L’ATTUAZIONE DEL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI: PROBLEMI, PROSPETTIVE, VERIFICHE
Paper
L’ATTUAZIONE DEL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI: PROBLEMI, PROSPETTIVE, VERIFICHE
Indice
Ciclo del progetto e programmazione 6
Riduzione e professionalizzazione delle stazioni appaltanti 6
Partecipazione alle procedure di aggiudicazione 8
2. Il quadro generale degli appalti pubblici 13
3. L’identificazione e la programmazione dei fabbisogni 14
4. Dalla programmazione all’esecuzione dell’appalto 17
5. Quali indicazioni per migliorare il procurement pubblico 19
IL CICLO DELLA PROGRAMMAZIONE E DEL PROGETTO NEL NUOVO CODICE DEGLI APPALTI E DELLE CONCESSIONI ....................................................................................................................................
Xxxxxxxxx Xxxxxx e Xxxxxx Xxxxxxxx 26
1. Le innovazioni introdotte dal nuovo Codice degli appalti e delle concessioni 26
2. Il nuovo ciclo della programmazione e del progetto 27
3. La fase di start up della programmazione dei servizi di ingegneria e architettura 30
4. La fase progettuale propedeutica alla procedura di affidamento dei lavori 31
5. Alcune considerazioni sul nuovo ciclo della programmazione e del progetto 32
ENTI LOCALI E LAVORI PUBBLICI NEL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI DEGLI APPALTI E DELLE CONCESSIONI (D.LGS. 50/2016). ........................................................................................................
Xxxxx Xxxxxx e Xxxxx Xxxxxxxx 35
3. La direttiva europea, 2014/24UE e il nuovo Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione (D.lgs. 50/2016) 40
I POTERI DELL’ANAC (ARTT. 211 E 213) ED I MOTIVI DI ESCLUSIONE (ART. 80): APPLICAZIONE AL SUBAPPALTO (ART. 105) E AI CONSORZI STABILI (ART. 47)....................................................................
I.2. Possibili proposte e soluzioni 54
II. Esclusione, subappalto, consorzi stabili 56
II.2. Possibili proposte e soluzioni 57
3. Chiarimenti e correzioni 61
1. La disciplina generale del PPP: una fuga in avanti del Legislatore nazionale. 64
2. Il problema di fondo del diritto europeo: concessioni come contratto tipico e altri PPP come contratti atipici? 66
................................................................................................................................................................ 68
4. Sulla natura calda o fredda dei PPP e delle Concessioni. 69
6. Sulle differenti discipline di affidamento dei PPP e delle Concessioni. 72
7. Vi è davvero flessibilità nella disciplina codicistica delle concessioni? 72
8. Sulla questione del necessario controllo delle stazioni appaltanti quale contrappeso della flessibilità degli affidamenti. 73
9. Istituti di sussidiarietà orizzontale e partenariati sociali: perchè sono stati inseriti nel Codice nella disciplina dei PPP? 73
10. La finanza di progetto: modello di contratto o peculiare procedura di aggiudicazione dei contratti di concessione? 74
11. Alcune valutazioni conclusive: flessibilità comunitaria e moltiplicazione dei modelli di PPP: il problema del c.d. divieto di gold plating. La mancanza di adeguati controlli dl risultato e della responsabilizzazione dei funzionari a fronte dell'aumentata fiducia nella pubblica amministrazione 75
IL MERCATO DEL PPP ALLA LUCE DEL NUOVO CODICE DEGLI APPALTI ...................................................
Xxxxxxxx Xxxxx e Xxxxxx Xxxxxxx 78
1. Una preliminare overview sul mercato del PPP in Italia 78
2. Il PPP nel decreto legislativo 50/2016 80
LA DISCIPLINA DELL’ESCLUSIONE E DELL’AMMISSIONE DEGLI OPERATORI TRA DIRITTO SOSTANZIALE E PROCESSUALE ..................................................................................................................................
Xxxxxxx Xxxxx e Xxxx Xxxxxx 83
1. Premessa: i problemi del vecchio Codice e le direttrici della riforma. 83
2. La disciplina della partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica nel d.lgs. 50/2016: esiste una “fase di ammissione”? 84
3. Profili innovativi della disciplina delle cause di esclusione: in particolare, irregolarità fiscali/contributive e misure di self-cleaning 86
4. Osservazioni conclusive e proposte. 88
2. Spunti operativi e proposte concrete 97
3. Ipotesi di modifica dell'art 212 97
I contributi che seguono nascono dal lavoro di un gruppo di ricerca promosso da italiadecide, Aequa, ApertaContrada e ResPublica subito dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. I contributi hanno un obiettivo comune: proporre interventi migliorativi della disciplina dei contratti pubblici in vista della emanazione del decreto correttivo del Dlgs
n. 50. Per tale ragione essi sono presentati secondo la successione delle parti del codice a cui si riferiscono.
Per un più facile accesso al contenuto complessivo del paper e per favorire la comunicazione delle linee di lavoro si riporta di seguito una selezione di quindici proposte, considerate prioritarie dal gruppo di ricerca. Anche queste sono elencate secondo la successione degli articoli e o delle parti del Codice a cui si riferiscono.
PROPOSTE
Ciclo del progetto e programmazione
1
Adeguare le norme primarie ai principi e alle prassi consolidate a livello internazionale. In particolare:
• superando la confusione tra pre-fattibilità e fattibilità del progetto: nel codice non è
ancora delineata quella fase – rilevante ai fini del successivo iter – che in altri ordinamenti e nella prassi internazionale viene definita Fase di Identificazione del progetto e i cui deliverables sono: Studio di Pre-Fattibilità, TOR e “Procurement Plan”;
• incentivando le Stazioni Appaltanti a dotarsi delle competenze professionali necessarie
a realizzare studi di prefattibilità di alta qualità anche attraverso Accordi Quadro gestiti da CONSIP a livello nazionale per l’affidamento dei servizi sotto-soglia d’ingegneria e di architettura di importo superiore a 30,000 €;
• definendo il contenuto del documento che nella prassi internazionale viene definito
“Procurement Plan” e che consente di gestire gestione l’insieme dei fabbisogni derivanti da un obiettivo di mandato;
• specificando meglio che la funzione di programmazione include la “identificazione dei
fabbisogni”.
2
Attenuare l’obbligo – introdotto dal nuovo codice – di effettuare l’appalto dei lavori solo sul progetto esecutivo, prescindendo dalla tipologia e dalle caratteristiche dell’opera: l’attuale formulazione può sfavorire l’innovazione che procedure di affidamento più libere e contrattuali (ben presenti in tutti gli altri ordinamenti) invece hanno da sempre favorito.
Riduzione e professionalizzazione delle stazioni appaltanti
3
Separare con disposizioni primarie più chiare il ruolo di chi decide la spesa, di chi esegue l’affidamento e di chi controlla i risultati. La mancata definizione dell’architettura delle responsabilità tra origine del fabbisogno (i centri di spesa) stazioni appaltanti e centrali di committenza rischia di condizionare negativamente efficienza ed efficacia del sistema degli appalti pubblici. L’obiettivo della aggregazione (che rappresenta una delle linee più promettenti del nuovo codice) viene meglio perseguito separando le responsabilità, aggregando i centri di costo in base a tipologia, caratteristiche, territorialità, costituendo unità omogenee in relazione agli obiettivi di mandato, lasciando l’espletamento della procedura a centri specializzati, non condizionati dalle problematiche amministrative e politiche dei centri di spesa. A tale fine, sarebbe opportuno promuovere la creazione di un ruolo professionale specifico di “buyer
pubblico”, focalizzato sulla qualità dei risultati e sul supporto ai centri di spesa nelle scelte e nella programmazione.
4
Superare l’eccesso di rigidità del nuovo codice nei confronti del subappalto che rischia di tradursi in un eccessivo favor per un modello imprenditoriale caratterizzato dall’esecuzione in diretta delle commesse, dalle opere civili all’impiantistica fino ad alcune tipologie di forniture (es. la prefabbricazione). Tale scelta sarebbe in netta controtendenza rispetto all'ispirazione comunitaria, decisamente antistorica e rischierebbe anche di porsi in contrasto con le politiche europee e nazionali a sostegno delle micro, piccole e medie imprese.
5
Per i settori speciali appare particolarmente opportuno modificare le norme sul subappalto. Potrebbe valutarsi, in questa disciplina, l’esclusione dell'obbligo di indicare la terna di subappaltatori in sede di offerta, nonché la previsione che l’ente aggiudicatore possa procedere al pagamento diretto dei subappaltatori solo in caso di richiesta dello stesso subappaltatore rispetto ad un accertato e non contestato inadempimento dell’appaltatore e negli altri casi previsti dal bando di gara o dalla lettera d’invito.
6
Superare la confusione fra concessione e PPP: chiarendo esplicitamente che il PPP è una categoria contrattuale aperta che include anche le concessioni, eliminando i dubbi che genera l'attuale formulazione dell'art. 180, tra l’altro, chiarendo che la finanza di progetto non costituisce un autonomo modello contrattuale (come la lettera dell'art. 180 comma 8 oggi prevede) ma un peculiare sistema di aggiudicazione delle concessioni di lavori e servizi su iniziativa di un privato (utilizzabile per quanto compatibile anche con gli atri modelli contrattuali di PPP). Più in generale, l'attuale disciplina potrebbe essere semplificata e resa più flessibile nel rispetto del principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche” di cui all'art. 2 della direttiva 23 e dell’art. 166 del Codice. Uniformare (tanto per i PPP che per le concessioni) le definizioni dei rischi sulla base di quelli definiti dalla direttiva 2014/23/UE (rischio dal lato della domanda e rischio dal lato dell'offerta).
7
Quale contrappeso della flessibilità dell'affidamento e dell'esecuzione delle concessioni e dei PPP, rafforzare il sistema dei controlli delle stazioni appaltanti e dei concessionari con riguardo al confronto fra i risultati programmati e quelli effettivamente raggiunti, con necessaria responsabilizzazione dei funzionari. Il concetto di riferimento potrebbe essere quello, di derivazione anglosassone, del Best Value. Tale indirizzo normativo (più flessibilità e migliore definizione del sistema dei controlli) dovrebbe rappresentare uno dei principi ispiratori dell’intera disciplina dei contratti pubblici.
8
Superare il limite del 30% del costo dell'investimento complessivo all'eventuale riconoscimento di un prezzo da parte dell'amministrazione (art. 165), per incentivare il finanziamento privato di opere e servizi. Soluzioni proposte: richiamare la necessità dell'effettivo rischio operativo da verificarsi nel caso concreto, ovvero porre un limite quantitativo più alto.
9
Nella prospettiva – del tutto condivisibile - della centralizzazione e qualificazione delle Stazioni Appaltanti, creare (sul modello francese) una specifica unità di coordinamento in tema di PPP, dotata di poteri più ampi di quelli riferibili a passate esperienze (UTFP).
10 Definire meglio e circoscrivere il potere di revoca della pubblica amministrazioni in relazione alle operazioni di PPP al fine di non rendere irrealistica l’attrazione di capitali privati.
Partecipazione alle procedure di aggiudicazione
11
Recepire l'art. 56, par. 2, della direttiva 24 che recita “2. Nelle procedure aperte, le amministrazioni aggiudicatrici possono decidere di esaminare le offerte prima di verificare l’assenza di motivi di esclusione e il rispetto dei criteri di selezione ai sensi degli articoli da 57 a 64. Se si avvalgono di tale possibilità, le amministrazioni aggiudicatrici garantiscono che la verifica dell’assenza di motivi di esclusione e del rispetto dei criteri di selezione sia effettuata in maniera imparziale e trasparente, in modo che nessun appalto sia aggiudicato ad un offerente che avrebbe dovuto essere escluso a norma dell’articolo 57 o che non soddisfa i criteri di selezione stabiliti dall’amministrazione aggiudicatrice. Gli Stati membri possono escludere o limitare l’uso della procedura di cui al primo comma per determinati tipi di appalti o a circostanze specifiche.” Introducendo inoltre una disposizione che dia criteri operativi alle SSAA (controlli a campione, criteri per la scelta di posticipare la fase di valutazione dei requisiti, ecc.);
12
Rispetto alle clausole di esclusione di cui l'art. 80, estendere il principio c.d. di self- cleaning come strumento generalizzato, dando attuazione agli indirizzi agli Stati membri espressi – su questo specifico punto – dalle direttive europee.
13
Chiarire alcuni elementi del nuovo articolo 120 c.p.a. (introdotto dall'art 204 del nuovo codice) che rischiano di avere effetti dirompenti sulla posizione delle parti nel processo amministrativo. In particolare:
• modificare l’inciso sul dies a quo per l’impugnazione del provvedimento, facendo
decorrere il termine non dalla pubblicazione sul profilo del committente ma dalla ricezione della comunicazione di cui all’art. 29, co. 1 d.lgs. 50/2016;
• abrogare l’inciso “anche con ricorso incidentale”: l’attuale formulazione non trova
riscontro nella legge delega e non tiene conto del fatto che l’interesse alla proposizione del ricorso incidentale scaturisce unicamente dalla proposizione del ricorso principale e finisce per penalizzare in maniera ingiustificata l’aggiudicatario.
14 Definire meglio le funzioni dell’ANAC e la sua posizione nella governance del sistema dei contratti pubblici:
• rafforzamento della funzione di vigilanza collaborativa e di ausilio alle stazioni appaltanti.
• chiarimento parallelo – con norma primaria – degli ambiti di riferimento delle linee guida
vincolanti e di quelle non vincolanti e degli effetti che le due tipologie producono sugli operatori economici, sulle stazioni appaltanti e sulla validità degli atti difformi.
• potere di raccomandazione: sopprimere la disposizione per la quale l’inosservanza della
raccomandazione incide sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti ai fini della loro qualificazione e coordinare detto potere con le norme sull’autotutela di cui alla legge n. 241/90.
• poteri dell’Anac sulla qualificazione degli operatori economici: chiarire, con norma
primaria, che il rating di impresa si inserisce nella valutazione dell’ammissione alla gara dell’operatore economico, e quali elementi prendere in considerazione, evitando sovrapposizione con quelli relativi ai motivi di esclusione (art. 80), per evitare distorsioni concorrenziali o situazioni di disparità di trattamento, anche tra imprese straniere e italiane e tra imprese che possono accedere al rating di legalità e imprese che non possono ottenerlo. Dall’elencazione dei requisiti reputazionali previsti dalle linee guida andrebbe inoltre espunto il riferimento al contenzioso, in particolare quello relativo alla partecipazione alla gara.
15
Rafforzare la Cabina di regia (art. 212), intestandole esplicitamente il compito di svolgere tutte quelle operazioni istruttorie e valutative che oggi sono debolmente disciplinate dalla normativa generale su AIR, VIR, ATN. Le analisi d’impatto, preventive o successive, spettanti ad ANAC o alle altre istituzioni munite di poteri regolatori, in materia contrattuale, dovrebbero svolgersi di concerto con la Cabina, con metodologie e criteri specialistici appositamente elaborati e definiti. Nella Cabina di regia dovrebbe, inoltre, essere previsto uno spazio per la stabile partecipazione degli stakeholders e, in particolare, di organismi che, ancorché privati, abbiano ad oggetto della rispettiva attività la cura, in una prospettiva di medio lungo termine,
degli interessi generali e prevalenti del Paese. Il monitoraggio sull'impatto del nuovo Codice rispetto all'economia del Paese, potrebbe essere affidato ad uno o più di tali organismi.
CONTRIBUTI
LE ESIGENZE DI QUALITÀ DEGLI APPALTI PUBBLICI ALLA LUCE DELLA NUOVA NORMATIVA
XXXXXXXX XXXXXXXXX∗
Il procurement pubblico ha lo scopo di soddisfare i bisogni delle amministrazioni/enti pubblici attraverso un processo equo, trasparente e competitivo, che assicuri pari opportunità per gli operatori economici e le migliori possibilità di soddisfacimento delle esigenze per il cittadino/contribuente, prevenendo i fenomeni corruttivi.
Il sistema normativo definisce il contesto delle regole che devono essere seguite nell’attuazione dei processi di spesa per garantire gli obiettivi suddetti, ma non è in grado di specificare l’attività operativa nel dettaglio, anche in considerazione della variabilità che la casistica presenta.
Perché il sistema del procurement pubblico possa essere efficace ed efficiente, in termini di qualità della spesa e di costi di gestione, è necessario porre attenzione a come gli organismi pubblici individuano i propri fabbisogni e attuano i processi di spesa, nel pieno rispetto delle norme che devono essere adeguate e coerenti per permettere il raggiungimento degli obiettivi di governo e di servizio al cittadino.
Questo contributo, partendo dagli obiettivi generali attribuiti anche a livello internazionale agli appalti pubblici, prende in considerazione gli aspetti organizzativi (quelli che determinano responsabilità, processi, ruoli professionali e competenze) dai quali dipende la loro capacità di produrre risultati.
L’efficacia della nuova normativa dipende in modo diretto da come operano i soggetti aggiudicatori. Se non si provvede a fare chiarezza nell’ambito dell’organizzazione (chi fa cosa e come lo fa), lasciando autonomia di organizzazione agli oltre 30.0001 soggetti aggiudicatori, è elevato il rischio che in breve tempo si arrivi ad avere un rispetto puramente formale delle indicazioni normative ed un mantenimento di fatto delle prassi operative (negative) consolidate (es. ricorrendo alla costituzione di aggregazioni puramente utilitaristiche di più soggetti, per conservare la possibilità di fare appalti). Col risultato che tornerebbero rapidamente a manifestarsi più o meno le stesse criticità.
I punti su cui questo contributo si sofferma sono quelli relativi:
✓ al problema della identificazione e programmazione dei fabbisogni, e
✓ al processo di appalto, dalla fase di affidamento a quella di esecuzione.
∗ Consulente, con area di competenza principalmente nell’organizzazione e strategie del procurement e gestione della spesa. Autore di diverse pubblicazioni sull’argomento, tra cui tre libri, è docente presso le università di Roma Xxx Xxxxxxx e LUISS BS
1 AVCP - Relazione annuale 2011 al Parlamento, pag. 75, 4 Luglio 2012
Il concetto di base sviluppato è che la spesa, in ogni organizzazione pubblica o privata che sia, per produrre risultati adeguati deve essere programmata, cioè definita e valutata in relazione alla sua capacità di contribuire a raggiungere l’obiettivo di mandato (quello per cui l’organizzazione è stata costituita), e deve essere effettuata da soggetti che abbiano la necessaria competenza e assumano le relative responsabilità senza condizionamenti esterni. Da questo concetto si deducono alcune linee sulle quali si ritiene opportuno focalizzare l’attenzione per migliorare le prestazioni del sistema degli appalti pubblici.
2. Il quadro generale degli appalti pubblici
Lo scopo degli appalti pubblici è quello di acquisire dal mercato, alle migliori condizioni, le risorse (forniture, servizi, lavori, conoscenza) non disponibili internamente, ma necessarie al funzionamento, mantenimento e gestione delle attività primarie (fornire servizi al cittadino seguendo le linee politiche programmatiche dello Stato) ed ausiliarie (assicurare il funzionamento della struttura operativa). La sfida è ottimizzare la qualità della spesa, che gli anglosassoni misurano con il valore generato (“Value for money”), ottenendo in modo sostenibile il bilanciamento tra la soddisfazione delle esigenze dei cittadini e l’impegno delle risorse pubbliche.
Una politica efficiente ed efficace degli appalti pubblici è quella che crea un ambiente trasparente e aperto alla competizione, focalizzato sulla qualità della spesa ed attento alla prevenzione della corruzione, offrendo alle imprese la possibilità di migliorare la capacità competitiva propria e della loro catena di fornitura, favorendo, di conseguenza, la crescita del sistema Paese.
Un esempio di applicazione di questo contesto sono gli obiettivi messi alla base della trasformazione del sistema degli acquisti pubblici del Regno Unito a fine degli anni ‘902, dal quale le attuali direttive europee hanno tratto molti elementi caratterizzanti.
In un quadro di forte spinta alla razionalizzazione della spesa, come è quello attuale, la logica alla base degli acquisti pubblici è che il denaro pubblico, fornito dal contribuente, deve essere speso “wisely and well”3: i decisori devono impiegare le risorse economiche dove ci sono le migliori possibilità di avere ritorni per il cittadino (spendere “wisely”), facilitando il raggiungimento degli obiettivi posti dalle linee programmatiche, mentre le strutture che attuano i processi di spesa devono ottenere un adeguato equivalente dell’impegno economico, cioè un bilancio adeguato tra costi sostenuti e qualità ottenuta (spendere “well”). Questa è l’essenza della spending review, vista come strumento non di puro taglio dei costi, ma di razionalizzazione ed indirizzo della spesa4, attraverso la valutazione della sua qualità e l’individuazione delle aree di miglioramento, come viene interpretata nella maggioranza delle nazioni in cui è utilizzata5.
Improntare le logiche di gestione degli appalti pubblici sulla loro natura di strumenti per l’attuazione degli obiettivi di governo vuol dire legare strettamente il risultato dell’appalto al
2 HR Treasury, Transforming government procurement, January 2007
3 X. Xxxxxxxx, Discorso al congresso del Partito Conservatore 14 ottobre 1983
4 AVCP, Relazione annuale 2011 al Parlamento, pagg.5-6, 4 Luglio 2012
5 OECD, Typology and implementation of Spending reviews Discussion paper, Paris, November 2011
raggiungimento dell’obiettivo. Quindi, l’appalto non è solo l’esito del procedimento di affidamento, ma di un processo più ampio, che va dalla definizione degli obiettivi di mandato alla individuazione dei fabbisogni per attuarli, alla esecuzione dell’appalto. L’affidamento è di per sé solo un “endoprocedimento” di questo processo più ampio e complesso.
Tradizionalmente la regolazione e l’attenzione si sono focalizzate sulla fase di scelta del contraente, basandosi sul presupposto che il buon esito della prestazione derivi, principalmente, da un’adeguata gestione della procedura di gara. Parimenti, gli sforzi delle amministrazioni sembrano concentrarsi laddove è più alto il rischio di contenzioso o di danno erariale, cioè nella fase dell’affidamento, trascurando le fasi a monte (identificazione degli obiettivi e pianificazione dei fabbisogni) ed a valle della stipulazione (controllo e valutazione dei risultati)6.
La nuova normativa (Dlgs 50/16) ha apportato modifiche importanti al settore dei contratti pubblici, con la spinta all’aggregazione dei fabbisogni e della responsabilità degli affidamenti, ma anche con una impostazione logica dell’articolato che più si avvicina alla considerazione dei flussi operativi, partendo dalla programmazione per poi affrontare gli affidamenti. Nell’ottica del miglioramento dell’efficacia del procurement pubblico sono particolarmente significative le disposizioni relative a:
✓ esplicita introduzione della programmazione degli appalti anche per forniture e servizi;
✓ considerazione del costo totale sul ciclo di vita, non solo del prezzo;
✓ estensione dell’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa per l’aggiudicazione;
✓ regolamentazione delle centrali di committenza e stazioni appaltanti, con la riduzione del numero e l’introduzione della loro qualificazione;
✓ introduzione dello strumento del rating dei fornitori.
A queste va aggiunta la condizione generale della inderogabilità dei principi di accountability del sistema degli appalti pubblici, in quanto l’identificazione delle responsabilità e la trasparenza e tracciabilità dei processi sono condizioni necessarie per la prevenzione della corruzione.
3. L’identificazione e la programmazione dei fabbisogni
Una condizione essenziale perché il procurement possa essere efficace è la corretta individuazione dei fabbisogni, che deve intendersi non solo come specificazione tecnica dell’oggetto della fornitura, ma come la identificazione delle alternative più adeguate in termini quali-quantitativi e di aderenza ai bisogni da soddisfare.
Il processo di individuazione e qualificazione dei fabbisogni richiede l’analisi delle esigenze nell’ambito degli obiettivi di mandato che l’organismo pubblico deve raggiungere, e non sempre è relativa ad un solo oggetto di acquisto, ma più spesso fa parte di un complesso di fabbisogni che contribuiscono tutti al raggiungimento dell’obiettivo. Esemplificando, l’obiettivo del sistema sanitario è “erogare servizi sanitari”, ed il singolo acquisto, ad es. di siringhe, assume
6 AVCP, Documento di consultazione - Servizi e forniture: progettazione ed esecuzione del contratto 2013
rilevanza non di per sé, ma assieme a quello di altri presidi sanitari e farmaceutici, e di prestazioni professionali, concorrendo tutti insieme al raggiungimento dell’obiettivo di sistema ed alla determinazione del suo costo. Non quanto costa una siringa, ma quante siringhe servono e perché.
Per questo motivo l’attività di identificazione dei fabbisogni va allocata in un ambito di “programmazione” della domanda all’interno degli obiettivi di mandato, programmazione che, correttamente, la nuova normativa considera anche per forniture e servizi.
Il sistema normativo non entra nella previsione delle modalità operative del sistema degli appalti pubblici, e dà solo i principi regolatori, come è corretto che sia. Spetta a chi ha la delega alla spesa curare che questa venga fatta secondo modalità che assicurino il raggiungimento degli obiettivi nel rispetto delle norme, all’interno dei ragionevoli limiti di impatto sul bilancio pubblico e, conseguentemente, nel rispetto degli interessi del contribuente. Le modalità attuative, in termini non di procedure ma di linee guida, saranno elaborate a cura dell’ANAC.
Implementare un processo di programmazione, che parta dalla considerazione degli obiettivi di mandato da perseguire, permette agli appalti pubblici di contribuire efficacemente all’attuazione delle linee politiche di governo attraverso l’ottimizzazione della qualità della spesa (rapporto qualità acquistata/costi sostenuti) e l’enforcement della trasparenza dei meccanismi di scelta.
La programmazione è un momento di chiarezza fondamentale per la determinazione del quadro delle esigenze, la valutazione delle strategie di approvvigionamento, l’ottimizzazione delle risorse ed il controllo delle fasi gestionali, ma costituisce anche concreta attuazione dei principi di buon andamento, economicità ed efficienza dell’azione amministrativa. Essa non è una pura tempificazione degli appalti, ma una analisi critica per ottimizzare la probabilità di raggiungere gli obiettivi ed il rapporto benefici/costi7. Il programma deve comprendere, al minimo:
✓ l’analisi delle effettive esigenze da soddisfare, attraverso una valutazione quantitativa e qualitativa che tenga conto della vita dell’oggetto dell’appalto e dei criteri di razionalizzazione della spesa;
✓ la identificazione degli indicatori e dei metodi di verifica dei risultati e di misura del loro contributo al raggiungimento degli obiettivi di mandato;
✓ la qualificazione dell’oggetto del contratto, dell'importo presunto, considerando il costo totale sul suo ciclo di vita, e della relativa forma di finanziamento;
✓ la valutazione delle alternative possibili, tecniche e commerciali, oltre che procedurali e contrattuali, al fine di individuare la soluzione ottimale per il soddisfacimento dei bisogni.
Nell’articolato del Dlgs 50/16, la programmazione non ha il ruolo di momento di identificazione dei fabbisogni e di “progettazione” (in senso lato) degli appalti, ma ha un ambito più ristretto e focalizzato sul rispetto dei documenti programmatori e sulla coerenza con il bilancio. Ma questo ruolo si deve e si può aggiungere allo scopo previsto dalla norma, senza comunque entrare in contrasto con essa. Sta al responsabile della spesa attuare il processo di programmazione in modo da conciliare le sue due funzioni nell’ottica del risultato.
7 AVCP, “Linee guida su programmazione, progettazione ed esecuzione del contratto nei servizi e nelle forniture”, Determinazione
n. 5 del 6 Novembre 2013
Nell’obiettivo della razionalizzazione della spesa pubblica, la qualificazione dei fabbisogni deve tener conto delle risorse interne disponibili e delle risultanze della spending review, prendendo in considerazione l’offerta del mercato per ottimizzare il mix e la qualità delle risorse più adeguate a soddisfare i bisogni.
La gestione dell’insieme dei fabbisogni derivanti da un obiettivo di mandato dovrebbe essere formalmente condotta attraverso un procurement plan8, che è di fatto il “progetto” degli appalti relativi a quell’obiettivo, ed ha lo scopo di:
Sub obiettivo 1
Obiettivo di mandato
ANALISI ED OTTIMIZZAZIONE
FABBISOGNI
PROCUREMENT PLAN
Sub obiettivo n
Domanda interna
✓ definire e gestire le attività di identificazione e qualificazione dei fabbisogni (esigenze e alternative di
Bisogni unitari
Bisogni n Bisogni 1
soddisfacimento, alternative di mercato, rischi, costi);
✓ definire le modalità e le procedure di acquisizione, e di impostarne il piano operativo;
✓ permettere il controllo dell’avanzamento
delle attività di appalto e dell’aderenza agli obiettivi delle procedure di affidamento9.
Ogni obiettivo di mandato generalmente si articola in più sotto obiettivi, da perseguire con attività e processi che richiedono l’impegno di risorse interne o, in mancanza, esterne da acquisire sul mercato.
Massimizzare il risultato (soddisfazione dei bisogni) e minimizzare i costi degli appalti richiede una serie di passi che, partendo dalla considerazione dell’obiettivo, portino alla individuazione, specificazione e pianificazione dei fabbisogni attraverso un processo strutturato di analisi critica.
Partire dalla considerazione dell’obiettivo complessivo per identificare i fabbisogni permette di determinare le esigenze in relazione al risultato da ottenere e la loro influenza sul costo totale, e di ottimizzare l’insieme dei fabbisogni attraverso l’aggregazione e centralizzazione degli acquisti, pianificando ed ottimizzando l’allocazione delle risorse finanziarie e l’impegno delle stazioni appaltanti.
Il primo passo è quello della ricerca ed analisi delle alternative perseguibili per soddisfare la domanda, considerando anche la possibilità di riconfigurare i bisogni (es. riuso di risorse già disponibili, uso di risorse equivalenti ma più convenienti etc.) ed i fattori che ne determinano il costo totale.
8 Per il piano degli acquisti nel settore pubblico si faccia riferimento al FAR – Federal Acquisition Regulation vol. 1 (USA), Subpart 7.1—Acquisition Plans
9 Vedi, in questo paper, il contributo di X. Xxxxxxx, oltre alle considerazioni più generali svolte da X. Xxxxxx.
ANALISI ED OTTIMIZZAZIONE
(aderenza all’obiettivo di mandato)
Analisi critica della domanda
Individuazione dei driver di costo Individuazione delle alternative Riconfigurazione del fabbisogno
Obiettivo di mandato
Valutazione delle alternative
Analisi dei rischi Ciclo di vita
Analisi dei costi/costo totale
Pianificazione dei fabbisogni
Strategie di acquisto Efficienza dei processi
PROCUREMENT PLAN
PROGETTAZIONE DELLE PROCEDURE DI AFFIDAMENTO
Le alternative individuate devono essere valutate per individuare quale è ottimale (cioè con il più basso costo totale) nel caso specifico. Per questo si devono valutare i rischi e le strategie e i costi per prevenirli o mitigarli, e le condizioni che determinano il costo totale sul ciclo di vita, come dettato dalla normativa.
La pianificazione definisce la collocazione temporale dei
fabbisogni, in modo da assicurare la corretta priorità di acquisizione delle risorse (es. prima il progetto e i binari, poi i treni10), soddisfare le esigenze finanziarie, bilanciare i carichi di lavoro delle stazioni appaltanti. Il sistema degli appalti è efficace quando è in grado di ottimizzare la domanda generata dall’obiettivo di mandato, pianificare l’insieme delle procedure di affidamento, e ottimizzare anche l’impegno delle centrali di committenza / stazioni appaltanti di competenza.
4. Dalla programmazione all’esecuzione dell’appalto
Il Dlgs 50/16 definisce le stazioni appaltanti come soggetti aggiudicatori che, se non dispongono della necessaria qualifica, hanno la possibilità di acquisire forniture, servizi e lavori direttamente se di limitato importo, altrimenti devono farlo attraverso centrali di committenza, ovvero mediante aggregazione con una o più stazioni appaltanti aventi la necessaria qualifica. Sono centrali di committenza i soggetti aggiudicatori che svolgono attività di centralizzazione delle committenze e, se del caso, attività di committenza ausiliarie verso altre centrali di committenza o stazioni appaltanti.
La considerazione della programmazione come fase determinante del processo complessivo di appalto, derivante e legata agli obiettivi di mandato, e quindi separata e propedeutica al processo di affidamento, porta a configurare aree di responsabilità e competenza diverse nel processo degli appalti pubblici. Legare la programmazione all’obiettivo di mandato, non solo all’oggetto dell’appalto, fa sì che la responsabilità e competenza di identificare e pianificare i fabbisogni sia logicamente legata propriamente alla responsabilità e capacità di determinazione dell’obiettivo di mandato, e quindi nella responsabilità del centro decisionale di spesa, mentre quella di aggregazione dei fabbisogni dei centri di spesa (concetto non esistente, ma che si sovrappone a quelli di soggetto aggiudicatore, che di fatto ha la delega a spendere) e di esecuzione dei processi di affidamento sia allocata nelle centrali di committenza/stazioni appaltanti. Il legame tra le due aree di competenza è il programma dei fabbisogni (il procurement plan dal centro di spesa), cui seguono gli affidamenti da parte delle centrali di committenza/stazioni appaltanti, mentre la gestione e controllo della fase di esecuzione dell’appalto, che segue all’affidamento,
10 xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxx.xxx/0000/00/00/xxxxxxxxxxx-xxxxxx-xxxxxxxxxxxxx-00000/ “Ci sono i vagoni ma non i binari: l’odissea delle metropolitana di Latina”
LINEE POLITICHE PIANO STRATEGICO
ORGANISMO PUBBLICO
Misura dell’efficacia
IDENTIFICAZIONE DEGLI OBIETTIVI DI MANDATO
Domanda Interna
OTTIMIZZAZIONE E PROGRAMMAZIONE
RISORSE INTERNE ED ESTERNE
____
SPENDING REVIEW
Flussi informativi
responsabilità
Fabbisogni razionalizzati sul ciclo di vita
PROCUREMENT PLAN
Pianificazione e
controllo
CENTRALI DI COMMITTENZA
(stazioni appaltanti)
Appalti
ottimizzati
MODELLI
OR IVI
GANIZZAT
E E
COMPETENZ
AFFIDAMENTI
COSTI DI PROCESSO
QUALITÀ COSTO TOTALE EFFICIENZA
DELLA SPESA sul ciclo di vita DEI PROCESSI
torna nella responsabilità del centro di spesa. Pertanto, il procurement pubblico si articola su più fasi, che sono:
✓ identificazione e programmazione, da parte del centro di spesa, dei fabbisogni a partire dagli obiettivi di mandato, con la produzione del piano degli acquisti
(procurement plan) per ottimizzare la domanda interna in termini di quantità, qualità, e costo totale e controllare l’attuazione della programmazione;
✓ trasmissione del piano dei
fabbisogni alla centrale di committenza/stazione appaltante ed esecuzione delle procedure di affidamento;
✓ aggregazione della domanda proveniente dai centri di spesa e pianificazione, progettazione ed esecuzione delle procedure di appalto;
✓ controllo della esecuzione degli appalti e misura della loro efficacia in termini di raggiungimento degli obiettivi di mandato.
La programmazione dei fabbisogni dai diversi centri di spesa deve essere aggregata per permettere l’ottimizzazione in fase di negoziazione (economie di scala, tipologie di contratti da utilizzare). Ogni procedura di affidamento deve essere “progettata”, nel senso di valutare le condizioni più favorevoli di accesso al mercato, ridurre i rischi di fornitura, definire le strategie di gare, valutare le strutture contrattuali più adeguate alla protezione degli interessi dei centri di spesa. Le procedure di affidamento devono assicurare:
✓ la adeguata identificazione dei fabbisogni in termini quali-quantitativi e rispetto dei tempi;
✓ la ottimizzazione del costo totale sul ciclo di vita dell’oggetto dell’appalto;
✓ l’efficace rapporto con il mercato, attraverso l’esplicitazione dei fabbisogni e la creazione delle condizioni più adatte allo sviluppo della competizione;
✓ la selezione del contraente con capacità tecnico/professionale ed economico/finanziaria adeguata alle esigenze dello specifico appalto;
✓ l’efficace definizione dei termini contrattuali per le esigenze specificate.
L’esecuzione dell’appalto richiede un controllo puntuale, per assicurare che i risultati siano coerenti con quanto definito in relazione al raggiungimento degli obiettivi di mandato. L’attenzione posta dalla normativa sul costo totale e sulla qualità dell’appalto dovrebbe rendere più sostanziale e meno formale la fase di verifica ed accettazione.
Una considerazione da fare sui processi di appalto è quella sul loro costo. Uno studio effettuato da PricewaterhouseCoopers11 per conto della Comunità Europea ha portato ad una valutazione del costo delle procedure dei contratti di rilevanza comunitaria, per le attività che vanno dal bando all’affidamento. Il risultato è che in media il costo è circa l’1,4% del valore dell’appalto, e per l’Italia l’impegno medio per procedura è di 43 giorni uomo. Questo è a tutti gli effetti un costo indiretto e che incrementa il costo totale dell’appalto, cui va aggiunto anche il costo della fase di programmazione. Considerando il numero di procedure perfezionate per anno (circa centomila) ed il loro valore (circa cento miliardi di euro), se ne deduce che il costo di processo è assolutamente rilevante, ed apre i capitoli del dimensionamento delle centrali di committenza/stazioni appaltanti, dell’efficienza dell’organizzazione interna, e della individuazione di ruoli e competenze per il personale.
Allo stato attuale non esistono previsioni su ruoli specificatamente dedicati alla gestione del procurement pubblico, né indicazioni sul relativo profilo professionale. In generale, la visione del procurement nel settore pubblico in Italia è fortemente focalizzata sul rispetto dei dettati normativi e poco sugli aspetti tecnici e negoziali, come si evince sia dalla qualifica degli addetti che dalla tipologia di formazione svolta 12. La complessità del procurement pubblico e la sua importanza sui risultati delle organizzazioni, richiede invece specializzazione e diversificazione dei ruoli, come dimostrano altre esperienze nel settore pubblico, tra le quali, particolarmente significativa in Europa, quella del Xxxxx Xxxxx00, e delle competenze, per le quali è indispensabile integrare quella legale, certamente fondamentale, con altre di tipo economico e manageriale14.
5. Quali indicazioni per migliorare il procurement pubblico
Le principali aree di miglioramento da perseguire nel procurement pubblico, anche in base alla percezione generale, sono principalmente:
✓ capacità di contribuire alla riduzione della spesa pubblica;
✓ superamento dei problemi di insufficiente qualità (appalti fatti male) o di sprechi (opere non terminate, opere non necessarie);
✓ prevenzione delle condizioni che permettono la concretizzano dei fenomeni corruttivi (nella percezione del 55% dell’opinione pubblica italiana il sistema degli appalti pubblici è corrotto)15.
Nel pubblico, così come nel privato, le principali criticità (corruzione, eccesso di spesa in relazione ai risultati, sprechi, dovuti a spesa al di fuori degli obiettivi di mandato e bassa qualità delle forniture) hanno le loro radici principalmente nella mancata programmazione degli acquisti in relazione agli obiettivi da raggiungere. La mancata programmazione e l’assenza di una valutazione della qualità della spesa sono il modo più comunemente utilizzato per forzare le
11 PWC, “Public procurement in Europe – Cost and effectiveness”, 2011
12 Promo PA e Univ. di Tor Veragata, “Come acquista la PA -. Le nuove professionalità in tempi di spending review” Rapporto 2013
13 Cabinet Office, “Procurement Profession Skills and Competency Framework”, 2012
14 Xxxxxx Xxxxxxx, Austrian Federal Public Procurement Office, “Professionalization and Certification in Public Procurement in Austria”, Workshop on Public Procurement, Belgrade, 27 March 2009
15 Fondazione Xxxxx Xxxx – “Corruzione in Italia e nei paesi avanzati”, Dossier III / 2015, release 2.1
scelte, evitando la verifica della loro appropriatezza e la considerazione delle alternative, creando situazioni con poca trasparenza.
Un ostacolo ad una corretta ed efficace programmazione sono una bassa sensibilizzazione al problema da parte dei decisori ed un livello di competenza inadeguato delle risorse impiegate. Per questo un tema prioritario da perseguire è la creazione di un ruolo professionale specifico di buyer pubblico, focalizzato sulla qualità dei risultati (acquistare “well”) e sul supporto ai centri di spesa nelle scelte e nella programmazione. Su questo ruolo si deve investire in competenze e motivazione, per la arrivare anche a valorizzare il procurement come strumento dell’attuazione delle linee politiche di sviluppo del paese.
La concentrazione e qualificazione delle stazioni appaltanti, con la riduzione dei soggetti appaltatori e la definizione dei requisiti di qualità che devono possedere, è sicuramente un passo importante in questa direzione. Xxxxxxxx però separato il ruolo di chi decide la spesa, di chi esegue l’affidamento e di chi controlla i risultati. Una corretta organizzazione deve favorire la “contrapposizione dei ruoli”, nel senso che (in generale) chi definisce i fabbisogni, chi approva la spesa in relazione agli obiettivi ed alla disponibilità economica, chi negozia con il mercato, chi definisce e gestisce gli aspetti contrattuali, chi paga il corrispettivo, agiscano in autonomia, avendo ed esercitando un dovuto potere di verifica, ciascuno per le proprie competenze ed attribuzioni.
La mancata definizione dell’architettura delle responsabilità tra origine del fabbisogno (i centri spesa), stazioni appaltanti e centrali di committenza rischia di condizionare negativamente efficienza ed efficacia del sistema degli appalti pubblici. Allo stato attuale, chi ha interesse a mantenere la capacità di appaltare può aggirare le indicazioni sulla qualificazione aggregandosi in modo formale ad amministrazioni diverse e disomogenee per esigenze ed obiettivi.
Per fare chiarezza bisognerebbe separare le responsabilità, aggregando i centri di costo (quelli che hanno il bisogno) in base a tipologia, caratteristiche, territorialità, costituendo unità omogenee in relazione agli obiettivi di mandato, lasciando l’esecuzione a centri specializzati (generalizzando il ruolo delle centrali di committenza), non condizionati dalle problematiche amministrative e politiche dei centri di spesa.
⮚ Aggregazione della domanda
⮚ Pianificazione e progettazione
degli affidamenti
⮚ Procedure di gara
⮚ Obiettivi di mandato
⮚ Programmazione fabbisogni
Es. Unione di Comuni
ESIGENZE PER OBIETTIVO
Es. Comuni
Centri di costo
Centro di spesa Soggetto aggiudicatore
Stazione appaltante
Centrale di committenza
IL CODICE SENZA ‘FASE DI IDENTIFICAZIONE’ DEI PROGETTI. COME RIDARE IL GIUSTO AVVIO ALLA PARTENZA DEI PROGETTI DI LAVORI PUBBLICI
XXXXXX XXXXXXX∗
L’obiettivo di questo documento è illustrare i problemi di controllo che sono generati, nei progetti di lavori pubblici italiani, dall’assenza nel nuovo Codice della strategica Fase di Identificazione16.
Sulla base del confronto con le modalità di gestione del ciclo di progetto nei contratti finanziati con i fondi del budget generale dell’Unione Europea17, questa nota intende mostrare come l’introduzione della Fase di Identificazione nel nuovo codice consentirebbe di ottenere, attraverso un contenuto investimento, grandi benefici per l’efficacia e l’efficienza dei progetti pubblici.
Nel contesto dei progetti pubblici finanziati dagli organismi internazionali è prassi obbligatoria l’impiego nella Fase di Identificazione di un Team di pochi esperti (2-3), che operano per un periodo di tempo assai limitato (da 15 giorni a due mesi, in media). Questo Team di esperti fa leva sulla tecnica detta di Expert Judgment (esperienza di gestione di progetti similari, in contesti normalmente più avanzati) per fornire al Committente pubblico: a) una corretta analisi del fabbisogno; b) la necessaria iniziale verifica di pre-fattibilità dell’intervento (senza ricorso alle onerose indagini di campo); c) una realistica definizione dell’obiettivo e dei risultati attesi del progetto; d) la stima preliminare ma sufficientemente attendibile del budget; e) gli elementi per consentire al decisore pubblico se procedere con la successiva verifica di fattibilità e la progettazione dell’intervento (che sono attività onerose); e) gli indicatori per determinare professionalmente le priorità dell’intervento nella programmazione generale; f) i ‘Termini di Riferimento’ per poter mettere a gara le successive fasi di formulazione e approfondimento progettuale dell’intervento; g) il Procurement Plan, ovvero il piano di tutte le gare (di servizi, forniture e lavori) necessarie per la realizzazione del progetto, con le procedure raccomandate e le scadenze previste.
∗ Docente di Strategy and Organization ai Master Nazionali ed Internazionale di Public Procurement dell’Università degli Studi di Tor Vergata e dell’Università degli Studi di Cagliari.
16 Il presente contributo si collega e converge con le conclusioni di altri due contributi inclusi nella medesima pubblicazione (Xxxxxx e Xxxxxxxxx): la tematica comune è infatti quella della insufficiente considerazione, nella tradizione normativa italiana – e anche nel nuovo codice – dei contenuti, degli scopi e delle responsabilità della funzione di “identificazione della domanda pubblica” (non solo di lavori, ma anche di forniture e di servizi).
17 Che rappresenta parte rilevante dell’esperienza dell’Autore.
Il nuovo Codice dei contratti pubblici introduce importanti innovazioni, avviando – in molte sue parti - l’auspicato riallineamento con le best practice comunitarie. Tuttavia il Codice contiene un’imperdonabile ‘dimenticanza’. Sono trascorsi 18 anni dalla Nota esplicativa della Direttiva CIPE n. 70 del 9 del luglio 1998, che forse giustificava - nell’urgenza dell’avvio dell’allora Agenda 2000 - l’approssimazione del sistema italiano e la confusione (contenuta in quel documento) fra pre-fattibilità e fattibilità del progetto ma l’errore non è stato corretto neanche dal nuovo codice.
Infatti, il Titolo III (Pianificazione, programmazione e progettazione) descrive i risultati attesi dalla fase di programmazione (art. 21) e, dopo aver introdotto lo strumento del dibattito pubblico (art. 22), passa direttamente a descrivere i tre livelli della progettazione (art. 23) che, notoriamente - nel contesto europeo e internazionale - sono parte della Fase di Formulazione del progetto (anche detta di Preparazione), saltando la Fase di Identificazione. Si veda lo schema qui allegato. | Project cycle UE: i deliverable di ciascuna fase |
Peraltro, la Fase di Identificazione del progetto, che pur richiede un tempo assai contenuto (da 15 giorni a due mesi in media per i progetti sopra-soglia), è notoriamente cruciale per la qualità del progetto e per l’efficacia della sua realizzazione. Essa dà luogo ai deliverable indicati qui di seguito, del tutto assenti nel contesto italiano dei contratti pubblici.
• Studio di Identificazione (o di pre-fattibilità, o di pre-design). Definisce, in forma inequivocabile e realistica, obiettivo e risultati attesi del progetto. Questo studio, di poche pagine e senza indagini di campo, è realizzato da un ristretto Team di esperti (1-3
consulenti senior con un minimo di 10-15 anni di esperienza specifica) che opera con la tecnica detta di Expert Judgement: identificati i fabbisogni (opportunamente riordinati, in relazione di causa-effetto), definisce e quantifica obiettivi e risultati attesi attraverso la contestualizzazione e quantificazione parametrica delle possibili soluzioni progettuali, ricavate dall’esperienza di gestione in progetti similari ed in contesti generalmente più avanzati.
• Termini di Rifermento (noti come ToR nel contesto UE e internazionale). In cascata allo Studio di Identificazione, il Team è in grado di definire i ‘Termini di riferimento’ per
poter mettere a gara le successive fasi di fattibilità e approfondimento progettuale dell’intervento. I ToR sono redatti su template riconosciuto e utilizzato universalmente, a guida del successivo ciclo di servizi (dalla fattibilità al collaudo). Consentono, tra l’altro, una stima del budget per i cruciali servizi d’ingegneria e architettura basata sulla stima
dell’effettivo fabbisogno di risorse in personale, consentendo di superare le approssimative e anacronistiche ‘stime del corrispettivo’- attualmente in vigore in Italia - ottenute parametricamente sul costo stimato delle opere (e, al riguardo, la domanda è: ‘Costo delle opere stimato da chi, senza la Fase di Identificazione?’).
• Procurement Plan (si potrebbe tradurre Piano – meglio che Programma, che è altra cosa
– delle acquisizioni). E’ lo strumento che definisce i fabbisogni di tutte le gare (di servizi, forniture e lavori) necessarie per la realizzazione del progetto: sulla base dell’analisi del mercato e dei rischi, il Procurement Plan propone al decisore pubblico le procedure di gara più idonee per l’intero progetto, tra l’altro suggerendo l’opzione ottimale tra l’appalto integrato (che non è vietato ma è una delle possibili best practice in Europa) o l’approccio tradizionale (affidamento dei soli lavori sulla base della progettazione esecutiva).
Il vecchio quadro normativo e regolamentare affidava al RUP la redazione del Documento Preliminare alla Progettazione (tra l’altro - con un approccio poco consapevole delle difficoltà del ruolo - il vecchio ordinamento consentiva che il ruolo del RUP potesse essere svolto anche da un tecnico non laureato)18. La redazione di questo documento, che di fatto poteva essere considerato un surrogato di bassa qualità dello Studio di Identificazione internazionale, si configurava spesso come un adempimento cartaceo, rapidamente dimenticato nel corso del progetto, perché sostanzialmente irrealistico nella definizione e quantificazione dei risultati attesi (si vedano gli sforamenti di budget o il ridimensionamento, anche qualitativo, dei risultati attesi della maggioranza dei progetti italiani di infrastrutture).
Il nuovo Codice affida all’ANAC (art. 31) i compiti di definire i compiti specifici del RUP (che nel contesto UE è più dignitosamente chiamato Project Manager del progetto). E tuttavia l’ANAC, nelle Linee Guida pubblicate il 21/06/2016, non ha neanche citato il Documento Preliminare alla Progettazione tra i compiti del RUP.
C’è da dire che nel passato l’ANAC ha dimostrato un approccio di project control sostanzialmente di tipo ex-post, con il risultato che la vigilanza è apparsa in alcuni importanti casi tardiva e prevalentemente sanzionatoria19 piuttosto che ispirata a prevenire i malfunzionamenti.
Sul piano dell’organizzazione del Sistema di Public Procurement italiano, come definito dal nuovo codice, la proposta di introduzione della strategica Fase di Identificazione comporta anche l’onere di dover proporre un sistema efficiente e trasparente di selezione degli esperti individuali senior ai quali affidare la redazione dei deliverable della Fase di Identificazione.
Questo aspetto, più che essere un onere, può essere considerato un’irripetibile opportunità per dare trasparenza a tutto il sistema di affidamento delle consulenze individuali, che in Italia è stato più volte riconosciuto dalla Corte dei Conti come ‘oscuro’, poco trasparente e spesso dannoso per il contribuente pubblico.
18 Sul punto, vedi anche – in questo paper – il contributo di X. Xxxxxx.
19 Si veda al riguardo la pluriennale ‘disattenzione’ dell’Autorità sull’anomalia dell’affidamento al Contraente Generale del potere di nomina della Direzione Lavori (denunciato già nel Rapporto Italiadecide 2012), nonché i tardivi interventi di controllo nei progetti strategici del Mose e di Expo Milano.
Nelle proprie Relazioni annuali, la Corte dei Conti ha spesso raccomandato alla Pubblica Amministrazione una ‘stretta’ nell’affidamento delle consulenze individuali, che invece nel contesto UE e internazionale sono largamente utilizzate, perché economicamente più vantaggiose rispetto al ricorso a risorse interne.
Le singole stazioni appaltanti, anche se centralizzate e con qualificazione certificata dall’ANAC, non possono possedere internamente personale fisso con l’elevata specializzazione richiesta da ciascuna fase di ciascun particolare progetto. E’ pertanto buona prassi UE e internazionale affidare all’esterno - ma ovviamente con procedura competitiva (al riguardo, in UE si utilizza largamente l’Accordo Quadro) - tutte quelle attività strategiche di assistenza tecnica e consulenza che richiedono elevata specializzazione per un periodo limitato nel tempo: come quelle, in particolare, per le attività di Identificazione del progetto (e di valutazione delle offerte da parte dei Commissari di gara, di audit, etc).
L’assenza della Fase di Identificazione comporta, tra l’altro, i seguenti problemi:
• Il progetto è avviato senza una chiara analisi di pre-fattibilità, senza una professionale definizione di obiettivo e risultati attesi e senza un’attendibile stima preliminare di budget.
• Non ci sono i Termini di Riferimento per l’affidamento dei servizi d’ingegneria e architettura, a partire da quelli necessari per mettere a gara lo Studio di Fattibilità
(impropriamente definito dal nuovo Codice ‘Progetto di fattibilità’) e la progettazione. Il Progetto di Fattibilità, che propriamente prevede ed è basato sulle onerose indagini di campo per un’attendibile stima dei costi, andrà inevitabilmente ‘a ruota libera’.
• Il progetto ‘parte’ senza una professionale analisi delle opzioni di procurement (appalto
tradizionale, appalto integrato, altre forme), ed il codice si affida a una grossolano divieto dell’appalto integrato per i settori ordinari (che, in taluni specifici casi è considerata la best practice in UE) per cercare di scongiurare il rischio di varianti da parte dell’Impresa già in fase di progettazione esecutiva (non conoscendo i più opportuni strumenti di project management per evitare questo rischio).
• Le consulenze individuali sono ‘demonizzate’ nel sistema italiano, particolarmente dalla
Corte dei Conti, perché non si fa uso di un sistema competitivo di affidamento che costituisce la best practice della UE per questo tipo di affidamenti strategici ma di importo sotto-soglia comunitaria.
• Introduzione della Fase di Identificazione. Introduzione di un articolo del Codice (tra il 21 e il 22), che riconosca il carattere fondante della Fase di Identificazione dei
progetti e definisca gli obiettivi e i contenuti essenziali dei deliverable di questa fase (Studio di Pre-Fattibilità, TOR e Procurement Plan), demandando all’ANAC il compito di definire il modello standard (il template) per tali deliverable.
• Introduzione nelle Linee Guida dell’ANAC della raccomandazione (con obbligatoria giustificazione di ogni deroga) dell’utilizzo dell’Accordo Quadro
gestito da CONSIP a livello nazionale, per l’affidamento dei servizi sotto-soglia d’ingegneria e di architettura di importo superiore a 30,000 €. Questa efficiente e trasparente modalità di affidamento, che nella UE si conclude in 21 giorni calendario dalla richiesta formale della consulenza da parte delle stazioni appaltanti al gestore dell’Accordo Quadro, consentirebbe, tra l’altro, l’impiego delle professionalità adeguate nella strategica Fase di Identificazione.
I contenuti standard dei tre deliverable della Fase di Idntificazione menzionati sopra sono ampiamente noti nella letteratura – e soprattutto – utilizzati nella prassi internazionale. Su richiesta, l’autore di questa Nota rende disponibili i template dei suddetti tre cruciali deliverable della fase di identificazione, in lingua italiana, perfettamente armonizzati con le prassi EU e con l’attuale quadro normativo italiano.
IL CICLO DELLA PROGRAMMAZIONE E DEL PROGETTO NEL NUOVO CODICE DEGLI APPALTI E DELLE CONCESSIONI
XXXXXXXXX XXXXXX∗ E XXXXXX XXXXXXXX∞
1. Le innovazioni introdotte dal nuovo Codice degli appalti e delle concessioni
Il nuovo Codice degli appalti e delle concessioni (D.Lgs n. 50/2016) introduce una molteplicità di innovazioni sensibilmente condizionate da poco commendevoli comportamenti degli operatori del settore che hanno indotto il legislatore a dare grande rilievo al tema della legalità.
Con questo articolo ci interessa approfondire le innovazioni riguardanti il ciclo della programmazione e del progetto, collocato nella fase iniziale del complesso processo di realizzazione dell’opera pubblica. Esso riveste, ovviamente, una notevole rilevanza sia per i profili tecnici che per le implicazioni di natura procedimentale e finanziaria.
Come noto con il nuovo Codice il legislatore ha puntato alla netta separazione tra progettazione ed esecuzione dei lavori, con sensibili impatti nel corso di tutto il processo che porterà alla realizzazione dell’opera, dalla programmazione alla procedura d’appalto alla procedura di collaudazione. Per gli appalti sopra la soglia di un milione di euro, come noto, si prevede l’obbligo dell’affidamento dei lavori sulla base del progetto esecutivo e per l’aggiudicazione l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Nello Schema 1 sono state sintetizzate le maggiori innovazioni introdotte rispetto al precedente Codice (d. lgs n. 163/2006), nelle principali fasi del processo: i) programmazione, ii) finanziamento, iii) progettazione, iv) approvazione, v) affidamento dei lavori.
∗ Professore ordinario di Urbanistica - Università di Roma La Sapienza.
∞ Architetto; Fondatore di Asset, Assistenza e servizi per lo sviluppo economico del territorio s.r.l.
Schema 1. - Principali novità del d. lgs. 50/2016 sul ciclo della programmazione e del progetto
CODICE “DE LISE” D.LGS 163/2006
NUOVO CODICE DEGLI APPALTI D.LGS 50/2016
PROGRAMMAZIONE
PROGRAMMA
TRIENNALE LAVORI
PUBBLICI
PROGRAMMA
BIENNALE SERVIZI E FORNITURE
PROGRAMMA
TRIENNALE LAVORI PUBBLICI
FINANZIAMENTO
FINANZIAMENTO
PROGETTAZIONE E LAVORI
FINANZIAMENTO
SERVIZI PROGETTAZIONE
FINANZIAMENTO
LAVORI
PROGETTAZIONE
PROGETTO
PRELIMINARE
INGAGINI
GEOLOGOCHE E
GEOGOSTICHE
VERIFICA PREVENTIVA
ARCHEOLOGICA
PROGETTO DI
FATTIBILITÀ
APPROVAZIONE
CONFERENZA DEI
SERVIZI
DIBATTITO
PUBBLICO
CONFERENZA
DEI SERVIZI
AFFIDAMENTO
APPALTO
INTEGRATO
AFFIDAMENTO
PROGETTO
AFFIDAMENTO
LAVORI
L’effetto della separazione tra progetto ed esecuzione dei lavori, insieme all’introduzione di altri nuovi istituti, quale ad esempio il dibattito pubblico, determina in ciascuna delle su indicate fasi, una separazione di attività precedentemente “accorpate”. Ciò riguarda innanzitutto gli strumenti di programmazione. Infatti la separazione del finanziamento della progettazione da quello dell’opera ha determinato l’introduzione del Programma biennale dei servizi e delle forniture, al cui interno troveranno collocazione anche i servizi di architettura e ingegneria.
L’accorpamento di studio di fattibilità e progetto preliminare in progetto di fattibilità tecnica ed economica ha rafforzato l’esigenza di anticipare le attività di indagine (geologiche e archeologiche) rispetto allo stesso primo livello della progettazione, rivisitato appunto in progetto di fattibilità tecnica ed economica.
L’introduzione, per alcune opere, del dibattito pubblico sulla base del progetto di fattibilità tecnica ed economica ha determinato comunque l’esigenza di anticipare parte delle procedere approvative esogene alla stazione appaltante, introducendo una prima conferenza dei servizi ex ante il dibattito pubblico.
2. Il nuovo ciclo della programmazione e del progetto
Se analizziamo più nel dettaglio le attività propedeutiche alla realizzazione dell’opera distinguendo tra attività di programmazione, di progettazione e di finanziamento (v. Schema 2) possiamo individuare tre specifici “macro flussi” di attività.
Schema 2. - Principali flussi di attività nel ciclo della programmazione e del progetto
FORMAZIONE DOMANDA PUBBLICA FLUSSO DELLA PROGRAMMAZIONE
PIANI E
PROGRAMMI
DOCUMENTO UNICO
PROGRAMMAZIONE
PROGRAMMA
BIENNALE DEI SERVIZI
(E DELLE FORNITURE)
PROGRAMMA
TRIENNALE DEI LAVORI PUBBLICI
REALIZZAZIONE DEI LAVORI
FLUSSO DEL PROGETTO FLUSSO DEL FINANZIAMENTO
PROGETTO DI FATTIBILITÀ
TECNICA ED ECONOMICA
PROGETTO DEFINITIVO
PROGETTO ESECUTIVO
FONDO PER LA PROGETTAZIONE OPERE DELLO STATO
FINANZIAMENTO
PROGETTI
FINANZIAMENTO
OPERE
Il nuovo quadro normativo determina, in successione, una progressività dei livelli di approfondimento degli atti tecnico-amministrativi che corrispondono ad una progressività degli impegni di spesa, garantendo all’Amministrazione la possibilità di meglio modulare, rispetto al passato, la disponibilità delle risorse stanziate, in particolare per la fase realizzava, la più onerosa dell’intero ciclo dell’opera.
I tre macro flussi sono ovviamente condizionati da due altri, altrettanto rilevanti insiemi di attività amministrative, riconducibili a due famiglie: le attività approvative/autorizzative e quelle concorsuali per l’affidamento di servizi e lavori.
Conseguentemente se approfondiamo più nel dettaglio i flussi delle attività cercando di interrelarle tra loro, possiamo iniziare a delineare lo schema (flow chart) del ciclo della programmazione e del progetto (v. Schema 3). Da esso si può evincere la complessa successione delle attività nelle varie fasi che prendono avvio dalla formazione della domanda pubblica alla base dei vari strumenti pianificatori e programmatici che, a loro volta, implementano la formazione dei due strumenti programmatici introdotti nel nuovo Codice - il Programma biennale dei servizi e delle forniture e il Programma triennale dei lavori pubblici - oltre a quelli già previsti, come quelli imposti dai D.Lgs 228 e 229 del 2011.
E’ importante notare come il nuovo Codice con l’introduzione del progetto di fattibilità tecnica ed economica ha determinato la necessità di prevedere comunque delle attività pre-progettuali che, in attesa dell’apposito decreto del M.I.T. d’intesa con il M.A.T.T.M. in corso di formulazione, sono per ora individuate esclusivamente nelle indagini geologiche e geognostiche nonché nella verifica preventiva archeologica, senza alcuna definizione dimensionale.
Tuttavia non si può non prevedere che tali attività dovranno essere precedute da almeno un importantissimo adempimento da parte dell’Amministrazione, la predisposizione del Documento Preliminare alla Progettazione (DPP).
Infatti senza la definizione del quadro esigenziale, delle finalità e degli obiettivi specifici dell’opera, del suo dimensionamento fisico ma anche soprattutto economico-finanziario con la redazione del Quadro Tecnico Economico e dei riferimenti normativi, sarebbe impossibile non solo avviare l’attività progettuale e pre-progettuale ma anche inserire il progetto (ovvero il prodotto dei servizi di ingegneria e di architettura) all’interno del Programma biennale dei servizi in modo da poterle finanziare (con risorse proprie o trasferite da altri)20. Per esempio, nel caso di opere statali da forme di finanziamento ad hoc, come il Fondo unico per la progettazione o, ad esempio, le delibere C.I.P.E.
Schema 3. – Il nuovo ciclo della programmazione e del progetto
PIANI E PROGRAMMI
BISOGNI E
FABBISOGNI
PIANI PIANI PIANI DI DOCUMENTO
TERRITORIALI STRATEGICI SETTORE E UNITARIO DI
URBANISTICI CITTÀ METR. SOCIALI XXXXX.XX
FONDO PER LA
PROGETTAZIONE OPERE DELLO STATO
FLUSSO DEL PROGETTO
DOCUMENTO PRELIMINARE ALLA
PROGETTAZIONE (DPP)
PROGRAMMA
BIENNALE DEI
SERVIZI
(E DELLE FORNITURE)
FINANZIAMENTO
PROGETTI
Indagini geol. e geognostiche
Verifica preventiva archeologica
AFFIDAMENTO
SERVIZI E PROGETTI
PROGETTO DI FATTIBILITÀ
TECNICA ED ECONOMICA
CONFERENZA
DEI SERVIZI
PROGRAMMA
TRIENNALE DEI LAVORI PUBBLICI
FINANZIAMENTO
OPERE
DIBATTITO
PUBBLICO
PROGETTO DEFINITIVO
CONFERENZA
DEI SERVIZI
ADEGUAMENTO
Q.T.E.
PROGETTO ESECUTIVO
AFFIDAMENTO
LAVORI
REALIZZAZIONE DEI LAVORI
FORMAZIONE DOMANDA PUBBLICA
FLUSSO DELLA PROGRAMMAZIONE
FLUSSO DEL FINANZIAMENTO
MONITORAGGIO
1. MEF (ex d.lgs. 228/2011 e 229/2011 )
2. OSSERVATORIO ANAC
Il primo livello progettuale previsto dal nuovo Codice, ovvero il progetto di fattibilità tecnica ed economica, assume particolare rilevanza rispetto al precedente primo livello, progetto preliminare. Ciò non solo in quanto tale documento deve contenere l’analisi delle alternative progettuali secondo la valutazione costi benefici, quali per esempio nel caso di realizzazione di una infrastruttura lineare l’analisi comparativa delle diverse ipotesi di tracciato, ma anche perché costituisce la condizione indispensabile al fine del finanziamento dell’opera attraverso il suo inserimento nel Programma triennale dei lavori pubblici. Inoltre non deve essere sottovaluta la possibilità di poter avviare le procedure approvative, autorizzative e le espropriazioni per pubblica utilità, sulla base dello stesso progetto di fattibilità, attraverso una prima Conferenza dei servizi e, per le opere presumibilmente più rilevanti, l’avvio della procedura del Dibattito Pubblico.
20 Vedi, in questo paper, i due contributi di X. Xxxxxxxxx e di X. Xxxxxxx.
Al riguardo non si deve sottovalutare però come le procedure approvative, dove la partecipazione pubblica assume maggior rilievo, possano determinare effetti non solo tecnici sulle soluzioni progettuali, ma anche e soprattutto economici, sia per l’introduzione di modifiche alle soluzioni progettuali originarie che per nuove opere compensative non previste prima, con conseguente necessità di adeguamento del Quadro Tecnico Economico dell’opera.
Da qui l’esigenza e la necessità di un continuo monitoraggio finanziario dell’opera lungo l’iter programmatico e progettuale, del resto reso obbligatorio da già richiamati dd. lgss. 228 e 229/2011.
3. La fase di start up della programmazione dei servizi di ingegneria e architettura
Per analizzare invece la fase di start up dei servizi di ingegneria e architettura è indispensabile partire dalla loro programmazione, propedeutica al loro finanziamento sulla base della “domanda pubblica”. Al riguardo è evidente, come già illustrato precedentemente, che con il Codice si pone comunque la necessità di predisporre una serie di attività pre-progettuali, a partire da quelle contenute nel Documento Preliminare alla Progettazione. Ciò riguarda innanzitutto, nel caso molto probabile per le opere di una certa rilevanza, per l’affidamento esterno dei servizi di ingegneria e architettura, dell’attribuzione del Codice Unico di Progetto (C.U.P.). Inoltre il contenuto del DPP dovrà essere tale da permettere il corretto svolgimento dei servizi e quindi definire almeno: i) gli obiettivi dell’opera, ii) il quadro esigenziale, iii) la localizzazione, iv) i limiti di spesa con la determinazione del relativo Q.T.E., v) la definizione delle modalità di esecuzione dei servizi e di espletamento interno all’amministrazione ovvero di affidamento esterno degli stessi.
Una volta completata l’elaborazione del DPP, la progettazione dell’opera dovrebbe essere inserita nel Programma biennale dei servizi e delle forniture, sottoposto non solo al sistema di monitoraggio e rendicontazione ai sensi dei dd.lgss. 228 e 229/2011, ma anche alle procedure a garanzia della trasparenza dell’azione amministrativa e dei principi di concorrenza.
L’approvazione del Programma biennale dei servizi e delle forniture consentirà il finanziamento dei servizi di ingegneria e di architettura, a iniziare dalle indagini pre-progettuali (geologiche e archeologiche) per poi passare, se si tratta di attività effettuate all’esterno dell’Amministrazione, alle procedure concorsuali per l’affidamento dei servizi di ingegneria e architettura, dal progetto di fattibilità tecnico economica ai successivi livelli di progettazione.
Proposta di
PROGRAMMA BIENNALE DEI SERVIZI E DELLE FORNITURE
Determina
dirigenziale
PROGRAMMA
BIENNALE DEI SERVIZI
(E DELLE FORNITURE)
ATTUAZIONE
PROGRAMMA BIENNALE
AFFIDAMENTO SERVIZI E PROGETTO
Strumenti di Comunicazione
Identificazione requisiti funzionali del Sistema Informativo di monitoraggio
Implementazione Sistema Monitoraggio e Strumenti di Gestione
PROGRAMMA TRIENNALE DEI LAVORI PUBBLICI
FINANZIAMENTO
PROGETTAZIONE
Schema 4. – Fase di start up del progetto e dei servizi di ingegneria
DOCUMENTO PRELIMINARE ALLA PROGETTAZIONE (DPP) |
Attribuzione CUP |
Determinazione Quadro Esigenziale |
Quadro Tecnico Economico |
Modalità di Esecuzione del Servizio |
Modalità di Esecuzione dell’Affidamento |
4. La fase progettuale propedeutica alla procedura di affidamento dei lavori
Per quanto riguarda le attività progettuali, come già segnalato, il Codice ha reso obbligatorie, prima della stesura del progetto di fattibilità tecnica ed economica, le indagini geologiche e geotecniche nonché le verifiche preventive archeologiche.
Al di là delle disposizioni che saranno contenute nel previsto DM che probabilmente inserirà una certa gradualità di tali indagini in relazione ai livelli della progettazione, l’attività progettuale risulta articolata, perlomeno per i progetti più complessi, in quattro fasi successive:
i) indagini, ii) progetto di fattibilità, iii) progetto definitivo, iv) progetto esecutivo.
L’approvazione del progetto di fattibilità consentirà l’inserimento dell’opera nel Programma triennale dei lavori pubblici e quindi il finanziamento della stessa.
Mentre l’iter progettuale, prima delle procedure di affidamento dei lavori, dovrà seguire il suo corso autonomo, anche finanziario (sulla base del Programma biennale dei servizi e delle forniture), attraverso le procedure approvative sia del progetto definitivo che di quello esecutivo (Verifica tecnica e Validazione), nonché il completamento dell’iter procedurale autorizzativo: Conferenze dei servizi, Dibattito pubblico e, qualora necessarie, procedure di V.I.A., eventuali varianti di piani urbanistici e V.A.S.
Schema 5. – Schema della fase propedeutica alla procedura di affidamento dei lavori
AFFIDAMENTO
SERVIZI E
PROGETTO
CONFERENZA
DEI SERVIZI
PROGRAMMA
TRIENNALE DEI LAVORI PUBBLICI
DIBATTITO
PUBBLICO
Verifica tecnica
Validazione
CONFERENZA
DEI SERVIZI
FINANZIAMENTO
OPERE
Verifica tecnica
Validazione
AFFIDAMENTO LAVORI
PROGETTO ESECUTIVO
PROGETTO DEFINITIVO
Verifica preventiva archeologica
Indagini geol. e geognostiche
PROGETTO DI FATTIBILITÀ TECNICA ED ECONOMICA
5. Alcune considerazioni sul nuovo ciclo della programmazione e del progetto
La ricostruzione del ciclo della programmazione e della progettazione dell’opera pubblica, mostra come il nuovo Codice dia effettivamente rilievo – si è parlato di “centralità” – non solo del progetto, ma forse ancor di più della programmazione. Alla cui base vi è, ovviamente, la domanda pubblica e quindi il tema profondo dell’analisi e dell’individuazione dei bisogni e della loro traduzione in “fabbisogni” (quali/quantitativi) e conseguentemente nei progetti che servono a soddisfarli.
La lettura del Codice fa emergere l’annoso problema dell’efficienza/efficacia della programmazione e degli effetti perversi dell’ipertrofia programmatoria nazionale dalla quale anche lo Stato è costretto spesso a “smarcarsi”. Basti pensare alle molteplici attività deliberative del C.I.P.E., in particolare nei periodi nei quali si punta ai lavori pubblici come leva essenziale per l’uscita dalla crisi e lo sviluppo dell’economia.
Chi e come forma oggi la domanda pubblica? Chi traduce i bisogni in progetti di dimensione ottimale? Sia per il contenimento della spesa che per l’efficienza dell’investimento? Che effetti di retroazione ci saranno sul mercato dalla loro realizzazione e dall’entrata in esercizio? Fintanto che i centri decisionali sulla domanda saranno molteplici e dispersi – in passato questo carattere tipico italiano, Xxxxxxx Xxxxxxx lo definiva «policentrismo decisionale» -, non si potrà raggiungere l’obiettivo di efficienza/efficacia della spesa/investimento e del suo esito sul mercato.
L’attuale processo di programmazione sembra infatti più orientato a controllare la spesa che a far fronte ai fabbisogni e allo sviluppo degli investimenti e alla conseguente crescita dell’economia.
E altrettante domande sorgono su altre innovazioni introdotte dal Codice. Ad esempio, se la formazione delle centrali di committenza consentirà di concentrare e qualificare la gestione delle procedure di aggiudicazione, come sarà gestita la domanda pubblica anche alla luce dell’introduzione di commissioni di gara sorteggiate e, in quanto tali, totalmente inconsapevoli delle esigenze dell’amministrazione che deve acquistare servizi/opere? Non si determinerà una forte de-responsabilizzazione dei centri decisionali? In particolare per i servizi di ingegneria ed architettura, dove è il destinatario dell’opera che meglio conosce le esigenze progettuali, realizzative e gestionali. Questioni che si accentuano in presenza di forme di partecipazione e di mediazione sociale quale il dibattito pubblico. In specie allorché queste procedure si ispirino a un vero processo partecipativo (v. i precedenti articoli di Xxxxxxxxx Xxxxxx e Xxxxxxxx Xxxxxxxxxxxx su questo argomento pubblicati su questa stessa rivista).
Inoltre le istanze di qualificazione della domanda che impatto avranno in termini di qualificazione dell’offerta di professionisti e imprese? Il nuovo Codice non può ovviamente costituire uno strumento di politica attiva del settore delle costruzioni, contrariamente alla convinzione che sembra aver ispirato il legislatore della delega attribuita al Governo.
Il problema, così posto, fa emergere pienamente la centralità della programmazione dei servizi e dei lavori. Purtroppo la determinazione nell’attuare le programmazioni non sembra essere una delle caratteristiche positive della nostra P.A. allargata, dove addirittura il principio di continuità amministrativa viene oramai sempre più disatteso.
Che il legislatore abbia ritenuto centrale la programmazione è confermato dal fatto che l’erogazione degli incentivi ai dipendenti delle stazioni appaltanti riguarderà le attività di programmazione anziché di progettazione.
Per quanto riguarda la sempre più ricercata qualità del progetto emerge l’esigenza di misurare anche l’innovazione di processo e di prodotto che questa è in grado di raggiungere. L’obbligo che l’appalto dei lavori si possa effettuare di norma solo sul progetto esecutivo, prescindendo dalla tipologia e dalle caratteristiche dell’opera, non solo in base al suo valore economico, potrebbe talvolta sfavorire l’innovazione che procedure di affidamento “più libere e contrattuali” invece favorirebbero. Come ricorda anche Xxxxxxxxx Xxxxx in una famosa “Teca RAI” dedicata alle opere olimpiche del 1960 a Roma sull’importanza dell’integrazione tra progettazione ed esecuzione, solo procedure del tipo dialogo competitivo ovvero appalto integrato/appalto concorso consentono grandi innovazioni. E che i concorsi di architettura solitamente riescono a raggiungere a discapito delle originarie previsioni di spesa.
Un buon progetto dovrebbe misurarsi anche con questo obiettivo: favorire l’innovazione di processo e di prodotto, stimolando non solo i progettisti e i direttori dei lavori ma anche i valutatori, i certificatori, le imprese, i produttori di materiali e i collaudatori a cimentarsi con questo problema.
Inoltre la diffusione dell’uso del «numerico» nella progettazione – quale ad esempio la piattaforma informatica Building Innovation Modelling (B.I.M.) di cui il Codice auspica l’uso – farà inevitabilmente decadere la logica della sequenzialità delle varie fasi di progettazione a vantaggio dell’interattività e connessione. Come del resto è già avvenuto nella pianificazione
urbanistica e territoriale, con l’introduzione dei Sistemi Informativi Territoriali e l’utilizzazione dei G.I.S., diventati ordinari “attrezzi di lavoro”.
Sorgono a questo punto tre questioni. La prima, riguarda una certa sottovalutazione del Codice nei confronti degli aspetti contrattuali dei lavori, parte costitutiva e fondamentale del progetto. La seconda, riguarda la valutabilità delle proposte di miglioramento sulla base del progetto esecutivo, di difficile apprezzamento se non guidata proprio dal progetto esecutivo nella totalità dei suoi elaborati tecnici, economici ed amministrativi, tenendo presente l’esigenza di non incorrere in varianti progettuali che possono richiedere nuovi procedimenti autorizzativi. La terza, riguarda il rischio che con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa si possa di fatto ritornare all’offerta al massimo ribasso per via dell’appiattirsi delle valutazioni sul merito tecnico. E ciò ben oltre il perfezionamento di metodi e tecniche di valutazione applicabili, desunte dalla teoria del valore, dalla ricerca operativa, ecc.
Conseguentemente emerge un’altra domanda: la virtuosità insita nel progetto esecutivo non si poteva raggiungere anche con la procedura dell’appalto integrato garantendo al progettista un giusto livello di autonomia e di remunerazione, rispetto all’impresa esecutrice, così come si è fatto nel caso del subappalto dei lavori? Non dimentichiamo che procedure di questo tipo sono quelle più diffuse all’estero.
In conclusione si auspica, una volta che i comportamenti degli operatori siano stati il più possibile ricondotti nella legalità, queste considerazioni possano trovare spazio in una più serena riflessione in materia di lavori pubblici, che dovrà portare a riconsiderare in una giusta misura la separazione tra le dimensioni tecniche proprie delle progettazione e della pianificazione da quelle specifiche del procurement pubblico, riassegnando un ruolo centrale ai centri decisionali pubblici, opportunamente qualificati.
ENTI LOCALI E LAVORI PUBBLICI NEL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI DEGLI APPALTI E DELLE CONCESSIONI (D.LGS. 50/2016).
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Oggetto del presente contributo sarà l’analisi della nuova normativa in materia di acquisti di lavori pubblici degli Enti locali, introdotta con il recente Codice dei Contratti degli Appalti e dei Contratti di Concessione (D.lgs. 50/2016).
Tale disamina proporrà, da un lato, una ricostruzione esaustiva della disciplina, mentre, dall’altro, evidenziate le maggiori problematicità, proporrà alcuni spunti critici di riflessione.
La piena comprensione delle principali novità introdotte, richiede, in via preliminare, una concisa ricostruzione dell’humus normativo sul quale il nuovo Codice è andato ad incidere.
Il nuovo Codice dei Contratti rappresenta, infatti, il consolidamento di un percorso pragmaticamente intrapreso dal Legislatore che, proprio attraverso il nuovo addentellato normativo, ha inteso definire un nuovo quadro regolamentare, organico e complesso.
La nuova disciplina degli acquisti degli Enti locali può ragionevolmente essere collocata sullo sfondo della più ampia tematica della centralizzazione degli acquisti delle pubbliche amministrazioni, costituente, ad oggi, uno fra gli obiettivi cardine perseguiti dal Legislatore in materia di procurement.
Gli interventi di centralizzazione degli acquisti, rappresentano la più sensibile reazione all’attuale e patologica realtà pulviscolare della domanda pubblica di acquisto, di beni, servizi e lavori21. Una realtà pulviscolare risultata molto spesso foriera di inefficienza nonché di fenomeni illeciti di stampo corruttivo22.
∗ Professore ordinario di Diritto amministrativo – Facoltà di Giurisprudenza - LUISS di Roma.
∞ Avvocato.
21 Basti ad esempio pensare come, in base a quanto indicato dal parere n. 855/2016 del Coniglio di Stato, il numero delle stazioni appaltanti censite sia di oltre 32.000 unità (p.7).
22 Il complesso e articolato quadro dei centri di spesa pubblica ricomprende stazioni appaltanti fra di esse profondamente diversificate, non sempre munite delle opportune professionalità, necessarie a garantire la corretta gestione della gara pubblica. Proprio l’assenza delle dovute tecnicalità non può dunque che risolversi in una patologica incapacità della stazione appaltante alla conduzione della gara con conseguenti perdite in tema di perseguimento di quell’obiettivo di efficienza che è proprio dell’attività amministrativa.
Non solo la realtà rappresentata risulta di per sé idonea a generare inefficienza ma, proprio il complesso sistema di “feudalismo” amministrativo descritto, rendendo sensibilmente ostica la conduzione di efficaci forme di controllo, appare altresì foriero di fenomeni illeciti, di stampo corruttivo.
Un significativo ed organico intervento, in materia di centralizzazione degli acquisti, avente peraltro avuto un suo rilevante riverbero a livello locale, è stato promosso dal Legislatore, con l’art. 9 della L. 89 del 2014, di conversione del d.l. 66 del 2014.
Tale disposizione ha previsto l’introduzione nell’Anagrafe Unica delle stazioni Appaltanti (AUSA23) di una specifica sezione dedicata ai soggetti aggregatori, costituenti centrali di committenza qualificate, inderogabilmente deputate all’acquisto di beni, servizi e lavori, per conto di amministrazioni terze. Fra i soggetti legittimati a figurare nel nuovo elenco, peraltro curato dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), venivano direttamente individuati: Consip s.p.a., una centrale di committenza facente capo a ciascuna Regione, nonché soggetti già espletanti attività di committenza, purché in numero non superiore alle 35 unità.
L’intento del Legislatore, per mezzo dell’art. 9 della l. 89 del 2014, era quello di realizzare un sistema sinergico ed integrato di centralizzazione degli acquisti capace di garantire una razionalizzazione ad ampio respiro della spesa pubblica, tanto a livello centrale quanto a quello locale.
La reale portata innovativa della L. 89 del 2014 è stata peraltro nell’aver individuato un vero e proprio obbligo a carico delle amministrazioni di ricorrere allo strumento della centrale di committenza, laddove avessero inteso procedere all’acquisto di beni e servizi. Si trattava, a ben vedere, di una chiara inversione di tendenza rispetto al passato, atteso che, l’art. 33, co. 1, del vecchio Codice dei Contratti (d.lgs. 163/2006), prevedeva esclusivamente la mera facoltà dell’amministrazione di ricorrere a strumenti di aggregazione della domanda.
In base, invece, al nuovo art. 9, co. 3 della L. 89, le amministrazioni statali, le regioni (ivi compresi i consorzi e le associazioni delle regioni) e gli enti del servizio sanitario nazionale erano tenute a ricorrere ai soggetti aggiudicatori inclusi nell’elenco dei soggetti aggregatori, al fine di procedere all’acquisto dei beni e servizi individuati annualmente, sulla base di specifiche categorie e soglie economiche, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Nel caso di violazione del predetto obbligo, l’ANAC non avrebbe rilasciato all’amministrazione il Codice identificativo di gara (CIG) necessario per lo svolgimento delle gare per l’affidamento dei contratti pubblici. In altre termini, la violazione dell’obbligo di ricorso alle centrali di committenza avrebbe fortemente limitato lo svolgimento dell’attività contrattuale delle P.A..
La portata innovativa della disposizione si inseriva, tuttavia, in una trama normativa molto fitta, che, ricca di numerose eccezioni rispetto al principio di cui all’art. 9, andava di fatto a temperare l’ambito applicativo della disposizione.
2.1. Il caso dei comuni.
L’art. 9 della L. 89 del 2014, oltre che incidere sulla capacità di acquisto delle amministrazioni statali e regionali, ha altresì sensibilmente mutato l’inventario degli strumenti azionabili, in materia di procurement, da parte dei Comuni.
23 L’Anagrafe Unica delle Stazioni appaltanti è stata introdotta con il d.l 179/2012.
Tale disposizione, modificando il co. 3-bis dell’art. 33 del Codice, ha, infatti, previsto che i Comuni non capoluogo di provincia, potessero procedere all’acquisto di beni, servizi e lavori ricorrendo, esclusivamente, ad un’unione di comuni, ad un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi, avvalendosi dei competenti uffici provinciali, ovvero ad un Soggetto aggregatore o alle provincie.
Inoltre, i Comuni avrebbero potuto acquistare beni e servizi, mediante gli strumenti elettronici messi a disposizione da Xxxxxx s.p.a. o da altro soggetto aggregatore.
Il pregio del nuovo articolo 9 è stato peraltro nell’aver esteso l’applicazione degli strumenti di acquisto di beni servizi e lavori, dallo stesso previsti, a qualsivoglia Comune non capoluogo di provincia, a prescindere dal relativo numero di abitanti. Si trattava, quindi, di una radicale inversione di tendenza rispetto al passato, atteso che il co. 3-bis dell’art. 33, così come introdotto dalla L. 201 del 2011, aveva originariamente circoscritto l’applicazione degli strumenti di centralizzazione degli acquisti, ivi regolati, esclusivamente ai Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti.
Dal punto di vista sistematico, è interessante notare come l’innovativa disciplina dell’art. 33, co. 3-bis (da ultimo con l. 114 del 2014) muovesse sullo sfondo della più ampia riforma dell’ordinamento intrapreso con la l. 56 del 2014 (legge Xxxxxx), la quale ha contribuito, a ridefinire i confini e competenze della geografia politica nazionale coerentemente “ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza” (art. 1, comma 1)24.
La maggior novità della legge, è, da un lato, nel superamento del livello locale amministrativo provinciale, sostituito dai nuovi enti territoriali di area vasta25, mentre, dall’altro, nella definizione di un complesso sistema di multigoverno amministrativo “a geometria variabile”.
In base, infatti, alla nuova legge, ad un plesso di funzioni fondamentali, costituenti lo “zoccolo duro” delle funzioni esercitate dagli enti di governo più prossimi al cittadino, possono altresì associarsi ulteriori funzioni, conferite, secondo i tradizionali principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione.
Nel quadro normativo della l. 56 del 2014, i nuovi “enti territoriali di area vasta” (art. 1, comma 3), sono riconosciuti come titolari, prevalentemente, di funzioni di programmazione e coordinamento in settori tradizionalmente già peraltro affidati alle Province stesse, le c.d. funzioni fondamentali26.
24 La legge è stata dichiarata costituzionalmente legittima dalla Corte Costituzionale con la sentenza del 24 marzo 2015, n. 50
25 Infatti, come riportato nella relazione di accompagnamento al relativo disegno di legge, la ratio della l. 56/2014 è di individuare “una Repubblica delle autonomie fondata su due soli livelli territoriali di diretta rappresentanza dalle rispettive comunità: le regioni e i comuni. A questi si accompagna un livello di governo di area vasta, chiaramente collocato in una visione funzionale più ad una razionale e coerente organizzazione dei comuni insistenti sul territorio che non ad un livello di democrazia locale espressione della comunità metropolitana”.
26 85. Le province di cui ai commi da 51 a 53, quali enti con funzioni di area vasta, esercitano le seguenti funzioni fondamentali:
a) pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonche' tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza;
b) pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale, nonche' costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente;
c) programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale;
d) raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali;
e) gestione dell'edilizia scolastica;
f) controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunita' sul territorio provinciale.
86. Le province di cui al comma 3, secondo periodo, esercitano altresi' le seguenti ulteriori funzioni fondamentali:
Alle funzioni fondamentali, così tipicamente indicate, l’art. 1, comma 89, consente inoltre allo Stato ovvero alle Regioni, di attribuire ai nuovi enti funzioni proprie in ossequio al principi di cui all’art. 118 Cost., di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (c.d. funzioni non fondamentali)27.
Discorso analogo a quello proposto per le Provincie, può parimenti essere esposto per le Città metropolitane, qualificate proprio a norma dell’art. 1, co. 2 della legge, come “ente ad area vasta”.
In particolare, alle Città metropolitane, oltre alle funzioni fondamentali attribuite alle Province, sono conferite ulteriori funzioni, anch’esse definite fondamentali, ai sensi dell’articolo 1, commi 44-4528. Conseguentemente, le Città metropolitane non si limitano, quindi, a svolgere mere funzioni di coordinamento, ma perseguono proprie finalità istituzionali riassumibili nella: “cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano; promozione e gestione integrata dei servizi, delle infrastrutture e delle reti di comunicazione di interesse della città metropolitana; cura delle relazioni istituzionali afferenti al proprio livello, ivi comprese quelle con le città e le aree metropolitane europee” (art. 1, comma 2).
Anche nel caso delle Città metropolitane, alle funzioni fondamentali, in esame, con soluzione del tutto simmetrica a quella vista per le Province, l’art. 1, comma 46, consente inoltre allo Stato
a) cura dello sviluppo strategico del territorio e gestione di servizi in forma associata in base alle specificita' del territorio medesimo;
b) cura delle relazioni istituzionali con province, province autonome, regioni, regioni a statuto speciale ed enti territoriali di altri Stati, con esse confinanti e il cui territorio abbia caratteristiche montane, anche stipulando accordi e convenzioni con gli enti predetti.
27 89. Fermo restando quanto disposto dal comma 88, lo Stato e le regioni, secondo le rispettive competenze, attribuiscono le funzioni provinciali diverse da quelle di cui al comma 85, in attuazione dell'articolo 118 della Costituzione, nonche' al fine di conseguire le seguenti finalita': individuazione dell'ambito territoriale ottimale di esercizio per ciascuna funzione; efficacia nello svolgimento delle funzioni fondamentali da parte dei comuni e delle unioni di comuni; sussistenza di riconosciute esigenze unitarie; adozione di forme di avvalimento e deleghe di esercizio tra gli enti territoriali coinvolti nel processo di riordino, mediante intese o convenzioni. Sono altresi' valorizzate forme di esercizio associato di funzioni da parte di piu' enti locali, nonche' le autonomie funzionali. Le funzioni che nell'ambito del processo di riordino sono trasferite dalle province ad altri enti territoriali continuano ad essere da esse esercitate fino alla data dell'effettivo avvio di esercizio da parte dell'ente subentrante; tale data e' determinata nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 92 per le funzioni di competenza statale ovvero e' stabilita dalla regione ai sensi del comma 95 per le funzioni di competenza regionale.
28 44. A valere sulle risorse proprie e trasferite, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e comunque nel rispetto dei vincoli del patto di stabilita' interno, alla citta' metropolitana sono attribuite le funzioni fondamentali delle province e quelle attribuite alla citta' metropolitana nell'ambito del processo di riordino delle funzioni delle province ai sensi dei commi da 85 a 97 del presente articolo, nonche', ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, le seguenti funzioni fondamentali:
a) adozione e aggiornamento annuale di un piano strategico triennale del territorio metropolitano, che costituisce atto di indirizzo per l'ente e per l'esercizio delle funzioni dei comuni e delle unioni di comuni compresi nel predetto territorio, anche in relazione all'esercizio di funzioni delegate o assegnate dalle regioni, nel rispetto delle leggi delle regioni nelle materie di loro competenza;
b) pianificazione territoriale generale, ivi comprese le strutture di comunicazione, le reti di servizi e delle infrastrutture appartenenti alla competenza della comunita' metropolitana, anche fissando vincoli e obiettivi all'attivita' e all'esercizio delle funzioni dei comuni compresi nel territorio metropolitano;
c) strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano. D'intesa con i comuni interessati la citta' metropolitana puo' esercitare le funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive;
d) mobilita' e viabilita', anche assicurando la compatibilita' e la coerenza della pianificazione urbanistica comunale nell'ambito metropolitano;
e) promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale, anche assicurando sostegno e supporto alle attivita' economiche e di ricerca innovative e coerenti con la vocazione della citta' metropolitana come delineata nel piano strategico del territorio di cui alla lettera a);
f) promozione e coordinamento dei sistemi di informatizzazione e di digitalizzazione in ambito metropolitano.
45. Restano comunque ferme le funzioni spettanti allo Stato e alle regioni nelle materie di cui all'articolo 117 della Costituzione, nonche' l'applicazione di quanto previsto dall'articolo 118 della Costituzione.
e alle Regioni, ciascuno per le competenze proprie, di attribuire funzioni ulteriori, rispetto quelle fondamentali.
Da ultimo, sia con riferimento alle Città metropolitane sia con riguardo alle Province, è espressamente previsto che le stesse, d’intesa con i comuni interessati, possano espletare funzioni di stazione appaltante29.
La l. 89 del 2014 ha, come visto, radicalmente mutato le modalità di acquisto delle amministrazioni locali, individuando, nell’ottica di una più ampia politica di razionalizzazione e contenimento della spesa, specifiche modalità di approvvigionamento da parte delle pubbliche amministrazioni.
Come già descritto, nel pregresso paragrafo, l’indicazione del Legislatore non si è risolta in una mera dichiarazione d’intenti, di natura programmatica ma, si è munita una propria perentorietà in virtù di sanzioni particolarmente dissuasive capaci di assicurare l’effettività del sistema.
Con soluzione quindi del tutto simmetrica rispetto a quelle prevista al co. 3 dell’art. 9 della l. 89 del 2014, anche nel caso dei Comuni, laddove gli stessi non avessero effettuato i relativi acquisiti nelle forme individuate dall’art. 33, co. 3-bis del Codice, l’ANAC non avrebbe provveduto a rilasciare il Codice Identificativo di Gara (CIG)30.
La portata innovata del nuovo quadro normativo è stato peraltro temperata da un insieme di correzioni opportunamente introdotte a partire dalla l. 114 del 2014.
Tale legge derogando, infatti, al generale obbligo di cui all’art. 33, co. 3-bis, ha previsto che “i comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti” potessero acquistare autonomamente beni, servizi e lavori, purché di ”valore inferiore a 40.000 euro”.
Il riferimento al numero di abitanti per Comune è stato inoltre, da ultimo definitivamente espunto, con l’art. 1, co. 501 della L. 208 del 2015 la quale ha così generalizzato la capacità dei Comuni di procedere direttamente, in deroga a quanto previsto dall’art. 33 del Codice dei Contratti, all’acquisto di beni, servizi e lavori, purché di importo inferiore ai 40.000 euro.
A tali deroghe si sono inoltre associate successive posticipazioni dell’entrata in vigore del nuovo sistema di acquisti, originariamente prevista per il 1° gennaio 2015 per beni e servizi e 1° luglio per lavori, dall’art. 23-bis del d.l. 90 del 2014 (convertito con L. 114 del 2014). Tale termine è stato infatti inizialmente posticipato al 1° settembre 2015 per essere definitivamente mutato al 1° novembre 2015, con l’ art. 1, co. 169, L. 107 del 2015.
Le modifiche susseguitesi, aventi progressivamente contribuito ad edulcorare l’ambito di applicazione della riforma erano peraltro frutto dei “malesseri” avvertiti dai destinatari della stessa, molto spesso preoccupati dalla “paralisi” dell’attività contrattuale dei Comuni che sarebbe derivata da una repentina entrata in vigore della nuova disciplina.
29 Art. 1, co. 44, per le Città metropolitane e art. 1, co. 88 per le Province.
30 Proprio la severità della presente sanzione può agevolmente consentire di comprendere un’ulteriore modifica introdotta con la l. 114/2014. La pura, infatti, che le nuove disposizioni potessero paralizzare l’attività di acquisito dei comuni, ha spinto il Legislatore a posticipare l’entrata in vigore dell’art. 33, co. 3-bis dal 1 gennaio 2015, per quanto riguarda le acquisizioni di beni e servizi, e dal 1 luglio 2015, con riferimento invece alle acquisizioni di lavori.
Quanto concisamente descritto ha funto quindi da base normativa per la più ampia e successiva riforma della disciplina della contrattualistica pubblica avvenuta con il recente D.lgs. 50/2016 (“Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione”).
L’intervento normativo, dipeso dall’esigenza di recepimento delle direttive europee nn. 2014/23UE, 2014/24UE, 2014/25UE, ha rappresentato l’opportunità per una complessiva rivisitazione della materia, ormai compromessa, dalla sopravvenuta inflazione normativa, dalla diffusa inefficienza dell’azione contrattuale delle stazioni appaltanti, nonché, dal dilagare di fenomeni illeciti di stampo corruttivo31 . Come evidenziato dallo stesso Consiglio di Stato in sede consultiva, il d.lgs. 50/2016 e, con esso la relativa legge delega n. 11/2016, raccoglie, infatti, l’ambiziosa sfida di definire una nuova disciplina idonea a coniugare “flessibilità e rigore, semplificazione ed efficienza con la salvaguardia di insopprimibili valori sociali e ambientali32”.
Il nuovo Xxxxxx, giunto a dieci anni di distanza dal precedente, d.lgs. 163/2006, si presenta quindi come un testo normativo intriso di novità, tanto di natura sostanziale quanto di natura processuale.
Fra le innovazioni introdotte, di particolare interesse è proprio la nuova disciplina della centralizzazione degli acquisti pubblici che, trasfusa nel generale Titolo III del Codice (“Qualificazione delle stazioni appaltanti”), agli artt. 37 e ss., rappresenta uno fra gli elementi cardine nell’architettura del nuovo Codice.
La piena comprensione delle novità del Codice richiede tuttavia una concisa e preliminare analisi della disciplina delle centrali di committenza, così come delineata a livello europeo.
La direttiva 2014/24/UE, in materia di appalti pubblici, ribadisce, con rinnovato vigore, la volontà di ricorrere allo strumento della centrale di committenza, inteso quale veicolo di promozione della concorrenza nonché della professionalità delle committenza pubblica33.
Il ricorso agli strumenti di centralizzazione degli acquisti è peraltro valorizzato in un’ottica sempre più transfrontaliera, attribuendo alle amministrazioni la possibilità di ricorrere altresì a centrali di committenza estere, così come previsto all’art. 39, co. 2 della direttiva.
Introducendo, inoltre, un elemento di sensibile novità, la nuova direttiva prevede, in aggiunta al tradizionale modello di centrale di committenza, finalizzato all’espletamento di gare nell’interesse di amministrazioni terze, l’ulteriore modello della “committenza ausiliaria”, preposta, invece, alla realizzazione di un’attività di supporto consultivo alle amministrazioni
31 Cfr. X.Xxxxx, “La nuova disciplina dei contratti pubblici tra esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione.” Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, fasc.5, 2015, pag. 1127.
32 Cfr. Consiglio di Stato, parere n. 855/2016, p. 11.
33 Considerando 69 direttiva 2014/24/UE “Nella maggior parte degli Stati membri è sempre più diffuso l’uso delle tecniche di centralizzazione delle committenze. Le centrali di committenza sono incaricate di procedere ad acquisti, gestire i sistemi dinamici di acquisizione o aggiudicare appalti pubblici/concludere accordi quadro destinati ad altre amministrazioni aggiudicatrici, con o senza remunerazione. Le amministrazioni aggiudicatrici per le quali è concluso un accordo quadro dovrebbero avere la facoltà di usarlo per acquisti singoli o ripetuti. Tali tecniche possono contribuire, dato l’ampio volume degli acquisti, a un aumento della concorrenza e dovrebbero aiutare a professionalizzare la commessa pubblica. Occorre pertanto prevedere una definizione a livello di Unione delle centrali di committenza destinata alle amministrazioni aggiudicatrici e precisare che le centrali di committenza operano in due modi diversi.”
aggiudicatrici34. La direttiva specifica, inoltre, che l’attribuzione da parte di un’amministrazione aggiudicatrice della funzione di committenza, sia essa tradizionale o ausiliaria, possa avvenire senza ricorrere ai generali principi dell’evidenza pubblica35.
Tale specificazione dovrebbe quindi contribuire a sopire alla querelle sorta, in merito alla necessità di indire una procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento delle funzioni di centrale di committenza, integranti un appalto di servizi36.
Quanto concisamente prescritto, a livello europeo, ha successivamente trovato un suo adeguato recepimento nel nuovo Codice dei contratti pubblici il quale “portando a ulteriore sviluppo la riflessione già avviata, da un lato sfrutta tutte le potenzialità offerte dalle direttive in tema di centralizzazione degli affidamenti, dall’altro fissa regole puntuali che obbligano le amministrazioni ad avvalersi di centrali di committenza”37.
La disciplina delle centrali di committenza si lega peraltro indissolubilmente a quella della qualificazione delle stazioni appaltanti che, conseguentemente, merita un’opportuna analisi.
L’art. 37, co. 1, del Codice dispone che le Stazioni appaltanti possano direttamente procedere agli acquisti di beni e servizi, purché di importo inferiore alle 40.000 euro, nonché di lavori, purché di importo inferiore alle 150.000 euro. Nel caso, invece, di acquisti di importo superiore a quello indicato il diretto espletamento della gara da parte della Stazione appaltante richiede il necessario possesso da parte delle stesse dell’opportuna qualificazione, di cui all’art. 38.
Il co. 2 dell’articolo in esame prevede peraltro che la Stazione appaltante qualificata possa comunque procedere all’acquisto di beni e servizi per importi maggiori alle 40.000 euro ma minori alla soglia comunitaria, nonché di lavori di manutenzione ordinaria di importo ricompreso fra le 150.000 euro e 1 milione di euro, mediante utilizzo autonomo di strumenti di negoziazione telematica messi a disposizione delle centrali di committenza qualificate.
Nel nuovo quadro del Codice dei Contratti la qualificazione delle Stazioni appaltanti diviene quindi un elemento dirimente dell’attività di procurement, capace di incidere, in modo sensibile sulla capacità di acquisto diretto di beni, servizi e forniture delle Stazioni Appaltanti. Un elemento, capace di garantire l’ottimale espletamento della procedura ad evidenza pubblica indetta, nonché la miglior cura dell’interesse pubblico ad esso collegato.
Al fine di realizzare l’ambizioso obiettivo proposto, a norma dell’art. 38, co. 1, viene quindi istituito presso l’ANAC un elenco delle stazioni appaltanti qualificate delle quali, fanno altresì
34 Art. 2, co. 15 Direttiva 2014/24/UE.
35 Art. 37, co. 4 Direttiva 2014/24UE.
36 Indicativo del dibattito accennato, risulta proprio una recente presa di posizione della giurisprudenza la quale ha precisato che: “In ogni caso, al di là delle considerazioni sopra svolte, deve sempre osservarsi che il ricorso (da parte dei piccoli Comuni …….) ad una centrale di committenza, come pretende di essere qualificata la ricorrente, in assenza di una procedura comparativo - selettiva aperta a tutte le imprese in grado di offrire simili servizi, costituisce comunque una deroga ai fondamentali principi di derivazione comunitaria della libertà di concorrenza, "par condicio" e non discriminazione tra operatori economici in ambito UE (vedi art. 2, comma 2 bis, D.Lgs. n. 163 del 2006). Trattandosi, pertanto, di istituto "derogatorio" e non applicativo di principi cogenti di matrice eurounitaria, è ammissibile che di esso (il riferimento è primariamente all'art. 37, par. 4 della nuova direttiva appalti) il legislatore nazionale possa avvalersi, ma deve del pari ammettersi che sarebbe altrettanto legittima la futura scelta legislativa di ricorrere all'istituto "centrale di committenza" in termini più restrittivi rispetto a quanto sembra consentito, in prospettiva, dalla direttiva 2014/24/UE.” Tar, Lazio, Roma, sentenza n. 2339 del 22 febbraio 2016.
37 Cfr. Consiglio di Stato, parere n. 855/2016, p. 45.
parte le centrali di committenza. In particolare, è con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministero delle Infrastrutture, da adottarsi entro 90 giorni dall’entrata in vigore del nuovo Codice, che vengono stabiliti i criteri necessari ai fini dell’iscrizione nell’elenco ANAC.
La qualificazione delle stazioni appaltanti, per espressa indicazione del co. 3 dell’art. 38, tiene conto della capacità dell’amministrazione, di gestione della gara pubblica, dal momento prodromico della relativa
indizione a quello conclusivo dell’esecuzione del contratto.
Tale capacità, coerentemente con il successivo co. 4, viene ricostruita, da un lato, in virtù a criteri “base” che concernono l’organizzazione della stazione appaltante, il numero e le modalità di conduzione di pregresse gare, mentre, dall’altro, in base a criteri “premiali”, dati invece dai livelli di attuazione della disciplina di prevenzione della corruzione, dal ricorso a tecnologie innovative, dal livello di soccombenza nei contenziosi, nonché dall’applicazione di criteri di sostenibilità sociale ed ambientale38.
Le modalità esecutive del nuovo sistema di qualificazione sono inoltre specificate dall’ANAC la quale, a decorrere dall’entrata in vigore del nuovo sistema, non procederà al rilascio del CIG alle stazioni appaltanti prive della necessaria qualificazione. Si tratta a ben vedere, di una disposizione che si pone in soluzione di continuità con quanto già previsto dall’art. 9 della l. 89 del 2014 e che mira quindi a garantire l’effettività del sistema così definito.
Laddove invece, la stazione appaltante non sia munita della necessaria qualificazione a norma dell’art. 38, l’acquisto dei necessari lavori, beni e servizi, potrà avvenire esclusivamente per mezzo di una centrale di committenza ovvero mediante l’aggregazione con altra stazione appaltante munita della necessaria qualificazione39.
Peraltro, in base all’art. 37, co. 6 del Codice, il ricorso alla centrale di committenza, è altresì possibile da parte dell’amministrazione che, in base alle disposizioni del Codice, sia legittimata a procedere direttamente all’acquisto di quanto necessario all’espletamento delle relative funzioni.
Le centrali di committenza, acquisiscono, inoltre, un loro rinnovato peso, con specifico riferimento agli acquisti realizzati a livello locale dai Comuni non capoluogo di provincia.
Si tratta a ben vedere di una disciplina, che porta a compimento il percorso già intrapreso con la
l. 89 del 2014, un percorso che, pur riducendo la capacità autonoma di acquisto dei Comuni, proprio per mezzo della progressiva centralizzazione degli acquisti pubblici, promuove la razionalizzazione e il contenimento della spesa pubblica.
In base all’art. 37, co. 4, i Comuni non capoluogo di provincia, possono alternativamente procedere all’acquisto di lavori, beni e servizi o ricorrendo a una centrale di committenza
38 In base all’art. 216, co. 10 del Codice, fino all’entrata in vigore del nuovo sistema di qualificazione “i requisiti di qualificazione sono soddisfatti mediante l’iscrizione all’anagrafe di cui all’art. 33-ter del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221”.
39 Nel caso in cui l’amministrazione intenda ricorrere ad una centrale di committenza, l’art. 37 co. 13, consente, inoltre, di avvalersi di una centrale di committenza altresì ubicata nel territorio di uno stato estero. In tal caso, la disposizione richiede tuttavia che la procedura avvenga comunque nel rispetto delle regole nazionali del Paese membro in cui è ubicata la centrale.
Al di là quindi della specifica modalità di acquisto, concretamente seguita, la centrale di committenza si pone, nel quadro della disposizione esaminata, come ineludibile presupposto dell’attività contrattuale locale.
In attesa della completa definizione del nuovo sistema di qualificazione L’ANAC ha peraltro inoltrato appositi chiarimenti in merito alla capacità di acquisto dei Comuni, non capoluogo di provincia.
In particolare, secondo l’Autorità, i Comuni non capoluogo di provincia possono direttamente acquisire, senza necessaria qualificazione, beni e servizi, purché di importo inferiore alle 40.000 euro, nonché lavori purché di importo inferiore alle 150.000 euro.
Per svolgere procedure di importo superiore alle soglie indicate, l’Ente deve necessariamente essere in possesso della qualificazione ex art. 38, che, nel periodo transitorio, si intende sostituita dall’iscrizione all’Anagrafe Unica delle Stazioni Appaltanti di cui all’art. 33-ter del d.l. 18/12/2012 n. 179 convertito dalla legge 17/12/2012,
n. 221. Conseguentemente, per gli acquisti di forniture e servizi di importo superiore a
40.000 euro e inferiore alla soglia comunitaria, nonché per l’acquisto di lavori di manutenzione ordinaria d’importo superiore a 150.000 e inferiore a 1 milione di euro i Comuni non capoluogo di provincia, se iscritti all’AUSA, possono procedere all’affidamento mediante utilizzo autonomo degli strumenti telematici di negoziazione messi a disposizione dalle centrali di committenza qualificate secondo la normativa vigente, se disponibili.
Al di fuori delle ipotesi sopra richiamate, detti Comuni devono procedere secondo una delle modalità individuate al comma 4 dell’art. 37.
1) Alla luce delle disposizioni ricostruite è possibile quindi individuare i seguenti importi ed autorità competenti.
- Lavori inferiori 150.000 euro: Stazione appaltante senza qualificazione;
- Lavori di manutenzione ordinaria superiori 150.000 euro ma inferiori al milione di euro: Stazione appaltante qualificate ex art 38, con mezzi telematici;
In ogni caso rimane ferma la possibilità di ricorso alle centrali di committenza.
2) Per i Comuni non capoluogo di provincia (nota Anac FAQ periodo transitorio):
- Lavori inferiori 150.000 euro: Comune non capoluogo di provincia senza qualificazione;
- Lavori di manutenzione ordinaria superiori a 150.000 euro ma inferiori al milione di euro: i Comuni non capoluogo di provincia, iscritto nell’anagrafe unica delle stazioni appaltanti (AUSA) istituita con d.l. 179/2012;
Nelle ipotesi residue i Comuni acquistano secondo le modalità previste dall’art. 37, co. 4.
Le disposizioni di cui agli articoli 37 e 38 indicate devono da ultimo essere lette in combinato disposto con l’art. 36 che nell’individuare le tipologie di gare espletabili da parte delle stazioni appaltanti con riferimento agli acquisti sotto soglia comunitaria introduce interessanti specificità con riferimento proprio agli acquisti dei Comuni non capoluogo di provincia.
L’art. 36 individua un insieme di procedure “semplificate” applicabili a seconda dell’importo dell’acquisto, salvo, comunque, la generica possibilità della stazione appaltante di ricorrere alle procedure ordinarie.
In particolare, per gli affidamenti di importo inferiore alle 40.000 euro l’amministrazione può procedere ad affidamento diretto o per i lavori in amministrazione diretta. Per gli acquisti di beni e servizi di importo compreso fra le 40.000 euro e la soglia comunitaria indicate all’art. 35, co. 1, nonché per l’acquisto di lavori di importo compreso fra le 40.000 euro e le 150.000 euro, la stazione appaltante indice invece una procedura negoziata, con invito di almeno cinque operatori economici.
La procedura negoziata, ma con invito di almeno dieci operatori economici è inoltre prevista per l’acquisto di lavori di importo compreso fra le 150.000 euro e il milione di euro. Da ultimo, si applica la procedura ordinaria per gli acquisti di lavori di importo compreso fra il milione di euro e la soglia comunitaria, pari a 5.225.000 euro.
Il sistema di gare così descritto subisce, come anticipato una sua deroga, con riferimento alla realizzazione di opere di urbanizzazione a scomputo di importo inferiore alla soglia comunitaria.
In generale, infatti, il co. 3 dell’art. 36, prevede per la relativa realizzazione l’indizione di una procedura ordinaria di gara con bando. Tuttavia, laddove l’opera di urbanizzazione da realizzare sia un’opera di urbanizzazione primaria, funzionale agli interventi di trasformazione urbana, l’opera potrà essere direttamente realizzata a scomputo dallo stesso titolare del permesso di costruire, a norma dell’art. 16, co. 2-bis del TU 380 del 2001.
In altri termini:
- acquisto di beni, servizi e lavori di importo inferiore alle 40.000 euro: affidamento diretto dell’amministrazione;
- acquisti di beni e servizi di importo compreso fra 40.000 euro e soglia comunitaria, nonché di lavori compresi fra le 40.000 euro e le 150.000 euro: affidamento con procedura negoziata, con invito di almeno cinque operatori economici;
- acquisti di lavori di importo superiore alle 150.000 euro ma inferiore a un milione:
affidamento con procedura negoziata con invito di almeno dieci operatori economici;
- acquisto di lavori di importo compreso fra il milione di euro e la soglia comunitaria:
affidamento mediante procedura ordinaria. Opere di urbanizzazione:
- opere di urbanizzazione di importo inferiore alla soglia comunitaria: affidamento mediante procedura ordinaria;
- opere di urbanizzazione primaria di importo inferiore alla soglia comunitaria ma funzionali alla realizzazione degli interventi di trasformazione urbana: realizzazione diretta da parte del titolare del permesso di costruire.
La concisa disamina svolta riflette il condivisibile, nonché pregevole, proposito del Legislatore di rimediare ad una fra le maggiori disfunzioni del sistema del public procurement: l’assenza di adeguate professionalità da parte delle pubbliche amministrazioni.
La disciplina dei contratti pubblici rappresenta, infatti, una materia fisiologicamente complessa, che richiede quelle opportune e necessarie competenze, capaci di garantire il corretto espletamento della gara.
La valorizzazione della professionalità delle stazioni appaltanti, rappresenta peraltro un ineludibile presupposto nel nuovo contesto regolamentare definito con il d.lgs. 50 del 2016.
Con soluzione, infatti, di sensibile novità rispetto la pregressa esperienza, il nuovo Codice ha considerevolmente arricchito il paniere di soluzioni esperibili dalle stazioni appaltanti, al fine di meglio garantire il pieno perseguimento dell’interesse pubblico.
Il perseguimento dell’interesse pubblico diviene quindi proposito capace di stimolare innovative forme di confronto costruttivo, anche prodromiche alla gara stessa, fra ambo i poli, pubblici e privati, coinvolti nel confronto negoziale.
Confronto che, necessariamente, richiede quella sufficiente competenza a fare dell’amministrazione non un polo passivo del rapporto quanto un attore propositivo dello stesso.
Basti ad esempio pensare, alla categoria contrattuale dei Partenariati Pubblici Privati (PPP), capaci di creare complesse trame di rapporti negoziali, durevoli nel tempo, che attraverso la condivisione fra le parti contraenti, di conoscenze e risorse, spingono verso il perseguimento del comune interesse.
Nella pluralità e complessità delle soluzioni esperibili, la discrezionalità amministrativa non può che quindi ergersi ad elemento cardine del sistema, capace di consentire all’amministrazione di “confezionare”, rispetto al caso di specie, la miglior soluzione contrattuale.
In tale ordine di ragioni, colgono quindi il segno le sensibili innovazioni introdotte in tema di aggregazione e qualificazione della domanda pubblica che come visto, raccolgono ed implementano una significativa rivoluzione normativa partita ormai da lontano.
Al tradizionale sistema di qualificazione degli operatori economici, si associa quindi l’innovativo sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti, conseguito sulla base di una complessiva valutazione della capacità di gestione, da parte dell’amministrazione della gara pubblica.
Una qualificazione conferita in base a requisiti che tengono complessivamente conto della “performance” contrattuale dell’amministrazione e della capacità della stessa di sfruttare al meglio i nuovi strumenti del Codice.
Insomma, il nuovo sistema sembra correttamente realizzare quella sorta di “bollino blu” tanto auspicato per le amministrazioni, certificativo della professionalità e competenza del soggetto pubblico.
Nel nuovo contesto regolamentare giocano quindi un reale ruolo da protagonista le centrali di committenza, stazioni appaltanti fisiologicamente qualificate, che realizzano una sorta di chiamata in “sussidiarietà” delle funzioni di acquisto, di lavori, beni e servizi delle pubbliche amministrazioni. In altri termini, “siamo in presenza, quindi, di esternalizzazione di funzioni amministrative ma assolte sempre dalle strutture pubbliche d’apice ormai diffuse in molte regioni o vigenti fin dalla metà del secolo scorso (i provveditorati alle opere pubbliche come organi periferici del Ministero dei lavori pubblici, poi regionalizzati, furono istituiti nel 1957) in grado di assolvere, a regime, la razionalizzazione del sistema degli appalti di lavori40.
Per quanto condivisibili appaiano le novità normative introdotte non mancano comunque opportune riserve riassumibili nelle seguenti considerazioni.
In primo luogo, occorre precisare che, per quanto innovative appaiano le disposizioni del Codice, una piena valutazione delle stesse sarà possibile solo quando sarà definitivamente portato a termine il procedimento di riforma, per mezzo dell’attuazione dei dovuti decreti e linee guida.
Per quanto risulti pregevole l’intento del Legislatore di fluidificare la disciplina del Codice per mezzo di atti di normazione secondaria, non può che destare una certa perplessità la sensibile mole di documenti attuativi che concorreranno effettivamente a definire il nuovo quadro della disciplina in esame. Documenti che, nell’intreccio di pareri e valutazioni da acquisire da parte di una pluralità di soggetti, non può che inevitabilmente ritardare la piena realizzazione del nuovo sistema.
Non solo l’adozione dei dovuti decreti darà modo di valutare esaustivamente il nuovo sistema di public procurement, ma proprio l’adozione degli stessi costituirà probabilmente la fase più delicata ed importante dell’intero sistema di riforma.
Solo, infatti, in presenza di un completo quadro regolamentare sarà possibile definire le opportune misure attuative del sistema che, tenendo conto dell’attuale situazione delle stazioni appaltanti, realizzi quella vera e propria riforma “copernicana” che attraverso una reale palingenesi dell’amministrazione, assicuri la creazione di un sistema, efficiente e professionale, di stazioni appaltanti.
Conseguentemente, fino al definitivo completamento della disciplina del nuovo Codice, permarrà un patologico stato di incertezza normativa che potrà anche compromettere il corretto svolgimento delle gare pubbliche.
Indicativo delle esposte preoccupazioni appare proprio il comunicato del Presidente ANAC del 13 luglio 201641, che svolgendo uno studio sul numero di gare bandite nel primo semestre
40 Cfr. X.Xxxxxx, “Proposte in materia di razionalizzazione ed economicità a livello regionale/locale nell’affidamento di lavori tramite evidenza pubblica”, in xxx.Xxxxxxxx.xx.
41 Cfr. ANAC, Comunicato del Presidente del 13 luglio 2016.
dell’anno 2016 ha registrato una considerevole riduzione delle stesse. Una riduzione, molto spesso imputata al cd. “effetto Codice”.
In particolare, lo studio evidenzia una forte riduzione della domanda dei lavori pubblici, sia nel periodo precedente che successivo all’entrata in vigore del d.lgs. 50/2016.
Prima, infatti, dell’entrata in vigore del Codice, rispetto all’analogo periodo del 2015, si è registra una riduzione pari al 16% relativamente al numero degli appalti ed al 33% relativamente all’importo, con oscillazioni più o meno ampie a seconda della classe di importo e del mese di riferimento. Dopo l’entrata in vigore del nuovo Codice, invece, ovvero nel periodo compreso tra il 19 aprile ed il 30 giugno 2016 tale riduzione, rispetto all’analogo periodo del 2015, è risultata ancora più accentuata con valori medi nell’ordine del 52% in termini di numero della gare indette e del 62% in termini di importo42.
Con riferimento invece ai servizi e forniture, lo studio evidenzia come la domanda di appalti, nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2016 ed il 18 aprile 2016, sia rimasta pressoché invariata rispetto al precedente anno.
Maggiori contrazioni sono state invece riscontrate all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo Codice. In tale periodo, infatti, al pari dei lavori, si sono verificati significative riduzioni nel valore medio del 30% in termini di numero della gare bandite e del 29% in termini di importo per quanto riguarda le forniture mentre per i servizi tali percentuali sono rispettivamente del 43% e del 48%.
Le principale ragioni individuate dall’Autorità a fondamento del brusco calo rappresentato sono proprio imputabili ad alcune fra le più significative novità normative del nuovo Codice, in alcuni casi difficili da metabolizzare dalla diffusa prassi amministrativa.
Con riferimento ai lavori pubblici, risulta significativa la modifica del Codice in materia di progettazione, la quale impone di porre a base di gara esclusivamente il progetto esecutivo, non consentendo più l’aggiudicazione dei lavori mediante appalto integrato, facoltà invece ancora consentita per il Partenariato Pubblico Privato (PPP) e per la realizzazione di opere mediante Contraente Generale.
Un’ulteriore fattore, avente contribuito a determinare la contrazione della domanda pubblica di acquisto, è poi individuato proprio nel nuovo sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti che avrà solo una sua compiuta definizione sulla base di un D.P.C.M. predisposto dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, sentita l’ANAC, di cui all’art. 38, co. 2.
Al di là delle riserve espresse, relative al metodo seguito, motivi di perplessità sorgono inoltre con riferimento alla scelta del Legislatore di riconoscere ai Comuni, non capoluogo di provincia, la possibilità di ricorrere all’acquisto diretto di lavori purché di importo ricompreso nelle 150.000 euro. Tale soluzione risulta, come visto, una considerevole
42 Peraltro, sempre nel medesimo studio viene rilevato come ad esito di una prima fase di impatto della nuova disciplina anche l’effetto Codice sembra temperarsi nella relativa portata atteso che: ”per quanto riguarda i lavori, sembra comunque mostrare segni di attenuazione, infatti per ciascuna fascia di importo la riduzione sembra affievolirsi tra i primi 40 giorni dopo l’entrata in vigore del Codice ed i successivi 30 giorni. Infatti, se si considera la fascia di importo superiore ad un milione di euro, tra il 19 aprile ed il 31 maggio 2016 si è registrata una contrazione dell’84% rispetto al medesimo periodo del 2015, mentre nel mese di giugno tale contrazione, rispetto al giugno 2015, è passata al 45%.” Cfr. Comunicato, op. cit.
implementazione di quella capacità di acquisto diretto delle amministrazioni locali, già riconosciuta per mezzo di deroghe e puntuali modifiche, sotto la vigenza dell’art. 33, co. 3- bis del vecchio Codice.
Sebbene la scelta possa essere considerata condivisibile, laddove si intenda preservare l’autonoma capacità di acquisto dei Comuni sotto il profilo del riconoscimento della sussidiarietà e dell’autonomia delle scelte di politica istituzionale locale, sussistono comunque ragionevoli riserve in merito ad un eccessiva dilatazione di quelle zone “franche” che, inevitabilmente depotenziano quell’insieme di garanzie professionali che il nuovo sistema di qualificazione intende garantire.
Anche nel caso in esame, indicativa appare l’analisi offerta dall’ANAC con la Relazione annuale 2016. In materia di lavori pubblici l’Autorità ha precisato come nel corso del 2015, i CIG perfezionati per gare aventi ad oggetto l’acquisto di lavori di importo superiore alle 40.000 euro ma inferiore alle 150.000 euro siano state pari a 19.440. Nonostante tali gare abbiano un’incidenza circoscritta dal punto di vista economico rispetto all’importo complessivamente43 speso, è interessante notare come le stesse costituiscano poco meno della metà delle gare complessivamente indette nel corso del 2015.
Contro, infatti, i 39.916 CIG perfezionati nel 2015, solo 19.440 concernono gare di importo compreso fra le 40.000 euro e le 150.000 euro, per la realizzazione dei lavori pubblici. Laddove quindi tale tendenza dovesse essere confermata anche negli anni a venire è agevole intuire come quasi la metà delle gare pubbliche in materia di lavori saranno non potranno che essere escluse dal sistema di qualificazione del Codice.
Un’ulteriore critica è ancora nella disparità di regolazione introdotta, in tema di realizzazione di lavori pubblici, con riferimento alle tipologie di gare espletabili per la realizzazione delle opere di urbanizzazione, primaria e secondaria.
Se, infatti, l’art. 36 consente il ricorso alle procedure negoziate per la realizzazione di lavori di importo inferiore al milione di euro, la stessa disposizione impone invece il ricorso ad una procedura ordinaria per la realizzazione delle opere di urbanizzazione, salvo che non si tratti di opere di urbanizzazione primaria funzionali ad interventi di trasformazione urbana. Caso per il quale, come visto, è consentita la realizzazione diretta dell’opera da parte del titolare del permesso di costruire. Tale soluzione appare peraltro, del tutto distonica rispetto al precedente Codice dei Contratti che per la realizzazione delle opere di urbanizzazione di importo inferiore alla soglia comunitaria, consentiva il ricorso alla procedura negoziata senza bando, con invito di almeno cinque operatori economici (art. 122, co. 8 del vecchio Codice).
Un’ultima considerazione concerne poi il rapporto intercorrente fra Comune e stazione appaltante alla quale sarà affidato lo svolgimento della procedura di gara.
Come visto, la centralizzazione degli acquisti nasce dall’esigenza di garantire la conduzione della gara da parte di soggetti qualificati ovvero di soggetto muniti delle idonee competenze a
43 Contro gli 1.673.778.879 di lavori di importo compreso fra le 40.000 euro e le 150.000 euro su 00.000.000.000 complessivamente spesi nel 2015 per i lavori. Cfr Relazione ANAC 2016, p. 162.
garantire la corretta conduzione della gara pubblica. In sede di svolgimento della gara pubblica acquista peraltro un nodo centrale l’esercizio di attività inerenti le fasi di progettazione e programmazione dei beni, servizi e lavori, costituenti probabilmente la fase più delicata dell’intera procedura.
La rilevanza che tali fasi acquistano nella procedure richiedono quindi un’opportuna precisazione in merito all’autorità competente a gestirle. Un sistema che, infatti, da un lato, attribuisca l’attività di programmazione e progettazione da parte di un’autorità priva di sufficienti competenze e dall’altro imponga il ricorso ad un soggetto aggregatore per l’espletamento delle residue fasi di gara non può che quindi risolversi in un’evidente aporia. Conseguentemente, sarebbe auspicabile un intervento che in modo puntuale assicuri a monte quelle necessarie professionalità, sia interne che esterne, che tenuto conto dell’insieme di interessi curato dall’amministrazione di riferimento, garantisca la bontà del ciclo di progettazione come chiave di volta della procedura intera.
In conclusione, la strada intrapresa dal Legislatore appare condivisibile e ragionevole in merito agli obiettivi che si intendono perseguire nonché degli strumenti di cui, nel medio-lungo periodo, intenderà dotarsi.
Tuttavia occorre una celere definizione della disciplina in esame che tenga non solo conto dell’attuale organizzazione delle stazioni appalti, ma sia altresì capace di incidere su un periodo transitorio come quello presente al fine di creare le migliori condizioni che garantiscano l’ottimale attuazione del nuovo Codice.
I POTERI DELL’ANAC (ARTT. 211 E 213) ED I MOTIVI DI ESCLUSIONE (ART. 80):
APPLICAZIONE AL SUBAPPALTO (ART. 105) E AI CONSORZI STABILI (ART. 47)
MARIANGELA DI GIANDOMENICO ∗
I.1.1 Nel nuovo quadro normativo, all’Autorità nazionale Anticorruzione (di seguito Anac o Autorità) è stato affidato un ruolo fondamentale e possiamo dire “pervasivo”. Il successo del Codice e la sua effettiva attuazione dipende largamente da come l’Autorità opererà, dagli atti che adotterà, sia nei confronti degli operatori economici, che nei confronti delle stazioni appaltanti, tutti soggetti al suo controllo.
All’Anac sono, come noto, attribuiti diversi compiti: di regolazione, di amministrazione attiva, di segnalazione, di vigilanza, di collaborazione, sanzionatori, di precontenzioso e di raccomandazione44.
Da una parte l’Anac è chiamata ad interventi ex ante come autorità di regolazione (con l’adozione di atti vincolanti e non vincolanti), dall’altra conserva poteri di intervento esercitabili ex post, sanzionatori, di precontenzioso, di raccomandazione.
∗ Avvocato - Studio Legale Xxxxxxx Erede Xxxxxxxxxx; Segreteria scientifica italiadecide
44 poteri regolatori (art. 213, co. 2):
linee guida, bandi-tipo, contratti tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile, comunque denominati, al fine di supportare l’attività delle stazioni appaltante così promuovendone lo sviluppo e l’efficienza, con possibilità di trasmissione alle Camere degli atti “ritenuti maggiormente rilevanti in termini di impatto della regolamentazione”.
2) poteri di amministrazione attiva in materia di:
• qualificazione degli operatori economici (art. 83 ss.);
• gestione del sistema SOA (art. 83 ss.);
• qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza (art. 213, co. 4);
• tenuta dell’elenco dei soggetti aggregatori (art. 213, co. 16);
• tenuta dell’elenco delle stazioni appaltanti che fanno affidamenti in house (art. 213 co. 15);
• tenuta dell’albo dei commissari d gara (art. 77 e 213 co. 15);
• tenuta della banca dati dei contratti pubblici (art. 213, co. 8 e 9);
• tenuta del casellario informatico dei contratti pubblici (art. 213, co. 10);
• tenuta dell’albo della camera arbitrale (art. 213, co. 11).
3) poteri di segnalazione:
• compiti di segnalazione, a Governo e Parlamento, di proposta al Governo, di relazione annuale al Governo e al Parlamento (artt. 213, co. 3, lett. c), d, e).
4) poteri istruttori e sanzionatori strumentali allo svolgimento dell’attività di vigilanza:
• potere ispettivo, anche avvalendosi di altri organi dello Stato, e segnatamente della Guardia di Finanza (art. 213, co. 5);
• potere di segnalazione agli organi di controllo e di denuncia all’Autorità giudiziaria penale (art. 213, co. 6);
• potere di collaborazione con l’AGCM per l’attribuzione del rating di legalità alle imprese (art. 213, co. 7);
• potere sanzionatorio (art. 213, co. 13).
5) potere di precontenzioso e di raccomandazione:
• il parere vincolante dell’ANAC, sull’accordo delle parti;
• il potere di raccomandazione dell’ANAC, rivolto alla p.a., al fine di rimuovere, in via di autotutela, atti viziati da illegittimità (art. 211 co. 1 e 2).
Inoltre, come detto, spetta all’Autorità anche la definizione e gestione del sistema di qualificazione degli operatori economici (art. 83), nonché la qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza (art. 213, co. 4).
Dall’ordinaria precedente attività di vigilanza che spettava all’Autorità si è passati dunque all’attribuzione di poteri il cui esercizio vincola le stazioni appaltanti e incide fortemente anche sugli operatori economici. Si tratta di poteri che appaiono configurare l’Autorità come un unicum tra le Autorità indipendenti.
I.1.2. Per bilanciare tale rafforzamento del ruolo dell’ANAC, il Codice ha previsto alcuni contrappesi:
1. l’impugnabilità di tutti gli atti dell’ANAC davanti agli organi della giustizia amministrativa;
2. l’istituzione della Cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (art. 212). In particolare a tale Cabina di regia si affida il compito di monitoraggio, analisi e verifica di impatto, attuazione e manutenzione della riforma verificandone: lo stato di attuazione, le difficoltà di applicazione al fine di promuovere soluzioni correttive, esaminando le proposte di modifica; coordinando la fase di adozione degli atti attuativi; promuovendo la informatizzazione delle procedure elaborando un piano nazionale.
3. la cogestione di alcune tipologie di linee guida attraverso il potere di proposta dell’ANAC e di decisione finale del Ministero delle infrastrutture;
4. il parere delle commissioni parlamentari su alcuni ambiti di linee guida dell’ANAC.
Da ultimo, anche su richiesta dell’Anac, si è aggiunto il “controllo” di tipo consultivo del Consiglio di Stato sulle linee guida vincolanti e non.
I.1.3. Nel contesto, come delineato, si pongono diverse questioni.
I.1.3.1. Anzitutto, sia consentito segnalare un tema che appare formale, ma che invece è sostanziale e di prospettiva.
L’Autorità è denominata Autorità nazionale anticorruzione e quindi ogni potere dalla stessa esercitato appare posto sotto il “cappello” della lotta alla corruzione, fondandosi pertanto su una idea di base (o su un retro-pensiero) che ogni intervento sugli appalti pubblici sia diretto a prevenire o sanare situazioni distorte, di corruzione. Se è noto che l’ANAC ha assorbito i poteri dell’AVCP, il mantenimento della denominazione come Anticorruzione appare “viziare” il sistema dei poteri sui contratti pubblici esercitato dall’Autorità che dovrebbe impostato (come appare nell’intento del legislatore e nelle dichiarazioni di Xxxx), più che in una logica repressiva di fenomeni di corruzione, in una logica collaborativa e secondo il meccanismo di responsabilità/fiducia che, in generale, manca nel nostro sistema.
Intervenire su questo aspetto, cambiando la denominazione dell’Anac, aggiungendo la dizione di Autorità per la “regolazione e vigilanza dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture e concessioni”, potrebbe essere un segnale non solo formale, ma anche sostanziale.
I.1.3.2. Sotto altro profilo, considerata l’entità e l’incisività dei poteri menzionati, nonché i soggetti che toccano e il mercato di riferimento, occorre pensare ad alcune misure correttive/integrative/di controllo che possano ridurre il rischio di un esercizio non corretto degli stessi o comunque non adeguato ai fini previsti.
In particolare, anche alla luce del parere del Consiglio di Stato che si è espresso sulle linee guida dell’Anac, emergono degli elementi critici che riguardano sia le linee guida c.d. vincolanti, sia quelle c.d. non vincolanti dell’Autorità.
Ciò che emerge è che questi atti, comunque di natura amministrativa e come tali impugnabili, se vincolanti, non esentano le stazioni appaltanti dalla verifica discrezionale della applicabilità delle stesse al caso concreto, e quindi non rendono di per sé legittimi gli atti dalle stesse adottati in applicazione delle linee guida medesime. In altri termini, l’atto non è legittimo per il solo fatto che la linea guida vincolante è stata applicata dalla stazione appaltante. Se ciò lascia uno spazio di discrezionalità alla stazione appaltante, d’altra parte determina una situazione di incertezza per gli operatori economici che non possono contare su un quadro regolatorio di riferimento stabile.
Per quanto attiene alle linee guida non vincolanti, le stesse costituiscono, come sostiene il Consiglio di Stato, un parametro sulla cui base valutare la legittimità dell’operato della stazione appaltante, con il rischio che le stazioni appaltanti medesime ne facciano pedissequa applicazione, per non incorrere in vizi, limitando in tal modo da una parte la discrezionalità della stazione appaltante, con effetto negativo sull’efficacia delle scelte, dall’altra generando ulteriore incertezza nell’operatore economico che si trova costretto ad impugnare questi atti laddove ne voglia contestare l’applicazione.
In linea generale, da una parte, vi è una esigenza sul punto di maggiore chiarezza e precisione nella definizione di questi atti che sono fondamentali per l’attuazione del Codice, dall’altra vi è la necessità di rendere più stabile il quadro di riferimento, sia per le stazioni appaltanti che per gli operatori economici.
E pertanto, in linea generale, occorre:
i) che le linee guida sia quelle vincolanti che non vincolanti, siano il più possibile chiare, esaustive ed adottate con tempestività e rispondano ai principi di ragionevolezza ed efficacia;
ii) che i poteri dell’Autorità siano esercitati con rigore e trasparenza e soprattutto con piena competenza tecnica (e quindi con personale qualificato e appositamente selezionato, anche esterno e proveniente dall’esperienza imprenditoriale di settore), nonché in coordinamento con i poteri delle altre autorità indipendenti (in particolare dell’Agcm), per evitare sovrapposizioni, duplicazioni, contraddizioni;
iii) che gli atti di regolazione siano condivisi con gli stakeholder pubblici e privati, che devono essere sentiti non solo nella fase delle consultazioni, ma anche periodicamente, sul sistema normativo a regime, al fine di apporre correttivi;
iv) che il potere dell’Autorità di raccomandazione sia coordinato con le norme che regolano l’esercizio dell’azione amministrativa (v. legge n. 241/90), essendo le stazioni
appaltanti in maggior misura amministrazioni pubbliche o soggetti che applicano le predette norme ed anche con le norme che riguardano i giudizi dinanzi al g.a. avverso gli atti delle s.a.; stessa riflessione si può estendere al parere di precontenzioso;
v) che i poteri dell’Anac siano esercitati in modo tale da non “esautorare” le competenze e funzioni delle stazioni appaltanti, cui dovrebbe essere lasciato un margine di discrezionalità che possa dalle stesse essere esercitato senza incorrere in sanzioni o richiami o essere penalizzati sul piano reputazionale (v. art. 36 del Codice) e, sul lato degli operatori economici, senza limitare la libertà d’impresa o generare situazioni di disparità di trattamento e che incidono sulla concorrenza, ingiustamente limitandola (si pensi ai poteri dell’Autorità sulla definizione dei requisiti reputazionali delle imprese).
vi) che detti poteri siano soggetti ad uno stretto controllo di legalità, legittimità ed anche di efficacia, che non può essere solo rimesso al giudice amministrativo, su istanza di parte, ma che deve essere costantemente effettuato dagli altri soggetti che sovraintendono all’attuazione del Codice (ad. es. la Cabina di regia, il Ministero ecc.).
Non dimentichiamo che l’Autorità è qualificata come Autorità indipendente ed ha lo status delle altre autorità amministrative indipendenti, che si caratterizzano per porsi al di fuori del circuito rappresentativo e che fondano la loro legittimazione, nei procedimenti seguiti, nella partecipazione, nell’efficacia degli atti, nei controlli diffusi, nella tecnicità.
Peraltro, da più parti si sono posti dubbi sulla qualificazione delle linee guida come atti di regolazione delle Autorità indipendenti e dubbi sulla legittimazione dell’Autorità ad adottarli45, in ragione, in particolare per alcune di esse, dell’assenza del carattere settoriale e tecnico che possa giustificare la rimessione all’ANAC della regolazione o della mancanza di un mercato in cui vi è una necessità di una regolazione autonoma dal Governo (ad es. linee guida sulle Soa, sui requisiti di partecipazione, qualificazione imprese ecc.).
Porre particolare attenzione a questi aspetti e, in particolare, al controllo sulle attività delle Autorità, che se pur diffuso ossia attribuito a diversi soggetti, deve essere incisivo e concreto, è di vitale importanza per evitare fenomeni distorsivi del mercato degli appalti e delle concessioni regolato dal Codice.
Xxxxxx, non si nasconde un certo “timore” ravvisato da diversi commentatori, nella circostanza che una Autorità, priva di legittimazione democratica, abbia tali poteri e soprattutto possa incidere, con il sistema di qualificazione delle imprese e delle stazioni appaltanti, sia sulla domanda che sull’offerta nel mercato degli appalti pubblici. In realtà, le linee guida, stante la natura dell’Autorità, non dovrebbero incidere sui diritti.
Con queste avvertenze, è invece da valorizzare e ulteriormente implementare la funzione di vigilanza collaborativa e di ausilio alle stazioni appaltanti anche attraverso lo sviluppo sistematico delle linee guida non vincolanti, rimessa all’Autorità e che costituisce una modalità operativa che risponde ad una logica non repressiva ma di fiducia/controllo.
In altri termini, l’Anac dovrebbe “ausiliare”, più che “guidare” le stazioni appaltanti nell’attuazione del Codice, lasciando comunque loro uno spazio di decisione autonoma, che possa anche discostarsi dalle indicazioni dell’Autorità medesima, senza che si incorra in alcuna
45 Cfr. X. Xxxxxxx, “Le linee Guida dell’Anac una nuova fonte del diritto?” su xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxxxx.xx
penalizzazione (si ricorda che le stazioni appaltanti sono qualificate dall’Anac e le sanzioni che l’Anac commina alle stesse, legittime o meno che siano, incidono sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti, pregiudicando la possibilità di svolgere le funzioni di stazione appaltante).
Allo stesso modo, nei confronti degli operatori economici, la qualificazione degli stessi, rimessa sempre all’Anac, dovrebbe non ingenerare disparità di trattamento tra imprese sul mercato o distorsioni della concorrenza, prendendo in considerazione elementi che non vanno a limitare le scelte imprenditoriali lecite o che non pongono sullo stesso piano per motivi oggettivi le imprese (ad. es. italiane ed estere); che non sono stati già valutati in sede di ammissione alla gara o in sede di rating di legalità, certificato dall’Agcm.
I.2. Possibili proposte e soluzioni
Le questioni indicate in premessa non hanno evidentemente soluzioni solo e semplicemente puntuali, ossia che si traducono in interventi correttivi sui testi del Xxxxxx, imponendo anche un diverso atteggiarsi dell’azione dell’Autorità e degli organi di controllo del Codice.
Per quanto riguarda gli interventi correttivi, si formulano di seguito alcune proposte.
I.2.1. Sul piano delle linee guida che l’ANAC deve approvare:
i) il tema dell’assenza di un termine entro cui le linee guida devono essere adottate può essere ragionevolmente risolto con l’indicazione di un termine massimo, decorso il quale interviene in via sostitutiva il MIT;
ii) più complesso è il tema degli effetti che queste linee guida hanno sugli operatori economici e sulle stazioni appaltanti. Da una parte si potrebbe prevedere una norma nel Codice, ad integrazione dell’art. 213, che individui quando le linee guida siano vincolanti o meno o, come afferma il Consiglio di Stato, affidare all’Anac il compito di indicare quali precetti all’interno della linea guida possano essere considerati vincolanti e quali no.
Dall’altra si potrebbe chiarire che la mancata applicazione da parte delle stazioni appaltanti delle linee guida vincolanti impone una specifica motivazione da parte della stazione appaltante sul perché le stesse si ritiene non trovino applicazione nel caso concreto.
E si potrebbe chiarire che le linee guida vincolanti sono impugnabili solo con l’atto che ne dà applicazione (al pari delle circolari).
I.2.2. Sul piano dell’esercizio dei poteri dell’Anac, la garanzia che gli stessi siano esercitati con la competenza tecnica dovuta, richiede che l’Autorità si rafforzi e si doti di un “nucleo” tecnico specializzato, formato da competenze professionali anche esterne alla p.a., di estrazione tecnica, economica e non solo giuridica. A tal fine si potrebbe prevedere sia un intervento legislativo, sia un intervento sui regolamenti organizzativi dell’autorità.
I.2.3. Sul piano del coordinamento con le altre Autorità e in special modo con l’Agcm, si potrebbe integrare la previsione contenuta all’art. 213 comma 7, prevedendo una collaborazione costante e non solo per il profilo del rating.
I.2.4. Per quanto attiene alla condivisione delle decisioni dell’Anac con gli stakeholder, occorrerebbe prevedere una norma che imponga questo principio, anche nella fase di monitoraggio.
I.2.5. Per quanto attiene al precontenzioso, gli interventi di modifica dovrebbero riguardare sia il parere di precontenzioso, sia il potere di raccomandazione.
Circa il parere di precontenzioso, occorrerebbe non lasciare al solo Regolamento dell’Autorità la disciplina di questo istituito e i suoi rapporti con il contenzioso.
Andrebbe quindi anzitutto chiarito sul piano normativo che il parere è vincolante per tutti i soggetti coinvolti nel procedimento di gara e non solo per chi ha dato il consenso ad attenersi al parere medesimo. Ciò è anche il suggerimento del Consiglio di Stato.
Occorre poi chiarire il rapporto con la tutela giurisdizionale e se la richiesta di parere possa interrompere i termini di impugnazione degli atti davanti al g.a. (anche per evitare che si perda l’effetto deflattivo che si è voluto perseguire con questa norma).
Con riferimento al potere di raccomandazione, di cui all’art. 211, comma 2, l’ANAC esercita tale potere quando ravvisi un vizio di legittimità degli atti di gara, che ne giustifichi il ritiro in autotutela. L’inosservanza della raccomandazione incide sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti ai fini della loro qualificazione.
Già il Consiglio di Stato aveva espresso un parere negativo su tale disposizione, ritenuta invasiva di prerogative delle stazioni appaltanti, e mal coordinata con la disciplina generale sull’autotutela (che non richiede solo l’esistenza di un vizio di legittimità, ma anche un interesse pubblico concreto e attuale, e il rispetto di termini massimi per il suo esercizio).
La norma dovrebbe pertanto essere integrata con il rinvio all’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990. L’autotutela della stazione appaltante dovrebbe essere esercitata sempre nel rispetto di questa norma.
La norma prevede altresì un potere sanzionatorio in caso di non adeguamento della stazione appaltante in caso di mancato adeguamento alla raccomandazione e l’incidenza sui requisiti reputazionali. In tal modo la stazione appaltante viene sanzionata per atti che non sono dichiarati illegittimi e può contestare la raccomandazione solo con ricorso. Ciò considerato, la norma andrebbe modificata prevedendo che il mancato adeguamento, come sostiene il Consiglio di Stato, consenta all’Anac di impugnare l’atto amministrativo o che il potere di raccomandazione sia limitato ai casi più gravi e macroscopici46.
I.2.6. Con riferimento ai poteri dell’Anac sulla qualificazione degli operatori economici, occorre chiarire come il rating si aggiunge nella valutazione dell’ammissione alla
46 Proposta sul testo: modifiche all’art. 211, comma 1 evidenziate in grassetto:
Su iniziativa della stazione appaltante o di una o più delle altre parti, l'ANAC esprime parere relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara, entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta. Se sulle medesime questioni insorge un contenzioso giudiziale, l’Anac non si pronuncia sulla richiesta e il procedimento si archivia. Il parere obbliga le parti che vi abbiano preventivamente acconsentito ad attenersi a quanto in esso stabilito. Il parere vincolante è impugnabile innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa ai sensi dell'articolo 120 del codice del processo amministrativo. Sono fatti salvi e restano fermi i termini di legge per impugnare gli atti lesivi, ai sensi dell’art. 120 del codice del processo amministrativo. In caso di rigetto del ricorso contro il parere vincolante, il giudice valuta il comportamento della parte ricorrente ai sensi e per gli effetti dell'articolo 26 del codice del processo amministrativo”
procedura dell’impresa (nello schema delle linee guida approvate sui criteri reputazionali il punto non appare chiaro) e quali elementi prendere in considerazione, per evitare distorsioni concorrenziali, anche tra imprese straniere e italiane e tra imprese che possono accedere al rating di legalità e imprese che non possono ottenerlo e sovrapposizione con i motivi di esclusione (art. 80).
A parte quanto puntualmente stabilito dalle linee guida, occorrerebbe affermare un principio generale, da introdurre all’art. 83, comma 10, secondo cui: i motivi di esclusione di cui all’art.
80 e gli elementi considerati ai fini della valutazione delle offerte sono esclusi dalla definizione del rating di impresa; e che il rating di impresa non costituisce strumento di discriminazione degli operatori economici47.
Molto importante è anche la tempestività dell’aggiornamento delle banche dati sulla cui base si forma il rating. Se i dati sulle imprese non sono aggiornati si rischia di fornire un rating sbagliato e di alterare in tal modo tutto il sistema.
Nell’elencazione dei requisiti reputazionali previsti dalle linee guida andrebbe espunto il riferimento al contenzioso, in particolare quello relativo alla partecipazione alla gara. In linea generale andrebbero valorizzati i requisiti che premiano le imprese che hanno bene eseguito gli appalti e nei tempi richiesti in quanto, questo è, in fondo, l’obiettivo finale che dovrebbe perseguire, invero, la stazione appaltante.
***
In definitiva, nell’intero sistema, occorre non perdere di vista che la regolazione dovrebbe avere come fine principale quello di realizzare un “buon appalto”, rispondente alle esigenze dell’amministrazione e della collettività, nel rispetto della par condicio e salvaguardando la concorrenza, a costi ragionevoli.
***
II. Esclusione, subappalto, consorzi stabili
II.1.1. L’art. 80 detta le disposizioni sui motivi di esclusione dalle gare per carenza dei requisiti c.d. di moralità generale degli operatori economici. La norma riprende il noto art. 38 del previgente Codice con diverse modifiche.
L’elemento più critico appare l’estensione della previsione anche ai subappaltatori previsti dall’art. 105, comma 6 (terna di subappaltatori da indicare necessariamente per gare sopra soglia).
Occorre chiarire che l’indicazione non vale ai fini della verifica dei requisiti di moralità per l’ammissione in gara, ma ai fini della verifica per l’autorizzazione al subappalto.
47 Proposta sul testo: Al comma 10 aggiungere infine: “I motivi di esclusione e gli elementi considerati ai fini della valutazione delle offerte sono esclusi dalla definizione del rating di impresa. Il rating di impresa non costituisce strumento di discriminazione degli operatori economici”
II.1.2. Altro punto critico, riguarda l’estensione dei motivi di esclusione, operata dalla giurisprudenza e non chiarita dal Codice, alle consorziate indicate come esecutrici dell’appalto in sede di gara da parte dei consorzi stabili.
E’ noto che i consorzi stabili, a differenza dei consorzi ordinari, partecipano alle gare quali, “soggetti singoli o con idoneità individuale”, per riprendere le parole dell’Anac.
Ne consegue che i motivi di esclusione devono operare solo nei confronti del Consorzio stabile e l’eventuale carenza/perdita di un requisito di moralità in capo alla consorziata indicata come esecutrice non può incidere sulla partecipazione del Consorzio alla gara, in quanto concorrente individuale, soggetto unico con il quale la stazione appaltante contratta ed unico responsabile della commessa. Una eventuale carenza del requisito di moralità, se verificata, avrebbe lo stesso effetto che ha nei confronti del subappaltatore: gli impedisce di essere l’esecutore della prestazione oggetto del contratto, senza alcun vulnus della par condicio.
II.2. Possibili proposte e soluzioni
II.2.1. Sul tema del subappalto e dei requisiti di ammissione, la soluzione possibile sarebbe quella di specificare che il motivo di esclusione rilevi ai soli fini della autorizzazione al subappalto.
II.2.2. Sul tema del consorzio stabile e requisiti di ammissione, si potrebbe chiarire (all’art. 47 o all’art. 80) che i motivi di esclusione si riferiscono al solo consorzio stabile, mentre, con riferimento alle consorziate indicate come esecutrici, i predetti motivi di esclusione sono verificati e valutati ai soli fini della possibilità di eseguire le prestazioni oggetto del contratto.
RACCORDI FRA CODICE E POLITICA INDUSTRIALE NEL SETTORE DELLE COSTRUZIONI
XXXXXXX XX XXXXXXX∗
L'adozione del Decreto legislativo 18 aprile 2016,n.50, costituisce momento di grande cambiamento nella disciplina degli appalti pubblici e delle concessioni, paragonabile, quanto ad intensità e rilevanza, a ciò che avvenne nel 1994 con la legge Merloni - che peraltro riguardava solo i lavori - legge con la quale le più recenti modifiche normative hanno in comune molti presupposti, ancorché logiche di intervento significativamente diverse.
Il recepimento delle Direttive comunitarie adottate dall'UE fin da febbraio 2014 rappresenta, infatti, l'obiettivo primario del legislatore ma non il solo; accanto ad esso vi è, altrettanto importante e del tutto coincidente con le aspettative del 1994, quello del riordino del quadro legislativo di settore per rimuovere, ovvero come autorevolmente sostenuto, ridurre alla fisiologia, le distorsioni tipiche di un contesto che si alimenta necessariamente di risorse pubbliche.
Stessi problemi, dunque, ai quali gli adempimenti comunitari offrono l'occasione di dare risposta con un approccio risolutivo che, come si avrà modo di vedere, risulta diametralmente opposto.
In questo senso, il ciclico riemergere di situazioni di palese patologia e distorsione del mercato, genericamente identificate con il termine “corruzione”, aveva già spinto il Governo ad intervenire con il DL n.90 del 2014 che reca scelte e previsioni largamente anticipatrici, ancorché in termini frammentari, delle logiche proprie del decreto 50, ovvero di ciò che a tutti gli effetti appare potersi identificare come il nuovo codice.
Orbene, mentre nel '94 il fine era quello di eliminare le distorsioni attraverso un quadro dettagliato e penetrante di regole che, in quanto tale ed in quanto affidato nella relativa gestione alla linea tecnica (il RUP nei lavori poteva - e tuttora può - essere solo un tecnico), fosse in grado di chiudere ogni spazio di discrezionalità nel presupposto che era quest'ultima ad offrire copertura alle distorsioni, oggi l'approccio è diverso, e si basa sul concetto di semplificazione nella sua più ampia accezione.
Quella più evidente è costituita dallo sfoltimento del quadro legislativo, con un numero di norme che scende da quasi 620 a 220, accompagnato dal rilancio della discrezionalità della PA in termini di c.d. libertà responsabile.
∗ Avvocato.
L'elevata quantità di regole ed il relativo dettaglio, spesso di per sé fonte di contraddizione, aveva infatti prodotto distorsioni ben maggiori di quelle che con tale approccio si intendeva combattere: ciò sia in termini di aggiramento formale delle singole previsioni, con conseguenze facili da intuire non fosse altro che in termini di mancata certezza del diritto; sia per il ”blocco della firma” di molti amministratori pubblici, conseguente al disorientamento operativo, reale o solo assunto a pretesto, con ristagno di ogni attività ed innalzamento di livello delle pratiche distorsive.
In questo senso l'approccio per così dire ideologico che il nuovo codice vorrebbe perseguire appare decisamente più pragmatico ed in linea con le pratiche dei principali competitors a livello di “sistemi paese” specie se si guarda al contesto europeo.
Infatti, alla condanna in sé delle pratiche distorsive si aggiunge (o precede ?) la considerazione che un contesto opaco non favorisce certo sviluppo ed investimenti, elementi questi indispensabili per chi intenda riprendere un cammino di crescita che in Italia da troppo tempo è mancante.
Che la spesa pubblica sia volano di sviluppo è, del resto, circostanza fin troppo nota; secondo i dati dell'ANCE la spesa aggiuntiva di 1 miliardo di euro in costruzioni genera sul sistema economico una ricaduta complessiva di 3,513 miliardi (tra effetti diretti, indiretti ed indotti), producendo un incremento occupazionale di 15.555 unità di lavoro, di cui 9.942 nel settore delle costruzioni e 5.613 nei settori collegati.
Considerato che lo Stato spende oltre 160 md all'anno tra lavori forniture e servizi (Rapporto Xxxxxxxxxx su dati 2013) si capisce quale sia l'importanza di garantire regole che non ostacolino i processi di spesa.
Più in generale, la ripresa degli investimenti appare di fatto oggi strategica per cercare di superare in via definitiva la crisi nella quale il Paese si dibatte per le gravi difficoltà che le economie occidentali in genere hanno registrato dal 2008 in avanti, ma anche per la prolungata assenza di un rinnovamento strutturale, più volte annunciato ma fin qui sempre rinviato, dei meccanismi con cui opera il c.d. “Stato apparato”.
Non a caso la riforma della disciplina dei contratti pubblici costituisce una delle grandi riforme che il Governo ha inteso avviare (vedi quella istituzionale o quella della P.A. con la legge Madia o ancora quella della Giustizia attesa a breve) per rinnovare il “Sistema Italia” da troppi anni tenuto a galla da forze inerziali legate a risalenti processi di crescita, mai seriamente ripensati ed aggiornati.
In quest'ottica, un nuovo assetto del quadro normativo ed istituzionale, per quanto attiene i temi qui in discussione, e cioè la disciplina dei contratti pubblici, s'imponeva; ciò per creare un ambito favorevole agli investimenti, nazionali ed esteri, che, specie in quest'ultimo caso, hanno matrici sempre più globali (fondi pensione, ricchezze generate da vendita di materie prime, risparmio mondiale ecc.) in grado di selezionare i contesti da privilegiare non tanto o non solo in base ad affezione o tradizione operativa, quanto piuttosto a valutazioni sistemiche (stabilità del quadro istituzionale, minimizzazione dei costi esterni, certezza di regole e tempi di giustizia) in grado di assicurare i ritorni economici attesi.
La logica prescelta per il nuovo approccio è, come già detto, quella della semplificazione che, oltre al già evocato riferimento al numero delle norme chiamate a disciplinare le pubbliche commesse ed al conseguente principio di libertà responsabile, viene nel nuovo Codice declinata anche in termini di riduzione delle stazioni appaltanti e di contenimento del contenzioso.
Un numero troppo elevato di committenti, infatti, genera di per sé il rischio di applicazioni non puntuali e/o semplicemente difformi della normativa vigente, moltiplicando ragioni di controversia, ingolfando l'attività giurisdizionale ed aprendo la strada a decisioni potenzialmente contraddittorie che alimentano le disfunzioni: la riduzione del loro numero con l'introduzione di un aspetto del tutto innovativo qual'è quello del rating, il cui possesso diviene conditio sine qua non per poter operare come committenti, rappresenta scelta coerente rispetto all'obiettivo di semplificazione del sistema e della riduzione dei relativi costi.
In quest'ottica coerente risulta anche il rafforzamento di ruolo dell'ANAC, chiamata a supportare in vario modo la corretta applicazione delle regole, ivi inclusa la previsione di meccanismi premiali per le stazioni appaltanti che abbiano operato correttamente, ciò che peraltro restituisce all'Autorità alcuni spazi di valutazione delle performance delle PA persi con il decreto legge 90 del 2014.
Incidere sul numero e sulla qualità delle stazioni appaltanti – pur nei limiti che tale strategia evidenzia nella sua effettiva implementazione48 - ridimensionerebbe l'argomento, a volte anche soggettivo, della qualità del dato normativo che caratterizza/dovrebbe caratterizzare il nuovo codice.
Ed infatti, al di là di una serie di oggettive carenze peraltro legate al poco tempo che l'esecutivo ha avuto (a fronte di un dibattito parlamentare viceversa assai lungo) per predisporre un testo comunque impegnativo nel numero di disposizioni e degli istituti da regolare, v'è da dire che nella misura in cui andasse in porto l'obiettivo di significativa selezione del numero delle stazioni appaltanti titolate ad operare ne deriverebbe maggiore facilità di gestione dell'intero momento applicativo della legislazione di settore che, anche attraverso linee guida ed atti di indirizzo, sarebbe di per sé più facile osservare e far osservare, con conseguente uniformità applicativa e recupero della ricercata “certezza di diritto”.
Nonostante i dubbi che alcuni sollevano soprattutto in merito alle modifiche apportate al codice del processo amministrativo anche in tema di contenzioso l'impostazione del nuovo Codice sembra voler corrispondere all'obiettivo generale della semplificazione; oltre agli interventi evocati in tema di ricorsi amministrativi, che sulla carta dovrebbero impedire tardive quanto strumentali contestazioni dei requisiti di ammissione dei concorrenti alle gare, sembrano poter contribuire in tal senso anche altri istituti la cui innovativa disciplina è a ciò funzionale: dalla conferma del c.d. soccorso istruttorio, con disposizioni a questo punto più chiare ed efficaci, agli strumenti volti a prevenire la stessa formalizzazione delle controversie come il nuovo Collegio Consultivo Tecnico e l'estensione dell'accordo bonario anche a forniture e servizi.
48 Si rinvia, in proposito, al contributo di P. Xxxxxx e X. Xxxxxxxx.
Tanto considerato in termini di logica complessiva di sistema, va altresì detto come quanto fin qui ricostruito descriva un quadro la cui teorica validità sconta, sul piano operativo, la prova dei fatti, così come le necessitò di alcuni inevitabili aggiustamenti di tiro e/o meri adeguamenti del dato testuale sui quali l'atteso correttivo potrà esser senz'altro d'aiuto.
L'affermazione secondo la quale il nuovo Codice costituisce un complesso di norme identificabile nelle relative finalità e potenzialmente in grado di imprimere una svolta reale al modo di intendere ed applicare le procedure di affidamento ed esecuzione dei contratti pubblici superando i formalismi tipici della previgente impostazione non esclude, come testé osservato, la necessità di chiarimenti e/o modifiche attraverso uno o più dei decreti correttivi entro il 20 aprile 2017.
Si è già fatto cenno a come la fretta imposta da un lungo dibattito parlamentare abbia lasciato spazi temporali oltremodo ristretti per la scrittura delle norme, ciò che non ha certo favorito un testo scevro da lacune ed imperfezioni; in questo senso un primo intervento urgente, strettamente tecnico, che passi attraverso la ripubblicazione del Decreto 50 in termini di mera errata corrige (e quindi non un correttivo propriamente detto) costituisce scelta corretta, peraltro già adottata dal Governo.
Aspetti terminologici a parte, risultano peraltro rilevanti per la politica di settore, che come è noto si attua proprio attraverso le regole, alcune questioni di merito; in tale ottica occorrerebbe verificare le scelte di campo effettuate che appaiono, a nostro avviso, meritevoli di chiarimento prima ancora di un'eventuale modifica.
Al riguardo, e senza pretesa di esaustività, due temi possono essere fin da ora evidenziati: il modello di sviluppo industriale che il decreto intende perseguire per il futuro del Paese e degli operatori economici, soprattutto quando vengono in evidenza gli investimenti in opere pubbliche o di utilità pubblica, ed il ruolo del finanziamento privato.
In questo senso, l’impostazione che emerge in tema di subappalto è quella di un deciso favor per un modello imprenditoriale caratterizzato dall’esecuzione in diretta delle commesse, dalle opere civili all’impiantistica fino ad alcune tipologie di forniture (es. la prefabbricazione).
Tale impostazione appare in netta controtendenza con l'ispirazione comunitaria alla base del progetto di riordino, cui ci si è più volte riferiti in premessa e, comunque, decisamente antistorica.
Ed infatti, se la scelta del tutto in proprio fosse dettata da ragioni per così dire di ordine pubblico, andrebbe opportunamente considerato che il subappaltatore, diversamente da quanto avveniva in passato, è oggi sottoposto, al medesimo regime di qualificazione, anche soggettiva, oltre che tecnico organizzativa ed economico finanziaria, fissata per l’impresa principale, e che i rapporti con l’impresa principale sono noti alle stazioni appaltanti. Inoltre, specie - ma non solo
- nel caso di grandi opere, tutti i flussi di pagamento, da e verso il subappaltatore, sono soggetti a regimi di tracciabilità piena. Nel senso voluto, infine, è possibile contare anche sui nuovi strumenti messi in campo dal d.lgs 50 ad esempio in tema di rating d'impresa.
Laddove confermata l'opzione del tutto in proprio si porrebbe, poi, in netta controtendenza rispetto alle politiche europee e nazionali a sostegno delle micro, piccole e medie imprese che rischierebbero di restare danneggiate da una simile impostazione invece che favorite.
Non ultima, in questo scenario, è la considerazione strettamente tecnica di mera compatibilità con le direttive, le cui previsioni sembrerebbero escludere, se non in via di mera eccezione, da giustificarsi caso caso per caso, limitazioni generali delle prestazioni da eseguire tramite terzi in termini di percentuale sull'importo del contratto affidato. In questo senso, infatti, è la recente sentenza della III sezione della Corte di Giustizia UE n.C-406/14 dello scorso 15 luglio u.s.
Se, viceversa, non è il tutto in proprio la scelta di politica industriale che il Governo ritiene utile per il Paese, occorrerà tenerne conto in sede di correzione dell'attuale testo dell'art.105 che, comunque, non potrà non risultare in linea con le evidenziate, ed a questo punto ben chiare, indicazioni comunitarie.
Altra questione di fondo riguarda il finanziamento privato e come questo possa essere utilizzato in modo proficuo per la realizzazione di investimenti destinati a produrre “servizi” per i cittadini e la collettività in genere.
Al riguardo pare infatti opportuno chiarire una volta per tutte quali sono le relazioni che legano le nozioni di: appalto, concessioni e PPP ed il relativo impatto sui conti pubblici delle operazioni ad esse riconducibili, i cui confini e significati non sembrano univoci.
Rinviando ad altri interventi di questo paper dedicati al dettaglio di questa disciplina49, ci si limita qui ad osservare che: i) tra appalti e concessioni la differenza, secondo le Direttive UE, riguarda solo le procedure da adottarsi per la scelta del contraente, non già l'impatto degli eventuali cofinanziamenti della PA sui conti pubblici (in balance/off balance); ii) le concessioni possono avere ad oggetto la realizzazione tanto di opere c.d. calde quanto di quelle c.d. fredde;
iii) i PPP rientrano nella nozione di concessione o di appalto, ai fini delle procedure di scelta del contraente, a seconda dell'effettivo trasferimento al privato, o meno, del rischio operativo tipico della concessione.
Anche la previsione, comune a PPP e concessioni secondo la quale l'eventuale riconoscimento del prezzo, sommato al valore di eventuali garanzie pubbliche o di ulteriori meccanismi di finanziamento a carico della pubblica amministrazione, non può essere superiore al trenta per cento del costo dell'investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari andrebbe opportunamente chiarita nella sua portata e nelle relative finalità.
Ciò in quanto, se il finanziamento privato delle opere pubbliche va senz'altro incentivato nell'ottica di favorire lo sviluppo economico del Paese, l'apporto pubblico, per la parte di competenza, costituisce elemento imprescindibile per la costruzione dei piani finanziari. In questo senso non si comprende la generalizzata compressione quantitativa al 30% che, viceversa, andrebbe: riportata semplicemente a meno del 50 se ciò che si intende perseguire è solo limitare l'impatto del l'investimento sul debito pubblico; lasciata alle mere necessità di equilibrio del piano economico e finanziario (PEF) in funzione del mercato, se si tratta solo di regolare in sé l'istituto del partenariato pubblico privato (PPP) aggiuntivo rispetto alla concessione.
49 Il riferimento è ai due contributi – rispettivamente – di X. Xxxxxx e di X. Xxxxx e I. Gobbato.
Alle esigenze di chiarimento e monitoraggio della nuova disciplina introdotta dal d.lgs. 50 corrispondono le disposizioni in tema di Governance dettate dagli artt.212-15, soprattutto attraverso l'istituto della Cabina di regia50.
Al riguardo, il DPCM del 10 agosto 2016 istitutivo della Cabina di regia contiene indicazioni incoraggianti specie sul piano del coordinamento di tutte le sedi istituzionalmente deputate ad esprimersi nel quadro di un ordinato contesto così direttamente legato, come già detto, all'interesse generale del Paese. Meno chiaro, invece, è come possano avere accesso anche le istanze del mondo degli operatori economici che non paiono direttamente coinvolti
In quest'ottica, l'art. 2 dello schema potrebbe essere ancora precisato nel senso di prevedere, accanto agli esperti propriamente detti (comma 2), apposito spazio per la stabile partecipazione di organismi che, ancorché privati, abbiano ad oggetto della rispettiva attività la cura, in una prospettiva di medio lungo termine, degli interessi generali e prevalenti del Paese; in alternativa, “specifici compiti”, tra quelli affidabili ai sensi del comma 4, nella specie il monitoraggio sull'impatto del nuovo Codice rispetto all'economia del Paese, potrebbero essere affidati ad uno o più di tali organismi.
Tanto premesso, può quindi concludersi riconoscendo che il nuovo Codice si fonda, effettivamente su un approccio radicalmente diverso rispetto ad una serie di temi e di modi di operare che hanno fin qui caratterizzato la disciplina dei contratti pubblici.
La ratio di tale cambiamento si riassume nel senso di una considerazione molto più pragmatica e non formalistica della regole volte a presidiare un comparto strategico per il funzionamento e lo sviluppo economico del Paese, qual'è quello delle commesse pubbliche e degli investimenti in genere.
Ciò in linea con quanto di fatto ha sempre chiesto l'UE, ogni volta che, negli anni, ha avuto modo di esprimersi operativamente sui contenuti della nostra legislazione (in tal senso si vedano le condanne della Corte di Giustizia in materia di offerte anomale, di rilevanza del collegamento tra gli operatori economici in sede gara, per giungere, da ultimo, all'illegittimità del divieto assoluto per i progettisti di partecipare alle gare per l'esecuzione di quanto progettato) tutta concentrata sull'apposizione ed il rispetto di regole meramente formali (magari poi distorte dai processi interpretativi/applicativi) volte solo a porre le amministrazioni al riparo da possibili censure sul relativo operato; ciò in luogo di puntare sui profili sostanziali delle singole scelte ovvero sul funzionamento concreto delle cose.
In questo senso, vale la pena di puntare su un approccio nuovo che comunque non potrà prescindere dall'apporto, anche in maniera sistematica, delle valutazioni e dei suggerimenti di quei soggetti che, in quanto privi di riferibilità specifiche, possono anch'essi rappresentare le esigenze degli operatori che l'assetto istituzionale sembra aver tralasciato da nuovo sistema di Governance.
50 Vedi il contributo di X. Xxxxxxx, interamente dedicato a questa innovazione introdotta dal nuovo Codice.
IL PARTENARIATO PUBBLICO PRIVATO E LE CONCESSIONI NEL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI: ALCUNE PROPOSTE PER MIGLIORAMENTO DELLA DISCIPLINA VIGENTE
XXXXXXXXXXXXX XXXXXX∗
1. La disciplina generale del PPP: una fuga in avanti del Legislatore nazionale.
Con il termine partenariato pubblico privato (PPP) si fa riferimento a contratti, alternativi all'appalto tradizionale, stipulati tra la pubblica amministrazione e un privato operatore economico al fine di realizzare un'opera pubblica o di erogare un servizio51. Si tratta, peraltro, di una categoria dai contorni problematici e incerti52 che nel diritto interno è stata tormentata da continui interventi del legislatore che hanno reso la disciplina instabile e controversa (si pensi al caso della finanza di progetto).
Le caratteristiche generali di tali contratti, dei quali le concessioni di lavori e servizi indubbiamente costituiscono il modello principale, sono state individuate dalla Commissione europea53.
I rapporti devono essere di lunga durata e investono un soggetto pubblico e un soggetto privato, implicando una collaborazione tra i due partner su vari aspetti di un certo progetto (quali ad esempio, la progettazione, la realizzazione, la gestione). In questo complesso rapporto, mentre il partner privato assurge a protagonista del progetto, il partner pubblico si limita ad avere una funzione di coordinamento e di controllo. Ciò si inserisce in un progressivo abbandono da parte della pubblica amministrazione di alcune delle sue funzioni tradizionali per delegarle, man mano, ai soggetti privati.
Il finanziamento del progetto deve essere, almeno in parte, proveniente da un soggetto privato. Ciò vuol dire che, rispetto al tradizionale contratto di appalto nel quale il finanziamento è pubblico, nel PPP il soggetto privato si fa carico, con mezzi propri oppure a mezzo dell’indebitamento con le banche, del costo della realizzazione dell’opera o almeno di parte di esso. Successivamente, dovrà recuperare l’investimento iniziale in fasi successive alla
∗ Avvocato, Studio Legale Fidone-Linguiti, Vice Presidente di AEQUA. Il presente documento è frutto dello studio del gruppo di lavoro di XXXXX coordinato da Xxxxxxxxxxxxx Xxxxxx, con la partecipazione di Xxxxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxx, Xxxxx Xxxxx. 51 Si confronti: Il partenariato pubblico privato: una fuga in avanti del legislatore nazionale rispetto al diritto europeo, in Il Diritto
dell'Economia, 3/2016 (in corso di pubblicazione).
In generale sul PPP, tra gli altri: G.F. XXXXXX, X. XXXXXX (a cura di), Finanza di Progetto. Temi e Prospettive, Napoli, 2010; X. XXXXXXX, X. XXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), Negoziazioni Pubbliche. Scritti su concessioni e partenariati pubblico- privati, Milano, 2013.
52 Si confronti X. XXXXX, Il partenariato pubblico-privato: i confini incerti di una categoria, in X. XXXXXXX, X. XXXXX, X. XXXXXX,
X. XXXXXXX (a cura di), Negoziazioni Pubbliche. Scritti su concessioni e partenariati pubblico-privati, cit., 10 ss.
53 COMMISSIONE EUROPEA, Libro verde «relativo ai partenariati pubblico - privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni», 2004. Tale libro verde prevede anche la forma del PPP “istituzionalizzato”, ove il partner pubblico e il partner privato creano un soggetto giuridico ad hoc al quale entrambi partecipano (es. una società a capitale misto), preposto a intraprendere l’operazione. Sul PPP istituzionalizzato si rinvia a COMMISSIONE EUROPEA, «Comunicazione interpretativa della Commissione sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati (PPPI)», Bruxelles, 5 febbraio 2008, (COM 2007, 6661).
realizzazione, ad esempio, nel caso della concessione, con la gestione dell’opera realizzata per un determinato numero di anni, in modo tale che i ricavi complessivi ottenuti possano garantire la copertura dei costi e, allo stesso tempo, un certo margine di profitto. Tale caratteristica rende il PPP uno strumento con potenzialità importanti per la realizzazione di opere e servizi in Paesi a forte indebitamento pubblico, quale è l’Italia, soprattutto in tempi di crisi economica.
Nei contratti di PPP il rischio dell’intervento da realizzarsi, ovvero il rischio di fallimento dell’operazione imprenditoriale, deve essere contrattualmente trasferito sul privato, completamente o, almeno, parzialmente. Se il progetto fallisce, le conseguenze negative devono essere a carico del privato. È chiaro, tuttavia, che il problema è complesso, dal momento che, se fallisce la realizzazione o la gestione di un’opera pubblica, vi saranno ripercussioni negative sia a carico della collettività amministrata sia a carico della pubblica amministrazione, perché se l’opera non viene realizzata o non ne funziona la gestione il problema diventa collettivo.
Tale ultima caratteristica è quella che maggiormente caratterizza i contratti di PPP54. Se non c’è trasferimento del rischio, almeno parziale, a carico del privato, il contratto non può essere considerato un PPP o una concessione, ma deve essere qualificato come appalto tradizionale.
Nel diritto interno, con il terzo correttivo (d.lgs. 11 settembre 2008, n. 152) è stata inserita nel Codice dei contratti pubblici del 2006 l'art. 3 comma 15 ter, che recepisce esattamente gli orientamenti e i principi comunitari illustrati, con una elencazione, a titolo esemplificativo, delle principali tipologie contrattuali.
La disciplina generale del PPP si è, peraltro, sovrapposta alle discipline specifiche di alcuni dei contratti che ne fanno parte, già presenti da tempo nel diritto interno e nel Codice dei contratti pubblici, quale ad esempio quelle della concessione di lavori55, della finanza di progetto, della locazione finanziaria56. Tali discipline particolari, peraltro, sono state spesso incoerenti e frammentate e hanno generato incertezza tra gli operatori, con la conseguente limitazione dell'effettivo utilizzo dei PPP, che sino ad ora non hanno costituito, anche per tale ragione, una valida misura per il contrasto della stessa crisi economica.
Deve essere anche evidenziato che la fase della gestione dell’opera realizzata o di un servizio, tipica dei contratti di concessione, non è elemento necessario perché si abbia PPP, dal momento che vi sono contratti di partenariato che prescindono da tale fase, come la locazione finanziaria (c.d. “leasing immobiliare pubblico”) e il contratto di disponibilità, previsti dagli art. 160 e 160 bis del Codice57.
Il recepimento nel Codice dei contratti pubblici della categoria generale dei PPP ha costituito una fuga in avanti del legislatore italiano rispetto a quello comunitario, dal momento che né la
54 X. XXXXX, Il partenariato pubblico-privato: i confini incerti di una categoria, cit.
55 L'istituto della concessione di costruzione e gestione risale, per alcune ipotesi peculiari, sin dall'epoca dell'unificazione amministrativa con la l. 20 marzo 1865, n. 2248 - All. F e, successivamente, fu generalizzato dalla l. 24 giugno 1929, n. 1137 e poi sempre contemplato, seppure con sostanziali variazioni sul tema, dalle successive discipline di settore, sino ad arrivare al Codice dei contratti pubblici. Per questo di rimanda al contributo di G.F. CARTEI, Le concessioni di lavori pubblici, in X. XXXXXXX e X. XXXXXX (coordinato da), Studi per il 150° dell'unificazione amministrativa italiana, X. XXXXXXX, X. XXXXXXXXX (a cura di), L’intervento pubblico nell’economia, Firenze, in corso di pubblicazione.
56 La finanza di progetto è stata prevista per la prima volta dalla l. 415/1998, che introdusse nella l. 109/1994, c.d. “Merloni”, gli artt. 37 bis e ss. Sul punto sia consentito rinviare a X. XXXXXX, Aspetti giuridici della finanza di progetto, Xxxx, 0000.
57 Sul tema, sia consentito citare, X. XXXXXX, Dalla locazione finanziaria al contratto di disponibilità: l’evoluzione del contratto di leasing immobiliare pubblico, in Foro Amm. TAR, X, 3, 2012, 1038 - 1070. Si confronti anche: AVCP n. 4 del 22 maggio 2013,
«Linee guida sulle operazioni di leasing finanziario e sul contratto di disponibilità».
previgente direttiva 2004/18/CE né le nuove direttive 2014/23/UE e 2014/24/UE contengono la definizione di PPP, che dunque a livello comunitario rimane confinata a documenti che non hanno rango di fonte del diritto58.
Tale tendenza del legislatore interno è stata confermata dalla legge delega per il recepimento delle nuove direttive di settore, l. 11 del 28.1.2016, che all’art. 1 comma 1 lett. ss) prevede la razionalizzazione e l'implementazione delle forme di PPP oltreché, alla lett. tt) la riduzione dei tempi delle procedure necessarie al perfezionamento di tali contratti. Da ultimo, il nuovo codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50 del 18.4.2016, che ha recepito il nuovo pacchetto di direttive Europee del 2014, ha poi definito il PPP all'art. 3 lett. eee) e lo ha disciplinato nella parte IV, agli artt. 179 e ss., separandola da quella delle concessioni di cui alla parte III.
Le tre nuove direttive del 2014, come già osservato, ancora una volta non contemplano la categoria generale del PPP. Ciò appare particolarmente rilevante, se si considera che la direttiva 23/2014/UE, per la prima volta, detta una disciplina organica delle concessioni, ovvero del contratto principale di Partenariato.
Si pongono i problemi se, a seguito delle nuove direttive 2014, il concetto di PPP abbia ancora una sua autonomia giuridica e, in caso di risposta positiva, quale sia il diritto comunitario di riferimento59. Le due questioni devono avere una risposta congiunta e ci sono tre possibili soluzioni.
La prima è quella della riconducibilità del PPP alla direttiva appalti. Ciò vorrebbe dire che il PPP non sarebbe una categoria autonoma ma una sotto-categoria dell'appalto. Tuttavia, come si è visto, i contratti di appalto devono considerarsi ontologicamente estranei alla nozione di PPP, in quanto mancanti della caratteristica del trasferimento del rischio. Tra l'altro, è ovvio che i principali contratti di PPP ovvero le concessioni (di lavori e servizi) non potrebbero comunque andare sotto la direttiva appalti, essendo espressamente disciplinati dalla nuova direttiva 23. Dunque, i PPP appaiono cosa distinta dai contratti di appalto e non devono considerarsi assoggettabili alla direttiva appalti e alle procedure di aggiudicazione tipizzate da tale direttiva60.
58 Tra gli altri, COMMISSIONE EUROPEA, Libro verde «relativo ai partenariati pubblico - privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni», cit.; COMMISSIONE EUROPEA, Comunicazione sui PPP e sul diritto degli appalti pubblici e delle concessioni del 15 novembre 2005 (COM 2005, 569); PARLAMENTO EUROPEO, Risoluzione del 16 ottobre 2006 sui partenariati pubblico-privati e il diritto comunitario in tema di appalti pubblici e concessioni; COMMISSIONE EUROPEA, «Comunicazione interpretativa della Commissione sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati (PPPI)», Bruxelles, 5 febbraio 2008 (COM 2007, 6661); COMMISSIONE EUROPEA, «Libro verde relativo alla modernizzazione della politica dell’UE in materia di appalti pubblici per una maggiore efficienza del mercato europeo degli appalti», 2011(COM 2011, 15).
59 Il problema è affrontato da M.P. CHITI, Il partenariato pubblico privato e la nuova direttiva concessioni, in G.F. XXXXXX, X. XXXXXX (a cura di), Finanza di Progetto e Partenariato Pubblico Privato, cit.
60 Tale aspetto non è così scontato nel diritto interno. Ad esempio, l'art. 160 bis primo comma espressamente definiva la locazione finanziaria (che ai sensi dell'art. 3 comma 15 ter è PPP) come "appalto pubblico di lavori". Anche la giurisprudenza interna ha spesso ritenuto contratti di PPP riconducibili alla figura generale dell'appalto, come nel caso della locazione finanziaria, del contraente generale. L'art. 187 comma 1 del nuovo codice di cui al d.lgs. 50/2016 conferma tale definizione, riproponendo il medesimo problema.
La seconda è quella della riconducibilità del PPP sotto la direttiva concessioni 23/2014/UE. Ciò vorrebbe dire che il PPP non sarebbe categoria autonoma ma una sotto-categoria delle concessioni.
Se per le concessioni è scontato che esse ricadano nel campo di applicazione della direttiva 23, vi sono, però, contratti di partenariato diversi dalle concessioni, che prescindono dalla gestione (che è elemento caratterizzante la concessione)61. Il problema diventa capire se dopo la direttiva 23 anche tali contratti debbano fare riferimento alla direttiva concessioni. Ciò vorrebbe dire che vi sarebbe stato un allargamento del concetto di concessione tale da farvi entrare anche le altre forme di PPP.
Argomento a favore potrebbe essere che la nuova direttiva sembra ampliare la definizione di concessione, laddove contempla espressamente per la prima volta la concessione c.d. fredda62 ma, tuttavia, non pare mmissibile che tale definizione possa essere allargata a tal punto da prescindere dalla fase della gestione63.
Quanto detto porta a ritenere che le forme di PPP prive della fase di gestione non possano essere ricondotte alla fattispecie della concessione e non dovrebbero ricadere nel campo si applicazione della direttiva concessioni.
La terza possibilità è quella che il PPP sia una categoria concettuale autonoma (e non una sottocategoria degli appalti o delle concessioni) che non possa essere ricondotta né sotto la direttiva 24 né sotto la 23, salvo per il caso eccezionale di quei PPP che sono le concessioni (ai quali è dedicata la direttiva 24). Evidentemente, se le prime due risposte non sono corrette, deve essere vera quest'ultima . Dunque, il PPP sarebbe una categoria autonoma che comprende le concessioni ed è cosa diversa dagli appalti, così conservando rilevanza giuridica autonoma.
Detto in altri termini, per il diritto Europeo vi sarebbero due contratti tipizzati (ovvero gli appalti e le concessioni, oggetto di due direttive specifiche) e assoggettati a specifiche discipline, mentre i contratti di PPP rimarrebbero contratti atipici, in quanto non previsti né regolati da alcuna direttiva. Al di fuori dei due contratti tipizzati dalle direttive 24 (appalto) e 23 (concessioni) saremmo in presenza ad un principio comunitario di atipicità delle altre forme di contrattazione tra pubblica amministrazione e privati e, in tale ambito, ben potrebbero esistere (negli ordinamenti nazionali) altri contratti di PPP diversi dalle concessioni. Tale atipicità parrebbe riguardare tanto i modelli contrattuali quanto le procedure di aggiudicazione, che comunque devono essere espletate nel rispetto dei principi comunitari.
Se ciò è vero, la serie di contratti pubblici che il diritto interno annovera tra i PPP (quelli diversi dalle concessioni) rimarrebbero privi di ancoraggio nel diritto dell’Unione. Ciò varrebbe, ad esempio, per la locazione finanziaria, per i contratti di disponibilità, per le sponsorizzazioni, per le sponsorizzazioni tecniche di beni culturali, per il contraente generale64. Tuttavia, la mancanza di una base di diritto europeo non può certo impedire al Legislatore nazionale di disciplinare tali
61 Nell'ordinamento interno, ad esempio, vi sono locazione finanziaria, il contratto di disponibilità, il contraente generale, e la sponsorizzazione tecnica di beni culturali.
62 Direttiva 2014/23/UE, considerando 18.
63 Peraltro, alcuni contratti disciplinati nel diritto interno (locazione finanziaria, contratto di disponibilità) potrebbero rientrare nell'esclusione espressa dall'applicazione dalla direttiva 2014/23/UE, ai sensi dell'art. 10 comma 8 lett. a) della stessa direttiva in quanto rientranti nella categoria de "l’acquisto o la locazione, quali che siano le relative modalità finanziarie, di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili o riguardanti diritti su tali beni".
64 Tutti tali istituti appartenevano al d.lgs. 163/2006 e sono oggi contemplati dalla parte IV del nuovo codice di cui al d.lgs. 50/2016.
istituti, non essendo tale tematica parte delle competenze esclusive dell’Unione, con l'ovvio limite che la disciplina interna di tali contratti deve essere compatibile con principi generali del diritto europeo.
In tale contesto, la legge delega per il recepimento delle nuove direttive europee del 201465, l. 28 gennaio 2016 n. 11, da un lato, prevedeva la creazione di una "disciplina organica dei contratti di concessione" a recepimento della direttiva 2014/23/UE66; dall'altro lato, prevedeva la "razionalizzazione ed estensione" delle forme di PPP, "incentivandone l'utilizzo anche attraverso il ricorso a strumenti di carattere finanziario innovativi e specifici"67. Il codice di cui al d.lgs. 50/2016 ha poi dedicato alle concessioni la parte III e al PPP la parte IV.
Emergere, dunque, una separazione concettuale tra i contratti di concessione e i contratti di PPP, che sono assoggettati a discipline diverse68.
Sulla base di tali considerazioni generali, di seguito si evidenziano, senza pretesa di esaustività, alcune delle problematicità della nuova disciplina e si propongono alcune possibili modifiche.
Nella parte IV del Nuovo Codice è presente più di un riferimento capace di far sorgere il dubbio, addirittura all’interno dello stesso art. 180; basti pensare che il primo comma di tale articolo si apre con l'affermazione che “il contratto di partenariato è il contratto a titolo oneroso di cui all’articolo 3, comma 1, lettera eee)”, salvo poi rimandare, all’ultimo comma, alla “tipologia dei contratti di cui al comma 1”. Tale incongruenza potrebbe peraltro essere dipesa dalle indicazioni fornite nel parere formulato dal Consiglio di Stato in sede di valutazione dello schema del decreto del nuovo Codice dei contratti pubblici. Sottolinenado, infatti, un’apparente incongruenza insita nell’originaria formulazione dell’art. 180, co. 1 del Codice, il Consiglio di Stato ha affermato che: “Il comma 1 dell’art. 180 reca una definizione di partenariato diversa da quella contenuta nell’art. 3, comma 1, lett. eee): le due definizioni vanno armonizzate, con la scelta di una delle due, o di una sintesi delle due, scelta politica che è rimessa al Governo. Peraltro il Consiglio di Stato ritiene preferibile e più chiara (per quanto ulteriormente semplificabile) la definizione contenuta nell’art. 180, comprensiva anche del partenariato avente ad oggetto opere calde (mentre nella definizione contenuta nell’art. 3 il ppp ha ad oggetto solo opere fredde), che va tuttavia spostata nell’art. 3, facendo nell’art. 180 un mero rinvio.” Cfr. p. 180, parere n. 855/2016). Un primo passo potrebbe essere quello di espungere o correggere tali riferimenti in modo da mettere in chiaro che quella del PPP è una categoria contrattuale (aperta), all’interno della quale possono essere ricompresi strumenti e istituti diversi. Il primo e il più importante di questi è senza ombra di dubbio la Concessione.
65 Come noto, si tratta delle direttive 2014/23/UE, sulle concessioni; 2014/24/UE sugli appalti e 2014/25/UE sui settori speciali.
66 Art. 1 comma 1 lett. hhh) della l. 11/2016.
67 Art. 1 comma 1 lett. ss l. 11/2016.
68 Come detto nel testo, nel nuovo Codice di cui al d.lgs. 50/2016, in attuazione della delega di cui alla l. 11/2016, i modelli di PPP nella parte IV e sono distinti dalle concessioni, che sono disciplinate dalla parte III. Il parere del Consiglio di Stato - Adunanza della Commissione speciale del 21 marzo 2016 n. 855 del 1 aprile 2016 aveva, peraltro, ribadito la necessità di una definizione unica di PPP che comprenda tanto le opere calde (e dunque le concessioni) che le opere fredde (commento all'art. 180). Si è così pervenuti all'attuale formulazione dell'art. 180 comma 8 che nella categoria generale del partenariato pubblico privato comprende anche le concessioni.
4. Sulla natura calda o fredda dei PPP e delle Concessioni.
Nella parte IV del Codice, dedicata al PPP, questo tipo di contratto sembrerebbe essere concepito come prevalentemente o tendenzialmente “freddo”, salvo poi contemplare in più di un’occasione la possibilità di affidamenti per così dire “caldi” dello stesso. Quello che occorrerebbe fare è, dunque, sgombrare il campo dai dubbi e ribadire in maniera chiara che i contratti di PPP (di cui, come detto, fanno parte le Concessioni) possono essere sia “caldi” che “freddi”, a seconda del caso concreto, come dovrebbe valere anche per le Concessioni. In ogni caso, deve essere sottolineato che non è certo la natura “calda” o “fredda” del contratto che può distinguere i PPP dalle Concessioni, come pure sembra fare il Codice (a tal proposito, v. punto 3).
Analoghe osservazioni potrebbero essere riproposte con riferimento alle Concessioni, atteso che il Codice del 2016 sembrerebbe qualificare come tali solo quei contratti nei quali “la maggior parte dei ricavi di gestione del concessionario proviene dalla vendita dei servizi resi al mercato” (art. 165, comma 1). In altri termini, a norma del Codice, le Concessioni possono essere solo contratti “caldi”. In tal caso, l’esigenza di un intervento correttivo appare necessaria dall’evidente contrasto del testo normativo esaminato con quanto previsto all’interno della direttiva 2014/23/UE (considerando 18), ai sensi della quale le Concessioni possono essere tanto contratti caldi quanto contratti freddi.
Le norme del Codice sul PPP e sulle Concessioni (anche quelle contenute nella parte sulle definizioni) risentono ancora dell'influenza delle vecchie decisioni Eurostat. Occorre, dunque, uniformare definizioni e relativa disciplina, espungendo dal Nuovo Codice i riferimenti a concetti ormai superati, come quelli di rischio di costruzione, rischio di domanda e rischio di disponibilità nonché il richiamo alle decisioni Eurostat stesse (art.3, comma 1, lett. eee), che, ormai, a livello europeo, sono state superate, tanto che le nuove direttive non le richiamano.
Probabilmente, il Legislatore Italiano ha superato il riferimento alla decisione Eurostat solo per le Concessioni perché è la stessa direttiva 2014/23/UE che l’ha fatto e, quindi, in attuazione di questa. Per i PPP, invece, non essendoci una disciplina europea apposita, il Legislatore Italiano ha deciso di rimanere ancorato ai vecchi parametri del 2004. In ogni caso, la scelta non è del tutto condivisibile poiché mantenere fermo (seppure solo per i PPP) il richiamo ai rischi di domanda, disponibilità e di costruzione introduce un elemento di asimmetria nel Codice 2016 fra la Parte III (Concessioni) e la Parte IV (PPP). Se si vuole assicurare la (necessaria) comunicabilità fra le parti occorre, invece, individuare presupposti e linguaggi comuni, con la conseguenza che, sul rischio, bisogna prendere come riferimento esclusivamente la direttiva 23, senza dare un peso normativo ad atti non normativi, come le decisioni Eurostat, che non sono stati successivamente coltivati neppure a livello europeo.
In ogni caso, è necessaria una maggiore chiarezza sulle definizioni dei rischi. In particolare, sarebbe opportuno inserire anche una definizione di cosa sono il rischio sul lato della domanda e
il rischio sul lato dell’offerta (come fa la direttiva 23, v. considerando 20), magari con una maggiore chiarezza sul loro concreto contenuto.
A tal fine, sarebbe opportuno tenere conto delle seguenti considerazioni relativamente al contenuto del rischio dal lato della domanda e del rischio dal lato dell’offerta:
Rischio dal lato della domanda: Il rischio viene individuato in relazione al mercato oggetto del contratto di concessione, che si compone di una domanda e di un'offerta. Sul punto deve essere anche evidenziato che se l'art. 5 comma 1 [della direttiva 2014/23] sembra fare riferimento al solo mercato che si viene a creare nella fase della gestione (tanto nelle concessioni di lavori che in quelle di servizi), la lettura attenta del considerando 18 sembra fare riferimento, per le concessioni di lavori, anche al mercato relativo alla fase della costruzione, che ha per oggetto i lavori. Il rischio dal lato della domanda, dovrebbe essere individuato solamente in relazione alle oscillazioni della domanda che proviene dagli utenti del servizio gestito, tanto nelle concessioni di lavori che in quelle di servizi calde. Nelle concessioni di lavori e servizi fredde, il trasferimento del rischio di domanda potrebbe configurarsi solo quando il canone pagato dall'amministrazione al concessionario sia, secondo quanto previsto contrattualmente, dipendente dall'effettivo utilizzo dell'opera o del servizio da parte degli utenti (come nel caso dei già ricordati pedaggi ombra). Tale conclusione, peraltro, porta a far perfettamente coincidere il rischio dal lato della domanda della direttiva 2014/23/UE con il rischio di domanda individuato da Eurostat nella determina dell'11 febbraio 2004, come già descritto.
Dunque, le fluttuazioni dal lato della domanda potrebbero astrattamente dipendere da causa dell'amministrazione (opere e servizi freddi) o da causa degli utenti (opere e servizi caldi). Tale conclusione avrebbe però l'effetto illogico di richiedere, al fine della qualificazione dei contratti di concessione di opere e servizi freddi, il trasferimento sul concessionario privato anche del rischio connesso alla domanda proveniente dalla stessa amministrazione. Peraltro, si ricordi, che nel caso di concessioni fredde l'amministrazione, a fronte dell'utilizzazione diretta dell'opera o della fruizione del servizio, paga al concessionario un canone. Dunque, se in tali casi il rischio dal lato della domanda fosse trasferito sul privato, nel rapporto contrattuale si verrebbe, di fatto, a configurare un diritto potestativo per l'amministrazione di ridurre o non pagare affatto il canone in relazione al mutamento dei propri desiderata, a fronte del quale il privato concessionario si troverebbe in una posizione di soggezione. Ciò non pare accettabile, anche alla luce del considerando 20 che afferma il principio secondo il quale “un rischio operativo dovrebbe derivare da fattori al di fuori del controllo delle parti”.
Se quanto appena osservato corrisponde al vero, il rischio dal lato della domanda, dovrebbe essere individuato solamente in relazione alle oscillazioni della domanda che proviene dagli utenti del servizio gestito, tanto nelle concessioni di lavori che in quelle di servizi calde. Nelle concessioni di lavori e servizi fredde, il trasferimento del rischio di domanda potrebbe configurarsi solo quando il canone pagato dall'amministrazione al concessionario sia, secondo quanto previsto contrattualmente, dipendente dall'effettivo utilizzo dell'opera o del servizio da parte degli utenti (come nel caso dei già ricordati pedaggi ombra).
Rischio dal lato dell’offerta: Si passi ora all'analisi del rischio dal lato dell'offerta. Quanto all'offerta di lavori e servizi, non vi dubbio che essa provenga sempre dal concessionario privato e, dunque, le fluttuazioni dal lato dell'offerta dipendono necessariamente da causa propria dello stesso concessionario. La direttiva spiega che “per rischio sul lato dell'offerta si intende il rischio associato all'offerta dei lavori o servizi che sono oggetto del contratto, in particolare il rischio che la fornitura di servizi non corrisponda alla domanda”. Nel caso delle concessioni di lavori, il rischio dal lato dell'offerta può riguardare la fase della costruzione dell'opera, ovvero l'offerta di lavori. A ben vedere, tale rischio non appare dissimile a quello che già Eurostat aveva definito come rischio di costruzione. Il rischio dal lato dell'offerta può riguardare, peraltro, la fase della gestione dell'opera realizzata, ovvero il servizio offerto dal concessionario. In particolare, in questo caso, il rischio è quello che il concessionario non riesca ad offrire il servizio in quantità e qualità corrispondente alla domanda stimata del mercato. Peraltro, per quanto si è già detto, la domanda del servizio gestito può provenire dall'amministrazione nel caso di opere fredde. In questo caso, dunque, l'insufficienza dell'offerta si traduce nella mancata o insufficiente erogazione all'amministrazione del servizio contrattualmente pattuito, ovvero in una mancata performance. In tale ipotesi, dunque, il rischio dal lato dell'offerta va a coincidere con il rischio di disponibilità già definito dall'Eurostat. La domanda del servizio gestito può però provenire dagli utenti nel caso di opere calde e, in tale caso, il rischio del concessionario dal lato dell'offerta è quello di non riuscire a soddisfare tale domanda. Tale categoria di rischio, a ben vedere, rimaneva estranea alla identificazione dei rischi di Eurostat. Per le concessioni di servizi valgono considerazioni analoghe a quelle appena fatte in relazione alla fase della gestione delle concessioni di lavori. Può, dunque, concludersi che il rischio dal lato dell'offerta di cui alla direttiva 2014/23/UE comprende i rischi di costruzione e di disponibilità già identificati da Eurostat e, tuttavia, è ancora più ampio, poiché contempla anche il rischio di offerta insufficiente a fare fronte alla domanda degli utenti nel caso di opere o servizi caldi. Se, dunque, il rischio di disponibilità era tipico delle opere servizi freddi, il rischio dal lato dell'offerta della nuova direttiva può riguardare anche opere e servizi caldi. Si noti che la mutata definizione dei rischi contrattuali ha determinato anche una diversa qualificazione dei rischi da trasferirsi in caso di opere e servizi freddi, remunerati direttamente dall'amministrazione aggiudicatrice che ne è utilizzatrice diretta. Infatti il considerando 18 della direttiva 2014/23/UE afferma che “alcuni accordi remunerati esclusivamente dall'amministrazione aggiudicatrice o dall'ente aggiudicatore dovrebbero configurarsi come concessioni qualora il recupero degli investimenti effettuati e dei costi sostenuti dall'operatore per eseguire il lavoro o fornire il servizio dipenda dall'effettiva domanda del servizio o del bene o dalla loro fornitura”. È dunque chiarito che, in tali casi, i ricavi del concessionario di lavori o di servizi (ovvero i canoni pagati dall'amministrazione) devono dipendere dal trasferimento di almeno una delle due tipologie di rischio individuate dalla direttiva. In particolare, dovrà accadere che tali ricavi dipendano “dall'effettiva domanda del servizio o del bene” che, per quanto si è già detto, non può che essere quella che proviene dagli utenti, del caso dei c.d. pedaggi ombra già ricordati, con conseguente trasferimento del rischio dal lato della domanda. Alternativamente, i ricavi del concessionario dovranno dipendere dalla “fornitura” dei servizi o del bene oggetto del contratto da parte del concessionario, venendosi così a trasferire il rischio dal lato dell'offerta.
6. Sulle differenti discipline di affidamento dei PPP e delle Concessioni.
La disciplina dettata per i PPP e quella per la Concessione non sono coerenti e conformi fra loro, come, invece, dovrebbero essere. Ciò è dovuto anche al fatto che, per le concessioni, il Legislatore italiano ha attuato una direttiva europea (direttiva 2014/23/UE), mentre i PPP non sono contemplati dall’intervento dell’Unione del 2014 e sono fuori dal campo di applicazione delle direttive. Così come sono state pensate dal legislatore, le parti III e IV del Codice sembrano possedere due differenti anime, che non riescono a dialogare fra loro. L'incongruenza potrebbe essere risolta privilegiando il modello della flessibilità, necessario per l’affidamento dei contratti complessi. A tal fine, potrebbe essere necessario abrogare o, per lo meno, modificare il primo comma dell'art. 181, così da far venire meno i riferimenti alle procedure ad evidenza pubblica e al dialogo competitivo. Di conseguenza, si assicurerebbe una maggiore flessibilità per le stazioni appaltanti per l’aggiudicazione di tutti i contratti di PPP, nel rispetto, al massimo, dei Principi del Codice (conformemente a quanto già detto nel punto 1). Dovrebbe venire così meno l’incoerenza fra la disciplina dei PPP e quella dettata in tema di Concessioni, con la possibilità di applicare il principio di libertà di forma cui all'art. 166 – eventualmente da richiamare – anche agli istituti del Partenariato.
Si potrebbe pensare di riformulare i contratti di PPP, diversi dalle concessioni, come contratti “esclusi dal Codice”, ai quali, dunque, applicare, esclusivamente, i principi generali dell’evidenza pubblica nonché, eventualmente, alcune disposizioni da richiamare espressamente.
In ogni caso, sarebbe comunque opportuno assicurare una maggiore uniformità fra la disciplina dei PPP (specificandone la natura generale di macrocategoria contrattuale) e quella delle Concessioni (che rappresentano un esempio – di certo il più importante – di contratti di PPP).
7. Vi è davvero flessibilità nella disciplina codicistica delle concessioni?
Potrebbe legittimamente sorgere qualche dubbio in merito alla effettiva conformità fra la disciplina delle Concessioni dettata dal Codice 2016 e quella contenuta nella direttiva 2014/23/UE. La normativa europea, infatti, come è noto, assicura un ampia discrezionalità alle stazioni appaltanti per l’aggiudicazione delle Concessioni, nel rispetto di poche disposizioni puntuali e dei principi generali dettati in materia (nonché dai Trattati).
Il Codice del 2016 sembra ricalcare la disciplina dettata dall’Unione Europea affermando il “principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche” all’art. 166. Tale disposizione, però, rischia di essere tradita da quanto disposto dal precedente art. 164, comma 2, il quale prescrive anche per le Concessioni l’applicazione delle “disposizioni” (e non dei soli principi) della I e della II parte del Codice (rispettivamente disposizioni comuni e disciplina degli appalti), sebbene “per quanto compatibili”. Tale frizione appare maggiormente con riferimento alla disciplina della finanza di progetto di cui all’art. 183 (v. punto 8).
Forse, sarebbe stato più corretto richiamare i soli Principi sull’affidamento degli appalti e lasciare, così, maggiore libertà alle stazioni appaltanti per le concessioni.
Come contropartita della grande flessibilità riconosciuta alle stazioni appaltanti, in particolar modo per quanto riguarda l’aggiudicazione delle Concessioni, è necessario dedicare una maggiore attenzione anche alla disciplina sul controllo delle stesse. Non solo, sotto un profilo di controllo della legalità e della legittimità dell’azione delle stazioni appaltanti (come controllo anche di anticorruzione, quindi), ma anche come monitoraggio della performance e del confronto fra i risultati programmati e quelli effettivamente raggiunti (sotto il profilo, dunque, dell’efficienza).
Una simile attività di controllo, inoltre, non dovrebbe essere limitata alle sole stazioni appaltanti, ma anche ai Concessionari e, in ogni caso, agli aggiudicatari dei contratti, i quali, nelle tipologie di contratto in esame, godono di una maggiore libertà di azione. In altri termini, il controllo non deve riguardare la sola fase di aggiudicazione del contratto (come, di regola, è stato), ma anche più attentamente quella di esecuzione dello stesso.
Al controllo dovrebbe, inoltre, affiancarsi anche un’effettiva responsabilizzazione degli amministratori pubblici che hanno operato nel caso di specie. In tal senso, quindi, si dovrebbe intervenire in maniera premiale e/o punitiva a seconda dell’esito positivo o negativo dei controlli effettuati.
In questo modo, si attuerebbe anche in Italia la logica, di derivazione anglosassone, del Best Value. Il concetto del Best value, costituente un concetto cardine nella disciplina della contrattualistica pubblica del Regno Unito, implica il “miglior uso possibile del denaro pubblico” o il “miglior rapporto qualità-prezzo (c.d. “Best value procurement”). In altri termini, il Best value si presenterebbe come uno delle possibili veicoli diretti a promuovere una più ampia efficienza operativa.
Sebbene la lotta alla corruzione non rappresenti un diretto obiettivo nella politica del best value, è interessante rilevare come proprio la promozione di sistema di efficentamento nell’impiego delle risorse pubbliche abbia comunque, come sua naturale conseguenza, la realizzazione di un ambiente impermeabile ai fenomeni corruttivi.
Così ragionando, la politica del Best Value si porrebbe come opportuna chiave di volta diretta a coniugare, da un lato, l’esigenza legata alla promozione di una miglior azione contrattuale della pubblica amministrazione, e, dall’altro, la realizzazione di un’efficace azione di prevenzione e contrasto alla corruzione.
Il legislatore ha ripreso e inserito nella stesso titolo dedicato al PPP, praticamente senza modificarli, tutta una serie di istituti disciplinati in altri settori dell’ordinamento (art. 4, commi 4, 5 e 6, l. 14.01.2013, n. 10; art. 23, d.l. 29.11.2008, n. 185, convertito in l. 6.08.2008, n. 133;
art. 24, d.l. 12.09.2014, n. 133, convertito in l. 11.11.2014, n. 164, c.d. “Sblocca Italia”). Non vengono chiarite, però, né le ragioni di una simile acclusione né tantomeno la disciplina di
riferimento applicabile. Quello che qui sembra è che tali istituti, in quanto espressione del fondamentale principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 Cost., ult. comma, rispondono (o dovrebbero rispondere) ad una logica completamente diversa da quella che regge il settore della contrattualistica pubblica. A tal proposito, la soluzione potrebbe essere quella di introdurre una norma avente carattere generale, che si basi sui seguenti punti nodali:
− gli istituti cosiddetti di Partenariato “sociale” non rientrano nell'ambito di applicazione della contrattualistica pubblica, con conseguente applicabilità dei soli principi generali dell'azione amministrativa, ed in particolare di quelli di non discriminazione,
trasparenza e parità di trattamento. Conseguentemente ed entro tali limiti, le autorità pubbliche, nella scelta del partner privato, sono libere di muoversi come meglio credono;
− l’iniziativa può essere sia pubblica che privata, ma deve sempre trattarsi di cittadini,
singoli o associati, che presentino un collegamento stabile con il territorio di riferimento di un ente;
− tali contratti devono avere ad oggetto interventi di interesse generale o comunque tesi
alla valorizzazione e/o al recupero del territorio di riferiemento nonché dei beni che su di esso insistono;
− la contropartita non può essere rappresentata soltanto da un regime tributario e fiscale agevolato (che pure dovrebbe essere previsto), ma anche dalla possibilità dello
sfruttamento, funzionale all’interesse pubblico, dell’opera o del servizio offerti alla collettività, con la previsione, però, che i ricavi ottenuti, coperte le spese e remunerato il lavoro, dovranno necessariamente essere reinvestiti sul territorio medesimo.
Se proprio si volessero mantenere all’interno del Codice, tali contratti dovrebbero più correttamente essere inseriti tra i “contratti esclusi” e non tra i “PPP”.
Il Codice, riprendendo sul punto la vecchia disciplina, qualifica la finanza di progetto come una tipologia di contratto di PPP (art. 180, ultimo comma). Si tratta, tuttavia, di un evidente errore concettuale atteso che la finanza di progetto più che costituire un contratto, rappresenta più correttamente una procedura di l’affidamento di un contratto pubblico (cfr. art. 183, comma 1 e comma 15).
Alla luce di quanto detto, non può dunque che rilevare quell’incompatibilità già evidenziata nel precedente punto (v. punto 7) fra la disciplina della finanza di progetto di cui all’art. 183, comma 1, del Codice e il principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche di cui all’art. 2 della direttiva 2014/23/UE, oggi trasfuso nell’art. 166 del Codice. L’art. 183, comma 1, con soluzione del tutto asimmetrica rispetto alla normativa europea, prevede, infatti, una specifica modalità di svolgimento di una gara per l’affidamento di una concessione, da parte della stazione appaltante.
Discorso parzialmente diverso vale per la disciplina della finanza di progetto di cui all’art. 183, comma 15, che si pone in maggiore coerenza con il suddetto principio poiché disciplina
limitatamente le modalità con cui una stazione appaltante può inserire nella propria programmazione un progetto elaborato autonomamente e spontaneamente da un privato (il promotore). Ovviamente, anche in questa seconda ipotesi, si dovrebbe garantire libertà di azione alla stazione appaltante nella successiva fase di affidamento, una volta che il nuovo progetto è stato correttamente inserito in programmazione, ferme restando eventuali garanzie a favore del promotore.
11. Alcune valutazioni conclusive: flessibilità comunitaria e moltiplicazione dei modelli di PPP: il problema del c.d. divieto di gold plating. La mancanza di adeguati controlli dl risultato e della responsabilizzazione dei funzionari a fronte dell'aumentata fiducia nella pubblica amministrazione
In conclusione, può osservarsi che la disciplina delle concessioni di cui alla parte III del Codice appare organica e coerente, in derivazione e recepimento della direttiva 23 che, come è noto, è stata frutto di un lungo dibattito europeo. Dall'altra parte, sprovvista di ancoraggio e ispirazione europee, la disciplina dettata per i PPP dalla parte IV, che è figlia del vecchio Xxxxxx e ne riproponene alcune disposizioni pressoché immutate, appare ancora frammentata, incoerente e non sempre frutto di un disegno unitario.
Da un lato, la parte III finalmente recepisce la scelta della nuova direttiva 2014/23/UE (che conferma la quella, disattesa dal Codice del 2006, già fatta per le concessioni di lavori dalla direttiva 2004/18/CE) di non assoggettare la scelta del concessionario all'espletamento delle tradizionali procedura di gara previste per l'aggiudicazione degli appalti pubblici, disciplinate oggi dalla direttiva 2014/24/UE. Le stazioni appaltanti devono essere libere, a fronte della complessità dei contratti da aggiudicare e dell'assunzione di rischio del concessionario, di affidare le concessioni con procedure competitive flessibili e negoziate, finalizzate al miglioramento del proprio bagaglio informativo originario69.
Dall'altro lato, la parte IV conferma la strada della moltiplicazione dei modelli (di contratti e norme procedurali) già intrapresa con il d.lgs.163/2006 che, a fronte della flessibilità dei modelli comunitari, aveva rigidamente disciplinato molte tipologie di procedure per l'aggiudicazione dei contratti di PPP, ciascuna di esse con norme peculiari70.
Le due discipline dettate dalle parti III e IV, inoltre, non appaiono adeguatamente raccordate.
Si pone, peraltro, il problema della compatibilità delle disposizioni interne relative ai contratti di PPP (non espressamente previsti dalle direttive) e il divieto di gold plating. Ciò soprattutto poiché il disegno di legge delega afferma espressamente il "divieto di introduzione o di
69 X. XXXXXXX, Concorrenza e modalità di affidamento delle concessioni, in X. XXXXXXX, X. XXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), Negoziazioni Pubbliche – Scritti su concessioni e partenariati pubblico-privati, cit., 42 ss.; X. XXXXXXX, Vincoli di gara ed affidamenti concessori nel diritto europeo, in G.F. XXXXXX, X. XXXXXX (a cura di), Finanza di Progetto. Temi e Prospettive, cit.;
G.D. COMPORTI, Introduzione: dal potere discrezionale alle scelte negoziali, in G.D. COMPORTI (a cura di), Le gare pubbliche: il futuro di un modello, Napoli, 2011, 5 ss.. La possibilità di ricorrere alla negoziazione è espressamente prevista dall'art. 37 par. 6 della direttiva n. 2014/23/UE, che ammette «la libertà di negoziazioni con i candidati e gli offerenti».
70 X. XXXXXX, Le concessioni di lavori e di servizi alla vigilia del recepimento della direttiva 2014/23/UE, cit.
mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive, come definiti dall'articolo 14 comma 24 ter e 24 quater della legge 28 novembre 2005 n. 246"71.
In riferimento a tale ulteriore problema, si devono distinguere due casi. Il primo è quello delle fattispecie di PPP riconducibili alla concessione (come ad esempio la finanza di progetto ex art. 183 del nuovo Codice) che costituiscono, a ben vedere, disposizioni sulle concessioni non contemplate dalla direttiva 23, per le quali si potrebbe porre un problema di violazione del divieto di gold plating. Il problema della legittimità di tale disciplina, anche sotto il profilo dell'eccesso di delega (considerato il limite espressamente previsto dall'art. 1 comma 1 lett a) della l. 11/2016), può dunque porsi.
Il secondo caso è quello dei contratti di PPP non riconducibili al modello della concessione che, secondo quanto si è sostenuto, non avrebbero copertura nella direttiva 23 e non sarebbero tipizzati nel diritto comunitario. Essendo fattispecie estranee alla direttiva 23, non dovrebbero porsi problemi di violazione del divieto di gold plating e, dunque, il Legislatore interno rimane libero di prevederli e regolarli. Dunque, tali contratti potrebbero continuare ad esistere e, secondo quanto previsto dalla legge delega, potrebbero essere oggetto di "razionalizzazione e implementazione".
Tuttavia, la vigente disciplina interna non dovrebbe essere interpretata nel senso di introdurre un principio di nominatività e tipizzazione dei modelli di contratto di PPP, imbrigliando le amministrazioni a doversi necessariamente attenere ai tipi contrattuali previsti dal Codice. Al contrario, nel rispetto del principio di atipicità (che come si è detto, si desume dall'ordinamento europeo), i modelli tipo previsti dal nuovo Codice dovrebbero considerarsi solo esemplificativi, lasciando spazio alle amministrazioni di costruire su misura il contratto (atipico) più opportuno in relazione al fabbisogno. Non dovrebbero, inoltre, essere giustificate inutili e distorsive complicazioni procedurali, che hanno generato inefficienza e incertezza tra gli operatori (si pensi alla tormentata vicenda della finanza di progetto72).
Le amministrazioni non dovrebbero essere, dunque, private della necessaria dose di discrezionalità, necessaria per l’efficienza dei PPP, tanto in fase di aggiudicazione dei contratti che di esecuzione. Il Legislatore non deve sostituirsi all'amministrazione. La discrezionalità non deve essere vista come un pericolo per l’integrità della contrattazione pubblica ma come opportunità di efficienza. Solo così il PPP potrà contribuire all’auspicato rilancio dell’economia nazionale dopo la crisi economica.
Xxxxxxx però concludere nel ribadire il motivo di preoccupazione già illustrato nel par. 8 che precede. L'aumento della flessibilità dei modelli, che comporta un aumento di fiducia della pubblica amministrazione oltreché delle competenze di quest'ultima, deve accompagnasi ai controlli sui risultati dell'intera operazione amministrativa (non più sui singoli atti) e sulla effettiva responsabilizzazione dei funzionari. Ciò occorre, in primo luogo, a evitare le inefficienze derivanti dalla discrezionalità male esercitata dalla pubblica amministrazione,
71 Art. 1 comma 1 lett. a) l. 11/2016. Sul punto, il parere del Consiglio di Stato - Adunanza della Commissione speciale del 21 marzo 2016 n. 855 del 1 aprile 2016 ha affermato che tale divieto "va rettamente interpretato in una prospettiva di riduzione degli “oneri non necessari”, e non anche in una prospettiva di abbassamento del livello di quelle garanzie che salvaguardano altri valori costituzionali, in relazione ai quali le esigenze di massima semplificazione e efficienza non possono che risultare recessive" (punto II a).
72 Sul punto, sia consentito rinviare a G.. Xxxxxx, Aspetti giuridici della finanza di progetto, LUISS University Press (LUP), 2006.
oltreché (anche) fenomeni di corruzione. In tale direzione, il percorso da compiere appare ancora molto lungo.
IL MERCATO DEL PPP ALLA LUCE DEL NUOVO CODICE DEGLI APPALTI
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1. Una preliminare overview sul mercato del PPP in Italia
Al fine di creare un assetto normativo che non si traduca in un incastro burocratico di norme, ma in una efficiente cornice legale per una reale ed efficace implementazione del PPP, un preliminare commento sulla disciplina recentemente introdotta dal d.lgs. n. 50/2016 in tema di PPP non può che muovere –da una più ampia riflessione sulle “origini” di tale istituto nel nostro Paese e sul mercato che ne è derivato nel corso degli ultimi decenni.
Seppur infatti l’Italia sia stata uno dei primissimi Paesi che hanno tentato di ricorrere a tale particolar strumento per la realizzazione delle opere pubbliche introducendone una specifica disciplina73, dopo alcuni prime operazioni chiuse positivamente, il mercato del PPP, in Italia, non ha avuto l’auspicata accelerazione.
A distanza di più di 10 anni dall’introduzione delle prime norme sul tema, infatti, i dati comunicati dall’Unità Tecnica Finanza di Progetto (UTFP)74, acclaravano che, a fronte di un pur generale aumento del peso del PPP sul totale delle opere pubbliche in termini di valore di bandi pubblicati75, solo il 44% delle iniziative bandite tra il 2002 e il 2011 era arrivata all’aggiudicazione.
A tale – già di per sé elevato – tasso di mortalità, andava poi aggiunto quello connesso al fatto che, pur aggiudicate, solo pochissime iniziative giungevano al closing finanziario: epifanici, sotto questo profilo, sono i dati – sempre comunicati dall’UTFP – secondo cui, nel 2011, sarebbero stati chiusi solo 7 contratti di finanziamento per operazioni di PPP (per un valore complessivo dei finanziamenti accordati pari a 812,2 milioni di euro)76.
A fronte di un crescente fabbisogno infrastrutturale e di investimenti, quindi, la capacità di risposta e di realizzazione di opere pubbliche è risultata nei fatti del tutto insufficiente.
Questo seppur il contesto generale (economico e normativo) avrebbe dovuto – al contrario – spingere l’utilizzo di tale strumento: si pensi, sotto questo profilo, agli stretti vincoli di bilancio introdotti, sia a livello nazionale che europeo, al fine di impedire alle Pubbliche
∗ Managing Partner Italia - Dentons Europe, Studio legale tributario.
∞ Senior Associate - Dentons Europe, Studio legale tributario.
73 La prima procedura di affidamento con PPP è stata introdotta tramite il procedimento del promotore nel 1998 con un apposita modifica alla Legge Merloni.
74 Si veda sul punto la Relazione Annuale dell’UFTP relativa al 2011.
75 Più in dettaglio, e sulla base dei dati pubblicati dall’UFTP, risulta che, in Italia, il peso del mercato del PPP sul totale delle opere pubbliche, “in termini di valore dei bandi pubblicati, è passato dal 31% nel 2010 al 43% nel 2011. A fronte di tale vivacità nella pubblicazione dei bandi, si registra nel 2011 un aumento del 20% anche nel numero di contratti aggiudicati (cui corrisponde un incremento del 25% in termini di valore)”.
76 Secondo la BEI peraltro il relativo procedimento (tra aggiudicazione e cd. financial closing) ha avuto una durata compresa tra i 12 e i 32 mesi.
Amministrazioni di ricorrere all’indebitamento (oltre determinate soglie) per la realizzazione delle infrastrutture pubbliche e alla crescente sensibilizzazione normativa operata a livello europeo77 (soprattutto in relazione al trasferimento del rischio dal pubblico al privato).
Ma allora perché il PPP finora ha funzionato in misura modesta? Le cause possono individuarsi principalmente nei seguenti fattori:
• la carenza qualitativa degli studi di fattibilità. Le operazioni di PPP, infatti, si sono
spesso caratterizzate per un’inadeguata analisi di pre-fattibilità e di valutazioni ex ante, soprattutto con riferimento alla sostenibilità economico-finanziaria ed all’affordability degli impegni finanziari delle amministrazioni aggiudicatrici (vedi, in questo paper, il contributo di X. Xxxxxxx). Tale carenza è stata in parte dovuta alla prevalenza dell’impatto “politico” rispetto ad una concreta valutazione delle effettive esigenze;
• la lunghezza dei tempi di aggiudicazione, spesso ulteriormente dilatati per effetto dei connessi conteziosi;
• l’uso distorto al PPP in funzione sostitutiva all’appalto tradizionale, anche per non incidere sul livello di indebitamento e della spesa, in condizioni di scarsa convenienza finanziaria e/o di scarso trasferimento del rischio dal pubblico al privato.
E’ sulla risoluzione di questi temi, quindi, che poggia la vera sfida affinché il PPP diventi espressione di una policy e di un modello di business generalizzato nel settore infrastrutturale pubblico sulla scia di quanto già avviene fuori Italia e dei – per quanto timidi – cenni che anche il mercato italiano sta mostrando.
Giusto per avere un’idea:
• a livello globale, negli ultimi 10 anni, i fondi infrastrutturali sono passati da un capitale in gestione di 1.1 miliardi di dollari nel 2004 a 320 miliardi di dollari nel 2014;
• il Canada, negli ultimi 10 anni, ha realizzato in PPP “121 progetti che hanno generato
290.000 posti di lavoro; 25.1 miliardi di PIL, 9.9 miliardi di risparmi e 7.5 miliardi di gettito fiscale78”;
• a livello europeo79, dal 2014 si assiste ad una generale ripresa del mercato del PPP. Nel
2014, ad esempio, sono state finanziate in Europea 82 operazioni di PPP per un valore complessivo di 18,7 miliardi di euro facendo registrare un (seppur lieve) miglioramento sia in termini di numero di operazioni (+2,5 per cento) che di valore (+15 per cento) rispetto al 201380;
77 Nel Libro Verde 2004 si sottolinea che “in presenza di restrizioni di bilancio cui gli Stati membri devono far fronte” la realizzazione di infrastrutture pubbliche secondo lo schema del Partenariato Pubblico-Privato risponde alla fondamentale esigenza di assicurare il contributo di fonti di finanziamento private alla realizzazione di opere pubbliche
78 Sul punto V. Vecchi, Nuovo Codice/3. Ppp e concessioni, regole in linea con le best practice: ma ora serve una «policy» statale, in Edilizia e Territorio.
79 Questo dato è ricavato dalla Relazione Annuale dell’UFTP relativa al 2014 (ultima Relazione disponibile).
80 Tra le opere realizzate in PPP si segnalano sempre alla luce della Relazione Annuale dell’UFTP relativa al 2014: la fase 2 del Intercity Express Programme per la sostituzione del materiale rotabile (2,6 miliardi di Euro) nel Regno Unito; l’Autostrada Northern Marmara (2 miliardi di Euro) in Turchia e l’Xxxxxxxxxx X00 Xxxxxx – Zeebrugge (1,1 miliardi di euro) in Belgio. Ed ancora: la strada periferica Aberdeen Western (725 milioni di euro) e il ponte Mersey Gateway (707 milioni Euro) nel Regno Unito;
• la Gran Bretagna81 ha confermato il proprio primato nel mercato del PPP con 24 contratti di finanziamento, con una riduzione del 22 per cento rispetto ai 31 registrati
nel 2013, per un valore pari a circa 6,5 miliardi di euro in leggero aumento (circa il 7 per cento) rispetto ai valori 2013. Relativamente al numero dei contratti di finanziamento, la Francia si è attestata al secondo posto con 10 contratti chiusi (in netta flessione rispetto ai 19 registrati nel 2013) mentre la Germania e la Grecia hanno fatto registrare il terzo posto con 7 contratti;
• in Italia82, nel 2014, si è registrato un lieve incremento delle operazioni bandite in PPP
(+12,4 per cento) passando dai 2.888 bandi in PPP del 2013 ai 3.247 del 201483.
Significativo peraltro è notare – a conferma di quanto sopra esposto circa le ragioni che hanno ostacolato una reale implementazione dello strumento concessorio – che, sempre secondo i dati forniti dalla Relazione Annuale dell’UFTP relativa al 2014, “le concessioni ad iniziativa pubblica [sono] preferite rispetto quelle ad iniziativa privata (63 per cento contro 36 per cento del totale bandi per concessioni avori pubblici), ma anche come all’interno delle procedure di finanza di progetto sia preferita quella ex art. 153 comma 1- 14 cioè a “gara unica”. Tale preferenza è determinata dalla garanzia di tempistiche più ridotte e di una gestione più flessibile e quindi più indicata per progetti medio piccoli, che rappresentano la maggioranza del mercato del PPP in Italia”.
2. Il PPP nel decreto legislativo 50/2016
A fronte di ciò – e venendo quindi alla recente normativa introdotta dal d.lgs. n. 50/2016 – la novità di maggior rilievo appare senza dubbio quella relativa alla centralizzazione ed alla qualificazione delle Stazioni Appaltanti84.
Nelle operazioni di PPP, infatti, è l’ente concedente il soggetto che dovrebbe individuare, fin dalla fase di pre-fattibilità, lo strumento che meglio sia in grado di soddisfare i bisogni e i limiti entro cui deve muoversi la propria discrezionale volontà, così valutando la fattibilità e la convenienza dell’iniziativa ipotizzata e definendone gli elementi essenziali per la successiva strutturazione del progetto.
Se si considera quindi che è in questa fase (i.e. quella prodromica alla bandizione della gara) che l’ente concedente è chiamato a valutare l’operazione dal punto di vista tecnico, economico, finanziario ed amministrativo-procedurale sì da giungere – dopo aver individuato le eventuali cause ostative al proseguimento dell'iniziativa – ad una valutazione di convenienza economica e di sostenibilità finanziaria della stessa in ragione della relativa capacità di generare reddito, è evidente che la “qualità” dell’ente concedente (in termini di esperienza specifica ed organizzazione) è dirimente.
l’Autostrada A9 Gaasperdammerweg (700 milioni di Euro) in Olanda; l’Xxxxxxxxxx X0 Xxxxxxxxxx - Xxxxxxx (646 milioni di Euro) e l’Ospedale dell’Università di Schleswig-Holstein (630 milioni di Euro) in Germania; il Campus Sanità di Adana (542 milioni do Euro) e la fase 2 dell’Autostrada Gezbe – Orhangazi – Izmir (516 milioni di Euro) in Turchia.
81 Si veda precedente nota no. 79. 82 Si veda precedente nota no. 78.
83 Si segnala tuttavia che l’incremento è ricollegabile anche ad un incremento dell’uso della concessione di servizi. 84 Il tema è trattato diffusamente nel contributo di P. Xxxxxx e X. Xxxxxxxx.
La prassi dimostra, infatti, che l’implementazione di operazioni di PPP tramite stazioni appaltanti “dedicate” fa la differenza, consentendo inter alia: i) una migliore definizione della documentazione di gara (e conseguentemente una maggiora comparabilità tra le offerte in sede di gara); ii) una riduzione dei tempi della procedura e del rischio contenzioso; iii) una più accurata valutazione della bancabilità dell’iniziativa da cui deriva un allargamento della platea competitiva e un maggior value for money dell’operazione.
La centralizzazione e qualificazione delle Stazioni Appaltanti muove certamente in tal senso: donde l’auspicio che anche la relativa attuazione (ad opera anche dei decreti attuativi e delle relative linee guida) tenga conto di tali specifiche esigenze, valutando se del caso anche l’introduzione di un’unità specifica di coordinamento in tema di PPP.
Non può poi non apprezzarsi, nell’ottica dello snellimento delle procedure amministrative con conseguente diminuzione del rischio di contenzioso, l’abolizione – con specifico riferimento alle grandi opere – della Legge Obiettivo e la connessa “centralizzazione” del procedimento programmatorio in capo al Ministero per i Trasporti e le Infrastrutture, nonché, più in generale, l’introduzione di una serie di istituti volti ad anticipare in fase pre-gara (ad ulteriore supporto di quanto sopra esposto in relazione alla centralità della fase di verifica della fattibilità dell’iniziativa) la consultazione sull’implementazione dell’iniziativa.
Ci si riferisce al Dèbat Public (sempre in tema di grandi opere) reso obbligatorio dall’art. 22 del Nuovo Codice Appalti in tutti i casi di infrastrutture che possano avere un impatto sull’ambiente, sulla città e sull’assetto del territorio, così come alla consultazione preliminare sulla bancabilità introdotta dall’art. 165 del Nuovo Codice Appalti onde verificare l’insussistenza di criticità del progetto posto a base di gara sotto il profilo della bancabilità.
E la bancabilità è certamente il cuore di un’operazione di PPP. Se chiaramente – e si ritorna sempre a quanto sopra esposto – una corretta ed adeguata verifica di fattibilità dell’iniziativa dovrebbe garantire (a monte) la bontà della stessa anche sotto il profilo economico-finanziario, è chiaro che tale tema merita ancora degli approfondimenti normativi.
Al di là di un generale chiarimento sulla distinzione operata dal Nuovo Codice Appalti tra concessioni e PPP (su questi aspetti, vedi, in questo paper, il contributo di X. Xxxxxx), pare doversi trovare un più chiaro equilibrio tra le esigenze di bancabilità e il trasferimento in capo al privato del rischio operativo sostanziale85.
Ciò passa sia per la modifica di alcune puntuali previsioni quali ad esempio la possibilità che il contributo pubblico superi il 30% in funzione della tipologia di opera oggetto dell’iniziativa (cfr. art. 165)86 e la chiara definizione del concetto di “documentata disponibilità del finanziamento” (cfr. art. 180, co. 7), così come – e più in generale – per una più chiara disciplina in tema di allocazione dei rischi tra soggetto pubblico e soggetto privato.
Ci si riferisce in particolare alla necessità di chiarire quali siano le “condizioni operative normali” (e conseguentemente adeguare l’art. 165, co. 6, in tema di riequilibrio economico- finanziario) in presenza delle quali il rischio operativo rimane in capo al soggetto privato.
85 Rischio, quest’ultimo, che peraltro meriterebbe alcuni autonomi approfondimenti. Come da molti già evidenziato non è chiaro come esso si collochi nell’ambito della tradizione ripartizione Eurostat tra rischio di domanda e rischio di disponibilità.
86 Vedi anche, in questo paper, le osservazioni di X. xx Xxxxxxx.
Nel rispetto del generale principio per cui il rischio va affidato alla parte che maggiormente è in grado di controllarlo, infatti, sarebbe utile dettagliare le predette condizioni definendo – ad avviso degli scriventi –criteri interpretativi generali che guardino alla causa dell’evento e non già all’evento in sé e per sé: il tutto facendo in modo che il rischio sistemico (o comunque macro-economico) sia assunto dal concedente, spettando al privato quello di natura microeconomica legato al concessionario.
Una interpretazione estensiva del concetto di allocazione sul privato del rischio operativo, infatti, può sollevare il rischio di un costo finanziario troppo elevato dell’operazione, ovvero dell’indisponibilità del debito, con conseguente relativa mancata implementazione dei relativi progetti.
Non solo. Sempre nell’ottica della concreta implementazione di progetti infrastrutturali in PPP, si ritiene che debba trovare una più precisa definizione normativa il tema della revoca per pubblico interesse.
Pur consci del fatto che tale istituto è espressione della più ampia discrezionalità amministrativa e dell’esigenza – indiscutibile –che il soggetto pubblico porti avanti operazioni che rispondono ad un interesse pubblico attuale e perdurante, non si può non rilevare che l’unilaterale diritto attribuito al concedente di “liberarsi” dal contratto sottoscritto con il privato impatta sulla valutazione di bancabilità compiuta dagli istituti finanziatori (e conseguentemente dal privato concessionario) nonché sull’appetibilità del mercato delle infrastrutture italiane.
Ciò a maggior ragione tenendo conto che, in punto di prassi, l’esercizio del diritto di revoca per pubblico interesse risponde spesso a nuove (e diverse) logiche politiche e non già ad un rinnovato (e diverso) interesse pubblico. Proprio al fine di evitare tali strumentalizzazioni, quindi, si ritiene utile “circostanziare” tale istituto: i) definendo criteri guida per la definizione delle ragioni che ne possono legittimare l’utilizzo; ii) introducendo limiti temporali in modo che l’esercizio non costituisca una spada di Damocle sull’intera durata dell’iniziativa; iii) prevedendo che in caso di esercizio di tale facoltà il concessionario si veda corrispondere tutti i costi già sostenuti, e non ancora ammortizzati ivi compresi gli oneri finanziari per il rimborso anticipato dei finanziamenti eventualmente in essere.
Pur nel rispetto della normativa pubblicistica e contabile, infatti, non va in generale perso di riferimento il fatto che (anche al fine di garantire benefici in termini di PIL ed occupazione: e l’esperienza anglosassone lo insegna) il PPP deve fungere da modello di business (non già di mero iter burocratico) per la realizzazione delle opere pubbliche87 .
Sotto tale profilo, pur apprezzando in linea di principio il favore dimostrato dal Nuovo Codice Appalti per la regola generale dell’implementazione delle procedure di gara sulla base di un progetto definitivo (circostanza, questa, che sicuramente aiuta a garantire una più solida certezza dei costi e, conseguentemente, un più facile accesso al finanziamento bancario), ci si chiede se tale previsione non possa determinare (quantomeno in via temporanea a fronte di un apparato amministrativo non ancora innovato) uno stallo del mercato derivante dai tempi necessari per la redazione di tali progetti (il che sposterebbe quantomeno di un anno l’implementazione di un’operazione in PPP, senza considerare il rischio di eventuali ricorsi e sospensive).
87 Sul punto si veda X. Xxxxxx, cit.
LA DISCIPLINA DELL’ESCLUSIONE E DELL’AMMISSIONE DEGLI OPERATORI TRA DIRITTO SOSTANZIALE E PROCESSUALE 88
XXXXXXX XXXXX∗ E XXXX XXXXXX∞
1. Premessa: i problemi del vecchio Codice e le direttrici della riforma.
La disciplina dei “requisiti generali” degli operatori economici delineata dall’art. 38 d.lgs. 163/2006 (vecchio Codice) viene ritenuta una delle principali cause dell’abnorme sviluppo del contenzioso in materia di contratti pubblici nell’ultimo decennio. La ragione è duplice: da un lato, l’eccessivo formalismo del vecchio Xxxxxx, che imponeva l’esclusione dalle procedure anche per carenze meramente documentali, quindi disancorata dalla verifica dell’effettivo possesso dei requisiti in capo ai soggetti esclusi; dall’altro, l’emersione ‘tardiva’ delle questioni concernenti la partecipazione degli operatori alle procedure di gara. In effetti, il meccanismo della tutela giurisdizionale, fondato sull’impugnabilità del (solo) atto conclusivo del procedimento, faceva si che l’esistenza di cause di esclusione venisse messa in discussione sostanzialmente al momento dell’aggiudicazione e nell’ambito del contenzioso successivo ad essa, anche a causa dell’ampia diffusione nella pratica del ricorso incidentale c.d. “paralizzante”, strumento di difesa dell’aggiudicatario di fronte al ricorso proposto da altri concorrenti in graduatoria.
Malgrado il legislatore 89 e la giurisprudenza 90 fossero intervenuti a più riprese per semplificare, sul piano sostanziale e processuale, la disciplina delle cause di esclusione, le questioni relative alla partecipazione dei concorrenti alle procedure ad evidenza pubblica hanno continuato ad avere il primato nelle statistiche sul contenzioso dinanzi al giudice amministrativo: contenzioso, questo, ritenuto spesso pretestuoso e causa di forti rallentamenti, se non di paralisi, del funzionamento delle procedure ad evidenza pubblica e della stessa giustizia amministrativa.
Il disegno riformatore del nuovo codice dei contratti pubblici si inserisce in questo contesto con la chiara finalità di contenere (l’abuso de) il ricorso alla tutela giurisdizionale in questa materia. In maniera coerente con l’impostazione e le finalità sopradescritte, la legge delega n. 11/2016 (art. 1, co. 1, lett. bbb), introduce l’idea che le stazioni appaltanti debbano ammettere i concorrenti alle procedure di gara con provvedimento espresso, suscettibile di impugnazione entro un termine di decadenza; nel contempo, prevede la creazione di un rito processuale ad hoc, volto a contestare i «vizi attinenti alla fase di esclusione dalla gara o ammissione alla gara» e sede obbligata delle impugnazioni di esclusioni e ammissioni alla procedura, con
88 Si ringrazia il xxxx. Xxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxx, che con le sue pazienti ricerche ha reso possibile la stesura del contributo.
∗ Professore emerito di Diritto amministrativo; Studio legale Satta Romano & Associati; Direttore di ApertaContrada.
∞ Avvocato, Partner Studio legale Satta Romano & Associati; Direttore Scientifico di ApertaContrada.
89 Tra le numerose modifiche al vecchio Codice si segnalano, in particolare, quella dell’art. 46 con l’introduzione del principio di tassatività delle cause di esclusione (l. 106/2011); e quella dell’art. 38 relativamente al c.d. soccorso istruttorio (l. 114/2014).
90 Il riferimento è all’acceso dibattito sul rapporto tra ricorso principale e incidentale nel rito appalti, in cui si è da ultimo nuovamente pronunciata la Corte di Giustizia: sent. 5 aprile 2016, in C-689/2013. La portata del principio di diritto enunciato da tale sentenza è stata peraltro precisata recentemente da Cons. Stato, Sez. III, 26 agosto 2016, n. 3708.
preclusione di censurare i vizi di tale fase successivamente, in particolare nell’ambito del contenzioso concernente l’aggiudicazione.
Il legislatore delegante sembra dunque aver affidato la soluzione del problema della proliferazione del contenzioso sulle cause di esclusione prevalentemente ad un meccanismo di anticipazione della tutela giurisdizionale, operante come una sorta di “barriera” che dovrebbe consentire di portare a compimento la selezione competitiva in tempi brevi e certi.
Come è noto, tale scelta è stata oggetto di serrate critiche sotto diversi e rilevanti profili. Ragioni di economia di esposizione non consentono di darne conto in maniera analitica in questa sede, nella quale se ne potrà trattare solo nella misura in cui si renda necessario all’indagine. In particolare, il presente contributo intende soffermarsi sulle principali novità introdotte dal decreto delegato (d.lgs. 50/2016, nuovo Codice), per verificare la loro riconducibilità ad un sistema in grado di perseguire gli importanti obiettivi di maggiore efficienza ed ammodernamento che la riforma di questo settore si prefigge, anche in attuazione delle direttive europee adottate nel 2014 91.
Il citato criterio di delega di cui alla lettera bbb), è stato attuato con l’art. 204, co. 1, lett. b) del d.lgs. 50/2016, che ha introdotto all’art. 120 del Codice del processo amministrativo (c.p.a.) i commi 2 bis e 6 bis. Essi contengono la disciplina del nuovo rito speciale per l’impugnazione del provvedimento che determina le ammissioni e le esclusioni dalla procedura all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali; per quanto riguarda gli oneri di pubblicità e comunicazioni, i due commi, sopra richiamati, vanno integrati con le disposizioni contenute negli art. 29 (Principi in materia di trasparenza) e 76 (Informazioni dei candidati e degli offerenti).
In estrema sintesi, il novellato art. 120 c.p.a. presuppone l’adozione di un provvedimento che, all’esito della valutazione sul possesso dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico- professionali, individui i soggetti esclusi dalla procedura ovvero ammessi (al suo prosieguo). Tuttavia, né la fase di verifica né il suo provvedimento conclusivo trovano una disciplina compiuta nel nuovo Codice 92, che si limita a richiamarli in considerazione delle conseguenze processuali che ne dovrebbero derivare.
In questa prospettiva, il provvedimento de quo acquisisce una autonoma valenza lesiva e deve essere impugnato, a pena di decadenza, entro 30 giorni dalla sua pubblicazione sul sito internet della stazione appaltante; il termine, dunque, non decorre dal ricevimento della comunicazione via PEC, che l’art. 76 nuovo Cod. impone alla stazione appaltante di inviare contestualmente alla pubblicazione, con la precisazione che per i concorrenti non sarà più possibile sollevare questioni relative alla partecipazione in momenti successivi (ad es. con l’impugnazione dell’aggiudicazione). Questa, com’è noto, è una significativa novità, giacché nel vecchio sistema era riconosciuta immediata lesività e impugnabilità al solo provvedimento di esclusione.
91 Il riferimento è alle direttive 2014/23/UE in materia di concessioni, 2014/24/UE, in materia di contratti di appalto nei settori ordinari, e 2014/25/UE, in materia di contratti di appalto nei settori speciali.
92 Per il vero, non sono nemmeno menzionati dall’art. 32 del nuovo Codice, dedicato appunto alle fasi della procedura.
Sul piano sostanziale, dal complesso delle disposizioni del nuovo Codice si desume che la verifica sul possesso dei requisiti debba riguardare contestualmente (e unitariamente) tutti i requisiti e tutti i candidati: in particolare, l’art. 120 c.p.a., alla stessa stregua di altre disposizioni del nuovo Codice (v. art. 29, co. 1, art. 76, co. 3), menziona il provvedimento adottato, all’esito della verifica dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali, recante l’indicazione dei soggetti esclusi dalla procedura e di quelli ammessi. Inoltre, la qualificazione degli operatori dovrebbe di norma precedere la valutazione delle offerte. Questo sembrerebbe, infatti, il senso della ‘fase di ammissione’ menzionata dalla legge delega (criterio bbb), che il legislatore delegato ha attuato inderogabilmente negli appalti soprasoglia nei settori ordinari 93.
La novità è di grande rilievo e rappresenta un capovolgimento del vecchio sistema, nel quale le verifiche venivano condotte in maniera sistematica solo all’esito della procedura. Come è noto, infatti, i concorrenti dovevano innanzitutto rendere una dichiarazione di possesso dei requisiti e di insussistenza di cause di esclusione. Le stazioni appaltanti procedevano ad un riscontro di regolarità formale di tutta la documentazione pervenuta e provvedevano alle dovute verifiche in due tempi: durante la procedura (prima dell’apertura delle offerte), mediante controlli a campione (art. 48, co. 1 d.lgs. 163/2006); all’esito della procedura, con un’indagine completa solo sui primi due classificati (qualora essi non fossero stati precedentemente sorteggiati: art. 48, co. 2).
Il nuovo Codice mantiene il sistema della autodichiarazione che, anzi, in attuazione delle direttive comunitarie del 2014, viene potenziato con l’introduzione del c.d. Documento di gara unico europeo (DGUE 94).
Secondo l’art. 81 Cod., le informazioni contenute nel DGUE riguardano tutti i requisiti (di carattere generale, tecnico-professionale e economico-finanziario) e vengono utilizzate dalle stazioni appaltanti per le dovute verifiche, da condursi essenzialmente attraverso l’utilizzo di banche dati – in particolare, la Banca dati nazionale degli operatori economici.
In attesa che la Banca dati nazionale entri in funzione, le stazioni appaltanti possono acquisire direttamente dagli operatori la documentazione di supporto necessaria a verificare quanto dichiarato in sede di DGUE. Tale documentazione potrà essere richiesta anche dopo l’entrata in funzione della banca dati nazionale, in virtù degli ampi poteri istruttori riconosciuti alle stazioni appaltanti e comprendenti, fra l’altro, il c.d. soccorso istruttorio (art. 83, co. 9) nonché la possibilità di richiedere ad offrenti e candidati, “in qualsiasi momento nel corso della procedura
… i documenti complementari o parte di essi, qualora questo sia necessario per assicurare il corretto svolgimento della procedura” (art. 85, co. 5 95, e art. 86 Cod.).
Sulla scorta delle disposizioni delle direttive europee, poi, l’art. 80 precisa che le stazioni appaltanti escludono un operatore economico “in qualunque momento della procedura”, qualora esso versi in una causa di esclusione in conseguenza di atti compiuti o omessi prima o nel xxxxx xxxxx xxxxxxxxx (xxx. 00, xx. 6; si x. xxx. 00, xx. 5 direttiva 2014/24/UE).
93 La possibilità di posticipare le verifiche all’esito della procedura, vale a dire dopo la valutazione delle offerte, è prevista esclusivamente: (i) per i contratti di valore inferiore alla soglia di rilevanza europea affidati con procedure negoziate, limitatamente al solo aggiudicatario (art. 36, co. 6) e (ii) per le procedure aperte nei settori speciali (art. 133, co. 8).
94 Il modello di DGUE è stato adottato a livello europeo con regolamento di esecuzione UE 2016/7; recentemente, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha adottato specifiche Linee guida per la sua compilazione.
95 La disposizione riecheggia i controlli a campione del vecchio art. 48 d.lgs. 163/2006, con la rilevante differenza che nel nuovo Codice le verifiche a campione non sono imposte, bensì rimesse all’iniziativa delle stazioni appaltanti.
Dal quadro normativo così brevemente sintetizzato sembra potersi desumere che l’attività di riscontro documentale a comprova delle tre categorie di requisiti – soggettivi, tecnico- professionali e economico-finanziari - disciplinati dagli artt. art. 80 ss. del nuovo Codice, dovrebbe rappresentare l’essenza della fase ‘di ammissione ed esclusione’ che si conclude con l’adozione del provvedimento cui è rimessa l’individuazione dei soggetti esclusi ed ammessi alla procedura. Una simile conclusione é suggerita innanzitutto dal dato letterale: i termini utilizzati (valutazione dei requisiti, fase di ammissione, provvedimento che determina le esclusioni e le ammissioni) fanno pensare ad un’indagine sostanziale, non ad una verifica formale. Anche sul piano sistematico si può osservare che, se la fase di ammissione fosse ridotta ad un mero controllo di regolarità formale, le questioni più problematiche rifluirebbero ‘a valle’ e tornerebbero ad alimentare il contenzioso successivo all’aggiudicazione: il senso della riforma ne risulterebbe certamente frustrato. Nel contempo, l’imposizione di un onere processuale così gravoso, come quello derivante dall’asserita lesività del provvedimento con conseguente necessità di sua immediata ed autonoma impugnazione – e preclusione alla proposizione di censure nelle fasi successive – rischierebbe di rivelarsi irragionevole e privo di qualsiasi giustificazione.
In conclusione, dunque, l’esame delle disposizioni del nuovo Codice porta ad affermare che la
fase di ammissione c’è …. ma non si vede!
Manca, infatti, una disciplina che ne consenta una ricostruzione sistematica. Sul punto si tornerà in conclusione, dopo aver illustrato alcune significative novità introdotte dall’art. 80 del d.lgs. 50/2016.
3. Profili innovativi della disciplina delle cause di esclusione: in particolare, irregolarità fiscali/contributive e misure di self-cleaning.
Il nucleo essenziale della disciplina della partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica si rinviene nell’art. 80 del nuovo Codice, disposizione da leggere in combinazione con gli articoli immediatamente successivi, e in particolare con l’art. 83 (Criteri di selezione e soccorso istruttorio).
Tali disposizioni riproducono in parte il contenuto dell’art. 38 del vecchio Codice, ma contengono significative novità e delineano un sistema molto più complesso rispetto al passato. La responsabilità di tale assetto, peraltro, è imputabile non ad una scelta del nostro legislatore, bensì alle direttive europee adottate nel 2014 e recepite con il d.lgs. 50/2016: le disposizioni dedicate ai motivi di esclusione – l’art. 57 direttiva appalti nei settori ordinari (dir. 2014/24/UE), sostanzialmente replicato dall’art. 80 della direttiva n. 25 sugli appalti nei settori speciali e dall’art. 38, parr. 4 xx. xxxxx xxxxxxxxx x. 00 per le concessioni –, infatti, sono tra le più lunghe ed articolate delle direttive.
Certamente, la materia delle cause di esclusione continua ad essere principalmente appannaggio degli ordinamenti nazionali, ma le sollecitazioni provenienti dal diritto europeo risultano intensificate, anche con la previsione di istituti fortemente innovativi che i singoli Stati devono, o a seconda dei casi possono, recepire. In estrema sintesi, tra le principali novità meritano menzione:
(1) il rafforzamento delle cause di esclusione c.d. obbligatorie, accompagnato tuttavia dalla possibilità offerta agli Stati membri di prevedere deroghe in talune situazioni (art. 57, parr. da 1 a 3);
(2) una disciplina peculiare concernente il motivo di esclusione legato all’inottemperanza degli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali (art. 57, par. 2);
(3) l’ampliamento delle cause di esclusione c.d. facoltative, con introduzione di motivi non contemplati dalla precedente normativa (ad es. conflitto di interesse) e rimodulazione di cause già esistenti in precedenza (ad es. illeciti professionali) (art. 57, par. 4, lett. c, g);
(4) il riconoscimento delle misure c.d. di self-cleaning come strumento generalizzato che consente: (i) all’operatore versante in una situazione che imporrebbe o giustificherebbe l’esclusione, di fornire prova di aver adottato misure idonee a dimostrare la sua attendibilità ai fini dell’esecuzione dell’appalto; e (ii) conseguentemente, alle stazioni appaltanti di mantenere in gara l’operatore e, anzi, di affidargli l’appalto nonostante la presenza di una (potenziale) causa di esclusione, anche obbligatoria.
Nell’impossibilità di affrontare il tema in maniera analitica, per ragioni di razionalità ed economia di esposizione, in questa sede ci si limiterà a tre brevi considerazioni.
La prima riguarda la causa di esclusione per irregolarità fiscali o contributive, che il nostro legislatore ha recepito nell’art. 80, co. 4, del nuovo Codice. Si tratta, com’è noto, di una delle cause che più ha alimentato il contenzioso negli anni passati, essenzialmente per via del rigido formalismo cui è stata improntata sia la precedente disciplina normativa (art. 38, co. 1, lett. g vecchio Codice), sia la sua concreta applicazione da parte di stazioni appaltanti e giudici.
In attuazione della direttiva europea, che all’art. 57, par. 2, prevede una specifica misura di self- cleaning a recepimento obbligatorio, il nuovo Codice introduce una disposizione derogatoria, secondo cui la causa di esclusione “non si applica quando l’operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, purché il pagamento o l’impegno siano stati formalizzati prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande” (art. 80, co. 4).
In sede di recepimento, tuttavia, il legislatore nazionale ha introdotto uno sbarramento temporale – il riferimento alla scadenza del termine per la presentazione delle domande -, che non figura nella direttiva e che riduce fortemente – o meglio, sostanzialmente annulla – la portata innovativa della deroga. L’istituto del self-cleaning, infatti, è concepito per consentire ad un operatore “che si trova” – sembrerebbe, dunque, anche dopo il termine di partecipazione alla procedura – in una o più cause di esclusione, di offrire prova di aver adottato misure adeguate per porre rimedio all’irregolarità e così dimostrare la sua affidabilità come contraente.
Nei termini in cui è stata formulata, la disposizione del nuovo Codice riprende viceversa un consolidato e restrittivo orientamento giurisprudenziale nazionale 96 il quale – nel richiamo dei principi di par condicio e di continuità nel possesso dei requisiti – nega, in sostanza, ogni possibilità di regolarizzare eventuali debiti contributivi o tributari in corso di procedura.
96 Recentemente ribadito da Cons. Stato, Ad. Plenaria, 29 febbraio 2016, n. 5.
La seconda considerazione riguarda, appunto, i principi di par condicio e di continuità nel possesso dei requisiti, che nell’impianto normativo del nuovo Codice sembrano potersi difficilmente conciliare con l’intenzione del legislatore di risolvere immediatamente e definitivamente tutte le questioni attinenti alla partecipazione dei concorrenti alle procedure. In realtà, tali principi avrebbero consentito l’adozione di soluzioni differenti da quelle prescelte dal legislatore nazionale 97. Si consideri, infatti, che le direttive europee offrivano agli Stati membri l’opportunità di ridurre, sotto diversi profili, l’impatto delle cause di esclusione potenziando le misure c.d. di self-cleaning: opportunità, questa, che il nostro legislatore ha ritenuto di non cogliere (se non in misura davvero marginale) anche se una riduzione dei motivi di esclusione avrebbe potuto determinare, grazie ad una semplificazione sostanziale del sistema, quella deflazione del contenzioso che viene indicata come uno dei principali obiettivi della riforma.
La terza ed ultima considerazione riguarda l’elevato grado di discrezionalità di cui sono investite le stazioni appaltanti nel valutare sia la sussistenza delle singole cause di esclusione – si pensi, ad esempio, al conflitto di interessi, che giustifica l’esclusione solo se non altrimenti risolvibile –, sia l’adeguatezza delle misure di self-cleaning eventualmente adottate dall’operatore economico. Situazioni e valutazioni complesse, che spesso richiederanno alle stazioni appaltanti di instaurare un contraddittorio con gli operatori e di motivare le proprie decisioni anche ‘in positivo’ – vale a dire, in relazione alla decisione di mantenere in gara un operatore che si trovi in una potenziale causa di esclusione.
In definitiva, dunque, anche nel sistema introdotto dal d.lgs. 50/2016 le cause di esclusione potranno rappresentare una potenziale fonte di forte contenzioso anche, ma non solo, in sede giurisdizionale, considerato che il nuovo Codice offre diversi strumenti di doglianza.
4. Osservazioni conclusive e proposte.
Come si è detto, il nuovo Codice non disciplina la fase di ‘ammissione ed esclusione’ dei concorrenti; ma prevede – recte, richiama – l’adozione di un provvedimento che individui i concorrenti esclusi dalla procedura e quelli ammessi al suo prosieguo all’esito della ‘valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali’.
L’assenza di una disciplina compiuta – insieme alla formulazione non felice di alcune disposizioni – pongono numerosi interrogativi, cui non è sempre possibile rispondere utilizzando gli ordinari criteri ermeneutici. I profili più delicati e potenzialmente problematici riguardano l’individuazione del soggetto chiamato a compiere l’attività di valutazione; la collocazione sistematica della fase di verifica all’interno della procedura di gara e il suo rapporto con la tutela giurisdizionale 98.
97 Una soluzione in concreto potrebbe essere valorizzare il combinato disposto il citato art. 57, par. 2, co. 3 e par 3, co. 2 della direttiva n. 24, prevedendo ad es. la facoltà di regolarizzazione anche successivamente al termine di proposizione della domanda laddove l’operatore dimostri di essere stato “informato dell’importo preciso dovuto […] in un momento in cui non aveva la possibilità di prendere provvedimenti in merito”. Le complessità legate a questi accertamenti, confermate dalla ampia casistica giurisprudenziale, dimostrano che, in effetti, al momento della partecipazione alla gara l’operatore può non essere in grado di conoscere l’esistenza di un debito contributivo o tributario o il suo esatto ammontare. Sulla compatibilità della regolarizzazione con il principio della par condicio si è recentemente espressa la CGUE, sent. 2 giugno 2016, in C‑27/2015.
98 Vi sarebbero anche altri profili problematici, spesso legati ad una non chiara formulazione delle norme: si pensi, ad esempio alla
difficoltà di comprendere quali conseguenze derivino in concreto dalla presenza di un motivo di esclusione ai sensi dell’art. 80 Cod. in capo ad un subappaltatore (art. 80, co. 5, nuovo Codice). Per non appesantire l’esposizione, si allega una tabella riassuntiva delle disposizioni che si ritiene debbano essere riviste e/o corrette.
I. – La competenza. - Per quanto riguarda il primo interrogativo, sembra abbastanza agevole rispondere che le verifiche sul possesso dei requisiti spettano alla stazione appaltante e non alla commissione di aggiudicazione, cui compete unicamente la ‘valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico’ (art. 77 Cod.).
Come detto, poiché tale fase può comportare anche accertamenti complessi (ad es., in merito ai contratti analoghi a comprova di requisiti speciali in appalti ad elevato contenuto tecnologico ed innovativo), oltre che latamente discrezionali (ad es., idoneità di una misura ad evitare conflitti di interesse), sarebbe opportuna l’instaurazione di un contraddittorio con gli operatori interessati ed è, in ogni caso, necessaria una puntuale motivazione delle valutazioni della stazione appaltante. In effetti, se l’interesse tutelato dalle disposizioni in materia è quello ad una corretta formazione della platea dei giocatori – ciò che, sul piano della tutela giurisdizionale, giustifica la necessità di autonoma (ed immediata) impugnazione del provvedimento conclusivo delle verifiche e le connesse preclusioni processuali –, anche la decisione di ammettere un operatore deve essere adeguatamente motivata perché potenzialmente lesiva della posizione degli altri (aspiranti) partecipanti.
La circostanza che le valutazioni di cui si discute vengano affidate non alla commissione, bensì alla stazione appaltante, le colloca naturalmente – a meno di non pensare a continue e ripetute contorsioni procedimentali – nel momento iniziale, ovvero in quello finale della procedura.
Veniamo così al secondo profilo, concernente la collocazione della fase di ammissione nella sequenza procedimentale.
II. – La collocazione sistematica. - Come si è visto, la scelta del nuovo Codice appare univoca a favore della prima delle due opzioni: la verifica sul possesso dei requisiti precede la valutazione delle offerte affidata alla Commissione di gara. Si tratta di una scelta ‘politica’, contenuta nella legge delega e certamente non priva di risvolti problematici.
La fase di ammissione / esclusione, in effetti, sembra concepita essenzialmente per introdurre preclusioni di ordine processuale al fine di ridurre il contenzioso post-aggiudicazione: si impone un “tutti contro tutti” all’inizio della gara, con divieto di riproporre questioni sulla partecipazione nelle fasi successive.
Tuttavia, oneri procedurali (per le amministrazioni che devono procedere a verificare la posizione di tutti i concorrenti in gara) e preclusioni processuali (per gli operatori, che si trovano costretti a ricorrere conto i concorrenti in un momento iniziale, nel quale non viene in gioco l’affidamento della commessa) si giustificano solo se assolvono ad una funzione anche sostanziale e sono in grado di offrire un contributo positivo in termini di costruzione e maggiore efficienza del sistema. In caso contrario, la soluzione prescelta potrebbe, da un lato, prestarsi a fondate censure (anche di legittimità costituzionale e di incompatibilità con i principi derivanti dal Trattato) e, dall’altro, rivelarsi rimedio peggiore del male che si intende curare.
È indubbio, infatti, che una attività di verifica, che richiede accertamenti e riscontri documentali, a volte estremamente complessi (anche se agevolati dal ricorso a banche dati), laddove venga effettuata nei confronti di tutti i concorrenti e per tutti i requisiti, comporti un oggettivo aggravio del procedimento. Non solo: tale aggravio potrebbe rivelarsi in larga parte inutile se si considera che il provvedimento di ammissione viene necessariamente adottato ‘allo
stato degli atti’ - in quanto le cause di esclusione possono sempre emergere o sopravvenire nel corso della procedura - e che, laddove l’esito delle verifiche, ora condotte a tappeto dalle stazioni appaltanti, porti ad un aumento del numero delle esclusioni, si avrà presumibilmente un corrispondente incremento del contenzioso in grado di incidere negativamente sull’andamento della gara.
A ciò si aggiunga che l’introduzione di una fase di ammissione ha in realtà un impatto diverso a seconda del tipo di procedura.
Non è un caso che le direttive europee – in particolare, la direttiva 2014/24 /UE sugli appalti nei settori ordinari – contengano una specifica disciplina per le procedure aperte. L’art. 56, par. 2, della direttiva recita infatti: “2. Nelle procedure aperte, le amministrazioni aggiudicatrici possono decidere di esaminare le offerte prima di verificare l’assenza di motivi di esclusione e il rispetto dei criteri di selezione ai sensi degli articoli da 57 a 64. Se si avvalgono di tale possibilità, le amministrazioni aggiudicatrici garantiscono che la verifica dell’assenza di motivi di esclusione e del rispetto dei criteri di selezione sia effettuata in maniera imparziale e trasparente, in modo che nessun appalto sia aggiudicato ad un offerente che avrebbe dovuto essere escluso a norma dell’articolo 57 o che non soddisfa i criteri di selezione stabiliti dall’amministrazione aggiudicatrice.
Gli Stati membri possono escludere o limitare l’uso della procedura di cui al primo comma per determinati tipi di appalti o a circostanze specifiche.”.
Questa disposizione non è stata recepita nell’ordinamento italiano nonostante non sembri attribuire agli Stati membri margini di scelta in ordine alla necessità di lasciare alle stazioni appaltanti – il cui ruolo viene complessivamente valorizzato nelle nuove direttive - l’adozione della procedura più idonea nel caso concreto.
La stessa disposizione consente al legislatore nazionale di limitare od escludere la discrezionalità delle stazioni appaltanti in situazioni predeterminate; ma non sembra ammettere una sua integrale eliminazione: l'opzione, questa, viceversa esercitata dal nuovo Codice per tutti gli appalti sopra-soglia nei settori ordinari 99.
Pertanto, anche laddove si voglia mantenere l’idea d introdurre per tutte le procedure una fase di qualificazione degli operatori, le disposizioni del Codice andranno riviste in modo da dare piena attuazione alla direttiva europea.
Ne deriva la necessità di distinguere fra procedure ristrette (o negoziate, comunque ad inviti della stazione appaltante) e procedure aperte.
Nelle prime, la fase di ammissione ed esclusione coincide in sostanza con la fase di pre-qualifica e svolge una precisa funzione: l’individuazione degli operatori che potranno presentare offerta. Pertanto, l’introduzione di un maggiore carico procedimentale, indotto dalla necessità di adottare un provvedimento che sia anche di ammissione, con connessi oneri motivazionali, trova una giustificazione sostanziale, così come l’introduzione di preclusioni processuali nel caso di mancata impugnazione del provvedimento conclusivo della fase di verifica.
Per le procedure aperte, viceversa, l’attuazione dell’art. 56 della direttiva 2014/24/UE, porta ad attribuire alle stazioni appaltanti la scelta del momento più opportuno per procedere alle dovute
99 Il problema si pone solo per i settori ordinari perché in quelli speciali la direttiva europea è stata correttamente recepita
verifiche. Si tratta di una scelta che, ovviamente, non può essere arbitraria e che il legislatore potrebbe certamente orientare predeterminandone i criteri ovvero imponendo alle stazioni appaltanti di individuarli nel bando (ad es., in rapporto al numero di partecipanti e alla complessità delle verifiche). Anche al fine di evitare partecipazioni “fittizie”, rivolte ad influenzare l’individuazione delle offerte anormalmente basse (art. 97 nuovo Cod.), appare inoltre opportuno, se non indispensabile introdurre un primo controllo di regolarità formale e di completezza delle informazioni prodotte in gara dai concorrenti, accompagnato da seri controlli a campione.
Ovviamente, laddove le stazioni appaltanti decidessero di avvalersi della facoltà di posticipare la fase di verifica dei requisiti, essa verrebbe differita al termine della gara e non avrebbe più senso né parlare di fase di ammissione né di provvedimento che individui i soggetti ammessi; nel contempo, con ogni probabilità, i controlli potrebbero essere limitati ai primi classificati in graduatoria, secondo quanto già oggi dispone l'art. 85, co. 5, secondo periodo, nuovo Cod.
Una fase di (pre)qualificazione degli operatori, viceversa, rimarrebbe anche nelle procedure aperte laddove, per l’esiguità del numero dei partecipanti ovvero per la natura degli accertamenti da effettuare, la sua posticipazione non fosse opportuna.
III. – Profili processuali. – Tra i profili più problematici del d.lgs. 50/2016 vi è indubbiamente quello concernente le conseguenze processuali dell’introduzione di una fase di ammissione: ove privo di una adeguata giustificazione procedimentale e sostanziale, infatti, il sistema delle preclusioni individuato dal novellato art. 120 c.p.a. potrebbe rivelarsi un ostacolo all’esercizio di una piena tutela giurisdizionale, con tutto ciò che ne deriva sul piano della legittimità costituzionale della disposizione, da un lato, e di sua compatibilità con i principi del Trattato, dall’altro.
Se le precedenti considerazioni suggeriscono prudenza nel valutare l’impianto del nuovo sistema, in attesa di verificarne la concreta applicazione, alcune disposizioni contenute nell’attuale formulazione dell’art. 120 c.p.a. xxxxxxxx xxxx’altro un immediato ripensamento:
- non si comprende la ragione per cui il ricorso contro il provvedimento di ammissione/esclusione debba essere proposto entro 30 gg. dalla pubblicazione del provvedimento sul sito anziché dalla sua comunicazione mediante PEC. Teoricamente, i due adempimenti dovrebbero essere contestuali, ma non è detto che ciò avvenga e, in ogni caso, solo l’art. 76 nuovo Cod. (nel prescrivere l’invio della comunicazione via PEC), si preoccupa di assicurare che vengano fornite le indicazioni – compreso l’eventuale collegamento ipertestuale – necessarie per acquisire la documentazione;
- dovrebbe essere introdotta una disciplina dell’accesso alla documentazione. In questa materia esso è strumento indispensabile all’effettività della tutela giurisdizionale: si deve infatti consentire ai candidati di acquisire immediatamente sia la documentazione presentata dai concorrenti, sia quella utilizzata dalle stazioni appaltanti per le verifiche;
- dovrebbero escludersi preclusioni riguardanti il ricorso incidentale perché si tratta di uno strumento indispensabile per garantire un’effettiva tutela giurisdizionale e l’esercizio del diritto di difesa del destinatario del ricorso principale. L’attuale formulazione dell’art.
120 c.p.a., che non trova riscontro nella legge delega, non tiene conto del fatto che l’interesse alla sua proposizione scaturisce unicamente dalla proposizione del ricorso
principale e finisce per penalizzare – in maniera ingiustificata, ci pare – l’aggiudicatario: non avere fatto ricorso alla ‘tutela preventiva’ (impugnazione dell’ammissione degli altri concorrenti), favorendo un andamento più spedito della procedura, non può certo ritorcersi contro l’operatore economico, privandolo della possibilità di utilizzare un efficace strumento per difendere la posizione acquisita all’esito della gara.
ELENCO DELLE DISPOSIZIONI DI INTERESSE CON PROPOSTE DI MODIFICA
Testo normativo | Modifiche proposte |
Art. 120, co. 2 bis c.p.a. | Si propone di: |
Il provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa all'esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali va impugnato nel termine di trenta giorni, decorrente dalla sua pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante, ai sensi dell'articolo 29, comma 1, del codice dei contratti pubblici adottato in attuazione della legge 28 gennaio 2016, n. 11. L'omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l'illegittimità' derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento | ▪ modificare l’inciso sul dies a quo per l’impugnazione del provvedimento, facendo decorrere il termine non dalla pubblicazione sul profilo del committente ma dalla ricezione della comunicazione di cui all’art. 29, co. 1 d.lgs. 50/2016. ▪ abrogare l’inciso “anche con ricorso incidentale”. |
Art. 94 d.lgs. 50/2016 (Principi generali in materia di selezione) | Si propone: ‒ di inserire un comma 3 per reintrodurre il controllo a campione obbligatorio, sul modello della vecchio art. 48, co. 1 d.lgs. 163/2006; ‒ di inserire un comma 4 per recepire la previsione di cui all’art. 56, par. 2 della direttiva 2014/24/UE, con l’introduzione di uno specifico obbligo di motivazione per la stazione appaltante. Il testo potrebbe essere il seguente: “4. Nelle procedure aperte, le amministrazioni aggiudicatrici possono prevedere nel bando la facoltà di esaminare le offerte prima di verificare l’idoneità degli offerenti. Tale facoltà è esercitata con provvedimento motivato in relazione alle circostanze concrete della procedura e in ogni caso prima dell’apertura delle offerte. Se si avvalgono di tale possibilità, le amministrazioni aggiudicatrici garantiscono che la verifica dell’assenza di motivi di esclusione e del rispetto dei criteri di selezione sia effettuata in maniera imparziale e trasparente, in modo che nessun appalto sia aggiudicato ad un offerente che avrebbe dovuto essere escluso a norma dell’art. 80 o che non soddisfa i criteri di selezione stabiliti dall’amministrazione aggiudicatrice.” |
1. Gli appalti sono aggiudicati sulla base di criteri stabiliti conformemente agli articoli da 95 a 97 previa verifica, in applicazione degli articoli 85, 86 e 88, della sussistenza dei seguenti presupposti: | |
a) l'offerta è conforme ai requisiti, alle condizioni e ai criteri indicati nel bando di gara o nell'invito a confermare interesse nonché nei documenti di gara, tenuto conto, se del caso, dell'articolo 95, comma 14; | |
b) l'offerta proviene da un offerente che non è escluso ai sensi dell'articolo 80 e che soddisfa i criteri di selezione fissati dall'amministrazione aggiudicatrice ai sensi dell'articolo 83 e, se del caso, le norme e i criteri non discriminatori di cui all'articolo 91. | |
2. La stazione appaltante può decidere di non aggiudicare l'appalto all'offerente che ha presentato l'offerta economicamente più vantaggiosa, se ha accertato che l'offerta non soddisfa gli obblighi di cui all'articolo 30, comma 3. |
Testo normativo | Modifiche proposte |
Art. 32 d.lgs. 50/2016 (Fasi delle procedure di affidamento) | Tra le fasi previste dall’art. 32 andrebbe menzionata anche la fase di esclusione/ammissione dei candidati, con la precisazione che le stazioni appaltanti possono esercitare la facoltà di posticipazione dei controlli di cui si è detto al punto precedente. |
Art. 80, co. 1 d.lgs. 50/2016 (Motivi di esclusione – condanne penali) | Si dovrebbe modificare l’inciso “anche riferita a un suo subappaltatore”, per chiarire le conseguenze derivanti dall’esistenza di una causa di esclusione in capo al subappaltatore. Raccordare la disciplina con quella dell’avvalimento |
Art. 80, co. 2 d.lgs. 50/2016 (Motivi di esclusione - antimafia) | Si dovrebbe chiarire quali sono i soggetti (soci, amministratori, direttori, ecc.) su cui debbono essere fatti i controlli, coordinando la disposizione sia con il successivo comma 3 che con l’art. 85 del d.lgs. n. 159/2011. |
Art. 80, co. 4 d.lgs. 50/2016 (Motivi di esclusione - irregolarità fiscali/contributive) | Si dovrebbe perlomeno contemplare la deroga di cui all’art. 57, par. 3, co. 2 della direttiva 2014/24/UE, che prevede la che l’operatore non venga escluso laddove dimostri di essere stato “informato dell’importo preciso dovuto […] in un momento in cui non aveva la possibilità di prendere provvedimenti in merito”. |
Art. 80, co. 5, lett. i) d.lgs. 50/2016 (Motivi di esclusione – violazione norme a tutela del lavoro dei disabili) | La disposizione dovrebbe essere coordinata con l’art. 17 n. 68/1999, come modificato dall’art. 40, co. 5 del d.l. n. 112/2008, che ha eliminato la certificazione rilasciata dagli uffici competenti, prevedendo che le imprese sono tenute a presentare in gara una semplice dichiarazione del legale rappresentante sul rispetto delle norme in materia. Andrebbe dunque modificato il riferimento alla “certificazione” e soppresso l’inciso “ovvero autocertifichi la sussistenza del medesimo requisito”. |
LA GESTIONE DELLA TRANSIZIONE NORMATIVA E LA CABINA DI REGIA100
XXXXXXXX XXXXXXX∗
E’ noto che la redazione del codice è maturata all’esito di un dibattito ampio e animato, ove si sono confrontate visioni anche molto differenti delle politiche di recepimento delle direttive europee e di regolazione della materia dei contratti pubblici.
Queste note non intendono proporre analisi retrospettive.
Il dibattito è infine approdato alla scelta di un modello di disciplina che, sia pure non immune da criticità (come del resto sarebbe valso per qualunque soluzione alternativa, nell’attuale contingenza storica) è ispirato ad un disegno nel complesso razionale e costruttivo, a tratti assai originale.
Crediamo tuttavia che sarebbe errato pensare che la stesura del codice rappresenti una tappa conclusiva del processo di riforma, per varie ragioni.
Al di là del fatto che il decreto legislativo è stato sin dalla delega volutamente aperto ad una prima fase di eventuale correzione (in concreto resasi ora opportuna) pesa in primo luogo la constatazione che trattasi di riforma molto ambiziosa, chiamata al confronto con problematiche dalle radici profonde, la cui soluzione inevitabilmente richiederà tempo e gradualità. Tutti sono consapevoli del fatto che l'obiettivo di bonificare la materia dei contratti pubblici, conformandola a canoni di efficienza e legalità, presuppone conversioni culturali e organizzative, oltre che revisioni normative; in questa materia, forse ancor più che altrove, è facile prendere atto che sarebbe sbagliata e illusoria la pretesa di ideare le regole senza farsi carico dello sforzo di anticipare i problemi della relativa implementazione.
In secondo luogo, il codice contiene elementi di forte innovazione, propone soluzioni e tecniche di intervento pubblico inedite, come tali bisognose di verifica (abolizione del regolamento, soft regulation, originali meccanismi di rating, apertura alla flessibilità, vigilanza collaborativa, istituti destinati a futura specificazione etc. etc.)
Ovviamente non si sta mettendo in discussione la parallela necessità di operare affinché il testo sia scritto bene e si conservi chiaro, nel tempo, perché le regole e le fonti siano coordinate in raccolte organiche e siano rese più semplici; tutto questo è indubbiamente indispensabile ed è bene che l’art. 212 del codice incarichi la cabina di regia di farsene carico, ma costituisce a nostro avviso punto di partenza di un percorso più ambizioso, non un punto d'arrivo.
Viste le scelte di impostazione compiute dal legislatore il codice, perlomeno nei segmenti più innovativi, andrebbe al momento trattato come una ragionata ipotesi di lavoro, da destinare ad
100 Lo scritto e la proposta sono frutto di una riflessione condivisa con Xxxxxxxx Xxxxxxxxx e Xxxxxx Xxxxxxxxx.
∗ Presidente di AEQUA; Professore ordinario di Diritto amministrativo - Facoltà di Giurisprudenza - Università degli Studi dell’Insubria.
un periodo di sperimentazione controllata, di osservazione, apprendimento, assestamento, rodaggio.
Il tipo di regia occorrente allo scopo presuppone – ben oltre i pur doverosi compiti di monitoraggio e rassetto delle disparate fonti (101) – che la cabina sviluppi la capacità di valutare nel tempo l’impatto e l’efficacia del "sistema delle regole" nel suo complesso, operando ad un scala diversa - olistica e inclusiva - rispetto all’orizzonte proprio dei singoli regolatori e attori del sistema.
Il livello di complessità della materia e il conseguente ineliminabile grado di incertezza rendono al contempo imprescindibile un approccio proattivo, evolutivo, dinamicamente orientato all'apprendimento, secondo la logica connaturata alla cosiddetta "adaptive governance" (102).
Questa logica, senza indulgere in approfondimenti che sarebbero esorbitanti, rispetto agli scopi della nota, può essere resa da una sintetica scansione di passaggi:
a) all’autorità politica compete la declinazione e l’ordinamento nel tempo dei disparati fini perseguiti dalla legge delega e dal codice, i quali, quantunque tutti singolarmente desiderabili, sono spesso potenzialmente conflittuali, nelle reciproche relazioni;
b) segue una fase di analisi e d’identificazione degli ostacoli che si frappongono alle priorità stabilite, possibilmente con l’apporto degli stakeholder, sia pubblici che privati, tramite strutturati e robusti meccanismi di partecipazione;
c) nello stadio successivo, agli attori istituzionali investiti dei necessari poteri compete l’individuazione e la messa a punto delle misure adatte al raggiungimento dei risultati;
d) occorre a questo punto la definizione di un piano di monitoraggio mirato, avente ad oggetto gli obiettivi perseguiti, gli ostacoli riconosciuti, le misure ideate, col corredo di una metrica e di opportuni indicatori (di risultato, di criticità etc.)
e) segue l’esecuzione del piano di monitoraggio, con l’analisi dei dati acquisiti, la diffusione e la condivisione dei risultati;
f) cifra distintiva di un approccio adattativo è l’iterazione delle fasi d) - e), così da sfruttare l’apprendimento e il feedback informativo per trasmettere ai decisori competenti le conoscenze utili alla revisione consapevole delle fasi a) - c)
Entro le coordinate tracciate dallo schema, riteniamo che la Cabina di regia possa svolgere un ruolo essenziale e nevralgico nelle fasi b) d) e) ed f)
101 norme del codice, correttivi, decreti ministeriali, linee guida di ANAC, atti misti, soft regulation etc.
(102) Prendendo spunto, per una primissima indicazione bibliografica, dalla fertile materia ambientale, basti un rimando a X. XXXXX,
X. XXXXXX, P.C. XXXXX (2003), The struggle to Govern the Commons, Science 302, con ulteriori rimandi dottrinali ivi; K. N. XXX, Compass and Gyroscope, Island Press, Washington , D.C. 1993; AA.VV., Resilience and Law, a cura di X. XXXXX, X. XXXXX, A. S. GARMESTANi, Columbia University Press, 2013; con più ampio riferimento alle pratiche di better regulation, da tempo in corso di elaborazione in seno all'OCSE e all'UE, tra i molti documenti, EUROPEAN COMMISSION Staff Working Document, Better Regulation Guidelines, SWD(2015) 111 final; per materiali e rimandi, xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx; xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx.xx/0/xxxxxxxxx.
2. Spunti operativi e proposte concrete
Parte dei compiti assegnati alla cabina di regia dall'art 212 del codice parrebbero intersecare o addirittura doppiare le operazioni propedeutiche allo sviluppo di AIR, VIR, ATN (103).
Questi istituti generali, quantunque espressione dello sforzo domestico di recepire dettami OCSE o europei in tema di "better regulation," sono tuttavia disciplinati e applicati, nel nostro paese, in modo troppo flebile e cerimoniale, per servire gli obiettivi di governance adattativa proposti (104)
Sarebbe a nostro avviso opportuno intestare esplicitamente alla cabina di regia il compito di svolgere tutte quelle operazioni istruttorie e valutative che oggi sono troppo debolmente disciplinate dalla normativa generale su AIR, VIR, ATN, affinchè le analisi di impatto degli effetti normativi e di coerenza, diagnostiche e prognostiche, che tra l'altro dovrebbero preparare proposte e correttivi consapevoli, siano da essa compiute in via continuativa e permanente, con cadenze serrate e ben sorvegliate, con tecniche molto più evolute, col corredo di stime quantitative mirate, ove possibile, secondo dettami appositamente pensati per la materia dei contratti pubblici, all'insegna di un criterio di specializzazione, guardando al "sistema delle regole" nel suo complesso.
In questa prospettiva le analisi d’impatto, preventive o successive, spettanti ad ANAC o alle altre istituzioni munite di poteri regolatori, in materia contrattuale, dovrebbero svolgersi di concerto con la Cabina, con le metodologie e i criteri specialistici all’uopo elaborati.
La Cabina dovrebbe poi ispirarsi, quale criterio direttivo, ad un principio di partecipazione e confronto con gli stakeholder, nell'esercizio dei compiti propositivi e consultivi propedeutici alle modifiche o all'adeguamento del codice e del "sistema delle regole"; il principio meriterebbe forse di essere distintamente enunciato dall'art. 212, oltre che ripreso dalle regole di svolgimento delle analisi e delle valutazioni di impatto.
Il ciclo che incorpora fasi di sperimentazione, apprendimento , miglioramento progressivo della disciplina dovrebbe essere immaginato come permanente, dovrebbe estendersi nel tempo ben oltre l'esiguo termine annuale assegnato per l'approvazione dei correttivi al codice, plausibilmente non sufficiente (come rilevato anche dal parere del Consiglio di Stato) alla maturazione di un significativo feedback, sull'esperienza applicativa.
3. Ipotesi di modifica dell'art 212
La lettera b) dell’art. 212, comma 1, del presente decreto legislativo è sostituita dalla seguente: “b) curare stabilmente, adottando appositi piani di monitoraggio e di azione, lo stato di attuazione del codice e la funzionalità' della sua applicazione, unitamente alla disciplina esecutiva;”. La lettera c) dell’art. 212 , comma 1, del presente decreto legislativo è sostituita dalla seguente: “c) in funzione degli obiettivi di cui alla lettera b) che precede, svolgere con cadenza precisata dal DPCM istitutivo e con metodologie specificamente sviluppate per la
(103) cfr. art. 14 L. 246/2005, art. 5. L. 50/1999; DPCM 212/2009, DPCM 170/2008; dir PCM 10.9.2008
materia dei con-tratti pubblici, di concerto con i soggetti titolari delle competenze regolatorie, analisi tecniche e valutazioni di impatto, preventive e successive, setto-riali e sistemiche, della disciplina codicistica e di quella attuativa; le analisi compiute presso la Cabina integrano ed assorbono AIR, VIR e ATN; la disciplina delle valutazioni d’impatto intestate alla Cabina prevede strumenti di partecipazione dei soggetti pubblici e degli stake-holder privati, nonché regolari interlocuzioni con esponenti della magistratura amministrativa, della magistratura civile e della Corte dei Conti; le risultanze delle analisi d’impatto sono pubblicate sul sito della Cabina”. La lettera d), comma 1, dell’art. 212 del presente decreto legislativo è sostituita dalla seguente: d) coordinare l'adozione, da par-te dei soggetti competenti, di decreti e linee guida, nonché della loro raccolta in testi unici integrati, organici e omogenei, al fine di assicurarne la tempestività e la coerenza reciproca”.
La lettera e) dell’art. 212, comma 1, del presente decreto legislativo è sostituita dalla seguente: “e) formulare proposte di modifica normativa nella materia disciplinata dal presente codice ed esaminare le proposte di modifica, al fine di valutarne l'impatto sulla legislazione vigente, garantire omogeneità e certezza giuridica, supportando la competente struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri nel coordinamento dei vari interventi regolatori nel settore”.
Le attuali lettere d), ed e) dell’art. 212, comma 1, divengono, per l’effetto, le lettere f) e g).
Ipotesi di modifica dell'art 212 – È istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri una Cabina di regia con il compito di: a) effettuare una ricognizione sullo stato di attuazione del presente codice e sulle difficoltà riscontrate dalle stazioni appaltanti nella fase di applicazione anche al fine di proporre eventuali soluzioni correttive e di miglioramento; b) curare, se del caso con apposito piano di azione, la fase di attuazione del presente codice coordinando l'adozione, da parte dei soggetti competenti, di decreti e linee guida, nonché della loro raccolta in testi unici integrati, organici e omogenei, al fine di assicurarne la tempestività e la coerenza reciproca; c) esaminare le proposte di modifiche normative nella materia disciplinata dal presente codice al fine di valutarne l'impatto sulla legislazione vigente, garantire omogeneità e certezza giuridica, supportando la competente struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri nel coordinamento dei vari interventi regolatori nel settore; d) promuovere la realizzazione, in collaborazione con i soggetti competenti, di un piano nazionale in tema di procedure telematiche di acquisto, al fine della diffusione dell'utilizzo degli strumenti informatici e della digitalizzazione delle fasi del processo di acquisto; e) promuovere accordi, protocolli di intesa, convenzioni, anche con associazioni private per agevolare la bancabilità delle opere pubbliche; | confronto tabellare 1. È istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri una Cabina di regia con il compito di: a) effettuare una ricognizione sullo stato di attuazione del presente codice e sulle difficoltà riscontrate dalle stazioni appaltanti nella fase di applicazione anche al fine di proporre eventuali soluzioni correttive e di miglioramento; b) curare stabilmente, adottando appositi piani di monitoraggio e di azione, lo stato di attuazione del codice e la funzionalita' della sua applicazione, unitamente alla disciplina esecutiva; c) in funzione degli obiettivi di cui alla lettera b) che precede, svolgere con cadenza precisata dal DPCM istitutivo e con metodologie specificamente sviluppate per la materia dei contratti pubblici, di concerto con i soggetti titolari delle competenze regolatorie, analisi tecniche e valutazioni di impatto, preventive e successive, settoriali e sistemiche, della disciplina codicistica e di quella attuativa; le analisi compiute presso la Cabina integrano ed assorbono AIR, VIR e ATN; la disciplina delle valutazioni d’impatto intestate alla Cabina prevede strumenti di partecipazione dei soggetti pubblici e degli stakeholder privati, nonché regolari interlocuzioni con esponenti della magistratura amministrativa, della magistratura civile e della Corte dei Conti; le risultanze delle analisi d’impatto sono pubblicate sul sito della Cabina; d) coordinare l'adozione, da parte dei soggetti competenti, di decreti e linee guida, nonché della loro raccolta in testi unici integrati, organici e omogenei, al fine di assicurarne la tempestività e la coerenza reciproca; e) formulare proposte di modifica normativa nella materia disciplinata dal presente codice ed esaminare le proposte di modifica, al fine di valutarne l'impatto sulla legislazione vigente, garantire omogeneità e certezza giuridica, supportando la competente struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri nel coordinamento dei vari interventi regolatori nel settore; f) promuove la realizzazione, in collaborazione con i soggetti competenti, di un piano nazionale in tema di procedure telematiche di acquisto, al fine della diffusione dell'utilizzo degli strumenti informatici e della digitalizzazione delle fasi del processo di acquisto; g) promuove accordi, protocolli di intesa, convenzioni, anche con associazioni private per agevolare la bancabilità delle opere pubbliche. |