PARERI
PARERI
Basilicata
4 – Sezione controllo Regione Basilicata; parere 27 febbraio 2020; Pres. Oricchio, Rel. Minichini; Comu- ne di Xxxxxxxxxx Jonico.
Tributi – Imposta comunale – Indisponibilità da parte dell’ente impositore – Conclusione di accordi transattivi in luogo dell’intervento sanzionatorio – Esclusione.
Cost., artt. 23, 117; d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, disposizioni generali in materia di sanzioni ammini- strative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’art. 3, c. 133 della l. 23 dicembre 1996, n. 662,
artt. 5, 6, 7; l. 27 luglio 2000, n. 212, disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente, art. 10, c. 1; l. 24 marzo 2015, n. 34, conversione in legge, con
modificazioni, del d.l. 24 gennaio 2015, n. 4, recante misure urgenti in materia di esenzione Imu. Proroga di termini concernenti l’esercizio della delega in materia di revisione del sistema fiscale, art. 1.
Premesso che l’irrogazione della sanzione pecu- niaria tributaria, in ossequio ai principi di legalità, eguaglianza ed imparzialità, rientra nel novero delle potestà e dei diritti indisponibili, deve ritenersi esclu- sa la facoltà da parte dell’ente locale impositore di concludere accordi transattivi con i soggetti destina- tari delle suddette sanzioni, anche nell’ipotesi in cui la norma disattesa sia stata oggetto di giudizio di le- gittimità costituzionale, in quanto tale circostanza non costituisce ex se elemento sintomatico di incertezza normativa, tale da comportare l’esclusione della san- zione a carico del contribuente inadempiente. (1)
Nel merito – Il parere ha ad oggetto l’esame della valutazione da parte dell’ente locale in ordine alla possibilità di disporre della sanzione tributaria pecu- niaria ovvero del credito originato dalla irrogazione della stessa al fine di concludere accordi transattivi con il destinatario della sanzione.
L’art. 23 Cost. stabilisce che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.
Per la costante giurisprudenza l’art. 23 Cost. disci- plina una riserva di legge relativa; sicché è necessaria l’interposizione del legislatore che perimetri almeno i tratti essenziali della materia, attribuendo alla fonte normativa secondaria il potere di intervento con carat- tere attuativo/esecutivo/organizzativo dei principi de-
(1) Sul punto, v. pure Sez. contr. reg. Lombardia, 9 maggio 2018, n. 140, in questa Rivista, 2018, fasc. 3-4, 89, con nota di
X. Xxxxxxx, ove si ribadisce che in forza del principio di indi- sponibilità dell’obbligazione tributaria, gli enti pubblici che operano quali enti impositori non hanno alcuna discrezionalità né nella determinazione o nella rinuncia al tributo, né nella pos- sibilità di accordare ai singoli contribuenti esenzioni o agevola- zioni non previste dalla legge e i precedenti ivi citati.
finiti dalla fonte di primo grado, risultando inibito alle norme primarie demandare a fonti secondarie la de- terminazione della sanzione (Cass. 18 gennaio 2005, n. 936).
La normativa tributaria ricade nell’alveo applicati- vo dell’art. 23 Cost. in considerazione del fatto che impone in via coattiva una serie di prestazioni di natu- ra patrimoniale.
La Corte costituzionale in diverse occasioni (n. 435/2001, n. 2/1995, n. 26/1982) ha affermato che la normativa tributaria per rispettare la riserva di legge relativa deve individuare i presupposti dell’imposizione, i soggetti passivi, la misura della prestazione e le sanzioni, con la conseguenza che gli enti locali non hanno alcun potere di incidere sui pre- detti elementi a eccezione della misura della presta- zione (l’aliquota); in quest’ultima ipotesi non è violato il principio della riserva relativa qualora il legislatore delimiti la discrezionalità dell’ente impositore in un minimo e in un massimo.
Insieme all’art. 23 Cost., in via del tutto simmetri- ca, l’art. 117 Cost. attribuisce allo Stato la legislazione esclusiva del sistema tributario erariale. L’imposta municipale propria (Imu) è un tributo erariale perché è istituita e disciplinata dallo Stato nonché un tributo derivato in ragione della devoluzione del gettito agli enti locali; quindi ricade nell’ambito di applicazione dell’art. 117, c. 2, lett. e), che, come detto, affida la materia, appunto il sistema tributario dello Stato, alla legislazione esclusiva del legislatore nazionale (Corte cost. n. 17/2018, n. 40/2016, nn. 97 e 121/2013, n. 123/2010).
Pertanto, gli enti locali non hanno alcun potere di- spositivo in materia tributaria, se non nei limiti previ- sti dallo stesso legislatore, e a tal proposito l’art. 12, c. 1, lett. a), l. n. 42/2009 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 Cost.), nell’ambito dei “Principi e criteri direttivi concernenti il coordinamento e l’autonomia di entrata e di spesa degli enti locali”, prevede che “la legge sta- tale individua i tributi propri dei comuni e delle pro- vince, anche in sostituzione o trasformazione di tributi già esistenti e anche attraverso l’attribuzione agli stessi comuni e province di tributi o parti di tributi già erariali; ne definisce presupposti, soggetti passivi e basi imponibili; stabilisce, garantendo una adeguata flessibilità, le aliquote di riferimento valide per tutto il territorio nazionale”; nello stesso senso anche l’art. 52 del d.lgs. n. 446/1997, rubricato “Potestà regola- mentare generale delle province e dei comuni” preve- de che “Le province ed i comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e defini- zione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti. Per quanto non regolamentato si ap- plicano le disposizioni di legge vigenti”.
Inoltre, come si è visto, il concetto di inderogabili- tà della norma tributaria coinvolge anche il regime sanzionatorio tributario.
In questa sede l’esame sarà limitato al d.lgs. 18 di- cembre 1997, n. 472, che disciplina le sanzioni tribu- tarie di carattere amministrativo, e cioè le sanzioni pe- cuniarie e le sanzioni accessorie.
Tra le molteplici funzioni del sistema sanzionato- rio, assumono una spiccata importanza il carattere de- terrente e la natura punitiva che sono collegati alla violazione della normativa impositiva. Inoltre, il prin- cipio di legalità, che tutela il privato da imposizioni patrimoniali al di fuori dei casi previsti dalla legge (Cons. Stato, Sez. VI, 17 gennaio 2008, n. 102), ga- rantisce la corretta applicazione sia del principio di uguaglianza tra i cittadini sia dei principi di buon an- damento e di imparzialità della pubblica amministra- zione (art. 97 Cost.). Infatti, risulterebbe contrario ai parametri costituzionali (al principio di uguaglianza) consentire alle singole amministrazioni locali la scelta in ordine a ciò che è lecito o che è illecito, disponendo della sanzione, senza adeguati e ragionevoli parametri imposti dalla normativa primaria; similmente l’assenza di limiti legislativi all’agere dell’amministrazione finanziaria, determinerebbe un’effettiva frustrazione del parametro dell’imparzialità consentendo contegni differenziati a situazioni simili (Corte cost. 7 aprile 2011, n. 115).
La sanzione pecuniaria tributaria rientra nel novero delle potestà e dei diritti indisponibili perché è espres- sione del potere punitivo dell’amministrazione, che è esercitato esclusivamente secondo i criteri e i limiti imposti dalla legge, con la esclusione della possibilità da parte dell’ente non solo di concludere accordi tran- sattivi con il destinatario della sanzione (Corte conti, Sez. contr. reg. Lombardia, 9 maggio 2018, n. 140; Tar Puglia-Lecce, Sez. I, 24 gennaio 2017, n. 99), ma anche di disporre del credito originato dall’irrogazione della sanzione; specularmente, l’indisponibilità non consente la rinuncia degli introiti derivanti dalle ob- bligazioni tributarie, compresi gli interessi e le con- nesse sanzioni (Corte conti, Sez. contr. reg. Siciliana, 19 agosto 2014, n. 106).
In materia di illecito amministrativo gli ambiti di intervento dell’amministrazione finanziaria sono, per esempio, quelli afferenti alla valutazione della colpe- volezza (art. 5 d.lgs. n. 472/1997), all’esame della pu- nibilità (art. 6 d.lgs. n. 472/1997), alla flessibilità della determinazione del quantum in funzione della gravità della violazione, dell’opera svolta dal soggetto attivo per eliminare o attenuare le conseguenze del compor- tamento illecito ovvero della personalità dell’agente o delle relative condizioni economiche e sociali (art. 7, d.lgs. n. 472/1997).
In più, lo Statuto dei diritti del contribuente (l. n. 212/2000) consente la valutazione in ordine all’esclusione dall’applicazione della sanzione qualora l’opacità della portata applicativa della norma tributa- ria ovvero le contraddittorie indicazioni dell’amministrazione finanziaria abbiano determinato
obiettive situazioni di incertezza tali da frustrare il rapporto tra il contribuente e le pubbliche amministra- zioni fondato sui principi della tutela dell’affidamento e della buona fede.
La Cassazione in diverse occasioni ha affermato: che “in relazione alle sanzioni amministrative per vio- lazioni di norme tributarie, sussiste incertezza norma- tiva oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, ai sen- si dell’art. 10 della l. n. 212/2000 e dell’art. 8 del d.lgs. n. 546/1992, quando è ravvisabile una condi- zione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normati- va” (Cass., ord. 4 dicembre 2019, n. 31614; 16 ottobre
2019, n. 26143; ord. 5 febbraio 2019, n. 3277; ord. 1
febbraio 2019, n. 3108; ord. 22 ottobre 0000, x.
00000, xxx. 10 ottobre 2018, n. 25012; ord. 29 agosto
2018, n. 21307; ord. 13 luglio 2018, n. 18718) e nello stesso senso “In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, il contribuente deve al- legare la ricorrenza degli elementi che giustificano l’esenzione per incertezza normativa oggettiva, ricor- rente nell’ipotesi di incertezza inevitabile sul contenu- to, sull’oggetto e sui destinatari della disposizione tri- butaria, anche all’esito del procedimento di interpre- tazione della stessa da parte del giudice. L’incertezza normativa oggettiva tributaria è caratterizzata dall’impossibilità di individuare con sicurezza ed uni- vocamente, al termine di un procedimento interpreta- tivo metodicamente corretto, la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile, e va distinta dalla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto (il cui accertamento è demandato esclusivamente al giu- dice e non può essere operato dall’amministrazione), come emerge dall’art. 6 d.lgs. n. 472/1997, che distin- gue le due figure, pur ricollegandovi i medesimi effet- ti. L’incertezza normativa oggettiva può essere desun- ta dal giudice mediante la rilevazione di una serie di fatti indice, quali ad esempio: la difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative; la diffi- coltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; la mancanza di una prassi ammini- strativa o l’adozione di prassi amministrative contra- stanti; la mancanza di precedenti giurisprudenziali; la formazione di orientamenti giurisprudenziali contra- stanti, soprattutto se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; il contrasto tra prassi am- ministrativa e orientamento giurisprudenziale; il con- trasto tra opinioni dottrinali; l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente” (Cass. ord. 12 febbraio 2019, n. 4047); ovvero che “in tema di diritti e garan- zie del contribuente, ai sensi dell’art. 10, cc. 1 e 2, l. 27 luglio 2000, n. 212, che sancisce una regola avente portata generale e idonea a disciplinare una serie in-
determinata di casi, costituisce situazione tutelabile quella caratterizzata: a) da un’apparente legittimità e coerenza dell’attività dell’Amministrazione finanzia- ria, in senso favorevole al contribuente; b) dalla buo- na fede del contribuente rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata dall’assenza di qualsiasi viola- zione del dovere di correttezza gravante sul medesi- mo; c) dall’eventuale esistenza di circostanze specifi- che e rilevanti, idonee a indicare la sussistenza dei due presupposti che precedono (Cass. ord. 14 novem- bre 2019, n. 29650; ord. 11 luglio 2019, n. 18618; ord.
9 gennaio 2019, n. 370); nonché che “l’affidamento del contribuente di fronte al mutamento di indirizzo interpretativo dell’amministrazione finanziaria deve essere valutato avendo riguardo all’inderogabilità delle norme tributarie ed all’indisponibilità della re- lativa obbligazione, alla vincolatività della funzione impositiva ed all’irrinunciabilità del diritto da parte del Fisco, sicché l’eventuale violazione del principio di buona fede nello svolgimento dell’attività ammini- xxxxxxxx non obbliga l’amministrazione ad emanare un provvedimento “contra legem” per il solo fatto che, nella fase istruttoria, abbia erroneamente valutato la disciplina applicabile (Cass. 27 marzo 2019, n. 8514).
Pertanto, le condizioni di applicazione dell’art. 10, cc. 1, 2 e 3 (prima parte), l. n. 212/2000 che non in- fluiscono sulla debenza dell’imposta, ma sull’esclusione della sanzione, possono essere così compendiate: comportamento dell’amministrazione finanziaria che ha orientato il contegno del contri- buente, purché questi abbia agito secondo i canoni della buona fede; incertezza normativa oggettiva rica- dente sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari; as- senza del carattere dell’incertezza per il semplice fatto che sia pendente una questione di legittimità costitu- zionale della norma tributaria.
In quest’ultima ipotesi, l’art. 10, c. 3 (seconda par- te), l. n. 212/2000 stabilisce espressamente che “non determina obiettiva condizione di incertezza la pen- denza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria”.
È in questo perimetro che il legislatore ha inteso regolare i rapporti tra contribuente e amministrazione, tutelando l’affidamento incolpevole qualora interpre- tazioni contrastanti della norma tributaria rendano in- certe le modalità di attuazione della stessa, diversa- mente l’assenza di incertezza sui presupposti imposi- tivi, sui soggetti passivi e sulla misura della prestazio- ne non giustifica un comportamento contrario anche qualora la norma tributaria sia oggetto di giudizio di legittimità costituzionale; ciò è da intendere nel senso che la pendenza del giudizio di legittimità costituzio- nale non è elemento ex se sintomatico di incertezza normativa oggettiva che giustificherebbe l’applicazione dell’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente.
Alla luce delle suesposte considerazioni, e nei li- miti di quanto specificato, questa sezione è dell’avviso che l’inderogabilità della normativa tributaria e la vin- colatività della funzione impositiva non consenta agli
enti locali di sottrarsi, qualora sussistano i presupposti, dall’irrogazione dell’eventuale sanzione pecuniaria prevista dalla legge in caso di omesso versamento dei tributi; sarà eventualmente compito del Giudice accer- tare la sussistenza o meno delle condizioni prescritte dall’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente.
5 – Sezione controllo Regione Basilicata; parere 27 febbraio 2020; Pres. e Rel. Oricchio; Comune di Mel- fi.
Enti locali – Spese per lavori di somma urgenza – Preventiva delibera consiliare di autorizzazione – Necessità.
Cost., art. 114; d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, t.u. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, art. 194; d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla l. 30 luglio 2010, n. 122, misure urgenti in mate- ria di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, art. 5; d.l. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito con modificazioni dalla l. 4 aprile 2012, n. 35, dispo- sizioni urgenti in materia di semplificazione e di svi- luppo, art. 35.
L’ente locale che abbia sostenuto spese per lavori di somma urgenza, cagionati dal verificarsi di un evento eccezionale o imprevedibile, per le quali, non sia stato possibile seguire l’ordinario iter del proce- dimento di spesa, è sempre tenuto all’adozione, nei termini stringenti previsti dalla vigente disciplina, di apposita delibera consiliare per il riconoscimento del- la spesa con le modalità dei debiti fuori bilancio, a prescindere dall’insufficienza delle risorse stanziate sull’apposito capitolo, che di norma giustifica l’avvio della procedura di cui all’art. 194 Tuel e nei limiti di spesa dell’accertata necessità di rimozione dello stato di pericolo che coincide con l’utilitas per l’amministrazione. (1)
Diritto – (Omissis) il quesito in esame, avendo per oggetto la corretta interpretazione – in chiave astratta
(1) La pronuncia in commento fornisce alcune precisazioni in merito alle disposizioni recate dalla l. 27 dicembre 2017, n. 145 (legge di stabilità 2018), che ha modificato il testo dell’art. 191 del Tuel in materia di lavori di somma urgenza, estendendo l’obbligo di delibera consiliare autorizzativa della spesa (nei limiti della necessità accertata di rimozione dello stato di pre- giudizio alla pubblica incolumità) a tutte le ipotesi di lavori di somma urgenza sostenuti dai comuni. Obbligo previsto a pre- scindere dall’insufficienza dei fondi stanziati sul relativo capi- tolo di bilancio che normalmente motiva il ricorso al ricono- scimento del debito fuori bilancio. Riconoscimento che in que- sto caso deve essere ricollegato essenzialmente al mancato ri- spetto della tempistica e delle condizioni procedimentali scatu- renti dall’applicazione del combinato disposto degli artt. 163 del d.lgs. n. 50/2016 e 191 del Tuel. In quest’ultimo caso la parte non riconoscibile del debito fuori bilancio (l’utile d’impresa) dovrà essere considerata a carico del funzionario che ha disposto illegittimamente il pagamento dell’opus. [P. COSA]
e generale – dei vincoli normativi e finanziari vigenti in tema di gestione delle spese derivanti dall’effettuazione di lavori di somma urgenza rientra nella materia della contabilità pubblica in quanto im- patta su un importante aggregato di spesa capace di incidere sugli equilibri del bilancio dell’ente pubblico e, di conseguenza, della finanza pubblica “allargata”. (Omissis)
Tanto premesso, e passando all’esame del merito del quesito, va innanzitutto evidenziato come la Se- zione delle autonomie della Corte dei conti, pronun- ciandosi recentemente sulla richiesta di parere presen- tata dell’Associazione nazionale dei comuni italiani – riguardante le modalità di copertura finanziaria dei debiti fuori bilancio e, in particolare, come debba es- sere contabilizzata la relativa spesa in funzione della scadenza dell’obbligazione giuridica, tenuto conto delle nuove regole dettate dall’armonizzazione conta- bile – abbia enunciato i seguenti principi di diritto: “Ai fini di una corretta gestione finanziaria, l’emersione di un debito non previsto nel bilancio di previsione deve essere portata tempestivamente al consiglio dell’ente per l’adozione dei necessari provvedimenti, quali la valutazione della riconoscibilità, ai sensi dell’art. 194, c. 1, Tuel e il reperimento delle necessa- rie coperture secondo quanto previsto dagli artt. 193,
c. 3, e 194, cc. 2 e 3 del medesimo testo unico. Gli im- pegni di spesa per il pagamento dei debiti fuori bilan- cio riconosciuti e già scaduti devono essere imputati all’esercizio nel quale viene deliberato il riconosci- mento. Per esigenze di sostenibilità finanziaria, con l’accordo dei creditori interessati, è possibile rateiz- zare il pagamento dei debiti riconosciuti in tre anni finanziari compreso quello in corso, ai sensi dell’art. 194, c. 2, Xxxx, a condizione che le relative coperture, richieste dall’art. 193, c. 3, siano puntualmente indi- viduate nella delibera di riconoscimento, con conse- guente iscrizione, in ciascuna annualità del bilancio, della relativa quota di competenza secondo gli accor- di del piano di rateizzazione convenuto con i creditori. Nel caso in cui manchi un accordo con i creditori sul- la dilazione di pagamento, la spesa dovrà essere im- pegnata ed imputata tutta nell’esercizio finanziario in cui il debito scaduto è stato riconosciuto, con l’adozione delle conseguenti misure di ripiano” (Cfr. Sez. autonomie, 9 ottobre 2018, n. 21).
Ciò detto, occorre innanzitutto riassumere il qua- dro normativo e giurisprudenziale cui fa riferimento il proposto quesito: l’art. 163 del d.lgs. 18 aprile 2016,
n. 50, recante il codice dei contratti pubblici, discipli- na le procedure per gli interventi di somma urgenza e di protezione civile; il c. 4, riferito alle procedure adottate dagli enti locali, recita: “4. Il responsabile del procedimento o il tecnico dell’amministrazione com- petente compila entro dieci giorni dall’ordine di ese- cuzione dei lavori una perizia giustificativa degli stes- si e la trasmette, unitamente al verbale di somma ur- genza, alla stazione appaltante che provvede alla co- pertura della spesa e alla approvazione dei lavori. Qualora l’amministrazione competente sia un ente lo-
xxxx, la copertura della spesa viene assicurata con le modalità previste dall’art. 191, c. 3, e art. 194, c. 1, lett. e), d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e successive mo- dificazioni e integrazioni”. A sua volta il richiamato art. 191 del d.lgs. n. 267/2000, come modificato dall’art. 1, c. 901, l. n. 145/2018, ai cc. 3 e 4, recita:
“3. Per i lavori pubblici di somma urgenza, cagio- nati dal verificarsi di un evento eccezionale o impre- vedibile, la giunta, entro venti giorni dall’ordinazione fatta a terzi, su proposta del responsabile del proce- dimento, sottopone al consiglio il provvedimento di riconoscimento della spesa con le modalità previste dall’art. 194, c. 1, lett. e), prevedendo la relativa co- pertura finanziaria nei limiti delle accertate necessità per la rimozione dello stato di pregiudizio alla pub- blica incolumità. Il provvedimento di riconoscimento è adottato entro 30 giorni dalla data di deliberazione della proposta da parte della giunta, e comunque en- tro il 31 dicembre dell’anno in corso, se a tale data non sia scaduto il predetto termine. La comunicazione al terzo interessato è data contestualmente all’adozione della deliberazione consiliare.
4. Nel caso in cui vi è stata l’acquisizione di beni e servizi in violazione dell’obbligo indicato nei commi 1, 2 e 3, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte non riconosci- bile ai sensi dell’art. 194, c. 1, lett. e), tra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura. Per le esecuzioni reiterate o continuative detto effetto si estende a colo- ro che hanno reso possibili le singole prestazioni”.
Infine, l’art. 194, c. 1, Tuel dispone: “Con delibe- razione consiliare di cui all’art. 193, c. 2, o con diver- sa periodicità stabilita dai regolamenti di contabilità, gli enti locali riconoscono la legittimità dei debiti fuo- ri bilancio derivanti da: (Omissis) e) acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai cc. 1, 2 e 3 dell’art. 191, nei limiti degli accertati e dimo- strati utilità ed arricchimento per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza”. Si evidenzia come, con l’entrata in vigo- re dell’art. 1, c. 901, legge finanziaria n. 145/2018 sia stato abrogato, all’interno del c. 3 dell’art. 191 del Tuel, il riferimento all’insufficienza delle risorse fi- nanziarie per giustificare l’avvio delle procedure di riconoscimento dei debiti fuori bilancio derivanti dai lavori pubblici di somma urgenza, causati dal verifi- carsi di un evento eccezionale o imprevedibile. Per- tanto, secondo la nuova versione della norma, è sem- pre obbligatorio riconoscere come debito fuori bilan- cio i lavori di somma urgenza, per i quali non risulta possibile rispettare l’iter ordinario del procedimento di spesa e non già solo quando sull’apposito capitolo vi è insufficienza di fondi. La modifica in questione non può non influire sull’interpretazione del c. 3 dell’art. 191 del Tuel: già con le delib. nn. 12 e 22/2013, la Se- zione regionale di controllo per la Liguria esprimen- dosi sull’argomento aveva evidenziato come il riferi- mento alla carenza dei fondi in bilancio costituisse una deroga alla disciplina ordinaria, una sorta di “au-
torizzazione” da parte del legislatore a derogare in presenza di situazioni che richiedono un intervento immediato (somma urgenza) a tutela di interessi pri- mari.
Con la novella del 2018 il regime derogatorio ri- spetto all’ordinaria procedura contabile è stato sostan- zialmente esteso all’intera materia dei lavori di somma urgenza e di protezione civile: la giunta è tenuta a sot- toporre al consiglio dell’ente, entro venti giorni dall’ordinazione fatta a terzi, su proposta del respon- sabile del procedimento, il provvedimento di ricono- scimento della spesa con le modalità previste dall’art. 194, c. 1, lett. e), Tuel, a prescindere dalla circostanza che il capitolo di spesa presenti o meno disponibilità finanziaria. In altre parole, sarà necessario procedere sempre al riconoscimento consiliare delle spese deri- vanti per i lavori di somma urgenza apprestando la re- lativa copertura finanziaria, tuttavia solamente nei li- miti delle necessità accertate per la rimozione dello stato di pregiudizio alla pubblica incolumità.
Il provvedimento di riconoscimento deve essere adottato entro 30 giorni dalla data di deliberazione della proposta da parte dell’organo esecutivo e co- munque entro il 31 dicembre dell’anno in corso se a tale data non sia scaduto il predetto termine. La co- municazione al terzo interessato deve essere data con- testualmente all’adozione della deliberazione consilia- re. Laddove, tuttavia, si verifichi la violazione dei cc. 1, 2 e, per quanto di interesse ai fini del presente pare- re, del c. 3 (ovvero dei termini entro i quali la giunta deve provvedere alla sottoposizione al consiglio del provvedimento di riconoscimento del debito) si appli- ca il successivo c. 4 e il riconoscimento potrà essere adottato, ai sensi dell’art. 194, c. 1, lett. e) “nei limiti degli accertati e dimostrati utilità e arricchimento per l’ente”. La vigente versione dell’art. 191, c. 3, Tuel, pertanto, prevede sempre - in presenza di lavori di somma urgenza - una deroga alla procedura ordinaria applicabile però limitatamente alle fattispecie in cui vi sia stato il rispetto dei termini di cui all’art. 191, c. 3, al di fuori dei quali si è invece in presenza di “acquisi- zione di beni e servizi in violazione dell’obbligo indi- cato nei cc. 1, 2 e 3” e il riconoscimento non può che operare nei limiti dell’art. 2041 c.c., senza possibilità di riconoscere l’utile d’impresa, come da costante giu- risprudenza della Corte dei conti (v., da ultimo, Sez. contr. reg. Puglia, n. 60/2019).
L’art. 191 del Tuel novellato, infatti, privato dell’inciso “qualora i fondi specificamente previsti in bilancio si dimostrino insufficienti”, ha inteso intro- durre una disciplina derogatoria per tutti i lavori di somma urgenza e di protezione civile; tuttavia, l’esigenza di celerità e di preminente tutela della pub- blica incolumità che giustifica l’affidamento diretto e la determinazione consensuale del corrispettivo con l’affidatario prima che venga assunto l’impegno con- xxxxxx, risulta controbilanciata dalla rigida previsione di termini entro i quali la giunta deve sottoporre la proposta di riconoscimento di debito al Consiglio, al fine di ricondurre la spesa nell’alveo del bilancio; il
quantum da riconoscere, inoltre, non può eccedere i termini della accertata necessità per la rimozione dello stato di pericolo, al precipuo fine di evitare che il ri- xxxxx xxxx xxxxxxxxx xx xxxxx xxxxxxx xx trasformi da strumento eccezionale in occasione per provvedere, ad interventi eccedenti la necessità contingente.
Così ricostruito il quadro normativo e giurispru- denziale di riferimento, il collegio nel rispondere ai quesiti proposti dal sindaco del Comune di Melfi ri- tiene che sia sempre necessario adottare una delibera per il riconoscimento dei debiti fuori bilancio originati dall’effettuazione di lavori di somma urgenza per i quali non si sia rigorosamente rispettata la tempistica e tutte le condizioni procedimentali scaturenti dall’applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 163 del d.lgs. n. 50/2016, e 191 del d.lgs. n. 267/2000.
Tanto in considerazione del fatto che, in tal caso, il rinvio alle modalità previste dall’art. 194, lett. e) per il riconoscimento di detti debiti fuori bilancio non rive- ste una valenza esclusivamente procedimentale ma anche sostanziale.
Laddove, invece, l’iter procedurale seguito dall’amministrazione si sia svolto nell’ambito dei ri- stretti termini previsti dalla legge, il riferimento alle “modalità” di cui all’art. 194, lett. e) è da intendersi nel senso che è sempre necessaria l’adozione della de- libera consiliare con la quale riconoscere la spesa so- stenuta per lavori di somma urgenza, purché stretta- mente attinenti alla rimozione dello stato di pericolo e in tal caso l’utilitas per l’amministrazione coincide con la spesa sostenuta come risultante dalla perizia tecnica e dal corrispettivo concordato consensualmente.
Tale modalità procedurale, sia pure derogatoria ri- spetto all’ordinaria gestione contabile, è stata estesa dal legislatore, con la novella del 2018, all’intera ma- teria dei lavori di somma urgenza e di protezione civi- le: pertanto, laddove non solo l’attività gestionale ma l’intero procedimento si sia mantenuta entro l’alveo temporale segnato dalla legge non v’è ragione che giustifichi la decurtazione dell’utile d’impresa.
Laddove, invece, sia intervenuta una qualche vio- lazione della normativa di riferimento tanto sotto il profilo procedurale che temporale, il rimando non può che essere riferibile alla disciplina sostanziale recata dall’art. 194, lett. e) con la conseguenza che, in tal ca- so, il riconoscimento opererà esclusivamente nei limiti dell’utilità ricevuta dall’amministrazione mentre per la parte non riconoscibile (l’utile d’impresa) il rapporto obbligatorio intercorrerà tra il privato fornitore e il funzionario che ha disposto illegittimamente il paga- mento dell’opus (cfr. Sez. contr. reg. Siciliana, n. 121/2019), in disparte i profili di responsabilità emer- genti in tale accadimento.
Tanto nell’ovvia considerazione che la normativa di riferimento è chiaramente speciale e non interpreta- bile estensivamente al di fuori dei casi e dei limiti ivi previsti.
* * *
Liguria
29 – Sezione controllo Regione Liguria; parere 27 marzo 2020; Pres. Viola, Rel. Addesso; Comune di Sanremo.
Contabilità regionale e degli enti locali – Comune – Società interamente partecipata – Compensi per gli amministratori – Ammontare – Limiti – Riferi- mento spesa sostenuta nel 2013 – Assenza di spesa nel 2013 – Parametrazione con l’ultimo anno di corresponsione allo stesso titolo – Necessità.
D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, t.u. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali; d.l. 6 luglio 2012,
n. 95, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 135, disposizioni urgenti per la revisione del- la spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadi- ni, art. 4, c. 4; d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, t.u. in materia di società a partecipazione pubblica, art. 11, cc. 6, 7.
Il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori sia delle società controllate diretta- mente o indirettamente dalle amministrazioni pubbli- che sia di quelle a totale partecipazione pubblica non può superare l’80 per cento del costo complessiva- mente sostenuto nell’anno 2013, nonostante la signifi- cativa evoluzione medio tempore intervenuta nella configurazione delle società rispetto a quell’annualità che resta tuttora il parametro di riferimento. L’unica ipotesi derogatoria al suddetto limite è costituita dall’assenza di spesa nel 2013 per mancanza del co- sto-parametro che deve fungere da limite, nel qual ca- so deve essere preso in considerazione l’onere soste- nuto nell’ultimo esercizio in cui risulti un esborso a tale titolo sostenuto a carico del bilancio dell’ente. (1)
Considerato in diritto – (Omissis) 4. Passando al merito della richiesta, il comune formula una serie di quesiti afferenti alla disciplina dei compensi degli amministratori delle “altre società pubbliche”, diverse
(1) La questione risolta dalla deliberazione in commento dimostra la piena attualità di una tematica affrontata in molte- plici occasioni dalla giurisprudenza della Corte dei conti (ex plurimis, v. Sez. contr. reg. Lombardia, 8 gennaio 2015, n. 1, in questa Rivista, fasc. 2015, 1-2, 129, ove si precisava che nel caso in cui l’ente non avesse affrontato alcun esborso, neppur minimo, nell’annualità presa a riferimento per limitare la speci- fica voce di spesa, ovvero nel 2013, era possibile prendere a parametro l’ultimo esercizio nel quale l’ente avesse sostenuto tale tipologia di spesa, purché l’importo sul quale calcolare il limite da rispettare fosse stato aggiornato tenendo conto dei vincoli introdotti dal d.l. n. 78/2010) ed ha rappresentato l’occasione per la Sezione ligure di stigmatizzare il protrarsi per così lungo tempo del ritardo nell’adozione del decreto mi- nisteriale, che avrebbe dovuto consentire la definizione degli indici qualitativi per la ripartizione in fasce delle società a con- trollo pubblico e la conseguente determinazione dei compensi in base all’effettiva complessità della gestione societaria consi- derata nonché il superamento dell’anacronistico parametro del- la spesa storica sostenuta nel 2013. [P. COSA].
da quelle strumentali contemplate dal c. 4 dell’art. 4 d.l. n. 95/2012.
5. Con il primo quesito il sindaco chiede se il limi- te dell’80 per cento del costo complessivamente so- stenuto nell’anno 2013 previsto dall’art. 0, x. 0, x.x. x. 00/0000 xx applichi alle altre società a totale parteci- pazione pubblica, un tempo contemplate dal c. 5 del medesimo art. 4.
L’articolo appena richiamato costituisce l’antecedente immediato, in materia di compensi degli amministratori di società, del disposto dell’art. 00, x. 0, x.xxx. x. 000/0000 (x.x. in materia di società a parte- cipazione pubblica).
In particolare, l’art. 4, d.l. n. 95/2012, nella versio- ne originaria, era articolato su due commi: il c. 4, rela- tivo alle società controllate direttamente o indiretta- mente dalle amministrazioni pubbliche che avessero conseguito nell’anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore delle amministrazioni pubbliche superiore al 90 per cento dell’intero fatturato, e il c. 5, relativo alle altre società a partecipazione pubblica, diretta o indiretta. A tale duplicità di previsione corri- spondeva, tuttavia, una unicità del trattamento dei compensi degli organi di amministrazione delle due tipologie di società, atteso che il c. 5 rinviava sul pun- to al c. 4, ai sensi del quale “A decorrere dall’1 gen- naio 2015, il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori di società, ivi compresa la remu- nerazione di quelli investiti di particolari cariche, non può superare l’80 per cento del costo complessiva- mente sostenuto nell’anno 2013”.
Alla luce delle coordinate normative sopra richia- mate, pertanto, sia alle società controllate direttamente o indirettamente dalle amministrazioni pubbliche che svolgessero in prevalenza attività a favore dei soggetti pubblici (società strumentali) sia alle altre società a totale partecipazione pubblica sia applicava il limite della spesa storica dell’anno 2013.
Il testo unico delle società a partecipazione pubbli- ca ha in parte modificato il quadro di disciplina, intro- ducendo, all’art. 11, c. 6, un nuovo sistema di deter- minazione dei compensi sulla base della ripartizione in fasce delle società ed intervenendo, con l’art. 28, c. 1, in senso modificativo-abrogativo sui cc. 4 e 5 del
d.l. n. 95/2012. In particolare, sono stati abrogati i pe- riodi primo (contenente il riferimento alle società con- trollate direttamente e indirettamente dalle ammini- strazioni pubbliche con prestazione di servizi a favore delle pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento del fatturato) e terzo (relativo all’obbligo di ri- versare i compensi all’ente di appartenenza in caso di amministratori che siano anche dipendenti dell’ente titolare della partecipazione) del c. 4 nonché il periodo primo (relativo alle altre società a totale partecipazio- ne pubblica) del c. 5 del citato d.l. n. 95/2012.
All’esito dell’intervento modificativo-abrogativo è scomparso il riferimento alla tipologia di società ed è rimasta esclusivamente l’indicazione del limite dei compensi degli amministratori, che non può superare
l’80 per cento del costo complessivamente sostenuto nell’anno 2013.
Tale disposizione viene richiamata, in via mera- mente transitoria, dal c. 7 dell’art. 11 d.lgs. n. 175/2016 il quale, nelle more dell’adozione del decre- to ministeriale di definizione degli indici quali- qualitativi per la ripartizione in fasce delle società a controllo pubblico (attualmente in fase di adozione), sancisce che continuino ad applicarsi le disposizioni di cui al c. 4 dell’art. 4, secondo periodo, d.l. n. 95/2012, ossia il limite della spesa storica dell’anno 2013.
Il sindaco di Sanremo dubita che tale rinvio possa operare per le società pubbliche, diverse da quelle controllate dalle amministrazioni che eroghino in via prevalente prestazione di servizi a favore delle pubbli- ca amministrazione, a cui si riferiva l’originario c. 4, e, segnatamente, ritiene che al perimetro di disciplina rimangano estranee le altre società a totale partecipa- zione pubblica diretta o indiretta (quelle che eroghino servizi pubblici locali e le altre società), atteso che l’art. 28 d.lgs. n. 175/2016 ha eliminato, con l’abrogazione del primo periodo del c. 5 dell’art. 4, ogni riferimento a tali società.
La predetta disciplina, come ricordato, è destinata ad essere sostituita da un più duttile sistema di deter- minazione dei compensi, fondato non più sul costo storico dell’esercizio di riferimento, ma sulla dimen- sione quali-qualitativa della struttura societaria, e, quindi, sulla diversa complessità degli incarichi dell’organo di amministrazione.
Quest’ultima previsione è destinata ad essere ap- plicata a tutte le società a controllo pubblico, tra cui rientrano anche le società a totale partecipazione pub- blica che non abbiano carattere strumentale ai sensi del c. 4 dell’art. 4 del d.l. n. 94/2012 e, quindi, anche se deputate all’erogazione di servizi pubblici locali e di servizi all’utenza.
Il perimetro delle società a controllo pubblico, ri- levante, tra l’altro, proprio ai fini dell’applicazione dell’art. 11 del testo unico, è stato delineato in modo netto dalle Sezioni riunite in sede di controllo che, con delib. n. 11/2019, hanno statuito: «la fattispecie di “società a controllo pubblico” è integrata allorché una o più amministrazioni pubbliche dispongano, in assemblea ordinaria, dei voti previsti dall’art. 2359 c.c.». Tale principio di diritto non subisce deroghe o limitazione in relazione all’oggetto sociale o all’attività erogata.
Poiché l’art. 11 si applica a tutte le società a con- trollo pubblico, ivi comprese quelle a partecipazione pubblica totalitaria cui si riferiva il c. 5 del più volte citato art. 4, deve ritenersi che la disciplina transitoria contemplata nel c. 7 dell’art. 11 del testo unico non possa che afferire anche a tali categorie di società. Il rinvio, infatti, è da intendersi circoscritto unicamente al parametro di determinazione del compenso previsto dalla previgente disciplina, senza che rilevi l’originaria distinzione soggettiva tra il c. 4 e il c. 5 del più volte citato art. 4.
La conseguenza dell’intervento modificativo- abrogativo dell’art. 28 del testo unico non è stata quel- la di determinare un vuoto normativo con riferimento a talune tipologie di società, ma semplicemente quella di unificare, in un’unica previsione, il trattamento dei compensi che, peraltro, già appariva del tutto identico per le società strumentali e per le altre società a parte- cipazione pubblica totalitaria.
L’attuale formulazione della norma non consente, pertanto, di individuare una sottocategoria di società a controllo pubblico per le quali la disciplina transitoria non opererebbe. Né a tale conclusione induce l’interpretazione sistematica, atteso che l’art. 28, coordinandosi con l’art. 11, si è limitato, come già ri- cordato, ad eliminare la distinzione tra le due tipologie di società prima contemplate ai cc. 4 e 5 del d.l. n. 95/2012.
Sul piano giurisprudenziale, infatti, non si è dubita- to dell’assoggettamento alla disciplina in esame delle società che erogano servizi all’utenza e servizi pubbli- ci locali (cfr., ad esempio, Sez. contr. reg. Basilicata,
n. 10/2018/Par, relativa ad una società che gestiva i servizi di sosta a pagamento ed il servizio rifiuti).
In conformità ai principi sopra richiamati, questa Sezione ha osservato come, da un lato, “il nuovo testo unico, mediante l’emanando decreto ministeriale, ten- de ad uniformare la disciplina dei limiti remunerativi posti agli organi di amministrazione e controllo di tut- te le società pubbliche” e, dall’altro lato, “per gli am- ministratori delle società partecipate dagli enti locali (come da altre pubbliche amministrazioni) rimane in vita, in attesa dell’emanazione del decreto ministeria- le previsto dall’art. 11, c. 6, d.lgs. n. 175/2016, il limi- te finanziario costituito dal costo sostenuto per com- pensi all’organo di amministrazione nel 2013 (avente fonte nell’art. 4, c. 4, secondo periodo, del d.l. n. 95/2015, interinalmente mantenuto in vigore dall’art. 11, c. 7, del nuovo testo unico fino all’emanazione del citato decreto ministeriale)” (Sez. contr. reg. Liguria, n. 90/2016/Par).
È stato, altresì, osservato che «Il legislatore, per- tanto, ha stabilito che, a decorrere dall’1 gennaio 2015, in attesa dell’ emanando decreto ministeriale, attraverso il quale si intende uniformare la disciplina dei limiti retributivi degli organi di amministrazione e controllo di tutte le società pubbliche, introducendo vincoli non più ancorati a parametri storici – come, nel caso di specie, il costo sostenuto nel 2013 – ovve- ro agli emolumenti percepiti da altri soggetti – i sin- daci e i presidenti delle province ex art. 1, c. 725 ss.,
l. n. 296/2006 (disposizioni abrogate dall’art. 28, c. 1, lett. e), d.lgs. n. 175/2016) – ma ad indicatori dimen- sionali qualitativi e quantitativi, riferiti alla medesima società (fatturato, numero dipendenti ecc.), il costo annuale sostenuto per i compensi (“ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari cari- che”) degli amministratori sia delle società controlla- te direttamente o indirettamente dalle amministrazioni pubbliche sia di quelle a totale partecipazione pubbli- ca, non può superare l’80 per cento del costo com-
plessivamente sostenuto nell’anno 2013» (Sez. contr. reg. Basilicata, n. 10/2018, cit.).
Alla luce delle coordinate legislative e giurispru- denziali sopra richiamate deve rispondersi al primo quesito formulato dal Comune di Sanremo nel senso che il limite dell’80 per cento del costo complessiva- mente sostenuto nell’anno 2013, previsto dall’art. 4, c. 4, d.l. n. 95/2012 e richiamato dal c. 7 dell’art. 11 d.lgs. n. 175/2016, si applica anche alle altre società a totale partecipazione pubblica (società di gestione di Spl e altre fattispecie) che erano previste dal c. 5 dell’art. 4, d.l. n. 95/2012.
6. Con il secondo quesito il comune chiede se sia possibile rideterminare in aumento il compenso attri- buibile ai componenti degli organi amministrativi del- le società pubbliche nei casi di una significativa evo- luzione rispetto alla configurazione della società carat- terizzante l’esercizio 2013 e di un’evidente incon- gruenza degli emolumenti attribuibili in funzione della puntuale applicazione dei citati limiti.
La questione è stata affrontata più volte dalla giuri- sprudenza di questa Corte, la quale ha sottolineato come il limite di spesa, in assenza di una espressa pre- visione di legge, non possa essere superato in conside- razione dei nuovi e maggiori incarichi posti in capo all’amministratore di società e della complessità delle funzioni svolte. In particolare, si è osservato che “il limite al compenso degli amministratori stabilito dall’art. 4, cc. 4 e 5, d.l. n. 95/2012, in quanto preor- dinato a garantire il coordinamento di finanza pubbli- ca nel senso sopra precisato, non possa ammettere eccezioni che non siano stabilite da specifiche dispo- sizioni di legge che nel vigente quadro normativo non è dato ravvisare con riferimento alle aumentate com- petenze della società partecipata dall’ente pubblico” (Sez. contr. reg. Lombardia, n. 88/2015/Par).
Le sezioni regionali hanno, pertanto, ribadito che il carattere tassativo del limite è tale da non consentire il superamento dello stesso in presenza di situazioni nuove e contingenti come le aumentate competenze della società (Sez. contr. reg. Basilicata, n. 10/2018, Sez. contr. reg. Xxxxxx-Romagna, n. 119/2015) o la necessità di dare attuazione alle previsioni dei piani di razionalizzazione delle partecipazioni societarie me- diante operazioni di alienazione, aggregazione, ecc. (cfr. Sez. contr. reg. Xxxxxx-Romagna, n. 95/2016/Par, ove si osserva che “Il taglio previsto dall’art. 4, cc. 4 e 5, d.l. 6 luglio 2012, n. 95, che come evidenziato dev’essere considerato tassativo, si pone tuttavia su un piano diverso dalla prevista opera di complessiva razionalizzazione delle partecipazioni societarie in mano pubblica. Ne consegue che un’opera di raziona- lizzazione delle partecipazioni posta in essere da un ente pubblico, per quanto efficace, non esclude co- munque l’obbligo di ottemperare alla disposizione di cui al più volte richiamato art. 4”).
In conclusione, “L’indisponibilità degli interessi costituzionalmente protetti, sottesi all’art. 4, c. 4, d.l.
n. 95/2012, rendono, dunque, il diritto al compenso dell’organo amministrativo di società partecipate ge-
neticamente limitato e fanno della disposizione sopra menzionata precetto inderogabile pur nelle evenienze e nelle singolarità della fattispecie concreta” (Sez. contr. reg. Basilicata, n. 10/2018, cit.).
La giurisprudenza contabile ha individuato un’unica ipotesi derogatoria al limite dell’art. 4, c. 4,
d.l. n. 95/2012 esclusivamente in caso di assenza di spesa per l’annualità di riferimento, per mancanza del costo-parametro che dovrebbe fungere da limite.
In particolare, in assenza di oneri nell’esercizio 2013, in conseguenza della rinuncia al corrispettivo dell’amministratore all’epoca in carica, si è ritenuto necessario “considerare, a ritroso, l’onere sostenuto nell’ultimo esercizio nel quale risulti presente un esborso a tale titolo con l’indefettibile vincolo della ‘stretta necessarietà’ enucleato dalla sopra citata de- lib. n. 1/2017, resa in sede nomofilattica dalla Sezione delle autonomie. Tale computo, […], deve essere con- temperato, inoltre, con la massima quantificazione normativa attualmente disponibile di tale spesa impo- sta dall’art. 11, c. 7, Tusp (euro 240.000) che, de iure condendo, dovrà limitare l’esercizio del potere rego- lamentare ministeriale. […] Rimane sullo sfondo, seppure non di minore rilevanza, il criterio fondamen- tale di utilità e ragionevolezza che deve guidare ogni spesa pubblica dal quale non può esimersi la determi- nazione del compenso degli amministratori di una so- cietà in mano pubblica” (Sez. contr. reg. Veneto, n. 31/2018/Par).
Alla luce del quadro giurisprudenziale e normativo deve rispondersi al secondo quesito nel senso che il limite previsto dall’art. 4, c. 4, d.l. n. 95/2012 ha carat- tere tassativo e, in difetto di espressa previsione di legge, non può essere derogato in conseguenza di un’evoluzione rispetto alla configurazione originaria della società e ad un’evidente incongruenza degli emolumenti attribuibili in funzione della citata appli- cazione di siffatti limiti.
Sotto quest’ultimo profilo, si osserva che, non es- sendo il rapporto tra amministratore e società ricondu- cibile né ad un contratto d’opera né ad un contratto di lavoro subordinato o parasubordinato, ma ad un rap- porto di tipo societario, non trova applicazione l’art. 36 Cost., con conseguente disponibilità e rinunciabili- tà del compenso e piena legittimità di ogni previsione statutaria restrittiva finanche, al limite, della eventuale gratuità dell’incarico. (Cfr. Sez. contr. reg. Basilicata,
n. 10/2018, cit.; sulla natura del rapporto che lega l’amministratore e la società x. Xxxx., S.U., n. 1545/2017).
Solo in caso di assenza del costo-parametro dell’esercizio di riferimento è possibile considerare, a ritroso, l’onere sostenuto nell’ultimo esercizio nel quale risulti presente un esborso a tale titolo, nel ri- spetto della stretta necessarietà e del limite massimo di cui all’art. 11, c. 7, Tusp (euro 240.000).
La sezione, tuttavia, non può non stigmatizzare il lungo protrarsi del ritardo nell’adozione del decreto ministeriale che, ancorando la determinazione dei compensi all’effettiva complessità della gestione so-
cietaria, favorirebbe anche la selezione delle migliori professionalità, superando l’ormai anacronistico rife- rimento alla spesa storica del 2013.
7. Con il terzo quesito il comune chiede se, in caso di ammissibilità della rideterminazione del compenso, sia possibile in via di autotutela rideterminare i com- pensi attribuiti ai componenti degli organi di ammini- strativi con decorrenza dalla data dell’assemblea dei soci in cui i compensi originari sono stati determinati.
La risposta negativa al quesito precedente determi- na il difetto di rilevanza di quello sopra riportato.
* * *
Lombardia I
22 – Sezione controllo Regione Lombardia; parere 21 febbraio 2020; Pres. Riolo, Rel. Gallo; Comune di Lodi.
Enti locali – Servizi sociali – Azienda pubblica di servizi alla persona ex Ipab – Natura giuridica – Applicabilità delle norme dettate per gli enti con- trollati dalle pubbliche amministrazioni – Consoli- damento del bilancio – Presupposti.
L. 17 luglio 1890, n. 6972, norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, art. 1; d.lgs. 4 maggio 2001, n. 207, riordino del sistema delle istitu- zioni pubbliche di assistenza e beneficenza, a norma dell’art. 10 l. 8 novembre 2000, n. 328, artt. 1, 4, 5; l. 31 dicembre 2009, n. 196, legge di contabilità e finan- za pubblica, art. 1, c. 2; d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118, disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli artt. 1 e 2 l. 5 maggio 2009, n. 42, artt. 11-bis e 11-ter; d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117, codice del terzo settore, a norma dell’art. 1, c. 2, lett. b), l. 6 giugno 2016, n. 106, art. 4,
c. 2; d.l. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito con modificazioni dalla l. 11 febbraio 2019, n. 12, disposi- zioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione, art. 11-sexies.
Ai fini dell’applicabilità delle norme dettate per gli enti controllati dalle pubbliche amministrazioni (nel caso di specie, quelle che prevedono l’obbligo di pre- sentazione di un bilancio consolidato) a un’azienda pubblica di servizi alla persona, costituita sotto forma di fondazione e in precedenza qualificabile come Ipab, è necessario valutarne complessivamente la na- tura giuridica, tenendo conto, tra l’altro, della speci- fica normativa vigente in materia. (1)
(1-2) Natura giuridica degli ex Ipab ed estensione delle norme dettate per gli enti controllati dalle pubbliche ammi- nistrazioni
Le interessantissime pronunce “gemelle” della Sezione re- gionale di controllo per la Lombardia (pressoché coeve e rese alla medesima amministrazione istante) si inseriscono nell’ormai ultrasecolare tematica della natura giuridica degli enti, costituiti in forma privatistica (nel caso di specie, di fon- dazione) e in precedenza qualificabili come istituti pubblici di assistenza e beneficenza (Ipab) ai sensi dell’art. 1 della l. 17 luglio 1890, n. 6972, nella presente fattispecie ai fini della normativa di contabilità e finanza pubblica.
La categoria di tali enti (gli Ipab) è stata, nel corso dei de- cenni, soggetta a una disciplina specifica che ha loro conferito carattere sostanzialmente ibrido. Da un lato, infatti, essi presen- tano carattere privato con riguardo alla loro istituzione, sostan- zialmente rimessa alla libera volontà dei costituenti. Dall’altro, invece, in ragione dell’indirizzamento della loro attività, gli stessi sono stati, a partire dalla citata l. n. 6972/1890, soggetti a una regolamentazione prevalentemente pubblicistica.
Sul tema va rammentata la sentenza Corte cost. 7 aprile 1988, n. 396 (in Foro it., 1989, I, 45). Con tale pronuncia, la Consulta dichiarò illegittimo proprio l’art. 1 della l. n. 6972/1890, per contrasto con l’art. 38, c. 5, Cost., nella parte in cui non consentiva che detti enti, a livello regionale o infrare- gionale (siccome sottratti al processo di riclassificazione previ- sto dall’art. 113 del d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616) potessero con- tinuare a operare con la personalità giuridica di diritto privato, anche se istituiti in epoca precedente all’entrata in vigore della Costituzione.
Con il d.lgs. 4 maggio 2001, n. 207, il processo di riorga- nizzazione di tali enti si è concluso, con la loro trasformazione in persone giuridiche private (art. 4) o in aziende pubbliche di servizi alla persona (art. 5).
Il problema della qualificazione giuridica degli ex Ipab, già di per sé complesso, è reso ancora più difficile dalla crescente ibridazione delle nozioni di ente pubblico e privato, per effetto del recepimento, ad opera dell’art. 1 della l. 31 dicembre 2009,
n. 196, di criteri prevalentemente statistici e sostanziali per l’individuazione della categoria delle pubbliche amministrazio- ni.
Tali criteri determinano una potenziale interferenza della nozione di ente pubblico anche con organismi costituiti nella forma giuridica della fondazione.
Per l’espressa esclusione dal controllo sugli enti “sovven- zionati” di cui alla l. 21 marzo 1958, n. 259, degli Ipab, v. l’art. 13 della stessa legge. Sull’argomento X. Xxxxxxxx, Le funzioni di controllo della Corte dei conti, in X. Xxxxxx (a cura di), La nuova Corte dei conti: responsabilità, pensioni, controlli, Xx- xxxx, Xxxxxxx, 2018, 1485.
Sull’impossibilità di applicare a una fondazione, ai fini del- la sussistenza della giurisdizione contabile, la categoria giuridi- ca dell’ente in house, in quanto l’affidamento diretto troverebbe il proprio ambito naturale di applicazione nell’ambito delle at- tività lucrative, e non di quelle contraddistinte da una finalità ideale come le fondazioni, Cass., S.U., 2 febbraio 2018, n. 2584.
Sull’illegittimità dell’inclusione nell’elenco Istat per il 2020 di una fondazione lirico-sinfonica (nel caso di specie, la Fondazione “Teatro alla Scala di Milano”), in difetto di un con- trollo pubblicistico ai sensi della disciplina di contabilità e fi- nanza pubblica e sovranazionale, v. Xxxxx xxxxx, Xxx. riun., (spec. comp.), 21 gennaio 2020, n. 1, in questa Rivista, 2020,
fasc. 1, 201.
Le deliberazioni in commento hanno, in linea di principio, escluso l’applicazione sic et simpliciter agli Ipab, in ragione della qualificazione giuridica del rapporto intercorrente con l’amministrazione di riferimento, della previsione di cui all’art. 11-bis, d.lgs. n. 138/2011 (relativa al consolidamento del bilan-
II
23 – Sezione controllo Regione Lombardia; parere 4 marzo 2020; Pres. Riolo, Rel. Degni; Comune di Lodi.
Enti locali – Servizi sociali – Azienda pubblica di servizi alla persona ex Ipab – Natura giuridica – Applicabilità delle norme dettate per gli enti con- trollati dalle pubbliche amministrazioni – Divieto di conferimento di incarichi retribuiti a pensionati
– Presupposti.
D.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 135, disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini (nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), art. 5,
c. 9; l. 7 agosto 2015, n. 124, deleghe al governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche; d.l. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito con modificazioni dalla l. 11 febbraio 2019, n. 12, di- sposizioni urgenti in materia di sostegno e semplifica- zione per le imprese e per la pubblica amministrazio- ne, art. 11-sexies.
Ai fini dell’applicabilità delle norme dettate per gli enti controllati dalle pubbliche amministrazioni (nel caso di specie, quelle che, per finalità di contenimento della spesa, limitano il conferimento di incarichi re- tribuiti a soggetti in quiescenza) a un’azienda pubbli- ca di servizi alla persona, costituita sotto forma di fondazione e in precedenza qualificabile come Ipab, è necessario valutarne complessivamente la natura giu- ridica, tenendo conto, tra l’altro, della specifica nor- mativa vigente in materia. (2)
cio per gli enti “strumentali” controllati o partecipati), e di quella dell’art. 5, c. 9, d.l. n. 95/2012 (dettata, invece, in rela- zione agli incarichi, retribuiti, conferiti dalle pubbliche ammi- nistrazioni negli enti controllati).
Lette in positivo, le pronunce forniscono utili criteri erme- neutici per chiarire i presupposti applicativi delle norme in que- stione che, per gli Ipab, richiederanno la sussistenza di ulteriori elementi idonei a farli rientrare nel plesso pubblicistico.
Quanto alla definizione del perimetro del gruppo dell’amministrazione pubblica, con specifico riguardo al conso- lidamento del bilancio di una società a partecipazione pubblica totalitaria di enti locali, affidataria diretta di un servizio pubbli- co, a prescindere dalla quota di partecipazione detenuta dal sin- golo ente partecipante, v. Corte conti, Sez. contr. reg. Piemon- te, 2 febbraio 2018, n. 19, ivi, 2018, fasc. 1-2, 204, con nota di richiami.
In relazione all’ambito applicativo della specifica norma di contenimento della spesa (divieto di conferimento di incarichi a soggetti in quiescenza) v. anche Corte conti, Sez. contr. reg. Lombardia, 31 gennaio 2019, n. 28, ivi, 2019, fasc. 1, 142, con nota redazionale, nonché Sez. contr. reg. Lombardia, 24 ottobre 2019, n. 405. [A. LUBERTI]
I
Sez. contr. reg. Lombardia, 21 febbraio 2020, n. 22
Premesso in fatto – Il sindaco del Comune di Lodi (LO) rappresenta in premessa che una Istituzione di pubblica assistenza e beneficienza (Ipab) fu a suo tempo costituita dal comune, e successivamente tra- sformata in Azienda di servizi alla persona (Asp), con il riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato, ai sensi della normativa nazionale e regionale. Lo statuto della Asp affida al Comune di Lodi la no- mina del consiglio di amministrazione e del suo presi- dente con clausole di salvaguardia della minoranza consiliare. Ai sensi dell’art. 8, il consiglio di ammini- strazione è investito di tutti i poteri per la gestione or- dinaria e straordinaria della fondazione, ancorché que- sta Asp non goda di finanziamenti pubblici, né im- ponga l’obbligo di ripianare eventuali perdite da parte del comune. Il quesito specifico è sull’interpretazione dell’art. 11-sexies della l. n. 12/2019 di conversione del d.l. n. 135/2018 come “condizione sufficiente ad escludere la natura pubblica della Fondazione, e in particolare se conseguentemente tale Fondazione va- da esclusa dal perimetro di consolidamento delle par- tecipazioni detenute dall’ente locale”. (Omissis)
Merito – L’art. 11-sexies del d.l. 14 dicembre 2018, n. 135, coordinato con la legge di conversione 11 febbraio 2019, n. 12, recante: “Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le impre- se e per la pubblica amministrazione” ha riservato un’attenzione particolare alle “associazioni e fonda- zioni di diritto privato ex Ipab derivanti dai processi di trasformazione delle istituzioni pubbliche di assi- stenza o beneficenza, ai sensi del d.p.c.m. 16 febbraio 1990, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 45 del 23
febbraio 1990, e del d.lgs. 4 maggio 2001, n. 207”. Esso infatti modifica due articoli, il primo in materia di impresa sociale è l’art. 4 del d.lgs. 3 luglio 2017, n. 112 (Revisione della disciplina in materia di impresa sociale, a norma dell’art. 1, c. 2, lett. c, l. 6 giugno 2016, n. 106) che, in riferimento alla struttura proprie- taria e disciplina dei gruppi prevede che ad “esercitare attività di direzione e coordinamento” sia “il soggetto che, per previsioni statutarie o per qualsiasi altra ra- gione, abbia la facoltà di nominare la maggioranza dei componenti dell’organo di amministrazione dell’impresa sociale”, giustificando nel modificato c. 3 l’esclusione del principio per le associazioni e le fondazioni di cui in premessa, in quanto “la nomina da parte della pubblica amministrazione degli ammi- nistratori di tali enti si configura come mera designa- zione, intesa come espressione della rappresentanza della cittadinanza, e non si configura quindi mandato fiduciario con rappresentanza, sicché è sempre esclu- sa qualsiasi forma di controllo da parte di quest’ultima”.
Il secondo articolo modificato è l’art. 4 del codice del Terzo settore (d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117) che dapprima elenca al c. 1 quali siano gli enti che fanno parte del Terzo settore, poi al c. 2 elenca quelli che
non ne fanno parte, ripetendo la previsione che siano “escluse dall’ambito di applicazione del presente comma le associazioni o fondazioni di diritto privato ex Ipab […], in quanto la nomina da parte della pub- blica amministrazione degli amministratori di tali enti si configura come mera designazione, intesa come espressione della rappresentanza della cittadinanza, e non si configura quindi mandato fiduciario con rap- presentanza, sicché è sempre esclusa qualsiasi forma di controllo da parte di quest’ultima”.
Il dubbio sollevato dal Comune di Lodi va, però, ricondotto nell’ambito dell’interpretazione delle rego- le di inclusione nell’elenco del Gruppo di amministra- zione pubblica (Gap) e in quello degli enti del gruppo compresi nel bilancio consolidato come previsto dall’allegato 4.4 al d.lgs. n. 118/2011. In merito questa sezione si è già pronunciata nella delib. n. 64/2017 che esaminava una fattispecie affatto similare a quella qui proposta (anch’essa una fondazione relativa alla mis- sione di bilancio “Tutela della salute”) con una rico- struzione dettagliata sul tema del bilancio consolidato, sottolineando come le entità del gruppo compresi nel primo elenco possano non essere inseriti nel secondo elenco nei casi di “irrilevanza” (come da definizione del Principio contabile) e di “impossibilità di reperire le informazioni necessarie al consolidamento in tempi ragionevoli e senza spese sproporzionate”. L’art. 11- ter del d.lgs. n. 118/2011 prevede, infatti, una serie di condizioni che riconducono alla nozione di ente stru- mentale controllato tra le quali, ma non solo, “il pote- re assegnato da legge, statuto o convenzione di nomi- nare o rimuovere la maggioranza dei componenti de- gli organi decisionali, competenti a definire le scelte strategiche e le politiche di settore, nonché a decidere in ordine all’indirizzo, alla pianificazione ed alla pro- grammazione dell’attività di un ente o di un’azienda” e “l’obbligo di ripianare i disavanzi, nei casi consenti- ti dalla legge, per percentuali superiori alla propria quota di partecipazione”.
La sezione pertanto ritiene che le modifiche intro- dotte dall’art. 11-sexies del d.l. 14 dicembre 2018, n. 135, coordinato con la legge di conversione 11 feb- braio 2019, n. 12 abbiano una portata limitata espres- samente ad escludere che il potere di nomina degli amministratori si traduca in una qualunque forma di controllo, anche alla luce dell’ambito di loro immedia- ta applicazione (governance delle imprese sociali e identificazione degli enti del Terzo settore). È riman- dato all’ente il compito di valutare complessivamente la sussistenza di altre condizioni previste dall’art. 11- ter del d.lgs. n. 118/2011, anche in funzione della na- tura specifica delle attività svolte dalla fondazione.
II
Sez. contr. Reg. Lombardia, 4 marzo 2020, n. 23
Premesso in fatto – Il sindaco del Comune di Lodi ha richiesto alla sezione “se il divieto posto dall’art. 5
c. 9, d.l. n. 95/2012, come modificato dall’art. 17, c. 3,
l. n. 124/2015, in materia di conferimento di incarichi e di cariche di Organi di governo a soggetti già lavora- tori privati o pubblici collocati in quiescenza sia ap- plicabile alla Fondazione “Ipab Casa di riposo Santa Chiara”. Nella richiesta di parere si specifica che l’entità in esame (che nel corso del tempo è stata og- getto di numerose trasformazioni, in attuazione della legislazione nazionale e regionale) risulta strettamente controllato dal comune (lo statuto assegna al sindaco la nomina con decreto i 6 membri del consiglio e del presidente). La richiamata richiesta è altresì esplicita- mente posta in correlazione con un recente pronun- ciamento della sezione (delib. n. 405/2019) dove, con una puntuale ricostruzione normativa, si estende in via interpretativa il divieto previsto dalla norma anche alle entità controllate dagli enti pubblici (nel caso di specie dal comune). (Omissis)
2. Merito – La risposta nel merito al quesito, riba- dendo le puntuali argomentazioni svolte nella richia- mata delib. n. 405/2019 della sezione, cui si rinvia, è connessa alla sussistenza del controllo dell’entità in esame da parte dell’ente. Dalla richiesta di parere non si evincono elementi sufficienti per consentire alla se- zione di stabilire la sussistenza o meno di questo re- quisito che, indipendentemente dalla non presenza nell’elenco Istat dell’entità in esame o dall’assenza di finanziamenti pubblici o garanzie a suo favore, impe- direbbe il “conferimento di incarichi e di cariche di organi di governo” a soggetti in quiescenza.
3. È vero, infatti, che il comune nomina con decre- to sindacale i “6 membri” del consiglio (“investito di tutti i poteri per la gestione ordinaria e straordinaria”), nonché del presidente il cui “voto vale doppio in caso di parità” e che il sindaco nella nomina dei componen- ti del consiglio “garantisce la rappresentatività delle minoranze consiliari attraverso l’espressione di due membri”, tuttavia, occorre considerare che la rilevanza di questi elementi, ai fini dell’affermazione della sus- sistenza del controllo, è espressamente esclusa dal le- gislatore che, all’art. 11-sexies del d.l. n. 135/2018, convertito con modificazioni dalla l. n. 12/2019 di- spone per le ex Ipab che la “la nomina da parte della pubblica amministrazione degli amministratori di tali enti si configura come mera designazione, intesa come espressione della rappresentanza della cittadinanza, e non si configura quindi mandato fiduciario con rap- presentanza, sicché è sempre esclusa qualsiasi norma di controllo da parte di quest’ultima”.
4. Va opportunamente soggiunto che la natura dell’entità in oggetto, la Casa di riposo Santa Chiara, si configura come un servizio sociale tipico del comu- ne, cui questo sarebbe tenuto in ogni caso a fare fron- te, con potenziali ricadute sul bilancio dell’ente. Peral- tro, il regolamento Ue n. 549/2013, del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo al sistema europeo dei conti nazionali e regionali nell’Unione europea (GUCE del 26 giugno 2013 IT L174/1), al par. 2.38., lett. d, definisce il controllo di una amministrazione pubblica (il comune, nella fattispecie) come “controllo
da parte dell’amministrazione pubblica dei comitati chiave dell’organismo” (il consiglio della Fondazione, “investito di tutti i poteri per la gestione ordinaria e straordinaria”, nella fattispecie).
5. In siffatto contesto, la sezione, nel richiamare l’orientamento già espresso nella delib. n. 405/2019 circa l’ambito di applicazione soggettivo dell’art. 5, c. 9, d.l. n. 95/2012, ritiene sia compito dell’ente valuta- re complessivamente la sussistenza delle condizioni per qualificare, nel caso concreto, una fondazione di diritto privato ex Ipab quale soggetto in controllo pubblico ai fini dell’operatività della suddetta norma, tenendo conto, tra l’altro, della specifica normativa vigente in materia (art. 11-sexies, d.l. n. 135/2018).
24 – Sezione controllo Regione Lombardia; parere 4 marzo 2020; Pres. Riolo, Rel. Burti; Comune di Cas- sano d’Adda.
Contabilità regionale e degli enti locali – Proventi derivanti da alienazioni immobiliari – Beni patri- moniali indisponibili – Vincolo di destinazione – Non sussiste.
C.c., art. 828; d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, t.u. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, artt. 162, c. 6,
Oggetto della richiesta – Con la nota sopra citata il sindaco del Comune di Cassano d’Adda premette che l’ente “è proprietario di una significativa porzione della rete e degli impianti di distribuzione del gas na- turale, attualmente oggetto di concessione a favore della società Unareti s.p.a. in forza di convenzione sottoscritta nel 1999, con scadenza naturale nel 2029. Nelle more dell’aggiudicazione della gara d’ambito per l’affidamento del servizio (avviata il 31 dicembre 2019 dalla Stazione unica appaltante con la pubblica- zione della manifestazione d’interesse), il comune sta valutando la possibilità e l’opportunità di alienare la rete di proprietà, tenendo conto delle considerazioni giuridiche e delle indicazioni di questa spettabile se- zione, rese nei pareri n. 295/2013 e n. 227/2016. Per la suddetta finalità, l’ente ha proceduto a modificare il regolamento in materia di alienazioni patrimoniali, inserendo la specifica casistica del bene in questione (patrimonio indisponibile asservito ad uso permanen- te di servizio pubblico); parallelamente, il bene è stato inserito nel Piano triennale delle alienazioni e valo- rizzazioni patrimoniali di cui all’art. 55 del d.l. n. 112/2008. In ragione della qualificazione giuridica del bene da alienare come patrimonio ‘indisponibile’, formula i seguenti quesiti: 1. se trovi applicazione, in via analogica, la disposizione dell’art. 1, c. 443, l. 24
199, c. 1-bis; d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito
con modificazioni dalla l. 6 agosto 2008, n. 133, di- sposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la sem- plificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, art. 58; l. 24 dicembre 2012, n. 228, disposizioni per la forma- zione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2013), art. 1, c. 443; d.l. 21 giugno
2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia, art. 56-bis, c. 11.
In considerazione del loro carattere eccezionale, le norme che impongono un vincolo di destinazione ai proventi da alienazione del patrimonio disponibile non trovano applicazione nei confronti dei beni pa- trimoniali indisponibili. (1)
(1) Alienazione di beni patrimoniali indisponibili e vin- colo di destinazione sui relativi proventi
Non constano precedenti nel senso della deliberazione, che precisa l’inapplicabilità dei vincoli di destinazione specifica- mente previsti per proventi derivanti dall’alienazione dei beni patrimoniali disponibili anche nei confronti dei beni patrimo- niali indisponibili (nel caso di specie, la rete di distribuzione del gas naturale), in mancanza di un testuale dato normativo.
La richiesta del comune istante verteva, in particolare, sulla necessità di rispettare le prescrizioni poste per gli enti locali dall’art. 1, c. 443, l. n. 228/2012 (che vincola l’utilizzazione dei proventi derivanti da alienazioni di beni patrimoniali disponibi- li esclusivamente alla copertura di spese di investimento ovve- ro, in assenza di queste o per la parte eccedente, alla riduzione del debito) ovvero dall’art. 00-xxx, x. 00, x.x. x. 00/0000 (xxx vincola, in via prioritaria, l’utilizzazione di tali proventi, nella misura del dieci per cento, al finanziamento delle spese per l’estinzione di mutui).
Sul punto, va ricordato che l’art. 199, c. 1-bis, d.lgs. n. 267/2000, impone comunque che le entrate derivanti, tra l’altro, dall’alienazione di beni e diritti patrimoniali, possano essere destinate esclusivamente al finanziamento di spese di investi- mento e non possano essere impiegate per la spesa corrente.
In materia di entrate assoggettate a vincolo di destinazione
v. Corte conti, Sez. autonomie, 19 novembre 2015, n. 31, che ha precisato come sia necessario distinguere, ai fini della disci- plina applicabile, tra entrate vincolate a destinazione specifica (art. 180, c. 3, lett. d, d.lgs. n. 267/2000); entrate vincolate (art. 187, c. 3- ter, lett. d, d.lgs. n. 267/2000); ed entrate con vincolo di destinazione generica, non relativa a una determinata opera- zione specificamente individuata.
Per l’affermazione secondo cui la natura vincolata di un’entrata deve trovare riconoscimento nella legge, in quanto il vincolo di destinazione costituisce un’eccezione al principio di unità del bilancio, in base al quale il complesso delle entrate deve finanziare la totalità delle spese, x. Xxxxx xxxxx, Xxx. xxxx- xxxxx, 0 febbraio 2017, n. 3, in questa Rivista, 2017, fasc. 1-2, 143, con nota di A.M. Quaglini.
Con riferimento alla legittimità dell’operazione adombrata dal comune istante (attribuzione della titolarità di beni del pa- trimonio indisponibile destinati alla distribuzione del gas a un soggetto privato, sia pure con permanenza della finalizzazione al pubblico servizio) v. Corte conti, Sez. contr. reg. Lombardia, 3 luglio 2013, n. 295, cit., in X. Xxxxx, Il servizio pubblico di distribuzione del gas naturale, Bologna, Maggioli, 2015, 109.
Sempre in materia di alienazione di beni patrimoniali, per l’irretroattività della disposizione normativa di cui all’art. 1, c. 866, l. 27 dicembre 2017, n. 205, che consente agli enti locali di destinare i proventi derivanti dalle alienazioni patrimoniali (senza distinzione tra beni patrimoniali indisponibili e disponi- bili) per finanziare le quote capitali dei mutui o dei prestiti ob- bligazionari in ammortamento nell’anno o in anticipo rispetto all’originario piano di ammortamento, v. Sez. contr. reg. Pie- monte, 19 marzo 2019, n. 23, in questa Rivista, 2019, fasc. 2,
179. [A. LUBERTI]
dicembre 2012, n. 228, in applicazione del secondo periodo del c. 6 dell’art. 162 Tuel, in materia di vin- coli di destinazione dei proventi da alienazione del patrimonio ‘disponibile’; 2. se trovi applicazione, in via analogica, la disposizione dell’art. 56-bis, c. 11,
d.l. 21 giugno 2013, n. 69, recante l’obbligo di desti- nazione vincolata del 10 per cento dei proventi da alienazione del patrimonio disponibile all’estinzione anticipata del debito e se tale destinazione possa rite- nersi ‘assorbita’ da identica destinazione effettuata ai sensi della l. n. 228/2012, in caso di destinazione su- periore al 10 per cento”. (Omissis)
Merito – Giova preliminarmente richiamare il qua- dro normativo che disciplina la materia oggetto dei quesiti.
Come è noto l’art. 58 del d.l. n. 112/2008 converti- to con modificazioni dalla l. n. 133/2008 ha disposto, fra l’altro, per i comuni l’obbligo di procedere con de- liberazione dell’organo di governo alla redazione di un elenco di beni appartenenti al patrimonio immobi- liare non strumentali all’esercizio delle proprie fun- zioni istituzionali e suscettibili di valorizzazione o di dismissione.
Sulla scorta di tale elenco viene redatto il piano di alienazione dei beni immobili che costituisce un alle- gato al bilancio.
Il suddetto art. 58 statuisce: “1. Per procedere al riordino, gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, province, comuni e altri enti locali, nonché di società o enti a totale partecipazione dei predetti enti, ciascuno di essi, con delibera dell’organo di governo individua, redigendo apposito elenco, sulla base e nei limiti della documentazione esistente presso i propri archivi e uffici, i singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non strumentali all’esercizio delle proprie funzioni istitu- zionali, suscettibili di valorizzazione ovvero di dismis- sione. Viene così redatto il piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari allegato al bilancio di pre- visione nel quale, previa intesa, sono inseriti immobili di proprietà dello Stato individuati dal Ministero dell’economia e delle finanze-Agenzia del demanio tra quelli che insistono nel relativo territorio.
2. L’inserimento degli immobili nel piano ne de- termina la conseguente classificazione come patrimo- nio disponibile, fatto salvo il rispetto delle tutele di natura storico-artistica, archeologica, architettonica e paesaggistico-ambientale”.
L’art. 1, c. 443, l. n. 228/2012 ha poi disposto: “in applicazione del secondo periodo del c. 6 dell’art. 162 del d.lgs. 18 agosto. 2000, n. 267, i proventi da alie- nazioni di beni patrimoniali disponibili possono esse- re destinati esclusivamente alla copertura di spese di investimento ovvero, in assenza di queste o per la par- te eccedente, per la riduzione del debito”.
Ha fatto seguito l’art. 56-bis, c. 11, d.l. n. 69/2013 così come modificato dal d.l. n. 78/2015 che stabili- sce:
“in considerazione dell’eccezionalità della situa- zione economica e tenuto conto delle esigenze priori- tarie di riduzione del debito pubblico, al fine di con- tribuire alla stabilizzazione finanziaria e promuovere iniziative volte allo sviluppo economico e alla coesio- ne sociale, è altresì destinato al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, con le modalità di cui al c. 5 dell’art. 9 del d.lgs. 28 maggio 2010, n. 85, il 10 per cento delle risorse nette derivanti dall’alienazione dell’originario patrimonio immobi- liare disponibile degli enti territoriali, salvo che una percentuale uguale o maggiore non sia destinata per legge alla riduzione del debito del medesimo ente. Per gli enti territoriali la predetta quota del 10 per cento è destinata prioritariamente all’estinzione anticipata dei mutui e per la restante quota secondo quanto sta- bilito dal c. 443 dell’art. 1 della l. 24 dicembre 2012,
n. 228. Per la parte non destinata al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, resta fermo quanto disposto dal c. 443 dell’art. 1 della l. 24 dicembre 2012, n. 228”.
La disposizione da ultimo indicata obbliga gli enti locali a destinare i proventi derivanti dalle cessioni di beni patrimoniali disponibili, al finanziamento delle spese per l’estinzione di mutui nella misura del 10 per cento, a differenza di quanto disposto dal c. 443 della
l. n. 228/2012 che invece prescriveva che i suddetti proventi fossero prioritariamente destinati agli inve- stimenti, e soltanto in mancanza di quest’ultimi ovve- ro per l’eccedenza, venissero destinati all’estinzione del debito.
In base alle disposizioni richiamate il collegio ri- tiene che le norme in materia di vincoli di destinazio- ne dei proventi da alienazione del patrimonio disponi- bile (art. 1, c. 443, l. n. 228/2012 e art. 56-bis, c. 11,
d.l. n. 69/2013) non possano trovare applicazione nei confronti dei beni patrimoniali indisponibili, indipen- dentemente dalla loro commerciabilità. Trattasi, infat- ti, di norme aventi uno specifico ambito di applicazio- ne oggettiva che non lascia spazio ad interpretazioni estensive. D’altra parte quando il legislatore ha voluto sottoporre allo stesso trattamento i beni patrimoniali disponibili e i beni patrimoniali indisponibili, non si è specificatamente riferito agli uni o agli altri; si pensi all’art. 1, c. 866, l. n. 205/2017, dove la norma ha fat- to, riferimento alla possibilità, per gli enti locali, di utilizzo dei proventi derivanti dalle “alienazioni pa- trimoniali”, anche di quelli derivanti da azioni o piani di razionalizzazione, senza distinguere tra beni del pa- trimonio disponibile o indisponibile dell’ente.
* * *
Molise
15 – Sezione controllo Regione Molise; parere 27 febbraio 2020; Pres. Xxxxxxx, Xxx. Xxxxxx; Comune di Castropignano.
Tributi – Comune – Tributi locali – Datio in solu- tum – Inapplicabilità.
Cost., art. 23; c.c., art. 1197; x.x.x. 00 xxxxxxxxx 0000, x. 000, xxxxxxxxx xx xxxxxxxxxxxx xx x.x. delle leggi sui ser- vizi della riscossione delle imposte dirette approvato con
d.p.r. 15 maggio 1963, n. 858, artt. 28 e 28-bis; d.lgs.
18 agosto 2000, n. 267, t.u. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, art. 1; x.x.x. 0 xxx- xxx 0000, x. 000, x.x. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, art. 16, c. 2; d.l. 19 giugno 2015, n. 78, convertito con modificazioni dalla
l. 6 agosto 2015, n. 125, disposizioni urgenti in mate- ria di enti territoriali, art. 7-bis.
Deve considerarsi preclusa in via generale con ri- ferimento ai tributi locali l’applicabilità della datio in solutum quale modalità di estinzione dell’obbligazione tributaria alternativa al pagamento di quanto dovuto da parte del contribuente, essendo il ricorso al suddetto istituto limitato alla riscossione di imposte sul reddito ed al pagamento dell’imposta sul- le successioni e donazioni. L’esclusione della possibi- lità di estinzione di crediti tributari attraverso l’acquisizione a titolo gratuito di entrate patrimoniali, nel caso di specie (si tratta dell’acquisizione da parte del comune richiedente di automezzi utili all’espletamento dell’ordinaria attività di manuten- zione del territorio) è da ricollegarsi, oltre che al principio di indisponibilità dell’obbligazione tributa- ria, anche al rispetto dell’evidenza pubblica quale cri- terio indefettibile per l’acquisizione di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni. (1)
(1) La pronuncia in esame ribadisce quanto già chiarito in precedenti occasioni circa l’impossibilità di applicare ai tributi locali l’istituto della datio in solutum che rappresenta una mo- dalità estintiva dell’obbligazione satisfattiva dell’interesse del creditore che in questo caso è poi l’interesse pubblico primario all’ottenimento di una prestazione monetaria ex art. 23 Cost. da parte dei contribuenti. In particolare, la Sezione controllo Re- gione Lazio, con parere 18 settembre 2015, n. 162 ha dichiarato inammissibile oggettivamente la richiesta del Comune di Pale- strina tesa a conoscere l’avviso della Corte dei conti circa la possibilità di ricevere immobili, di categoria non residenziale, da parte dell’Ater (Azienda territoriale per l’edilizia residenzia- le) Provincia di Roma, a soddisfazione dei debiti da questa ma- turati, a titolo di imposte comunali non versate, interessi e san- zioni. In xxx xx xxxxxxxxx, xxxxxxxx, xx Xxxxxxx xxxxxxx aveva pre- cisato che nell’ipotesi di un’espressa disciplina normativa, do- vrebbe essere tenuto in debito conto che una datio in solutum produrrebbe effetti di tipo contabile, tali da incidere sugli equi- libri e sui risultati di bilancio, a causa della rinuncia, da parte dell’ente creditore, a un introito di parte corrente, nonché di tipo finanziario, conseguenti alla rinuncia alla riscossione di somme liquide, gravante sui meccanismi di cassa. Inoltre, l’accettazione di una prestazione in luogo dell’adempimento originario avrebbe come conseguenza la cancellazione di resi-
Diritto – (Omissis) 4. La questione proposta dal Comune di Castropignano attiene alla possibilità, per l’ente, di acquisire beni dal privato per effetto della loro dazione ai fini dell’estinzione di un’obbligazione avente ad oggetto il pagamento di un tributo.
La sezione reputa condivisibile, in continuità con l’avviso già espresso in precedenti deliberazioni di al- tre sezioni regionali, l’orientamento che esclude l’applicazione dell’istituto della datio in solutum (pre- visto dall’art. 1197 c.c.) alle obbligazioni tributarie, con particolare riferimento al pagamento dei tributi locali.
Tale conclusione è fondata su argomenti di natura sistematica e logica.
4.1. L’ordinamento, come noto, ha disciplinato specifiche ipotesi di adempimento mediante datio in solutum, nelle quali al contribuente è consentito assol- vere il tributo (in particolare, le imposte sui redditi e sulle successioni e donazioni, ai sensi degli artt. 28 e 28-bis del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602 e dell’art. 39 del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346) mediante la da- zione di beni di interesse storico, artistico o archeolo- gico, accettazione del creditore (circostanza che esclude la possibilità di prospettare un caso di obbli- gazione alternativa).
L’unica ipotesi, tradizionalmente richiamata, di applicazione dell’istituto a prestazioni imposte dall’ente locale è quella contenuta nell’art. 16, c. 2,
d.p.r. n. 380/2001, che prevede la possibilità di realiz- zare direttamente le opere di urbanizzazione, a scom- puto totale o parziale della quota del contributo di co- struzione relativa alle stesse.
Peraltro, occorre in questa sede rilevare che il “contributo di costruzione”, essendo codificato dall’ordinamento in termini di compartecipazione del privato alla spesa pubblica, tenuto conto del bisogno di opere di urbanizzazione aggiuntive conseguenti al nuovo insediamento edificatorio – che, peraltro, spes- so impongono all’ente interessato oneri economici maggiori di quelli strettamente necessari ad urbanizza- re il nuovo edificato –, integra una “prestazione pa- trimoniale imposta, di carattere non tributario” (Cons. Stato, Ad. plen., 7 dicembre 2016, n. 24; 30 agosto 2018, n. 12, in cui si aggiunge che, nonostante il contributo – ferma l’esclusione della natura tributa- ria – costituisca una prestazione patrimoniale imposta, il suo pagamento integra l’oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio, disciplinato dalle norme di di- ritto privato).
Pertanto, occorre muovere dalla presa d’atto che l’ordinamento ha previsto, in materia di riscossione delle imposte sul reddito e di pagamento dell’imposta sulle successioni e donazioni, due limitate fattispecie di datio in solutum allo Stato come modalità di estin- zione dell’obbligazione tributaria diverse dall’adempimento (peraltro circoscritte
xxx xxxxxx (entrate accertate e non riscosse), con inevitabili rica- dute sul risultato di amministrazione. [P. COSA]
nell’individuazione dei beni suscettibili di cessione e accompagnate da una dettagliata disciplina riguardan- te le condizioni e il valore della cessione, demandate a uno specifico decreto ministeriale), mentre non risulta allo stato alcuna analoga previsione riguardante il pa- gamento dei tributi locali.
L’indicata, eccezionale, disciplina di sporadiche ipotesi di applicazione dell’istituto si inquadra nella regola della indisponibilità dell’obbligazione tributa- ria, naturale corollario dello schema tipico del rappor- to giuridico di imposta, avente natura (secondo la condivisa teoria dichiarativa) di obbligazione legale, che sorge per il solo verificarsi in concreto della fatti- specie astrattamente prevista dalla norma tributaria e la cui attuazione è rigidamente predeterminata dalla disciplina normativa, in applicazione del principio enunciato dall’art. 23 Cost. (in base al quale nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere impo- sta se non per legge).
4.2. Si aggiunge che non appare agevole superare gli ostacoli all’applicazione, in via generale, dell’istituto civilistico previsto dall’art. 1197 c.c. in materia tributaria, se si condivide la tesi della sua na- tura di “contratto solutorio”, che integra un modo di estinzione dell’obbligazione satisfattiva dell’interesse del creditore, sebbene – ovviamente – diverso e sosti- tutivo di quello alla prestazione originaria. Infatti, a tali fini occorrerebbe prospettare che il diverso inte- resse del creditore possa sovrapporsi e sostituirsi all’interesse pubblico primario – tipizzato dal legisla- tore ex art. 23 Cost. – all’ottenimento di una presta- zione monetaria.
4.3. Ulteriore argomento si trae dalla considerazio- ne che, nel nostro ordinamento, ai fini della provvista, da parte dell’ente pubblico, non solo di lavori o servi- zi, ma altresì dei beni di cui si ritenga utile o necessa- ria la fornitura, è espressamente codificato il generale obbligo di rispettare la disciplina in materia di proce- dimenti ad evidenza pubblica, che ammette deroghe nei soli casi previsti dal legislatore.
4.4. Non pare, infine, superfluo evidenziare le dif- ficoltà di ordine pratico che sorgerebbero ove si am- mettesse la possibilità di sostituire la somma di denaro oggetto dell’obbligazione tributaria, la cui determina- zione è munita del requisito della certezza, con presta- zioni aventi ad oggetto beni il cui valore economico dovrebbe quantificarsi all’esito di atti di determina- zione suscettibili di incertezze, errori o abusi, con evi- denti, possibili riflessi negativi per le casse comunali.
4.5. Per completezza, deve osservarsi che la que- stione oggetto di disamina non riguarda la diversa te- matica dell’ammissibilità della compensazione come modo di estinzione delle obbligazioni tributarie.
Al riguardo, come noto, sul piano teorico si è tra- dizionalmente ritenuto che la disciplina codicistica di cui agli artt. 1241 ss. c.c. fosse inapplicabile al diritto tributario, in ragione della tipicità dei modi di estin- zione delle obbligazioni di imposta, in assenza di un’espressa normativa in tal senso.
Nel tempo, in verità, il legislatore ha sempre più di frequente previsto l’applicazione di questo istituto nel diritto tributario, dapprima nell’ambito dello stesso tributo, poi nell’ambito di tributi diversi, fino a con- sentirne l’operatività con riferimento a prestazioni aventi natura non omogenea, ad esempio tributaria e contributiva (art. 17 d.lgs. n. 241/1997). Infine, l’art. 8, c. 1, l. n. 212/2000 ha disposto che “l’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazio- ne”, con la previsione di regolamenti di attuazione fi- nora non emanati. Sebbene parte della giurisprudenza sostenga l’immediata e generale operatività della re- gola, escludendo che essa possa essere condizionata da regolamenti attuativi, l’orientamento prevalente, e più recente, della Corte di cassazione (cui si è adegua- ta l’amministrazione finanziaria, ad esempio con ris.
n. 140/2017) ritiene che la disposizione, in attesa dell’emanazione dei regolamenti attuativi, integri una previsione di natura meramente programmatica (Cass. n. 18788/2016; n. 12262/2007).
L’esame dello stato della normativa e della giuri- sprudenza di legittimità in materia di adempimento delle obbligazioni tributarie tramite compensazione offre, a ben vedere, ulteriore argomento alla ritenuta inapplicabilità in ambito tributario dell’istituto della prestazione in luogo di adempimento.
Infatti, in primo luogo, nell’ordinamento mancano norme di carattere generale parallele all’art. 8 della l.
n. 212/2000. Soprattutto, l’evidenziato orientamento restrittivo in ordine all’applicazione di un modo di estinzione dell’obbligazione che, come noto, trova fondamento, tra l’altro, nella tutela dell’interesse di ciascuna delle parti del rapporto alla liberazione dal proprio debito e a godere il vantaggio del contestuale ottenimento di quanto dovuto dalla controparte (non a caso, in dottrina si è giunti a discorrere di una funzio- ne anche di garanzia), preclude sul piano sistematico la possibilità ammettere il ricorso generale alla datio in solutum, la cui disciplina è ispirata alla ratio di tute- la di interessi complessivamente meno rilevanti.
* * * Piemonte
29 – Sezione controllo Regione Piemonte; parere 9 aprile 2020; Pres. Polito, Rel. Liuzzo; Provincia di Novara.
Contabilità regionale e degli enti locali – Provincia
– Consiglieri delegati – Permessi retribuiti per la partecipazione a riunioni non pubbliche indette ai sensi dello statuto provinciale – Attribuzione – Condizioni.
D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, t.u. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, artt. 79 e 80; l. 7 aprile 2014, n. 56 disposizioni sulle città metropolita- ne, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni, art. 1, cc. 66, 84.
Premessa la riconducibilità in astratto della figura dei consiglieri delegati dal presidente della provincia alla nozione di “amministratori”, la loro eventuale assimilazione ai componenti degli organi esecutivi, ai fini dell’attribuzione agli stessi dei permessi retribuiti per la partecipazione a riunioni anche non pubbliche, è da rimettersi alla prudente valutazione dell’amministrazione provinciale interessata, che la deve effettuare alla luce delle vigenti disposizioni sta- tutarie.
Premesso in fatto – (Omissis) il presidente della Provincia di Novara ha formulato una richiesta di pa- rere, ponendo il seguente quesito:
«Si sottopone richiesta di parere ai sensi dell’art. 7, c. 8, l. n. 131/2003, in relazione alla corretta inter- pretazione della disciplina sui “permessi retribuiti” di cui all’art. 79, cc. 3 e 4, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267. In particolare, si domanda se la possibilità di as- sentarsi dai rispettivi posti di lavoro con permesso re-
tribuito possa essere riconosciuta anche ai consiglieri delegati provinciali individuati dal presidente, quand’anche non ricoprano contestualmente la carica di presidente di gruppo consiliare, al fine di:
- partecipare alle riunioni degli organi di cui fan- no parte e per la rispettiva effettiva durata (art. 79 c. 3, d.lgs. n. 267/2000), intendendosi in proposito anche le riunioni di cui all’art. 18, c. 8, dello statuto provin- ciale che così recita: “Per la piena attuazione del principio di collegialità il presidente e i consiglieri titolari di deleghe si incontrano in apposite riunioni, non pubbliche, alle quali partecipa il segretario xxxx- xxxx e il direttore generale della provincia, se nomina- to, e a cui possono essere invitati i dirigenti o i re- sponsabili dei servizi interessati”;
- espletare le attività connesse alla delega, secon- do le previsioni del citato art. 79, c. 4, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, e quindi per 24 ore mensili retribuite». (Omissis)
Merito – Gli artt. 79 e 80 del d.lgs. 18 agosto 2000,
n. 267, recante il “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”, dettano una speci- fica disciplina concernente i permessi e le licenze dei dipendenti, pubblici e privati, “componenti degli or- gani esecutivi”, “presidenti dei consigli” e “presidenti dei gruppi consiliari” delle province nell’ambito di altre ipotesi previste.
In particolare, l’art. 79, nei cc. 3 e 4, attribuisce, tra gli altri, ai componenti degli organi esecutivi della provincia il diritto di assentarsi dal servizio per parte- cipare alle riunioni degli organi di cui fanno parte e l’ulteriore diritto di assentarsi dai rispettivi posti di lavoro per un massimo di 24 ore lavorative al mese, elevati a 48 ore se si tratta, tra le altre ipotesi, di presi- dente della provincia. Tale diritto trova il proprio fon- damento costituzionale nell’art. 51, c. 3, Cost., ai sensi del quale “chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro”.
Dall’altra parte, l’art. 80, disciplinando gli oneri connessi ai permessi retribuiti de quibus, dispone che le assenze sono retribuite al lavoratore dal datore di lavoro e che, se si tratta di lavoratori dipendenti da privati o enti pubblici economici, gli oneri sono a ca- rico degli enti pubblici presso il quale gli stessi lavora- tori esercitano le funzioni pubbliche di cui all’art. 79.
Le disposizioni citate presentano un carattere ecce- zionale, che ne impedisce una interpretazione estensi- va al fine di ricomprendere casi non espressamente contemplati. Per questa ragione, come evidenziato sia da questa Corte (Sez. giur. reg. Umbria, n. 18/2008) sia dal Consiglio di Stato (cfr. Sez. IV, n. 992/1993; Sez. I, par. n. 740/1994), si deve procedere ad una let- tura rigorosa delle disposizioni sui permessi in argo- mento. Anche la Corte costituzionale ha posto l’accento sull’ampia discrezionalità di cui gode il legi- slatore nel disciplinare la materia (cfr. sent. n. 193/1981 e n. 52/1997) e l’evidenziata discrezionalità legislativa riduce, di conseguenza, i poteri interpreta- tivi del giudice, non consentendo di enucleare permes- si normativamente non previsti o accordare ad alcuni soggetti la disciplina che è propria di altri.
Fermo quanto detto, con particolare riferimento agli amministratori della provincia, la disciplina recata dagli artt. 79 e 80 del d.lgs. n. 267/2000 va analizzata unitamente alla normativa dettata dalla l. 7 aprile 2014, n. 56, che ha ridefinito le funzioni della provin- cia ed è intervenuta sugli organi provinciali e sulle lo- ro modalità di elezione. In particolare, va evidenziato come, a partire dalla entrata in vigore della l. n. 56/2014, non sono più annoverati tra gli organi delle province le giunte provinciali, ma sono espressamente previste solo la figura del presidente, del consiglio provinciale e dell’assemblea dei sindaci.
Dall’altra parte, però, l’art. 1, c. 66, l. n. 56/2014 attribuisce al presidente della provincia la possibilità di assegnare deleghe a consiglieri provinciali, nel ri- spetto del principio di collegialità, “secondo le moda- lità e nei limiti stabiliti dallo statuto”. Tali incarichi, frutto di delega, sono esercitati, ai sensi del c. 84 della
l. n. 56/2014, a titolo gratuito, restando a carico della provincia, invece, gli oneri connessi con lo status de- gli amministratori relativi ai permessi retribuiti ed ai contributi previdenziali, assistenziali e assicurativi, di cui agli artt. 80, 84, 85 e 86 del d.lgs. n. 267/2000.
In tale contesto si inserisce la questione, oggetto del parere presentato dalla Provincia di Novara, relati- va alla possibilità di assimilare i consiglieri delegati ai componenti della giunta provinciale, esistenti prima dell’entrata in vigore della l. n. 56/2014, e, in tal caso, applicarne il medesimo regime giuridico tra cui gli artt. 79 e 80 del d.lgs. n. 267/2000.
La risposta al quesito va rinvenuta nell’art. 1, cc. 66 e 84, l. n. 56/2014 in cui, come già evidenziato, da una parte, è previsto che il presidente della provincia possa conferire deleghe ai consiglieri provinciali nel rispetto del principio di collegialità, secondo le moda- lità e nei limiti stabiliti dallo statuto e da esercitarsi a titolo gratuito, dall’altra, si dispone che restano a cari-
co della provincia gli oneri connessi con lo status de- gli amministratori relativi ai permessi retribuiti di cui all’art. 80 del d.lgs. n. 267/2000.
Pertanto, con la l. n. 56/2014 il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, definisce due aspetti: la facoltà riconosciuta al presidente della pro- vincia di attribuire deleghe, secondo le disposizioni dello statuto, da esercitarsi a titolo gratuito e la previ- sione a carico della provincia degli oneri connessi con lo status di amministratore relativi ai permessi retri- buiti di cui all’art. 80 del d.lgs. n. 267/2000.
Alla luce di quanto sopra, per la risoluzione del pa- rere, occorre, in primo luogo, definire se, in astratto, la nozione di consigliere delegato rientri o meno nella nozione di “amministratori” in relazione ai quali sono previsti a carico della provincia gli oneri connessi ai permessi retribuiti ai sensi dell’art. 80 del d.lgs. n. 267/2000.
E, in secondo luogo, verificare, in concreto, l’eventuale assimilazione dei consiglieri delegati ai “componenti degli organi esecutivi” secondo le dispo- sizioni dello statuto della provincia.
In relazione al primo aspetto, come già sottolineato da questa Corte, va evidenziato che “sotto il profilo soggettivo, facendo riferimento agli “amministratori”, tale norma ricomprende, nel proprio ambito di appli- cazione, tutti gli organi di governo dell’ente, compresi i consiglieri, il sindaco e gli assessori (Corte conti, Xxx. contr. reg. Toscana, n. 191/2014): ciò alla luce, per quanto qui rileva, di quanto ora previsto dall’art. 1, c. 66, l. n. 56/2014 secondo cui il presidente della provincia può conferire deleghe ai consiglieri “se- condo le modalità e nei limiti stabiliti dallo statuto” (cfr. Corte conti, Sez. contr. reg. Xxxxxx-Romagna, n. 31/2019).
In ordine al secondo aspetto, invece, l’eventuale assimilazione dei consiglieri delegati ai “componenti degli organi esecutivi” (cui spettano i permessi disci- plinati dagli artt. 79 e 80 del d.lgs. n. 267/2000) va condotta da ogni provincia, sulla base della formula- zione dei propri statuti. Come già affermato da questa Corte, infatti, “in base all’esame di quest’ultima fonte interna ogni provincia deve valutare se sussista l’eventuale assimilazione dei consiglieri attributari di deleghe, in virtù del c. 66 della l. n. 56/2014, ai com- ponenti degli organi esecutivi […], trattandosi di que- stione, come evidenziato in premessa, non scrutinabile dalla sezione regionale di controllo in sede consulti- va” (cfr. Corte conti, Sez. contr. reg. Lombardia, n. 21/2016; n. 189/2017; Sez. contr. reg. Xxxxxx- Romagna, n. 31/2019).
Alla luce di quanto fino ad ora esposto, dunque, in astratto un consigliere, a cui il presidente della provin- cia delega proprie funzioni ai sensi dell’art. 1, c. 66, l.
n. 56/2014, può essere considerato amministratore in virtù dell’esercizio delle deleghe conferite, tuttavia ogni ente dovrà esaminare le disposizioni del proprio statuto per valutare se, alla luce di quanto disposto dalla propria fonte interna, sussista in concreto
l’assimilazione dei consiglieri delegati ai componenti degli organi esecutivi.
32 – Sezione controllo Regione Piemonte; parere 10 aprile 2020; Pres. Polito, Rel. Alesiani; Comune di Novara.
Contabilità regionale e degli enti locali – Enti locali
– Compenso ai revisori dei conti – Adeguamento in corso d’opera – Applicabilità – Limiti e condizioni. D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, t.u. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, art. 241, c. 7; d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dal- la l. 30 luglio 2010, n. 122, misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività eco- nomica, art. 6; d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito
con modificazioni dalla l. 7 dicembre 2012, n. 213, disposizioni urgenti di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012, art. 6, c. 4.
Gli organi consiliari dell’ente locale sono tenuti a verificare la permanenza nel corso di svolgimento dell’incarico dei criteri di congruità e adeguatezza ai limiti minimi del compenso spettante ai componenti dell’organo di revisione contabile; ove tale disamina evidenzi che la misura del compenso sia divenuta non più rispondente ai suddetti criteri, ai quali si è ispira- ta la sua originaria determinazione in sede di affida- mento dell’incarico, gli stessi organi, previa verifica della compatibilità finanziaria e della sostenibilità dei nuovi oneri, devono adottare i conseguenti provvedi- menti per il suo eventuale adeguamento. (1)
Premesso in fatto – Con nota indicata in epigrafe il sindaco del Comune di Novara ha formulato una ri- chiesta di parere in tema di adeguamento del compen- so del collegio dei revisori dei conti. In particolare, il legale rappresentante dell’ente, premessa un’articolata ricostruzione del quadro normativo e interpretativo di riferimento, anche alla luce dell’entrata in vigore del nuovo d.interm. 21 dicembre 2018 (che ha aggiornato i limiti massimi del compenso base spettante ai reviso- ri dei conti degli enti locali) e della recente pronuncia della Sez. autonomie, n. 14/2019, ha posto, in punto di fatto, il seguente quesito: “se, ai sensi della normativa sopra richiamata, possa ritenersi ammissibile la mo- difica in corso di rapporto del compenso dei revisori dei conti determinato all’atto della nomina dei reviso- ri in carica (delibera consiglio comunale n. 25 del 29
(1) La pronuncia in commento si colloca nel solco di una giurisprudenza consolidata sul tema dell’adeguamento del compenso spettante ai componenti dell’organo di revisione contabile degli enti locali nel corso di svolgimento dell’incarico. In particolare, la sezione riprende gli arresti ai quali è pervenuta la Sezione delle autonomie con delib. n. 14/2019 emessa sulla questione di massima proposta dalla Sez. contr. reg. Puglia, 3 aprile 2019, n. 38 (in questa Rivista, 2019, fasc. 2, 181, con nota di P. Cosa).
marzo 2019), adeguandolo a quanto disposto dal d.m.
21 dicembre 2018 e alle indicazioni fornite dall’Osservatorio del Ministero dell’interno del 13 luglio 2017”. (Omissis)
Merito – L’art. 241 del d.lgs. n. 267/2000 (Tuel) prevede che il compenso dei revisori dei conti sia sta- bilito dal comune nella stessa deliberazione di nomina (c. 7) nel rispetto dei limiti massimi del compenso ba- se fissati con decreto del Ministro dell’interno, adotta- to di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, in relazione alla classe demografica ed alle spese di funzionamento e di investimento dell’ente lo- cale (c. 1) e da aggiornarsi triennalmente.
Tali limiti massimi del compenso base spettante ai revisori dei conti degli enti locali sono stati recente- mente aggiornati con d.interm. 21 dicembre 2018 (pubblicato in G.U. 4 gennaio 2019) con il quale, in considerazione del rilevante incremento, nell’ultimo decennio, delle funzioni svolte dall’Organo di revisio- ne economico-finanziaria e della necessità di un con- seguente adeguamento dei compensi base, anche al fine di rispettare il principio dell’equo compenso di cui all’art. 13-bis della l. 31 dicembre 2012, n. 247, è stato aggiornato il previgente decreto 20 maggio 2005, riconsiderando, in maniera significativa, gli importi di cui alle tabelle A, B e C alle quali l’art. 1 dello stesso decreto fa rinvio per la determinazione del compenso e delle previste maggiorazioni.
La giurisprudenza contabile è più volte intervenuta in ordine alla corretta interpretazione delle regole che governano la disciplina dei compensi da riconoscere agli organi di revisione degli enti locali, anche alla lu- ce delle normative vincolistiche succedutesi nel tem- po.
Con specifico riguardo al quesito posto dal comune istante – valutata la problematica nei soli ed esclusivi caratteri generali ed astratti come sopra specificato –, occorre fare riferimento ai principi di diritto recente- mente enunciati dalla Sezione delle autonomie nella delib. n. 14/2019 che, a seguito di specifiche questioni di massima sollevate dalle Sezioni regionali di con- trollo per la Puglia e per il Molise, rispettivamente, con le delib. n. 38/2019 e n. 70/2019, ha avuto modo di pronunciarsi sulla possibilità degli enti locali di adeguare gli emolumenti dei revisori nominati ante- riormente all’entrata in vigore del d.interm. 21 dicem- bre 2018 ai nuovi parametri previsti dal predetto provvedimento (v., in tal senso, Sez. contr. reg. Lom- bardia, n. 351/2019, cit.).
In particolare, considerato il complesso quadro in- terpretativo desumibile dai primi arresti della giuri- sprudenza contabile in argomento (con particolare ri- guardo alle suddette deliberazioni di deferimento non- ché alla delib. n. 20/2019 della Sez. contr. reg. Ligu- ria; delib. n. 5/2019 della Sez. contr. reg. Xxxxxx- Romagna), la Sezione delle autonomie ha rilevato come, anche alla luce dei principi di derivazione euro unitaria che governano la materia, deve “escludersi che, in via generale, possa riconoscersi la facoltà per gli enti di un possibile adeguamento, in corso di rap-
porto, del compenso che, di xxxxx, resta fissato nella misura deliberata in origine”.
Tuttavia, facendo riferimento, tra l’altro, alle “fina- lità perseguite dal decreto di adeguamento, oltre che a quanto stabilito, in via generale dall’art. 36 della Costituzione, disposizione immediatamente precetti- va”, è stato enunciato un principio di diritto in forza del quale “alla luce dei nuovi limiti massimi e dei nuovi parametri recati dal d.interm. 21 dicembre 2018, emesso di concerto tra il Ministro dell’interno e quello dell’economia e delle finanze, ferma la previ- sione di cui al c. 7 dell’art. 241 del Tuel, è facoltà de- gli enti locali procedere, ai sensi degli artt. 234 e 241 del Tuel, ad un rinnovato giudizio circa l’adeguatezza dei compensi liquidati anteriormente al predetto de- creto alla stregua dei limiti massimi fissati dal d.m. 20 maggio 2005 e, se del caso, provvedere ad una ride- terminazione degli stessi al fine di ricondurli nei limiti di congruità e di adeguatezza, previa attenta verifica della compatibilità finanziaria e della sostenibilità dei nuovi oneri”.
La pronuncia della Sezione delle autonomie in pa- rola ha, inoltre, precisato che “l’eventuale adegua- mento non ha effetto retroattivo e decorre dalla data di esecutività della deliberazione di rideterminazione del compenso assunta dall’organo consiliare ai sensi degli artt. 234 e 241 Tuel”.
In particolare, in base all’orientamento nomofilat- tico sopra richiamato, «gli organi consiliari – ai quali il combinato disposto degli artt. 243 e 241 Tuel inte- sta la competenza a determinare l’emolumento di cui trattasi – dovranno verificare se “la misura del com- penso inizialmente deliberata dall’ente locale si mani- festi chiaramente non più rispondente ai limiti minimi di congruità e adeguatezza che, anche sulla base di principi derivanti dall’ordinamento comunitario, sono considerati esistenti in materia” e, previa verifica del- la compatibilità finanziaria e della sostenibilità dei nuovi oneri, adottare i conseguenti provvedimenti ne- cessari per riportare il compenso ad un livello con- forme ai suddetti parametri»; in questo modo la Se- zione della autonomie si è soffermata sul potere di- screzionale degli enti locali nell’ambito in esame, “trattandosi di valutazioni connotate da discrezionali- tà, ancorché tecnica, di esclusiva competenza dell’organo di indirizzo politico”.
35 – Sezione controllo Regione Piemonte; parere 14 aprile 2020; Pres. Polito, Rel. Calcari; Comune di Ca- salvolone.
Contabilità regionale e degli enti locali – Enti locali
– Svolgimento di attività socialmente utili – Com- pensazione con crediti disponibili di natura tribu- taria – Ammissibilità – Limiti.
Cost., artt. 23, 53, 97, 118; c.c., artt. 1197, 1321,
1322; l. 7 agosto 1990, n. 241, nuove norme in mate- ria di procedimento amministrativo e di diritto di ac- cesso ai documenti amministrativi, art. 1, c. 1-bis;
d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, t.u. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, art. 204; d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, attuazione delle direttive 2014/23/Ue, 2014/24/Ue e 2014/25/Ue sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei tra- sporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici rela- tivi a lavori, servizi e forniture, artt. 189, 190.
In assenza di una normativa specifica per i tributi locali alla stregua di quanto accade per le imposte sul reddito e per l’imposta sulle successioni e donazioni in materia di beni culturali, non è possibile il ricorso generalizzato da parte degli enti locali all’istituto del- la datio in solutum, nello specifico non è attuabile la cessione di un terreno da parte del contribuente in luogo dell’adempimento consistente nel pagamento dell’imposta dovuta, ciò anche in considerazione dell’incidenza negativa sul risultato di amministrazio- ne dell’ente locale che l’applicazione di un tale istitu- to comporterebbe, determinando la cancellazione dei residui attivi corrispondenti alle mancate entrate tri- butarie. (1)
Merito – La questione sulla quale la sezione è chiamata a pronunciarsi può essere articolata da un punto di vista generale e astratto, per quanto sopra esposto, su due punti:
1) la possibilità da parte di un ente locale di accet- tare, in luogo dell’adempimento di un’obbligazione tributaria, consistente nel pagamento in denaro dell’imposta dovuta da parte del soggetto passivo, una prestazione diversa costituita dalla cessione di un ter- reno;
2) chiarimenti sulla portata applicativa, alla suddet- ta ipotesi, dell’art. 12 del d.l. n. 98/2011, convertito dalla l. n. 111/2011, come novellato dal citato art. 1, c. 138, l. n. 228/2012.
In merito al punto n. 1 concernente la possibilità da parte di un ente locale di accettare, in luogo dell’adempimento di un’obbligazione tributaria, con- sistente nel pagamento in denaro dell’imposta dovuta da parte del soggetto passivo, una prestazione diversa costituita dalla cessione di un terreno, si rappresenta che l’ordinamento disciplina l’ipotesi di datio in solu- tum all’art. 1197 c.c., in base al quale “il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, anche se di valore uguale o maggiore, salvo che il creditore consenta”.
La dottrina e giurisprudenza dominante fa discen- dere l’effetto liberatorio da un contratto con “causa solutoria” (nel quale potrebbe rientrare l’ipotesi pro- spettata dall’istante) stipulato tra creditore e debitore
(1) Sul punto, v. pure Sez. autonomie, 29 gennaio 2020, n. 2, in questa Rivista, 2020, fasc. 1, 134, con nota di P. Cosa; Sez. contr. reg. Molise, 13 marzo 2020, n. 15, in questo fasci- colo, 190.
in base al quale l’obbligazione originaria si estingue con l’esecuzione della prestazione convenuta “in luo- go” dell’esatto adempimento.
Ciò posto, deve essere verificata l’applicabilità del- la prefata normativa alle obbligazioni tributarie data la natura indisponibile delle stesse la cui disciplina, ai sensi dell’art. 23 Cost., è basata sul principio di legali- tà, per cui il rapporto è vincolato e nulla è lasciato alla disponibilità delle parti.
Trattasi di obbligazioni rette oltre che dal principio di legalità tributaria anche dal principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., da cui derivano i precetti dell’universalità, della progressività nonché dell’uguaglianza del carico tributario a cui si ricollega il principio di imparzialità disciplinato dall’art. 97 Cost.
Ne deriva che l’attività che può porre in essere la pubblica amministrazione in materia tributaria è attivi- tà vincolata, in quanto sulla base del principio della riserva di legge, relativa, è la fonte normativa che di- sciplina i principi fondamentali del tributo tra cui l’an debeatur, il quantum e il soggetto passivo d’imposta. Detto in altri termini, deve essere il legislatore a disci- plinare le fattispecie di tributo alle quali è possibile adempiere mediante prestazioni diverse dall’esatto adempimento.
A tal uopo il legislatore ha disciplinato specifiche ipotesi di adempimento mediante datio in solutum, per le imposte sui redditi nell’art. 28-bis del d.p.r. 29 set- tembre 1973, n. 602 e per l’imposta sulle successioni e donazioni nell’art. 39 del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (cfr. sull’argomento Sez. contr. reg. Molise, n. 15/2020; Sez. contr. reg. Xxxxxx-Romagna, n. 60/2017; Sez. contr. reg. Lazio, n. 162/2015 che ri- chiama delib. n. 3/2010).
In entrambe le ipotesi, la normativa disciplina in modo dettagliato il procedimento per la cessione dei beni culturali in luogo del pagamento dell’imposta, demanda le condizioni e la determinazione del valore di cessione dell’immobile ad un decreto interministe- riale, sentita un’apposita commissione, nonché stabili- sce le modalità di versamento dell’imposta derivante dalla differenza tra il valore del bene e l’imposta da assolvere e le ipotesi di mancata accettazione della proposta.
Non risulta analoga disposizione per i tributi locali, mentre l’unica ipotesi prevista in ambito locale, riferi- ta alle prestazioni patrimoniali imposte ex art. 23 Cost., è disciplinata dall’art. 16, c. 2, d.p.r. n. 380/2001, che attribuisce la possibilità di realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, a scomputo totale o parziale della quota del contributo di costru- zione relativa alle stesse. Detto contributo di costru- zione, non rientra nelle entrate di natura tributaria in quanto, come affermato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, n. 12/2018, è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a cari- co del concessionario a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione e in proporzione dell’insieme dei benefici che la nuova costruzione ac-
quista, senza alcun vincolo di scopo in relazione alla zona interessata alla trasformazione urbanistica e in- dipendentemente dalla concreta utilità che il conces- sionario può conseguire dal titolo edificatorio e dall’ammontare delle spese effettivamente occorrenti per la realizzazione delle opere (Cons. Stato, Sez. IV, 5 maggio 2017, n. 2055).
Eventuali deroghe al principio di indisponibilità della pretesa tributaria debbono essere previste dal le- gislatore consentendo all’ente di disporre del credito tributario. Si tratta di eccezioni, da interpretarsi in modo rigoroso e restrittivo come nell’ipotesi dell’istituto del baratto amministrativo disciplinato dall’art. 190 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50. In detta fattispecie, come affermato dalla Sez. autonomie, n. 2/2020 “deve ritenersi che il baratto amministrativo non si limiti ad introdurre una modalità alternativa di adempimento dell’obbligazione tributaria (una sorta di datio in solutum ex art. 1197 c.c.), ma determini una vera e propria deroga al principio della indispo- nibilità del credito tributario, in quanto, come detto, pone l’amministrazione locale nella condizione di di- sporre dell’an e del quantum di un tributo in funzione della realizzazione di un intervento di utilità sociale effettuato a cura e a spese dei contribuenti che ne fac- ciano richiesta.
Tale deroga è resa possibile dal fatto che, operan- do il bilanciamento di interessi, il legislatore si è espresso in favore delle esigenze costituzionalmente garantite dal principio di sussidiarietà orizzontale, consentendo all’ente di rinunciare alla potestà impo- sitiva prevista dalla legge in funzione del recupero del valore sociale della partecipazione dei cittadini alla comunità di riferimento”.
Tra l’altro anche con riguardo all’istituto del barat- to amministrativo precedentemente disciplinato dall’art. 24 d.l. n. 133/2014, ora abrogato, non si era ritenuta “ammissibile la possibilità di consentire che l’adempimento di tributi locali, anche di esercizi fi- nanziari passati confluiti nella massa dei residui attivi dell’ente medesimo, possa avvenire attraverso una sorta di datio in solutum ex art. 1197 c.c. da parte del cittadino debitore che, invece di effettuare il paga- mento del tributo dovuto, ponga in essere una delle attività previste dalla norma e relative alla cura e/o valorizzazione del territorio comunale. La sezione ri- tiene che tale ipotesi non solo non rientrerebbe nell’ambito di applicazione della norma in quanto di- fetterebbe il requisito dell’inerenza tra agevolazione tributaria e tipologia di attività svolta dai soggetti amministrati, elementi che, peraltro, devono essere preventivamente individuati nell’atto regolamentare del comune, ma potrebbe determinare effetti pregiudi- zievoli sugli equilibri di bilancio considerato che i de- biti tributari del cittadino sono iscritti tra i residui at- tivi dell’ente” (Sez. contr. reg. Xxxxxx-Romagna, n. 27/2016).
Infine, l’istituto disciplinato dall’art. 1197 c.c. del- la prestazione in luogo di adempimento (c.d. datio in solutum), nell’ambito della quale deve essere ricom-
presa la prestazione (cessione di un terreno) che, nel caso in esame, il soggetto passivo dell’imposta vor- rebbe proporre al comune in luogo del pagamento dell’imposta dovuta, non è da confondere con la com- pensazione ex art. 8, c. 1, l. n. 212/2000 concernente – disposizioni in materia di statuto dei diritti del contri- buente – (cfr., sul punto, Sez. contr. reg. Xxxxxx- Romagna, n. 60/2017).
Si rappresenta al riguardo, che i regolamenti attua- tivi previsti dall’art. 8, c. 1, l. n. 212/2000 finora non sono stati emanati. Sebbene parte della giurisprudenza sostenga l’immediata e generale operatività della re- gola, anche in assenza dei citati regolamenti attuativi, l’orientamento prevalente più recente della Corte di cassazione (cui si è adeguata l’amministrazione finan- ziaria, ad esempio con la risoluzione n. 140/2017) ri- tiene che la disposizione, in attesa dell’emanazione dei regolamenti attuativi, integri una previsione di na- tura meramente programmatica (Cass. n. 18788/2016,
n. 12262/2007). (cfr., sul punto, Sez. contr. reg. Moli- se, n. 15/2020).
Per quanto sopra esposto, in assenza di una norma- tiva specifica al riguardo relativa ai tributi locali, non si ritiene possibile il ricorso generalizzato all’istituto della datio in solutum ex art. 1197 c.c., previsto dal legislatore esclusivamente per le imposte sul reddito e per l’imposta sulle successioni e donazioni, in materia di beni culturali.
Inoltre, l’accettazione di una prestazione in luogo dell’adempimento di un debito tributario determine- rebbe come conseguenza la cancellazione di residui attivi. Ciò, inciderebbe in modo negativo sul risultato di amministrazione in particolar modo qualora dette prestazioni venissero considerate generalmente am- messe e la facoltà venisse riconosciuta a tutti i contri- buenti in assenza di una disciplina specifica e tassati- va.
Ciò premesso e stante quanto sopra espresso in re- lazione al punto n. 1, si rappresenta comunque in me- rito al punto n. 2 che l’art. 12, c. 1-ter, d.l. n. 98/2011 ha cessato di avere applicazione dal 2020 per effetto dell’art. 57, c. 2, lett. f), d.l. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito con modificazioni dalla l. 19 dicembre 2019, n. 157.
L’articolo citato, al c. 2 dispone che:
“A decorrere dall’anno 2020, alle regioni, alle province autonome di Trento e di Bolzano, agli enti locali e ai loro organismi ed enti strumentali, come definiti dall’art. 1, c. 2, d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118, nonché ai loro enti strumentali in forma societaria cessano di applicarsi le seguenti disposizioni in mate- ria di contenimento e di riduzione della spesa e di ob- blighi formativi:
f) art. 12, c. 1-ter, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conver- xxxx con modificazioni dalla l. 15 luglio 2011, n. 111”.
Sul punto, anche prima della novella normativa si era già espressa la giurisprudenza di questa Corte in merito alla stretta applicabilità della norma alle ipotesi ivi disciplinate.
In tal senso si era già espressa questa sezione nella delib. n. 125/2018, seppur in una fattispecie differente di “compensazione giudiziale” richiamando preceden- ti pronunce e precisando «come la Sezione regionale per il Veneto, con delib. n. 148/2013, abbia ritenuto, sulla base di un’approfondita disamina della proble- matica, che “la formulazione della norma disciplina le sole ipotesi in cui sia contemplata la previsione di un prezzo di acquisto, e quindi, ai soli acquisti a titolo derivativo iure privatorum”. Analogamente si è pro- nunciata la Sezione regionale per la Puglia (v., delib. n. 89/2013).
Né, al fine di giustificare la deroga alla disciplina in esame, possono disattendersi le pronunce con le quali è stato precisato che elemento discretivo per l’applicabilità della disciplina limitativa, e di cui al quesito, è da rinvenirsi nella presenza di un contratto in cui “l’effetto traslativo, conseguenza immediata e diretta del rapporto giuridico, determini comunque un esborso finanziario a carico del soggetto pubblico” (v. Sez. contr. reg. Lombardia, n. 164/2013).
Allo stesso modo la Sezione regionale per le Mar- che, nella delib. n. 7/2013, ha sottolineato come, dal punto di vista civilistico, l’acquisto di un immobile a titolo oneroso si richiama senz’altro allo schema tipi- co della compravendita, la quale risulta esplicitamen- te coinvolta nel divieto di cui al c. 1-ter.
Peraltro, l’effetto traslativo del diritto di proprietà su beni immobili si realizza anche attraverso altri contratti (come, a titolo esemplificativo, il conferi- mento in società, la donazione, la transazione, i con- tratti ad effetti reali, anche atipici)».
36 – Sezione controllo Regione Piemonte; parere 14 aprile 2020; Pres. Polito, Rel. Poggi; Comune di San- thià.
Enti locali – Società in house – Computo dei limiti di indebitamento – Esclusione delle rate sulle ga- ranzie prestate dall’ente – Condizioni – Accanto- namento dell’intero importo del debito garantito. Cost., art. 119; d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, t.u. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, artt. 204, 207;
l. 24 dicembre 2003, n. 350, disposizioni per la forma- zione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004), art. 3, c. 17; d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla l. 30 luglio 2010, n. 122, misure urgenti in materia di stabi- lizzazione finanziaria e di competitività economica, art. 6; d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118, disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli artt. 1 e 2 l. 5 maggio 2009, n. 42, allegato 4/2, allegato 4/3.
In presenza di una lettera di patronage forte, van- tata dalla società in house partecipata dall’ente loca- le, quest’ultimo, considerata l’equiparazione della suddetta lettera di patronage alle altre garanzie pre- state dalle pubbliche amministrazioni, potrà escludere
quest’ultima dal computo dei limiti di indebitamento soltanto nell’ipotesi di accantonamento dell’intero importo del debito garantito nel fondo rischi passività potenziali, vincolando in tal modo una quota di avan- zo di amministrazione alla copertura dell’eventuale onere a carico dell’ente per escussione del debito me- desimo. (1)
Merito – Il Comune di Santhià chiede conforto alla Corte, con riguardo all’asserita nullità della lettera, sulla legittimità di non procedere “ad accantonare somme per la liquidazione della società confinando, nel proprio consuntivo, il rischio perdita alla sola quota capitale detenuta. In alternativa sarebbe neces- sario valutare il rischio potenziale del processo di li- quidazione quale nuovo indebitamento dell’ente”.
L’ente dichiara inoltre che la lettera sarebbe stata rilasciata a favore di una società in house, controllata al 100 per cento dal comune, e perciò soggetta a quel controllo analogo (ex art. 2, lett. d), d.lgs. n. 175/2016, ricognitivo della consolidata dottrina e giurisprudenza in materia di società partecipate da enti pubblici) che comporta influenza dominante, non solo sugli obiettivi strategici della partecipata, ma altresì sulle “decisioni significative”, tra le quali ben potrebbero essere fatte ricadere le operazioni di finanziamento e di successiva gestione che ex post minaccerebbero di lasciare insod- disfatti, in tutto o in parte, i creditori della partecipata stessa.
Poiché però il solo fatto prospettato (esistenza di una missiva di patronage sottoscritta dall’allora legale rappresentante del Comune di Santhià) si configura come potenziale fonte di obbligazioni a carico del bi- lancio dell’ente, questo è tenuto ad operare i necessari appostamenti contabili in conformità alla legge e ai principi dettati dal d.lgs. n. 118/2011.
In disparte la necessità di verificare il rispetto delle disposizioni sul punto dettate dall’art. 21 del d.lgs. n. 175/2016, e dalle normative tempo per tempo vigenti in materia (giacché la liquidazione della società risulta essere stata deliberata fin dal 2013), l’esistenza di una lettera di patronage, emessa a suo tempo a nome dell’amministrazione per i debiti contratti dalla società partecipata, è considerata dalla legislazione vigente con specifiche disposizioni.
Sul punto è doveroso richiamare le argomentazioni spese dalla Sez. autonomie con delib. n. 30/2015, pe- raltro riferite a fattispecie di assunzione “consapevo- le” del debito da parte dell’ente locale, che richiamano
(1) Sul punto, v. pure Sez. autonomie, 9 novembre 2015, n. 30, in questa Rivista, 2015, fasc. 5-6, 163, si poneva in eviden- za che giacché nel termine “garanzie”, il legislatore ha voluto ricomprendere oltre ai contratti aventi natura fideiussoria ogni negozio giuridico (ad esempio contratto autonomo di garanzia, lettera di patronage forte) caratterizzato da finalità di garanzia e diretto a trasferire da un soggetto ad un altro il rischio con- nesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, gli enti sono tenuti a valutare attentamente la compatibilità del rilascio di garanzie rispetto all’indebitamento complessivo.
le indicazioni fornite dal principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria (allegato 4/2 al d.lgs. n. 118/2011) che, al punto 3.17, richiede agli enti territoriali un’attenzione specifica alle scelte in materia di indebitamento, che devono essere scrupolo- samente soppesate sia per la loro stessa portata che per i riflessi prodotti sulla conservazione degli equilibri economico-finanziari nell’esercizio in corso e in quelli successivi.
Tali operazioni, prosegue l’autorevole Consesso, “alla luce del successivo punto 3.20 del citato allegato A/2, devono essere registrate nel rispetto di quanto indicato dall’art. 3, c. 17, l. n. 350/2003 e contabiliz- zate secondo le modalità previste dall’art. 1, c. 76, l. 30 dicembre 2004, n. 311. La concessione di garanzie incide infatti sulla capacità complessiva di indebita- mento degli enti, e soggiace necessariamente ai limiti imposti dall’art. 119, ultimo comma, Cost. che vieta il ricorso all’indebitamento per spese diverse da quelle di investimento”; del resto anche la disciplina legisla- tiva di dettaglio consente agli enti locali solo di limita- re ulteriormente la possibilità di rilasciare fideiussioni, con disposizioni da dettare nel proprio regolamento di contabilità (art. 207, c. 4-bis, aggiunto dall’art. 74, d.lgs. n. 118/2011).
Tale normativa restrittiva, in materia di garanzie prestate dagli enti locali (e dettata in parallelo per le regioni e province autonome dall’art. 62, c. 6, d.lgs. n. 118/2011), trova un unico temperamento nella clauso- la di salvezza, contenuta nella parte finale dell’art. 204, c. 1, Tuel, che esclude, dal calcolo del limite quantitativo di indebitamento, le rate sulle garanzie prestate, per le quali l’ente abbia provveduto ad accan- tonare “l’intero importo del debito garantito”.
Infatti, per effetto dell’accantonamento, si conse- gue, nel rispetto dei principi di veridicità, attendibilità e prudenza, un’idonea copertura degli oneri conse- guenti all’eventuale escussione del debito per il quale è concessa la garanzia.
Del resto la giurisprudenza delle sezioni regionali di controllo, anche prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina in materia di armonizzazione conta- bile, aveva avuto modo di precisare, in materia di ga- ranzie fideiussorie, che dal rispetto dei predetti princi- pi di attendibilità e veridicità del bilancio, nonché del principio di copertura degli oneri finanziari, discende l’obbligo, per l’ente che rilascia la garanzia, di predi- sporre adeguati accantonamenti al fondo rischi (Sez. contr. reg. Veneto, n. 190/2012; Sez. contr. reg. Mar- che, n. 4/2013).
Deve, peraltro, porsi in evidenza che, secondo quanto rappresentato dalla citata Sez. autonomie, n. 30/2015, con il ricorso al termine “garanzie” adopera- to dall’art. 204 Tuel, il legislatore ha voluto ricom- prendere tutti i negozi giuridici attualmente riconduci- bili a tale categoria, e pertanto non soltanto i contratti aventi natura fideiussoria (disciplinati espressamente ex art. 207 Tuel) ma “ogni negozio giuridico (ad esempio, contratto autonomo di garanzia, lettera di patronage forte) caratterizzato da finalità di garanzia
e diretto a trasferire da un soggetto ad un altro il ri- schio connesso alla mancata esecuzione di una pre- stazione contrattuale (Cass., S.U., n. 3947/2010)”.
Vista tuttavia l’intenzione, manifestata dell’ente, di non riconoscere la posizione di garanzia in favore del- la società Sviluppo Santhià, per asserita convinzione che la citata lettera di patronage sia nulla e non possa essere opponibile al comune, è doveroso evidenziare che una tale posizione espone l’ente, con ogni proba- bilità, a un contenzioso giudiziale e alle relative spese di assistenza legale, necessarie a resistere alle pretese dei creditori che si assumono garantiti dalla lettera in questione.
Sul punto la normativa rilevante si rinviene nell’allegato 4/2 al d.lgs. n. 118/2011 e precisamente al punto 5.2 che, alla lett. h) testualmente precisa:
“h) nel caso in cui l’ente, a seguito di contenzioso in cui ha significative probabilità di soccombere, o di sentenza non definitiva e non esecutiva, sia condanna- to al pagamento di spese, in attesa degli esiti del giu- dizio, si è in presenza di una obbligazione passiva condizionata al verificarsi di un evento (l’esito del giudizio o del ricorso), con riferimento al quale non è possibile impegnare alcuna spesa. In tale situazione l’ente è tenuto ad accantonare le risorse necessarie per il pagamento degli oneri previsti dalla sentenza, stanziando nell’esercizio le relative spese che, a fine esercizio, incrementeranno il risultato di amministra- zione che dovrà essere vincolato alla copertura delle eventuali spese derivanti dalla sentenza definitiva. A tal fine si ritiene necessaria la costituzione di un ap- posito fondo rischi”. E ulteriormente che “In presenza di contenzioso di importo particolarmente rilevante, l’accantonamento annuale può essere ripartito, in quote uguali, tra gli esercizi considerati nel bilancio di previsione o a prudente valutazione dell’ente. Gli stanziamenti riguardanti il fondo rischi spese legali accantonato nella spesa degli esercizi successivi al primo, sono destinati ad essere incrementati in occa- sione dell’approvazione del bilancio di previsione successivo, per tenere conto del nuovo contenzioso formatosi alla data dell’approvazione del bilancio.
In occasione dell’approvazione del rendiconto è possibile vincolare una quota del risultato di ammini- strazione pari alla quota degli accantonamenti ri- guardanti il fondo rischi spese legali rinviati agli esercizi successivi, liberando in tal modo gli stanzia- menti di bilancio riguardanti il fondo rischi spese le- gali (in quote costanti tra gli accantonamenti stanziati nel bilancio di previsione).
È parimenti possibile ridurre gli stanziamenti di bilancio riguardanti il fondo rischi contenzioso in corso d’anno, qualora nel corso dell’esercizio il con- tenzioso, per il quale sono stati già effettuati accanto- namenti confluiti nel risultato di amministrazione dell’esercizio precedente, si riduca per effetto della conclusione dello stesso contenzioso (ad esempio, sen- tenza, estinzione del giudizio, transazione, ecc.) che consentano la riduzione dell’accantonamento previsto per lo specifico rischio di soccombenza.
L’organo di revisione dell’ente provvede a verifi- care la congruità degli accantonamenti”.
Pertanto non pare eludibile l’obbligo dell’ente di accantonare un congruo importo al fondo rischi per il contenzioso, parametrato non solo alle spese legali, ma anche all’entità dell’avversa pretesa e alle probabi- lità di accoglimento, vincolando una congrua quota del risultato di amministrazione, al fine di poter adempiere prontamente in caso di transazione o di condanna.
Va poi rammentato che, nell’ipotesi in cui l’eventuale condanna e/o soccombenza risultino di importo superiore agli accantonamenti effettuati, l’ente si troverà di fronte alla necessità di riconoscere un debito fuori bilancio ex art. 194 Tuel, con tutto ciò che ne consegue.
Inoltre, e nell’esclusivo intento di fornire all’ente un ausilio conoscitivo in ordine alla normativa e giuri- sprudenza giuscontabili concernenti le lettere di pa- tronage, è appena il caso di aggiungere alcune puntua- lizzazioni.
Va infatti doverosamente evidenziato che la tema- tica delle suddette lettere rilasciate da enti pubblici, e i relativi effetti sui bilanci di essi, è già stata oggetto di esaustive trattazioni, che si condividono e alle quali si fa rinvio, con particolare riferimento alla pronuncia della Sez. contr. reg. Liguria, n. 18/2012, resa in sede consultiva.
Quest’ultima tipologia di lettere, ove recanti speci- fici impegni a mantenere la società partecipata in con- dizioni di solvibilità, costituirebbero un rapporto di garanzia atipica, tra il comune patronnant e il credito- re garantito, assimilabile all’obbligazione del fideius- sore, con ciò esponendo l’ente garante al rischio di escussione in caso di insolvenza (o di insufficiente ri- parto in sede di liquidazione finale) della società debi- trice partecipata.
Da ciò deriva un costante filone giurisprudenziale (fin dalla delib. n. 92/2010 della Sez. contr. reg. Lom- bardia) secondo cui le lettere di patronage “forte” de- vono considerarsi una forma di indebitamento, sogget- ta ai limiti dettati ai sensi dell’art. 204 Tuel.
In quanto figura giuridica non codificata nei suoi elementi costitutivi, la lettera di patronage, sia “debo- le” che “forte” e quand’anche sottoscritta da organo funzionalmente non competente, potrebbe talora an- che ritenersi idonea a far sorgere legittimo affidamen- to, presso il creditore destinatario, in ordine al buon esito dell’operazione di finanziamento; elemento – questo – rilevante quale possibile fonte di responsabi- lità, quanto meno precontrattuale ex artt. 1336 e 1337
c.c. (Cass. 27 settembre 1995, n. 10235), e quindi fo- riero di effetti sul bilancio dell’ente.
Va quindi rammentato che, con riguardo alle ga- ranzie tipiche e atipiche a carico degli enti pubblici, la norma di riferimento è dettata dal principio contabile applicato della contabilità finanziaria, punto 5.5 dell’allegato 4/2 al d.lgs. n. 118/2011, che testualmen- te dispone: “il trattamento delle garanzie fornite dall’ente sulle passività emesse da terzi è il seguente:
al momento della concessione della garanzia, in con- tabilità finanziaria non si effettua alcuna contabilizza- zione”, giacché il debito di cui trattasi è solo eventua- le, e discende unicamente dall’ipotesi in cui la società partecipata – debitrice principale – risulti inadempien- te o insolvente.
La norma poi aggiunge: «nel rispetto del principio della prudenza, si ritiene opportuno che, nell’esercizio in cui è concessa la garanzia, l’ente ef- fettui un accantonamento tra le spese correnti tra i “Fondi di riserva e altri accantonamenti”. Tale ac- cantonamento consente di destinare una quota del ri- sultato di amministrazione a copertura dell’eventuale onere a carico dell’ente in caso di escussione del de- bito garantito» (indicazione fornita anche da Sez. contr. reg. Trentino-Alto Adige, Trento, n. 4/2020, in un caso di controllo sulla gestione di un ente locale).
La violazione del suesposto principio contabile è idonea a compromettere la veridicità e attendibilità del bilancio, come già sul punto evidenziato in un caso analogo da Sez. contr. reg. Xxxxxx-Romagna, n. 89/2016.
In difetto di tale accantonamento integrale, l’esistenza di una garanzia debitoria comporterà l’obbligo di computare gli oneri per interessi, assunti con la menzionata lettera di patronage, in relazione al limite stabilito dall’art. 204 Tuel (un decimo delle en- trate relative ai primi tre titoli di entrata del rendiconto del penultimo anno precedente quello in cui viene prevista l’assunzione di nuovo debito), come eviden- ziato da Sez. contr. reg. Puglia, n. 89/2017.
L’obbligo di appostamento contabile degli impegni derivanti da lettere di patronage “forti” è parimenti stabilito dal principio contabile della contabilità eco- nomico-patrimoniale, parte finale del punto 7.2 dell’allegato 4/3 al d.lgs. n. 118/2011 che testualmente si riporta: «È obbligatoria l’indicazione delle garanzie prestate fra fidejussioni (cui sono equiparate le lettere di patronage “forti”), xxxxxx, e garanzie reali. Per le pubbliche amministrazioni, è, altresì, obbligatorio classificare tali garanzie tra amministrazioni pubbli- che ed imprese controllate, partecipate ed altre im- prese».
Deve pertanto concludersi che l’esclusione, dal calcolo dei limiti di indebitamento, della quota inte- ressi relativa alle garanzie prestate dagli enti territoria- li, è consentita, nel rispetto dell’art. 204 Tuel, soltanto nelle ipotesi dell’accantonamento dell’intero importo del debito garantito a “fondo rischi e passività poten- ziali”, vincolando così una pari quota dell’avanzo di amministrazione e predisponendo l’ente a sopperire, in maniera tempestiva, in caso di riconoscimento (transattivo o giudiziale) dell’altrui pretesa; va altresì evidenziato che, in caso di chiusura mediante transa- zione ex art. 1965 c.c., con riconoscimento ai creditori di un importo inferiore a quello inizialmente preteso, in ragione degli esiti incerti di un giudizio, le somme accantonate in eccedenza rispetto a quelle liquidate potranno così essere celermente liberate e costituire future economie di bilancio.
L’opzione contabile ex punto 5.5 dell’allegato 4/2 al d.lgs. n. 118/2011 inoltre non implica, nei confronti dei terzi, un riconoscimento della fondatezza della lo- ro pretesa.
* * * Puglia
23 – Sezione controllo Regione Puglia; parere 24 marzo 2020; Pres. Stanco, Rel. Natali; Comune di Chieuti.
Enti locali – Comune – Dissesto finanziario – Con- ferimento incarico legale – Liquidazione parcella – Competenza dell’organismo straordinario di liqui- dazione – Condizioni.
D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, t.u. delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali, artt. 183, 252, 254,
255, 256; d.l. 29 marzo 2004, n. 80, convertito con
modificazioni dalla l. 28 maggio 2004, n. 140, dispo- sizioni urgenti in materia di enti locali, art. 5, c. 2; d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118, disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro or- ganismi, a norma degli artt. 1 e 2 l. 5 maggio 2009, n.
42, art. 3, allegato 4/2.
La parcella al libero professionista, incaricato della difesa in giudizio di un comune in fase di disse- sto con provvedimento affidato entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato, rientra nella competenza liquidatoria dell’Osl nel caso in cui venga liquidata nel periodo intercorrente fra la data della dichiarazione di disse- sto e quella dell’approvazione del rendiconto della gestione liquidatoria. (1)
(1) La deliberazione si colloca nel solco della giurispruden- za in materia di funzioni dell’Organo straordinario di liquida- zione-Osl e conferma i precedenti arresti giurisprudenziali della Corte dei conti, allineandosi, altresì, all’interpretazione fornita dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato della volontà del legislatore di rendere quanto più possibile ampia la competenza del suddetto organo, da intendersi riferita a tutti i riflessi debi- tori attuali di atti e fatti di gestione antecedenti al dissesto, al fine di riportare l’ente locale in bonis.
Sulla questione v. Sez. autonomie, 8 febbraio 2017, n. 3, in questa Rivista, 2017, fasc. 1-2, 143: nello specifico la delibera- zione precisava i compiti affidati all’Osl, fra i quali rientra l’accertamento della massa attiva con la quale far fronte alle passività individuate nel piano di rilevazione, in quanto tale organismo è chiamato a provvedere al ripiano di passività pre- gresse con i mezzi consentiti dalla legge. Per tale ragione l’Osl deve individuare, innanzitutto, le poste attive rappresentate dai residui non riscossi (comprensivi dei ruoli non ancora total- mente o parzialmente riscossi, ma anche delle entrate tributarie per le quali non siano stati predisposti i relativi ruoli e per le quali sia stata omessa la predisposizione del relativo titolo di entrata) che devono essere sottoposti a riaccertamento straordi- nario e dai ratei di mutuo disponibili, in quanto non ancora uti- lizzati dall’ente.
Premesso in fatto – Con la prima nota citata è stata formulata una richiesta di parere ex art. 7, c. 8, l. 5 giugno 2003, n. 131 in materia di dissesto degli enti locali. In particolare, dopo aver:
- ipotizzato che: i) un comune abbia dichiarato il dissesto finanziario in una data antecedente il 31 di- cembre di un anno solare (in ipotesi il 30 ottobre) e che ii) per fatti ed eventi avvenuti prima di tale dichia- razione il comune abbia conferito incarico legale per resistere in giudizio dopo la data della dichiarazione di dissesto ma prima del 31 dicembre dell’anno solare;
- evidenziato che “il dissesto si considera sino al 31 dicembre dell’anno solare”;
è stato chiesto di sapere se:
1) gli incarichi conferiti dall’ente per resistere in giudizio nell’arco temporale compreso tra la data della dichiarazione di dissesto e la chiusura dell’esercizio dell’anno solare riferito allo stesso dissesto rientrino nelle competenze dell’organo straordinario di liquida- zione o in quelle dell’ente;
2) qualora il giudizio per il quale si è provveduto a incaricare il legale nell’arco temporale indicato si concluda nell’anno successivo a quello della dichiara- zione di dissesto, la parcella vada imputata all’esercizio di competenza dell’organo straordinario di liquidazione o all’esercizio di contabilità ordinaria del comune.
Con la seconda delle citate note, integrativa della prima, è stato chiesto di conoscere se, laddove l’incarico al legale sia stato affidato nell’intervallo tra la dichiarazione del dissesto e la competenza dell’anno solare afferente al dissesto, ma tutti gli atti e le attività propedeutiche da parte dello stesso legale si svolgano negli anni successivi alla dichiarazione di dissesto, le parcelle relative alle attività poste in essere siano da imputare all’esercizio di competenza dell’organo straordinario di liquidazione o all’esercizio di contabilità ordinaria del comune. (Omissis)
Considerato in diritto – (Omissis) 7. È possibile ri- spondere ai quesiti del comune nei termini seguenti.
7.1. Il conferimento di un incarico legale nell’arco temporale ipotizzato (tra il 30 ottobre di un anno sola- re – data dell’ipotizzata dichiarazione di dissesto – e il successivo 31 dicembre) integra uno degli “atti di ge- stione verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno pre- cedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato” ex art. 252, c. 2, Tuel (di competenza dell’Osl) laddo- ve il consiglio comunale dell’ente dissestato abbia presentato l’ipotesi di bilancio di previsione stabil- mente riequilibrato nell’anno successivo a quello della
Sempre in materia di competenze dell’Organo straordinario di liquidazione, v. pure Sez. contr. reg. Campania, 8 maggio 2019, n. 104, in questa Rivista, 2019, fasc. 3, 149, in cui si pre- cisa che, in caso di dissesto finanziario, in deroga al principio di separazione fra la gestione della massa passiva e la gestione corrente, spetta al suddetto Osl l’amministrazione dei residui attivi e passivi relativi ai fondi a gestione vincolata. [P. COSA]
dichiarazione di dissesto (nel rispetto del termine pe- rentorio di tre mesi dal decreto di nomina dell’Osl: art. 259, c. 1, Tuel).
7.2. Ove si realizzi l’ipotesi che precede, non appa- re dubitabile che l’obbligazione pecuniaria derivante dal conferimento dell’incarico integri per l’ente locale un debito “correlato” a tale atto di gestione, ai sensi dell’art. 5, c. 2, d.l. n. 80/2004.
È stato infatti chiarito che tale disposizione con
«l’utilizzo del termine “correlati” fa riferimento al momento genetico della nascita dell’obbligazione […] Invero, la giurisprudenza amministrativa formatasi sulla nuova norma ha ritenuto che la stessa debba es- sere letta in accordo con la logica del sistema, e con le ragioni giustificatrici della speciale previsione de- rogatoria, di “isolare” i costi economici della gestio- ne dissestata all’interno della speciale procedura concorsuale volta al risanamento dell’ente e di evitare che le scelte gestionali pregresse, maturate al tempo della gestione diseconomica, continuino a riverberare senza limiti i loro effetti negativi sui bilanci successi- vi, con un approccio sostanzialistico che guarda più all’atto o fatto di gestione, anziché al dato formale della qualificazione dei conseguenti debiti in termini civilistici di perfezione, esigibilità, certezza, liquidità ecc. (cfr. Tar Campania, Napoli, Sez. V, sent. 8 giu- gno 2006, n. 6804). Pertanto, devono ritenersi di competenza dell’organismo straordinario di liquida- zione tutti i debiti derivanti da obbligazioni sorte in forza di atti di gestione posti in essere, dalla pubblica amministrazione, fino al 31 dicembre dell’anno pre- cedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato […] il tenore letterale dell’art. 0, x. 0, xxx xxxxxx xx- xxxxx legge (“debiti correlati ad atti e fatti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi in bilancio riequilibrato”) nel ri- ferirsi genericamente ai “debiti” non legittima alcuna distinzione in relazione al possesso dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità» (Trib. Arezzo, 8 giu- gno 2016, n. 708).
7.3. Nel caso del conferimento di un incarico pro- fessionale si è in presenza di un contratto d’opera in- tellettuale a prestazioni corrispettive con adempimento non contestuale ma differito; dal contratto sorge a ca- rico del soggetto conferente un’obbligazione di paga- mento non liquida ed esigibile, destinata a divenire tale a seguito dello svolgimento della prestazione pro- fessionale.
Si riscontra, in altri termini, la nascita di un’obbligazione giuridicamente perfezionata, oggetto di impegno contabile secondo le illustrate regole dell’allegato n. 4/2 al d.lgs. n. 118/2011, priva del re- quisito di liquidità e esigibilità per la prestazione pro- fessionale non ancora eseguita.
In proposito, in linea con la deliberazione della se- zione n. 104/2019, il collegio richiama, condividendo- lo, quanto affermato dal giudice amministrativo (Cga reg. Siciliana, 29 ottobre 2018, n. 580, richiamata di
recente da Tar Sicilia, 5 dicembre 2019, n. 2811):
«la dichiarazione di dissesto di un ente locale pre- clude le azioni esecutive e assoggetta a procedura li- quidatoria tutte le obbligazioni derivanti da fatti o atti intervenuti prima della dichiarazione di dissesto, an- che se tali obbligazioni siano state liquidate in via de- finitiva solo successivamente (Cga reg. Siciliana, 9 luglio 2018, n. 382; 2 maggio 2017, n. 203; 3 giugno
2015, n. 423).
La tesi è seguita anche dal Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. IV, 9 aprile 2018 n. 2141).
È dunque irrilevante la nozione di liquidità ed esi- gibilità del credito prima o dopo la dichiarazione di dissesto: anche i debiti dell’ente locale che diventano liquidi ed esigibili dopo la dichiarazione di dissesto entrano nella massa passiva e nella liquidazione con- corsuale, se derivano da fatti e atti di gestione ante- riori alla dichiarazione di dissesto medesima.
La ratio legis è garantire la par condicio credito- rum, e l’esegesi che attrae alla procedura concorsua- le tutti i debiti dell’ente locale imputabili a fatti o atti di gestione anteriori alla dichiarazione di dissesto è più satisfattiva di tale ratio rispetto all’esegesi che la- scia sfuggire alla massa passiva, consentendo la pro- secuzione di azioni esecutive individuali, i debiti dive- xxxx liquidi ed esigibili dopo la dichiarazione di disse- sto, anche se sorti prima di essa, senza avere dunque riguardo al fatto genetico dell’obbligazione, ma solo al momento, del tutto contingente e legato a eventi ca- suali e non controllabili e prevedibili, in cui il debito diventa esigibile.
Del resto, la ricostruzione interpretativa cui il col- legio ha aderito e aderisce, trova avallo non solo in recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. IV,
n. 2141/2018, cit.), ma anche negli indirizzi espressi da parte della Corte costituzionale, nella sent. 21 giu- gno 2013, n. 154, relativa alle analoghe disposizioni vigenti per le obbligazioni rientranti nella gestione commissariale del Comune di Roma (art. 4, c. 8-bis, ultimo periodo, d.l. n. 2/2010, convertito dalla l. n. 42/2010 nella parte in cui dispone, “ai fini di una cor- retta imputazione del piano di rientro”, che il primo periodo del c. 3 dell’art. 78 del d.l. n. 112/2008 “si interpreta nel senso che la gestione commissariale del comune assume, con bilancio separato rispetto a quel- lo della gestione ordinaria, tutte le obbligazioni deri- vanti da fatti o atti posti in essere fino alla data del 28 aprile 2008, anche qualora le stesse siano accertate e i relativi crediti liquidati con sentenze pubblicate suc- cessivamente alla medesima data”).
La Corte ha ribadito che “in una procedura con- corsuale – tipica di uno stato di dissesto – una norma che ancori ad una certa data il fatto o l’atto genetico dell’obbligazione è logica e coerente, proprio a tutela dell’eguaglianza tra i creditori, mentre la circostanza che l’accertamento del credito intervenga successiva- mente è irrilevante ai fini dell’imputazione”.
Secondo la Corte, sarebbe infatti “irragionevole il contrario, giacché farebbe difetto una regola precisa per individuare i crediti imputabili alla gestione com- missariale o a quella ordinaria e tutto sarebbe affidato
alla casualità del momento in cui si forma il titolo ese- cutivo, anche all’esito di una procedura giudiziaria di durata non prevedibile. La fissazione di una data per distinguere le due gestioni avrebbe un valore soltanto relativo, ne sarebbe perseguito in modo efficace l’obiettivo di tenere indenne la gestione ordinaria [...] dagli effetti del debito pregresso”».
7.4. Deve, in ogni caso, essere adeguatamente se- gnalato come sussista una rilevante problematica in- terpretativa sull’art. 5, c. 2, d.l. n. 80/2004, sul quale verte proprio il proposto quesito.
In particolare, con specifico riferimento all’individuazione delle risorse destinate a finanziare gli oneri derivanti dall’adozione, dopo il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato, del provvedimento di c.d. acquisizione sanante ex art. 00-xxx xxx x.x.x. 0 xxxxxx 0000, x. 000 (xxxxxxx xx “X.x. delle disposizioni legislative e rego- lamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità»), con ord. n. 1994 del 20 marzo 2020 la Sezio- ne IV del Consiglio di Stato ha rimesso all’Adunanza plenaria la risoluzione di un contrasto giurisprudenzia- le in ordine all’interpretazione dell’art. 5, c. 2, d.l. n. 80/2004, dando atto dell’esistenza di due indirizzi:
- per il primo, che valorizza il dato formale, “il provvedimento de quo avrebbe un carattere non rico- gnitivo (di un debito preesistente), ma costitutivo (di una posta passiva prima inesistente). […] giacché l’emanazione di un provvedimento di acquisizione sa- nante dopo la dichiarazione di dissesto (recte, dopo il
31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato) determinerebbe la costituzione ex novo di una posta passiva in capo al comune, i relativi oneri non potrebbero che gravare sul bilancio ordinario dell’ente”;
- per il secondo, che privilegia invece considera- zioni di carattere sostanziale, sistematico e teleologi- co, «si deve attribuire importanza decisiva non al momento in cui si è strutturalmente realizzata la fatti- specie costitutiva dell’obbligazione, bensì al nesso causale e funzionale che lega l’attuale obbligazione all’illegittimo “atto o fatto di gestione” pregresso. […] pertanto, anche un’obbligazione civilisticamente sorta ex novo dopo la dichiarazione di dissesto (recte, dopo il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato, purché prima della chiusura della gestione straordinaria) rientre- rebbe nella competenza dell’organo di liquidazione, ove comunque direttamente correlata ad un illegittimo “atto o fatto di gestione” antecedente al dissesto, di cui, in un’ottica di analisi economica del diritto, rap- presenti nient’altro che l’attuale riflesso pecuniario».
Nel rimettere all’Adunanza plenaria la soluzione del contrasto giurisprudenziale richiamato, la Sezione IV ha aggiunto le seguenti ulteriori considerazioni a quelle poste a sostegno del secondo degli indirizzi ri- feriti:
- l’art. 5, c. 2, d.l. n. 80/2004 sottende, con ogni evidenza, “la volontà del legislatore di rendere quan- to più possibile ampia la competenza dell’organo straordinario di liquidazione”;
- alla luce del significato generale dell’espressione “correlazione”, è «ragionevole ritenere che la disposi- zione abbia inteso concentrare in capo alla gestione straordinaria, senza alcuna eccezione, tutte le poste debitorie comunali comunque causalmente e funzio- nalmente rivenienti da scelte e condotte gestionali an- teriori al dissesto, a prescindere dalla relativa quali- ficazione giuridica, dall’eventuale sopravvenienza al dissesto e dall’intervenuta emanazione, in proposito, di pronunce giurisdizionali. Si propugna, in sostanza, un’esegesi delle disposizioni in commento che attri- buisca carattere integrale, generale ed omnicompren- sivo alla competenza dell’organo straordinario, da intendersi riferita a tutti i riflessi debitori attuali (an- che, dunque, sopravvenuti ex novo) di “atti e fatti di gestione” antecedenti al dissesto»;
- lo scopo della procedura di dissesto è quello di
«riportare l’ente locale in bonis, escludendo dal rela- tivo bilancio tutte le poste debitorie comunque con- nesse alla condotta amministrativa pregressa: la pro- cedura, infatti, tende a “sterilizzare” tutte le attuali conseguenze negative, in termini patrimoniali e finan- ziari, degli “atti e fatti di gestione” antecedenti al dis- sesto, consentendo in tal modo l’ordinata ripresa del- le funzioni istituzionali dell’ente».
7.5. In definitiva, anche tenuto conto delle conside- razioni da ultimo richiamate, ritenendo preferibile l’interpretazione di una maggiore estensione delle competenze dell’Osl, è possibile concludere che:
- i debiti certi, liquidi ed esigibili correlati a fatti e atti verificatosi entro il 31 dicembre dell’anno prece- dente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato rientrano nella competenza dell’Osl;
- i debiti non certi, non liquidi e non esigibili corre- lati ai medesimi fatti e atti rientrano nella competenza dell’Osl laddove diventino certi, liquidi ed esigibili anche successivamente al 31 dicembre dell’anno pre- cedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato ma comunque non oltre la data di approvazione del rendiconto della gestione da parte dello stesso Xxx ex art. 256, c. 11, Tuel;
- il conferimento di un incarico legale avvenuto en- tro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato si pone come fatto genetico di un debito nei confronti del comune disse- stato, destinato a ricadere nella competenza liquidato- ria dell’Osl ove la relativa parcella – che rende liquida ed esigibile l’obbligazione pecuniaria – intervenga dopo la data della dichiarazione di dissesto ma entro quella di approvazione del rendiconto della gestione da parte dell’Osl.
26 – Sezione controllo Regione Puglia; parere 24 marzo 2020; Pres. Stanco, Rel. Xxxxxx; Comune di Noicattaro.
Enti locali – Amministratori – Indennità di carica
– Riduzione – Permanenza dell’obbligo di applica- zione – Condizioni.
D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, t.u. delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali, artt. 82, c. 8, 183,
252, 254-256; l. 23 dicembre 2005, n. 266, disposizio- ni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006), art. 1, c. 54; d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118, disposizioni in materia di ar- monizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro orga- nismi, a norma degli artt. 1 e 2 l. 5 maggio 2009, n.
42, art. 3, allegato 4/2.
Deve considerarsi tuttora vigente l’obbligo di ri- duzione dell’indennità di carica degli amministratori locali prevista dall’art. 1, c. 54, l. n. 266/2005, che si salda in modo permanente alla misura tabellare mini- steriale, andando con essa a costituire il quantum del- la remunerazione fissa della funzione pubblica in pa- rola. (1)
Fatto – Il sindaco del Comune di Noicattaro (BA), con nota del 10 febbraio 2020, ha formulato richiesta di parere in ordine alla interpretazione dell’art. 1 della
l. 23 dicembre 2005, n. 266 e dell’art. 5, c. 7, d.l. 3 maggio 2010, n. 78, convertito dalla l. n. 122/2010, chiedendo “di conoscere se gli enti locali operano le- gittimamente attenendosi a quanto disposto dall’art. 82, c. 8, Tuel e dal regolamento emanato con d.m. del 4 aprile 2000, n. 119, in particolare se risulta cessata la riduzione della indennità di carica prevista dal c. 54 della l. n. 266/2005 e quindi non più applicabile alla indennità di carica degli amministratori locali. Inoltre si domanda se le riduzioni previste dal d.l. n. 78/2010 trovano ugualmente applicazione alle inden- nità di funzione degli amministratori e si possano ac-
(1) Sulla questione, v. Sez. autonomie, 6 ottobre 2014, n. 24, in questa Rivista, 2014, fasc. 5-6, 90: nello specifico la de- liberazione precisava che la previsione contenuta nell’art. 1, c. 54, l. n. 266/2005 non incideva sul meccanismo tabellare per scaglioni previsto dal d.m. n. 119/2000, consentendo all’ente locale che transitava da una classe demografica all’altra di de- terminare l’indennità sulla quale applicare le riduzioni previste in modo conforme alla nuova classe di appartenenza. Successi- vamente la stessa sezione si è espressa in merito alla questione con delib. n. 3/2015 e n. 35/2016.
Sempre in materia v. pure Sez. contr. reg. Lombardia, 21 dicembre 2017, n. 382, in <www.self.entilocali> in cui si preci- sa che la soglia, stabilita dal d.m. 4 agosto 2000, n. 119 in ra- gione della dimensione demografica dell’ente, rappresenta la misura teorica massima entro la quale possono essere rideter- minate le indennità degli amministratori da sottoporre, comun- que, all’abbattimento percentuale previsto dall’art. 1, c. 54, l. n. 266/2005, da applicarsi all’indennità risultante alla data del 30 settembre 2005, come ribadito dalla consolidata giurisprudenza contabile.
cumulare con ulteriori riduzioni di cui alla l. n. 266/2005”.
Considerato in diritto – (Omissis) Nel merito del quesito proposto, la disciplina di riferimento è dettata, innanzitutto, dall’art. 82, c. 8, Tuel, in virtù del quale le indennità di funzione del sindaco e dei componenti la giunta comunale sono determinate con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economi- ca (ora Ministro dell’economia e delle finanze) nel ri- spetto dei parametri ivi indicati (quali, ad esempio, la dimensione demografica degli enti).
Il regolamento attualmente vigente è stato adottato con d.m. 4 aprile 2000, n. 119 (approvato ai sensi dell’art. 23, c. 9, l. n. 265/1999, norma successiva- mente trasfusa nell’art. 82 Tuel).
Su tale base normativa è intervenuto l’art. 1, c. 54,
l. n. 266/2005 (legge finanziaria 2006), il quale ha previsto che per “esigenze di coordinamento della fi- nanza pubblica” sono rideterminate “in riduzione nel- la misura del 10 per cento rispetto all’ammontare ri- sultante alla data del 30 settembre 2005” (tra l’altro) le indennità di funzione spettanti ai sindaci e ai com- ponenti degli organi esecutivi (lett. a).
La riduzione diviene del 30 per cento rispetto all’ammontare risultante alla data del 30 giugno 2008, ai sensi dell’art. 61, c. 10, d.l. n. 112/2008, per gli enti che nell’anno precedente non hanno rispettato il patto di stabilità.
La Sezione delle autonomie, con delib. n. 24/2014, nell’affermare il principio di diritto secondo il quale “la previsione di cui all’art. 1, c. 54, l. 26 dicembre 2005, n. 266 non incide sul meccanismo tabellare per scaglioni previsto dal d.m. n. 119/2000, ancora vigen- te, talché, nel caso in cui l’ente transiti in diversa classe demografica, l’indennità su cui operare la ri- duzione del 10 per cento dovrà essere determinata in conformità” ha premesso che “l’effetto di sterilizza- zione permanente del sistema di determinazione delle indennità e dei gettoni di presenza […] sia ancora at- tuale e vigente”, con ciò ribadendo gli approdi erme- neutici già espressi dalle Sezioni riunite in sede di controllo per i quali “la disposizione di cui all’art. 1,
c. 54, l. n. 266/2005 sia disposizione ancora vigente, in quanto ha prodotto un effetto incisivo sul calcolo delle indennità in questione che perdura ancora, e non può essere prospettata la possibilità di riespande- re i valori delle indennità così come erano prima della legge finanziaria 2006” (Sez. riun. contr., n. 1/2012).
Successivamente, la medesima Sezione delle auto- nomie, con delib. n. 3/2015, ha enunciato il principio di diritto per il quale “Alla stregua della normativa vigente e delle interpretazioni rese con pronunce di orientamento generale (cfr. Sez. riun. contr., n. 1/2012; Sez. autonomie, n. 24/2014), gli enti, ricor- rendone i presupposti, possono operare le maggiora- zioni previste dall’art. 2, lett. a), b) e c), d.m. n. 119/2000”.
Si ricorda che la facoltà di maggiorazione di cui al sopra menzionato regolamento, fatta salva da tale pro- nuncia, attiene, esclusivamente, alle seguenti ipotesi, tra loro cumulabili:
a) incremento, verificato anche attraverso i consu- mi idrici ed altri dati univoci ed obiettivamente rileva- bili e attestato dall’ente interessato, del 5 per cento per i comuni caratterizzati da fluttuazioni stagionali della popolazione, tali da alterare, incrementandolo del 30 per cento, il parametro della popolazione dimorante;
b) incremento del 3 per cento per gli enti la cui percentuale di entrate proprie rispetto al totale delle entrate, risultante dall’ultimo conto del bilancio ap- provato, sia superiore alla media regionale per fasce demografiche di cui alle tabelle B e B1 allegate al de- creto medesimo;
c) del 2 per cento per gli enti la cui spesa corrente pro capite risultante dall’ultimo conto del bilancio ap- provato sia superiore alla media regionale per fasce demografiche di cui alle tabelle C e C1 allegate al de- creto medesimo.
La base di tali incrementi sono gli importi di cui alla tabella A del decreto in analisi, a loro volta para- metrati sulla popolazione dell’ente.
Successivamente, la medesima Sezione delle auto- nomie, con delib. n. 35/2016, ha statuito i seguenti principi:
«1. con riferimento all’individuazione della nor- mativa applicabile al fine del calcolo dell’invarianza della spesa all’atto dell’entrata in vigore della l. n. 56/2014, la locuzione “legislazione vigente” contenu- ta nel testo è da intendere riferita alle disposizioni del
d.l. n. 138/2011 che fissano il numero degli ammini- stratori, ancorché non materialmente applicate;
2. il principio di invarianza di spesa di cui all’art. 1, c. 136, l. n. 56/2014, riguarda soltanto gli oneri connessi all’espletamento delle attività relative allo status di amministratore locale (tra cui i gettoni di presenza dei consiglieri degli enti locali) che vanno determinati secondo il criterio della spesa storica;
3. non sono oggetto di rideterminazione gli oneri relativi ai permessi retribuiti, agli oneri previdenziali, assistenziali ed assicurativi di cui agli artt. 80 e 86 Tuel, il cui computo è escluso dalla stessa norma;
4. non è oggetto di rideterminazione l’indennità di funzione relativa all’esercizio dello status di ammini- stratore, che spetta nella misura prevista dalla tabella A del d.m. n. 119/2000, con la riduzione di cui all’art. 1, c. 54, l. n. 266/2005».
Tale deliberazione, nella parte motivazionale, riaf- ferma l’orientamento (riprendendo le pronunce della Sez. contr. reg. Lazio, nn. 17 e 208/2015, e n. 102/2016) per il quale “Risulta […] affermato il prin- cipio in base al quale, in sede di rimodulazione del numero degli amministratori in applicazione della l.
n. 56/2014, l’indennità di funzione del sindaco da considerare è quella massima prevista dalla tabella A del d.m. 4 aprile 2000, n. 119, che sarebbe spettata al sindaco medesimo in relazione alla classe demografi-
ca del proprio ente, indipendentemente da eventuali situazioni personali che possono averlo riguardato.
A tale importo deve applicarsi la decurtazione del 10 per cento prevista dall’art. 1, c. 54, l. n. 266/2005, alla stregua anche dei principi affermati dalle Sezioni riunite della Corte nella delib. n. 1/2012”.
Da tali principii emerge che la riduzione di cui alla
l. n. 266/2005 si salda permanentemente, in base alla legislazione vigente, alla misura tabellare ministeriale dell’indennità di funzione (modificabile in aumento nei termini descritti) andando con essa a costituire il quantum della remunerazione fissa della funzione pubblica in argomento.
Di diversa natura sono le attribuzioni variabili solo “connesse” alla funzione medesima (quali, ad esem- pio, i rimborsi spese di missione).
Da ultimo, va ricordato come l’art. 1, c. 552, l. 27 dicembre 2019, n. 160 (recante il “Bilancio di previ- sione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilan- cio pluriennale per il triennio 2020-2022”), nel modi- ficare l’art. 2, c. 25, lett. d), l. 24 dicembre 2007, n. 244, abbia stabilito che “Le disposizioni di cui all’art. 2, c. 25, lett. d), l. 24 dicembre 2007, n. 244, e all’art.
76, c. 3, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla l. 6 agosto 2008, n. 133, sono da intendersi riferite al divieto di applicare incrementi ulteriori rispetto all’ammontare dei gettoni di presen- za e delle indennità spettanti agli amministratori loca- li e già in godimento alla data di entrata in vigore del- le suddette disposizioni, fermi restando gli incrementi qualora precedentemente determinati secondo le di- sposizioni vigenti fino a tale data”.
In effetti, l’art. 2, c. 25, lett. d), l. 24 dicembre 2007, n. 244 aveva previsto che al c. 11 dell’art. 82 Tuel, il primo periodo fosse sostituito dai seguenti: “Le indennità di funzione, determinate ai sensi del c. 8, possono essere incrementate con delibera di giunta, relativamente ai sindaci, ai presidenti di provincia e agli assessori comunali e provinciali, e con delibera di consiglio per i presidenti delle assemblee. Sono esclusi dalla possibilità di incremento gli enti locali in condizioni di dissesto finanziario fino alla conclusione dello stesso, nonché gli enti locali che non rispettano il patto di stabilità interno fino all’accertamento del rientro dei parametri. Le delibere adottate in viola- zione del precedente periodo sono nulle di diritto. La corresponsione dei gettoni di presenza è comunque subordinata alla effettiva partecipazione del consi- gliere a consigli e commissioni; il regolamento ne stabilisce termini e modalità” e il terzo periodo fosse soppresso; tuttavia, l’art. 76, c. 3, d.l. 25 giugno 2008,
n. 112, convertito con modificazioni dalla l. 6 agosto 2008, n. 133, ha modificato il c. 11 dell’art. 82 Tuel nei seguenti termini (versione peraltro vigente): “La corresponsione dei gettoni di presenza è comunque subordinata alla effettiva partecipazione del consi- gliere a consigli e commissioni; il regolamento ne stabilisce termini e modalità”.
Chiarita, quindi, l’attualità e vigenza della norma di cui all’art. 0, x. 00, x. x. 000/0000, xx analizzata la
parte del quesito relativa all’art. 5, c. 7, d.l. n. 78/2010, convertito dalla l. n. 122/2010.
A tal proposito, non può non richiamarsi ancora una volta quanto statuito dalle Sezioni riunite della Corte dei conti con delib. 12 gennaio 2012, n. 1, resa nell’esercizio delle proprie funzioni nomofilattiche ai sensi dell’art. 17, c. 31, d.l. 1 luglio 2009, n. 78, con- vertito con modificazioni dalla l. 3 agosto 2009, n. 102.
Le Sezioni riunite dopo aver dato atto che “dal coordinamento delle disposizioni contenute nella leg- ge finanziaria 2006, con quelle successivamente inter- venute in materia, emerge un quadro in base al quale gli importi spettanti agli interessati restano cristalliz- zati a quelli spettanti alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 112/2008, in quanto immodificabili in aumen- to a partire dalla predetta data”, come ut supra già ricordato, hanno concluso nel senso della vigenza del- la decurtazione operata dall’art. 1, c. 54, l. n. 266/2005.
Si è affermato, infatti, che: “all’attualità, l’ammontare delle indennità e dei gettoni di presenza spettanti agli amministratori e agli organi politici del- le regioni e degli enti locali, non possa che essere quello in godimento alla data di entrata in vigore del citato d.l. n. 112/2008, cioè dell’importo ridetermina- to in diminuzione ai sensi della legge finanziaria 2006; ritengono altresì di richiamare come l’intera materia concernente il meccanismo di determinazione degli emolumenti all’esame è stata da ultimo rivista dall’art. 5, c. 7, d.l. n. 78/2010, convertito dalla l. n. 122 del medesimo anno, che demanda ad un successi- vo decreto del Ministro dell’interno la revisione degli importi tabellari, originariamente contenuti nel d.m. 4 agosto [recte: aprile] 2000, n. 119 sulla base di pa- rametri legati alla popolazione, in parte diversi da quelli originariamente previsti. Ad oggi, il decreto non risulta ancora approvato e deve pertanto ritenersi ancora vigente il precedente meccanismo di determi- nazione dei compensi”.
Successivamente tale autorevole soluzione inter- pretativa è stata confermata da varie decisioni delle sezioni regionali che si sono conformate alla predetta pronuncia di orientamento generale (cfr. Sez. contr. reg. Toscana, n. 19/2013; Sez. contr. reg. Basilicata, n. 92/2014; Sez. contr. reg. Piemonte, n. 200/2014; Sez. contr. reg. Lombardia, n. 382/2017; Sez. contr. reg. Lazio, n. 93/2019).
Il collegio ritiene pertanto di non discostarsi dall’autorevole e consolidato orientamento esposto e, pertanto, ribadisce la vigenza del meccanismo di de- terminazione dei compensi ut supra indicato, che ri- chiede l’applicazione della riduzione della indennità di carica di cui all’art. 1, c. 54, l. n. 266/2005 mentre, in assenza del relativo d.m., non opera quella ex art. 5, c. 7, d.l. n. 78/2010, convertito dalla l. n. 122/2010.
28 – Sezione controllo Regione Puglia; parere 26 marzo 2020; Pres. Stanco, Rel. Picuno; Comune di Barletta.
Enti locali – Comune – Patrimonio comunale – Ar- redi scolastici –– Onere per lo smaltimento – Com- petenza del comune proprietario.
C.c., artt. 826, 828; d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, t.u. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, artt. 229, 30, 233; d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118, disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli artt. 1 e 2 l. 5 maggio 2009, n. 42, art. 3, allegato 4/2; d.interm.28 agosto 2018, n. 129, regolamento recante istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istitu- zioni scolastiche, ai sensi dell’art. 1, c. 143, l. 13 lu- glio 2015, n. 107.
Gli arredi scolastici, ivi compresi armadi, scaffali, biblioteche sono acquistati con oneri a carico dei co- muni ed entrano a far parte del patrimonio comunale, quali mobili di natura indisponibile per la loro desti- nazione esclusiva al servizio scolastico e gli stessi comuni devono occuparsi della loro manutenzione, come della successiva dismissione, sostenendo anche gli eventuali oneri per lo smaltimento.
Diritto – (Omissis) 2. Nel merito, il collegio osser- va che l’art. 85, c. 3, d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297 re- cante “Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative al- le scuole di ogni ordine e grado” prevede che “La ma- teria dell’edilizia scolastica nella scuola elementare e media comprende altresì gli oneri per l’arredamento e per le attrezzature” e il successivo art. 159 dispone che “1. Spetta ai comuni provvedere al riscaldamento, alla illuminazione, ai servizi, alla custodia delle scuo- le e alle spese necessarie per l’acquisto, la manuten- zione, il rinnovamento del materiale didattico, degli arredi scolastici, ivi compresi gli armadi o scaffali per le biblioteche scolastiche, degli attrezzi ginnici e per le forniture dei registri e degli stampati occorrenti per tutte le scuole elementari, salvo che per le scuole an- nesse ai convitti nazionali ed agli educandati femmini- li dello Stato, per le quali si provvede ai sensi dell’art.
139. 2. Sono inoltre a carico dei comuni le spese per l’arredamento, l’illuminazione, il riscaldamento, la custodia e la pulizia delle direzioni didattiche nonché la fornitura alle stesse degli stampati e degli oggetti di cancelleria”.
Peraltro, l’art. 3, c. 2, l. 11 gennaio 1996, n. 23, re- cante “Norme per l’edilizia scolastica”, prevede che nella realizzazione di interventi di realizzazione, forni- tura e manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici scolastici i comuni, per quelli da destinare a sede di scuole materne, elementari e medie, “provve- dono altresì alle spese varie di ufficio e per l’arredamento”.
L’art. 826 c.c., rubricato “Patrimonio dello Stato, delle province e dei comuni”, al c. 3 statuisce che:
“Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni, se- condo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni de- stinati a un pubblico servizio”.
Il c. 2 dell’art. 828 c.c. precisa che: “I beni che fanno parte del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano”.
Il d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Tuel) contiene una disciplina sul patrimonio degli enti locali e indicazioni sugli inventari (artt. 229, 230 e 233), con rinvio al d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118 e successive modifica- zioni e ai relativi principi contabili.
Va aggiunto che l’art. 31, c. 4, d.interm. 28 agosto 2018, n. 129 “Regolamento recante istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istitu- zioni scolastiche, ai sensi dell’art. 1, c. 143, l. 13 lu- glio 2015, n. 107”, ha previsto che: “I beni mobili e immobili appartenenti a soggetti terzi, pubblici o pri- vati, concessi a qualsiasi titolo alle istituzioni scola- stiche, sono iscritti in appositi e separati inventari, con l’indicazione della denominazione del soggetto concedente, del titolo di concessione e delle disposi- zioni impartite dai soggetti concedenti” e il successivo art. 34 riferito a “Vendita di materiali fuori uso e di beni non più utilizzabili” prevede, al c. 3, che “Nel ca- so in cui la gara sia andata deserta, i materiali fuori uso per cause tecniche possono essere ceduti a tratta- tiva privata o a titolo gratuito e, in mancanza, desti- nati allo smaltimento, nel rispetto delle vigenti norma- tive in materia di tutela ambientale e di smaltimento dei rifiuti”.
In relazione al breve excursus normativo descritto, premesso che gli arredi scolastici acquistati ai sensi della richiamata disciplina entrano a far parte del pa- trimonio comunale quali beni mobili di natura indi- sponibile per la loro destinazione al servizio scolastico pubblico, può concludersi che l’ente locale proprieta- rio debba curare anche la fase della loro dismissione, e, in assenza di diversa disciplina regolamentare, pro- cedere alla loro cessione, acquisendo gli eventuali ri- cavi, o al successivo smaltimento, sostenendone i rela- tivi oneri.
La scuola, invece, provvederà per i propri beni in conformità con quanto previsto dal d.interm. 28 ago- sto 2018, n. 129.
31 – Sezione controllo Regione Puglia; parere 9 aprile 2020; Pres. Stanco, Rel. Natali; Comune di Chieuti.
Contabilità regionale e degli enti locali – Comune – Entrate da alienazione alloggi-Erp – Destinazione vincolata – Vincolo specifico ed esclusivo – Perma- nenza.
L. 26 aprile 1983, n. 130, disposizioni per la forma- zione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1983), art. 10; l. 24 dicembre 1993,
n. 560, norme in materia di alienazione degli alloggi
di edilizia residenziale pubblica; d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, t.u. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, artt. 180, 185, 187, 195, 222; l. 31 dicem- bre 2009, n. 196, legge di contabilità e finanza pubbli- ca, art. 21, c. 2; d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118, disposi- zioni in materia di armonizzazione dei sistemi conta- bili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli artt. 1 e 2 l. 5 maggio 2009, n. 42, art. 3, allegato 4/2; d.l. 28 mar- zo 2014, n. 47, convertito con modificazioni dalla l.
23 maggio 2014, n. 80, misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015.
I proventi derivanti dalle alienazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica (Erp) devono essere destinati dagli enti locali proprietari alla realizzazio- ne di nuovi alloggi ed alla manutenzione straordina- ria del patrimonio esistente, il vincolo di destinazione imposto dalla legge non ha carattere generico bensì specifico, ai sensi dell’art. 180, c. 3, lett. d), Tuel, e comporta il rispetto dei vincoli e dei limiti di cui al combinato disposto degli artt. 195 e 222 dello stesso t.u., oltre alla necessaria contabilizzazione delle pre- dette risorse da parte degli Iacp territorialmente com- petenti attraverso il versamento in apposito conto cor- rente. (1)
Fatto – Con la nota citata è stata formulata una ri- chiesta di parere ex art. 7, c. 8, l. 5 giugno 2003, n. 131 in materia di contabilizzazione di entrate vincola- te per legge. In particolare, dopo aver premesso che:
- il c. 13 dell’articolo unico della l. 24 dicembre 1993, n. 560, in materia di alienazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica (Erp), stabilisce che i
(1) La sezione nello scrutinare la questione sottoposta dal Comune di Chieuti ha rammentato l’intervento del giudice del- le leggi che con sent. n. 38/2016 ha dichiarato l’incostituzionalità delle disposizioni recate dalla l. reg. Puglia 5 dicembre 2014, n. 48 che prevedeva la possibilità per gli enti locali del territorio che non versassero in stato di dissesto fi- nanziario di destinare una quota dei proventi delle alienazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica al pagamento di imposte gravanti sugli immobili di loro proprietà, al fine di ri- spettare il vincolo del pareggio di bilancio. L’asseverato con- trasto con l’art. 117 Cost. trova motivazione nella scelta effet- tuata dal legislatore nazionale di potenziamento del patrimonio di edilizia residenziale pubblica, diretta a fronteggiare l’emergenza abitativa e la crisi del mercato delle costruzioni, tanto da considerare il vincolo di destinazione esclusiva quale espressione del principio fondamentale del coordinamento della finanza pubblica.
Gli interventi cui devono essere finalizzate le risorse vinco- late a destinazione specifica ex art. 180, c. 3, Tuel costituiscono oggetto di programmi straordinari consistenti in aggregati di spesa per finalità omogenea diretti al perseguimento di risultati definiti in termini di prodotti e di servizi finali allo scopo di conseguire gli obiettivi stabiliti nell’ambito delle missioni. A tal fine la l. n. 560/1993 prevede il versamento dei suddetti in- troiti in apposito conto corrente denominato Fondi Cer, istituito presso la sezione di tesoreria provinciale ex art. 10 l. 26 aprile 1983, n. 130. [P. COSA]
proventi delle alienazioni in questione, essendo fondi di edilizia residenziale pubblica, rimangono nella di- sponibilità degli enti, sia per il regime giuridico- contabile sia perché assoggettati al principio di unita- rietà di programmazione ed impiego delle risorse del settore (art. 1 l. n. 865/1971; art. 13 l. n. 475/1978);
- nel settembre 2002 il Ministero delle infrastruttu- re e dei trasporti ha disposto – ai sensi dell’art. 3, c. 1, lett. q), l. 5 agosto 1978, n. 457 – l’assegnazione al comune di euro 1.032.915 per l’acquisto e il recupero di n. 8 alloggi danneggiati dalla frana del 1988; di questi n. 6 sono stati successivamente alienati (a se- guito dell’esercizio del diritto di prelazione) con ra- teizzazione del dovuto in corso;
- a seguito delle modifiche introdotte dal d.l. 28 marzo 2014, n. 47 (convertito con modificazioni dalla l. 23 maggio 2014, n. 80), l’art. 13, c. 1, d.l. 25giugno 2008, n. 112 prevede che le risorse derivanti dalle procedure di alienazione degli immobili di proprietà dei comuni e di altri enti pubblici devono essere “de- stinate esclusivamente a un programma straordinario di realizzazione o di acquisto di nuovi alloggi di edili- zia residenziale pubblica e di manutenzione straordi- naria del patrimonio esistente”;
- risulta necessario per il comune “distinguere un vincolo di destinazione specifico da una generica de- stinazione a una categoria di spese”; è stato chiesto un parere in merito al seguente quesito:
«L’alienazione di alloggi di edilizia residenziale pub- blica comporta per i relativi proventi il vincolo di de- stinazione derivante da legge con la “irreversibilità” della destinazione stessa, così da sottrarre definita- mente all’ente la possibilità delle stesse risorse, anche sotto il profilo della gestione di cassa (fatte salve le previsioni dell’art. 195 Tuel)».
Considerato in diritto – (Omissis) 2. Passando al merito, il quesito sottoposto al collegio attiene alla de- finizione delle entrate vincolate.
La riforma dell’armonizzazione contabile realizza- ta dal d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118 e dal d.lgs. 10 agosto 2014, n. 126 (“Disposizioni integrative e cor- rettive del d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118, recante di- sposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli artt. 1 e 2 della l. 5 maggio 2009, n. 42”) non ha modificato i tratti fondamentali della disciplina degli incassi e dei pagamenti vincolati recata dal Tuel, limitandosi ad aggiunte finalizzate a una più sicura individuazione degli stessi. In dettaglio:
- quanto agli incassi, l’attuale art. 180, c. 3, Tuel, nell’individuare il contenuto minimo dell’ordinativo, specifica che esso include “gli eventuali vincoli di de- stinazione delle entrate derivanti da legge, da trasfe- rimenti o da prestiti” (lett. d);
- quanto ai pagamenti, l’attuale art. 185, c. 2, Tuel, nell’individuare il contenuto minimo del mandato, puntualizza che esso include “il rispetto degli eventua-
li vincoli di destinazione stabiliti per legge o relativi a trasferimenti o ai prestiti” (lett. i).
Contestualmente, all’art. 195, c. 1, Tuel il riferi- mento alla “entrate aventi specifica destinazione” è stato sostituito con quello alle “entrate vincolate di cui all’art. 180, c. 3, lett. d)”. Pertanto, in base alla dispo- sizione in esame, gli enti locali possono disporre l’utilizzo, in termini di cassa, delle entrate vincolate ex art. 180, c. 3, lett. d), Tuel per il finanziamento di spe- se correnti, anche se provenienti dall’assunzione di mutui con istituti diversi dalla Cassa depositi e presti- ti, per un importo non superiore all’anticipazione di tesoreria disponibile ai sensi dell’art. 222 Tuel (salvo gli enti in stato di dissesto finanziario sino all’emanazione del decreto ministeriale di approva- zione dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato ex art. 261, c. 3, Tuel).
Una novità della riforma è invece costituita dall’obbligo, a decorrere dall’1 gennaio 2015, di con- tabilizzare nelle scritture finanziarie i movimenti di utilizzo e di reintegro delle somme vincolate ex art. 180, c. 3, lett. d), Tuel secondo le modalità indicate nel principio contabile applicato concernente la conta- bilità finanziaria (punto 10).
Conseguentemente:
- all’art. 195, c. 2, Tuel è stata inserita la disposi- zione in base alla quale l’utilizzo di incassi vincolati è attivato dall’ente con l’emissione di appositi ordinativi di incasso e pagamento di regolazione contabile, fer- mo restando l’adozione della delibera di giunta relati- va all’anticipazione di tesoreria di cui all’art. 222, c. 1, Tuel che, all’inizio di ciascun esercizio, autorizza l’utilizzo di incassi vincolati;
- all’art. 209 Tuel è stato aggiunto il c. 3-bis, il ba- se al quale “Il tesoriere tiene contabilmente distinti gli incassi di cui all’art. 180, c. 3, lett. d). I prelievi di tali risorse sono consentiti solo con i mandati di paga- mento di cui all’art. 185, c. 2, lett. i). È consentito l’utilizzo di risorse vincolate secondo le modalità e nel rispetto dei limiti previsti dall’art. 195”.
3. Stante la difficoltà di ricondurre a un quadro unitario le entrate in esame, con la delib. n. 31/2015 la Sezione delle autonomie ha dettato linee di indirizzo in tema di gestione di cassa delle entrate vincolate e destinate, chiarendo che:
- le puntualizzazioni introdotte all’art. 180, c. 3, lett. d), Tuel hanno il “valore di una sostanziale tipiz- zazione delle fattispecie, quanto meno con riferimento alla fonte del vincolo. Solo con riferimento a queste tipologie di entrate operano i limiti di utilizzo, con obbligo di ricostituzione entro l’anno, prescritti dal combinato disposto degli artt. 195 e 222 del Tuel, e nel rispetto della peculiare procedura prevista”; per contro, “Per altre entrate, per le quali è prevista una generica destinazione, non operano i vincoli anzi det- ti”, sebbene tali entrate non possano essere trattate come libere;
- in proposito, assumono rilievo l’art. 187, c. 3-ter, Tuel e l’esplicitazione dei criteri sui quali si basa la
costituzione della quota vincolata del risultato di am- ministrazione di cui al punto 9.2 del principio contabi- le applicato concernente la contabilità finanziaria.
«Viene precisato, infatti, che confluiscono nella sud- detta quota le entrate tipizzate al c. 3, lett. d), dell’art. 180, Tuel per le quali sia possibile individuare una specifica destinazione. Tale requisito, continua il principio, è correlato: a) alla legge oppure ai principi contabili generali ed applicati; b) alla determinazione dell’investimento, per le entrate da mutui e finanzia- menti per investimenti; c) ai trasferimenti erogati a favore dell’ente con precisa finalità. In sostanza la specifica destinazione delle risorse costituisce una sorta di “condizione” che è apposta all’utilizzo delle stesse in funzione di garanzia del raggiungimento del- la finalità pubblica programmata, con finanziamento della spesa da parte di un soggetto terzo, o con moda- lità governate dalle rigide regole dell’indebitamento. La “irreversibilità” della destinazione, insomma, sot- trae definitivamente all’ente la disponibilità delle ri- sorse, anche sotto il profilo della gestione di cassa (salvo potervi far ricorso per momentanea carenza di liquidità ma solo con i limiti e le procedure sopra ri- chiamate)»;
- sui tali principi si fonda anche la disciplina del novellato art. 187 Tuel relativa alla composizione del risultato di amministrazione, ora distinto in fondi libe- ri, vincolati, destinati agli investimenti e accantonati. Infatti, laddove precisa che i fondi destinati agli inve- stimenti sono costituiti dalle “entrate in conto capitale senza vincoli di specifica destinazione”, la disposizio- ne introduce – sia pure ai fini della disciplina della composizione del risultato – una distinzione che con- sente di confermare il criterio per cui “la cassa vinco- lata è alimentata dalle entrate che abbiano un vincolo specifico ad una determinata spesa stabilito per legge, per trasferimenti o per prestiti (indebitamento) e solo in tali limiti si può formare il vincolo, proprio in os- servanza del principio generale dell’unità di bilancio che rimane prevalente in tutta le fasi di programma- zione, gestione e rendicontazione del settore pubbli- co”;
- in tale contesto assume chiaro significato il prin- cipio applicato della contabilità finanziaria, che al punto 9.2 precisa “È necessario distinguere le entrate vincolate alla realizzazione di una specifica spesa, dalle entrate destinate al finanziamento di una gene- rale categoria di spese, quali la spesa sanitaria. Fer- mo restando l’obbligo di rispettare sia i vincoli speci- fici che la destinazione generica delle risorse acquisi- te, si sottolinea che la disciplina prevista per l’utilizzo delle quote vincolate del risultato di amministrazione non si applica alle c.d. risorse destinate”;
- pertanto, il regime vincolistico della gestione di cassa è caratterizzato dall’eccezionalità delle ipotesi, che devono essere circoscritte a quelle indicate ai ri- chiamati artt. 180, c. 3, lett. d) e dall’art. 185, c. 2, lett. i), Tuel. Infatti, quando si tratta di risorse proprie dell’ente, “ulteriori vincoli sono presi in considera- zione solo con riferimento alla gestione di competen-
za, con particolare riferimento alla costituzione della quota vincolata del risultato di amministrazione”. In proposito, l’art. 187, c. 3-ter, Tuel (e, conformemente, il principio contabile applicato sulla contabilità finan- ziaria), considera, oltre alla casistica dell’art. 180, c. 3, lett. d), le risorse derivanti da entrate straordinarie, non aventi natura ricorrente, “accertate e riscosse cui l’amministrazione ha formalmente attribuito una spe- cifica destinazione”; l’origine propria delle risorse e la reversibilità della decisione sulla destinazione hanno fatto escludere l’applicazione del vincolo di cassa a questa peculiare fattispecie;
- l’esclusione della disciplina ex artt. 195 e 222 del Tuel per quanto concerne le entrate gravate da vincoli diversi di quelli indicati dall’art. 180, c. 3, lett. d), Xxxx non fa venir meno l’obbligo di utilizzo delle stes- se per le finalità cui sono destinate; ne consegue che “l’ente locale ha l’obbligo di darne evidenza contabi- le, per consentire la verifica della situazione”, avuto riguardo all’importanza di una corretta ricostruzione delle risorse vincolate, incidente sul risultato d’amministrazione e, quindi, sulla veritiera rappresen- tazione di un effettivo avanzo o, al contrario, di un di- savanzo al quale dare idonea copertura.
La Sezione delle autonomie ha quindi concluso che:
- è necessario “distinguere tra entrate vincolate a destinazione specifica, individuate dall’art. 180, c. 3, lett. d), Tuel; entrate vincolate ai sensi dell’art. 187,
c. 3-ter, lett. d); entrate con vincolo di destinazione generica. Solo per le prime opera la disciplina previ- sta dagli artt. 195 e 222 del Tuel, per quanto riguarda la loro utilizzabilità in termini di cassa. Dette risorse devono essere puntualmente rilevate sia per il control- lo del loro utilizzo, sia per l’esatta determinazione dell’avanzo vincolato”;
- “le entrate non gravate dai vincoli sopra indicati confluiscono nella cassa generale e sono utilizzabili per le correnti esigenze di pagamento” e, sotto il pro- filo della gestione di competenza, “anche di queste somme deve essere tenuta adeguata evidenza, per la determinazione delle quote destinate ad investimento e non spese da riportare nel risultato d’amministrazione, che devono essere analiticamente dimostrate nelle note integrative”.
4. Gli indirizzi della Sezione delle autonomie sono stati di recente richiamati dalla Sezione regionale di controllo per la Lombardia (delib. n. 388/2019/Par) che, pronunciandosi sulla natura delle somme trasferi- te ai comuni italiani di confine a titolo di compensa- zione finanziaria per l’imposizione operata in Svizzera sulle remunerazioni dei lavoratori frontalieri (l. 26 lu- glio 1975, n. 386), ha concluso per il vincolo specifico recato delle stesse sulla base del pertinente quadro normativo; in particolare:
- la l. n. 386/1975 prevede che i fondi in questione siano versati in un apposito conto corrente aperto presso la tesoreria centrale intestato al Ministero del tesoro (art. 3) e rimette a un decreto ministeriale la de-
terminazione annuale dei criteri di ripartizione e uti- lizzazione dei fondi stessi (art. 5);
- il d.m. 27 luglio 2018, nell’individuare i citati cri- xxxx di ripartizione per gli anni 2016 e 2017, stabilisce che “Le somme attribuite saranno utilizzate dagli enti assegnatari per la realizzazione, completamento e po- tenziamento di opere pubbliche di interesse generale volte ad agevolare i lavoratori frontalieri, con prefe- renza per i settori dell’edilizia abitativa e dei trasporti pubblici. Dette somme, inoltre, potranno essere desti- nate, nel limite del 30 per cento, al finanziamento di servizi resi ed effettivamente fruiti relativi ad opere pubbliche realizzate con fondi di precedenti erogazio- ni” (art. 6, c. 1). Secondo la Sezione lombarda, la di- sposizione richiamata esprimerebbe la volontà di con- ferire ai fondi in questione «una specifica destinazio- ne, prevedendo esplicitamente che gli stessi debbano essere “utilizzati” per la realizzazione di spese d’investimento e, come tali, soggette al vincolo per cassa di cui al suindicato art. 180, c. 3, lett. d), Tuel».
5. Venendo alla specifica fattispecie di entrate og- getto dell’odierno quesito (proventi da alienazioni di immobili di edilizia residenziale pubblica), l’articolo unico della l. 24 dicembre 1993, n. 560 (recante “Norme in materia di alienazione degli alloggi di edi- lizia residenziale pubblica”), nel testo risultante a se- guito di molteplici interventi modificativi, prevede che:
- “L’alienazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica è consentita esclusivamente per la realizza- zione di programmi finalizzati allo sviluppo di tale settore” (c. 5);
- “I proventi delle alienazioni degli alloggi di edi- lizia residenziale pubblica […], destinati alle finalità indicate al c. 5, rimangono nella disponibilità degli enti proprietari”, prescrivendone una contabilizzazio- ne speciale da parte dell’Istituto autonomo per le case popolari (Iacp) territorialmente competente e il ver- samento in un apposito conto corrente denominato “Fondi Cer destinati alle finalità della l. n. 560/1993, istituito presso la sezione di tesoreria provinciale, a norma dell’art. 10, c. 12, l. 26 aprile 1983, n. 130” (c. 13);
- “Le regioni, su proposta dei competenti Iacp e dei loro consorzi comunque denominati e disciplinati con legge regionale, determinano annualmente la quota dei proventi di cui al c. 13 da destinare al rein- vestimento in edifici ed aree edificabili, per la riquali- ficazione e l’incremento del patrimonio abitativo pub- blico mediante nuove costruzioni, recupero e manu- tenzione straordinaria di quelle esistenti e programmi integrati, nonché ad opere di urbanizzazione social- mente rilevanti. Detta quota non può comunque essere inferiore all’80 per cento del ricavato. La parte resi- dua è destinata al ripiano dei deficit finanziari degli Istituti” (c. 14).
In proposito, la circolare del Ministero dei lavori pubblici 30 giugno 1995, n. 31 (Disposizioni esplica- tive della l. 24 dicembre 1993, n. 560, recante: “Nor- me in materia di alienazione degli alloggi di edilizia
residenziale pubblica”) ha evidenziato che tali ricavi sono “vincolati alla realizzazione di programmi di edilizia residenziale pubblica e, pure restando nella materiale disponibilità degli enti proprietari, non pos- sono essere utilizzati se non in seguito a una proposta dello Iacp competente per territorio, previa determi- nazione regionale della quota da destinare al reinve- stimento”.
Successivamente, l’art. 13, c. 1, lett. a), d.l. 28 marzo 2014, n. 47 (“Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015”, convertito con modificazioni dalla l. 23 mag- gio 2014, n. 80) ha novellato il c. 1 dell’art. 13 del d.l.
25 giugno 2008, n. 112 (recante “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, convertito con modifi- cazioni dalla l. 6 agosto 2008, n. 133), il cui testo pre- vede che: “In attuazione degli artt. 47 e 117, cc. 2, lett. m), e 3, Cost., al fine di assicurare il coordina- mento della finanza pubblica, i livelli essenziali delle prestazioni e favorire l’accesso alla proprietà dell’abitazione, entro il 30 giugno 2014, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro per gli af- fari regionali e le autonomie, previa intesa della Con- ferenza unificata, di cui all’art. 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, approvano con decreto le procedure di alienazione degli immobili di proprietà dei comuni, degli enti pubblici anche territoriali, nonché degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque de- nominati, anche in deroga alle disposizioni procedu- rali previste dalla l. 24 dicembre 1993, n. 560. […] Le risorse derivanti dalle alienazioni devono essere de- stinate esclusivamente a un programma straordinario di realizzazione o di acquisto di nuovi alloggi di edili- zia residenziale pubblica e di manutenzione straordi- naria del patrimonio esistente”.
In attuazione di tale disposizione è stato adottato il
d.m. 24 febbraio2015 (“Procedure di alienazione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica”), il quale all’art. 1 ha tra l’altro previsto che:
- i comuni, gli enti pubblici anche territoriali, gli Iacp comunque denominati, in coerenza con i pro- grammi regionali finalizzati a soddisfare il fabbisogno abitativo, procedono all’alienazione di unità immobi- liari per esigenze connesse con una più razionale ed economica gestione del patrimonio; a tal fine gli enti proprietari predispongono specifici programmi di alienazione, che devono essere adottati secondo le procedure del decreto e approvati dal competente or- gano dell’ente proprietario, previo formale assenso della regione (c. 1);
- i programmi di alienazione devono favorire prio- ritariamente la dismissione degli alloggi situati nei condomini misti nei quali la proprietà pubblica è infe- riore al 50 per cento e di quelli inseriti in situazioni estranee all’edilizia residenziale pubblica quali aree prive di servizi, immobili fatiscenti (c. 2);
- le risorse derivanti dalle alienazioni previste dai programmi, approvati a far tempo dalla data di pubbli- cazione sulla Gazzetta ufficiale del medesimo decreto, “restano nella disponibilità degli enti proprietari e sono destinate, ai sensi dell’art. 3, c. 1, lett. a), d.l. 28 marzo 2014, n. 47, convertito con modificazioni dalla
l. 23 maggio 2014, n. 80, all’attuazione: di un pro- gramma straordinario di recupero e razionalizzazione del patrimonio esistente, predisposto sulla base dei criteri stabiliti ai sensi dell’art. 4 del d.l. n. 47/2014, convertito con modificazioni dalla l. 23 maggio 2014,
n. 80; di acquisto e, solo in mancanza di adeguata of- ferta di mercato, di realizzazione di nuovi alloggi” (c. 4).
6. La Corte costituzionale ha avuto modo di pro- nunciarsi in merito alla portata dell’art. 3, c. 1, lett. a), d.l. n. 47/2014.
6.1. Con la sent. n. 38 del 25 febbraio 2016, la Corte ha scrutinato la legittimità dell’art. 1, c. 1, lett. c), l. reg. Puglia, 5 dicembre 2014, n. 48 che, aggiun- gendo il c. 1-bis all’art. 24 della l. reg. Puglia 7 marzo 2003, n. 4, prevedeva che “Gli enti gestori che non versano in stato di dissesto finanziario possono, in de- roga alla l. 24 dicembre 1993, n. 560 (Norme in mate- ria di alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica), destinare una quota dei proventi delle alie- nazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica al pagamento di imposte gravanti sugli immobili di loro proprietà, al fine di rispettare il vincolo del pa- reggio di bilancio”.
Nel dichiarare l’illegittimità della disposizione re- gionale per violazione dell’art. 117, c. 3, Cost. nella parte relativa alla materia del coordinamento della fi- nanza pubblica, la Corte ha chiarito che:
- l’art. 3, c. 1, lett. a), d.l. n. 47/2014, nell’imporre la destinazione esclusiva dei proventi delle alienazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica a un programma straordinario di realizzazione o di acquisto di nuovi alloggi e di manutenzione straordinaria del patrimonio esistente, esprime una “scelta di politica nazionale di potenziamento del patrimonio di edilizia residenziale pubblica, diretta a fronteggiare l’emergenza abitativa e, al tempo stesso, la crisi del mercato delle costruzioni”;
- il “vincolo di destinazione esclusiva” stabilito dalla norma va considerato come «l’espressione di un principio fondamentale nella materia del “coordina- mento della finanza pubblica”, con il quale il legisla- tore statale ha inteso stabilire una regola generale di uso uniforme delle risorse disponibili provenienti dal- le alienazioni immobiliari»;
- la circostanza che la norma si traduca, “per gli enti pubblici ai quali il vincolo è imposto”, in una “prescrizione puntuale sull’uso delle risorse in ogget- to” non esclude il carattere di principio della norma stessa, potendo essere ricondotte nell’ambito dei prin- cipi di coordinamento della finanza pubblica anche “norme puntuali adottate dal legislatore per realizza- re in concreto la finalità del coordinamento finanzia- rio, che per sua natura eccede le possibilità di inter-
vento dei livelli territoriali sub-statali” (sent. n. 237/2009; in precedenza, nello stesso senso, sent. n. 417/2005), giacché “il finalismo” insito in tale genere di disposizioni esclude che possa invocarsi “la logica della norma di dettaglio” (sent. n. 205/2013);
- anche nell’art. 3, c. 1, lett. a), d.l. n. 47/2014 è in- dividuabile un “rapporto di coessenzialità e di neces- saria integrazione tra prescrizione puntuale e princi- pio”; infatti, una volta assunto dal legislatore l’obiettivo di potenziare il patrimonio di edilizia resi- denziale pubblica attraverso la vendita di determinati beni, “l’imposizione del vincolo di destinazione speci- fica dei proventi della vendita all’acquisizione di nuo- vi alloggi o alla manutenzione di quelli esistenti appa- re mezzo necessario al suo raggiungimento”.
6.2. Tali conclusioni sono state ribadite dalla suc- cessiva sent. n. 237 del 16 dicembre 2016, con cui la Corte che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo
– per violazione dell’art. 117, c. 3, Cost., nella parte relativa alla materia del coordinamento della finanza pubblica – l’art. 5 della l. reg. Abruzzo 21 maggio 2015, n. 10, che – in contrasto con l’art. 3, c. 1, lett. a), d.l. n. 47/2014 – consentiva alle Ater (Aziende ter- ritoriali per l’edilizia residenziale) regionali di desti- nare il 20 per cento dei proventi derivanti dall’alienazione degli alloggi al ripianamento dei loro deficit finanziari (c. 3) e ai comuni con meno di 3.000 abitanti di destinare la stessa quota percentuale alla realizzazione di opere di urbanizzazione nei quartieri dove sono localizzati immobili di edilizia residenziale pubblica (c. 5).
7. Alla luce di quanto precede e richiamata la no- zione dei programmi quali “aggregati di spesa con finalità omogenea diretti al perseguimento di risultati, definiti in termini di prodotti e di servizi finali, allo scopo di conseguire gli obiettivi stabiliti nell’ambito delle missioni” (art. 21, c. 2, l. 31 dicembre 2009, n. 196, recante “Legge di contabilità e finanza pubbli- ca”), non appare dubitabile la natura di “entrate vinco- late a destinazione specifica” ex art. 180, c. 3, lett. d), Xxxx impressa dal legislatore ai proventi derivanti dal- le alienazioni di immobili Erp.
A tale esito conducono:
- la disciplina del 1993, che prevede il versamento di tali introiti in un apposito conto corrente denomina- to “Fondi Cer destinati alle finalità della l. n. 560/1993, istituito presso la sezione di tesoreria pro- vinciale, a norma dell’art. 10, c. 12, l. 26 aprile 1983, n. 130”;
- l’art. 13 del d.l. n. 112/2008 come novellato nel 2014, che impone un vincolo totale (segnalato dall’avverbio “esclusivamente”) di tali risorse a un ben definito aggregato di spesa (“programma straor- dinario di realizzazione o di acquisto di nuovi alloggi di edilizia residenziale pubblica e di manutenzione straordinaria del patrimonio esistente”).
In definitiva, l’esclusività e la specificità del vinco- lo impresso ex lege ai proventi in questione escludono in radice la possibilità di sussumere gli stessi nel no-
vero delle entrate con vincolo di destinazione generi- ca; categoria, quest’ultima, destinata ad accogliere le entrate per le quali sia previsto un vincolo riferito a un ambito di spesa individuato in modo ampio, in linea con l’esemplificazione (“spesa sanitaria”) contenuta nel principio contabile applicato concernente la conta- bilità finanziaria (allegato 4/2 al d.lgs. n. 118/2011, punto 9.2).
* * * Sicilia
34 – Sezione controllo Regione Siciliana; parere 26 marzo 2020; Pres. Savagnone, Rel. Carra; Comune di Pietraperzia.
Contabilità regionale e degli enti locali – Comune – Cartolarizzazione – Crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione – Cessione – Facol- tà di rifiuto da parte della pubblica amministra- zione – Ammissibilità – Termini e condizioni.
C.c., art. 1260; l. 30 aprile 1999, n. 130, disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti; d.l. 24 aprile 2014,
n. 66, convertito con modificazioni dalla l. 23 giugno 2014, n. 89, misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale, art. 37, c. 7-bis; d.lgs. 10 agosto 2014, n. 126, disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118, recante disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli artt. 1 e 2 della l. 5 maggio 2009, n. 42, allegato A/2; d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, attuazione delle direttive 2014/23/Ue, 2014/24/Ue e 2014/25/Ue sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi po- stali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, art. 106, c. 13.
Nell’ambito di una procedura di cartolarizzazione di crediti vantati nei confronti della pubblica ammini- strazione la cessione di crediti commerciali (derivanti ad esempio dall’acquisto di beni e servizi) liquidi ed esigibili, oltre che certificati attraverso la piattaforma elettronica, è sempre consentita, fatta salva la facoltà di rifiuto, che deve essere esercitata in modo formale dall’amministrazione interessata entro un termine brevissimo (sette giorni) dall’avvenuta ricezione della comunicazione. (1)
(1) Il parere in esame reso in materia di circolazione dei crediti e di possibilità di rifiuto da parte della pubblica ammini- strazione argomenta partendo dalla considerazione che, a fronte della previsione codicistica della libera cedibilità dei crediti, a prescindere dal consenso del debitore, per i contratti di cui all’art. 106 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 le cessioni di crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione devono
Deliberazione – Con la nota in epigrafe, il sindaco del Comune di Pietraperzia ha chiesto un parere in or- dine all’interpretazione dell’art. 4, c. 4-bis, l. 30 aprile 1999, n. 130 (c.d. legge sulla cartolarizzazione): in particolare, chiede di sapere se le pubbliche ammini- strazioni possano rifiutare eventuali cessioni di credito istaurate nell’ambito di operazioni di cartolarizzazio- ne. (Omissis)
Occorre premettere che il quesito in esame attiene alle c.d. “cartolarizzazioni” di crediti vantati nei con- fronti della pubblica amministrazione, restando esclu- se le operazioni di cartolarizzazione dei crediti della pubblica amministrazione (crediti Inps, Inail, cartola- rizzazioni immobiliari), assoggettate a specifiche di- sposizioni di legge.
Nel nostro ordinamento, l’art. 1260 c.c. stabilisce il principio della “libera cedibilità del credito”, fatti sal- vi i limiti in cui la legge preveda ipotesi legali o con- venzionali di non alienabilità del diritto di credito: tra questi, quelli relativi alla cedibilità del credito verso lo Stato e gli altri enti pubblici costituiscono disciplina speciale rispetto al diritto comune. Nell’ambito di det- ta disciplina, inoltre, occorre distinguere la materia degli appalti pubblici da quella relativa alla circola- zione dei crediti commerciali, interessata da una serie di disposizioni normative relative alla c.d. certifica- zione dei crediti mediante la piattaforma elettronica della pubblica amministrazione, introdotta con l’art. 37, c. 7-bis, d.l. 24 aprile 2014, n. 66, convertito dalla
l. 23 giugno 2014, n. 89, che hanno semplificato le formalità richieste per la cessione dei crediti al fine di garantirne una maggiore circolazione.
Con riferimento all’art. 106, c. 13, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) richiamato dal sindaco del Comune di Pietraperzia nella premessa del quesito, il collegio precisa che trattasi di norma speciale dettata per la materia degli appalti (il cui testo riproduce l’analoga disciplina introdotta dall’art. 117
essere stipulate mediante atto pubblico o scrittura privata auten- ticata e possono essere rifiutate dalle stazioni appaltanti che siano amministrazioni pubbliche qualora queste ultime oppon- gano formale rifiuto con apposita comunicazione da notificarsi entro 45 giorni dalla notifica della cessione. Come precisato nella pronuncia, l’orientamento espresso in materia dalla Cas- sazione, condiviso, peraltro, dalla Sezione siciliana, è che il divieto di cessione senza l’adesione della pubblica amministra- zione trovi applicazione, in definitiva, solo per i rapporti di du- rata (somministrazione o fornitura), al fine di garantire la loro corretta esecuzione. In tali casi la cessione dei relativi crediti, in deroga al principio civilistico di cedibilità indipendente dal consenso del debitore, risulta subordinata alla preventiva ade- sione della pubblica amministrazione (che si esprime attraverso il silenzio assenso entro 45 giorni dalla notifica della cessione). La fattispecie presa in considerazione dal parere, tuttavia, attie- ne ai crediti derivanti da operazioni negoziali diverse da quelle di cui al citato art. 160, ovvero crediti commerciali ceduti nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione per la quali non è prevista la facoltà per la pubblica amministrazione di opporre rifiuto se non con le modalità indicate dalla legge, anche in considerazione delle norme finalizzate allo sblocco dei paga- menti arretrati. [P. COSA]
del d.lgs. n. 163/2006 nel codice dei contratti pubblici) la cui disciplina si discosta dalla normativa codicisti- ca, in quanto la cessione dei crediti è subordinata alla preventiva adesione della pubblica amministrazione: il citato codice, al fine di conferire certezza alla prefata “adesione” della pubblica amministrazione ha previsto che quest’ultima si esprima sotto forma di mancato rifiuto entro quarantacinque giorni dalla notifica della cessione.
Tuttavia, secondo l’orientamento della Corte di cassazione (Cass. n. 981/2002) “il divieto di cessione senza l’adesione della pubblica amministrazione si applica, in definitiva, solo ai rapporti di durata come l’appalto e la somministrazione (o fornitura) solo ri- spetto ai quali il legislatore ha ravvisato – in deroga al principio generale della cedibilità dei crediti anche senza il consenso del debitore (art. 1260 c.c.) – l’esigenza di garantire, con questo mezzo, la regolare esecuzione evitando che, durante la medesima, possa- no venir meno le risorse finanziarie al soggetto obbli- gato e così possa essere compromessa l’ulteriore, re- golare prosecuzione del rapporto (Xxxx. 18 novembre 1994, n. 9789). Ne deriva che la cessione di un credito insorgente da un ordinario contratto di compravendi- ta soggiace in tutto e per tutto (salvo per la forma prevista dall’art. 69, c. 3, r.d. n. 2240/1923), all’ordinaria disciplina codicistica”.
E ancora: «il divieto di cui all’art. 9 della l. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, richiamato dall’art. 70 del r.d. n. 2440/1923, a norma del quale, sul prez- zo dei contratti in corso non può convenirsi cessione se non vi aderisca l’amministrazione interessata, resta valido finché la fornitura non sia completamente ese- guita, giacché, una volta ultimata, non sussiste alcuna ragione per procrastinare, in deroga al principio di cui all’art. 1260 c.c. della generale cedibilità dei cre- diti indipendentemente dal consenso del debitore, la “inefficacia provvisoria” della cessione dei crediti residui sui quali l’amministrazione non possa vantare ulteriori diritti. Pertanto, allorché il contratto di ap- palto all’origine del credito ceduto, alla data di co- municazione della cessione, risulti completamente esaurito, non vi è necessità di accettazione del credito da parte dell’ente pubblico» (cfr. Cass. n. 268/2006; n. 2209/2007).
Il collegio ritiene di non doversi discostare dalla citata giurisprudenza della Corte di cassazione laddo- ve si verta in ordine ai contratti disciplinati dall’art. 106 del codice dei contratti pubblici, che costituisce lex specialis rispetto alle disposizioni civilistiche e che i crediti ceduti attengano a contratti in corso di esecu- zione.
Laddove, invece, si tratti della cessione di crediti derivanti da operazioni negoziali diverse da quelle an- noverate dall’art. 106 citato (ad esempio, crediti commerciali derivanti dall’acquisto di beni e servizi) che avvengano nell’ambito di applicazione delle di- sposizioni sulla cartolarizzazione disciplinate dalla l. 30 aprile 1999, n. 130, non è prevista la facoltà, per la pubblica amministrazione, di opporre un rifiuto.
Occorre premettere che la “cartolarizzazione” non è un contratto differente dalla cessione del credito, ma rappresenta lo scopo precipuo della cessione stessa, finalizzato a facilitare la circolazione di masse di cre- diti pecuniari attraverso l’incorporazione nei titoli emessi dalla “società veicolo” per finanziare l’acquisto di tali crediti nonché per il pagamento dei costi di cartolarizzazione.
Con l’art. 12, n. 3, lett. d), d.l. 23 dicembre 2013,
n. 145, come modificato dalla legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 9, il legislatore ha introdotto, all’art. 4 della l. n. 130/1999 cit., il c. 4-bis in cui sono preci- sate le formalità procedurali richieste per le cessioni di credito nei confronti delle “pubbliche amministrazioni debitrici”, con l’espressa previsione dell’inapplicabilità degli artt. 69 e 70 del r.d. n. 2440/1923. Tale locuzione, introdotta per la prima volta dall’emanazione della legge, ha chiarito – ancor- ché in via indiretta – che l’istituto della cartolarizza- zione può riguardare anche le cessioni di crediti nei confronti delle pubbliche amministrazioni, che acqui- stano efficacia a seguito di comunicazione mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento alle amministrazioni debitrici e di pubblicazione dell’avviso in Gazzetta Ufficiale, senza altre ed ulte- riori formalità.
Per quanto concerne, invece, la caratteristica del credito oggetto della cessione quest’ultimo, laddove vantato nei confronti della pubblica amministrazione deve essere oltre che liquido ed esigibile, anche “certi- ficato”, così da consentirne da parte del creditore la cessione pro soluto o pro solvendo a favore di banche o intermediari finanziari riconosciuti dalla legislazione vigente.
Le disposizioni normative della citata l. n. 130/1999 devono essere lette in coerenza con le nor- me finalizzate a facilitare lo sbocco dei pagamenti ar- retrati delle pubbliche amministrazioni recate dal d.l. 8 aprile 2013, n. 35, convertito con modificazioni dalla
l. 6 giugno 2013, n. 64 (c.d. decreto sblocca pagamen- ti) e, segnatamente, dall’art. 7, che per i debiti della pubblica amministrazione maturati al 31 dicembre 2012, ha previsto che la certificazione delle somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti e per obbligazioni relative a prestazioni professionali fosse effettuata esclusivamente attraverso la piattaforma elettronica per la gestione telematica del rilascio delle certificazioni predisposta dal Ministero dell’economia e delle finanze.
Tale disciplina è stata successivamente modificata dal citato d.l. 24 aprile 2014, n. 66 con l’introduzione del c. 7-bis che ha previsto che le suddette cessioni possano essere stipulate mediante scrittura privata e che possano essere effettuate a favore di banche o in- termediari finanziari autorizzati, ovvero da questi ul- timi alla Cassa depositi e prestiti s.p.a. o a istituzioni finanziarie dell’Ue e internazionali.
La norma ha previsto, altresì, che “le suddette ces- sioni dei crediti certificati si intendono notificate e sono efficaci ed opponibili nei confronti delle ammini-
strazioni cedute dalla data di comunicazione della
cessione alla pubblica amministrazione attraverso la piattaforma elettronica, che costituisce data certa, qualora queste non le rifiutino entro sette giorni dalla ricezione di tale comunicazione. Non si applicano alle predette cessioni dei crediti le disposizioni di cui all’art. 117, c. 3, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, e di cui
agli artt. 69 e 70 r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, nonché le disposizioni di cui all’art. 7 della l. 21 feb- braio 1991, n. 52, e all’art. 67 del r.d. 16 marzo 1942,
n. 267. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche alle cessioni effettuate dai suddetti cessionari in favore dei soggetti ai quali si applicano le disposizioni della l. 30 aprile 1999, n. 130”.
In conclusione, laddove si tratti della circolazione di crediti commerciali certificati attraverso la piatta- forma elettronica la facoltà di rifiuto da parte della pubblica amministrazione è soggetta al brevissimo termine di sette giorni dalla comunicazione né può co- stituire un ostacolo la circostanza che la causa della cessione sia costituita dalla cartolarizzazione, in quan- to non v’è alcuna ragione per escludere dall’applicazione di tale modalità di cessione crediti nei confronti della pubblica amministrazione certifica- ti, liquidi ed esigibili.
35 – Sezione controllo Regione Siciliana; parere 26 marzo 2020; Pres. Savagnone, Rel. Calvitto; Comune di Canicattì.
Contabilità regionale e degli enti locali – Comune – Piano di riequilibrio finanziario pluriennale – Computo spese da ridurre – Spese per assistenza studenti con disabilità fisica – Sono da ricompren- dere.
D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, t.u. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, art. 243-bis; d.lgs.
13 aprile 2017, n. 66, norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità a norma dell’art. 1, cc. 180, 181, lett. c), l. 13 luglio 2015, n. 107; l. reg. Sicilia 20 giugno 2019, n. 10, di- sposizioni in materia di diritto allo studio, art. 5.
Nell’ambito della procedura di riequilibrio, l’ente locale, alla luce del vigente quadro normativo, non può escludere dalla base di calcolo della percentuale (10 per cento) di riduzione delle spese correnti, gli oneri sostenuti per l’erogazione di servizi di assisten- za agli studenti con disabilità fisica, giacché tale voce non rientra fra quelle espungibili, ai sensi dell’art. 243-bis del Tuel, e non può neppure essere assimilata alla diversa voce “finanziamento delle spese relative all’accoglienza di minori in strutture protette” rien- trante, invece, nell’anzidetto novero. (1)
(1) La rilevanza della pronuncia in esame consiste solo marginalmente nella soluzione interpretativa fornita al comune richiedente, dal momento che l’opzione esegetica da quest’ultimo proposta appare priva di pregio e facilmente supe-
rabile se solo si consideri che l’argomento principe su cui la predetta opzione si fonda è la coincidenza dell’oggetto della tutela sul quale convergono le misure oggetto delle due distinte voci di spesa corrente, da ricomprendere o da escludere dalla base di calcolo della riduzione imposta agli enti in fase di rie- quilibrio (interventi di assistenza per l’autonomia degli studenti con disabilità fisica e interventi di accoglienza di minori in strutture protette), volte entrambe al sostegno dei soggetti mi- nori nel secondo caso anche portatori di handicap. La sostan- ziale coincidenza dell’oggetto della tutela non costituisce da sola adeguato presupposto per fare luogo all’applicazione dell’analogia quale criterio ermeneutico, che, nella fattispecie, mancherebbe del suo stesso presupposto normativo. La dispo- sizione di riferimento, infatti, fissa un precetto di contenimento della spesa corrente al quale si ricollega un’elencazione tassati- va dei costi oggetto di esclusione dall’ammontare su cui opera- re la decurtazione. La voce di spesa relativa all’accoglienza di minori in strutture protette oggetto di esclusione dal macro- aggregato 03 non può essere assimilata per i fini voluti dall’ente alla diversa voce riguardante gli oneri relativi alle pre- stazioni di assistenza per l’autonomia e la comunicazione per- sonale degli studenti con disabilità fisica. Ai fini dell’esclusione di quest’ultima dalla base di calcolo per la ridu- zione delle spese correnti, le due voci di spesa non possono in alcun modo essere equiparate in quanto diverse anche se en- trambe tese a tutelare i minori.
A ben vedere, il merito della deliberazione in commento deve cogliersi proprio nell’aver portato all’attenzione, con ade- guato livello di approfondimento, la tematica dei diritti sociali finanziariamente condizionati e della loro tutela costituzionale, affrontata in molteplici occasioni dal Giudice delle leggi e, fra l’altro, nella sent. n. 275/2016 (che trova un suo precedente nella sent. n. 80/2010, in Foro it., 2010, I, 1066), citata in parte motiva, ove la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzio- nale dell’art. 6, c. 2-bis, l. reg. Abruzzo n. 78/1978 come ag- giunto dall’art. 88, c. 4, l. reg. n. 14/2004. Le censurate disposi- zioni fissavano al rimborso delle spese sostenute dalla Provin- cia di Pescara per il trasporto scolastico degli alunni disabili il limite delle disponibilità finanziarie determinate dalle annuali leggi regionali di bilancio e iscritte nel pertinente capitolo di bilancio. Tale previsione, infatti, non poteva trovare giustifica- zione nel necessario obbligo di copertura finanziaria (art. 81) della contribuzione regionale alle spese, all’epoca sostenute dalla Provincia, dal momento che il concetto di equilibrio fi- nanziario, come precisato nella stessa pronuncia, deve essere correttamente inteso. Infatti, è la garanzia dei diritti incompri- mibili ad incidere sul bilancio e non l’equilibrio di quest’ultimo a condizionare la doverosa erogazione delle prestazioni per ga- rantire i diritti incomprimibili. La Consulta ha affermato, con grande coraggio, che il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivo il diritto allo studio e all’educazione degli alunni disabili, tutelato tanto a livello nazionale (art. 38 Cost.) quanto dalla Convenzione internazionale sui diritti delle perso- ne disabili (art. 24), non può essere finanziariamente condizio- nato in termini assoluti e generali e non può dipendere da scelte discrezionali compiute dalle regioni sulla base di mere opera- zioni matematiche, senza alcun onere di motivazione. Il diritto all’istruzione degli alunni disabili, come ricordato nella senten- za, fa parte di quei diritti che hanno, per così dire, valore costi- tutivo dello stesso legame sociale e meritano una protezione prioritaria rispetto agli altri, superando, finanche, il principio generale del bilanciamento degli interessi e qualificandosi, per- ciò, come diritti incomprimibili anche a fronte della scarsità delle risorse ed in ossequio al principio del pareggio di bilan- cio. Come dimostrato dall’arresto giurisprudenziale in com- mento, nella zona di frizione del principio dell’equilibrio finan- ziario con la tutela dei diritti sociali, l’intervento della Consulta resta confinato al sindacato sulla manifesta irragionevolezza
Fatto – Il sindaco del Comune di Canicattì premet- te che il consiglio comunale ha deciso il ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale disci- plinata dall’art. 243-bis Tuel e ha adottato il relativo Piano, con contestuale richiesta di accesso al Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali previsto dall’art. 243-ter Tuel. (Omissis)
Il sindaco, descritto il quadro normativo che ascri- ve all’ente locale l’erogazione delle prestazioni di as- sistenza per l’autonomia e la comunicazione personale degli studenti con disabilità fisica, delineati gli orien- tamenti della giurisprudenza amministrativa e di legit- timità che non consentono ai comuni di sottrarsi all’esecuzione degli obblighi puntualmente individuati nel Piano educativo individualizzato anche in presen- za di vincoli di bilancio, e menzionate talune pronunce all’esito delle quali il comune è risultato soccombente, chiede, dunque, di conoscere se sia possibile estromet- tere tale voce di spesa dalla base di calcolo su cui ef- fettuare il computo della percentuale di riduzione pre- scritta dalla citata norma, operando in analogia all’ipotesi di esclusione testualmente annoverata al punto n. 5 e relativa al “finanziamento delle spese re- lative all’accoglienza, su disposizione della competen- te autorità giudiziaria, di minori in strutture protette in regime di convitto e semiconvitto”, potendo ravvi- sarsi, in entrambe le fattispecie, la medesima ragione di tutela dei diritti fondamentali aventi rango costitu- zionale di soggetti con minore età.
Considerato in diritto – (Omissis) 2. Sul merito della questione proposta, si delineano a seguire i prin- cipali aspetti del contesto normativo e giurispruden- ziale di riferimento.
2.1. La persona affetta da condizioni di disabilità è posta al centro di una consistente produzione normati- va protesa alla garanzia della dignità e dei diritti di li- bertà e autonomia, attraverso misure volte, tra le altre, alla promozione della sua partecipazione alla vita del- la collettività e alla rimozione degli ostacoli che pos- sano determinare uno stato di emarginazione ed esclu- sione sociale (art. 1 della l. 5 febbraio 1992, n. 104, Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate).
Nel quadro degli specifici interventi diretti a tali finalità, e specialmente nell’ambito della tutela del fondamentale diritto all’educazione e all’istruzione, il legislatore individua anche le azioni per assicurare l’integrazione scolastica, con l’obiettivo dello svilup- po delle potenzialità della persona disabile nell’apprendimento, nella comunicazione, nelle rela- zioni e nella socializzazione (art. 12 della l. n. 104/1992), affidando alla competenza degli enti locali
delle scelte del legislatore, al quale è riconosciuto un potere discrezionale, che trova un limite invalicabile rappresentato dal quel nocciolo minimo essenziale di diritti sociali che integra il nucleo indefettibile dell’attuale forma di Stato democratico e che non può essere vanificato dal legislatore senza violare la dignità stessa della persona umana. [P. COSA]
l’obbligo dell’assistenza per l’autonomia e la comuni- cazione personale degli alunni con handicap fisici o sensoriali, mediante l’assegnazione di personale spe- cializzato (art. 13, c. 3, l. n. 104/1992).
Disposizioni mirate sono, altresì, poste dal d.lgs.
13 aprile 2017, n. 66, Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, a norma dell’art. 1, cc. 180 e 181, lett. c), l. 13 luglio 2015, n. 107, il quale, nel ribadire il ruolo degli enti locali per l’erogazione delle predette prestazioni (art. 3, c. 5, lett. a), colloca, a baricentro della realizzazione del fondamentale diritto all’istruzione, un documento idoneo a delineare con precisione e chiarezza gli obiettivi, le finalità e gli strumenti caratterizzanti il percorso didattico inclusivo per l’alunno disabile nel corso del periodo scolastico, calibrato sulle specifiche esigenze della sua persona e, pertanto, denominato Piano educativo individualizzato-Pei (art. 7).
Nell’ambito della legislazione regionale, le funzio- ni di assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale degli studenti con disabilità fisica, intelletti- va o sensoriale sono attribuite specificamente ai co- muni per i gradi dell’istruzione scolastica diversi da quella secondaria superiore (art. 5 della l. reg. 20 giu- gno 2019, n. 10, Disposizioni in materia di diritto allo studio).
2.2. L’insieme delle previsioni normative che prendono in esame la figura del soggetto disabile, nel- lo svolgersi del suo percorso di istruzione e formazio- ne, mirano all’attuazione di molteplici precetti costitu- zionali (artt. 2, 3, 34 Cost.), tra cui quello che consa- cra a diritto fondamentale l’educazione de “gli inabili e i minorati” (art. 38, c. 3, Cost.), nel quadro di garan- zie che godono anche di una precipua previsione a li- vello internazionale nell’art. 24 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disa- bilità, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, ratificata e resa esecutiva con l. 3 marzo 2009, n. 18.
2.3. Secondo gli indirizzi della giurisprudenza co- stituzionale, l’assistenza e l’integrazione sociale in fa- vore dei portatori di disabilità persegue “un evidente interesse nazionale, stringente e infrazionabile, quale è quello di garantire in tutto il territorio nazionale un livello uniforme di realizzazione di diritti costituziona- li fondamentali dei soggetti portatori di handicaps” (Corte cost., n. 406/1992), con la conseguenza che, nell’individuazione delle misure necessarie alla tutela dei diritti delle persone disabili, si impone alla discre- zionalità del legislatore un limite invalicabile nel “ri- spetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli in- teressati” (Corte cost. n. 80/2010).
Nella continua tensione tra norme che dispongono circa l’allocazione e l’utilizzo delle risorse finanziarie pubbliche e quelle che fissano gli imprescindibili obiettivi di tutela dei diritti fondamentali dei soggetti disabili, il giudice costituzionale ha avuto modo di precisare che “il nucleo invalicabile di garanzie mini- me per rendere effettivo il diritto allo studio e all’educazione degli alunni disabili non può essere
finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali [cosicché] è di tutta evidenza che la pretesa violazione dell’art. 81 Cost. è frutto di una visione non corretta del concetto di equilibrio del bilancio […]. È la garanzia dei diritti incomprimibili ad inci- dere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condi- zionarne la doverosa erogazione” (Corte cost. n. 275/2016).
2.4. Nell’ambito della giurisprudenza di legittimi- tà, è stato ritenuto che la pubblica amministrazione (nel caso di specie si trattava di un istituto scolastico) non potrebbe unilateralmente comprimere il contenuto del diritto del disabile, come declinato in concreto all’interno del Pei, per ragioni di carattere finanziario, potendosi ravvisare in tale violazione una condotta di- scriminatoria ai sensi della l. 1 marzo 2006, n. 67 (ex multis, Cass., S.U., 8 ottobre 2019, n. 25101).
2.5. A tali orientamenti fa eco una poderosa giuri- sprudenza amministrativa per la quale la carenza di risorse economiche non può condizionare e sacrificare in modo assoluto il diritto fondamentale allo studio e all’istruzione dell’alunno disabile (Cons. Stato, Sez. VI, 3 maggio 2017, n. 2023).
3. Volgendo lo sguardo alla specifica normativa che disciplina il risanamento finanziario degli enti lo- cali che abbiano inteso operare ricorso a un piano di riequilibrio finanziario pluriennale (art. 243-bis ss. Tuel), è noto che le prospettive di superamento delle gravi condizioni di illiquidità in cui versano gli enti in squilibrio strutturale, con alterazione del regolare an- damento della manifestazione dei flussi di cassa rela- tivi alle entrate e alle spese, richiedono “una rigorosa revisione della spesa con indicazione di precisi obiet- tivi di riduzione della stessa, nonché una verifica e relativa valutazione dei costi di tutti i servizi erogati dall’ente e della situazione di tutti gli organismi e del- le società partecipati e dei relativi costi e oneri co- munque a carico del bilancio dell’ente (art. 243-bis, c. 8, lett. f, Tuel).
Con l’adozione del Piano, dunque, l’ente deve di- mostrare di avere programmato o già adottato politi- che di riduzione della spesa per il periodo di durata della procedura, al fine di ottenere un decremento per- centuale significativo delle spese correnti (cfr. Sez. autonomie, 26 aprile 2018, n. 5, Linee guida per l’esame del piano di riequilibrio finanziario plurien- nale e per la valutazione della sua congruenza).
Tali misure di contenimento e razionalizzazione divengono più stringenti ove l’ente abbia accesso al Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finan- ziaria degli enti locali previsto dall’art. 243-ter Tuel, specialmente in considerazione degli oneri restitutori incidenti sul periodico fabbisogno delle risorse che alimentano la cassa (sulle modalità di rimborso, si ve- da l’art. 5 del d.m. interno 11 gennaio 2013, Accesso al Fondo di rotazione per assicurare la stabilità fi- nanziaria degli enti locali).
Il perseguimento delle imprescindibili necessità di riequilibrio della parte corrente, dunque, richiede l’impegno dell’ente a incidere sulle voci di uscita
comprese all’interno di alcuni significativi aggregati del proprio bilancio, tra cui quello concernente l’acquisizione di beni e la prestazione di servizi finan- ziati con risorse proprie (macro aggregato 03), nella misura non inferiore al 10 per cento ed entro il termi- ne del quinquennio (art. 243-bis, c. 9, Tuel).
Ai fini del computo della percentuale di riduzione, il legislatore elenca gli stanziamenti per i quali opera l’esclusione dalla base di calcolo, tra cui è annoverato anche il “finanziamento delle spese relative all’accoglienza, su disposizione della competente au- torità giudiziaria, di minori in strutture protette in re- gime di convitto e semiconvitto” (art. 243-bis, c. 9, lett. b, punto n. 5, Tuel).
4. Su tale contesto normativo si incardina il quesito proposto dal Comune di Canicattì con cui è posta all’attenzione della sezione un’opzione esegetica atta ad estendere il confine delle suddette esclusioni anche agli stanziamenti destinati ai servizi per l’inclusione scolastica degli alunni disabili.
Nell’opinione del comune, infatti, al pari delle spe- se destinate all’accoglienza dei minori in particolari strutture con finalità di cura e protezione, si potrebbe fare perno, da un lato, sulla medesima esigenza di soddisfare i fondamentali diritti costituzionali dei sog- getti in minore età e, dall’altro, sull’irretrattabilità de- gli obblighi di erogazione dei servizi sociali incom- benti sul comune, attesa la presenza di una pronuncia della competente autorità giudiziaria, o, comunque - in assenza di una statuizione del giudice – considerata l’impossibilità da parte dell’ente locale di incidere unilateralmente sulle prestazioni cristallizzate all’interno del Pei, recando ogni diversa scelta conse- guenze prevedibili sull’esito del futuro contenzioso alla luce dei costanti orientamenti pretori in materia.
5. Il collegio esprime il convincimento che il per- corso argomentativo evocato dal comune non si ponga in linea con i criteri generali che governano l’ordinaria attività di esegesi delle norme.
Innanzitutto, l’enunciato normativo di riferimento
– ossia l’art. 243-bis, c. 9, lett. b), Tuel – contempla un preciso precetto di contenimento della spesa cor- rente, con indicazione dei presupposti relativi all’an, alla misura minima del quantum e al quando, cui se- gue un’elencazione tassativa di costi oggetto di esclu- sione dal macroaggregato 03 su cui operare la decur- tazione, così da generare non solo la carenza di una lacuna normativa fondante il presupposto del proce- dimento analogico (art. 12, c. 2, disp. prel. c.c.), ma anche una relazione tra regola e sua eccezione che non apre spazi all’interpretazione in via analogica oltre i casi circostanziati dal testo (art. 14 disp. prel. c.c.).
D’altronde, l’opzione esegetica cui tende il comu- ne produrrebbe effetti non dissimili a quelli della ma- nipolazione di una disposizione che è tipica delle sen- tenze additive della Corte costituzionale e che si carat- terizza per la dichiarazione di illegittimità di una nor- ma nella parte in cui non enuncia una fattispecie che, invece, dovrebbe espressamente esservi compresa.
Una simile operazione di scrutinio della discrezio- nalità legislativa, condotta sotto i parametri della ra- gionevolezza e della eguaglianza di trattamento, esula dai compiti dell’interprete per rientrare tra le esclusive competenze del giudice delle leggi (Corte cost. 28 gennaio 2020, n. 4).
Il Comune di Canicattì, pertanto, nell’ipotesi del futuro accesso al Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali non potrà che confrontarsi con il precetto generale dell’art. 243-bis,
c. 9, lett. b), che impone una revisione della spesa re- lativa all’acquisto di beni e alla prestazione dei servizi con le modalità puntualmente individuate dalla norma, rammentando, comunque, che – ferma restando l’obbligatorietà delle riduzioni indicate nelle lett. b) e
c) – il legislatore concede all’ente la facoltà di “pro- cedere a compensazioni, in valore assoluto e mante- nendo la piena equivalenza delle somme, tra importi di spesa corrente, ad eccezione della spesa per il per- sonale e ferme restando le esclusioni di cui alle mede- sime lett. b) e c)”, con evidenza di tali misure all’interno del piano di riequilibrio approvato (art. 243-bis, c. 9, lett. c-bis, Tuel).