Contract
LIMITI DEL PACTA SUNT SERVANDA, BUONA FEDE EQUITATIVA E DIMENSIONE SOCIALE DEL CONTRATTO LIMITES DO PACTA SUNT SERVANDA, BOA FÉ EQUITATIVA E A DIMENSÃO SOCIAL DO CONTRATO
LIMITS OF PACTA SUNT SERVANDA, GOOD FAITH AND THE SOCIAL DIMENSION OF THE CONTRACT
Xxxxxx Nicolussi1
RIASSUNTO
Il contratto come ogni atto dell’uomo nasce storicamente condizionato, come ogni testo esso si forma dentro un certo contesto. Inoltre, il contratto è bensì applicazione del principio di autonomia, e quindi esplicazione del potere/libertà di darsi delle regole e così vincolarsi alla parola data: pacta sunt servanda; tuttavia l’autonomia in questo ambito è da intendere nel senso di un’autonomia relazionale in cui svolgono il loro ruolo almeno due altri principi fondamentali di carattere etico-giuridico. Questi principi sono la buona fede e il Sinalagma. Nell'articolo, tali principi sono analizzati soprattutto per quanto riguarda l'equilibrio o proporzionalità e la questione delle modifiche delle circostanze del contratto. Viene definita la tradizionale differenza tra buona fede ed equità e viene esaminata la contaminazione tra buona fede ed equità: la buona fede equitativa. La buona fede equitativa in giurisprudenza è anche analizzata in modo proficuo e l'articolo si concentra sul rapporto tra diritto, buona fede ed equità di fronte alla sopravvenienza tipica e alla sopravvenienza atipica.
Paroles chiave: Contratto - Autonomia - Buona fede – Sinalagma – Equità.
RESUMO
O contrato, como todo ato humano, nasce historicamente condicionado, como todo texto se forma em um determinado contexto. Além disso, o contrato é antes a aplicação do princípio da autonomia e, portanto, a explicação do poder/liberdade de se impor regras e, portanto, de estar vinculado à palavra: pacta sunt servanda; no entanto, a autonomia nesta área deve ser entendida no sentido de uma autonomia relacional em que pelo menos dois outros princípios fundamentais de natureza ético-jurídica desempenham o seu
1 Laureato in giurisprudenza presso l'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha poi conseguito il dottorato di ricerca in diritto civile. Ha svolto attività di studi e ricerca all'estero, soprattutto in Germania. Dopo essere stato ricercatore nel settore scientifico-disciplinare N01X - Diritto privato presso la Facoltà di giurisprudenza dell'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, è divenuto professore di I fascia nello stesso settore scientifico-disciplinare. Attualmente insegna diritto privato comparato e diritto civile della famiglia e dei minori nella Facoltà di giurisprudenza dell'Università Cattolica di Milano dove in precedenza ha anche insegnato Istituzioni di diritto privato e Diritto civile. Affiliazione: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. E-mail: xxxxxx.xxxxxxxxx@xxxxxxx.xx
papel. Esses princípios são a boa fé e o sinalagma. No artigo, estes princípios são analisados sobretudo no que diz respeito ao equilíbrio ou proporcionalidade e à questão das alterações nas circunstâncias do contrato. A diferença tradicional entre boa fé e justiça é definida e a contaminação entre boa fé e justiça é examinada: a boa-fé equitativa. A boa-fé equitativa na jurisprudência também é analisada com proveito e o artigo enfoca a relação entre a lei, a boa-fé e a justiça em face da superveniência típica e da superveniência atípica.
Palavras-chave: Contrato - Autonomia - Boa fé - Sinalagma - Equidade.
ABSTRACT
The contract, like every human act, is born historically conditioned, as every text is formed in a certain context. Moreover, the contract is rather the application of the principle of autonomy and thus the explanation of the power/freedom to impose rules and thus to be bound by the word: pacta sunt servanda; however, autonomy in this area must be understood in the sense of a relational autonomy in which at least two other fundamental principles of an ethical-legal nature play their role. These principles are good faith and synallagma. In the article, these principles are analyzed mainly with regard to balance or proportionality and the issue of changes in the circumstances of the contract. The traditional difference between good faith and fairness is defined and the contamination between good faith and fairness is examined: equitable good faith. Equitable good faith in jurisprudence is also profitably analyzed and the article focuses on the relationship between law, good faith and justice in the face of typical supervening and atypical supervening. Keywords: Contract - Autonomy - Good faith - Sinalagma - Equity.
1. PRINCIPI ETICO-GIURIDICI DEL CONTRATTO. AUTORESPONSABILITÀ, BUONAFEDE ED EQUITÀ
Il contratto come ogni atto dell’uomo nasce storicamente condizionato, come ogni testo esso si forma dentro un certo contesto. Inoltre, il contratto è bensì applicazione del principio di autonomia, e quindi esplicazione del potere/libertà di darsi delle regole e così vincolarsi alla parola data: pacta sunt servanda; tuttavia l’autonomia in questo ambito è da intendere nel senso di un’autonomia relazionale in cui svolgono il loro ruolo almeno due altri principi fondamentali di carattere etico-giuridico.
Un principio è la buona fede legata a una fides, un affidamento, o più precisamente un poter fare affidamento2, che a sua volta postula un quadro di valori a cui riferirsi: fidarsi nella lealtà di un altro
2 Questa precisazione deriva da una osservazione di A. Albanese, Responsabilità precontrattuale, in Le parole del diritto, Scritti in onore di X. Xxxxxxxxxx, Napoli 2018, p. 1715 secondo il quale l’obbligo di buona fede ex 1337 c.c. non è sempre funzionale a correggere un erroneo affidamento, ma a impedire che questo sorga. Ora, nelle trattative la tutela contro l’ingiustificato recesso è invero correlata all’affidamento, non a impedire che sorga, altrimenti non si vede la ragione per la quale la controparte del recedente venga tutelata. È anche vero però che non si tratta necessariamente di sindacare se quell’affidamento fosse imprudente avuto riguardo ad esempio alla scarsa affidabilità della controparte.
presuppone che entro certi limiti vi sia un codice comune (sociale) di comportamento a cui poter fare appello. Il secondo è il principio sinallagmatico che fin da Xxxxxxxxxx ispira la giustizia commutativa e che nella cultura europeo continentale è alle origini dell’idea di causa mentre nella cultura inglese ha ispirato uno dei pilastri della doctrine of consideration. Questo principio, però, non può scalzare il principio di autonomia e pertanto in un’economia di mercato non ha cittadinanza la regola del giusto prezzo, onde nella genesi del contratto lo scambio è rimesso alle parti, salvo risulti non credibile o inaccettabilmente ingiusto come nei casi di lesione enorme o usura.
Tuttavia, un controllo sull’equilibrio o proporzione tra diritti e obblighi delle parti non è precluso nell’ambito di quella che si suole definire parte normativa del contratto, e nemmeno lo è nell’esecuzione del contratto quando si pone il tema dell’esercizio dei diritti contrattuali.
Nell’esecuzione del contratto che si svolge nel tempo, vi è poi il problema del mutamento delle circostanze (change of circumstances), in cui il contratto è stato concepito, quale fattore di perturbazione dell’equilibrio economico fissato autonomamente dalle parti. Se la disciplina del contratto – come accade nel diritto italiano - non assolutizza il principio di auto-responsabilità (l'onere di prevedere e regolare eventi successivi alla stipula) vi è uno spazio anche per un controllo del sinallagma in fieri. Certo, il problema della allocazione dei rischi relativi alle sopravvenienze contrattuali può in primo luogo essere rimesso secondo ragionevolezza all’autoresponsabilità nella misura in cui una parte pretenda di scaricare rischi sulla controparte che essa stessa avrebbe potuto controllare meglio dell’altra oppure rischi che, in considerazione dello stesso prezzo richiesto, potrebbero essere ritenuti dalla parte medesima assunti a proprio carico3.
Tuttavia, se quest’ultimo esempio mostra che la questione delle lacune che emergono dopo la conclusione del contratto deve essere risolta in modo coerente e in conformità con i termini del contratto, ci sono anche regole che la tradizione giuridica ha sviluppato da tempo per colmare delle lacune (sopravvenienze tipiche). Di qui il problema della misura dell’autoresponsabilità: in che misura le parti hanno l'onere di prevedere e contrarre i rischi di eventuali contingenze e in che misura invece ha senso una regola integrativa ed eteronoma di allocazione dei rischi non regolamentati.
In definitiva, il pacta sunt servanda deve fare i conti non solo con l’interpretazione del contratto per stabilirne il contenuto, ma anche con l’integrazione, perché il mutamento delle circostanza può evidenziare lacune col conseguente problema della loro colmatura. Nel diritto continentale, peraltro, talune circostanze sopravvenute, come l’impossibilità e l’eccessiva onerosità sopravvenuta, sono regolate direttamente dalla legge e quindi possono considerarsi sopravvenienze tipiche; ne deriva che una eventuale clausola pattizia
La buona fede, infatti, presidia proprio la possibilità di fare affidamento responsabilizzando chi si comporti scorrettamente
3 L’autoresponsabilità viene indicata come un limite all’esercizio di pretese quando chi le fa valere è a propria volta in qualche modo responsabile. Si pensi alla regola di mitigazione del risarcimento per l’inadempimento (1227, co.1, c.c.) e per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare (1227, co.2, c.c.).
può operare solo in funzione di deroga alla legge. Quanto invece alle sopravvenienze atipiche, non disciplinate direttamente dalla legge, esse sono tendenzialmente commesse all’autonomia e a due concetti elastici di cui il sistema è tradizionalmente dotato: la clausola generale della buona fede e l’equità.
2. CENNI SULLA DIFFERENZA TRADIZIONALE TRA BUONA FEDE ED EQUITÀ
La differenza tra buona fede ed equità corre sul binario della distinzione tra generale e singolare e tra parametri di condotta e parametri di valutazione dell’equilibrio contrattuale. In quanto clausola generale, la buona fede autorizza il giudice, impartendogli in pari tempo una direttiva, a formare da sé la regola di decisione di una questione di responsabilità precontrattuale o contrattuale traendola da standard extrasistematici di valutazione dei comportamenti (regola per il caso concreto, ma, appunto in quanto regola, bisognosa di giustificazione mediante verifica di universalizzabilità). Per contro, l’equità non individua parametri per la formazione giudiziale di regole di decisione, se non genericamente quello di un equilibrio o proporzione fra prestazioni e interessi delle parti: essa è un criterio di giudizio rapportato a circostanze di fatto irriducibili a tipologie generali, delle quali tuttavia il giudice è autorizzato a tenere conto ai fini dell’integrazione delle lacune del singolo contratto secondo esigenze di giustizia del caso concreto4. L’equità in questo ambito ricorda l’epieikeia aristotelica che manca di quella funzione generale propria dell’aequitas romana risolvendosi, secondo la formula comune, in “giustizia del caso concreto”, e non tanto come principio a cui l’ordinamento deve ispirarsi. In altre parole, l’equità «investe il giudice di poteri integrativi del regolamento negoziale, indipendentemente da apprezzamenti della condotta delle parti»5. Essa non offre un parametro di valutazione del comportamento delle parti, ma autorizza a un giudizio di bilanciamento degli interessi in gioco nel contratto avente come funzione il risultato di una regola equa ed equilibrata quale integrazione di un regolamento che si è rivelato lacunoso.
Diversamente dal codice civile del 1865, il codice civile italiano del 1942 tiene distinte le funzioni – e correlativamente i concetti - della buona fede e dell’equità: «l’una è un criterio di valutazione del comportamento delle parti nella fase di formazione del contratto e nella fase esecutiva; l’altra è un criterio di bilanciamento degli interessi applicabile come mezzo di ricostruzione in via ermeneutica del significato di un contratto a titolo oneroso quando l’applicazione dei canoni di interpretazione dettati dagli artt. 1362 ss.
c.c. sia fallita (art. 1371: c.d. equità interpretativa) oppure come fonte di integrazione del contratto quando il testo approvato dalle parti presenti punti oscuri non esplicabili con i mezzi interpretativi o lacune non
4 Xxxxxxx, Spunti per una teoria delle clausole generali, Xxxxxx e teoria giuridica, Obbligazione e negozio, Scritti I (a cura di X. Xxxxxxxxxx – A. Albanese – A. Nicolussi), Milano 2011, cit., 172; X. Xxxxxx, Le fonti di integrazione del contratto, Milano 1969, p. 246
5 Mengoni, Problemi di integrazione della disciplina dei «contratti del consumatore», Scritti I, p. 348.
colmabili da norme di diritto positivo o dagli usi (art. 1374)»6. Come è stato detto in modo perspicuo, «l’equità (art. 1374) e la buona fede (art. 1375) costituiscono le due diverse figure attraverso le quali l’ordinamento pattizio si autointegra, così come l’ordinamento legale si autointegra mediante l’analogia»7. Naturalmente il termine autointegrazione va inteso nel senso di una integrazione giudiziale delle lacune contrattuali, ma rispettosa della logica del contratto in questione. Più precisamente, le regole generate dall’equità saranno
«funzione, per un verso, della logica dell’accordo pattizio che integreranno e, per l’altro, dell’esigenza che sia equilibratamente ripartito su entrambi i contraenti il costo della comune imprevidenza, cioè di un’imprevidenza imputabile a pari titolo ad entrambe le parti»8. Del resto, l’equità esprime senz’altro un’idea o modello ideale di contratto in senso oggettivo che rimane sullo sfondo e quindi opera sussidiariamente rispetto alle manifestazioni concrete dei singoli contratti, ossia un modello disponibile per quando il contratto soggettivamente posto in essere riveli un’oscurità o un’incompletezza. Anche l’etimologia offre qualche spunto in tal senso, se è vero, da una parte, che l’epieikeia si traduce nel latino convenientia donde anche l’italiano convenire e l’inglese covenant, e, dall’altra, che nell’etimologia di aequitas c’è l’adeguatezza9, che implica un’idea di misura e proporzione.
Ferme queste differenze di fondo tra buona fede ed equità, non mancano alcuni elementi di contatto che però sarebbe infondato storicamente ricavare dal passo di Trefonino secondo cui bona fides, qui in contractibus exigitur, aequitatem summam desiderat. In ogni caso, il contatto c’è, in quanto «il bonus vir che è il referente etico della buona fede, ha un habitus non solo di onestà e di lealtà, ma anche di equanimità». Questo elemento di contatto nella giurisprudenza italiana emerge nell’idea per cui in base alla buona fede
«è dovere di ciascuna parte assicurare l’utilità dell’altra nella misura in cui ciò non comporti un apprezzabile sacrificio a proprio carico»10. Tuttavia, questo riferimento al comportamento equanime rimane una questione inerente al giudizio di buona fede che non si trasforma in giudizio di equità. Vale in altri termini per una questione di responsabilità, non per valutare della validità di un contratto o di una clausola. Del resto, la distinzione tra regole di validità e regole di correttezza è stata riaffermata anche da chi ha ritenuto di individuare un fondamento equitativo delle norme ispirate alla tutela dell’affidamento11.
Nondimeno la buona fede come criterio di responsabilità può giocare – entro certi limiti - un ruolo significativo anche nell’ambito di contratti sconvenienti in conseguenza del comportamento scorretto di una parte che abbia turbato significativamente la libertà di consenso dell’altro contraente. Se si accerta che la controparte, in assenza di tale turbativa, non avrebbe concluso il contratto o l’avrebbe concluso a condizioni
6 Mengoni, Problemi di integrazione della disciplina dei «contratti del consumatore», Scritti I, p. 347.
7 A. Belfiore, La presupposizione, in Trattato di diritto privato (a cura di Xxxxxxx), Il contratto in generale, IX, t. IV, Torino 2000, p. 15.
8 Belfiore, La presupposizione, cit., p. 20.
9 Talamanca, L’aequitas nelle costituzioni imperiali del periodo epiclassico, «Aequitas», in X. Xxxxxxxx (a cura di),
«Aequitas», giornate in memoria di Xxxxx Xxxxx, Atti del Convegno Trento, 11-12 aprile 0000, Xxxxxx 2006, p. 58.
10 Cass. 18 luglio 1989, n.3362, in Banca borsa e titoli di credito, 1989, II, p. 537 ss., (p.544).
00 X. Xxxxxxxxx, Xxxxxx, volontà e affidamento nel negozio giuridico, Padova 1990, 2 ed., p. 104 ss.
differenti, la responsabilità precontrattuale può rappresentare una tutela con effetti pratici non molto distanti da quelli previsti per il dolo determinante o incidente. Infatti, la responsabilità genera un debito risarcitorio che può di fatto operare una riduzione per compensazione della controprestazione o addirittura compensarla in toto nel caso in cui la turbativa sia stata determinante dello stesso consenso12.
3. CONTAMINAZIONE TRA BUONA FEDE ED EQUITÀ: BUONA FEDE EQUITATIVA
La purezza della distinzione tra buona fede ed equità deve però fare i conti con la forza culturale di altri modelli e soprattutto di quello tedesco.
Nel diritto tedesco, infatti, si riscontra una contaminazione tra buona fede ed equità, anche quoad effectuum. Il principio di Treu und Glauben ha una potenzialità semantica più ampia della bona fides romana che fa della buona fede una formula in grado di supplire alla mancanza del riferimento all’equità contenuto nell’art. 1374 c.c., ma che non ha un corrispondente nel BGB. Infatti, il principio di Xxxx und Glauben, oltre che fornire un criterio di valutazione di comportamento e quindi esprimere una norma di responsabilità, è visto altresì come una Rezeptionsformel für aequitas o una direttiva per un equo e giusto bilanciamento degli interessi13.
Ora, si potrà pure osservare che tale concezione della buona fede non corrisponde alla tradizione del diritto italiano, ma, considerata l’influenza del diritto tedesco in Europa – sia direttamente sia attraverso l’Unione europea -, non sorprende che la contaminatio abbia coinvolto anche il diritto italiano. Del resto, questa contaminatio si presenta in talune esperienze alla stregua di un fenomeno generale di reductio ad unum dei criteri metapositivi e quindi non solo della buona fede e correttezza, ma anche della ragionevolezza e dell’equità come sembra essere avvenuto nel codice civile olandese, all’art. 2, co. 1, sotto la formula ragionevolezza (o correttezza?) ed equità (redelijkheit en billijkheid)14 previsto quale criterio informatore del comportamento del debitore e del creditore (in corrispondenza a ciò che nel codice civile italiano invece è descritto col termine correttezza).
Sul piano legislativo, in Italia l’esempio più significativo della contaminatio è la disciplina di derivazione comunitaria delle clausole vessatorie nei contratti stipulati tra professionista e consumatore. In
12 Mengoni, Autonomia privata e costituzione, Xxxxxx e teoria giuridica, Xxxxxx e teoria giuridica (a cura di X. Xxxxxxxxxx – A. Albanese – A. Nicolussi), Scritti I, Milano 2011, p. 120. Questa possibilità è peraltro correlata alla risposta che si possa dare alla questione dell’estensione della responsabilità precontrattuale oltre l’ipotesi del dolo, ossia degli artifizi e raggiri. Dall’art. 1440 c.c. si dovrebbe desumere che la responsabilità precontrattuale può operare in questi casi solo se il comportamento del responsabile sia particolarmente riprovevole soggettivamente.
13 Cfr. Xxxxxxx, Problemi di integrazione della disciplina dei «contratti del consumatore», Scritti I, p. 350 testo e note 12-14 per citazioni della dottrina tedesca.
14 Cfr. X. Xxxxxxxxx, De redelijkheit en billijkheid en het europese Privaatrecht (Good faith in European Private Law) Dordrecht 1999, 27 ss. Al tema accenna anche X. Xxxxxxx, “Ragionevolezza” e concetti affini: il confronto con diligenza, buona fede ed equità, in Obbligazioni e contratti, 2006, p. 682 e ss.
questo ambito, la buona fede diventa un criterio di validità delle stesse clausole mettendo capo quindi a un giudizio di equità nel senso di un test di ragionevolezza della clausola che consiste in un giusto bilanciamento degli interessi in causa. L’emergere di una attenzione verso l’asimmetria contrattuale ha portato a un allargamento, di fatto, della portata dell’equità come criterio di controllo della parte normativa del contratto, sebbene travestita sotto le spoglie della buona fede.
Nell’ambito delle discipline opzionali di matrice non legale dei contratti (c.d. soft law) come i Principi per i contratti commerciali internazionali dell’Unidroit e i Principi di diritto europeo dei contratti (Pecl), un altro esempio di contaminazione può essere colto nelle due forme di tutela, molto simili se non quasi coincidenti, che sono rispettivamente l’eccessivo squilibrio (art. 3.10.1 dei Principi Unidroit) e l’ingiusto profitto o vantaggio iniquo (art. 4:109 dei Pecl)15. Ai fini che interessano in questa sede, possiamo limitare l’attenzione all’art. art. 4:109 dei Pecl che prevede l’ipotesi in cui una parte tragga un vantaggio iniquo o un ingiusto profitto per il fatto che l’altra parte che «si trovi in situazione di dipendenza o avesse una relazione di fiducia con l’altra parte, si trovasse in situazione di bisogno economico o avesse necessità urgenti, fosse affetto da prodigalità, ignorante, privo di esperienza o dell’accortezza necessaria a contrattare». La tutela consiste in una possibile alternativa, ossia l’annullamento del contratto oppure il potere del giudice, su domanda della parte legittimata all’annullamento, «ove il rimedio sia adeguato, (di) modificare il contratto in modo da metterlo in armonia con quanto avrebbe potuto essere convenuto nel rispetto della buona fede e della correttezza». Ora, tali cosiddette buona fede e correttezza, come in generale tutto l’istituto dell’art. 4:109, risultano piuttosto chiaramente venate di elementi equitativi, i quali possono meglio spiegare questa forma di tutela riequilibratice contro abusi del potere contrattuale che abbiano avuto esito in un ingiusto profitto o vantaggio iniquo. Nota giustamente un autore, con riguardo alla norma dei Principi Unidroit, che essa è rilevante soprattutto per il fatto di rivolgersi a contratti del commercio internazionale dove interventi di questo tipo da parte del giudice erano prima inediti16. Evidentemente tale novum non può essere la buona fede, ma l’equità, sia pure resa rilevante soltanto a seguito dell’abuso17. Certo, la buona fede può qui rafforzare l’idea che la misura o criterio di orientamento dell’equità debba svolgersi in rapporto a come il medesimo concreto contratto «avrebbe potuto essere convenuto nel rispetto della buona fede e della correttezza». Anche in questo caso, in altre parole, non si tratta di equità sostitutiva dell’autonomia, e quindi puramente eteronoma, ma di equità correttiva che deve conciliarsi con la logica del contratto in concreto, sebbene in un’ipotesi del genere l’abuso iniziale renda ben difficile tale operazione. In ogni caso, non può
15 Regole la cui matrice, pur con i dovuti distinguo, sembra essere il § 138 BGB.
16 X. Xxxxxxx, Arbitrato di equità ed equilibrio contrattuale, Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, p. 848. A proposito dei Principi Unidroit osserva X. Xxxxxxxx, Buona fede ed equità tra le fonti di integrazione del contatto, in Contratto e impresa, 1999,
p. 90 che tali principi, a differenza della buona fede che vi trova ampio spazio, non menzionano mai l’equità, ma ciò sembra in realtà spiegabile in forza della comprensione larga della buona fede che include l’equità come avviene nella concezione dei paesi germanici.
17 Secondo Xxxxxxxx, Buona fede ed equità tra le fonti di integrazione del contatto, cit., p. 92 «la repressione di un abuso
con la buona fede è il presupposto logico e giuridico per riequilibrare con l’equità».
essere la buona fede a spiegare da sola l’intervento riequilibratore, dal momento che la buona fede è criterio di valutazione di comportamenti e quindi può mettere capo semmai a una responsabilità, la quale solo indirettamente può svolgere una funzione riequilibratrice18, mentre la valutazione dell’equilibrio degli interessi è tipicamente compito dell’equità, così come, coerentemente con tale valutazione, la tutela del riequilibrio. Il riferimento alla buona fede e correttezza vale pertanto solo a confermare, anche in un caso problematico come questo, che l’equità partecipa di quella «eteronomia non autoritaria» che Xxxxxxxxxx attribuisce alla buona fede, nel senso che lo squilibrio e la misura del riequilibrio non sono indipendenti dalla logica del singolo contratto19.
Una contaminazione tra buona fede ed equità, a ben vedere, emerge anche nella categoria dogmatica, ricavata in Germania dal principio di Treu und Glauben, della Unzumutbarkeit, ossia l’inesigibilità di una prestazione che per circostanze sopravvenute implichi il sacrificio di un valore di rango superiore del diritto di credito con cui è entrato in collisione. Nel diritto civile italiano corrisponde, anziché alla buona fede come criterio di valutazione di comportamenti ai fini della responsabilità, a quella declinazione della stessa buona fede che è la correttezza e che si traduce in questi casi in criterio di esonero della responsabilità del debitore e correlativamente in censura (per abuso del diritto) dell’eventuale comportamento del creditore che pretendesse l’adempimento20. La dottrina tende a esaurire la questione col riferimento alla correttezza, ma non sembra potersi escludere che anche in questo ambito abbia operato una certa contaminazione della buona fede con l’equità tenuto altresì conto del fatto che si tratta di una teorica nata in Germania. Infatti, in
18 Come nella disciplina del dolo incidente cui si è fatto riferimento supra.
19 «Buona fede (in senso oggettivo) ed equità – precisa Xxxxxxx, Spunti per una teoria delle clausole generali, Xxxxxx e teoria giuridica, Scritti I, cit., p. 172 – hanno in comune la funzione di promuovere la piena realizzazione dello scopo del contratto». Circa il fondamento della tutela ex art. 4:109, 2, tuttavia, secondo Xxxxxxxxxx, Prefazione all’edizione italiana di Principi di diritto europeo dei contratti, cit., XXXVII, esso risolverebbe nella buona fede. Lo stesso Castronovo
(XXXIX) mette poi in relazione l’intervento correttivo del giudice ex art. 4:109, 2) con quello che è previsto all’art. 6:111 per il caso di eccessiva onerosità sopravvenuta ritenuto da lui più direttamente in funzione dell’equità del giudice, sebbene di un’equità il cui «criterio di esercizio» sarebbe ancora la buona fede, onde si conferma quella contaminazione tra equità e buona fede che il diritto europeo sembra riflettere dalla cultura giuridica germanica, per non parlare di quella olandese (v. supra e nota 70). In ogni caso, il confronto tra la tutela ex art. 4:109, 2 Pecl e quella ex art. 6:111 Pecl mette in evidenza un paradosso: da un lato, infatti, nel caso dell’eccessivo profitto o vantaggio iniquo lo sbilanciamento del contratto è dovuto all’abuso di potere contrattuale di una parte ai danni dell’altra, onde la c.d. autointegrazione del contratto si avvicina a una finzione, perché evidentemente il contratto non offre fin dal principio elementi solidi a cui fare riferimento, invece, nel caso della sopravvenienza, la logica del contratto nato validamente ed efficacemente è molto più chiara e perciò l’equità può svolgere la sua funzione autointegrativa in modo decisamente meno problematico. Sotto questo profilo, pure la formula del § 313 BGB che utilizza la volontà ipotetica delle parti appare un po’ sbilanciata in senso finzionistico anche se probabilmente tale riferimento è dovuto allo scopo di orientare l’Anpassung (la revisione del contratto) in funzione della logica originaria del contratto medesimo, ossia nel senso dell’autointegrazione.
20 Il riferimento alla correttezza contenuto nell’art. 1175 c.c., secondo Xxxxxxxx, La presupposizione, cit., p. 19 testo e nota 41 e x. 21 nota 21 dovrebbe essere tenuto distinto dalle norme che richiamano la buona fede, sottolineando che la correttezza è deputata a sviluppare-specificare un sistema di regole date dall’ordinamento legale, non già a fondarne uno come nell’art. 1337 c.c. Sull’inesigibilità, cfr. X. Xxxxxxx, Responsabilità contrattuale, in Obbligazioni e negozio, Scritti II, cit., p. 333, il quale pure chiama in causa direttamente la correttezza ex art. 1175 c.c., ma ritenendola gravitare nell’orbita generale della buona fede oggettiva.
questa applicazione della Treu und Glauben non entra semplicemente in gioco la tutela dell’affidamento, ma un vero e proprio confronto di valori che vengono bilanciati in funzione di quella che potrebbe ritenersi una soluzione equa secondo buona fede. L’esempio classico è quello della cantante che non si reca a teatro perché deve assistere al figlio in gravi condizioni di salute21. Il creditore, indubbiamente, può essere ritenuto scorretto se pretende l’adempimento imponendo un simile sacrificio alla debitrice, ma in pari tempo la stessa pretesa potrebbe ritenersi iniqua per la sproporzione fra credito e valore da sacrificare. In ogni caso, l’effetto di tale valutazione non è una responsabilità, ma la preclusione del diritto di domandare l’adempimento o il risarcimento del danno per l’inadempimento.
Un esempio più vicino alla realtà degli ultimi tempi potrebbe essere l’applicazione di questo criterio ai contratti di mutuo bancario nello svolgimento dei il debitore delle rate si trovi a un certo punto in grave difficoltà a causa di un licenziamento non imputabile a sua colpa. La buona fede potrebbe giustificare una Unzumutbarkeit della somma, nel senso di una sospensione del potere di esigere il credito quando il pagamento di esso possa dirsi meno importante rispetto a un altro valore di rango costituzionale superiore, come il pagamento di spese sanitarie per sé o per i figli22.
Da ultimo, l'elemento centrale di questa idea è stato ripreso, in una certa misura, dalla legge tedesca che ha introdotto la categoria degli "rapporti obbligatori di durata a carattere essenziale" (wesentliche Dauerschuldverhältnisse). L'articolo 240 § 1 (1) 3a frase dell'Einführungsgesetz zum Bürgerlichen Gesetzbuch (atto introduttivo al codice civile tedesco), emanato con la legge del 27 marzo 2020, include una definizione di questo tipo di obblighi che li descrive come quelli che sono necessari per l’esistenza della persona (Wesentliche Dauerschuldverhältnisse sind solche, die zur Eindeckung mit Leistungen der angemessenen Daseinsvorsorge erforderlich sind). Indipendentemente da ciò che si può pensare di questa categoria di obbligazioni, essa rappresenta un'ulteriore prova che i contratti non possono essere ridotti al loro testo e alla libertà contrattuale, né si può presumere che per le parti i termini siano validi indipendentemente da ciò che può sopraggiungere. Soprattutto quando si tratta di contratti a lungo termine, dove sono in gioco interessi essenziali della persona, si presenta l'occasione per un intervento di riequilibrio della legge, ogni volta che sopraggiungono circostanze straordinarie.
4. BUONA FEDE EQUITATIVA NELLA GIURISPRUDENZA
Sul piano giurisprudenziale, si rinvengono degli esempi di applicazione della buona fede con elementi equitativi con riguardo all'esercizio di diritti contrattuali, quali il diritto di recesso e di risoluzione. In ordine al primo, la casistica presenta due forme diverse di tutela: una in cui l’equità gioca un ruolo meno intenso, in
21 Xxxxxxx, Responsabilità contrattuale, cit., pp. 333-334 con altri esempi.
22 A. Nicolussi, Etica del contratto e contratti di durata per l’esistenza della persona, in X. Xxxxxx – X. Xxxxxxx, Life time contracts, The Hague 2014, p. 153.
quanto la tutela rimane quella usuale della responsabilità coll’effetto del risarcimento del danno e un'altra in cui l’equità opera più schiettamente, ossia incidendo addirittura sul tipo di tutela nel senso di precludere l’esercizio di un diritto contrattualmente previsto.
Anzitutto, partendo dalle ipotesi in cui la contaminazione non implica una deviazione dalla tutela risarcitoria, viene in considerazione una sentenza molto commentata della Cassazione che ha condannato al risarcimento dei danni una casa produttrice di automobili, la quale aveva esercitato il diritto di recesso ad nutum dai contratti stipulati con una serie di concessionari di vendita23. I contratti prevedevano a favore della casa automobilistica la facoltà di recesso ad nutum, senza obbligo di preavviso, ma la Cassazione, evidentemente considerando decisiva la differenza di potere contrattuale fra le parti e una sorta di dipendenza economica delle concessionarie dalla casa produttrice – che però non poteva essere disciplinata dalla legge n. 192/1998 in quanto entrata in vigore successivamente al caso24 - ha ritenuto sussistere un obbligo di preavviso a carico di quest’ultima. Si potrebbe parlare di un obbligo di protezione ex fide bona a carico della parte forte nell’esercizio del diritto di recesso, sennonché tale obbligo contrasta con l’autonomia delle parti che espressamente hanno previsto una facoltà di recesso non con, ma senza obbligo di preavviso. Né invocare la figura dell’abuso del diritto con riferimento al diritto di recesso appare plausibile, perché l’esercizio del diritto di recesso non può, in quanto tale, costituire abuso; mentre ragionando nei termini dell’abuso si dovrebbe giungere alla conclusione paradossale che il recesso senza preavviso configuri sempre un abuso25. Più verosimile è invece l’idea che la giurisprudenza non abbia ritenuto equo il regolamento pattizio su questo punto, ravvisando un abuso, non del diritto di recesso, ma del potere contrattuale, abuso che è stato favorito dalla condizione di dipendenza economica delle imprese concessionarie; di qui la decisione di integrare o correggere il regolamento pattizio con l’obbligo del preavviso a carico della casa produttrice dal cui inadempimento è scaturita, ovviamente, la responsabilità per inadempimento. La buona fede, in altre parole, è stata resa veicolo di una integrazione o correzione equitativa del contratto26.
Un secondo esempio si rileva in tema di recesso da contratti di apertura di credito, con riguardo ai quali secondo la Cassazione, il giudice, ove il cliente della banca lamenti da parte di quest’ultima l’esercizio abusivo del diritto di recedere, deve in ogni caso verificare, anche ove siano state le parti stesse ad accordare alla banca la facoltà di recedere liberamente dal contratto, se il recesso sia stato esercitato dalla banca con modalità imprevedibili ed arbitrarie. Secondo la Corte, infatti, il recesso è da considerare comunque abusivo tutte le volte in cui lo stesso risulti in contrasto con la ragionevole aspettativa del debitore che confidi nei rapporti usualmente tenuti fino a quel momento con la banca e nella normalità commerciale dei rapporti in
23 Si tratta di Xxxx. 18 settembre 2009, n. 20106.
24 La legge effettivamente avrebbe previsto all’art. 6, co. 2 la nullità del patto che attribuisce a una delle parti la facoltà
di recesso senza congruo preavviso.
25 Similmente X. Xxxxxxxxxx, Eclissi, Milano 2015, p. 108.
26 Circa questo “abuso” della buona fede, si esprimono in senso critico Xxxxxxxxxx, Eclissi del diritto civile, cit., p. 106- 107 e X. Xxxxxxxxxxxx, Abuso del diritto, buona fede, ragionevolezza, in Nuova giur. civ. comm., 2010, II, p. 141.
xxxx, tanto da riporre il proprio legittimo affidamento sia sulla esistenza della provvista creditizia per il tempo previsto sia sul fatto di non dover sempre essere pronto alla restituzione delle somme utilizzate27. Ne deriva che la previsione del recesso ad nutum ancora una volta viene ritenuta suscettibile di una conformazione giurisprudenziale che tramite la buona fede implica una restrizione della libertà di recedere. Ma si tratta evidentemente di una correzione equitativa sul presupposto di un giudizio di sproporzione nel regolamento pattizio: il recesso viene accompagnato da un obbligo di protezione che pone a carico del recedente dei costi che altrimenti la controparte avrebbe dovuto interamente subire per avere accettato la clausola. La buona fede, in altre parole, porta nel recesso qualcosa di analogo dall’obbligo di indennizzo previsto a carico del proponente che esercita il diritto di revocare la proposta.
In ogni caso, in tali ipotesi si tratta di una applicazione della buona fede che non decampa dalla tutela risarcitoria quale effetto di una condotta giudicata in violazione della buona fede. Si oltrepassa invece tale tutela in altre sentenze nelle quali alla buona fede è commesso il compito addirittura di precludere, in quanto ritenuto abusivo, l'esercizio del diritto di recesso oppure l’esercizio dell’azione di risoluzione.
In un caso, infatti, la Cassazione ha ritenuto di non ammettere il recesso da un contratto di fornitura di merci esercitato contro la buona fede da un imprenditore. Il contratto di fornitura era stato formalmente stipulato dal medesimo con una società che egli aveva costituito con un’impresa concorrente nell’ambito di una intesa con la quale le parti avevano regolato i loro rapporti di concorrenza sul mercato. Tale società avrebbe svolto commercio all’ingrosso di zucchero, attività che sino a quel momento le parti avevano esercitato in concorrenza tra loro. Il contratto di fornitura era di durata annuale e rinnovabile di anno in anno, ma già prima durante il primo anno l’imprenditore, prima dell'inizio dell'esecuzione della fornitura, recedeva dal contratto di fornitura dopo aver messo in atto comportamenti dilatori rispetto agli impegni presi (ritardava l'acquisizione di un computer necessario per la entrata in funzione della nuova società, restituiva con ritardo le bozze di stampa relative a modelli di fatture ad altri stampati, necessari per l'entrata in funzione della medesima società, né aveva rispettato prezzi e condizioni di vendita concordati con l’altra società,
27 Cass. 21 maggio 1997, n. 4538; 14 luglio 2000, n. 9321 e Cass. n. 6186 del 2008.
In tema di recesso, in particolare, con riferimento alla c.d. interruzione brutale del credito, la Cassazione ha avuto modo di affermare che il giudice non deve limitarsi al riscontro obiettivo della sussistenza o meno dell'ipotesi di giusta causa di recesso prevista in un contratto di apertura di credito per un tempo determinato, ma, alla stregua del principio per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede, deve accertare che il recesso non sia esercitato con modalità impreviste ed arbitrarie, tali da contrastare con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all'assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto e che non può pretendersi essere pronto in qualsiasi momento alla restituzione delle somme utilizzate (Xxxx. 21 maggio 1997, n. 4538; Cass. 14 luglio 2000, n. 9321; Cass. 21 febbraio 2003, n. 2642). Più in generale, poi, la Corte di cassazione ha ritenuto che la clausola generale di buona fede e correttezza è operante tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all'esecuzione di un contratto (art. 1375 cod. civ.), specificandosi nel dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell'interesse della controparte e ponendoci come limite di ogni situazione, attiva o passiva, negozialmente attribuita, determinando così integrativamente il contenuto e gli effetti del contratto (Cass. 8 febbraio 1999, n. 1078).
rovesciando a proprio favore il rapporto di vendite fino a quel momento esistente tra la imprese). Di qui l’affermazione del potere giudiziale di valutare la legittimità del recesso dell’imprenditore alla stregua del principio di buona fede, nel contesto del complesso dei rapporti intercorsi tra la parti accertando se il recesso stesso sia stato esercitato allo scopo di sciogliersi dal vincolo contrattuale di rifornire la nuova società ovvero ad un diverso scopo nel contesto di una condotta complessiva diretta ad impedire la realizzazione dei reciproci interessi delle parti come consacrati negli accordi contrattuali28.
In buona sostanza, la Cassazione reputa che l’esercizio del diritto di recesso rappresenti un mezzo sproporzionato se consente a una delle parti di svincolarsi dal contratto proprio mentre essa mette in atto una serie di comportamenti che tradiscono l’intesa stipulata dalle parti nel cui ambito avrebbe dovuto svolgere la sua funzione il contratto. Si potrebbe forse parlare di una exceptio doli, una specie di promissory estoppel, la quale ancora una volta mette in evidenza una contaminazione tra equità e buona fede.
Più significativa è la sentenza della Corte di Cassazione che non ammette un’azione di risoluzione per inadempimento del pagamento di canoni esercitata da un comune il quale aveva stretto un contratto di locazione con un’impresa relativo a un certo immobile con annessa zona termale. Su tale immobile peraltro il comune aveva appaltato dei lavori all’impresa stessa che li aveva eseguiti ed era quindi in credito del relativo corrispettivo.
L’impresa non aveva pagato alcuni canoni in attesa di vedersi a propria volta pagare il corrispettivo dal comune pari ad un importo ben più elevato rispetto all’ammontare dei canoni di locazione dovuti, ma all’improvviso il comune pagò il corrispettivo dei lavori, senza però compensare parzialmente con l’importo dei canoni di locazione, e intimò lo sfratto per morosità. Anche in tal caso, entra in gioco una buona fede con valenza equitativa
In buona sostanza il criterio della non scarsa importanza dell’inadempimento andrebbe valutato anche in relazione al fatto che tali somme erano compensabili e quindi il diritto di eccepire in compensazione tali somme diventa un obbligo ex fide bona che preclude l’esercizio dell’azione in risoluzione.
La buona fede diventa insomma uno strumento di valorizzazione del collegamento negoziale nel senso che impone di considerare il complesso dei rapporti fra le parti anche ai fini della valutazione dell’esercizio di un diritto come quello alla risoluzione il cui presupposto – la non scarsa importanza dell’inadempimento – andrebbe valutato non solo in funzione del contratto di cui si chiede la risoluzione, ma
28 La Cassazione afferma il «principio che, in relazione ad una pluralità di rapporti contrattuali tra loro collegati per la realizzazione di un'unica operazione economica, nella specie la regolamentazione della concorrenza attraverso la creazione di una nuova società e la previsione, a carico delle parti, dell'obbligo di rifornire la predetta società in misura predeterminata, la corrispondenza a buona fede dell'esercizio del diritto di recesso, contrattualmente previsto, nella specie per il contratto di fornitura, deve es sere valutata nel complessivo contesto dei rapporti intercorrenti tra la parti, onde accertare se il recesso sia stato esercitato o meno secondo modalità e tempi che non rispondono ad un interesse del titolare del diritto meritevole di tutela, ma soltanto allo scopo di recare danno all'altra parte, incidendo sulla condotta sostanziale che le parti sono obbligate a tenere per preservare il reciproco interesse all'esatto adempimento delle rispettive prestazioni».
anche di un altro rapporto intercorrente tra le parti dal quale può sorgere a favore della controparte un’eccezione di compensazione. La risoluzione in altri termini si presenta in questo caso come una tutela sproporzionata e quindi ingiustificata rispetto allo scopo di ottenere le somme corrispondenti ai canoni dovuti dalla controparte. Si potrebbe anche far riferimento a una sorta di ragionevolezza, un test di ragionevolezza a cui il giudice sottopone l’esercizio del diritto nel caso concreto.
Infine, la buona fede equitativa sembra soggiacente anche la giurisprudenza in tema di garanzia autonoma quando individua un limite alla stessa autonomia della garanzia rispetto al rapporto fondamentale. Anche da ultimo la Corte di cassazione ha ripetuto che “l’inopponibilità delle eccezioni di merito derivanti dal rapporto principale che, come si è già detto, contraddistingue quel contratto rispetto alla fideiussione – comporta che, ai fini dell’exceptio doli, il garante non possa limitarsi ad allegare circostanze fattuali idonee a costituire oggetto di un’eccezione che il debitore garantito potrebbe opporre al creditore, ma debba far valere una condotta abusiva del creditore, il quale, nel chiedere la tutela giudiziale del proprio diritto, abbia fraudolentemente taciuto, nella prospettazione della fattispecie, situazioni sopravvenute alla fonte negoziale del diritto azionato ed aventi efficacia modificativa o estintiva dello stesso, ovvero abbia esercitato tale diritto al fine di realizzare uno scopo diverso da quello riconosciuto dall’ordinamento, o comunque all’esclusivo fine di arrecare pregiudizio ad altri, o ancora contro ogni legittima ed incolpevole aspettativa altrui”29.
5. LEGGE, BUONA FEDE ED EQUITÀ DI FRONTE A SOPRAVVENIENZE TIPICHE E SOPRAVVENIENZE ATIPICHE.
Nel diritto italiano la rilevanza di circostanze sopravvenute atipiche implica un intervento equitativo sul contratto che deve essere messo in relazione con gli indici normativi contenuti nella disciplina del tipo contrattuale. Ad esempio, nel 2020 durante la cosiddetta prima ondata della Pandemia Covid-19, tale sopravvenienza si è abbattuta tra l’altro sui contratti di locazione. In particolare si è discusso dei contratti di locazione a uso commerciale e a uso abitativo per studenti universitari fuori sede.
Sotto il profilo della disciplina tipica dei contratti di locazione, si deve osservare una distinzione tra circostanze che impediscono o limitano l’uso in senso proprio del bene (sopravvenienze intrinseche) e circostanze che impediscono la funzione estrinseca rispetto all’uso in senso materiale (sopravvenienze estrinseche).
Nel caso delle locazioni a uso commerciale si è trattato per lo più di sopravvenienze intrinseche, perché non si potevano utilizzare i locali se non in parte, come nel caso delle pizzerie utilizzate solo per servizi di asporto.
Diversamente, nei riguardi delle locazioni di appartamenti a studenti universitari fuori sede, la
Xxxxxxxx ha determinato una sopravvenienza estrinseca, perché l’appartamento poteva ben essere
29 Cass. n. 16345/2019.
utilizzato, ma in due situazioni alternative, entrambe non corrispondenti all’interesse del conduttore alla frequenza universitaria: o gli studenti erano tornati nelle loro città e non potevano a causa del lockdown utilizzare tali appartamenti oppure nel caso in cui fossero rimasti essi non potevano frequentare le lezioni che erano state sospese. In ogni caso, però, il fatto non può ricondursi a una sopravvenienza tipica, in quanto non si può parlare né di impossibilità né di eccessiva onerosità sopravvenuta. Nondimeno, un evento come la pandemia è di così grande e innegabile portata da sollecitare la verifica di altre possibilità di incidenza sul rapporto, tenuto conto che proprio l’esigenza di frequenza universitaria è assunta come elemento (interesse) legalmente caratterizzante di questi contratti. Si è quindi ipotizzato che l’equità possa assumere il ruolo di strumento per colmare la lacuna del contratto e per valorizzare anche sotto questo profilo l’interesse che tale tipo di contratti legalmente considera rilevante. In tal modo, la sopravvenienza potrebbe essere fatta gravare non su una sola parte ma su entrambe le parti, e ciò mediante una riduzione del canone che da un lato alleggerisce la posizione dello studente che per un certo tempo ha visto preclusa la soddisfazione dell’interesse per il quale aveva preso in locazione l’appartamento, e dall’altro non mortifica interamente la posizione del locatore che pure si è vincolato mediante il contratto a non godere direttamente dell’immobile né a farlo godere a terzi. La stessa equità peraltro permetterebbe di non applicare rigidamente la regola e quindi di tenere conto dell’obiezione che in questi casi da taluno viene avanzata, ossia che il conduttore potrebbe essere persona particolarmente ricca in grado di sostenere la sopravvenienza molto meglio del locatore che per ipotesi possa contare solo su tale entrata come mezzo di sostentamento. L’equità, in altre parole, potrebbe far rilevare un criterio di deep pocket per i casi più rilevanti di sproporzione economica tra le parti. Ma in linea generale l’equità potrebbe puntellare la rilevanza della sopravvenienza atipica facendone sopportare almeno in parte le conseguenze sfavorevoli anche al locatore.
In alcuni casi, la giurisprudenza che si è occupata di tali controversie ha pure considerato la possibilità di obbligare le parti a una rinegoziazione sulla base della buona fede oggettiva30. Il meno che si possa dire è che anche in questo caso la buona fede si contamina di profili equitativi, perché la buona fede di per sé non ha riguardo all’equilibrio dello scambio neppure quando l’equilibrio può essere stato perturbato dalla sopravvenienza31. Ciò che potrebbe essere considerato frutto della combinazione tra buona fede ed equità è
30 Sarebbe una regola simile a quella contenuta nell'articolo 6: 111 Principi del contratto europeo Legge: “Se, tuttavia, l'esecuzione del contratto diventa eccessivamente onerosa a causa di a mutamento delle circostanze, le parti sono tenute ad avviare trattative al fine di adattare il contratto o risolverlo, a condizione che: (a) si sia verificato il mutamento delle circostanze dopo la conclusione del contratto, (b) la possibilità di un cambiamento delle circostanze non era uno di cui si sarebbe potuto ragionevolmente tenere conto al momento della conclusione del contratto, e (c) il rischio del mutamento delle circostanze non è quello che, secondo al contratto, la parte interessata dovrebbe essere tenuta a sopportare. (3) Se le parti non riescono a raggiungere accordo entro un termine ragionevole, il tribunale può: (a) risolvere il contratto a una data ea termini che saranno determinati dal tribunale; oppure (b) adattare il contratto per la distribuzione tra le parti in modo giusto ed equo le perdite e i guadagni derivanti dal cambiamento di circostanze. In entrambi i casi, il tribunale può accordare il risarcimento del danno subito attraverso una parte che rifiuta di negoziare o interrompe le trattative contrariamente alla buona fede e trattativa equa "
31 A favore della rinegoziazione secondo il principio di buona fede sono Xxxxxxxxx Xxxxxxx, "Per un diritto dei contratti pi ù solidale in epoca di" coronavirus "" (2020) Giust civ com xxxx://xxxxxxxxxxxxxxx.xxx/xxxxxxxxxxxx-x-
semmai l’obbligo di rinegoziazione come norma di condotta che stabilisce tale comportamento, l’obbligo della rinegoziazione, in luogo di un adeguamento equitativo direttamente stabilito dal giudice. Curiosamente, però, questa regola è ritenuta una regola di diritto vigente dalla c.d. relazione programmatica che inopinatamente la Cassazione ha pubblicato nei primi mesi della Pandemia 32. L’aspetto, però, che suscita più perplessità 0non è questa applicazione della buona fede che peraltro nell’enunciato della Cassazione si rivela piuttosto rigida, ma la tutela che la Cassazione individua nell’art. 2932 c.c., ossia nella tutela in forma specifica per l’obbligo di concludere un contratto. La relazione sembra infatti ignorare che un obbligo di rinegoziare non è di certo un obbligo di concludere un contratto (di raggiungere un accordo modificativo) e l’ostacolo all’art. 2932 c.c. non consiste perciò nel fatto che il contenuto dell’accordo possa non essere determinato, ma proprio nella stessa mancanza di un obbligo di conclusione dell’accordo.
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32Cfr.:xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxxxx-xxxxxxxxx/xxxxxxxxx/xxx/xxxxxxxxx/ relazione_Tematica_Civile_ 056-2020.pdf accesso 2 ottobre 2020). Un’apertura verso la regola della rinegoziazione obbligatoria e il potere giudiziario di intervenire nel contratto in caso di inadempimento di tale obbligo si trova in Trib. Roma (VI) ordinanza 27 agosto 2020 (per un commento si veda G. Portonera, ‘Rinegoziazione contrattuale e COVID-19: a proposito di una recente ordinanza del Tribunale di Roma '(2020) Filodiritto xxxxx://xxx.xx xxxxxxxxx.xxx/xxxxxxxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxx-x- covid-19-propositodi-una-recente-ordinanza-del-tribunale-di-roma accesso 2 ottobre 2020). La Corte di Cassazione sembra fare eco a X. Xxxxx, Il contratto (Giuff r è 2011), 972-973, il quale opina che il principio di buona fede postula la rinegoziazione come “un percorso necessario per adattare il contratto alle circostanze e ai bisogni che si sono manifestati ”: quindi“ la rinegoziazione, in affrontare gli imprevisti che alterano il rapporto di scambio diventa un passaggio obbligato, che conserva il piano di costi e ricavi originariamente concordato, con la conseguenza che chiunque evita l'obbligo di ripristino commette una grave violazione del regolamento contrattuale”.
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