La contrattazione integrativa parte quarta
La contrattazione integrativa parte quarta
(aggiornata alle ultime disposizioni)
Il mancato accordo
Può darsi che le parti non riescano a trovare un’intesa, su questioni di principio (per esempio, le materie di contrattazione) o di fatto (singole clausole, la ripartizione dei compensi fra le diverse aree di attività). In passato, questa situazione poneva sotto pressione unicamente l’amministrazione, che non disponeva di strumenti per sbloccare l’eventuale stallo negoziale e non poteva neppure corrispondere i compensi ai dipendenti senza piegarsi alle richieste della controparte.
Oggi la situazione è mutata, per effetto del già più volte citato art. 40 comma 3‐ter del DLgs. 165/01, che dice:
“Al fine di assicurare la continuità e il migliore svolgimento della funzione pubblica, qualora non si raggiunga l'accordo per la stipulazione di un contratto collettivo integrativo, l'amministrazione interessata può provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo, fino alla successiva sottoscrizione.”
In pratica – in caso di mancato accordo – il dirigente può adottare (anche sulle materie oggetto di contrattazione) misure unilaterali, sia pure in via temporanea e fino al successivo accordo. Inutile dire che, a quel punto, il successivo accordo può anche non esserci, visto che le misure restano comunque in vigore senza una scadenza predeterminata. Si è insomma invertito il rapporto di forza fra le due parti del tavolo: se prima era l’amministrazione che era di fatto obbligata a pagare quasi qualunque prezzo per poter concludere, oggi questa esigenza non esiste più. E’ invece la parte sindacale ad essere consapevole che tirare troppo la corda può offrire alla controparte lo strumento per deliberare in via unilaterale.
Ovviamente, si tratta di una di quelle clausole che, nell’ordinamento, vengono dette “norme di chiusura”: servono, cioè, ad evitare situazioni in cui il potere pubblico sia messo con le spalle al muro senza legittime vie d’uscita. Come tale, va usata con parsimonia ed a ragion veduta.
Si vuol dire che la trattativa va impostata e condotta per arrivare ad un accordo e che i comportamenti della parte pubblica devono essere improntati alla massima lealtà ed apertura: ma anche che questo non comporta l’obbligo di cedere ad ogni costo, soprattutto sulle questioni di legittimità o di efficacia / efficienza della scuola o di interessi dell’utenza. Insomma, è come il pulsante rosso di emergenza: esiste e deve essere sempre pronto a funzionare, ma in via ordinaria non va utilizzato.
E’ appena il caso di ricordare che, sulle materie che un tempo erano oggetto di contrattazione ed oggi non lo sono più, il dirigente può legittimamente agire in via unilaterale fin da subito, fatta salva la sola informazione alla controparte.
E’ ovvio che la parte sindacale non gradisca queste novità, che le hanno tolto molto del potere negoziale di cui disponeva fino a due anni fa: e che quindi ventili sempre un ricorso per comportamento antisindacale, qualora il dirigente ne facesse uso. E’ importante allora vedere a quali condizioni e tramite quali passaggi è consentito utilizzare la previsione del comma 3‐ter.
La prima questione da sciogliere è: quando si può dire che l’accordo è mancato? Il DLgs. 150/09 non fissa un termine temporale, demandando la questione alla contrattazione collettiva nazionale (art. 40 comma 3‐bis). Ma il congelamento fino al 2014 di quest’ultima ha lasciato in sospeso la risposta.
Bisogna allora leggere il testo del contratto vigente per cercare un’indicazione che sia possibile utilizzare. L’articolo 6 ne offre ben due, che si possono considerare, rispettivamente, come il termine minimo e quello massimo per attuare la previsione del comma 3‐ter. Esse suonano come segue:
‐ “decorsi venti giorni dall'inizio effettivo delle trattative, le parti riassumono le rispettive prerogative e libertà di iniziativa.” (art. 6 comma 5). La formula utilizzata è esattamente la stessa contenuta nel comma 3‐bis dell’art. 40 citato e questo autorizza a considerare le due previsioni strettamente collegate.
‐ “Se le Parti non giungono alla sottoscrizione del contratto entro il successivo 30 novembre, le questioni controverse potranno dalle Parti medesime essere sottoposte alla commissione di cui all'art. 4, comma 4, lettera d), che fornirà la propria assistenza (art. 6 comma 2). In questo caso il nesso è meno diretto: ma è intuitivo che il fatto che le parti si rivolgano ad un terzo con funzioni sostanzialmente di mediatore certifica in qualche modo il dato che non hanno raggiunto un accordo fra loro.
Da questa lettura sistematica deriva la conclusione che non si può attivare il comma 3‐ter prima che siano trascorsi venti giorni dall’inizio delle trattative e che comunque non è ragionevole andare oltre il 30 novembre (posto che le trattative siano iniziate nei tempi previsti).
Va detto che quello che abbiamo chiamato, per convenzione, “termine minimo” è anche quello più corretto, data la quasi coincidenza testuale fra l’art. 6.5 del CCNL e l’art. 40.3‐bis del DLgs. 165/01. In tal senso si è anche espresso, solo qualche settimana fa, il tribunale di Siracusa, che ha ritenuto “sufficiente” la previsione contrattuale – anche senza la clausola legislativa – per legittimare l’azione del dirigente, una volta decorsi venti giorni dall’inizio delle trattative.
Se abbiamo inteso indicare anche il cosiddetto “termine massimo” è stato solo per offrire alla valutazione dei dirigenti un margine più ampio di valutazione e di scelta.
Per “inizio delle trattative” è prudente considerare il momento in cui il dirigente ha formalizzato la sua proposta: se non vi fosse un testo scritto di cui discutere, infatti, su che cosa potrebbe dirsi che è mancato l’accordo? Dunque, assumendo che i tempi teorici siano stati rispettati, diventa possibile assumere iniziative unilaterali intorno al 20 ottobre (15 settembre: apertura; dieci giorni lavorativi per la presentazione della proposta = 27‐28 settembre; venti giorni di trattative e si va al 17‐18 ottobre). Va da sé che – come abbiamo già detto – non si tratta di termini perentori: ma gli intervalli vanno rispettati, data la delicatezza della materia.
Quanto al 30 novembre, essendo tale data indicata esplicitamente nel contratto, non vi sono calcoli particolari da fare. Una sola avvertenza: se, per qualunque motivo, le trattative sono iniziate con sensibile ritardo (oltre un mese), può darsi che il termine dei venti giorni dal loro inizio formale cada dopo il 30 novembre. In questo caso, è ovvio che bisognerà rispettare questo secondo termine.
Se attenersi al termine più breve (intorno al 20 ottobre) o a quello più lungo (il 30 novembre) spetta al dirigente deciderlo, fermo restando che può anche andare oltre se lo ritiene opportuno. A titolo di esempio, si suggerisce di valutare i motivi del mancato accordo: se si tratta di questioni di principio, che non hanno consentito neppure di entrare nel merito della trattativa, è probabilmente inutile attendere troppo. Se invece l’intoppo è dato da singole clausole, sulle quali è ancora possibile lavorare, meglio prendersi il tempo necessario.
Come gestire il “mancato accordo”, una volta che si sia venuti alla conclusione che occorre attivare le procedure di cui al comma 3‐ter? Ecco una serie di suggerimenti passo passo:
‐ predisporre il testo dell’atto unilaterale che si pensa di adottare. Tale testo non dovrà contenere riferimenti alle relazioni sindacali, che non possono essere imposte unilateralmente. Ricordarsi anche che l’altra condizione di legge per l’adozione delle misure unilaterali è la
finalità di garantire “la continuità ed il migliore svolgimento della funzione pubblica”. Quindi l’atto unilaterale deve contenere solo clausole relative al funzionamento della scuola e non a quello dei rapporti con il sindacato;
‐ il testo dovrà essere quanto più vicino possibile alla proposta presentata inizialmente dal dirigente: quello è infatti il testo su cui si è registrato il mancato accordo. Sarebbe paradossale, e sospetto, che dopo aver presentato un testo ed aver discusso su quello, al momento di decidere se ne adottasse uno diverso (su cui magari il sindacato potrebbe dire che sarebbe stato d’accordo). Se le trattative svolte nel frattempo avessero comunque permesso di raggiungere accordi parziali su alcuni punti, è sicuramente da consigliare di recepirli nell’atto unilaterale;
‐ convocare le parti sindacali per una sessione di informazione preventiva, nella quale si annuncerà l’intenzione di adottare l’atto e se ne consegnerà il testo. Questo passaggio è importante, per prevenire eventuali accuse di comportamento antisindacale. Ogni volta che la pubblica amministrazione esercita un potere discrezionale, come in questo caso, il principio di trasparenza e quello di partecipazione al procedimento vanno scrupolosamente osservati;
‐ adottare formalmente l’atto, con determina dirigenziale. Nelle premesse di quest’ultima andranno inserite un certo numero di formule, idonee a sorreggerne la legittimità. Per un suggerimento di massima, si rinvia all’allegato;
‐ inviare il testo dell’atto ai revisori dei conti per il visto di legittimità, unitamente alle due relazioni (che dovranno essere redatte in modo da tener conto che non si tratta di un accordo, ma di un atto unilaterale dell’amministrazione). Fino al visto positivo o al termine dei trenta giorni senza rilievi (vedi sopra), non dare attuazione a quanto stabilito;
‐ una volta acquisito il visto di legittimità o trascorso l’intervallo di tempo, comunicare alle parti sindacali che l’atto è produttivo di effetti;
‐ non inviare nulla all’ARAN ed al CNEL, cui bisogna inviare solo i contratti sottoscritti e non gli atti unilaterali;
‐ continuare a convocare regolarmente le parti per proseguire il negoziato, visto che la norma prevede che si tratti di decisioni temporaneamente esecutive, fino alla sottoscrizione di un accordo. Se, una volta emanato l’atto, non si convocassero più le parti, questa sarebbe la prova che non si voleva raggiungere un’intesa, ma solo esercitare un atto di forza;
‐ se le parti non si presentano (o si presentano solo per fare dichiarazioni di principio contrarie), non entrare in polemica e riconvocarle di lì a un mese. Deve cioè risultare evidente, anche nel caso di un eventuale contenzioso, che non è il dirigente che non vuole un accordo. Ovviamente, si può anche trovare il modo di far loro presente – senza toni ultimativi – che il decorrere del tempo lavora contro di loro, in quanto – una volta concluso l’anno – le determinazioni “provvisorie” diventano di fatto definitive;
‐ se si arriva alla fine dell’anno senza accordo, i compensi possono essere regolarmente liquidati sulla base dell’atto unilaterale, che ha pieno valore giuridico;
‐ se negli incontri successivi, si profila la possibilità di un accordo, valutare seriamente eventuali concessioni (non però sulle questioni fondamentali) che possano favorirlo. Un accordo di compromesso, che non intacchi questioni di legittimità o di sostanza, è sempre meglio di un contenzioso o comunque di un clima teso nei rapporti con i sindacati;
‐ se l’accordo viene raggiunto, ricordarsi di inserirvi una clausola transitoria che faccia salvi gli effetti giuridici ed economici già maturati per effetto dell’atto unilaterale. Sarebbe molto imbarazzante – ed anche fonte di responsabilità amministrativa – omettere questo passaggio;
‐ svolgere tutti gli altri adempimenti previsti in caso d’accordo, a cominciare dalla richiesta di un nuovo visto di legittimità ai revisori dei conti sul testo dell’intesa.
[fine – le puntate precedenti sono state pubblicate il 30 settembre, il 4 ed il 7 ottobre]