e le
54 Art. 3 Direttiva 2019/770/UE
55 Art. 2 Direttiva 2002/65/CE concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori
caratteristiche di prestazione, anche in materia di funzionalità, compatibilità, accessibilità, continuità e sicurezza, che si ritrovano abitualmente nei contenuti digitali o nei servizi digitali dello stesso tipo e che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura del contenuto digitale o del servizio digitale, tenendo conto di eventuali dichiarazioni pubbliche rese da o per conto dell’operatore economico o di altri soggetti nell’ambito di passaggi precedenti nella catena delle operazioni, soprattutto nei messaggi pubblicitari e nell’etichettatura, a meno che l’operatore economico non dimostri che l’operatore economico non era a conoscenza e non poteva ragionevolmente essere a conoscenza della dichiarazione pubblica in questione, o che al momento della conclusione del contratto, la dichiarazione pubblica era stata rettificata nello stesso modo, o in modo paragonabile, a quello in cui era stata resa; oppure che la decisione di acquistare il contenuto digitale o il servizio digitale non poteva essere influenzata dalla dichiara zione pubblica; il contenuto o il servizio deve essere fornito assieme agli eventuali accessori e istruzioni che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi di ricevere; infine deve essere conforme all’eventuale versione di prova o anteprima del contenuto digitale o del servizio digitale messa a disposizione dall’operatore economico prima della conclusione del contratto.
I requisiti oggettivi di conformità sono derogabili dalle parti. Si prevede in tal senso che non sussiste difetto di conformità se, al momento della conclusione del contratto, il consumatore era stato specificamente informato del fatto che una caratteristica particolare del contenuto digitale o del servizio digitale si discostava dai requisiti oggettivi di conformità e ha espressamente e separatamente accettato tale scostamento al momento della conclusione del contratto, ad esempio selezionando una casella o premendo un pulsante.
Anche per i contenuti e servizi digitali vi è una disposizione assimilabile alla c.d. IKEA-Klausel (prevista per il caso di errata installazione di un bene materiale), nella direttiva in esame si fa riferimento non alla installazione ma all’integrazione, intesa come il collegamento del contenuto o del servizio digitale con le componenti dell’ambiente digitale del consumatore e l’incorporazione in dette componenti affinché il contenuto digitale o il servizio digitale sia utilizzato nel rispetto dei
requisiti di conformità previsti dalla direttiva. L’errata integrazione del contenuto digitale o del servizio digitale nell’ambiente digitale del consumatore deve essere considerato difetto di conformità del contenuto digitale o del servizio digitale se il contenuto digitale o servizio digitale è stato integrato dall’operatore economico o sotto la sua responsabilità; oppure se il contenuto digitale o il servizio digitale era inteso ad essere integrato dal consumatore e l’errata integrazione è dovuta a una carenza delle istruzioni di integrazione fornite dall’operatore economico.
L’onere della prova dell’assenza di un difetto di conformità è posto a carico dell’operatore economico. Qualora un contratto preveda un unico atto di fornitura o una serie di singoli atti di fornitura, l’onere della prova riguardo al fatto se il contenuto digitale o il servizio digitale fornito fosse conforme al momento della fornitura è a carico dell’operatore economico per un difetto di conformità che risulti evidente entro il termine di un anno dal momento in cui il contenuto digitale o il servizio digitale è stato fornito. Mentre, nel caso in cui il contratto preveda la fornitura continuativa per un periodo di tempo, l’onere della prova riguardo al fatto se il contenuto digitale o il servizio digitale fosse conforme entro il periodo di tempo durante il quale il contenuto digitale o il servizio digitale deve essere fornito ai sensi del contratto è a carico dell’operatore economico per un difetto di conformità che risulti evidente entro tale periodo. Tuttavia, è previsto un dovere di collaborazione a carico del consumatore: si prevede infatti che Il consumatore collabora con l’operatore economico per quanto ragionevolmente possibile e necessario al fine di accertare se la causa del difetto di conformità del contenuto digitale o del servizio digitale risieda nell’ambiente digitale del consumatore. L’obbligo di collaborazione è limitato ai mezzi tecnicamente disponibili che sono meno intrusivi per il consumatore. Se il consumatore non collabora e se l’operatore economico ha informato il consumatore di tali requisiti in modo chiaro e comprensibile prima della conclusione del contratto, l’onere della prova riguardo all’esistenza del difetto di conformità è a carico del consumatore
Per quanto riguarda i rimedi a disposizione del consumatore qualora sussista un difetto di conformità, questi si sostanziano nel diritto al ripristino della conformità del contenuto digitale o del servizio digitale, nella riduzione adeguata del prezzo e nella risoluzione del contratto.
Il consumatore ha diritto anzitutto al ripristino della conformità del contenuto digitale o del servizio digitale, salvo che ciò non sia impossibile o imponga all’operatore economico costi che sarebbero sproporzionati, tenuto conto di tutte circostanze del caso, tra cui: il valore che il contenuto digitale o servizio digitale avrebbe se non ci fosse alcun difetto di conformità e l’entità del difetto di conformità. L’operatore economico deve rendere il contenuto digitale o il servizio digitale conforme entro un periodo di tempo ragionevole a partire dal momento in cui è stato informato dal consumatore riguardo al difetto di conformità, senza spese e senza disagi per il consumatore.
Se il ripristino della conformità è impossibile o sproporzionato; oppure l’operatore economico non ha ripristinato la conformità o non procederà entro un termine ragionevole o senza arrecare particolari disagi al consumatore; o ancora se, nonostante il tentativo dell’operatore economico di ripristinare la conformità del contenuto digitale o servizio digitale, questo sussiste ugualmente; o infine se il difetto di conformità è talmente grave da giustificare un’immediata riduzione del prezzo o risoluzione del con tratto; il consumatore ha diritto a una riduzione proporzionale del prezzo. La riduzione del prezzo è proporzionale alla diminuzione di valore del contenuto digitale o del servizio digitale fornito al consumatore rispetto al valore che avrebbe tale contenuto digitale o servizio digitale se fosse conforme.
In caso di risoluzione del contratto, da esercitarsi mediante dichiarazione al venditore, l’operatore economico è tenuto a rimborsare al consumatore tutti gli importi versati in esecuzione del contratto. Tuttavia, se il contratto prevede la fornitura del contenuto digitale o del servizio digitale dietro pagamento di un prezzo e per un periodo di tempo, e il contenuto digitale o il servizio digitale è stato conforme per un periodo di tempo prima della risoluzione del contratto, l’operatore economico rimborsa al consumatore solo la proporzione dell’importo pagato corrispondente al periodo in cui il contenuto digitale o il servizio digitale non è stato conforme e qualsiasi parte del prezzo pagato in anticipo dal consumatore per la durata del contratto che sarebbe rimasta se il contratto non fosse stato risolto.
Quando è determinata la responsabilità dell’operatore economico nei confronti del
consumatore a seguito della mancata fornitura di contenuto digitale o servizio
digitale o in ragione di un difetto di conformità risultante da un atto o da un’omissione di una persona nell’ambito di passaggi precedenti della catena di operazioni commerciali, l’operatore economico ha il diritto di agire nei confronti della persona o delle persone responsabili nella catena di operazioni commerciali. Potrebbero verificarsi restrizioni all’uso del contenuto digitale o del servizio digitale da parte del consumatore a causa di limitazioni imposte dal titolare di diritti di proprietà intellettuale e tali restrizioni potrebbero derivare da accordi di licenza con l’utente finale che potrebbero ad esempio vietargli di utilizzare determinate caratteristiche relative alla funzionalità del contenuto o del servizio, determinando però una violazione dei requisiti oggettivi di conformità qualora dovessero riguardare caratteristiche che sono abituali di contenuti digitali o servizi digitali dello stesso tipo e che il consumatore può ragionevolmente attendersi56. In tali ipotesi la direttiva prevede57 che se una restrizione derivante da una violazione dei diritti di terzi, in particolare i diritti di proprietà intellettuale, impedisce o limita l’uso del contenuto digitale o del servizio digitale gli Stati membri devono assicurare che il consumatore abbia il diritto ad avvalersi dei rimedi previsti per il difetto di conformità disciplinati dalla direttiva stessa, a meno che il diritto nazionale preveda in tali casi la nullità del contratto o la risoluzione del contratto per la fornitura del contenuto digitale o del servizio digitale.
Vengono rimesse agli Stati membri tutte le questioni sulle quali non è intervenuta la direttiva, quali la formazione, la validità, la nullità o gli effetti dei contratti o la liceità del contenuto digitale o del servizio digitale. Inoltre, la direttiva non definisce la natura giuridica dei contratti per la fornitura di contenuto digitale o di servizi digitali, applicandosi questa a qualsiasi contratto, concluso in presenza o a distanza, con cui l’operatore economico fornisce, o si impegna a fornire, un contenuto digitale o un servizio digitale al consumatore e il consumatore corrisponde un prezzo o si impegna a corrispondere un prezzo o fornisce o si impegna a fornire dati personali all’operatore economico.
56 Considerando 53 della Direttiva 2019/770/UE
57 Art. 10 della Direttiva 2019/770/UE
Spetta dunque al diritto nazionale determinare il modello negoziale (se tali contratti costituiscono, ad esempio, un contratto di vendita, di servizio, di noleggio o un contratto sui generis)58.
Anche in questo caso, nonostante l’obiettivo di armonizzazione massima, il legislatore europeo nella pratica rimette considerevoli scelte alla discrezionalità del legislatore nazionale, anche negli aspetti qualificanti della disciplina. Diverse facoltà sono infatti attribuite agli Stati membri: per esempio possono prevedere rimedi extracontrattuali di cui il consumatore può avvalersi, nel caso di difetto di conformità del contenuto digitale o del servizio digitale, nei confronti di persone nell’ambito di passaggi precedenti della catena di transazioni commerciali, o di altre persone che adempiono agli obblighi di tali persone; possono disciplinare le azioni di responsabilità di un consumatore nei confronti di un terzo diverso dall’operatore economico che fornisce, o si impegna a fornire, il contenuto digitale o il servizio digitale (ad esempio uno sviluppatore); hanno poi la possibilità di regolamentare autonomamente i diritti delle parti di astenersi dall’adempiere gli obblighi o parte di essi finché l’altra parte non abbia adempiuto i propri obblighi. Gli Stati infine possono estendere le norme della direttiva ai contratti esclusi dal suo ambito di applicazione o attribuire la protezione accordata ai consumatori dalla presente direttiva anche alle persone fisiche o giuridiche che non sono consumatori ai sensi della direttiva, quali le organizzazioni non governative, le start-up o le PMI.
Gli ultimi articoli della direttiva sono dedicati al suo recepimento e alla sua entrata in vigore. La direttiva, infatti, non essendo un atto direttamente applicabile negli Stati membri, contrariamente ai regolamenti comunitari, necessita di essere prima recepita dagli Stati membri nel diritto nazionale. Si prevede che a partire dal 1° luglio 2021 gli Stati membri adottano e pubblicano le disposizioni necessarie per conformarsi alla presente direttiva e che essi applicano tali disposizioni a decorrere dal 1° gennaio 2022. Si precisa inoltre che le disposizioni della direttiva si applicano alla fornitura di contenuto digitale o di servizi digitali che avvengono a decorrere dal 1° gennaio 2019, fatta eccezione per gli articoli 19 e 20, relativi rispettivamente alla modifica del contenuto digitale o del servizio digitale e al diritto di regresso, che si applicano ai contratti conclusi a decorrere da tale data.
58 Considerando 12 della Direttiva 2019/770/UE
2. CAPITOLO 2 – L’AMBITO DI APPLICAZIONE DEL CAPO I BIS DEL CODICE DEL CONSUMO
Introduzione
Il recepimento della nuova disciplina in materia di fornitura di servizi e contenuti digitali è avvenuto nell’ordinamento italiano attraverso il decreto legislativo 4 novembre 2021, n. 173, il quale ha dato attuazione alla direttiva 2019/770/UE.
Il decreto in questione, entrato in vigore l’11 dicembre 2021, ha introdotto nel codice del consumo il capo I-bis Dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali, all’interno del Titolo III (Garanzia legale di conformità e garanzie commerciali per i beni di consumo) della Parte IV (Sicurezza e qualità) del Codice.
È stata ritenuta irragionevole59 la scelta di collocare la nuova disciplina nel Titolo III poiché sarebbe stato più opportuno dedicare un apposito titolo a tale materia sia perché i servizi, seppure parimenti idonei a soddisfare bisogni, non rientrano nella categoria dei beni, tantomeno di consumo, in quanto non suscettibili di appropriazione, sia per evidenziare maggiormente la distanza con la disciplina relativa ai beni con elementi digitali. Più in generale però vi sarebbe da interrogarsi se sia stata ragionevole o meno, per le motivazioni di cui si dirà in seguito, la scelta di inserire la disciplina in questione proprio all’interno del Codice del consumo, poiché tale scelta comporta l’esclusione dell’applicabilità di una disciplina del tutto inedita a tutti quei soggetti che non sono qualificabili come consumatori.
Le nuove disposizioni (gli articoli dal 135 octies al 135 vicies ter) sono entrate in vigore il 1˚ gennaio 2022 e si applicano alle forniture di contenuto digitale o di servizi digitali che avvengono a decorrere da tale data, fatta eccezione per gli articoli 135-quindecies e 135-vicies semel – relativi rispettivamente al diritto di regresso e alla modifica del contenuto digitale o del servizio digitale – che si applicano ai contratti conclusi a decorrere da tale data60.
59 XXXXXXXX XX XXXXXXXXXX, Legislazione italiana e contratti dei consumatori nel 2022: l’anno della svolta. Verso un diritto “pubblico” dei (contratti dei) consumatori? in Le nuove leggi civili commentate, 1/2022
60 Art. 2 d.lgs. 4 novembre 2021, n. 173
Occorre ora esaminare come il legislatore italiano abbia tracciato i contorni del Capo I-bis, e dunque quale sia il suo ambito di applicazione, alla luce di quanto è stato previsto dal legislatore comunitario nella direttiva 2019/770/UE.
Interessa innanzitutto chiarire se il legislatore italiano abbia colto la possibilità concessa dalla direttiva comunitaria di ampliare l’ambito soggettivo della disciplina, includendovi quei soggetti che non rientrando nella nozione di consumatore sarebbero del tutto privi di una regolamentazione riguardante la fornitura di contenuti e servizi digitali, dal momento che tale materia non è stata disciplinata da altre disposizioni al di fuori del codice del consumo e che pertanto non vi sono norme assimilabili, nemmeno in parte, nel codice civile.
È necessario, inoltre, delineare l’ambito di applicazione oggettivo, al fine di intendere correttamente che cosa siano i contenuti digitali e i servizi digitali e quale sia la tipologia contrattuale presa in considerazione dalla normativa e se vi sia o meno una sua tipizzazione.
Sempre con riferimento all’ambito oggettivo, è da rilevare che la distinzione tra i servizi e contenuti digitali eventualmente provvisti di un supporto materiale e i beni che incorporano o che sono interconnessi con contenuti o servizi digitali potrebbe non essere così netta e creare incertezze soprattutto qualora, al fine di intendere correttamente la disciplina applicabile, sia necessario valutare di volta in volta se distinguere tra “contenitore” e “contenuto” oppure considerare un determinato bene come un tutt’uno.
2.1 L’ambito soggettivo di applicazione: professionisti e
consumatori nel mercato digitale
Ai sensi della direttiva 2019/770/UE, destinatari della disciplina in esame sono gli operatori economici e consumatori.
Per quanto riguarda la controparte “forte” del rapporto contrattuale, ai sensi della direttiva comunitaria gli operatori economici61 sono i soggetti, pubblici o privati,
61 Art. 2 della Direttiva 770/2019/UE: 5) «operatore economico»: qualsiasi persona fisica o giuridica, indipendentemente dal fatto che si tratti di un soggetto pubblico o privato, che agisca, anche tramite qualsiasi altra persona che agisca in nome o per conto di tale persona
che agiscono per finalità che rientrano nel quadro della loro attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e che forniscono o si impegnano a fornire contenuti digitali o servizi digitali al consumatore. Nella nozione vi rientrano anche i fornitori di piattaforme, i quali sono parimenti considerati operatori economici qualora agiscano per finalità che rientrano nel quadro delle loro attività e in quanto partner contrattuali diretti del consumatore per la fornitura di contenuto digitale o di servizi digitali. La direttiva concede agli Stati membri la possibilità di estendere la sua applicazione anche ai fornitori di piattaforme che non soddisfano i requisiti per essere considerati operatori economici ai sensi della direttiva stessa62.
Il legislatore italiano nel recepire la disciplina comunitaria riporta pedissequamente all’articolo 135-octies, disposizione di apertura del Capo I bis rubricato Ambito di applicazione e definizioni, quanto stabilito dal legislatore europeo; dunque nel delineare la figura del professionista si riferisce anch’egli a qualsiasi persona fisica
– quale un imprenditore, un lavoratore autonomo o libero professionista – o giuridica, e dunque un ente con o senza personalità giuridica, indipendentemente dal fatto che si tratti di un soggetto pubblico o privato, ovvero un suo intermediario, che agisca per finalità che rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale.
Rispetto alla definizione generale contenuta nell’art. 3 del Codice del Consumo non vi sono particolari innovazioni se non per l’inciso “indipendentemente dal fatto che si tratti di un soggetto pubblico o privato”, tuttavia tale specificazione non ha alcuna portata innovativa essendo già pacifico che il professionista possa anche essere un ente pubblico quando nell’esercizio della propria attività concluda contratti con privati qualificabili come consumatori e agisca con caratteri di imprenditorialità.
Per quanto concerne la nozione di intermediario, vi rientrano tutti i soggetti che pur in assenza di formale procura abbiano interceduto e operato nell’interesse del professionista al fine di concludere un contratto. Si intende dunque far riferimento non soltanto al caso in cui vi sia un rappresentante che agisca in nome e per conto del professionista, ma vi rientrano anche i casi in cui il professionista decida di
fisica o giuridica, per finalità che rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, in relazione ai contratti oggetto della presente direttiva
62 Considerando 18 della Direttiva 770/2019/UE
ricorrere, per esempio, all’interposizione reale di persona. Si è voluto pertanto includere nella nozione di professionista il suo intermediario in modo che anche quest’ultimo debba assoggettarsi alle prescrizioni contenute nel Capo I bis.
Il legislatore italiano ricomprende poi nella nozione di professionista, riportando sempre quanto stabilito dalla direttiva, il fornitore di piattaforme digitali. Il fornitore di tali piattaforme è incluso nella nozione di professionista però soltanto qualora agisca per finalità che rientrano nel quadro della sua attività e in quanto controparte contrattuale del consumatore per la fornitura di contenuto digitale o di servizi digitali.
La definizione di professionista contenuta nell’art. 135-octies del codice del consumo da cui si è partiti e fin qui delineata è simmetrica alla definizione di venditore riportata nell’art. 128 del Capo I del medesimo codice dedicato alla vendita dei beni di consumo, conclusa sia online che offline. Anche in questo caso viene incluso nella nozione di venditore il fornitore di piattaforme qualora agisca per finalità che rientrano nel quadro della sua attività e quale controparte contrattuale del consumatore per la fornitura di contenuto digitale o di servizi digitali. Tale previsione però se è opportuna con riguardo ai contratti di fornitura di contenuti e servizi digitali, se riferita al venditore di beni (digitali e non) suscita perplessità dal momento che in questo caso eventuali contenuti o servizi digitali sono comunque integrati in un bene materiale e il rapporto contrattuale si instaura unicamente tra venditore e consumatore. Il fornitore di piattaforme dunque può essere sì destinatario della disciplina delineata dal Capo I ma a patto che sia anche il venditore del bene. Invero, l’art. 128 al terzo comma afferma che le disposizioni del Capo I si applicano ai contenuti digitali o ai servizi digitali incorporati o interconnessi con beni, i quali sono forniti con il bene in forza del contratto di vendita, indipendentemente dal fatto che i predetti contenuti digitali o servizi digitali siano forniti dal venditore o da terzi.
Per ragioni di completezza occorre approfondire che cosa siano le piattaforme digitali.
Definire che cosa siano esattamente le piattaforme non è stato semplice nemmeno per gli organi comunitari. Il Commissario europeo per l'economia e la società digitali Xxxxxx Xxxxx nel dicembre del 2015 aveva dichiarato che non vi è una
definizione di piattaforme (online) generalmente accettata, ma un centinaio di buone definizioni e che quando le persone parlano di piattaforme ne danno interpretazioni totalmente diverse63.
La Commissione europea ha definito le piattaforme online come “an undertaking operating in two (or multi)-sided markets, which uses the Internet to enable interactions between two or more distinct but interdependent groups of users so as to generate value for at least one of the groups”64. In un altro document della Commissione65 vengono definite “as software-based facilities offering two-or even multi-sided markets where providers and users of content, goods and services can meet”.
Dalle definizioni ora riportate si evince che le piattaforme operano in mercati bilaterali o multilaterali – mercati nei quali si incontrano fornitori, consumatori, beni e servizi – e che utilizzano Internet per consentire e facilitare le interazioni tra due o più gruppi di utenti distinti ma interdipendenti in modo da generare valore per almeno uno dei gruppi.
Anche il legislatore italiano ha fornito una definizione di piattaforma digitale. In particolare nel Disegno di legge S. 2484, ovverosia Disposizioni in materia di fornitura dei servizi della rete internet per la tutela della concorrenza e della libertà di accesso degli utenti, all’articolo 1 si prevede che per «piattaforma tecnologica» si intende l'insieme di software, specifiche tecniche, standard e hardware organizzato da un fornitore di servizi della società dell'informazione affinché l'utente (finale) possa utilizzare particolari software o servizi resi disponibili per via telematica ovvero fruire di determinati contenuti digitali attraverso la rete internet,
63 “we do not even have a single definition of platforms accepted by everyone. We have hundreds of good definitions … But when different people are talking about platforms, they have a totally different understanding.” in xxx.xxxxxxxxxx.xx Parliamentary business, Publications & records, Online Platforms and the Digital Single Market Contents, Chapter 3: Defining ‘online platforms’
64 European Commission, ‘Public Consultation on the regulatory environment for platforms, online intermediaries, data and cloud computing and the collaborative economy’ (September 2015) reperibile su xxxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxxxxx-xxxxxx/xx/xxxx/xxxxxx- consultation-regulatory-environmentplatforms-online-intermediaries-data-and-cloud
65 Commission Staff Working document, A Digital Single Market Strategy for Europe - Analysis and Evidence Accompanying the document Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions A Digital Single Market Strategy for Europe, Brussels, 6.5.2015 SWD(2015) 100 final
ad esclusione dei software limitati a usi specializzati e che non sono pertanto di utilizzo generale.
Nel genus delle piattaforme ricadono diverse species, con differenti funzioni e caratteristiche66: può trattarsi infatti di i mercati online (Amazon, ebay, Xxxxxxx.xxx), piattaforme pubblicitarie online, motori di ricerca (Google, Bing), strumenti di ricerca specializzati (ad es. Google Shopping, TripAdvisor) social media (Facebook, Linkedin, Twitter) e punti vendita di contenuti creativi, piattaforme di distribuzione di applicazioni (Apple App Store, Google Play) servizi di comunicazione, sistemi di pagamento e le piattaforme per l'economia collaborativa (AirBnB, Uber, Bla-bla car)67.
Alcune piattaforme vengono qualificate come Intermediary service providers, ovvero fornitori di servizi di intermediazione online, ovvero quei servizi della società dell’informazione – prestati normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica, mediante apparecchiature elettroniche di elaborazione e di memorizzazione di dati, e a richiesta individuale di un destinatario di servizi68 – che consentono agli utenti commerciali di offrire beni e servizi agli utenti con i quali stipulano un contratto69.
La Commissione ritiene70 che le piattaforme siano tra gli attori digitali più influenti nel contribuire a determinare la struttura dell'attività online e che il loro ruolo di
66 Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, Le piattaforme online e il mercato unico digitale Opportunità e sfide per l'Europa Bruxelles, 25.5.2016 COM(2016) 288 final
67 Gli esempi sono tratti da European Commission, ‘Public Consultation on the regulatory environment for platforms, online intermediaries, data and cloud computing and the collaborative economy’ (September 2015) reperibile su xxxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxxxxx- agenda/en/news/public-consultation-regulatory-environment-platforms-online- intermediaries-data-and-cloud
68 direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (c.d. Direttiva sul commercio elettronico)
69 Regolamento (UE) 2019/1150 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online
70 Commission Staff Working document, A Digital Single Market Strategy for Europe - Analysis and Evidence Accompanying the document Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions A Digital Single Market Strategy for Europe, Brussels, 6.5.2015 SWD(2015) 100 final
intermediario conferisca loro potere economico ma anche, in alcuni casi, il potere di modellare l'esperienza online dei propri clienti su base personalizzata e a filtrare ciò che il cliente vede, principalmente attraverso l'applicazione di algoritmi basati sui dati raccolti.
Il fenomeno delle piattaforme però solleva delle gravi problematiche le quali hanno importanti ripercussioni per i consumatori che le utilizzano. In primo luogo, non è chiaro per gli utenti come le piattaforme raccolgano ed elaborino i loro dati e come vengano presentate le informazioni (c.d. Xxxx of clarity on information inputs and outputs71). In secondo luogo, i consumatori non sono a conoscenza di quali dati sulle loro attività online vengano raccolti e come questi vengano utilizzati (c.d. Lack of awareness of consumers about the value and use of their data72), determinandosi in tal modo anche un'asimmetria informativa che potrebbe interferire con i loro diritti fondamentali alla privacy e alla protezione dei dati personali.
La problematica che ha immediate ricadute sull’analisi fin qui effettuata riguardo ai soggetti che stipulano i contratti di fornitura di contenuti e servizi digitali è quella viene definita “Lack of awareness of the other contracting party”73 ossia mancanza di consapevolezza della controparte contrattuale. Le piattaforme, infatti, sono altro rispetto al professionista che se ne serve, tuttavia quando viene ad interfacciarsi con tali piattaforme, il consumatore potrebbe considerare quale sua controparte contrattuale proprio la piattaforma medesima e non il professionista che se ne avvale. Si pensi ad esempio alla piattaforma digitale di video sharing Youtube, nella quale il consumatore che intenda fruire dei servizi digitali gratuiti o a pagamento non ha immediata evidenza del fatto che il fornitore del servizio sia la società Google Ireland Limited. In molti casi però la piattaforma e il fornitore del servizio o del contenuto digitale possono avere la stessa denominazione, come ad esempio è il caso di Amazon o Spotify. Tuttavia, occorre tener presente che i due elementi non si sovrappongono: la piattaforma riveste infatti il ruolo di intermediario e
71 Commission Staff working document, A Digital Single Market Strategy for Europe - Analysis and Evidence Accompanying the document Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions A Digital Single Market Strategy for Europe
{COM(2015) 192 final} pagg. 54 e ss.
72 Ibidem
73 Ibidem
potrebbe essere intesa come uno spazio virtuale assimilabile al negozio fisico in cui si reca un consumatore per effettuare un acquisto offline.
Il rapporto che instaura il consumatore preso in considerazione dal Capo I bis del codice del consumo, così come dalla direttiva comunitaria, non è il rapporto P2C (platform to consumer) ma soltanto quello B2C, tra il consumatore e il professionista che fornisce il contenuto o il servizio digitale all’interno della piattaforma.
Passando ora al destinatario della tutela, l’art. 135-octies del codice del consumo, così come l’art. 128 del Capo I, nello specificare che cosa si intenda per consumatore rinvia all’art. 3 del medesimo codice, il quale, delimitando l’ambito applicativo della tutela consumeristica, chiarisce che è consumatore o utente esclusivamente la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta. Il consumatore è il soggetto che necessita di una maggiore protezione poiché più debole rispetto alla sua controparte contrattuale in ragione della mancanza di potere contrattuale e dell’asimmetria informativa che caratterizzano il rapporto che va ad instaurare con il professionista.
La qualifica di consumatore è condizionata, oltre che dalla totale estraneità dello scopo per il quale conclude il contratto alla sua attività professionale, anche dal soggetto con cui questo si rapporta poiché la protezione accordata non gli sarebbe concessa qualora la contrattazione dovesse avvenire con un soggetto che non rivesta la qualifica di professionista ma di semplice soggetto privato che agisce per scopi estranei rispetto all'attività imprenditoriale commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta.
I caratteri ritenuti propri del consumatore, quali l’assenza di potere di negoziazione e l’asimmetria informativa che giustificano una maggiore protezione rispetto ai rapporti tra privati, non dipendono da uno status, quale ad esempio la minore età, e si possono rinvenire anche in altre categorie di soggetti non dotati del requisito della “fisicità” sancito dall’articolo 3 del codice del consumo oppure possono sussistere anche con riguardo a persone fisiche che agiscano per scopi non del tutto estranei rispetto all’attività imprenditoriale.
Vi sono stati tentativi di ampliamento della nozione di consumatore al fine di accordare la protezione consumeristica anche in queste ipotesi. Ad esempio vi è stata una sentenza della Cassazione civile francese, risalente al 1987, nella quale è stata accordata la tutela anche ad un soggetto non qualificabile come consumatore: la vicenda riguardava una società, nello specifico un’agenzia immobiliare, e le clausole abusive contenute in un contratto di acquisto di un sistema di allarme che la società aveva stipulato, con un’altra società, l’Abonnement téléphonique. per uno dei propri immobili. I giudici francesi avevano deciso di estendere la tutela consumeristica alla società ricorrente ritenendo che l’attività di agente immobiliare fosse del tutto estranea alle specificità e caratteristiche tecniche proprie degli impianti di allarme e che, rispetto al contenuto del contratto in questione, la società si trovasse nello stesso stato di ignoranza paragonabile a quello di qualsiasi altro consumatore persona fisica che avrebbe stipulato un simile contratto74. Tuttavia si è trattato di un caso pressoché isolato e in seguito la giurisprudenza francese ha abbandonato tale orientamento, il quale mette in luce la necessità, da tempo avvertita, di allargare le maglie della tutela consumeristica, accordando la protezione ai soggetti che agiscono per scopi estranei all’attività professionale.
A livello comunitario, nel frattempo, si era consolidato l’orientamento che circoscrive la tutela consumeristica alle sole persone fisiche che agiscono per scopi essenzialmente estranei all’attività professionale o imprenditoriale. Emblematica è la Sentenza Gruber75, relativa ad un contratto di fornitura concluso da un allevatore il quale aveva ad oggetto delle tegole che sarebbero state utilizzate per la fattoria nella quale abitava ed esercitava la propria attività. La Corte di giustizia, risolvendo la questione riguardante la determinazione della competenza giurisdizionale, e in particolare se questa fosse da attribuire allo Stato di appartenenza
74 Cour de Cassation, Chambre civile 1, du 28 avril 1987, 85-13.674, “[…] le contrat conclu entre Abonnement téléphonique et la société Pigranel échappait à la compétence professionnelle de celle-ci, dont l'activité d'agent immobilier était étrangère à la technique très spéciale des systèmes d'alarme et qui, relativement au contenu du contrat en cause, était donc dans le même état d'ignorance que n'importe quel autre consommateur ; qu'ils en ont déduit à bon droit que la loi du 10 janvier 1978 était applicable […]
75 Corte di giustizia dell’Unione Europea, 20/01/2005, causa C-464/01
dell’attore/consumatore o a quello del convenuto, ha affermato che in caso di contratto avente una duplice finalità, occorre aver riguardo allo scopo predominante e che la protezione consumeristica non può essere invocata nell’ipotesi in cui un contratto sia stato concluso per uno scopo relativo in parte all’ attività professionale, e dunque non del tutto estraneo a questa, e in parte per un’attività privata. Soltanto nel caso in cui lo scopo inerente l’esercizio dell’attività professionale fosse risultato del tutto marginale e dunque trascurabile all’interno dell’operazione economica interamente considerata allora si sarebbe potuta invocare la tutela consumeristica. Tuttavia, successivamente è stato accolto il criterio più della prevalenza, ampliando la nozione di consumatore e includendovi il soggetto che abbia agito per scopi professionali così limitati da non risultare prevalenti nell’ambito dell’intero contratto. Infatti, la direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio sui diritti dei consumatori sancisce, al considerando 17, che per quanto riguarda i contratti con duplice scopo, ovvero quei contratti conclusi per finalità che riguardano parzialmente uno scopo commerciale, il soggetto dovrebbe essere considerato un consumatore qualora detto scopo commerciale risulti minimale al punto da non poter essere predominante nel contratto generalmente considerato.
Al fine di ampliare ulteriormente la tutela, è stata proposta in dottrina la distinzione tra atti relativi alla professione e atti della professione. Nel primo caso si ha riguardo alla destinazione dei beni e servizi oggetto del contratto, nel secondo caso al contratto stesso. In particolare, gli atti della professione sono quelli con cui il soggetto si procura beni o servizi strumentali all’esercizio della sua attività professionale, non direttamente esplicativi di questa poiché non appartenenti agli atti tipicamente conclusi nell’esercizio della sua professione, quale ad esempio un contratto di utenza telefonica per un telefono utilizzato all’interno di uno studio medico oppure nel caso in cui vengano acquistati dei tavoli per arredare un ristorante. In questo caso, secondo tale teoria, il professionista che pone in essere atti relativi alla professione potrebbe essere considerato un consumatore; contrariamente a quanto avviene, invece, con riferimento a quelli che sarebbero qualificabili come atti della professione, ovvero quegli atti che rientrano normalmente nell’esercizio dell’ attività svolta dal professionista, quale ad esempio la stipulazione di un contratto di compravendita di beni all’ingrosso a cui farà
seguito la rivendita al dettaglio. In questo caso al professionista non potrebbe applicarsi la disciplina consumeristica in quanto non sarebbe in alcun modo qualificabile come consumatore.
Tale teoria ha il pregio di ampliare l’ambito della tutela consumeristica, la quale guarda invece allo scopo dell’atto, includendovi gli atti relativi alla professione e potrebbe comunque dirsi coerente con la ratio di riportare in equilibrio, tramite una maggiore protezione, situazioni di disparità negoziale e informativa; tuttavia, è priva di alcun fondamento normativo e si scontra con quanto sancito dalla Cassazione76, la quale – nell’ambito di una vicenda che riguardava un contratto per l’attivazione di un’utenza telefonica stipulato da un avvocato per il proprio studio professionale – ha decretato che un atto anche soltanto connesso, accessorio o comunque legato da un nesso funzionale all’attività svolta dal professionista, non rientra nell’ambito della tutela consumeristica.
Dal momento che è oramai consolidato, anche da ulteriori pronunce, che uno scopo anche solo connesso all’esercizio dell’attività professionale esclude la tutela consumeristica, deve concludersi che le disposizioni degli articoli 135 octies e seguenti in materia di contenuti e servizi digitali non potranno applicarsi nel caso in cui un imprenditore voglia concludere un contratto di fornitura di un servizio digitale, quale, ad esempio, un software antivirus da installare nei computers presenti all’interno del suo ufficio utilizzati sia per motivi personali sia per lo svolgimento dell’attività professionale. Così come resta escluso dall’ambito di applicazione del Capo I bis l’avvocato che voglia sottoscrivere un abbonamento di riviste giuridiche online o che intenda acquistare ebook che trattino materie giuridiche. Resterebbe al di fuori della tutela anche un professionista che crei il proprio profilo Facebook, servizio digitale rientrante nell’oggetto del contratto considerato dal Capo I bis, inserendovi nel nome utente la sua qualifica professionale (ad esempio Avvocato Tizio o Dottore commercialista Xxxx) e che dovesse utilizzare il proprio account sia per scopi personali sia per contattare i propri clienti, senza però utilizzare un account c.d. Business Manager, pensato appositamente per le aziende e la loro attività professionale.
76 Cass. civ., Sez. III, Ord., 26 settembre 2018, n. 22810
Nel caso in cui l’utente sin qui considerato fosse solito ad accedere al social network utilizzando l’applicazione installata nel proprio cellulare e non gli venissero più forniti gli aggiornamenti necessari al corretto funzionamento del servizio, e vi fosse dunque una loro mancata installazione imputabile al professionista, il quale sarebbe dunque responsabile ex articolo 135 undecies, per invocare la tutela consumeristica dovrebbe riuscire a dimostrare la minor rilevanza della finalità professionale rispetto a quella extraprofessionale .
I contenuti e i servizi digitali sono tra i beni e servizi che più si prestano ad essere utilizzati per scopi promiscui, uno stesso contenuto o servizio può essere utilizzato sia per esigenze estranee all’attività professionale sia per fini in essa rientranti al punto che potrebbe non essere di facile applicazione il criterio della prevalenza al fine di escludere o meno la qualifica di consumatore. Inoltre, la non invocabilità della disciplina consumeristica ha ricadute su una eventuale controversia tra l’utente in questione e il professionista (nel caso qui ipotizzato Meta Platforms Ireland Limited), poiché la competenza territoriale non spetterebbe al giudice del luogo in cui l’utente ha la residenza o il domicilio elettivo.
Nella vicenda poc’anzi ipotizzata il soggetto era sì una persona fisica che però agiva per scopi che andavano al di là del soddisfacimento di esigenze proprie della vita quotidiana. I tentativi di ampliamento della tutela consumeristica hanno riguardato anche quei soggetti non qualificabili come persone fisiche che possono trovarsi in una situazione di debolezza contrattuale e informativa similmente a quanto avviene per i consumatori. Si tratta dei c.d. professionisti deboli77, quali le piccole imprese, le microimprese, le imprese artigiane, agricole e familiari.
La direttiva 2011/83/UE prevede, al considerando 13, che gli Stati membri possono estendere l’applicazione delle norme in essa contenute, e dunque le norme a tutela dei consumatori, anche alle persone giuridiche, quali le piccole e medie imprese. Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, la questione è stata affrontata a livello costituzionale a proposito dell’articolo 1469 bis del codice civile, tacciato di
77 XXXXXXXXX XXXXXXX, Contributo allo studio della problematica tutela degli interessi del «consumatore» in Il diritto contrattuale dei consumi ed i suoi attuali confini a cura di Xxxxxxxx Xxxxx, Napoli : Edizioni Scientifiche Italiane, 2022, pag. 170
illegittimità costituzionale per contrasto con gli articoli 3, 25 e 41 della Costituzione a causa dell’irragionevole disparità di trattamento nella parte in cui al consumatore non sono equiparati il piccolo imprenditore e l’imprenditore artigiano78. La questione di legittimità costituzionale è stata dichiarata dalla Corte non fondata ed è stato chiarito che la finalità dell’articolo 1469 bis è quella di assicurare una tutela a coloro i quali, secondo la comune esperienza, sono presumibilmente privi della necessaria competenza per negoziare e ciò non può valere anche con riguardo ai piccoli imprenditori e agli imprenditori artigiani, i quali in ragione dell’attività professionale esercitata in maniera non occasionale, hanno le condizioni per negoziare su un piano di parità. Secondo la Corte, inoltre, la scelta di accordare la medesima tutela a tale categoria di imprenditori comporterebbe la loro classificazione quali soggetti (sempre) deboli. Più persuasiva è stata la motivazione data dall’Avvocatura di Stato, in difesa e in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, la quale ha rimarcato la differenza tra consumatore, soggetto che agisce per soddisfare esigenze della vita quotidiana estranee all’attività professionale eventualmente svolta, e contraente debole, il quale riceve comunque una protezione dagli articoli 1341, 1342 e 2597 del codice civile e dalla legge 10 ottobre 1990 n. 287, contenente disposizioni a tutela della concorrenza e del mercato.
La ratio della tutela apprestata ai consumatori non è di proteggere qualunque soggetto debole, ma quel preciso e specifico soggetto debole che è il consumatore. Pertanto gli imprenditori, deboli e non, restano sempre esclusi dall’ambito della tutela consumeristica e a maggior ragione dall’ambito di applicazione del Capo I bis, il quale, però, disciplina una materia del tutto inedita per l’ordinamento italiano e che, data l’espansione e la predominanza del mercato digitale, può coinvolgere anche i rapporti tra imprese. La questione non si pone nel caso in cui, data la contingenza della nozione di consumatore, l’imprenditore agisca quale soggetto privato, non dunque come organo dell’impresa o comunque nell’esercizio dell’attività professionale ma per il semplice soddisfacimento di proprie esigenze estranee all’attività imprenditoriale.
78 Corte Costituzionale, ordinanza 22/11/2002 n° 469
La direttiva 770/2019/UE prevede, al considerando 16, la possibilità per gli Stati membri di estendere la disciplina in essa contenuta anche alle persone fisiche o giuridiche che non sono qualificabili come consumatori ai sensi della direttiva stessa. Tuttavia, le diposizioni in essa contenute sono state inserite all’interno di un codice settoriale che esclude la tutela in esso contenuta o coloro che non agiscono in qualità di consumatori, secondo la definizione data dall’articolo 3 del codice del consumo.
Vi è in dottrina79 chi ritiene che le disposizioni contenute nel Capo I bis potrebbero essere suscettibili di applicazione analogica ai contratti stipulati tra imprese, poiché sarebbero rinvenibili i presupposti che giustificherebbero il ricorso all’analogia: anzitutto la presenza di una lacuna, dal momento che non è riscontrabile una disciplina della medesima materia all’interno del codice civile, inoltre, in alcune delle disposizioni non sarebbero rinvenibili le esigenze proprie della protezione consumeristica e sarebbero pertanto idonee a disciplinare anche i rapporti tra imprese.
Anzitutto, per poter discutere di applicazione analogica è necessario verificare di non essere in presenza di uno dei casi in cui questa è esclusa. L’articolo 14 delle disposizioni preliminari al codice civile nega la possibilità di ricorrere all’applicazione analogica nel caso di leggi penali e leggi eccezionali.
La disciplina contenuta nel codice del consumo è sicuramente speciale rispetto alla disciplina generale di diritto privato tuttavia non si tratta di norme eccezionali in quanto delinea norme specifiche per una determinata categoria ma non antitetiche o incompatibili con i principi generali dettati dal codice civile. Inoltre ciò che diverge tra i due sistemi è soprattutto il contesto di riferimento, avendo riguardo a due modelli diversi di mercato.
Generalmente il codice civile prende in considerazione rapporti contrattuali individuali, negoziati da entrambe le parti le quali si trovano normalmente in condizione di parità, che possono avere ad oggetto beni specifici e che, una volta concluso il contratto, non prevedono ulteriori servizi di assistenza. Invece, il codice
79 XXXXXXXX XX XXXXXXXXXX, Legislazione italiana e contratti dei consumatori nel 2022: l’anno della svolta. Verso un diritto “pubblico” dei (contratti dei) consumatori? In Le nuove leggi civili commentate, 1/2022, pag. 19
del consumo si riferisce essenzialmente alla compravendita di beni tendenzialmente prodotti in serie e in larga scala, oggetto di un contratto generalmente standard pensato per qualunque consumatore medio. I modelli non sono però in contrapposizione.
Pertanto, affermata la non eccezionalità delle norme del codice consumo e conseguentemente del Capo I bis, l’applicazione analogica delle disposizioni di cui agli articoli 135 octies e seguenti potrebbe ritenersi in linea di principio consentita. Per quanto riguarda l’assenza della ratio prettamente consumeristica di alcune delle norme contenute nel Capo I bis, la cui presenza invece negherebbe la possibilità di far ricorso all’applicazione analogica, potrebbero non esservi obiezioni in quanto le disposizioni considerate sono circoscritte all’interno del Titolo III della Parte IV, dedicato alla garanzia legale di conformità e garanzie commerciali per i beni di consumo, rispetto al quale vi sono settori più emblematici della tutela consumeristica quali ad esempio gli obblighi di informazione al consumatore, l’ambito delle pratiche commerciali scorrette o la disciplina della tutela collettiva dei consumatori. La maggior parte delle norme di cui gli articoli 135 octies e seguenti regolano un rapporto contrattuale in modo non dissimile a quanto avviene ad esempio nel codice civile con riferimento alla garanzia nella compravendita. Vengono infatti disciplinati gli obblighi delle parti contrattuali e i possibili rimedi in caso di vizi dell’oggetto del contratto. Inoltre, all’interno del Capo I bis vi è una disposizione, l’articolo 135 quinquiesdecies, che neppure si rivolge al consumatore, ma riguarda il professionista e in particolare il suo diritto di regresso nel caso in cui il contenuto o il servizio digitale presenti un difetto di conformità imputabile ad uno o più soggetti facenti parte dei precedenti passaggi della medesima catena contrattuale distributiva.
Per verificare la sussistenza del secondo presupposto, ovvero la presenza di una lacuna, occorre ricercare se nel codice civile vi sono disposizioni analoghe applicabili ai rapporti tra imprese. Come detto poc’anzi, il Capo I bis è inserito all’interno del Titolo dedicato alla garanzia di conformità e alla responsabilità del professionista in presenza di difetti di conformità.
Il codice civile prevede l’istituto della garanzia e attribuisce all’acquirente di un bene che presenta vizi non trascurabili, tali da rendere il bene inidoneo all’uso a cui
è destinato o da ridurne in modo apprezzabile il valore, la garanzia per vizi ex articolo 1490 c.c. e mette a disposizione gli stessi rimedi di cui dispone il consumatore: in particolare l’acquirente può chiedere a sua discrezione la riduzione del prezzo (tramite l’actio aestimatoria) o la risoluzione del contratto (attraverso l’actio redhibitoria), salvo il diritto al risarcimento del danno qualora il venditore non riuscisse a provare di avere ignorato i vizi senza colpa ex art. 1494 c.c. La tutela consumeristica, a differenza di quella civilistica, è maggiormente orientata verso la salvezza del contratto, infatti, il consumatore può ottenere anche il ripristino della conformità, sempre che sia possibile o non imponga al professionista un costo eccessivo, tramite la riparazione o la sostituzione del bene.
I vizi disciplinati dal codice civile possono consistere nella presenza di un vizio materiale o giuridico, nella mancanza di qualità essenziali o promesse, nella presenza di diritti di terzi o di oneri o vincoli gravanti sul bene, nella consegna di aliud pro alio, ovvero di un bene di diversa natura che presenta delle differenti caratteristiche socio-economiche, rispetto al bene oggetto del contratto.
Nell’ipotesi delineata dal codice civile, L’acquirente di un bene viziato, salvo un diverso termine eventualmente stabilito dalle parti o dalla legge, ha otto giorni di tempo, dalla consegna, nel caso di vizi apparenti, o dalla scoperta, nell’ipotesi di vizi occulti, per denunziare i vizi al venditore. L’azione dell’acquirente si prescrive trascorso un anno dalla consegna del bene. L’eccezione è però imprescrittibile, pertanto se dovesse essere convenuto in giudizio dal compratore potrà sempre eccepire il vizio, purché tempestivamente denunziato. Nel caso di aliud pro alio il compratore ha diritto alla risoluzione del contratto, la quale però si prescrive nei termini ordinari, secondo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione80, la quale ha ritenuto che la consegna di xxxxx pro alio dà luogo all’ordinaria azione di risoluzione svincolata dai termini di prescrizione e decadenza previsti nel caso di “semplici” vizi dall’articolo 1495 del codice civile.
Il codice del consumo prevede che il professionista è responsabile soltanto per i difetti di conformità che si palesano entro due anni a decorrere dalla fornitura e che
80 Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza n. 10045/18; Cassazione civile, sez. I Civile, sentenza 5 febbraio 2016 n. 2313; Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 31 maggio 2017, n. 13782
l'azione diretta a far valere i difetti si prescrive nel termine di ventisei mesi Se il contratto prevede una fornitura continuativa per un periodo di tempo, il professionista è responsabile se il difetto si manifesta nel periodo di tempo durante il quale il contenuto digitale o il servizio digitale deve essere fornito a norma del contratto.
Anche il codice civile contempla una garanzia di durata in quanto all’articolo 1512 contempla la garanzia di buon funzionamento, la quale si ha nell’ipotesi in cui il venditore garantisca il buon funzionamento del bene per un determinato periodo di tempo. Nel caso dovessero sussistere dei vizi, che si traducano nel mancato o difettoso funzionamento della cosa, l’acquirente ha un termine di trenta giorni per denunziarli e la conseguente azione si prescrive in sei mesi dalla scoperta. Tale garanzia è simile quella di conformità e prevede anch’essa la possibilità di assegnare al venditore un termine entro il quale provvedere alla sostituzione o alla riparazione del bene al fine di ripristinarne il buon funzionamento. Inoltre, l’onere della prova grava sul venditore e non sul compratore, il quale può limitarsi ad allegare il mancato o non corretto funzionamento del bene e il compratore è responsabile ed è tenuto al risarcimento del danno anche in assenza di colpa.
Tale garanzia però non discende ex lege ma deve essere espressamente prevista. La garanzia convenzionale di buon funzionamento è stata concepita in origine quale tertium genus rispetto alla garanzia per i vizi e alla garanzia per evizione. Rispetto a queste nell’ipotesi delineata dall’articolo 1512 c.c. il venditore è tenuto al risarcimento a prescindere dallo stato soggettivo in cui versi e dunque a prescindere dalla sua conoscenza del vizio. Inoltre il mancato o difettoso funzionamento può anche insorgere successivamente alla conclusione del contratto.
Similmente a quanto avviene nell’ipotesi disciplinata dall’art. 1512 del codice civile, per affermare la responsabilità del professionista il codice del consumo non dà rilievo né alle cause esterne né la sussistenza di un danno effettivo. Inoltre si prescinde del tutto da una eventuale colpa o dolo del professionista e il difetto di conformità del contenuto o del servizio digitale può anche non essere imputabile a questi ma ad altri soggetti nell'ambito dei precedenti passaggi della catena contrattuale distributiva. Ad esempio, tra i requisiti oggettivi di conformità vi è la sussistenza delle qualità e le caratteristiche di prestazione, avuto riguardo delle
eventuali dichiarazioni pubbliche che possono essere rese anche da o per conto degli altri soggetti facenti parte della catena distributiva.
La garanzia contenuta all’interno del codice civile può essere disciplinata convenzionalmente dalle parti, in particolare, può essere ampliata o ridotta o persino esclusa, tranne nel caso di mala fede del venditore. La garanzia di conformità consumeristica è irrinunciabile se non successivamente alla scoperta o alla conoscenza del difetto di conformità: ai sensi dell’articolo 135 viciesbis sono nulli i patti finalizzati ad escludere o limitare i diritti riconosciuti dal Capo I bis stipulati anteriormente alla comunicazione del consumatore della presenza di un difetto di conformità o dell’informazione da parte del professionista.
La garanzia di conformità è più ampia rispetto a quella per vizi e a quella di buon funzionamento inquanto i requisiti necessari affinché il contenuto o il servizio siano conformi al contratti sono molteplici e includono, a differenza di quanto previsto dal codice civile, anche le ragionevoli aspettative del consumatore e la fornitura degli eventuali aggiornamenti.
Tra la garanzia consumeristica e quella civilistica vi sono aspetti comuni, salvo i termini più favorevoli al consumatore e la presenza di disposizioni riguardanti gli aggiornamenti, soprattutto per quanto riguarda la garanzia di buon funzionamento, pertanto non sembra del tutto certo che si possa parlare di lacuna e, conseguentemente, che sia possibile l’applicazione analogica del Capo I bis ai rapporti business to business. Pur ritenendo che non si possa parlare di lacuna, resta il fatto che la garanzia di buon funzionamento è rimessa alla volontà delle parti e i requisiti oggettivi e soggettivi di conformità sono maggiori e non trovano piena corrispondenza nei vizi disciplinati dal codice civile. Inoltre, è da rilevare che soltanto all’interno del Capo I bis è prevista quale controprestazione la fornitura di dati personali o di rappresentazioni digitali di valore pertanto sarebbe comunque necessario un intervento normativo.
Il rapporto tra le norme consumeristiche e le disposizioni del codice civile è regolato da due norme contenute rispettivamente nel codice civile e nel codice di consumo che riguardano in particolare i casi di conflitto e le ipotesi di lacune. La regolazione è però a senso unico, in quanto riguardano soltanto le norme da applicare nei rapporti di consumo. L’articolo 38 cod.cons. prevede che in caso di lacune nel
codice del consumo si applicheranno le disposizioni dettate dal codice civile. L’articolo 1469-bis, l’unico articolo presente all’interno del Capo XIV bis – Dei contratti del consumatore – del Titolo II, dedicato ai contratti in generale, prevede che le disposizioni del Titolo II si applicano anche ai contratti del consumatore, ove non derogate dal codice del consumo o da altre disposizioni per lui più favorevoli. Per poter applicare le disposizioni del Capo I bis anche ai contratti stipulati tra imprese il legislatore dovrebbe prevedere all’interno del codice civile una norma simmetrica rispetto all’articolo 38 cod. cons. nella quale si dispone che riguardo ai contratti di fornitura di contenuti e servizi digitali, per quanto non previsto dal presente codice, si applicano le disposizioni contenute nel Capo I bis del codice del consumo.
Sempre al fine di ottenere una tutela sia per i rapporti tra consumatori e imprese sia per i rapporti tra imprese, il legislatore italiano avrebbe potuto seguire l’esempio tedesco, ovvero inserire all’interno del codice civile l’intero Capo I bis, o meglio, le norme contenute nel decreto di attuazione della Direttiva 2019/770/UE. Nell’ordinamento tedesco, peraltro, le norme a tutela del consumatore sono rinvenibili non in un apposito codice del consumo ma nel codice civile, all’interno del quale è istituito un sottotitolo dedicato ai contratti aventi ad oggetto prodotti digitali conclusi tra imprenditori (Besondere Bestimmungen für Verträge über digitale Produkte zwischen) che contiene disposizioni analoghe a quelle contenute nel sottotitolo precedente, il quale è dedicato ai contratti stipulati tra un consumatore ed un professionista.
Si potrebbe comunque auspicare la formulazione di una compiuta disciplina del contratto di fornitura di contenuti e servizi digitali all’interno del codice civile, ad esempio attraverso la regolamentazione del Contratto di fornitura di contenuti e servizi digitali, come un contratto tipico, dal momento che la direttiva comunitaria regola soltanto determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali, lasciando dunque spazio ad un intervento del legislatore e all’istituzione di norme che riguardino la totalità degli aspetti dei contratti di fornitura – posto che vi sono aspetti che andrebbero opportunamente trattati, quale l’attuazione in concreto dei rimedi previsti – in modo da realizzare una disciplina compiuta e dettagliata, applicabile alle imprese, ai rapporti tra privati e anche ai
rapporti tra professionisti o consumatori nei casi in cui vi siano ulteriori disposizioni rispetto a quelle contenute nel Capo I bis, applicabili tramite il rinvio consentito dall’articolo 38 del codice del consumo.
2.2.1 L’ambito oggettivo di applicazione: la tipologia contrattuale
Il legislatore comunitario, delineando l’ambito di applicazione della direttiva (UE) 2019/770, all’articolo 3 prevede che la direttiva trova applicazione con riguardo a qualsiasi contratto nel quale il professionista fornisce o si obbliga a fornire un contenuto o un servizio digitale al consumatore, il quale, a sua volta corrisponde, o si obbliga a corrispondere, un prezzo o fornisce, o si impegna a fornire, i propri dati personali all’operatore economico, ad esclusione dell’ipotesi nella quale i dati sarebbero trattati dal professionista esclusivamente ai fini della fornitura o soltanto per assolvere gli obblighi che gli sono imposti dalla legge. Viene specificato al considerando 25 che l’ipotesi delineata nel secondo periodo della disposizione può verificarsi ad esempio quando il consumatore è obbligato a registrarsi, e dunque a fornire i propri dati personali, dalla legge per finalità di sicurezza. Inoltre, nel medesimo considerando si prevede che la direttiva non trova applicazione qualora l’operatore economico raccolga soltanto metadati, ovvero dati che riguardano altri dati, definiti anche Data about Data, quali ad esempio le informazioni sul dispositivo del consumatore o la cronologia di navigazione, tranne nel caso in cui tale situazione sia considerata come un contratto dal diritto nazionale. Infine, si chiarisce che la direttiva non si applica nei casi in cui il consumatore, senza aver previamente concluso un contratto con l’operatore economico, sia esposto a messaggi pubblicitari esclusivamente al fine di ottenere l’accesso ai contenuti digitali o a un servizio digitale.
È attribuita agli Stati membri la possibilità di ampliare l’ambito di applicazione oggettivo della direttiva e ricomprendervi anche le situazioni espressamente escluse dalla direttiva medesima81.
81 Considerando 25 della Direttiva 2019/770/UE: […] gli Stati membri dovrebbero
mantenere la facoltà di estendere l’applicazione della presente direttiva a tali situazioni o
Con riferimento alla tipologia contrattuale considerata, la direttiva chiarisce al considerando 12 che la natura giuridica dei contratti per la fornitura di contenuti o servizi digitali non è definita dalla direttiva medesima e che spetta agli Stati membri determinare il modello negoziale e dunque se tali contratti rientrano in una determinata tipologia contrattuale tipizzata dal diritto interno oppure se si tratta di un contratto atipico82.
Nel recepire quanto disposto dal legislatore comunitario, l’art. 135-octies, a sua volta, riporta pedissequamente quanto contenuto nella direttiva e prevede che le disposizioni del Capo I-bis si applicano a qualsiasi contratto in cui il professionista fornisce, o si obbliga a fornire, un contenuto digitale o un servizio digitale al consumatore e il consumatore corrisponde un prezzo o si obbliga a corrispondere un prezzo oppure fornisce o si obbliga a fornire dati al professionista, fatto salvo il caso in cui i dati personali forniti dal consumatore siano trattati esclusivamente dal professionista ai fini della fornitura .
Data la natura dell’oggetto della fornitura, il legislatore italiano si riferisce principalmente ai contratti online, i quali appartengono al novero dei contratti a distanza, ovvero quei contratti conclusi nell'ambito di un sistema di vendita o di prestazione di servizi a distanza organizzato dal fornitore che, per tali contratti, impieghi esclusivamente una o più tecniche di comunicazione a distanza fino alla conclusione dei contratti, compresa la conclusione dei contratti stessi83.
Non è escluso però che possa trattarsi anche di un contratto concluso in presenza “offline”. In questo secondo caso al consumatore il contenuto o il servizio digitale sarà di norma fornito su un supporto materiale, ovvero uno strumento che consenta al consumatore o al professionista di memorizzare le informazioni che gli sono personalmente indirizzate, in modo da potervi avere accesso anche in un secondo momento e per tutto il necessario, tenuto conto delle finalità a cui le informazioni
di disciplinare in altro modo le situazioni escluse dall’ambito di applicazione della
presente direttiva.
82 Considerando 12 della Direttiva 2019/770/UE: […] la presente direttiva non dovrebbe definire la natura giuridica dei contratti per la fornitura di contenuto digitale o di servizi digitali e dovrebbe spettare al diritto nazionale determinare se tali contratti costituiscono, ad esempio, un contratto di vendita, di servizio, di noleggio o un contratto sui generis.
83 Art. 45 lett. g) del Codice del consumo
sono destinate, e che consenta la loro riproduzione84. Può trattarsi ad esempio di un cd, un dvd, una chiavetta usb o una scheda di memoria. Anche a tale supporto si applicano le disposizioni contenute nel Capo I bis85.
Di norma però il contratto viene concluso appunto online e al consumatore viene fornito, nella piattaforma stessa o tramite e-mail, un link o un pulsante attraverso il quale potrà effettuare il download del contenuto o del servizio oppure il consumatore potrebbe fruire di un contenuto o di un servizio in streaming live oppure on demand, sarà reperibile in qualsiasi momento e senza che sia necessario scaricare alcun file.
Il contratto può essere poi ad esecuzione istantanea e consistere in una singola fornitura o in una serie di forniture singole. Si pensi al caso di un utente che scarica un ebook: una volta scaricato il contenuto digitale questo viene memorizzato nell’hardware o in qualunque altro dispositivo utilizzato dall’utente (tablet, smartphone, smartwatch, lettore di libri elettronici), dove rimarrà per tempo indeterminato, e da quel momento la fornitura si esaurisce.
La fornitura però può essere anche continua per un periodo di tempo determinato e in tal caso il contratto sarà di durata. In questo caso il contenuto o il servizio digitali sono accessibili ininterrottamente per tutto il tempo stabilito nel contratto. Si pensi agli abbonamenti mensili o annuali ai servizi di video in streaming di intrattenimento, quali Netflix o Amazon Prime, o ad un software concesso per un periodo di tempo limitato quale ad esempio un antivirus per il computer.
La fornitura può essere anche continuativa a tempo indeterminato e ciò può avvenire quando il servizio oggetto del contratto sia un social media. Normalmente, infatti, l’iscrizione e il conseguente utilizzo di social network non ha una scadenza prestabilita e può durare svariati anni, salvo il caso in cui l’account venga eliminato, e non semplicemente disattivato, su richiesta dello stesso utente o da parte del fornitore del servizio qualora non vengano rispettati i termini e le condizioni d’uso. La durata della fornitura incide sulla durata della responsabilità dell’operatore economico. La direttiva prevede86 che nel caso in cui il contratto preveda una
84 Art. 135-octies co. 2 lett. o) del Codice del Consumo
85 Art. 135-octies co. 5 del Codice del Consumo
86 Considerando 56 della Direttiva (UE) 2019/770
singola fornitura o una serie di singole forniture l’operatore economico è responsabile per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della fornitura. Si richiede però agli Stati membri di garantire che la responsabilità abbia una durata di almeno due anni. Nel caso in cui, invece, la fornitura sia continuativa è sufficiente che l’operatore economico sia responsabile per tutto il periodo della fornitura, la quale potrebbe avere una durata anche inferiore ai due anni.
Coerentemente con tali considerazioni, il legislatore italiano ha previsto all’articolo 135 quaterdecies, rubricato Responsabilità del professionista, che nel caso in cui il contratto preveda un unico atto di fornitura o una serie di singoli atti di fornitura, il professionista è responsabile per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della fornitura e che si manifesti entro due anni. Qualora, invece, la fornitura sia continuativa, il professionista è responsabile per qualunque difetto (di conformità) che si riveli o risulti evidente nel periodo in cui il contenuto digitale o il servizio digitale deve essere fornito al consumatore.
Tale disposizione è simmetrica rispetto a quella prevista dall’articolo 133 del Capo I, la quale disciplina la responsabilità del venditore nel caso di vendita di beni di consumo e che si applica anche ai beni con elementi digitali. Le due previsioni sono sovrapponibili per quanto riguarda i contratti ad esecuzione istantanea e dunque le singole forniture o la serie di singole forniture, con l’unica differenza che in un caso il momento a partire dal quale inizia il periodo di due anni, durante il quale è responsabile il professionista, coincide con l’inizio della fornitura e nel secondo caso la consegna del bene materiale, che si ha quando al consumatore è trasferita la disponibilità materiale o comunque del controllo del bene. Si riscontrano, invece, differenze nel caso di fornitura continuativa di beni con elementi digitali. In tale caso il venditore è responsabile anche per qualsiasi difetto di conformità che si verifichi o si manifesti entro due anni dal momento della consegna del bene e se il contratto ha una durata maggiore di due anni, il professionista è responsabile di qualsiasi difetto di conformità che venga in essere durante tutta la durata della fornitura.
Il co. 5 dell’articolo 135 quaterdecies che disciplina la durata della responsabilità del professionista nel caso di fornitura continuativa non prevede espressamente che questa duri in ogni caso almeno due anni. Ciò potrebbe ricavarsi dal co. 3 del
medesimo articolo il quale prevede che l’operatore economico è responsabile soltanto per i difetti di conformità che si presentino entro due anni a decorrere dal momento della fornitura, tuttavia questo sembra completare quanto disposto dal precedente co. 2 in riferimento alle forniture singole, come avviene infatti all’articolo 11 della Direttiva (UE) 2019/770, nel quale la previsione della durata minima di due anni è contenuta nel medesimo comma che disciplina le ipotesi nelle quali il contratto preveda un unico atto di fornitura o una serie di singoli atti di fornitura. A conferma di ciò vi è il considerando 57 della direttiva, nel quale si prevede espressamente che nel caso di fornitura continuativa ciò che la caratterizza è il fatto che il contenuto digitale o il servizio digitale è reso disponibile o accessibile al consumatore soltanto per la durata stabilita del contratto o per il periodo di validità del contratto se a tempo indeterminato e in considerazione di ciò si giustifica il fatto che in queste ipotesi il professionista sia responsabile del difetto di conformità che si manifesti soltanto durante questo periodo di tempo.
In entrambi i casi il difetto di conformità si riferisce espressamente al solo contenuto o servizio digitale, dunque perché vi è questa differenza di durata della responsabilità del professionista e, nel caso disciplinato dall’articolo 135 quaterdecies, il consumatore non può contare su una garanzia minima di due anni? Una giustificazione di ciò potrebbe rinvenirsi nel fatto che l’art. 133 disciplina beni materiali che sono integrati, cioè incorporano o che sono interconnessi, con un contenuto digitale o un servizio digitale e dal momento che il servizio o il contenuto sono imprescindibili per il funzionamento del bene non si sarebbe potuto prevedere altrimenti perché una minore durata della garanzia del servizio o del contenuto avrebbe significato una minore durata della garanzia del bene materiale complessivamente considerato.
La durata del contratto ha poi ricadute sugli aggiornamenti che il professionista è tenuto a fornire al consumatore. La Direttiva (UE) 2019/770 prevede al riguardo87 che il professionista al fine di garantire la conformità e la sicurezza del contenuto o del servizio digitale, dovrebbe impegnarsi a fornire gli aggiornamenti al consumatore, inclusi quelli di sicurezza, per un periodo di tempo che risponda alle ragionevoli aspettative del consumatore.
87 Considerando 47 della Direttiva (UE) 2019/770
Il legislatore nazionale stabilisce all’articolo 135 undecies che se il contratto prevede una fornitura continuativa del contenuto o del servizio digitale, il professionista è tenuto a fornire gli aggiornamenti necessari per tutta la durata della fornitura. Se invece il contratto prevede una singola fornitura o una serie di singole forniture, il professionista deve fornire gli aggiornamenti per tutto il periodo che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della tipologia e della finalità del contenuto o del servizio digitale, delle circostanze e della natura del contratto. Gli aggiornamenti sono necessari per mantenere la conformità del contenuto o del servizio e se il professionista non li fornisce per il periodo atteso o prestabilito al consumatore, che poi dovrà installarli, si determina un difetto di conformità di cui sarà responsabile il professionista.
La medesima previsione riguardante la durata degli aggiornamenti si rinviene anche nell’articolo 130 del Capo I con riferimento ai beni con elementi digitali. Anche in questo caso il professionista, o più precisamente il venditore, nel caso in cui il contratto preveda una singola fornitura o una serie di singole forniture è tenuto a fornire gli aggiornamenti necessari a mantenere la conformità del bene per tutto il tempo che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, sempre tenendo conto della tipologia e della finalità del beni e degli elementi digitali, delle circostanze e della natura del contratto.
Se invece la fornitura è continuativa, gli aggiornamenti devono essere forniti per tutta la durata della fornitura che è stabilita nel contratto.
Per tutta la durata del contratto il professionista, per non incorrere in responsabilità, non è tenuto soltanto a fornire il contenuto o il servizio digitali e i necessari aggiornamenti ma deve anche garantirne la conformità. La stessa direttiva comunitaria afferma al considerando 51 che vi sono diversi tipi di contenuti digitali o di servizi digitali che possono essere forniti per un periodo di tempo continuativo e che pertanto è necessario che al consumatore venga assicurata la conformità del contenuto o del servizio digitale per tutta la durata del contratto. Eventuali interruzioni, anche se di breve durata, rilevanti o ricorrenti della fornitura del contenuto digitale o del servizio digitale sono da considerare casi di difetto di conformità.
Qualunque sia la modalità di conclusione del contratto o la sua durata, si tratta sempre di contratti a prestazioni corrispettive e pertanto a titolo oneroso, nonostante l’apparente gratuità nel caso in cui il consumatore fornisca o si obblighi a fornire dati personali. Sul tipo di controprestazione richiesta al consumatore si dirà approfonditamente nel capitolo successivo.
L’articolo 135 octies si riferisce genericamente a “qualsiasi contratto” senza arrivare ad una tipizzazione. Tuttavia dati i caratteri che il contratto delineato dall’articolo può presentare, sono configurabili diverse tipologie contrattuali disciplinate dal codice civile.
Il contratto di fornitura di un contenuto digitale può assumere i connotati di un contratto di compravendita ex art. 1470 c.c. sia ad effetti reali che a effetti obbligatori, quando le parti si obbligano rispettivamente a fornire un contenuto digitale e a pagare un prezzo. La configurazione del contratto quale compravendita non è rinvenibile però quando il consumatore fornisca o si obblighi a fornire dati personali. La compravendita generalmente prevede il trasferimento della proprietà del bene, tuttavia occorre chiedersi se si possa davvero parlare di proprietà con riferimento ai contenuti e ai servizi digitali e se dunque quello trasferito al consumatore sia un diritto di proprietà o un diverso diritto, sempre trasferibile con un contratto ex art. 1470 c.c.. E’ opportuno, per poter rispondere a tale quesito ripercorrere brevemente le principali caratteristiche del diritto proprietà. Anzitutto, l’art. 832 del codice civile conferisce al proprietario in modo pieno ed esclusivo il diritto di godimento e il poter di disposizione del bene, da intendersi quale diritto di poter concedere a terzi eventuali diritti sul bene di sua proprietà, sempre entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico. Il proprietario per difendere il proprio diritto ha a disposizione le c.d. azioni petitorie, tra le quali vi è, innanzitutto, l’azione di rivendicazione disciplinata dall’articolo 948 c.c., la quale può essere esperita nel caso in cui il proprietario venga privato del possesso della cosa e intenda riottenerlo. Qualora dovesse avere interesse non alla restituzione ma soltanto ad una pronuncia che sancisca il proprio diritto dominicale su un bene, il proprietario può esperire l’azione di mero accertamento. È poi data la possibilità di esperire l’actio negatoria servitutis affinché sia accertata l’assenza di diritti reali di terzi.
Sia il contenuto del diritto di proprietà sia le azioni esperibili dal proprietario non sembrano però riconducibili al diritto che ha il consumatore sul contenuto o sul servizio digitale.
È da rilevare in primo luogo la mancanza di un diritto esclusivo del consumatore. La direttiva 771/2019/UE al considerando 31 mette in luce come, contrariamente ai beni tradizionali, i beni con elementi digitali non sono totalmente separati dalla sfera del professionista, o del fornitore di piattaforme, essendovi prevista per loro la possibilità di intervenire sul bene, aggiornandolo, anche a distanza. L’intervento esterno non è tanto sul bene materiale quanto sul contenuto o sul servizio digitale necessari al funzionamento del bene. Pertanto quanto rilevato dal considerando 31 vale senz’altro per i contenuti e servizi che non siano incorporati o interconnessi con alcun bene. Può accadere dunque che senza averne la disponibilità materiale, in caso di beni con elementi digitali, o comunque il controllo, con riferimento ai contenuti e ai servizi digitali, soggetti diversi dal consumatore possano interagire a distanza con il bene o con il contenuto, in alcuni casi senza che il consumatore neppure avverta tale interazione.
È necessario analizzare in concreto come viene disciplinato l’utilizzo da parte del
consumatore dei contenuti o dei servizi digitali più diffusi.
Prendendo ad esempio un ebook acquistato sulla piattaforma Amazon e analizzando il contenuto delle disposizioni contrattuali si legge espressamente che “ con l’acquisto del, o l'accesso al, Contenuto Kindle e a fronte del pagamento dei relativi corrispettivi (comprese le tasse applicabili), Amazon ti concede il diritto non esclusivo di vedere, usare e visualizzare tale Contenuto Kindle […] ed esclusivamente per tuo uso personale e non commerciale. Il Contenuto Kindle ti viene concesso in licenza d'uso”. A proposito delle limitazioni cui è sottoposto l’utente si prevede che “Salvo diversa specifica indicazione, non potrai vendere, dare in noleggio o prestito, distribuire, trasmettere, concedere in sublicenza o altrimenti trasferire qualsiasi diritto relativo al Contenuto Kindle o qualsiasi parte dello stesso a terzi, e non potrai rimuovere o modificare alcuna informativa o stringa relativa alla proprietà riportata sul Contenuto Kindle”.
Passando ad un servizio digitale, si prenda a titolo esemplificativo una delle piattaforme maggiormente diffuse, Spotify
Tra le condizioni di Spotify si prevede che “viene concessa all'utente un'autorizzazione limitata, non esclusiva e revocabile per l'uso personale e non commerciale del Servizio e dei Contenuti Spotify […]. L'utente accetta di non ridistribuire o trasferire il Servizio o i Contenuti Spotify. Le applicazioni software e i Contenuti Spotify sono concessi in licenza, non venduti o trasferiti all'utente e Spotify e i suoi licenziatari mantengono la proprietà di tutte le copie delle applicazioni software e dei Contenuti Spotify anche dopo l'installazione sui dispositivi dell'utente. Il Servizio e i Contenuti Spotify sono di proprietà di Spotify o dei licenziatari di Spotify”.
Simili disposizioni sono contenute anche nelle altre piattaforme più diffuse, quali Storytel, Netflix o Prime Video, ma anche servizi antivirus – a titolo esemplificativo è stato analizzato il contratto dell’antivirus Bitdefender, nel quale si legge che “il prodotto è concesso in licenza, non venduto. Questo accordo ti conferisce solo alcuni diritti per usare il Prodotto Bitdefender, per il numero di utenti o dispositivi indicato nella documentazione di acquisto. […] Bitdefender concede, unicamente a te e non a terzi, la presente licenza non esclusiva, limitata, non assegnabile, non trasferibile, non commerciale, non concedibile in ulteriore licenza e produttrice di royalty, per utilizzare il Prodotto Bitdefender unicamente per il tuo uso personale”
– e servizi cloud.
Nelle condizioni contrattuali previste per l’accesso ai contenuti e ai servizi digitali il riferimento è dunque al contratto di licenza d’uso.
Tale contratto non ha una propria disciplina all’interno del codice civile e per determinati aspetti è astrattamente riconducibile sia alla compravendita sia alla locazione. Quest’ultimo, ai sensi dell’articolo 1571 del codice civile, è il contratto mediante il quale il locatore si obbliga a far godere ad un altro soggetto, detto conduttore, una cosa mobile o immobile per un certo periodo di tempo, stabilito dalle parti o dalla legge, in cambio di un corrispettivo, detto canone di locazione. A tale fattispecie viene ricondotta la licenza d’uso88, in considerazione del diritto, più limitato rispetto alla proprietà, attribuito al consumatore.
88 X. XXXXX, Profili generali dei contratti di utilizzazione dei computers, in I contratti di utilizzazione del computer, a cura di G. ALPA, Milano, 1984, p. 23; V.M. LEONE, La concessione del software fra licenza e locazione, in I contratti di informatica, a cura di G.
L’articolo 1571 c.c. nel delineare l’oggetto del contratto di locazione fa riferimento esclusivamente ad una “cosa mobile o immobile” e né i contenuti digitali né i servizi digitali sono qualificabili come cose. Sempre l’articolo 1571 statuisce l’obbligo per il conduttore di pagare un corrispettivo determinato, il quale è solitamente commisurato alla durata del contratto e, normalmente, non viene corrisposto in un’unica soluzione. Qualora la licenza d’uso dovesse riguardare un servizio digitale per il quale il consumatore ha fornito i propri dati personali, il contratto in questione non potrebbe essere ricondotto alla locazione.
È dubbio poi che anche con riferimento al contratto di licenza d’uso possa parlarsi di diritto di godimento viste le numerose limitazioni imposte all’utente. Inoltre, il contratto di locazione prevede, ai sensi dell’articolo 1590 c.c. l’obbligo per il conduttore di restituire la cosa oggetto del contratto al locatore. Tale eventualità nei contratti di fornitura di contenuti e servizi digitali si verifica, ex articolo 135 noviesdecies, solo nel caso in cui il servizio o il contenuto siano stati forniti all’interno di un supporto materiale e il consumatore intenda risolvere il contratto. Nell’ipotesi in cui manchi tale supporto fisico, il consumatore non dovrà restituire il contenuto o il servizio, posto che non è nemmeno astrattamente possibile, ma gli sarà impedito di utilizzare il contenuto o il servizio, i quali potrebbero dunque divenire inaccessibili o essere disattivati dall’operatore economico.
Per quanto riguarda la fattispecie contrattuale della compravendita, l’articolo 1470 del codice civile prevede che può essere trasferita non solo la proprietà della cosa ma anche un altro diritto, quale, ad esempio, i diritti di godimento, crediti, diritti di utilizzazione, diritti potestativi, nonché posizioni giuridiche complesse89. O, ancora, si è affermato che l’oggetto della compravendita può consistere nell’alienazione di diritti reali o di credito, di diritti di utilizzazione di beni immateriali, di diritti potestativi, di aggregazioni di diritti o posizioni complesse90.
Inoltre, sempre a favore della riconducibilità alla compravendita vi è la circostanza che il contratto, contrariamente a quanto è invece richiesto per la locazione,
ALPA X. XXXX-ZENCOVICH, Milano, 1987, pag. 349; X. XXXXXXXX, I nuovi
contratti dell’informatica. Sistema e prassi, Cedam, 2006 pag. 258
89 M.C. BIANCA, La vendita e la permuta, in Trattato di diritto civile, 1993, pag. 200.
90 A. LUMINOSO, La compravendita. Corso di diritto civile, G.Giappichelli Editore –
Torino, 2011, settima edizione, pag. 53
potrebbe non avere alcuna durata predeterminata, come avviene nel caso in cui il contratto riguardi iscrizione ad un social network o l’acquisto di un ebook, e quanto corrisposto dal consumatore, normalmente in un’unica soluzione, non sembrerebbe essere riconducibile ad un canone periodico. Vi è però chi non ritiene che la licenza d’uso possa essere ricondotta alla compravendita poiché il diritto concesso al beneficiario, non determinandosi una diminutio della situazione giuridica del proprietario, la quale rimane invariata poiché quest’ultimo è e resta titolare del proprio diritto pieno ed esclusivo sull’oggetto della xxxxxxx00. Tuttavia tale circostanza è determinata dalla natura digitale del contenuto e del servizio, i quali possono essere riprodotti e duplicati innumerevoli volte, senza comportare alcun costo per il proprietario.
Qualora il contenuto o il servizio digitale sia fornito tramite un supporto materiale fisico, ipotesi astrattamente prevista ma non particolarmente diffusa in concreto se non per quanto riguarda i software, nel caso in cui l’attribuzione della licenza d’uso venga ricondotta alla compravendita, si potrebbe sostenere che l’intero rapporto sia regolato da un unico contratto di compravendita. In dottrina92, tuttavia, vi è chi ritiene che nel caso in cui sia venduto un software contenuto in un supporto materiale, quale un cd-rom il consumatore e il professionista stipulerebbero, nel medesimo momento, due contratti separati: un contratto di licenza d’uso avente ad oggetto il software e uno di compravendita avente ad oggetto il supporto materiale. è da considerare, però, che l’acquisto del supporto, o meglio, il trasferimento della proprietà del supporto, è conseguenza dell’acquisto del contenuto o del servizio digitale, poichè soltanto il supporto durevole, fungendo da vettore, consente di accedere al bene oggetto del contratto. Pertanto non sembra riscontrabile una rilevanza tale da ipotizzare l’esistenza di due contratti distinti.
Vi sarebbe poi da chiedersi se il contratto delineato dall’art. 135 octies del codice del consumo, nel caso in cui la fornitura sia continuativa, possa integrare la fattispecie contrattuale prevista dall’articolo 1559 del codice civile. Nel contratto di somministrazione una parte, solitamente un imprenditore, si obbliga ad eseguire
91 X. XXXXXXXX, I nuovi contratti dell’informatica. Sistema e prassi, Cedam, 2006 pag. 257
92 XXXXXXX XXXXXX, I contratti del software, Giappichelli, Torino, 2011, pag. 116
prestazioni periodiche o continuative di cose. Il somministrante può attribuire alla controparte sia un diritto di proprietà sulle cose sia un semplice diritto di godimento. Tale contratto è spesso utilizzato sia nei rapporti con i consumatori, si pensi alla somministrazione di luce o acqua ai privati, sia nei rapporti tra professionisti, come nel caso di un contratto di somministrazione di alimenti e bevande per un ristorante. Tuttavia vi sono alcuni elementi, quali la rilevanza della quantità delle cose somministrate e il riferimento al “normale fabbisogno” che portano a dubitare che quella di contenuti e servizi sia effettivamente una somministrazione, soprattutto tenuto conto della loro natura. Normalmente, il consumatore non acquisterebbe diverse quantità del medesimo contenuto o servizio digitale, semmai potrebbero essere acquistati molteplici contenuti diversi (si pensi a diversi ebook o canzoni) non essendo di alcuna utilità per il consumatore pagare per avere più contenuti del tutto identici, anche in considerazione del fatto che non si tratta di beni consumabili. Nel caso in cui la fornitura sia continuativa è sempre il medesimo contenuto o servizio ad essere accessibile per un periodo prolungato.
Per quando riguarda il diritto concesso all’utente, date le numerose limitazioni all’utilizzo del contenuto o del servizio digitale, non sembra opportuno individuarlo nel diritto di godimento. Il diritto del consumatore sembra potersi piuttosto ricondurre93 al diritto d’uso ex art. 1021 c.c. il quale consente all’usuario di utilizzare un bene senza poterlo cedere a terzi. Si tratta però di un diritto pensato per rispondere ad un bisogno di sostentamento, in quanto l’usuario può trarre i frutti dalla cosa per soddisfare un bisogno proprio o della famiglia, tenuto conto della propria condizione sociale.
Rimane dunque incerto qualificare il diritto che viene attribuito al consumatore sia perché può avere ad oggetto un contenuto digitale, il quale è sicuramente un bene giuridico, sia perché potrebbe riguardare anche un servizio digitale e in tale caso né il diritto d'uso né il diritto personale di godimento sembrano idonei a descrivere la situazione giuridica soggettiva del consumatore. Gli istituti giuridici disciplinati dal codice civile potrebbero non essere adatti a inquadrare il fenomeno della fornitura di contenuti e servizi digitali.
93 A. QUARTA, La dicotomia bene-servizio alla prova del supporto digitale in Contratto e impresa 3/2019, pag. 1025
2.2.2 I c.d. contratti a pacchetto
La direttiva (UE) 2019/770 al considerando 33 afferma che i contenuti digitali o i servizi digitali possono essere combinati alla fornitura di beni o servizi che vengono offerti al consumatore nell’ambito di un unico contratto, il quale dunque contiene un “pacchetto” di elementi diversi. L’ipotesi delineata è dunque quella di un contratto stipulato tra il consumatore e l’operatore economico che non si limiti a fornire un contenuto o un servizio digitale ma che includa degli elementi propri di altre fattispecie contrattuali, quali ad esempio il contratto di vendita di beni o di servizi. In tali casi la direttiva si applica ai soli elementi del contratto che consistono nella fornitura di contenuto digitale o di servizi digitali, mentre agli altri elementi saranno applicate le disposizioni previste dal diritto nazionale o, eventualmente, le norme dell’Unione europea che disciplinano quello specifico settore o materia.
Sempre al considerando 33 la direttiva demanda agli Stati membri la disciplina degli effetti che la risoluzione di un elemento di un contratto a pacchetto potrebbe avere sugli altri elementi del contratto.
Dal canto suo, il legislatore italiano al terzo comma dell’articolo 135 nonies menziona i c.d. contratti a pacchetto e prevede che la disciplina del Capo I bis trova applicazione soltanto con riguardo agli elementi del contratto che si riferiscono al contenuto o al servizio digitale. Inoltre stabilisce al terzo comma che l'articolo 135 viciessemel, relativo alla modifica del contenuto digitale o del servizio digitale, non trova applicazione qualora il pacchetto di servizi contenga elementi la cui disciplina è contenuta nel codice europeo delle comunicazioni elettroniche e dovesse includere elementi relativi ad un servizio di comunicazione elettronica a disposizione del pubblico – che consenta di accedere a Internet, oppure fornisca connettività a tutti i punti finali di Internet – oppure elementi relativi ad servizio di comunicazioni interpersonale che si connette a risorse di numerazione assegnate pubblicamente o che consente la comunicazione con uno o più numeri che figurano in un piano di numerazione nazionale o internazionale.
Per quanto riguarda la risoluzione di tale tipologia di contratti, il legislatore ha previsto al quarto comma dell’articolo 135 novies che il consumatore può ottenere la risoluzione di qualunque elemento del pacchetto, o anche di tutti i suoi elementi,
anche prima della scadenza prevista dal contratto nel caso in cui dovessero presentarsi difetti di conformità, tra i quali vi rientra anche la mancata fornitura.
2.2.3 I contratti di vendita di beni con elementi digitali
Quanto finora detto non è replicabile qualora il servizio digitale o il contenuto digitale siano integrati o interconnessi con un bene mobile. Il Capo I si applica anzitutto ai contratti di vendita. Quella delineata dalla direttiva (UE) 2019/771, e che il legislatore italiano ha riportato all’interno dell’articolo 128, è stata definita “una sorta di vendita passepartout […] buona per tutte le stagioni e per tutti gli ordinamenti94”
Per contratto di vendita viene inteso, sempre ex art. 128, qualsiasi contratto in base al quale il venditore trasferisce o si impegna a trasferire la proprietà di beni al consumatore e il consumatore ne paga o si impegna a pagare il prezzo. Inoltre, stando alla previsione consumeristica, ad essere trasferita è soltanto la proprietà e non anche un altro diverso diritto come è invece previsto dall’art. 1470 c.c.
Ai contratti di vendita sono equiparati ex art. 128 i contratti di permuta e di somministrazione nonché quelli di appalto, d'opera e tutti gli altri contratti comunque finalizzati alla fornitura di beni da fabbricare o produrre.
Ha destato perplessità95 il ricorso all’equiparazione anziché all’estensione per ricomprendere tali contratti nell’ambito di applicazione oggettivo del Capo I del codice del consumo. Si pone di conseguenza l’interrogativo se tali contratti mantengano la loro autonomia rispetto alla vendita e pertanto se per gli aspetti non disciplinati dagli articoli 128 e ss. dovrà aversi riguardo alla disciplina propria del contratto equiparato o alla disciplina della vendita. La risposta può rinvenirsi
94 E. XXXXXXXX, La direttiva 2019/771/UE in materia di vendita al consumo: primi appunti, pag. 36
95 LUCIANDA D’ACUNTO, L’ambito di applicazione degli artt. 128-135 septies cod. cons.: le fattispecie contrattuali in La nuova disciplina della vendita mobiliare nel codice del consumo. La direttiva (UE) 2019/771 relativa ai contratti per la fornitura di cose mobili stipulati da professionisti con consumatori ed il suo recepimento nel diritto italiano (d.lgs. 4 novembre 2021, n. 170) a cura di Xxxxxxxx Xx Xxxxxxxxxx, Torino G. Giappichelli Editore, 2022, pag. 50
all’articolo 135 septies, rubricato Tutela in base ad altre disposizioni, il quale non fa esclusivo riferimento alle disposizioni dettate in materia di compravendita, come avveniva invece nella formulazione previgente del secondo comma dell’articolo 135, in cui si leggeva appunto che per gli aspetti non disciplinati dal Capo I avrebbero trovato applicazione le disposizioni del codice civile in tema di contratto di vendita, ma rinvia più genericamente alle disposizioni civilistiche in tema di formazione, validità ed efficacia dei contratti, incluse le conseguenze della risoluzione del contratto e il diritto al risarcimento del danno. Anche il contratto che ha ad oggetto beni con elementi digitali è a titolo oneroso come quello di fornitura di contenuti e servizi digitali. Tuttavia nel primo caso il corrispettivo consiste soltanto nel pagamento del prezzo e non è inclusa la fornitura di dati personali. Astrattamente, essendo la disciplina applicabile anche ai contratti di permuta, il pagamento del prezzo può anche sostanziarsi nella dazione di un bene anziché nella corresponsione di denaro.
2.3 Il bene oggetto del contratto
Oggetto del contratto di fornitura possono essere i contenuti digitali o i servizi digitali.
Per quanto riguarda i contenuti digitali, questi sono definiti all’articolo 2 dalla Direttiva (UE) 2019/770 “dati prodotti e forniti in formato digitale”. Tale definizione è riportata anche al secondo comma dell’art. 135 octies del codice del consumo e tuttavia non è particolarmente esplicativa.
I dati non personali sono stati qualificati, però in sede penale, come cose mobili. In particolare nella sentenza n. 11959 del 13 aprile 202096, la Cassazione ha sancito che i dati informatici nonostante siano intangibili possono essere qualificati come cose mobili ai sensi della legge penale e dunque idonei ad essere oggetto di sottrazione, appropriazione o detenzione.
Tuttavia, per comprendere cosa si intenda effettivamente per “contenuti digitali”
occorre aver riguardo ai considerando della direttiva comunitaria, dai quali si
96 Sentenza n. 11959 della Cassazione Penale, Sez. II, del 13 aprile 2020
evince97 che tali contenuti, nel caso concreto, possono sostanziarsi in files audio, musicali e non, files video o files audiovisivi e dunque, come previsto dalla definizione sopra riportata, dati audio o dati video in formato digitale. Potrebbe trattarsi di brani musicali acquistati sulla piattaforma iTunes oppure di film o audiolibri. Sono poi ricompresi i programmi informatici, le applicazioni e i giochi scaricabili su computer o smartphone, i libri elettronici (c.d. ebook) e i software, si pensi ad esempio al pacchetto office, anche se realizzati su misura 98 e dunque secondo specifiche indicazioni del consumatore99
La definizione di contenuto digitale è volutamente generica poiché si riferisce ad un concetto in costante aggiornamento ed evoluzione. Come enunciato dalla direttiva medesima100 le disposizioni in essa contenuta dovrebbero essere neutre dal punto di vista tecnologico e adeguate alle esigenze future, capaci dunque di restare al passo con lo sviluppo del mercato digitale e con quanto circola in esso.
I servizi digitali, sempre ai sensi della Direttiva101 (UE) 2019/770 e del Codice del consumo102 permettono al consumatore di creare, trasformare, archiviare i dati o di accedervi in formato digitale; oppure possono consentirgli di condividere e interagire con i dati in formato digitale, caricati o creati dal consumatore stesso e da altri utenti di tale servizio. Anche in questo caso la definizione è di carattere generale e non particolarmente chiarificatrice.
Vi rientrano sicuramente i servizi di archiviazione remota, ovvero i c.d. cloud computing, che consentono di salvare in modo sicuro ed eventualmente condividere file e dati. Tra i più conosciuti dagli utenti online vi sono iCloud, Google Drive, Dropbox e OneDrive, sebbene questi ultimi, normalmente a pagamento, offrano agli utenti la possibilità di utilizzare spazi di archiviazione molto limitati senza sostenere alcun costo.
Sono poi ricompresi i c.d. proprietary software, ovvero i software privati, di cui viene solitamente concesso al consumatore un limitato uso ma non la proprietà, e i software liberi e aperti, ovvero quella tipologia di software che consentono le c.d.
97 Considerando 19 della Direttiva (UE) 2019/770 98 Considerando 26 della Direttiva (UE) 2019/770 99 Art. 135-octies co. 5 del Codice del consumo
100 Considerando 10 della Direttiva (UE) 2019/770
101 Art. 2 della Direttiva (UE) 2019/770
102 Art. 135-octies del Codice del Consumo
“quattro libertà fondamentali”, così come definite dalla Free Software Foundation, e che possono pertanto essere liberamente eseguiti, studiati, distribuiti e modificati dagli altri utenti; tra i più utilizzati può essere menzionato il Libre Office utilizzato per l’elaborazione di fogli di calcolo, grafici o database. Tali software rientrano nell’ambito di applicazione del Capo I bis però solo se il consumatore abbia corrisposto un prezzo o abbia fornito dati personali all’operatore economico come controprestazione della fornitura. A tal proposito il secondo comma dell’articolo 135 novies alla lettera f) esclude dall’ambito di applicabilità del Capo I bis al software offerto dal professionista sulla base di una licenza libera e aperta, in cambio del quale il consumatore non corrisponde un prezzo e i dati personali da lui forniti vengono trattati esclusivamente dal professionista al fine di migliorare la sicurezza, la compatibilità o l'interoperabilità del software specifico.
Ricadono tra i servizi digitali anche i social media, quali ad esempio Facebook, Twitter, Instagram o Linkedin. In questi casi solitamente la fornitura del servizio è continuativa e pertanto l’iscrizione dell’utente ha durata indeterminata. Questo tipo di servizio viene fornito al consumatore previa registrazione e dunque a fronte della fornitura da parte dell’utente dei suoi dati personali senza il pagamento di un corrispettivo pecuniario, salvo nel caso di eventuali account “premium”, i quali oltre ai dati dell’utente richiedono anche un pagamento in denaro.
Infine, data la diffusione su ampia scala, possono menzionarsi tra i servizi oggetto della disciplina del Capo I bis i servizi streaming di musica (Spotify e YouTube) e video (Netflix, Prime Video, NOW o Infinity+). Si tratta di servizi normalmente a pagamento, salvo Spotify il quale consente all’utente di registrarsi con un account “base” senza pagare alcun corrispettivo. In questo caso però l’utente acconsente ad usufruire di un servizio più limitato e a ricevere periodici annunci pubblicitari da parte di vari inserzionisti, ai quali è dunque trasferito il costo che non ha dovuto pagare l’utente.
Tali servizi possono disporre di un eventuale periodo di prova gratuita, superato il
quale l’utente può decidere se rinnovare o meno la sua iscrizione.
Il contenuto o il servizio possono essere accessibili direttamente online (tramite un link di accesso o un download) oppure essere forniti su un supporto durevole.
Ai fini del Capo I bis si intende per supporto durevole ogni strumento che consenta al consumatore o al professionista di conservare le informazioni che gli sono personalmente indirizzate, in modo da potervi aver accesso in un momento successivo – e per tutto il tempo necessario, avuto riguardo delle finalità cui le informazioni sono destinate – e che consenta la riproduzione identica delle informazioni archiviate103.
L’ultimo comma dell’articolo 135 octies prevede che le disposizioni del Capo I bis si applicano anche al supporto materiale che funge esclusivamente da vettore di contenuto digitale, ad eccezione degli articoli 135 decies, commi 1 e 2 – che riguardano l’obbligo di fornire il contenuto o il servizio senza ritardo ingiustificato una volta concluso il contratto e di renderlo accessibile o scaricabile al consumatore o all'impianto fisico o virtuale scelto da quest’ultimo – e dell’articolo 135 septiesdecies, disciplinante il rimedio previsto in caso di mancata fornitura.
La definizione di supporto durevole è contenuta anche all’articolo 128 del Capo I con trascurabili differenze terminologiche dovute alla tipologia di contratto e all’oggetto cui si riferisce la disposizione (e dunque “venditore” anziché professionista o “conservare” al posto di “archiviare”). L’articolo prosegue poi chiarendo che le disposizioni del Capo I non si applicano al supporto materiale che funge esclusivamente da vettore del contenuto digitale.
È proprio sul fatto che un oggetto materiale sia da considerarsi mero vettore di un contenuto oppure sia da considerarsi il bene vero e proprio oggetto del contratto che risiede la principale differenza tra servizi digitali e contenuti digitali forniti attraverso un supporto materiale e i beni con elementi digitali, in cui il servizio o il contenuto sono parti essenziali del bene, imprescindibili per il suo funzionamento. Nel caso di contenuti e servizi digitali il supporto materiale rileva come strumento che consente di fruire del servizio o del contenuto, senza rilevare la sua qualificazione di bene materiale.
103 Art. 135 octies co. 2 lett. o)
Ai sensi dell’articolo 135 novies, le disposizioni del Capo I bis non si applicano ai contenuti digitali o ai servizi digitali incorporati o interconnessi con beni materiali e che vengono forniti assieme al bene ai sensi di un unico contratto di vendita104. Il ruolo della componente materiale si riflette nel titolo in forza del quale viene fornita la componente digitale: nel caso disciplinato dal Capo I bis il servizio o il contenuto sono rilasciati proprio in forza del contratto di fornitura, nel caso disciplinato dal Capo I sono invece forniti in forza del contratto di vendita.
2.4 I beni con elementi digitali
La nuova categoria dei beni con elementi digitali non è da considerarsi quale tertium genus tra i beni di consumo “tradizionali” e i servizi e i contenuti digitali, ma viene ricompresa nella prima categoria dei beni.
Nel definire la categoria dei beni con elementi digitali, il legislatore italiano ha riprodotto senza ulteriori precisazioni quanto stabilito dall’articolo 2 della direttiva (UE) 2019/771. Per “bene con elementi digitali” si intende, ai sensi dell’articolo 128 del Capo I, qualsiasi bene mobile materiale che incorpora o è interconnesso con un contenuto digitale o un servizio digitale in modo che la mancanza del contenuto digitale o del servizio digitale impedisce il funzionamento del bene.
La componente digitale, che può essere interna quando è incorporata al bene o esterna quando è interconnessa ad esso, è dunque imprescindibile affinché il bene possa assolvere le funzioni per le quali è stato preposto.
Il contenuto o il servizio digitale sono da considerarsi lato sensu essenziali al bene, posto che questo potrebbe comunque accendersi anche in loro assenza, pur essendo inidoneo allo scopo per il quale è stato acquistato.
La fornitura del contenuto digitale o del servizio digitale interconnessi o incorporati può essere esplicitamente prevista dal contratto di vendita stipulato tra venditore e
104 Art. 135 novies: Le disposizioni del presente capo non si applicano ai contenuti digitali o ai servizi digitali incorporati o interconnessi con beni di cui all'articolo 135 octies, comma 2, lettera c), e che sono forniti con il bene ai sensi di un contratto di vendita relativo a tali beni, indipendentemente dal fatto che detti contenuti digitali o servizi digitali siano forniti dal venditore o da un terzo […]
consumatore, ma può anche essere presunto che questa sia compresa nel contratto di vendita nel caso in cui uno specifico contenuto digitale o uno specifico servizio digitale siano abituali di un determinato bene e che rientrano tra le ragionevoli aspettative che il consumatore potrebbe avere, tenuto conto della natura del bene e delle dichiarazioni pubbliche fatte dal venditore o per suo conto o da altre persone nell’ambito dei vari passaggi della catena di transazioni commerciali. Se, pertanto, nella pubblicità televisiva di uno smartphone si fa riferimento ad una determinata applicazione, questa si intende ricompresa nel contratto di vendita del bene con elementi digitali, cioè lo smartphone, anche nel caso in cui l’applicazione non sia fornita direttamente dal venditore ma da un terzo.
L’elemento digitale non deve necessariamente essere fornito contestualmente al bene materiale oggetto del contratto di vendita ma può essere installato anche successivamente. Ciò che è necessario è che il contenuto o il servizio venga fornito in forza del contratto di vendita del bene stesso. Infine, può anche essere fornito da un soggetto terzo diverso dal venditore del bene, ma sarà soltanto su quest’ultimo che graverà la responsabilità per eventuali difetti di conformità, salvo poi la possibilità, qualora egli sia soltanto il venditore finale del bene oggetto del contratto, di agire in regresso nei confronti della persona o delle persone responsabili facenti parte della catena distributiva, quali ad esempio il produttore o il soggetto tenuto a fornire il contenuto o il servizio digitale e i relativi aggiornamenti.
Esempi di beni con elementi digitali sono i c.d. dispositivi I.o.T. (Internet of Things) quali gli smartphone, gli smartwatch, i vari elettrodomestici “intelligenti”, ma anche gli allarmi antincendio e di sicurezza.
Se dovessero esserci dubbi sul fatto che la fornitura di un contenuto o di un servizio digitale incorporato o interconnesso faccia parte o meno del contratto di vendita, il terzo comma dell’articolo 128 chiarisce che si presume che la fornitura rientri nel contratto di vendita.
Eventuali perplessità su quale sia la disciplina applicabile potrebbero insorgere in considerazione del fatto che con riguardo ad un bene con elementi digitali potrebbero trovare applicazione sia il Capo I che il Capo I bis. Si pensi ad uno smartphone e a due diverse applicazioni: una è la calcolatrice, presente di default
nel dispositivo, e una è un’applicazione di traduzione simultanea a pagamento scaricata dall’App store. Con riferimento alla prima troverà applicazione il Capo I mentre per quanto riguarda la seconda sarà applicabile il Capo I bis. Sempre prendendo come riferimento lo smartphone, potrebbe verificarsi l’ipotesi, nella realtà poco frequente, che questo sia venduto senza sistema operativo, il quale verrà poi scelto dall’acquirente. Allo smartphone si applicherà la disciplina degli articoli 128 e ss., mentre al sistema operativo scaricato si applicheranno le disposizioni degli articoli 135 octies e ss. La contemporanea applicabilità delle due discipline come si evince dagli esempi sopra riportati è però più apparente che reale, sia perché si riferiscono a contenuti e servizi forniti in forza di un diverso titolo (rispettivamente il contratto di vendita e il contratto di fornitura) sia perché nella seconda ipotesi descritta la disciplina relativa ai contenuti e i servizi digitali, oltre a riguardare un diverso contratto, interviene successivamente.
2.5 Esclusioni
L’articolo 135 novies disciplina i casi nei quali non trova applicazione la disciplina contenuta nel Capo I bis. Alla lettera a) ne viene esclusa l’applicabilità, anzitutto, alla fornitura di servizi che non rientrano nella definizione di servizi digitali, anche qualora l’operatore economico dovesse far ricorso per fornire il servizio al consumatore a forme o mezzi digitali . Il considerando 27 della direttiva comunitaria chiarisce che il riferimento è ai servizi professionali, quali servizi di traduzione, di architettura, legali o altri servizi di consulenza professionale, nei quali lo strumento digitale viene impiegato come mera modalità di “confezione” o consegna della prestazione richiesta dal consumatore. Inoltre, la disciplina non si applica ai servizi pubblici, quali i servizi di sicurezza sociale o i registri pubblici, qualora i mezzi digitali vengano impiegati esclusivamente per trasmettere o comunicare il servizio al consumatore. Sempre al considerando 27 si legge che la direttiva, e di conseguenza il Capo I bis del codice del consumo, non si dovrebbe applicare nemmeno agli atti pubblici e ad altri atti notarili, indipendentemente dal fatto che siano stati realizzati, registrati, riprodotti o trasmessi per via digitale.
Non rientrano nell’ambito di applicazione i servizi di comunicazioni elettroniche ai sensi dell'articolo 2, punto 4), della direttiva (UE) 2018/1972 ad esclusione dei servizi di comunicazione interindividuale privi di numero di cui all'articolo 2, punto 7), della medesima direttiva. I servizi di comunicazione elettronica sono quei servizi forniti di norma a pagamento su reti di comunicazioni elettroniche che comprendono i servizi di accesso a internet, i servizi di comunicazione interpersonale e servizi consistenti esclusivamente o prevalentemente nella trasmissione di segnali come i servizi di trasmissione utilizzati per la fornitura di servizi da macchina a macchina e per la diffusione circolare radiotelevisiva105. Il Capo I bis non si applica pertanto ai servizi di messaggistica istantanea quali Whatsapp o Telegram. Ricade invece nel campo di applicazione del Capo I bis il servizio di posta elettronica Gmail, al quale la Corte di giustizia dell’Unione europea ha espressamente negato la qualifica di servizio di comunicazione elettronica106. Inoltre, rientrano nell’ambito di operatività del Capo I bis i “servizi di comunicazione interpersonale indipendente dal numero”, ovvero quei servizi di comunicazione interpersonale che non si connettono a risorse di numerazione assegnate pubblicamente — ossia uno o più numeri che figurano in un piano di numerazione nazionale o internazionale — o che non consentono la comunicazione con uno o più numeri che figurano in un piano di numerazione nazionale o internazionale107. In questo caso non si determina una sovrapposizione della disciplina del Capo I bis con la disciplina prevista dalla direttiva (UE) 2018/1972 poiché il quinto comma dell’articolo 135 novies sancisce che nel caso in cui una disposizione del Capo I sia in contrasto con una disposizione contenuta in un atto dell’Unione europea disciplinante uno specifico settore o oggetto, tale seconda disposizione prevarrà su quanto previsto dal Capo I bis.
105 Punto 4) dell’articolo 2 della direttiva (UE) 2018/1972
106 Corte giustizia Unione Europea, Sez. IV, Sent., 13/06/2019, n. 193/18: 37 Il fatto che il fornitore di un servizio di posta su Internet intervenga attivamente nelle operazioni di invio e di ricezione dei messaggi, vuoi attribuendo gli indirizzi IP dei terminali corrispondenti agli indirizzi di posta elettronica o procedendo al frazionamento di detti messaggi in pacchetti di dati e al loro instradamento nell'Internet aperta, o al loro ricevimento dall'Internet aperta, ai fini della loro trasmissione ai rispettivi destinatari, non appare sufficiente a far ritenere che detto servizio possa, sul piano tecnico, essere considerato come consistente " interamente o prevalentemente nella trasmissione di segnali su reti di comunicazione elettronica", ai sensi dell'articolo 2, lettera c), della direttiva quadro
107 Punto 7) dell’articolo 2 della direttiva (UE) 2018/1972
Sono poi esclusi i servizi di assistenza sanitaria, tra i quali vi rientrano la prescrizione, la somministrazione e la fornitura di farmaci e dispositivi medici. La direttiva (UE) 2019/770 al considerando 27 prevede però che la direttiva debba applicarsi a nel caso in cui il contenuto digitale o il servizio digitale costituisca esso stesso un dispositivo medico, quale ad esempio le applicazioni sanitarie, che possa essere ottenuto dal consumatore senza una preventiva prescrizione o fornitura da parte di un professionista sanitario.
Tra i servizi esclusi dall’articolo 135 novies figurano anche i servizi finanziari, ovvero i servizi bancari, creditizi, assicurativi, i servizi pensionistici individuali, di investimento o di pagamento. Sono poi esclusi i servizi di gioco d'azzardo. Tale esclusione dall’ambito di applicazione del Capo I bis si spiega in ragione del fatto che il contratto è stato ricondotto al contratto di prestazione di servizi. Il gioco d’azzardo, è stato infatti pacificamente incluso, seppur soltanto a seguito dell’ordinanza della Corte di Cassazione del 2015108 nell’ambito della tutela consumeristica. Vi erano orientamenti di segno contrario che escludevano che questo rientrasse nell’ambito della tutela consumeristica essenzialmente per tre ragioni: che consistesse in una .pratica, per sua natura, contraria alla categoria di educato consumo; che l’aleatorietà non permetteva di ricondurlo al contratto con il quale un consumatore acquista beni o servizi e, infine, che la disparità tra il soggetto fornitore del servizio, il quale predispone unilateralmente il regolamento contrattuale e il soggetto che intendeva fruirne fosse comunque compensata dalla bassa entità della controprestazione chiesta al giocatore in relazione all’entità della possibile vincita. La Corte di Cassazione ha ritenuto invece di includere il gioco d’azzardo, ovviamente autorizzato, nell’ambito della tutela consumeristica.
Infine, il Capo I bis non si applica alla fornitura di contenuto digitale qualora il contenuto digitale venga messo a disposizione del pubblico con mezzi che non rientrino trasmissione di segnale. Sono dunque da ricomprendere nell’ambito di applicazione i contenuti e i servizi trasmessi in televisione mentre sono da escludersi quelli trasmessi all’interno di uno spettacolo aperto al pubblico, quale uno spettacolo teatrale o una proiezione cinematografica.
108 Corte di Cassazione , Sez. III, ordinanza n. 14288, 2015 .
3 CAPITOLO 3 – LA CONTROPRESTAZIONE DEL CONSUMATORE A FRONTE DELLA FORNITURA DI CONTENUTI O SERVIZI DIGITALI
Introduzione
L’art. 135 octies nel delineare l’ambito di applicazione delle disposizioni contenute nel Capo I bis enuncia quale sia la controprestazione richiesta al consumatore a fronte della fornitura di un contenuto o di un servizio digitale. In particolare, si prevede che a fronte della fornitura il consumatore possa corrispondere o obbligarsi a corrispondere un prezzo oppure possa fornire o obbligarsi a fornire i propri dati personali all’operatore economico.
Seppur in apparenza non ci siano innovazioni per quanto riguarda la controprestazione che si sostanzia nella corresponsione di un prezzo, vi è una novità nel fatto che questo può sostanziarsi in due prestazioni diverse. Infatti, ai fini del Capo I bis si intende per prezzo non soltanto una somma di denaro ma anche una rappresentazione di valore digitale.
Del tutto inedita inoltre e la previsione di una controprestazione che possa sostanziarsi anche nella fornitura di propri dati personali, i quali verranno raccolti dall'operatore economico per i fini ulteriori rispetto a quelli normalmente necessari per la mera esecuzione della fornitura o per l’assolvimento di obblighi di legge gravanti sul professionista.
3.1.1 La controprestazione del consumatore consistente nel pagamento di un prezzo
Muovendo dall'analisi della controprestazione che si estrinseca nella corresponsione di un prezzo, è necessario in primo luogo comprendere che cosa si intenda con rappresentazione digitale di valore. Occorre a tal fine aver riguardo ai considerando della direttiva 2019/770: in particolare, al considerando 23 si fa riferimento anzitutto ai buoni e ai coupon elettronici, i quali possono essere utilizzati dal consumatore per pagare beni e servizi all’interno del mercato digitale e sono pertanto considerati, o comunque dovrebbero essere considerati, a tutti gli effetti, un mezzo di pagamento.
A queste rappresentazioni digitali normalmente vengono attribuiti diversi importi, corrispondenti a denaro contante, consentendo in tal modo al consumatore di acquistare contenuti o servizi che hanno un costo pari a quello rappresentato dal buono o dal coupon alle stesse condizioni e con le medesime garanzie di chi acquista pagando con denaro contante.
Una definizione di buono, non necessariamente elettronico, è rinvenibile all’interno del DPR 26 ottobre 1972, n 633 Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto, nel quale all’articolo 6 bis, modificato per effetto del decreto legislativo 29 novembre 2018, n. 141, si afferma che per buono corrispettivo si intende uno strumento contenente l'obbligazione, per chi lo riceve, di essere accettato totalmente o anche solo parzialmente come corrispettivo di una cessione di beni o di una prestazione di servizi. In una separata documentazione o nel buono stesso deve poi essere indicato sia quale bene o servizio può essere acquistato o prestato sia da quale soggetto cedente o prestatore può essere accettato tale buono. Il decreto legislativo sopra menzionato è attuativo la Direttiva 1065/2016109 relativa al trattamento dei buoni, sia fisici che elettronici110, che possono essere impiegati per riscattare beni o servizi111.
109 Direttiva (UE) 2016/1065 del Consiglio del 27 giugno 2016 recante modifica della direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda il trattamento dei buoni
110 Considerando 6 della direttiva 2016/1065
111 Considerando 4 della direttiva 2016/1065
La direttiva in questione descrive le caratteristiche di tali strumenti. In particolare, all’articolo 30 bis, il quale è stato poi trasposto nel DPR del 26 ottobre 1972 n. 633, si prevede l’obbligazione che esso sia accettato come corrispettivo, totale o parziale, dal prestatore del bene o del servizio e, avendo riguardo alla fornitura di contenuti e servizi digitali, dall’operatore economico che fornisce il contenuto o il servizio digitale. Il buono contiene dunque l’obbligo per il professionista e il corrispondente diritto per il consumatore di essere accettato quale corrispettivo della fornitura.
È da rilevare che sebbene la direttiva 2019/770 affermi che il buono sia da considerare quale mezzo di pagamento112, sarebbe stato forse più opportuno utilizzare il termine “corrispettivo”. Lo stesso legislatore europeo infatti differenzia il buono dagli strumenti di pagamento113. Inoltre, nello Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva (UE) 2016/1065 si afferma114 che i buoni-corrispettivo si differenziano dagli strumenti di pagamento poiché, mentre i primi contengono l’obbligo di essere accettati e il diritto per il loro utilizzatore di ottenere il bene o il servizio, i secondi hanno l’unico scopo di eseguire un pagamento.
Nella nozione di buono corrispettivo possono rientrare anche le c.d. gift card, ampiamente diffuse soprattutto nel mercato digitale le quali si sostanziano normalmente in card, fisiche o virtuali, che possono essere acquistate e pagate, in denaro, ad un prezzo pari a quello in esse rappresentato. Successivamente saranno poi utilizzabili, normalmente inserendo il codice in esse contenute, dall’acquirente o da un soggetto terzo quale corrispettivo, anche in questo caso totale o parziale, a fronte della fornitura di un bene o un servizio digitale. La tematica delle gift card rileva poiché ha suscitato perplessità115 soprattutto in materia di garanzia di conformità. Infatti, nell'ipotesi in cui un bene acquistato tramite una gift card presenti un vizio di conformità , il consumatore acquirente non sempre potrà
112 Considerando 23 della direttiva 2019/770
113 Considerando 6 della direttiva 2016/1065
114 Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva (UE) 2016/1065 recante modifica della direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda il trattamento dei buoni- corrispettivo, Relazione illustrativa, pag. 1
115 Si veda l’articolo della redazione dell’Unione Nazionale Consumatori Gift card: in regalo anche alcune scocciature? Del 20 marzo 2019 disponibile su xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxx.xx/xxxx/xxxx-xxxx-xxxxxx-xxxxxx-xxxxxxxxxxx/
disporre dei rimedi ai quali avrebbe diritto se avesse acquistato il bene pagando in denaro contante, poiché può accadere alle volte che l'unico rimedio che ha a disposizione consista nel restituire il bene e vedersi riaccreditare nella card la cifra impiegata per acquistare il bene in modo da poterne acquistare un altro.
Nel caso in cui lo stesso bene fosse stato acquistato tramite un pagamento in denaro, il consumatore avrebbe avuto diritto anzitutto al ripristino della conformità, tramite riparazione o sostituzione, ma in secondo ordine avrebbe potuto anche chiedere la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto. Analoghe considerazioni possono essere effettuate con riferimento ai contenuti e ai servizi digitali. Vi sono contenuti e servizi che possono infatti essere ottenuti tramite l’acquisto di tessere, fisiche o virtuali, normalmente emesse dal fornitore del servizio. Diverse piattaforme, quali ad esempio Spotify, Amazon o Netflix, mettono a disposizione degli utenti delle carte regalo le quali, una volta acquistate, non possono essere né rimborsate né restituite.
A tal proposito può menzionarsi una pronuncia116 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nella quale è stata qualificata come pratica commerciale scorretta quella posta in essere da una società, la Sixthcontinent Europe S.r.l., la quale non consentiva il rimborso del prezzo pagato dai clienti per l’acquisto di una gift card ma soltanto il riaccredito dell’importo, permettendo al consumatore soltanto di acquistare nuovamente un bene diverso presso la stessa piattaforma, negando in tal modo la risoluzione del contratto.
Per non essere in contrasto con la disciplina consumeristica, la previsione del solo riaccredito nel caso in cui il contenuto o il servizio fosse acquistato tramite gift card, con la conseguente esclusione degli altri rimedi previsti quali il ripristino della conformità o la riduzione del prezzo, dovrebbe essere possibile solo qualora fosse stata oggetto di specifica trattativa individuale tra le parti. Trattandosi di contratti conclusi a distanza il consumatore può sempre chiedere la risoluzione del contratto essendo in tali casi irrinunciabile il diritto di recesso
116 AGCM, 4.8.2020, n. 28314
3.1.2 La rappresentazione digitale di valore intesa come valuta virtuale
Tra le rappresentazioni di valore digitali la direttiva 2019/770 include anche le valute virtuali purchè siano riconosciute dal diritto nazionale.
Anzitutto occorre precisare che le valute virtuali non corrispondono alla moneta elettronica, poiché quest’ultima viene definita quale valore monetario memorizzato elettronicamente, rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia emesso dietro ricevimento di fondi per effettuare operazioni di pagamento e che sia accettato da persone fisiche o giuridiche diverse dal suo emittente117. I soggetti che possono emettere moneta elettronica sono gli enti creditizi, ovvero imprese la cui attività consiste nel ricevere depositi o altri fondi rimborsabili dal pubblico e nel concedere crediti118, gli istituti di moneta elettronica, gli uffici postali autorizzati, la Banca Centrale Europea e le banche centrali nazionali qualora non agiscano in veste di autorità monetarie o pubbliche, infine, gli Stati membri dell’Unione europea119.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito120 ulteriormente che le valute virtuali si distinguono dalla moneta elettronica, così come viene definita nella direttiva 2009/110/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, poiché i fondi non vengono espressi in un’unità di calcolo tradizionale ma virtuale.
Le valute virtuali non si sostanziano in una semplice rappresentazione in forma elettronica delle valute aventi corso legale negli Stati membri (principalmente l’euro, ma anche il Leu romeno, il Lev bulgaro o la Corona svedese) ma, secondo
117 Art. 2 n. 2 della direttiva 2009/110/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 settembre 2009 concernente l’avvio, l’esercizio e la vigilanza prudenziale dell’attività degli istituti di moneta elettronica, che modifica le direttive 2005/60/CE e 2006/48/CE e che abroga la direttiva 2000/46/CE
118 Secondo la definizione sancita dall’art. 4 n.1 della direttiva 2006/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2006 relativa all'accesso all'attività degli enti creditizi ed al suo esercizio
119 Art. 1 della direttiva 2009/110/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 settembre 2009 concernente l’avvio, l’esercizio e la vigilanza prudenziale dell’attività degli istituti di moneta elettronica, che modifica le direttive 2005/60/CE e 2006/48/CE e che abroga la direttiva 2000/46/CE
120 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Sez. V, sentenza 22 ottobre 2015, n. 264/14
la definizione data dal legislatore italiano, costituiscono una rappresentazione digitale di valore che non è stata emessa né garantita da una banca centrale o da una pubblica autorità che può essere utilizzata, in determinati casi e contesti, come mezzo di scambio per l'acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente121.
Tale definizione di valuta virtuale non è del tutto identica a quella comunitaria, contenuta nella Direttiva 2018/843/UE, poiché in quest’ultima non è presente l’espresso riferimento alla finalità di investimento.
Le valute virtuale sono in sostanza le c.d. criptovalute, le quali vengono emesse da soggetti privati.
Le criptovalute non sarebbero da considerarsi moneta in quanto non hanno la medesima funzione di questa. La moneta, intesa quella avente corso legale, oltre a costituire un mezzo di pagamento, dall’obbligatorio effetto solutorio per il soggetto debitore, rappresenta anche una riserva di valore da accantonare e utilizzare in futuro senza che perda il suo valore nominale, e un’unità di conto, consentendo di confrontare e valutare economicamente beni e servizi anche diversi122. Si ritiene123 che la valuta digitale non assolve nessuna di queste funzioni. In particolare non è diffusa e generalmente accettata quale mezzo di pagamento con efficacia erga omnes, potendo essere legittimamente rifiutata da entrambe le parti contrattuali, non rappresenta una riserva di valore avendo un variabile e oscillatorio tasso di cambio con le monete aventi corso legale e di conseguenza non permette di essere considerata un’unità di conto.
Qualora le criptovalute fossero comunque considerate moneta, seppur non elettronica, non essendo queste collegate ad una valuta avente corso legale nello Stato italiano, e più in generale negli altri Stati membri, non avrebbero comunque l’effetto di liberare il consumatore, ma più in generale il debitore, dall’obbligazione
121 Art. 1 del Decreto legislativo 21/11/2007, n. 231
122 Come affermato sull’articolo What is money? disponibile sul sito web della Banca centrale europea, consultabile al link xxxxx://xxx.xxx.xxxxxx.xx/xxx/xxxxxxxxxxx/xxxxxxxxxx/xxxx-xx- more/html/what_is_money.en.html
123 X. XXXXXXXXXXX, Le innovazioni digitali nel settore delle valute: i Bitcoin in L’evoluzione dei sistemi e dei servizi di pagamento nell’era del digitale, CEDAM, 2020, pag. 178 e ss.; A. LIVI, Le criptovalute nella giurisprudenza, contenuto in E. XXXXXX, X. XXXXX I diversi settori del fintech, CEDAM, 2019, pag. 121
di pagare una somma di denaro poiché il creditore, in questo caso il professionista, potrebbe legittimamente rifiutarle in quanto l’art.1277 del codice civile sancisce che i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale, salvo però che vi sia stato un previo accordo in tal senso tra le parti contraenti. L’articolo 1279 del codice civile consente, infatti, tale possibilità. Inoltre, non solo il professionista che le riceva ma anche lo stesso consumatore potrebbe rifiutare di effettuare tale genere di pagamento, in quanto l’articolo 1278 offre la possibilità di pagare con moneta avente corso legale.
L’European Securities and Markets Authority (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, anche nota come ESMA) l’European Banking Authority (Autorità bancaria europea) e l’European Insurance and Occupational Pensions Authority (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali) in un avviso congiunto124 hanno comunque chiarito che le valute virtuali, in quanto rappresentazioni digitali di valore non emesse e non garantite da una banca centrale o da un’autorità pubblica non hanno lo status giuridico né di valuta né di moneta.
Preso atto che nel caso in cui il consumatore corrisponda una valuta virtuale non si realizza il paradigma “fornitura verso denaro” vi sarebbe da chiedersi se sia o meno configurabile il modello “fornitura verso bene”. A tal fine sarebbe necessario capire quale sia la qualificazione giuridica delle valute virtuali. È tuttavia da premettere che, data la complessità del fenomeno, non si è pervenuti al momento ad una univoca riconduzione di tali strumenti ad una determinata categoria giuridica.
Nell’ordinamento italiano la prima sentenza in materia è stata pronunciata nel tribunale di Verona: si tratta, in particolare, della sentenza n. 195/2017125. Sinteticamente, la vicenda riguardava un cliente di una società di servizi informatici, il quale aveva citato in giudizio tale società dalla quale aveva acquistato, per mezzo di un contratto a distanza stipulato online, dei bitcoin corrispondendo un prezzo in denaro, realizzando in tal modo uno scambio “moneta
124 EBA, ESMA, EIOPA, warning consumers on the risk of Virtual Currencies, 12 February 2018 consultabile su xxxxx://xxx.xxxx.xxxxxx.xx/xxxxx/xxxxxxx/xxxxx/xxxxxxx/xxxx00-000- 1284_joint_esas_warning_on_virtual_currenciesl.pdf
125 Tribunale di Verona, Seconda Sezione Civile, 24 gennaio 2017, n. 195
virtuale vs moneta avente corso legale”. L’acquisto era stato effettuato poiché la società avrebbe dovuto investire successivamente le criptovalute attraverso la partecipazione ad una operazione di crowdfunding promossa da una società ucraina. La società non solo non aveva provveduto ad investire i bitcoin ma non aveva neppure aperto il conto, c.d. wallet o portafoglio virtuale, una volta che questi erano stati acquistati dal cliente, il quale in conseguenza di tale inadempimento aveva deciso di agire in giudizio al fine di far dichiarare la nullità del contratto concluso con la società promotrice dell’investimento lamentando una violazione del codice del consumo, in particolare dell’articolo 50, riguardante i requisiti formali per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali e gli articoli 67 duodecies e seguenti, disciplinanti il diritto di recesso nella commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori, e ottenere così la restituzione delle somme versate per l’acquisto delle criptovalute.
In tale occasione il Tribunale di Verona dopo aver rilevato l’abusività dell’attività posta in essere dalla società di servizi informatici, facendo riferimento ad una risoluzione dell’Agenzia delle Entrate126 e ad una sentenza della Corte di giustizia europea127 è arrivata alla conclusione che lo scambio effettuato dalle parti – valuta legale vs valuta virtuale – integrasse una prestazione di servizi a titolo oneroso ex articolo 10 co. 1 n. 3 del DPR 633/1972 e ha qualificato le criptovalute come strumenti finanziari. In particolare è stata richiamata una definizione dottrinale, secondo la quale si tratta di uno strumento finanziario, costituito da una moneta coniabile da qualunque utente, impiegato per effettuare particolari forme di transazioni online tramite un software open source e una rete peer-to-peer.
Tale riconduzione delle criptovalute agli strumenti finanziari si scontra però con la tassatività di questi ex articolo 1 co. 2 del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, nel quale si prevede che gli strumenti finanziari sono indicati nella Sezione C dell'Allegato I, nel quale non sono rinvenibili le valute virtuali.
126 Risoluzione 72/E, Interpello ai sensi dell’art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212. Trattamento fiscale applicabile alle società che svolgono attività di servizi relativi a monete virtuali, 2016
127 Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 22 ottobre 2015 (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Högsta förvaltningsdomstolen — Svezia) — Skatteverket/Xxxxx Xxxxxxxx (Causa C-264/14)
Si ritiene più opportuno128 ricondurre le criptovalute ai prodotti finanziari, i quali ai sensi del co. 1 lettera u) dell’articolo 1 del TUF ricomprendono gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria. Più precisamente, le criptovalute dovrebbero considerarsi dei prodotti finanziari atipici129.
Successivamente alla pronuncia sin qui considerata, è stata emanata da parte del Tribunale di Brescia una sentenza130 nella quale si affronta nuovamente il tema della natura delle criptovalute. La questione riguardava il ricorso di una società a responsabilità limitata nei confronti del notaio, il quale si era rifiutato di iscrivere nel Registro delle Imprese una delibera societaria che disponeva un aumento di capitale tramite il conferimento di criptovalute, ritenendo che poiché le criptovalute non costituendo un bene suscettibile di valutazione economica non sarebbero state idonee a costituire un elemento dell’attivo conferibile al capitale di una società ex articolo 2464 c.c, non essendo possibile valutare concretamente il quantum né l’effettività del conferimento. La società riteneva, invece, la sussistenza di una valutazione economica precisa ed attendibile riportata nella perizia di stima che era stata precedentemente effettuata, grazie anche alla loro diffusione in un mercato non regolamentato, e pertanto chiedeva che fosse ordinata l’iscrizione della delibera nel Registro.
Il Tribunale rigettando il ricorso della società attrice e dichiarando legittimo il rifiuto dell’iscrizione da parte del notaio, aveva affermato che tali rappresentazioni digitali di valore, pur essendo un bene in natura, astrattamente idoneo al conferimento al capitale della società a responsabilità limitata, non costituivano però nel caso di specie un bene concretamente suscettibile di una valutazione economica attendibile richiesta dal secondo comma dell’articolo 2464 c.c. non essendoci un mercato di riferimento di quel tipo di bene oggetto del conferimento
128 G. M. NORI, Bitcoin, tra moneta e investimento, in Banca Impresa Società, 1/2021; X.XXXXX, Valute virtuali e valute complementari, tra sviluppo tecnologico e incertezze regolamentari in Rivista di diritto bancario. Dottrina e giurisprudenza commentata, fascicolo 1, gennaio-marzo 2019
129 X.XXXXXXXX, Timidi tentativi giuridici di messa a fuoco del 'Bitcoin': miraggio monetario crittoanarchico o soluzione tecnologica in cerca di un problema? In Il diritto dell'informazione e dell'informatica, n.31, 2015, pag. 421
130 Tribunale di Brescia, 25 luglio 2018, n.7556
– che avrebbe consentito una liquidazione attraverso una esatta conversione in denaro – e non potendo essere le criptovalute oggetto di esecuzione forzata.
In secondo grado, la Corte d’Appello di Brescia ha sancito che in generale, e non soltanto nel caso di specie, le criptovalute, contrariamente a quanto affermato dai giudici in primo grado, non devono essere assimilate ad un bene in natura suscettibile di una valutazione economica, ma ad una moneta, ovvero ad un mezzo di scambio nella contrattazione in un dato mercato, atto ad attribuir valore, quale contropartita di scambio, ai beni e servizi, o altre utilità, ivi negoziati131. Secondo la Corte, essendo le criptovalute stesse un mezzo di scambio non può essergli attribuito a loro volta un valore di scambio attraverso la stima prevista dall’articolo 2465 del codice civile, riguardante i conferimenti diversi dal denaro.
In conclusione, secondo il Tribunale di Brescia le criptovalute sono qualificabili
come “beni”, mentre la Corte d’Appello le considera assimilabili alla “moneta”. Vi è chi ritiene che l’inquadramento più corretto di Bitcoin sia anche il più semplice132: esso è anzitutto un bene giuridico ex articolo 810 c.c. mobile e immateriale.
Tale impostazione che riconduce le valute virtuali alla categoria dei beni si rinviene in una sentenza pronunciata dal Tribunale Firenze133 nella quale le criptovalute sono state qualificate come mezzo di scambio che comporta dei rischi e che è utilizzabile esclusivamente in via pattizia, e dunque volontaria, poiché non specificamente regolamentato. La pronuncia in questione, ed è ciò che rileva ai fini della nostra analisi, afferma che le valute virtuali rientrano nella categoria dei beni, chiaramente immateriali, di cui all’articolo 810 c.c. del codice civile, in quanto oggetto di diritti. Vi sono però orientamenti in dottrina di segno contrario a tale riconduzione, secondo i quali, essendo tassativa la categoria dei beni immateriali, le criptovalute per essere inserite in tale categoria necessitino di un espresso riconoscimento in tal senso da parte del legislatore. Dovrebbe dunque esservi una disposizione che le qualifichi quali beni immateriali, o meglio, che riconosca l’esistenza di un diritto su tali entità.
131 Corte di Appello di Brescia, decreto 207/2018 del 24 ottobre 2018
132 P. XXXXXXX, X. DE CARIA, Bitcoin e le altre criptomonete Inquadramento giuridico e fiscale in IBL FOCUS, 2014, pag. 4
133 Tribunale Firenze, Sez. fall., 21 gennaio 2019, n. 18
È stato poi ritenuto134 che qualificare la criptovaluta come bene immateriale determinerebbe problemi di tutela giuridica poiché qualora questa dovesse essere sottratta al legittimo proprietario, tale sottrazione non potrebbe integrare il reato di furto o di appropriazione indebita potendo questi riguardare solo cose mobili, dunque res materiali, dotate di una propria fisicità e che possono essere spostate e dunque sottratte.
Riguardo alla prima questione, la sentenza sopracitata considera le criptovalute quale mezzo di scambio che dunque può essere oggetto di diritti e obbligazioni. Inoltre, la definizione di moneta virtuale contenuta nella direttiva 2018/843/UE135 del 30 maggio 2018 prevede che questa possa essere non solo accettata come mezzo di scambio, ma anche trasferita, memorizzata o scambiata elettronicamente, il che sembrerebbe un ulteriore riconoscimento implicito del fatto che possa essere oggetto di un rapporto giuridico.
Per quanto riguarda l’ipotetica mancanza di tutela, è da segnalare l’intervento136 della Corte di Cassazione, la quale ha affermato che i files sono anzitutto dati informatici, i quali vengono elaborati, classificati e successivamente viene loro attribuito un valore in cifre binarie, anche dette bit, le quali vengono raccolte e collocate in uno spazio denominato byte. I byte sono dunque un’unità di misura che indica la quantità di dati che possono essere contenuti in un file. La Corte riporta quanto stabilito dalla dottrina, ovvero che tali elementi non sono entità astratte, ma entità dotate di una propria fisicità e ritiene, in considerazione di ciò, che i file possiedono una dimensione fisica rappresentata dalla quantità di dati che li compongono. Conseguentemente ritiene che i file, e pertanto anche dati informatici, sono qualificabili cose mobili ai sensi della legge penale e sono pertanto suscettibili di appropriazione indebita.
134 A. LIVI, Le criptovalute nella giurisprudenza, contenuto in E. XXXXXX, X. XXXXX I diversi settori del fintech, CEDAM, 2019, pag. 119; A. XXXXXXX, X. XXXXXXX, X.XXXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXXXXX, X. XXXXX Bitcoin: profili giuridici e comparatistici. Analisi e sviluppi futuri di un fenomeno in evoluzione in Diritto Mercato Tecnologia, n.3, 2015, p. 43.
135 Direttiva (UE) 2018/843 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, che modifica la direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo e che modifica le direttive 2009/138/CE e 2013/36/UE
136 Corte di Cassazione, sentenza del 7 novembre 2019, n. 11959
Le criptovalute sono essenzialmente dei dati137 cui viene attribuito un valore economico e dunque, secondo quanto affermato dalla Cassazione, la loro illegittima sottrazione può integrare il reato di appropriazione indebita.
Una recente sentenza del TAR Lazio138 nell’illustrare la teoria a favore della qualificazione delle criptovalute quali beni giuridici, riporta il riferimento operato dalla dottrina agli ordinamenti Statunitense, Canadese. Negli Stati Uniti le valute virtuali vengono tassate come proprietà, mentre nell’ordinamento canadese uno scambio di monete virtuali viene ricondotto alla fattispecie contrattuale della permuta. Tale orientamento non sembra essere osteggiato dalla sentenza in questione, seppur venga descritta anche la teoria che qualifica le criptovalute come strumenti finanziari, tale qualificazione viene invece in parte smentita riportando l’art. 1, comma 4, del TUF, il quale statuisce che i mezzi di pagamento non sono strumenti finanziari, qualora dovesse essere intesa in senso generale e assoluto.
In conclusione, tornando alla trattazione del tema principale dell’analisi, si potrebbe allora affermare che qualora la controprestazione del consumatore consista nel pagamento di un prezzo inteso come rappresentazione digitale di valore e più precisamente nell’accezione di valuta virtuale, il contratto di fornitura di contenuto digitale verso il pagamento in criptovaluta integri la fattispecie contrattuale della permuta, la quale, ai sensi dell’articolo 1552 del codice civile, è il contratto che ha per oggetto il reciproco trasferimento della proprietà di cose o altri diritti da un contraente all'altro. Sembrerebbe dunque non rientrare in tale fattispecie la fornitura di servizi digitali. Tuttavia, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, all’articolo 11 contempla le “cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in corrispettivo di altre cessioni di beni o prestazioni di servizi”. Seppur a fini tributari, tale scambio è stato qualificato dalla Cassazione139 come permuta. Di conseguenza tale fattispecie contrattuale è integrata qualora l'operatore economico fornisca un servizio digitale e il consumatore corrisponda in cambio una valuta virtuale, qualificabile come bene giuridico ex art. 810 c.c.
137 I. D’AMBROSIO, I confini operativi delle criptovalute: la conferibilità delle valute virtuali nelle società di capitali in TELITI, LAGHI, Processo, processi e rivoluzione tecnologica, CEDAM, 2022, pag. 378
138 TAR Lazio, sentenza del 27 gennaio 2020, n. 1077
139 Cassazione civile sez. trib., 21/03/2019, n.7947
3.2.1. La fornitura di dati personali
Chiarito in che cosa possa consistere la rappresentazione di valore digitale che può essere corrisposta dal consumatore a seguito della fornitura, occorre analizzare la terza possibile controprestazione: la fornitura di dati personali all’operatore economico.
Come specificato dalla direttiva 770/2019/UE al considerando 24, i dati personali verranno impiegati dal professionista per scopi ulteriori rispetto alla semplice fornitura del contenuto o del servizio digitale o all’assolvimento degli obblighi derivanti dalla legge. È prevista, infatti, la non applicabilità della direttiva, e conseguentemente del Capo I bis qualora i dati siano funzionali esclusivamente alla fornitura del servizio o del contenuto digitale oppure la registrazione dell’utente, e in particolare la sua identificazione, sia necessaria per ragioni di sicurezza.
I dati personali raccolti dall’operatore economico vengono impiegati per vari scopi come, ad esempio, la profilazione degli utenti – consistente nel trattamento automatizzato dei dati al fine di determinare e prevedere taluni aspetti relativi a una persona fisica, quali le preferenze personali, gli interessi, le abitudini, il comportamento o l’ubicazione140 – anche al fine di realizzare successivamente una mirata azione pubblicitaria oppure offrire contenuti e servizi in linea con le preferenze degli utenti. La profilazione, secondo quanto disposto dal GDPR, deve dunque essere svolta sui dati personali, deve essere effettuata in forma automatizzata e deve avere l’obiettivo di analizzare e prevedere il comportamento degli utenti.
I dati richiesti all’utente sono dati personali, ovvero le informazioni inerenti ad
una persona fisica che dunque la identificano o permettono di identificarla141.
La fornitura non riguarda i c.d. metadati, ovvero le informazioni riguardanti il dispositivo utilizzato dall’utente oppure i siti web visualizzati. Tuttavia, come evidenziato nella Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio
140 Art. 4 n) 4 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)
141 Art. 4 n) 1
relativo al rispetto della vita privata e alla tutela dei dati personali nelle comunicazioni anche i metadati, esattamente come i dati personali, possono riportare informazioni assolutamente sensibili e personali142, e dunque rivelare informazioni circa il comportamento, le abitudini e le preferenze dei singoli utenti.
La direttiva 770/2019 afferma al considerando 24 che il modello “fornitura contro dati personali” ha ampia diffusione nel mercato unico digitale, dove con frequenza si verifica l’ipotesi che il consumatore fruisca di contenuti e servizi digitali senza versare un corrispettivo e limitandosi a fornire i propri dati personali; pertanto, preso atto di tale scenario, tra gli obiettivi della direttiva vi è quello di garantire che anche in tali casi il consumatore disponga di rimedi contrattuali.
Nell’ipotesi, dunque, in cui il professionista richieda l’indirizzo di posta elettronica per poter inviare il link che permetta di scaricare o accedere al contenuto o al servizio digitale oppure richieda la data di nascita soltanto al fine di verificare l’età dell’utente poiché il servizio o il contenuto a cui si intende accedere è rivolto esclusivamente a persone maggiorenni non si rientrerà nell’ambito del Capo I bis. Qualora invece la mail o la data di nascita siano richieste per finalità commerciali non strettamente necessarie per la fornitura del contenuto o del servizio, si avrà l’applicazione delle disposizioni contenute negli articoli 135 octies e seguenti.
Soltanto quando il consumatore abbia sopportato un onere quale il pagamento di un prezzo o la cessione dei suoi dati personali per scopi commerciali, rappresentando dunque una risorsa dalla quale l’operatore può trarre un valore economico, potrà giovarsi della tutela, dei rimedi per la mancata fornitura del contenuto o del servizio digitale e della garanzia in caso di difetti di conformità previsti dal Capo I bis del codice di consumo, analogamente a quanto si verifica nel caso in cui la controprestazione del consumatore consista nel pagamento di un prezzo. Il fatto di non aver sopportato un onere economico non dovrebbe comportare per il consumatore un minor livello di tutela.
142 Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al rispetto della vita privata e alla tutela dei dati personali nelle comunicazioni elettroniche e che abroga la direttiva 2002/58/CE (regolamento sulla vita privata e le comunicazioni elettroniche), pag. 12
È da rilevare, tuttavia, che alcune differenze sono comunque inevitabili poiché strettamente connesse alla natura della controprestazione.
Ad esempio, tra i rimedi previsti nel caso in cui sia presente un vizio di conformità vi è, ex articolo 135 octiesdecies, la riduzione del prezzo, la quale può essere invocata soltanto dal consumatore che abbia, appunto, pagato un prezzo.
Il consumatore che abbia fornito i suoi dati personali potrà giovarsi soltanto degli altri due rimedi ovvero il ripristino della conformità oppure la risoluzione del contratto. Anche la risoluzione, però, si atteggia in modo diverso a seconda che il consumatore abbia fornito i suoi dati personali oppure abbia corrisposto un prezzo. Solo in questo secondo caso, infatti, al consumatore viene rimborsato quanto ha versato in esecuzione del contratto, mentre non è configurabile una restituzione dei dati personali o del corrispettivo vantaggio economico che hanno permesso di far conseguire al professionista. Inoltre, solo qualora il consumatore abbia pagato un prezzo è richiesto che il difetto di conformità non sia di lieve entità. Tale specificazione porta a concludere che nel caso in cui invece il consumatore abbia fornito i propri dati personali è legittimato a chiedere la risoluzione del contratto pure nell’ipotesi in cui il difetto dovesse essere di minore entità.
L’articolo 135 noviesdecies disciplinante la risoluzione del contratto, prevede che con riferimento all’ipotesi nella quale il consumatore abbia ceduto i propri dati personali, l’operatore economico debba rispettare gli obblighi derivanti dal regolamento (UE) 2016/679 e dal decreto legislativo n. 101 del 2018.
Nonostante i dati si inseriscano nel sinallagma contrattuale e la loro cessione si abbia come conseguenza, sul piano causale, della fornitura del contenuto o del servizio digitale – stando anche a quanto affermato al considerando 24 della direttiva, nel quale si afferma testualmente che “quando non paga un prezzo, il consumatore fornisce dati personali all’operatore economico” – la prospettiva adottata dal legislatore comunitario è che non si possa parlare di controprestazione. Inizialmente, nella Proposta della direttiva143, la fornitura di dati personali veniva indicata espressamente come controprestazione del consumatore e più precisamente
143 Proposta di DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale, Bruxelles, 9.12.2015 COM(2015) 634 final
come controprestazione non pecuniaria. All’articolo 3 nel delineare l’ambito di operatività della direttiva, era stato previsto espressamente che in cambio della fornitura di un contenuto digitale il consumatore avrebbe corrisposto un prezzo oppure avrebbe fornito attivamente una controprestazione non pecuniaria sotto forma di dati personali o di qualsiasi altro dato. Inoltre, al considerando 13 si era affermato che nell’ambito dell’economia digitale, le informazioni sulle persone fisiche venivano oramai considerate dagli operatori del mercato quali beni di valore comparabile al denaro.
Senonché nel 2017 è intervenuto il parere dell’European Data Protection Supervisor, l'istituzione indipendente dell'Unione Europea responsabile in materia di trattamento di dati personali che ha tra gli obiettivi quello di garantire in tale ambito che le istituzioni e gli organi comunitari rispettino i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche e in particolare che venga garantito il loro diritto alla riservatezza144.
L’European Data Protection Supervisor (d’ora in poi EDPS) si era pronunciata in merito alla proposta della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio su taluni aspetti concernenti i contratti di fornitura di contenuto digitale e in quest’occasione si era dichiarata contraria a qualsiasi nuova disposizione che avesse introdotto l'idea che le persone avrebbero potuto pagare con i loro dati personali esattamente nello stesso modo in cui lo fanno con i soldi. L’EDPS ha ritenuto inoltre che la nozione di “dati come controprestazione” (nel testo originale data as counter-performance) non essendo stata compiutamente definita nella proposta avrebbe potuto causare confusione riguardo alla precisa funzione dei dati in una data operazione. Ulteriori difficoltà sarebbero derivate anche dalla mancanza di chiarezza di informazioni per gli utenti. In particolare, il consumatore è consapevole di ciò che sta consegnando quando paga in denaro, ma potrebbe non esserlo quando fornisce i suoi dati personali, potrebbe dunque non aver chiaro come tali dati potrebbero essere utilizzati.
In conclusione, aveva richiesto di evitare l’utilizzo del termine "controprestazione" con riferimento ai dati personali. Tale formulazione, infatti, non compare nella versione attuale della direttiva.
144 Art. 41 del regolamento 45/2001
I predicati utilizzati nella versione originale per indicare la prestazione del consumatore sono “to pay” con riferimento al prezzo e “to provide” per quanto riguarda i dati personali.
Soltanto il primo sottende una prestazione pecuniaria, escludendo dunque che i dati personali possano essere equiparati ad un corrispettivo in denaro. Parimenti, nel testo in italiano soltanto con riguardo al prezzo viene utilizzato il verbo “corrispondere”, implicando che soltanto quest’ultimo può essere inteso come corrispettivo della prestazione, ossia come pagamento monetario.
Nei seguenti paragrafi si cercherà di comprendere se tale omissione sia o meno sufficiente a escludere definitivamente che la fornitura di dati personali da parte del consumatore possa essere qualificata come controprestazione non pecuniaria.
Un punto fermo però c’è: non è mai stato in discussione però i dati personali non costituiscono merce. Ciò è ribadito espressamente anche al considerando 24 della Direttiva. Tuttavia, come riportato in precedenza, sempre al considerando 24 della Direttiva, si richiede che nell’ambito del modello commerciale “fornitura verso dati” al consumatore siano garantiti rimedi contrattuali, allo stesso modo di quando viene corrisposto un prezzo, come a voler intendere che anche in questo caso si è in presenza di un contratto a prestazioni corrispettive. Inoltre, l’esclusione dell’applicazione del Capo I bis qualora il professionista raccolga i dati che siano strettamente necessari all’esecuzione della prestazione o che siano richiesti a norma di legge, sembrerebbe confermare che in tali casi i dati forniti non abbiano la natura di controprestazione, non apportando alcun vantaggio all’operatore economico.
L’eliminazione del termine controprestazione con riferimento ai dati dell’utente non sembra dunque essere sufficiente ad escludere definitivamente che la fornitura di dati personali da parte del consumatore non possa essere qualificata come controprestazione non pecuniaria anche in ragione del fatto che in assenza di una controprestazione il contratto concluso sarebbe allora da considerarsi a titolo gratuito, senonché la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione I del 10 gennaio 2020, n. 260, confermata dalla Sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 29/3/2021 n. 2631, ha sancito una volta per tutte l’assenza di gratuità di tale modello contrattuale.
La vicenda risale all’aprile del 2018, quando l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato un procedimento istruttorio nei confronti di Facebook Inc. e Facebook Ireland Limited per presunte pratiche commerciali scorrette, una qualificata ingannevole e un’altra ritenuta aggressiva.
Il procedimento si era concluso con un provvedimento che confermava l’esistenza
delle pratiche commerciali scorrette poste in essere dalle due società.
Ai nostri fini, è presa in considerazione una delle due pratiche commerciali, ovvero quella ritenuta ingannevole. La pratica consisteva nel fatto che l’utente che intendeva registrarsi al social network trovava nella homepage del sito la dicitura “(Facebook) è gratis e lo sarà per sempre”. L'informazione è stata ritenuta dall’AGCM non veritiera e fuorviante poiché la raccolta e lo sfruttamento dei dati degli utenti a fini remunerativi si configurava come contro-prestazione del servizio offerto dal social network, perché dotati di valore commerciale.
Si constatava poi che i ricavi provenienti dalla pubblicità on line, basata sulle informazioni raccolte attraverso la profilazione dei dati degli utenti, rappresentassero l'intero fatturato di Facebook Ireland Ltd. e il 98% del fatturato di Facebook Inc.
Contro il provvedimento è stato poi presentato ricorso da parte di Facebook Ireland, la quale ne ha chiesto l’annullamento adducendo il difetto assoluto di attribuzione dell’AGCM ratione materiae poiché le pratiche poste in essere non erano qualificabili come commerciali data la mancanza di un corrispettivo patrimoniale, ovvero dalla mancanza di un prezzo del servizio, e che la competenza fosse piuttosto dell’Autorità garante per la privacy. La società ricorrente, in particolare, riteneva che il social media Facebook integrasse un servizio gratuito e che al fine di realizzare una pratica commerciale sarebbe stato indispensabile che l’utente effettuasse un acquisto, e dunque un pagamento inteso quale controprestazione pecuniaria, da parte.
Le contestazioni dell’AGCM erano state ritenute del tutto infondate.
La corte non ha condiviso quanto sostenuto dalla parte ricorrente. Si è ritenuto, in particolare, che la sua tesi presupponesse che l'unica tutela del dato personale fosse quella rinvenibile nella sua accezione di diritto fondamentale dell'individuo, senza tenere conto delle potenzialità insite nello sfruttamento dei dati personali, che
possono altresì costituire un asset disponibile in senso negoziale, suscettibile di sfruttamento economico e, quindi, idoneo ad assurgere alla funzione di "controprestazione" in senso tecnico di un contratto.
La Corte ha rilevato la sussistenza di un campo di protezione del dato inteso come possibile oggetto di compravendita tra i soggetti interessati e gli operatori economici.
In una sentenza più recente pronunciata dal Tribunale di Varese145 riguardante il medesimo social network è stato confermato ulteriormente che i dati forniti rappresentano una controprestazione. La vicenda ha riguardato il ricorso presentato da un utente della piattaforma, il quale ha convenuto in giudizio il social media per aver posto in essere delle restrizioni all’account personale del ricorrente, impedendone l’accesso e l’operatività a seguito di una condotta ritenuta contraria alle regole di comportamento, gli standard della community, imposte dalla piattaforma. In tale occasione il giudice ha anzitutto qualificato il rapporto instaurato dalle parti, ovvero l’utente e il fornitore della piattaforma, come un contratto per adesione, in considerazione del fatto che per poter usufruire del servizio digitale l’utente deve accettare le condizioni contenute nel modulo online predisposte in modo unilaterale, a prestazioni corrispettive e a titolo oneroso nel quale l’utente riveste la qualifica di consumatore. Le condizioni d’uso della piattaforma (ora denominata Meta Platforms Ireland Limited) prevedono che non viene richiesto all'utente di pagare per poter utilizzare il servizio e che i dati personali forniti non saranno venduti ma verranno utilizzati per determinare quali inserzioni personalizzate mostrare agli utenti. Tali inserzioni riguardano prodotti e servizi di aziende e organizzazioni, le quali per tali inserzioni corrispondono un compenso alla piattaforma. I dati personali degli utenti costituiscono pertanto un mezzo per conseguire un profitto.
Il Tribunale, viste le condizioni contrattuali sancite dalla società convenute, ritiene che non possa essere messa in dubbio la corrispettività tra l’accesso al servizio digitale e la fornitura dei dati personali da parte dell’utente, così come il carattere patrimoniale della controprestazione dell'utente, poiché emerge chiaramente il vantaggio economico che il fornitore della piattaforma trae dall'utilizzo,
145 Tribunale Varese, Sez. I, Ord., 02/08/2022, n. 1181
autorizzato, che lo stesso può fare dei dati personali degli utenti, tanto che tale meccanismo, oltre che esposto nella parte iniziale delle condizioni d'uso, è richiamato altresì espressamente nella sezione in cui viene spiegato come vengono finanziati i servizi offerti dalla piattaforma.
Coerentemente a tale conclusione, già nel 2016 era stato affermato dalla Commissione europea che “i dati personali, le preferenze dei consumatori e altri contenuti generati dagli utenti hanno un valore economico de facto”146.
3.2.2. La qualificazione dei dati personali
Non sembrano esservi ostacoli nel definire la fornitura di dati personali quale contro prestazione non pecuniaria così come era stato fatto nella proposta della direttiva. Per inquadrare la fattispecie contrattuale che si realizza quando il consumatore fornisce dati personali in cambio del contenuto digitale o del servizio digitale per fini che vanno al di là della mera fornitura o del semplice assolvimento di obblighi di legge, è necessario comprendere se i dati personali, essendo dematerializzati possono formare oggetto di diritti e assumere una rilevanza socio economica tale da poter essere considerati beni in senso giuridico secondo quanto sancito dall'articolo 810 del codice civile e se astrattamente dunque si realizzi uno scambio di beni. La Direttiva 2019/770 chiarisce anzitutto cosa non sono i dati personali.
Al considerando 24, infatti, dopo aver affermato che la protezione dei dati personali è un diritto fondamentale, viene sancito che i dati personali non possono essere considerati una merce. tuttavia è innegabile il riconoscimento del loro potenziale valore economico al punto che è stato utilizzato e riattualizzato lo slogan coniato nel 2006 “data is the new oil”147, seppur tale paragone non sia ampiamente condivisibile poiché il dato personale, contrariamente al petrolio, non risulta essere una risorsa “consumabile”, e dunque esauribile, posto che gli stessi dati personali
146 Documento di lavoro dei servizi della commissione. Orientamento per l’attuazione/applicazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali, Bruxelles 25.05.2016, SWD(2016) 163 final
147 Xxxxx Xxxxx, "Tech giants may be huge, but nothing matches big data". The Guardian. XXXX 0000-0000
possono essere forniti in più occasioni senza che ciò comporti una loro diminuzione o perdita di valore.
Una qualificazione giuridica dei dati personali è stata effettuata nel 2018, quando la Cassazione ha affermato in una sentenza148, riguardante un ricorso dell’Autorità Garante avverso una pronuncia del tribunale di Arezzo in tema di legittimità del trattamento dei dati personali effettuato per scopi promozionali, che i dati personali “costituiscono beni attinenti alla persona”.
L’anno successivo sempre la Corte di Cassazione ha poi dichiarato149 che “il dato è quindi un bene giuridico di secondo livello, un “contenitore vuoto” all’interno del quale si pone uno specifico contenuto che – se è personale – è relativo al patrimonio informativo dell’interessato”.
I dati personali sono dunque da considerarsi beni in senso giuridico, caratterizzati dalla non rivalità, non deteriorabilità e rinnovabilità.150
Si tratta di un bene in senso giuridico e non in senso economico e non può essere considerato un “prodotto”, o una merce come già chiarito dalla direttiva 2019/770. Inoltre seppur bene in senso giuridico, il dato personale non potrebbe essere considerato una cosa, la quale, oltre ad essere percepibile, può preesistere al soggetto che ne è titolare, e astrattamente non appartenere ad alcun soggetto, mentre il dato personale esiste solo in relazione al suo titolare. Inoltre, seppur qualificabili come beni, le linee guida sul trattamento dei dati personali151, hanno chiarito che non possono essere considerati un bene commerciabile. Tuttavia, nella sentenza citata precedentemente del Tribunale di Varese, la quale è però più recente rispetto a tali linee guida, il giudice ha qualificato i dati personali come beni che invece possono essere sfruttati in modo commerciale e che pertanto sono beni suscettibili di una valutazione economica e richiama alcune sentenze che si sono espresse in modo analogo152 nonché la pronuncia sopra menzionata del Consiglio di Stato.
148 Cassazione civile, sez. I, Sentenza 02/07/2018 n° 17278
149 Cassazione civile sez. III, 29/10/2019 n.27613
150 A.M. XXXXXXX, X. STAZI, La circolazione dei dati. Titolarità, strumenti negoziali, diritti e tutele, Pacini Editore, 2020, pag.89
151 Linea guida 2/2019 sul trattamento di dati personali ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), del regolamento generale sulla protezione dei dati nel contesto della fornitura di servizi online agli interessati
152 Tribunale di Vicenza del 19 febbraio 2022, Tribunale di Bologna del 10 marzo 2021, Corte d'Appello di L'Aquila del 18 ottobre 2021
Tale riconoscimento dello sfruttamento commerciale dei dati personali è in contrasto con quanto stabilito in una dichiarazione153 dell’European Data Protection Board (Comitato europeo per la protezione dei dati personali) ovvero che l’idea di legittimare il commercio dei dati personali è incompatibile con il carattere personale del diritto alla protezione dei dati personali. Ciononostante, di fatto, tale commercializzazione è ciò che poi si realizza nel caso concreto.
Si è affermato anche in dottrina che i dati personali possono essere qualificati come beni giuridici ex articolo 810 c.c. in quanto sono suscettibili di formare oggetto di diritti poiché possono essere ceduti, trasferiti, scambiati e dare vita a rapporti negoziali che possono fare insorgere obblighi a contenuto patrimoniale. Si è osservato che il soggetto che conferisce i propri dati, o meglio ne autorizza il trattamento, non rinuncia ai propri diritti della personalità, analogamente a quanto avviene nel caso in cui si autorizzi alla riproduzione della propria immagine o all’utilizzo del proprio nome154. Anche con espresso riferimento ai dati forniti dal consumatore per la fruizione di servizi digitali è stata riconosciuta la qualificazione di beni in quanto costituiscono informazioni attinenti alla persona155. Le informazioni, infatti, sono state riconosciute come un bene patrimonialmente rilevante, riconducibile alla categoria dei beni immateriali156
È da chiedersi in quale fattispecie contrattuale ricada la fornitura di un contenuto o di un servizio digitale verso i dati personali del consumatore. Sicuramente non è integrato il contratto di vendita poiché il consumatore non corrisponde un prezzo e la fornitura di dati personali seppur qualificabile come controprestazione non è una prestazione pecuniaria, ma neppure è rinvenibile il contratto di permuta. Nei paragrafi precedenti è stato così classificato il contratto nel quale la controprestazione del consumatore si sostanzia nella corresponsione di criptovalute, anch'esse al pari dei dati personali qualificabili come beni giuridici,
153 Dichiarazione 05/2021 relativa all’atto sulla governance dei dati alla luce degli sviluppi
legislativi Adottata il 19 maggio 202
154 ZENO-ZENCOVICH V., Una lettura comparatistica della L. n. 675/96 sul trattamento dei dati personali, Rivista trimestrale di diritto e di procedura civile, 174, 1998
155 X. XXXXX, Il consenso al trattamento dei dati personali come controprestazione, in Rivista di diritto civile 6/2022, pag. 1064
156 X.XXXXXXXXXXX, L’informazione come bene giuridico in Rassegna di diritto civile
2/1990, pag. 332
poiché, però, l'operatore economico ne diventa titolare. Nel caso dei dati personali avviene un precario trasferimento della loro titolarità al professionista, in quanto il consenso al trattamento dei dati può essere sempre revocato ad nutum dal suo titolare. Come affermato nel capitolo precedente le varie condizioni contrattuali presenti nelle piattaforme che forniscono servizi digitali classificano tale contratto come licenza d'uso. La quale, essendo un contratto non disciplinato all'interno del codice civile, è stata a sua volta ricondotta alla compravendita, nella quale non viene trasferita la proprietà ma “altri diritti” ex articolo 1470 c.c., e da una parte della dottrina anche al contratto di locazione.
3.3 Il consenso al trattamento dei dati personali e la sua revoca
Qualora la controprestazione consista nella fornitura dei dati personali, il consumatore dovrà espressamente prestare il proprio consenso affinché i dati vengano raccolti per essere trattati per fini ulteriori rispetto a quelli necessari.
Il consenso diviene un elemento essenziale per la conclusione del contratto il quale
non può perfezionarsi se non viene rilasciato dall’utente.
Solitamente i dati non vengono conservati dall’operatore economico ma vengono ceduti, stavolta dietro pagamento, a soggetti terzi157 i quali, se non vorranno cederli a loro volta, li utilizzeranno per realizzarne una profilazione, ovvero trattamento automatizzato che consente di valutare aspetti personali riguardanti le persone fisiche, in modo da poter esaminare o presumere elementi relativi al rendimento professionale, alla situazione economica, alla salute, le preferenze o gli interessi personali, l'affidabilità o il comportamento, l'ubicazione o gli spostamenti dell'interessato158. Nel caso in cui non voglia corrispondere il prezzo, il consumatore, acconsentendo al trattamento dei propri dati personali, paga il costo di questa invasione nella propria sfera personale.
Ai sensi del considerando 32 del regolamento 2016/679 qualora il trattamento abbia più finalità, il consenso dell’interessato deve essere rilasciato per ciascuna di queste. Qualora dunque i dati personali richiesti dall’utente vengano raccolti dall’operatore economico per scopi promozionali, finalità di marketing o per realizzare delle
157 Ibidem pag. 1056
158 Considerando 71 del GDPR