Dipartimento di Impresa e Management Cattedra di Diritto Commerciale
Dipartimento di Impresa e Management Cattedra di Diritto Commerciale
RELATORE CANDIDATO
Xxxx. Xxxxxxx Xxxxx Xxxxxxxx Xxxxx Xxxxxxxx Xxxx.171551
ANNO ACCADEMICO 2014/2015
INDICE
INTRODUZIONE
1.1 Dalle associazioni professionali alle società tra professionisti 1
CAPITOLO PRIMO
2.00 Professioni intellettuali e società 4
2.01 Contratto di società tra professionisti 4
2.02 La disciplina dell’attività intellettuale prima della riforma 9
2.03 La fine della lunga marcia 14
CAPITOLO SECONDO
3.00 La società tra professionisti 21
3.01 La costituzione di una società tra professionisti 21
3.02 Denominazione e ragione sociale 22
3.03 L’oggetto sociale 22
3.04 I Soci 24
3.05 Conferimenti ed esecuzione dell’incarico 25
3.06 Iscrizione nel registro delle imprese e all’albo professionale 28
3.07 Responsabilità e polizza assicurativa 30
3.08 Amministrazione nelle s.t.p. 33
3.09 Scioglimento della s.t.p. 34
3.10 Circolazione delle partecipazioni sociali 35
3.11 Le società tra avvocati 36
3.12 La prescrizione presuntiva triennale del diritto delle s.t.p. 39
3.13 L’assoggettamento fiscale delle s.t.p. 40
CONCLUSIONE
4. La società professionale è fattibile? 42
Bibliografia 45
INTRODUZIONE
1.1 Dalle associazioni professionali alle società tra professionisti
Di recente il legislatore è intervenuto introducendo nel nostro ordinamento le norme che vanno a costituire la disciplina dell’esercizio in forma societaria dell’attività professionale. Ovvero, ha introdotto la possibilità per i professionisti di organizzarsi in società per esercitare la propria professione.
La società tra professionisti va ben specificata, in quanto non si risolve nella semplice costituzione di un’organizzazione societaria da parte di un gruppo di professionisti, bensì in una società il cui scopo-mezzo è quello dell’esercizio dell’attività professionale. Vedremo come tale fattispecie fosse vietata nel nostro ordinamento, con pena di nullità per la società e per i relativi contratti stipulati dalla stessa. Le cause di tale divieto venivano ritrovate dalla giurisprudenza nella legge 23 novembre 1939 n.1815, che specificava quali fossero le forme consentite per l’associazione tra professionisti esercenti attività intellettuali protette; invece, la dottrina inquadrava l’impossibilità di costituirsi in forma societaria, per l’esercizio delle attività intellettuali protette, in quelle norme del codice che riguardo a tale tipo di attività richiedevano la prestazione personale dell’opera, il che entrava in conflitto con l’esercizio in forma societaria in cui è requisito essenziale del contratto “l’esercizio in comune”. Altro elemento che impediva la costituzione di società per l’esercizio di attività intellettuali, era la non imprenditorialità di queste, in un ordinamento in cui le società erano inquadrate tra gli strumenti per l’esercizio dell’attività imprenditoriale.
Tutti questi elementi che impedivano l’associazione sotto forma di società erano derivati dalla volontà del legislatore di salvaguardare quelle professioni che erano viste sul piano sociale di un grado più elevato rispetto all’attività commerciale; separazione storica derivata dalla visione medioevale del professionista intellettuale come uomo di ingegno e cultura e dai fini sociali, rispetto al mercante visto come
usuraio speculatore, con fini puramente lucrativi. Da questa visione derivava la volontà di separare la figura del professionista da quella dell’imprenditore, anche presentando le due varie affinità; da ciò derivava, quindi, l’esecuzione personale dell’opera, onde evitare che i soggetti non abilitati si sostituissero al professionista abilitato; da queste premesse ne scaturì quella legge del 1939 che imponendo particolari dettami nella pubblicità dovuta alle associazioni tra professionisti rendeva l’organizzazione societaria un miraggio per gli stessi.
Il processo di riforma di tale disciplina si è avviato nel 1997 con l’abrogazione dell’art. 2 della legge n.1815/1939, tuttavia non vi fu mai l’emanazione di quel regolamento previsto dalla riforma, e la situazione rimase bloccata al punto di partenza. Xxxxxxx chiedersi per quale motivo, dopo che per svariati anni la dottrina ha richiesto una riforma della disciplina, finalmente questa sia stata avviata dal legislatore. Siamo in un periodo storico in cui il sistema economico del paese è interconnesso con il sistema economico comunitario e globale. Si fanno necessarie le forme organizzative di tipo societario per la loro capacità di far confluire al fine di un’organizzazione di gruppo maggiori quantità di capitale; per la loro capacità di creare sistemi organizzativi più efficienti, sia sul piano pratico, sia sul piano di presenza sul territorio nazionale ed estero; quindi la capacità delle società di avere una visibilità maggiore sul mercato. Questi motivi ispiratori del sistema societario sono certamente riconosciuti all’attività imprenditoriale, che giustamente ne trae il dovuto vantaggio; dunque, perché negarli al settore delle attività intellettuali? Se una società estera decide di investire in Italia, e necessita di valutazioni economiche, legali, ingegneristiche ecc. come può andare alla ricerca dell’esperto abilitato che più si adatta ai suoi interessi? E come può farlo in un sistema legato alla stretta correlazione tra il professionista e il luogo in cui esercita la sua professione. Sarebbe a tal fine auspicabile la presenza di organi societari che diano più efficienza organizzativa, visiva e specialistica alle professioni. Si pensi a come potrebbe un singolo medico competere con un team composto da vari specialisti nella diagnosi di una malattia.
Per tali ragioni l’organizzazione societaria si rende necessaria anche per le professioni intellettuali. E il legislatore comunitario infatti richiese nel 1999 che si regolasse l’esercizio in forma societaria dell’attività forense.
Decreto comunitario che fu recepito nella legge n. 96/2001 del legislatore Italiano; con la quale andava a mantenere salve le premesse su cui fondava i motivi del divieto e faceva intravedere la volontà di regolamentazione futura della disciplina, inquadrando tale “atipica” forma societaria come primo modello delle società tra professionisti. Modello che tuttavia non arrivò a compimento. La successiva riforma infatti avvenne nel 2006 con la disciplina relativa alle società tra professionisti esercenti attività di progettazione.
Infine arriviamo al 2011, con la legge n. 183, al cui art. 10 il legislatore affidava la regolamentazione della disciplina delle società tra professionisti, a cui segui nel 2013 il decreto ministeriale n.34 che regolava gli aspetti lasciati dubbi dalla legge.
Si veniva a creare un sistema tramite cui ottenere la qualifica di s.t.p., in quanto il legislatore preferì non creare un nuovo tipo societario, come forse si presumeva dalla legge n. 96/2001. Preferì affidare a determinate previsioni in sede di costituzione la concessione di tale qualifica, e si venne a creare un sistema macchinoso, in cui tuttavia erano salvi quei principi di personalità della prestazione, e tutela delle professioni. Venivano concesse anche le società esercenti più attività professionali. Rimanevano tuttavia dei dubbi riguardo l’attività forense, dovuti alla recente riforma della disciplina, che aveva previsto una delega per il Governo che tuttavia non fu resa esecutiva.
Nello studio che segue si procederà, innanzitutto, ad analizzare i motivi del divieto, le soluzioni e i pareri della dottrina in merito; quindi si passerà all’analisi degli interventi legislativi e della struttura delle società tra professionisti introdotte nell’ordinamento Italiano
CAPITOLO PRIMO
PROFESSIONI INTELLETTUALI E SOCIETA’
2.1 Contratto di società tra professionisti
A seguito del processo di liberalizzazione dei mercati, europei ed internazionali, si è creata la necessità per i vari professionisti di collaborare, nell’esercizio della professione intellettuale, adottando forme organizzative che concedano più visibilità, più dinamicità e maggior disponibilità di mezzi idonei a svolgere la propria attività in un mercato sempre più complesso.
In questo quadro vanno inserite le riforme che hanno concesso ai professionisti intellettuali la possibilità di organizzarsi nella forma di Società. Organizzazione ostacolata in passato nel nostro ordinamento, per motivi legati alla difficile conciliazione della disciplina del contratto d’opera con quella delle società; dove nella prima vige il principio della personalità nell’esercizio dell’attività professionale, mentre nella seconda è la comunanza che caratterizza l’esercizio dell’attività economica.
Necessario è quindi distinguere le fattispecie in cui non vi è società da quelle in cui la società c’è ma non esercita attività intellettuale e viceversa. Lo svolgimento di un’attività in collaborazione non equivale allo svolgimento della stessa in comune; occorre dunque individuare la fattispecie in cui l’attività sia imputabile al “gruppo”.
Prima delle varie riforme intervenute sulla materia, i principali ostacoli all’esercizio dell’attività professionale in forma societaria erano:
La non imprenditorialità delle attività professionali;
La disciplina dell’esercizio di professioni intellettuali;
La legge 23 novembre 1939, n.1815; in cui si è spesso trovato il divieto assoluto di costituzione delle società tra professionisti.
Prima di procedere all’esame di tali elementi, va segnalato che la loro portata poteva variare in base al tipo di professione esercitata; risultava a tal proposito fondamentale la distinzione tra professioni protette e professioni non protette. Secondo autorevole interprete, infatti: “il problema nemmeno si pone quando, per avventura, si tratti di professionisti esercenti un’attività non controllata: niente, nel nostro ordinamento, vieta, a mio parere, che costoro diano vita ad una vera e propria società, rilevante come tale anche per i terzi. Il problema sorge invece… quando si entri nel terreno della professione intellettuale controllata”.1
Coloro che esercitano professioni non protette potrebbero, quindi, sottrarsi alla disciplina del contratto d’opera intellettuale stipulando contratti d’appalto; “cioè sarebbero liberi di agire come imprenditori, uscendo così dalla classe dei professionisti intellettuali.”2. Rinunciando alla disciplina del contratto d’opera, e alle relative tutele che la stessa garantisce rispetto alla disciplina dell’imprenditore, sarebbero, cioè, venute meno per queste figure professionali quegli ostacoli presenti nell’ordinamento prima della riforma.
Tanto premesso, procediamo alla analisi degli elementi che, quanto meno per le professioni protette, venivano normalmente invocati per motivare la conclusione negativa circa la utilizzabilità dello strumento societario.
La fattispecie del contratto di società prevista dall’art. 2247 c.c. prevede che: “Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili”.
Ipotizziamo una fattispecie in cui due o più professionisti vogliano costituire una società, tramite cui esercitare in comune l’attività professionale, conferendo beni o servizi ovvero prestazioni d’opera intellettuale, con il fine di dividere tra di loro il risultato economico risultante. Ponendo a confronto le due fattispecie osserviamo una relativa compatibilità. Da cosa derivavano quegli ostacoli che per lungo tempo
1 XXXXXXXXX, Le società di professionisti “esterne” e le necessarie modifiche delle leggi professionali, in Le Società di professionisti, cit., pag.130s. ;
2 IBBA, Professioni intellettuali e impresa, in Le professioni intellettuali, cit., pag.314s.;
hanno impedito la possibilità per i professionisti di associarsi con tale metodo organizzativo?
Uno dei principali ostacoli era la concezione che le attività intellettuali fossero carenti dell’elemento dell’economicità; constatazione con cui parte della dottrina giustificava la separazione tra la figura del professionista intellettuale e quella dell’imprenditore, caratterizzata dall’esercizio di un “attività economica organizzata”.
A tal proposito si ricorda che l’attività economica è quella tale da creare nuova ricchezza, tramite la produzione di beni o servizi, ed inoltre tramite l’aggiunta di valore agli stessi già presenti sul mercato mediante la loro distribuzione. Non è necessario quindi il mero scopo di lucro; ciò che serve, affinché l’esercizio di una data attività possa essere definito economico, è che sia perseguito con metodo economico; ovvero, con il tendenziale pareggio dei costi d’esercizio tramite i ricavi. E’ il metodo più che il risultato che danno ad un’attività la caratteristica di economicità.
Nella disciplina del contratto d’opera, in cui ricadono le professioni intellettuali, non vi è richiesta di “economicità” nel perseguire l’esercizio della propria attività intellettuale. Viene invece regolato il Compenso “se non convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione professionale a cui il professionista appartiene” e al secondo comma “in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione” (art. 2233 c.c.). Concentrandosi sul secondo comma del detto articolo emerge che più che di metodo economico dietro l’attività del professionista intellettuale vi sia il primario obiettivo di fornire un servizio sociale; fatto che nella tradizione storica ha distinto la categoria dei professionisti intellettuali da quella dei commercianti, il cui scopo era tipicamente il profitto.
I professionisti intellettuali forniscono al mercato (l’ambiente sociale) un servizio; inoltre, il fine tipico nell’esercizio dell’attività intellettuale è la produzione di utili per il professionista; anche se tale obiettivo non è riscontrabile in ogni singola operazione, è la sua tendenziale ricerca che rende l’attività intellettuale un’attività economica, come appunto nella
disciplina d’impresa in cui è la ricerca del metodo economico più che lo scopo di lucro l’elemento caratterizzante. Infatti, l’opinione prevalente della dottrina inquadra l’attività intellettuale come attività economica; come ribadito da autorevole dottrina “l’attività professionale è da ritenersi economica in entrambi i sensi richiesti dall’art 2247 c.c.: è attività produttiva di nuove utilità – consistenti nella fornitura al mercato di un servizio – ed è attività svolta dal professionista per conseguire utili; è, perciò, economica sia nel risultato sia nel metodo”3.
Altro percorso argomentativo della dottrina per spiegare la separazione tra le figure dell’imprenditore e del professionista è legato all’organizzazione, elemento caratterizzante l’attività di impresa, che secondo parte della dottrina nella figura del professionista intellettuale risulterebbe assente o al più secondario.
Il ruolo dell’organizzazione risulta centrale nella disciplina dell’impresa e dell’azienda. Esempio calzante è l’avviamento, che non fa altro che rappresentare in valore economico la capacità che l’imprenditore ha avuto nell’organizzare la propria impresa. Volendo constatare di cosa lo stesso sia composto possiamo scomporlo in avviamento oggettivo e soggettivo; il primo come capacità di produrre utili di un dato complesso organizzato anche al mutare del titolare dell’azienda, e il secondo come l’abilità operativa dell’imprenditore nel proprio mercato. E’ stato infatti osservato che, prescindendo dalle dimensioni che può o meno raggiungere l’organizzazione al servizio dei professionisti intellettuali, la differenza tra l’organizzazione presente nell’esercizio dell’attività intellettuale rispetto alla stessa nell’attività imprenditoriale è qualitativa; da inquadrare nella funzione “strumentale” dell’organizzazione rispetto all’attività personale del professionista. “Il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto. Può tuttavia valersi, sotto la propria direzione e responsabilità, dei sostituti e ausiliari, …” (art. 2232 c.c.). Come traspare dal dato normativo il carattere personale della prestazione è una peculiarità del contratto d’opera intellettuale; non viene negata la possibilità di avvalersi di “sostituti e ausiliari” ma pur sempre sotto la direzione del professionista che ha assunto l’incarico.
3 MARASA’, Le “società” senza scopo d lucro, Milano, 1984
Paragonando tale figura a quella dell’imprenditore potremmo pensare, tornando all’esempio sull’avviamento, che il professionista venga a creare nel corso della sua carriera un avviamento che è prevalentemente soggettivo, essendo di poco conto il valore che proviene dall’organizzazione degli strumenti del suo lavoro.
In questo senso la Cassazione sull’avviamento nella cessione di studi professionali, secondo la quale “gli attrezzi ed apparecchi che dotano lo studio di un libero professionista hanno sempre una funzione secondaria ed accessoria, nel senso che non ne rappresentano l’elemento più importante e non sono volti alla produzione di beni o di servizi – come nell’azienda – ma esclusivamente a rendere più agevole e proficua l’opera intellettuale… Nello studio professionale, anche se munto di beni materiali e strumentali più vari e complessi che la progredita tecnica moderna suggerisce, quello che conta e prevale… è sempre l’opera intellettuale del titolare”4
Un esempio chiarificatore della diversa rilevanza dell’organizzazione potrebbe essere quello del medico che, avviato uno studio faccia usare i propri macchinari ad altri medici in cambio di un corrispettivo; in questo caso, infatti si potrà applicare sia la disciplina del contratto d’opera intellettuale, per l’attività svolta dal professionista in favore dei propri pazienti, sia la disciplina dell’impresa, per l’attività di prestazione di servizi commerciali in favore dei colleghi.
Tuttavia questa distinzione non è sempre condivisibile, in quanto per talune professioni il ruolo svolto dagli strumenti è forse più importante e produttivo di valore economico che la stessa opera intellettuale del titolare, tuttavia questi non assume la qualifica di imprenditore finché tale struttura sia volta all’esercizio di attività esclusivamente o prevalentemente propria.
Dunque, l’organizzazione è un tratto essenziale per l’esercizio dell’attività di impresa per l’imprenditore; ma seppure con finalità e modalità diverse, è presente anche nell’esercizio dell’attività intellettuale. Se il professionista intellettuale non diventa imprenditore è per una scelta del legislatore, motivata, probabilmente, dal particolare
4 Cass., 21 Luglio 1967, n. 1889, in Xxxx.xx, 1968, I,,1, c. 563, in Foro it., 1968, I, c. 209, e in Dir. E prat. trib., 1968, II, pag. 15, nota di BOIDI;
ruolo sociale e di prestigio tradizionalmente associato all’esercizio di tali attività, che le ha poste su un piano idealmente più elevato rispetto l’esercizio di attività di impresa.
2.2 La disciplina dell’attività intellettuale prima della riforma
Un altro ostacolo all’esercizio della professione intellettuale in forma associata era individuato, tradizionalmente, in alcuni aspetti della disciplina delle attività intellettuali, e particolarmente nel principio della personalità della prestazione da parte del professionista.
Va, per altro, rilevato che tale disciplina non impedisce in maniera assoluta fenomeni di collaborazione nell’esercizio delle attività professionali.
Una forma di cooperazione nell’esercizio della professione è prevista nella norma che sancisce il principio della personalità della prestazione, l’art. 2232 c.c., a mente del quale “il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto”, aggiunge soggiungendo che, in presenza di date condizioni, “può tuttavia valersi, sotto la propria direzione e responsabilità, dei sostituti e ausiliari”. L’utilizzo dell’opera altrui non fa venire meno la personalità della prestazione: rimane un fatto interno in quanto si svolge “sotto la direzione e responsabilità” del prestatore d’opera intellettuale, il quale assorbe l’attività del sostituto. Tale fattispecie delinea un fenomeno associativo che è perfettamente compatibile con lo statuto delle professioni liberali.
Se un professionista si avvalesse della collaborazione di un collega, che venisse associato nell’attività del primo e nel riparto dei risultati, vi sarebbe un vincolo associativo qualificabile come associazione in partecipazione, in cui l’attività intellettuale rimarrebbe in ogni caso personale; imputabile all’uno o all’altro professionista in un rapporto in cui uno figura da dominus e l’altro da associato e viceversa. In ogni caso l’attività non è svolta in comune, dunque non entra in conflitto con la disciplina del contratto d’opera intellettuale.
Altra fattispecie è quella in cui tra due o più professionisti si instaura una situazione di comproprietà di beni di cui ciascuno di essi si serve per l’esercizio della professione. In questo caso, infatti, si applica il regime della comunione, poiché i beni costituiscono uno strumento comune di attività individuali e non si può rintracciare un risultato comune al cui servizio sia destinato il bene. Tuttavia anche mancando la comproprietà dei beni, ma semplicemente accordandosi i due professionisti per la ripartizione delle spese, mantenendo le rispettive attività separate, vi è comunione di mezzi. In taluni casi tale comunione può dar luogo la costituzione di una società che è titolare dei beni che sono utilizzati dai professionisti per l’esercizio delle relative attività, fenomeno questo che non sarà riconducibile ad una società professionale, trattandosi solo di una società strumentale rispetto all’esercizio dell’opera intellettuale.
In tutte queste figure l’elemento tipico da rintracciare è il permanere della personalità della prestazione; la comunione dei mezzi non intacca quello che è il punto cardine della disciplina delle professioni intellettuali enunciato all’art. 2232 c.c., ovvero la personalità dell’incarico. Queste tipologie associative possono costituirsi anche in forma societaria, poiché l’attività intellettuale resta in ogni caso imputabile al singolo professionista, che parallelamente risulta socio sia quella che possiamo definire “società di mezzi tra professionisti”, ovvero una società in cui il patrimonio sociale è posto a godimento della collettività dei professionisti per l’esercizio delle loro attività. “Il vantaggio sociale non consisterebbe affatto nella ripartizione degli utili ma nella disponibilità di una organizzazione strumentale all’attività di ogni professionista e nel presumibile risparmio di spesa che ne deriva”5; tale società di mezzi tra professionisti quindi non produce un servizio professionale, anzi lo svolgimento dell’attività professionale rimane estraneo alla società.
La vera e propria Società tra professionisti è tale che “abbia ad oggetto sociale l’esercizio di una determinata professione, con comunione di spese e di utili fra i soci e che all’esterno appaia come ‘il professionista’”6.
5 SPADA, Tipicità delle società e società e associazioni “atipiche” fra professionisti ecc., cit., pag. 123;
6 BUONOCUORE, Primi orientament ecc., cit., pag. 88;
In tale fattispecie i soci, professionisti intellettuali, prestano l’attività professionale a favore della società; ed è la società a stipulare i contratti con i terzi. Gli incarichi professionali non sono assunti dai singoli soci, ma dal gruppo nel suo complessivo. I relativi problemi, che erano presenti nel nostro ordinamento, riguardavano appunto l’ammissibilità di “puntualizzare sul gruppo dei professionisti come tale una attività professionale che ontologicamente e giuridicamente è propria delle persone fisiche”7. Fatto che faceva dubitare del rispetto dell’art. 2232 c.c., in quanto il rapporto col cliente avviene a nome della società, mentre l’attività intellettuale viene esercitata da un professionista-socio; ed inoltre, come si doveva inquadrare il rapporto tra i soci in merito alle decisioni riguardanti un dato rapporto? L’autonomia dei soci professionisti sarebbe messa in difficoltà poiché “ogni decisione… non potrebbe più costituire una decisione individuale, con piena autonomia, ma diventerebbe una decisione del gruppo, rispetto alla quale il singolo socio potrebbe risultare dissenziente, sebbene si tratti di scelte che coinvolgono anche il suo nome, il suo prestigio, la sua responsabilità”8.
Tali problematiche derivavano dalla disciplina dell’attività intellettuale e delle tutele che il legislatore le ha concesso; tutele che non sono soltanto finalizzate al mantenere il prestigio della figura del professionista intellettuale all’interno della vita sociale, ma anche a tutelare chi, entrando in contatto con tali figure, doveva, e deve, essere tutelato.
Tutela garantita dal legislatore tramite l’obbligo di iscrizione, per le professioni protette, negli appositi albi professionali; ove la mancanza della stessa produce che “la prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della retribuzione” (art. 2231 c.c.). Per garantire tale tutela, nell’ipotesi di un esercizio dell’attività intellettuale in forma societaria, era dunque necessario fornire all’ente societario la qualificazione di professionista. Sotto tale ipotesi avremmo potuto pensare ad una fattispecie in cui: due o più professionisti conferiscono beni e la propria opera intellettuale per l’esercizio in comune dell’attività professionale al fine di dividerne gli utili.
Fattispecie che rientra nello schema del contratto di società (art. 2247 c.c.), se teniamo presente che lo stesso richiede “esercizio in comune di
attività economica”, e da quanto detto sopra, l’attività professionale è economica, ma non imprenditoriale per scelta legislativa, su cui ci siamo soffermanti precedentemente; requisito che non è richiesto dal contratto di società. La fattispecie di società tra professionisti costituirebbe un utilizzo dell’organizzazione societaria senza impresa. Si sarebbe potuti ricorrere all’utilizzo di uno dei tipi delle società di persone; in cui affidare la rappresentanza della società, e la relativa capacità di agire in nome della stessa, al socio-professionista, imponendogli, nella procura, la limitazione ad agire limitatamente a determinati contratti; mantenendo salva, con tale previsione, la personalità della prestazione nei confronti del cliente e la tutela derivante dall’obbligo di iscrizione nello specifico albo professionale. Oppure riconoscendo alla società, costituita da soli soci-professionisti, la qualità di professionista si sarebbe potuto inquadrare il rapporto società-soci nella visione in cui i soci- amministratori fungevano da ausiliari alla società professionista nell’esercizio dell’attività intellettuale, rientrando nello schema dell’art. 2232.
L’ordinamento delle professioni intellettuali non consentiva l’esercizio delle stesse da parte di un ente astratto, ma lo consentiva soltanto a persone fisiche specificamente abilitate e qualificate; “il sistema attuale è rigidamente fondato sulla possibilità di iscrizioni esclusivamente individuali, con conseguente legittimazione allo svolgimento delle relative attività soltanto a favore delle persone fisiche in possesso dei requisiti necessari per ottenere l’iscrizione”9
Inoltre, per i problemi che potevano nascere da tali fattispecie, ovvero l’incapacità di assicurare l’esercizio dell’attività intellettuale da parte di un professionista regolarmente iscritto nell’apposito albo; per evitare la possibilità di costituirsi sotto la forma della società anonima; e per mantenere il prestigio sociale associato all’esercizio di tali professioni; il legislatore aveva regolato le forme associative tra professionisti con la legge 23 novembre 1939, n. 1815 “Disciplina giuridica degli studi di assistenza e di consulenza”, con cui bisogna confrontare quanto finora detto al fine di comprendere le ragioni che, prima della riforma, negavano la costituzione di tali società.
Rivolgiamo la nostra attenzione agli art. 1 e 2 della citata legge, i quali dispongono che “le persone che, munite dei necessari titoli di abilitazione professionale, ovvero autorizzate all’esercizio di specifiche attività in forza di particolari disposizioni di legge, si associano per l’esercizio delle professioni o delle altre attività per cui sono abilitate o autorizzate, debbono usare, nella denominazione del loro ufficio e nei rapporti coi terzi, esclusivamente la dizione “studio tecnico, legale, commerciale, contabile, amministrativo o tributario”, seguito dal nome e cognome, coi titoli professionali, dei singoli associati”10; e che “è vietato costituire, esercire o dirigere, sotto qualsiasi forma diversa da quella di cui al precedente articolo, società, istituti, uffici, agenzie, od enti, i quali abbiano lo scopo di dare, anche gratuitamente, ai propri consociati od ai terzi, prestazioni di assistenza o consulenza in materia tecnica, legale, commerciale, amministrativa, contabile o tributaria”11.
L’art. 1 di tale legge non è di principio un ostacolo alla costituzione di società tra professionisti, se si prospetta un tipo organizzativo costituito seguendo le indicazioni specifiche dell’articolo e in cui i soci siano abilitati all’esercizio della data attività professionale; e nello specificare tale obbligo per “le persone che, munite dei necessari titoli di abilitazione professionale” si deve ritenere che tale articolo vada inteso riguardo le professioni protette, lasciando libertà di scelta per le professioni non rientranti in tale categorie. In particolare si poteva pensare di costituire una società di persone; nello specifico, la disciplina della società semplice, non richiedendo l’uso di una ragione sociale, è di certo conciliabile con gli obblighi della legge relativi alla presentazione esteriore del gruppo, le quali escludono l’uso dell’espressione società. Fu notato che anche la giurisprudenza “sembra trovare l’unico motivo di contrasto tra società professionali e ordinamento nella mancata osservanza da parte delle prime della prescrizione che impone un certo modo di formazione della denominazione sociale: di talché non sembra azzardato dire che ove per avventura una società professionale… si trovasse a chiedere la omologazione… otterrebbe certamente un provvedimento favorevole… sol che avesse formato la sua denominazione secondo il dettato dell’art. 1 della legge n. 1815”12.
10 Legge 23 novembre 1939, n. 1815, Art. 1;
11 Legge 23 novembre 1939, n. 1815, Art. 2;
Sembrerebbe dunque che le società che si trovavano in regola con la legge speciale fossero soltanto quelle in cui ciascuno dei soci fosse abilitato all’esercizio della professione per cui la società era costituita. L’impossibilità di costituirsi in società, per i professionisti, proveniva dall’art. 2, che appunto imponeva di utilizzare per associarsi soltanto lo schema presentato nell’art. 1.
2.3 La fine della lunga marcia
La tendenza alla commercializzazione delle professioni intellettuali ha modificato la percezione presso il pubblico facendo perdere parte del presupposto della scelta legislativa. Oltre a ciò, il necessario processo di trasformazione, dovuto alle sempre maggiori e specifiche richieste da parte del mercato globalizzato, stanno portando alla richiesta di sempre più complesse e articolate forme organizzative per poter essere competitivi.
Nel nostro ordinamento prima dell’avvio del processo di liberalizzazione, avviatosi nel ’97, erano chiaramente presenti degli ostacoli per l’esercizio delle attività intellettuali nella forma societaria. Da un lato vi erano varie sentenze con cui la giurisprudenza tendeva a ribadire che il vero e proprio divieto fosse determinato dall’art. 2 della legge 1815/39; dall’altro era opinione comune tra la dottrina che la personalità di esecuzione dell’incarico sancita dall’art. 2232 c.c. “rende inammissibile una società fra professionisti; … la rende inammissibile non perché si tratti di una società senza impresa, ma per una ragione che si colloca “a monte”: perché la professione sarebbe esercitata in comune fra più professionisti e, quindi, impersonalmente”13.
Nel 1997 vi fu il primo intervento, ovvero vi fu l’abrogazione dell’art. 2 della legge 1815/39 tramite l’art. 24 della legge 266/97; e nel contempo fu conferito al Ministro della giustizia il potere di fissare con proprio decreto i requisiti per l’esercizio in forma societaria delle attività previste dall’art. 1 della legge 1815/39, tuttavia non si approdò mai a tale decreto.
L’abrogazione dell’art. 2 della legge n. 1815 del 1939 è stata una norma liberalizzatrice, ma senza l’emanazione di uno specifico statuto per le società tra professionisti non ha assunto alcuna valenza innovatrice. Rimaneva da conciliare la disciplina dell’attività intellettuale, quindi la personalità nell’esecuzione dell’opera, con la natura dell’organizzazione societaria, ovvero l’esercizio in comune dell’attività economica. Compito che il legislatore voleva affidare ad un regolamento emanato dal ministero della giustizia; tuttavia vi si oppose il Consiglio di Stato, in quanto un regolamento, che è gerarchicamente subordinato alla legge, non poteva inserirsi come regolatore di una materia di ambito legislativo.
Sul punto, il tribunale di Milano14, con il decreto del 5 giugno 1999, chiarì che poteva iscriversi nel registro delle imprese una società di professionisti costituita in forma di società di persone e in modo specifico nella forma della società semplice, in modo da garantire la responsabilità illimitata dei soci.
Serviva in ogni caso una normativa armonizzatrice tra le due discipline che entravano in contatto; ed un ulteriore passo in avanti si ebbe con la direttiva n. 98/5/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 febbraio 1998 che portò alla legge 21 dicembre 1999, n. 526, art. 19, “Attuazione della direttiva 98/5/CE in materia di esercizio della professione di avvocato”. Tale articolo dettava principi e direttive atte a istituire quella che sarebbe poi divenuta la legge n. 96/2011.
Con tale legge veniva strutturata la società tra avvocati, “L’attività professionale di rappresentanza e difesa in giudizio può essere esercitata in forma comune esclusivamente secondo il tipo della società tra professionisti, denominata nel seguito società tra avvocati.”15; “La società tra avvocati è regolata dalle norme del presente titolo e, ove non diversamente disposto, dalle norme che regolano la società in nome collettivo… Ai fini dell’iscrizione nel registro delle imprese, è istituita una sezione speciale relativa alle società tra professionisti.”16.
E’ stato notato che “secondo l’enunciazione testuale del legislatore (art. 16, co. I), la società tra professionisti sembrerebbe configurare un tipo
societario a sé, introdotto ex novo in aggiunta a quelli previsti e disciplinati dal Codice civile del 1942.”17; la società tra avvocati risulterebbe essere un sottotipo di quello che il legislatore definisce società tra professionisti, ma nel testo di legge non si trova riscontro di tale tipo societario. La disciplina della società tra avvocati è appunto disciplinata sul modello della collettiva regolare con le relative specifiche dettate dal testo di legge. Della società tra professionisti si trova traccia, oltre che nella creazione di una sezione speciale all’interno del registro delle imprese, solo nella previsione che la Ragione sociale della società deve essere “costituita dal nome e dal titolo professionale di tutti i soci ovvero di uno o più soci, seguito dalla locuzione ‘ed altri’, e deve contenere la indicazione di società tra professionisti, in forma abbreviata s.t.p.”18. Si potrebbe pensare che il legislatore abbia anticipato all’epoca della riforma quello che sarebbe stato un nuovo tipo societario, creato ex-novo per le attività professionali, ma di tale nuovo tipo societario non si trova nessuna fattispecie né nessuna disciplina nella legge n. 96/2001. La società tra avvocati poteva configurarsi come tipo societario a sé stante, ma non viene mai definito come tale nella legge; oppure la si poteva pensare come una società in nome collettivo a statuto differenziato, caratterizzata dalla particolarità dell’oggetto sociale, o delle qualifiche soggettivi dei soci. Caratteristiche che venendo meno provocherebbero una “trasformazione tacita”19 della società, ovvero l’assoggettamento alla normale disciplina della collettiva.
Nelle previsioni della legge 96/2001 ritroviamo quelle che erano le ipotesi della dottrina in merito alla costituzione in forma societaria da parte dei professionisti per esercitare la propria attività intellettuale; ovvero il rispetto dell’art. 1 della legge 23 novembre 1939. Inoltre, riscontriamo come il legislatore abbia accolto l’opinione della dottrina secondo cui lo schema delle società di persone si adattava alle necessità richieste da questa particolare tipologia societaria.
Ulteriore scelta legislativa, coerente con i modelli ipotizzati dalla dottrina, fu quella riguardante i Requisiti soggettivi dei soci, presentati nell’art. 21, “I soci della società tra avvocati devono essere in possesso
del titolo di avvocato.”20; e tale qualifica è un elemento essenziale tanto che al quarto comma dello stesso articolo, “E’ escluso il socio che è stato cancellato o radiato dall’albo”. Ed ancora riguardo l’Amministrazione della società, nell’art. 23 comma I, il legislatore sancisce l’amministrazione compete esclusivamente ai soci. Viene risolto anche il problema che nasceva riguardo la personalità di esecuzione dell’incarico, “L’incarico professionale conferito alla società tra avvocati può essere eseguito solo da uno o più soci in possesso dei requisiti per l’esercizio dell’attività professionale richiesta” e “il cliente ha diritto di chiedere l’esecuzione dell’incarico sia affidata ad uno o più soci da lui scelti…”21; l’incarico è conferito alla società, la quale è “iscritta in una sezione speciale dell’albo del Consilio dell’ordine…”22. Il socio- professionista, scelto dal cliente o assegnatogli dalla società se in difetto di scelta, funge da esecutore. Inoltre nell’art. 25 si parla dei Compensi, che se “derivanti dall’attività professionale dei soci costituiscono crediti della società”23; dunque l’attività viene svolta non nell’interesse dei professionisti, ma nei confronti della società stessa, il ritorno economico nei riguardi dei professionisti vi è, ma in maniera indiretta.
Il legislatore si è preoccupato di rispondere a quegli interrogativi posti dalla dottrina in merito all’esercizio in forma societaria dell’attività intellettuale; e la scelta di basarsi sul tipo delle società di persone è giustificata dall’esigenza di garantire che le prestazioni siano eseguite da soci abilitati, e che gli stessi né fossero responsabili; regolando di conseguenza i rapporti tra società e clienti, inquadrando la stessa come un professionista, tramite l’iscrizione nell’albo. Tuttavia, mentre la dottrina propendeva per l’utilizzo del tipo della società semplice, quale regime residuale delle attività non commerciali, come appunto l’attività intellettuale; il legislatore ha preferito costruire questo nuovo schema societario sulla base delle società in nome collettivo. Tale scelta era forse legata agli intenti del legislatore dell’epoca, che in visione di una riforma del diritto societario, anticipava l’eliminazione della società semplice lasciando le collettive come schema generale per l’esercizio di attività in forma societaria. Eliminazione che tuttavia è sparita dalle successive
20 Legge 21 dicembre 2001, n. 96, Art. 21 comma I;
riforme. Si sarebbe potuto procedere diversamente: i tipi societari capitalistici, adeguati alle esigenze richieste dalla disciplina dell’attività intellettuale, avrebbero consentito di risolvere le relative problematiche. “Non si personalizza la prestazione professionale attraverso l’adozione di una società personale”24 ma regolando i rapporti tra clienti, società e soci.
Seppur tale intervento legislativo ha risolto quelli che erano gli ultimi impedimenti, per la costituzione di società con oggetto sociale l’esercizio dell’attività intellettuale, li ha risolti soltanto per una determinata categoria di professionisti intellettuali. Per quanto riguardava le altre attività intellettuali protette, anche venuto meno l’art. 2 della legge 1815/1939, rimaneva da determinare, analogamente a quanto fatto per le società di avvocati, la disciplina applicabile; ovvero la disciplina riguardante le società tra professionisti che erano richiamate nel testo della legge 96/2001, ma che di fatto non esisteva ancora. A riguardo, con la legge 223/2006 si abrogava il “divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che l’oggetto sociale relativo all’attività libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità”25. Si dava la possibilità di costituire società tra professionisti ad oggetto interdisciplinare e non esclusivo. Altro intervento dello stesso anno riguarda le società che “eseguono studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni o direzione dei lavori, valutazioni d congruità tecnico-economica o studi di impatto ambientale”26 che sono classificate come società tra professionisti se costituite soltanto da “professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali”, e avendo adottato la forma di una società di persone o cooperativa; altrimenti vengono classificate come società di ingegneria, dunque si potranno avere anche soci non professionisti e si potrà adottare la forma
24 MONTAGNANI, Il “tipo” della società tra professionisti, denominato società tra avvocati, in Riv. Soc., 2002
25 Decreto legge 4 luglio 2006, n. 233, art. 2, comma I.
26 Decreto legge 163/2006, art. 90 .
di società di capitali. Passo successivo fu la riforma delle società esercenti revisione legale, le quali potevano essere costituite non solo nella forma delle società di persone ma anche in forma di società di capitali; era consentita la presenza di soci non professionisti, ma i professionisti dovevano detenere la maggioranza in sede assembleare e di gestione; da notare è che per tali società non è richiesta dal legislatore la dicitura S.T.P.
Si arriva quindi alla definizione della disciplina della Società tra professionisti nella legge 12 novembre 2011 n. 183, parzialmente modificata con il decreto legge n.1/2012, convertito in legge n. 27/2012. Materia completata dal decreto ministeriale n. 34/2013, che fornisce la definizione delle s.t.p. e delle s.t.p. multidisciplinari. Inoltre viene definitivamente abrogata la legge n. 1815/193927, senza per altro intaccare la validità delle associazioni tra professionisti esistenti prima dell’entrata in vigore di tale riforma.
Costituire una società tra professionisti non è più subordinato alla soggettiva qualifica di tutti i soci, potendoci essere sia soci qualificati sia soci investitori; non è più richiesto che il tipo societario rientri nei modelli delle società di persone, ma può essere scelto liberamente tra quelli regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile; la qualifica di s.t.p. è subordinata alla presenza nell’atto costitutivo di alcune previsioni, quali:
L’esercizio dell’attività è riservato esclusivamente ai soci abilitati all’esercizio della data attività;
I soci professionisti devono essere in maggioranza di almeno due terzi nelle delibere e nelle decisioni;
La denominazione sociale deve contengere l’indicazione di società tra professionisti;
Si è venuta così a realizzare la fattispecie quella che il legislatore del 2001 aveva anticipato nel dettare la disciplina per le società tra avvocati; tuttavia, contrariamente a quanto forse quello auspicava non ci siamo trovati di fronte ad un nuovo tipo societario. Il legislatore ha preferito concedere l’utilizzo dei tipi societari esistenti, dettando appositi requisiti per l’esercizio dell’attività intellettuale e per mantenere salva la
27 Legge 12 novembre 2011, n. 183, art. 10, comma 11.
personalità della prestazione d’opera. Con questa riforma vengono meno gli obblighi presenti nella legge n.1815/1939, e i relativi obblighi pubblicitari in sede di denominazione sociale. Viene concesso che l’oggetto sociale non sia specifico di una data attività, ma sia possibile esercitare attività multidisciplinare. Sembra si sia arrivati così alla fine del processo di riforma per i professionisti liberi ora di associarsi nelle varie tipologie societarie per esercitare la propria attività.
CAPITOLO SECONDO
LA SOCIETA’ TRA PROFESSIONISTI
3.1 La costituzione di una società tra professionisti
Con la legge 12 novembre 2011 n. 183 si è giunti alla fine delle peripezie normative che hanno angustiato gli ordini professionali relativamente all’esercizio dell’attività in forma societaria prevedendo la possibilità di costituire una società tra professionisti per svolgere attività professionale.
“E’ consentita la costituzione di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro X xxx xxxxxx xxxxxx”00.
Il legislatore ha preferito, quindi, non creare un nuovo tipo societario appositamente per l’esercizio di attività professionali “protette”, ma lasciare la libertà ai professionisti di scegliere tra i tipi esistenti. Una scelta questa che comporta che la disciplina delle s.t.p. non sarà specifica, ma varierà a seconda del tipo societario prescelto. Potremo avere s.t.p. costituite nella tipologia di società di persone, nella forma di società di capitali e persino nella forma di società cooperative. Sarà inoltre possibile la costituzione di società di capitali unipersonali per l’esercizio dell’attività intellettuale del professionista, in quanto nella normativa specifica della l. 183/2011 non vi è nessuna norma contraria. Il rinvio ai modelli societari del titolo V dell’art. 10, comma 3, della legge 183/2011, consente persino la possibilità di adottare la tipologia della società a responsabilità limitata, tenuto conto dei necessari accorgimenti; nel caso, infatti, sarebbe impossibile per i professionisti conferire la propria opera, non essendo ammessi che conferimenti in denaro per tali società. Riguardo la costituzione nella forma di società cooperativa, la legge autorizza la presenza di soli tre soci, in deroga alla legge che ne richiede almeno nove.
28 Legge 12 novembre 2011 n.183, art. 3.
3.2 Denominazione e ragione sociale
Quella di società tra professionisti è una qualifica che può essere assunta dalle società il cui atto costitutivo presenti date caratteristiche; in sede di costituzione la società formerà la propria ragione sociale o la propria denominazione sociale, a seconda del tipo prescelto, seguendo le linee guida presenti nel codice civile, aggiungendoci l’indicazione di “società tra professionisti, s.t.p.”. Non è più richiesto l’inserimento del nome dei soci professionisti, necessario invece per la legge 1815/39; si potranno usare, quindi, formule di fantasia, considerando soltanto il fatto che esercitando attività professionale si dovrà tenere conto delle regole deontologiche e del precetto che impone il rispetto del decoro nell’esercizio della professione; precetti che dovranno essere seguiti nella formazione del nome sociale.
3.3 L’oggetto sociale
Uno dei requisiti imposto dalla legge per ottenere la qualifica di società tra professionisti è che l’oggetto sociale preveda “l’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci”29. Tale previsione normativa è da integrare con la definizione, contenuta nel decreto ministeriale 8 febbraio 2013 n. 34, che prevede: “si intende per ‘società tra professionisti’ o ‘società professionale’: la società … avente ad oggetto l’esercizio di una o più attività professionali per le quali sia prevista l’iscrizione in appositi albi o elenchi regolamentati nel sistema ordinistico”30.
29 Legge 12 novembre 2011 n.183, art. 4, lettera a.
30 Decreto ministeriale 8 febbraio 2013, n. 34, art. 1, lett. A.
Rispetto alle società esercenti attività commerciale le società tra professionisti hanno una limitazione oggettiva nel definire il proprio oggetto sociale, giustificata dalla particolare natura della loro attività. L’oggetto sociale dovrà prevedere l’esercizio di una o più attività professionali protette. Non potranno, quindi, qualificarsi come s.t.p. quelle società che prevedono nell’oggetto sociale l’esercizio di un’attività professionale che non sia organizzata in ordini e collegi. Per tali categorie di professionisti, come abbiamo già detto, esisteva anche prima della riforma la possibilità di associarsi nella forma societaria, potendo i professionisti rinunziare alla disciplina del contratto d’opera intellettuale e diventando imprenditori.
Per le stesse ragioni sarà precluso alla società tra professionisti l’inserimento nell’oggetto sociale. di attività imprenditoriali in aggiunta all’attività professionale. È invece esplicitamente contemplata la possibilità che l’oggetto sociale preveda l’esercizio di più attività professionali protette, dando luogo così ad una “società multidisciplinare”, che viene definita alla lettera b , art. 1, del decreto ministeriale n. 34/2013.
Al comma 4 dell’art. 10 legge n. 183/2011, si sancisce, poi, che l’esercizio dell’incarico professionale è esclusivo dei soci-professionisti; non risulta possibile, quindi, far eseguire l’incarico, che fa capo direttamente alla società, ad un professionista abilitato che non goda della qualifica di socio.
Ci si potrebbe chiedere se l’attività professionale, prevista nell’oggetto sociale, sia strettamente legata alle professioni a cui i soci-professionisti sono abilitati; o se si possa inserire tra le attività professionali protette esercitate anche quelle per le quali i soci non sono abilitati. La legge al riguardo non dispone nulla, limitandosi a prevedere, per le società multidisciplinari l’iscrizione presso l’albo, ordine o collegio, relativi all’attività prevalente. Non essendovi una norma contraria si può ritenere che tale inserimento sia possibile, salvo l’impossibilità di procedere in concreto all’esercizio di quell’attività per la quale i soci manchino dei requisiti soggettivi; tale inserimento consentirebbe di evitare una modifica dello statuto nel caso in cui, all’interno della compagine sociale, entrino nuovi soci-professionisti aventi le qualifiche necessarie, o i vecchi soci-professionisti vengano in possesso delle stesse.
3.4 I Soci
All’art. 10, comma 4, lett. B, della legge n.183/2011 in riferimento alla compagine societaria si specifica che per ottenere la qualifica di s.t.p. è necessaria “l’ammissione in qualità di soci dei soli professionisti iscritti ad ordini, albi e collegi, anche in differenti sezioni, … , ovvero soggetti non professionisti soltanto per prestazioni tecniche, o per finalità di investimento”. Si prevedono, quindi, due categorie di soci, quelli abilitati all’esercizio della professione, i soci professionisti, e quelli non professionisti.
In merito a questi ultimi si distinguono in due ulteriori categorie. Da una parte si prevede, infatti, il socio per prestazioni tecniche, il quale, non essendo un socio professionista non può svolgere le prestazioni professionali, che spettano esclusivamente ai soci-professionisti, ma solo mansioni ancillari rispetto all’attività della s.t.p.
Dall’altra parte di prevede una seconda categoria di soci non professionisti, e cioè quella dei soci per finalità di investimento, che apportano capitale alla società. L’interesse di tale categoria di soci e, di fatto, un mero interesse lucrativo, sicché il legislatore, al fine di tutelare l’onorabilità che deve caratterizzare l’esercizio dell’attività professionale, richiede che per accedere in qualità di socio per finalità di investimento, il soggetto deve essere in possesso, definito secondo quanto previsto nell’art. 6 del decreto ministeriale n. 34/2013, “dei requisiti di onorabilità previsti per l’iscrizione all’albo professionale cui la società è iscritta…”; inoltre tali soci non devono aver riportato condanne definitive, o essere “stati cancellati da un albo professionale per motivi disciplinari”.
I soci professionisti, invece, devono essere iscritti ad ordini, albi e collegi; devono in sostanza essere abilitati ad eseguire gli incarichi assunti dalla società; inoltre, non possono partecipare a più di una società tra professionisti o multiprofessionale. Tale incompatibilità viene meno
soltanto alla data in cui diviene effettivo il recesso, l’esclusione o il trasferimento della partecipazione alla società.
La categoria dei soci professionisti, in quanto tale, è tenuta all’osservanza del codice deontologico del proprio ordine; qualora il socio-professionista “sia stato cancellato dal rispettivo albo con provvedimento definitivo”31 si dovrà provvedere all’esclusione dello stesso dalla società, indicandone la modalità nell’atto costitutivo. Va inoltre notato che la qualifica di socio-professionista dipenda dal conseguimento o meno dell’abilitazione all’esercizio della professione, e non dalla funzione che lo stesso assolve all’interno della società.
Per impedire che i soci non professionisti prendano il sopravvento nella compagine sociale, il legislatore ha previsto che il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale sia tale da determinare la maggioranza dei due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci. I soci professionisti , cioè devono rappresentare almeno i due terzi dei voti; possono essere numericamente inferiori ai due terzi e possono aver sottoscritto una partecipazione al capitale sociale inferiore ai due terzi, tuttavia in questo caso devono essere presenti delle clausole statutarie tramite cui siano garantiti agli stessi i due terzi dei voti. Dunque nel caso venga meno la maggioranza dei due terzi da parte dei soci professionisti in una sede decisionale di qualsiasi tipo, si deve procedere entro sei mesi a ricostituirla; essendo questa un requisito essenziale per l’ottenimento della qualifica di società tra professionisti.
Per quanto riguarda l’amministrazione della società, la legge non da alcuna indicazione specifica. Si seguiranno quindi le norme del tipo sociale adottato e sarà perciò possibile che ad un socio non professionista sia affidata la carica di amministratore. Ipotesi che non è apprezzata da parte della dottrina per via dell’obbligo di esecuzione dell’incarico da parte del professionista-socio e per i relativi impedimenti che questi potrebbe riscontrare, nello svolgimento della propria attività professionale, in presenza di un organo amministrativo composto da non professionisti.
31 Legge 12 novembre 2011, n. 183, art. 10, comma 4, lettera d)
3.5 Conferimenti ed esecuzione dell’incarico
I conferimenti sono determinati nel contratto sociale e seguono la disciplina del tipo societario prescelto; potremo avere conferimenti in denaro, in beni o in servizi, a seconda se il tipo societario lo consenta, si potranno applicare le norme di cui agli artt. 2254, 2255, 2256, c.c. . Data l’esclusività dell’esecuzione dell’incarico si potrebbe ipotizzare che il socio-professionista si impegni a prestare la propria attività professionale a favore della società a titolo di conferimento; ipotesi possibile nel caso delle società di persone e delle società a responsabilità limitata, ma impraticabile nelle società per azioni.
L’obbligo di eseguire gli incarichi assunti dalla società non si traduce in un automatico conferimento d’opera, in sede di atto costitutivo della società, si devono indicare “i criteri e le modalità affinché l’esecuzione dell’incarico professionale conferito alla società sia eseguito dai soci in possesso dei requisiti…”32. Il socio-professionista potrà optare, ove consentito, tra conferire la propria opera, divenendo un socio d’opera, e prestare la propria opera alla società negoziando con la stessa i criteri e modalità.
Per quanto riguarda i conferimenti dei soci non professionisti, si applica la normale disciplina del tipo societario prescelto.
L’incarico è conferito dai clienti alla società, la quale, anche tramite il socio-professionista, già dal momento delle trattative con il cliente deve fornire le relative informazioni:
a) sul diritto del cliente di chiedere che l’esecuzione dell’incarico conferito alla società sia affidata ad uno o più professionisti da lui scelti. A tal fine si dovrà fornire un elenco scritto dei soci-professionisti con le relative qualifiche professionali di ciascuno;
b) sulla possibilità che l’incarico conferito sia eseguito da ciascun socio in possesso dei requisiti per l’esercizio dell’attività professionale;
32 Legge 12 novembre 2011, n. 183, art. 10, comma 4, lettera c).
c) sulla presenza di situazioni di conflitto di interesse tra cliente e società, determinabili anche dalla presenza di soci con finalità di investimento, a tal proposito si deve fornire un elenco degli stessi.
La prova di tali adempimenti, che sono a carico della società, e il nominativo del professionista o dei professionisti eventualmente scelti dal cliente devono risultare da atto scritto.
Emerge come ci sia una netta distinzione tra il conferimento dell’incarico e la sua esecuzione, il primo effettuato a favore della società, la seconda lasciata alla determinazione del singolo professionista, mantenendo salva la personalità della prestazione dell’opera, ponendo nelle mani del cliente la scelta del professionista che meglio si adatta al ricoprire il suo incarico. La tutela del cliente parte sin dal primo contatto con la società, e si identifica, in questa fase, in un diritto di informazione e un successivo diritto di scelta.
Nel caso in cui il cliente non specifichi a quale professionista intenda affidare il proprio incarico, la società tra professionisti può procedere direttamente a designare il professionista, tenendo conto dei requisiti richiesti dalla natura dell’incarico e delle competenze soggettive di ogni socio professionista.
Il socio-professionista, a cui è stato affidato l’incarico, potrà avvalersi della collaborazione di ausiliari o di sostituti. Tale ipotesi è regolata all’art. 5, comma 1, decreto ministeriale 8 febbraio 2013, n. 34, la quale specifica, oltre quanto già detto, che “In ogni caso i nominativi dei sostituti e degli ausiliari sono comunicati al cliente…”. Naturalmente la collaborazione o la sostituzione dovranno avvenire sotto la diretta direzione e sotto la responsabilità del professionista incaricato. La società dovrà quindi fornire un elenco scritto contenente indicazione di titoli e qualifiche professionali dei collaboratori. Il cliente può comunicare il proprio dissenso entro tre giorni dalla comunicazione, e, in questo caso, al cliente dovrebbe essere riconosciuto il diritto di scelta di un sostituto, con le stesse modalità illustrate prima.
Nel momento in cui si perfeziona il conferimento dell’incarico la società e il cliente pattuiscono il compenso, che, come previsto dall’art. 2233 c.c., deve essere adeguato all’importanza dell’opera e deve garantire il rispetto del decoro della professione. La società dovrà quindi fornire
dettagliate informazioni riguardanti la complessità dell’incarico; gli eventuali oneri ipotizzabili dall’inizio alla fine dell’incarico; gli estremi della polizza assicurativa e il relativo massimale; e le indicazioni delle singole voci di costo complete, relative alle singole prestazioni. Al momento della conclusione dell’incarico la società dovrà pattuire un compenso, eventualmente maggiorato per eventuali difficoltà riscontrate nell’esecuzione della prestazione professionale e non precedentemente ipotizzabili. Sarà da puntualizzare anche il relativo compenso spettante agli eventuali collaboratori.
3.6 Iscrizione nel registro delle imprese e all’albo professionale
Per completare la regolare costituzione della società tra professionisti sarà necessario rispettare gli adempimenti pubblicitari previsti dal tipo societario adottato; quindi, si procederà all’iscrizione della società nella sezione ordinaria del registro delle imprese, tenuto presso la camera di commercio della provincia in cui la società ha posto la sede principale; fatto salvo che se il tipo adottato è la società semplice si dovrà procedere all’iscrizione nella sezione speciale. Tale prima registrazione produce tutti quegli effetti tipici relativi al tipo societario scelto. Quindi, nel caso di società di capitali avremo la nascita della società e l’acquisto da parte della stessa della personalità giuridica; nel caso delle società di persone si produrranno quegli effetti dichiarativi che portano all’assoggettamento alle norme del tipo societario scelto e non a quelle della società semplice. Oltre questo primo adempimento pubblicitario è previsto all’art. 7, comma 1 del decreto ministeriale n. 34/2013, che la società tra professionisti debba iscriversi nella sezione speciale del registro delle imprese istituita ai sensi dell’articolo 16, comma 2, del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96, con funzione di certificazione anagrafica e pubblicità notizia. In questa sezione sono obbligate ad iscriversi le s.t.p. tra avvocati; tuttavia, mentre per quest’ultime tale iscrizione sostituisce l’ordinario regime pubblicitario, per le “nuove”
s.t.p. tale iscrizione si aggiunge alla precedente iscrizione. La
certificazione relativa all’iscrizione nella predetta sezione speciale riporta la specificazione della qualifica di società tra professionisti.
A questo punto è necessario che la società si iscriva nella sezione speciale dell’albo o del registro tenuto presso l’ordine o il collegio professionale di appartenenza dei soci; per quanto riguarda la fattispecie delle società multidisciplinari, queste devono registrarsi presso l’albo, registro tenuto presso l’ordine o il collegio professionale, dell’attività individuata come prevalente nell’atto costitutivo; se non vi è prevalenza nell’attività esercitata, si può procedere all’iscrizione plurima. A tal fine, è necessario presentare nella documentazione l’avvenuta iscrizione presso il registro delle imprese, risultante essere essenziale per il buon fine di quest’ultima. Di fatto, anche nel caso di società di persone, non si potrà avere una società irregolare, in quanto l’iscrizione presso il registro è un tratto essenziale affinché la società acquisti la qualifica di professionista. In fine si procede all’annotazione presso la sezione speciale del registro delle imprese dell’avvenuta iscrizione nella sezione speciale dell’albo o del registro professionale33.
Cosa succede se l’iscrizione presso gli albi o registri tenuti presso l’ordine o collegio professionale di appartenenza non viene effettuata? O nel caso in cui questa venga cancellata? Si ricordi che nel c.c. all’art. 2231 è regolata tale fattispecie, “Quando l’esercizio di un’attività professionale è condizionato all’iscrizione in un albo o elenco, la presentazione eseguita da chi non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della retribuzione”, e al secondo comma “La cancellazione dall’albo o elenco risolve il contratto in corso, salvo il diritto del prestatore d’opera al rimborso delle spese incontrate e a un compenso adeguato all’utilità del lavoro compiuto”.
Questo articolato e complesso sistema pubblicitario è stato criticato per l’inutilità “nella parte in cui impone un duplice adempimento pubblicitario presso il registro delle imprese; ciò è a dirsi considerando sia gli effetti di pubblicità notizia che il regolamento attribuisce all’iscrizione nella sezione speciale delle s.t.p. sia la funzione
33 Decreto ministeriale 8 febbraio 2013, n.34, art. 9, comma 4.
dichiarativamente assegnata alla seconda iscrizione, di verifica di situazioni di incompatibilità”34.
La seconda iscrizione servirebbe ad individuare quelle cause di incompatibilità che potrebbero sorgere con modificazioni della compagine sociale, o dello statuto.
Strumento maggiormente idoneo sarebbe l’iscrizione presso l’albo o il registro professionale, in quanto, come stabilito all’art. 9, comma 5, decreto ministeriale n. 34/2013, “le variazioni delle indicazioni di cui al comma 3, le deliberazioni che importano modificazioni dell’atto costitutivo o dello statuto e le modifiche del contratto sociale, che importino variazione della composizione sociale, sono comunicate all’ordine o al collegio competenti…”; dunque, in tale albo o registro si devono annotare tutte le modifiche soggettive della s.t.p.
3.7 Responsabilità e polizza assicurativa
Data la particolare struttura e le particolari modalità di esecuzione dell’oggetto sociale nelle società tra professionisti, l’aspetto della responsabilità risulta complesso. Sulla base dei vari rapporti che si instaurano tra società e cliente, che però vengono eseguiti dai soci- professionisti, tra socio-professionista e il cliente specifico, quindi tra la società e gli stessi soci, si avranno diversi tipi di responsabilità specifiche.
Il legislatore nell’istituire, prima, e nel regolamentare, poi , la disciplina delle società tra professionisti non ha dettato norme specifiche circa il regime di responsabilità della società.
Nella disciplina delle società tra avvocati, primo prototipo delle s.t.p., l’argomento della responsabilità era, invece, affrontato nell’art. 26 del d.lgs. n. 96/2001, in cui veniva disegnata la distinzione tra responsabilità professionale e responsabilità per le “altre” obbligazioni sociali, non direttamente derivanti dall’attività professionale.
34 MARASA’, Le società tra professionisti, in rivista delle società, pag. 440, Milano, 2014
Nel dettare le norme riguardanti le società di revisione, il d.lgs. n. 39/2010, delineava un articolato regime fondato sulla solidarietà tra revisori, società e amministratori verso la società che ha conferito l’incarico, i soci della stessa e i relativi creditori.
L’assenza di previsioni specifiche nell’ambito delle norme regolatrici della “nuova” società tra professionisti, possono essere interpretate come una ricezione delle critiche che la dottrina aveva formulato riscontrando talune incongruenze nelle precedenti discipline; e fanno propendere per l’esclusione dell’applicazione per analogia delle norme dettate per i precedenti modelli.35
Xxxxxxx in proposito ricordare che, per quanto riguarda le obbligazioni sociali il legislatore ha concesso ai soci la scelta del tipo societario più adatto alle loro esigenze; dunque, dovremo distinguere tra i soci a responsabilità limitata e quelli a responsabilità illimitata, e tra le società di persone, prive di personalità giuridica ma aventi comunque autonomia patrimoniale, e le società di capitali che vantando la personalità giuridica godono di perfetta autonomia patrimoniale. In tale prospettiva si applica la disciplina del tipo societario scelto.
Il dubbio che potrebbe sorgere riguarda non tanto le obbligazioni sociali nascenti dalla gestione dell’organismo societario, ma quelle obbligazioni facenti capo alla società che nascono dall’esercizio dell’attività professionale. Ovvero, circa la responsabilità professionale (art. 2236 c.c.) del singolo socio-professionista esecutore dell’incarico.
L’incarico, come già detto, viene affidato dal cliente alla società, che è obbligata a particolari obblighi informativi; è la società il soggetto a cui fa carico l’imputazione della responsabilità nei confronti del cliente. Il ruolo del socio-professionista, esecutore materiale dell’incarico, è equiparabile al ruolo svolto dal sostituto incaricato dal professionista individuale. Dopotutto sostenere che l’incarico professionale svolto dal professionista per conto della società tra professionisti produca responsabilità professionale in capo al socio-professionista che ha svolto l’incarico sarebbe equivalente a disconoscere la società tra professionisti come tale.
35 L’aspetto è segnalato da X.XXXX, La nuova società tra professionisti. Primi interrogativi e prime riflessioni, in Le nuove leggi civili e commentate, 1, 2012, 19.
In merito alla responsabilità professionale, nell’atto costitutivo deve essere presente una clausola con cui si indichi che la società ha stipulato una polizza assicurativa per la copertura dei rischi derivanti da responsabilità civile per i danni eventualmente provocati alla clientela dai professionisti. L’obbligo di stipulare una polizza assicurativa, a tutela dei clienti per i danni derivanti dall’esercizio dell’attività professionale, è inoltre previsto per i professionisti individuali. Con il d.p.r. n. 137/2012 si impone l’obbligo, per tutti coloro che esercitano una professione regolamentata, di stipulare tale polizza assicurativa, che siano essi persone fisiche o società. Tuttavia se il professionista esercita la propria attività professionale solo nell’ambito societario, questi non è tenuto a stipulare anche una polizza assicurativa personale: spetta alla società e solo alla società l’obbligo di stipulare la polizza assicurativa. Va tenuto, però, presente che il professionista che partecipa ad una s.t.p. non può partecipare ad un'altra s.t.p.; ma nulla gli vieta di esercitare individualmente la propria professione. In quest’ultimo caso quindi, fermo restando l’obbligo della società, egli dovrà stipulare una polizza personale, che lo tuteli per l’attività professionale da lui esercitata personalmente.
Un altro tipo di responsabilità da esaminare è quello della responsabilità disciplinare.
All’art. 12, del decreto ministeriale n. 134/2013, si precisa che rimane in ogni caso la responsabilità disciplinare del socio professionista, il quale è soggetto alle regole deontologiche dell’ordine o collegio a cui è iscritto; e che la società tra professionisti risponde disciplinarmente delle violazioni delle norme deontologiche dell’ordine al quale risulti iscritta. Il socio professionista, anche nel caso in cui stia eseguendo un incarico sociale, è tenuto a seguire le regole deontologiche del proprio ordine, la cui violazione fa si che gli sia imputabile la responsabilità disciplinare. In modo analogo, la s.t.p., che è iscritta nell’albo professionale dell’attività ritenuta prevalente, è soggetta alle relative regole deontologiche.
Nel caso in cui la violazione delle regole deontologiche, commessa dal socio-professionista, sia ricollegabile a direttive impartite dalla società, “la responsabilità disciplinare del socio concorre con quella della
società”, come viene specificato nel secondo comma dello stesso articolo.
In nessun caso il socio-professionista può sottrarsi alle regole deontologiche del proprio ordine, al più se la società ha influenzato il suo operare vi sarà responsabilità concorrente. In tali specificazioni possiamo riscontrare quella che nel nostro ordinamento è la tutela nei confronti delle attività intellettuali protette; la si intravede nel fatto che il socio- professionista rimane responsabile disciplinarmente anche quando agisce su istruzioni della società, appunto per sottolineare l’importanza nell’indipendenza conservata dallo stesso nell’esecuzione dell’incarico sociale.
3.8 Amministrazione nelle s.t.p.
Per quanto riguarda le norme relative all’amministrazione nelle società tra professionisti, il legislatore non ha dettato norme specifiche nella riforma della legge. Si applicheranno, quindi, le norme relative al tipo societario scelto.
In tale fattispecie societaria l’amministrazione dovrebbe essere, in genere, affidata esclusivamente ai soci-professionisti, in modo che questi non siano influenzabili nelle decisioni da amministratori che non siano in possesso dei requisiti professionali richiesti; tuttavia non vi è nessuna norma che imponga un divieto nei confronti dei soci non professionisti o di terzi, dunque si potrà affidare l’amministrazione della società a qualsiasi soggetto competente in merito, ovvero seguendo sempre la disciplina del tipo societario scelto.
Tale scelta legislativa può essere interpretata nel senso di poter affidare quei compiti non inerenti l’esercizio dell’attività professionale a soggetti diversi dai professionisti, lasciando questi liberi di esercitare la propria attività professionale nei confronti della società.
Nel caso in cui una società sia socio per finalità di investimento di una s.t.p., le incompatibilità previste per tale categoria di soci36 si applicano ai legali rappresentanti e agli amministratori della società stessa37.
3.9 Scioglimento della s.t.p.
Le cause di scioglimento della società sono quelle proprie della disciplina del tipo sociale scelto38, a cui si aggiunge la previsione, inserita in sede di conversione del d.l. n. 1/2012, l’art. 10, comma 4, lett. b, l. 183/2011, diretta ad assicurare ai soci-professionisti la maggioranza dei due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci39.
La legge, infatti, prescrive che l’atto costitutivo preveda che venuta meno la prevalenza dei soci-professionisti nelle deliberazioni o decisioni dei soci, se non si provvede a ristabilirla entro sei mesi, si deve procedere allo scioglimento della società. Questa è un’ipotesi di scioglimento tipica delle società tra professionisti, e una volta accertata si procede allo scioglimento secondo le modalità previste per il tipo societario scelto. Segue la liquidazione, con il passaggio della gestione dagli amministratori ai liquidatori, la cui nomina segue le norme dettate per il tipo sociale scelto, e a cui è affidata la le gestione ordinaria al fine di conservazione dei beni sociali.
La fase di liquidazione seguirà quindi la disciplina del tipo societario scelto in sede di costituzione. Il processo terminerà con la cancellazione dal registro delle imprese e dall’albo in cui la s.t.p. era iscritta. Naturalmente se in tale fase di liquidazione i soci, in comitato o assemblea, ristabiliscono la prevalenza dei soci-professionisti, possono revocare lo stato di liquidazione e richiedere di iscrivere nuovamente la società nell’albo o collegio dell’ordine di competenza.
36 Si veda il paragrafo 3.4 I Soci
37 Art. 6, comma 5, d.l. 8 febbraio 2013, n. 34; “Le incompatibilità previste dai commi 3 e 4 si applicano anche ai legali rappresentati e agli amministratori delle società, le quali rivestono la qualità di socio per finalità d’investimento di una società professionale”
38 Si vedano gli art. n. 2272, 2308, 2323, 2484 c.c.
39 Art. 9-bis, comma 1, d.l. 1/2012, convertito con modificazioni dalla l. 24 marzo 2012, n. 27
Nel caso in cui la fase di scioglimento della società sia stata prodotta dal venir meno della prevalenza dei soci-professionisti nelle deliberazioni o decisioni dei soci, contestualmente “il consiglio dell’ordine o collegio professionale presso cui è iscritta la società procede, …, alla cancellazione della stessa dall’albo…”40; in tale modo si produce la risoluzione del “contratto in corso, salvo il diritto del prestatore d’opera al rimborso delle spese incontrate e a un compenso adeguato all’utilità del lavoro compiuto”41. Quindi a seguito dalla cancellazione dell’albo o elenco, i contratti professionali in capo alla società si concludono.
3.10 Circolazione delle partecipazioni sociali
Per quanto riguarda la possibilità da parte dei soci di trasferire la propria partecipazione, o quota, o azioni, della società, il legislatore non ha dettato nessuna norma specifica al riguardo; sarà quindi applicabile la disciplina prevista dal relativo tipo societario adottato in sede di costituzione, fatte le necessarie precisazioni per le diverse categorie di soci presenti all’interno della s.t.p..
Nel caso dei soci non professionisti unico ostacolo all’applicazione della disciplina del tipo sociale scelto sono i requisiti di onorabilità previsti dalla legge e illustrati precedentemente42.
Per quanto riguarda i soci-professionisti, la legge impone che, come già detto, sia mantenuta la prevalenza degli stessi nelle deliberazioni o decisioni dei soci; e il venir meno di tale prevalenza comporta lo scioglimento della società qualora non ricostituita la maggioranza dei due terzi degli stessi.
Risulterebbe opportuno, al fine di semplificare tali situazioni, prevedere clausole nell’atto costitutivo relative a tali situazioni. Poiché non esistendo una norma contraria, il socio-professionista potrebbe alienare la propria partecipazione verso un soggetto non professionista; cosa
40 Art. 11, d.l. 8 febbraio 2013, n. 34
41 Art. 2231, comma II, c.c.
42 Si veda il paragrafo 3.4 ” I Soci”
possibile finché non si altera la prevalenza dei soci-professionisti già esposta, ma se con tale atto questa viene a mancare la conseguenza sarà, come già esposto, lo scioglimento della società ove non si ricostituisca la prevalenza dei soci-professionisti. Tale possibilità potrebbe essere usata dai soci come arma di ricatto nei confronti della società. A tal fine sarebbe preferibile inserire delle clausole in sede di costituzione che consentano il trasferimento della quota dei professionisti a soggetti con determinate qualifiche soggettive, quale appunto la qualifica professionale richiesta, o clausole di gradimento. Inoltre tali clausole sono preferibili anche per quanto riguarda la situazione che si verrebbe a creare in seguito alla morte del socio-professionista.
3.11 Le società tra avvocati
Una specifica analisi si rende necessaria per quanto riguarda il caso dell’esercizio dell’attività forense nella forma societaria. Nell’analizzare la lunga marcia legislativa relativa all’esercizio in forma societaria di attività professionali si è specificato come, in ricezione della direttiva n. 98/5/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 febbraio 1998, per gli avvocati era stata prevista una disciplina specifica, dettata dalla legge n. 96/2011, al fine di regolare l’esercizio dell’attività forense in forma societaria. Tale legge permetteva la costituzione di società tra avvocati nella forma di un’atipica società in nome collettivo, e risultava essere un prototipo di quelle che sarebbero state le s.t.p..
La legge n. 183/2011 all’art. 10, come precedentemente presentato, ha specificato le caratteristiche necessarie per ottenere la qualifica di s.t.p.; permettendo, tra l’altro, la possibilità di esercizio di più attività professionali e lasciando liberi i contraenti di scegliere il tipo sociale liberamente. Nel far questo manteneva validi i modelli societari e associativi già vigenti.
Sembrava che per gli avvocati ci fosse la possibilità sia di adottare il modello dettato dalla legge n. 96/2001, sia di costituirsi secondo i criteri stabiliti nella legge n. 183/2011. Tale possibilità di scelta permetteva di
evitare l’atipico modello basato sulle società in nome collettivo, in favore dello schema societario preferito e della possibilità di costituirsi in società multiprofessionali.
Tuttavia nel 2012, con la legge n. 247, è stato riformato l’ordinamento della professione forense. Tale legge delegava al Governo l’adozione di un decreto per disciplinare le società tra avvocati43; inoltre venivano presentati i criteri che lo stesso doveva ricercare nell’esercizio della delega44, quali:
a) La previsione dell’esercizio nelle forme societarie di persone, capitali o cooperative;
b) La previsione che ciascun avvocato potesse partecipare ad una sola società tra avvocati;
c) La previsione che nella ragione o denominazione sociale forse inserita la dicitura “società tra avvocati”;
d) La previsione che l’amministrazione fosse esclusiva dei soci;
e) La previsione che l’incarico conferito alla società potesse essere svolto solo dai soci professionisti adeguatamente abilitati;
f) La previsione di un articolato regime di responsabilità per le obbligazioni sociali e professionali;
g) L’iscrizione in un’apposita sezione dell’albo;
h) La regolamentazione della responsabilità disciplinare;
i) La necessaria qualifica di professionista iscritto all’albo per detenere la qualità di socio;
j) La qualificazione dei redditi;
k) La precisazione che l’attività forense non costituisse attività d’impresa, con le relative tutele in merito;
l) Prevedere l’applicazione delle disposizioni della legge n.96/2001.
Tuttavia la delega è scaduta senza che il Governo provvedesse ad esercitarla; a questo punto l’interrogativo è se si possa esercitare
43 Legge 31 Dicembre 2012, n. 247, art. 5, comma 1 “Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per disciplinare, tenuto conto di quanto previsto dall’art. 10 della legge 12 novembre 2011, n.
183, e in considerazione della rilevanza costituzionale del diritto di difesa, le società tra avvocati.”
44 Legge 31 Dicembre 2012, n. 247, art. 5, comma 2
ugualmente in forma societaria la professione forense in attesa di una pronuncia del Parlamento.
Parte della dottrina ritiene che l’art. 5 della sopracitata legge sia valido anche in mancanza dell’esercizio della delega da parte del Governo. Tesi fondata su un precedente della Corte costituzionale45 con cui si era affermato che la legge delega “sotto il profilo del contenuto è un vero e proprio atto normativo” dotato di efficacia erga omnes, le cui norme risultano nei principi e criteri direttivi dettati; e su questi “presentano nella prassi una fenomenologia estremamente variegata, che oscilla da ipotesi in cui la legge delega pone finalità dai confini molto ampi… a ipotesi in cui la stessa legge fissa principi a basso livello di astrattezza, finalità specifiche, indirizzi determinati e misure di coordinamento definite o, addirittura, pone principi inestricabilmente frammisti a norme di dettaglio disciplinatrici della materia”, e su quest’ultimo “non si può negare che la legge di delegazione possa contenere un principio di disciplina sostanziale della materia o una regolamentazione parziale della stessa”46.
Se si ritiene che la delega rimanga valida anche in mancanza dell’esercizio da parte del Governo, poiché i principi dettati al secondo comma del sopracitato art. 5 sono abbastanza specifici da poter essere usati come regole disciplinatrici della materia, allora si potrà costituire una società tra avvocati tenendo conto degli stessi; e ove mancasse una specifica indicazione si potrà ricorrere alla disciplina del tipo societario scelto e alle disposizioni compatibili del d.lgs. n. 96/2001.
Altrimenti, se si ritiene che la delega sia scaduta e non sia più vincolante, si potrà costituire una società tra professionisti, disciplinata dall’art. 10 della legge n. 183/2011, per l’esercizio della professione forense47.
In ogni caso anche per l’attività forense sarà possibile l’esercizio in forma societaria.
45 Sentenza 4 maggio 1990, n. 224;
46 Corte costituzionale 4 maggio 1990 n.224;
47 Sul punto, X. Xxxxxx, Avvocati, perché la professione può già essere esercitata in forma societaria, xxxx://xxx.xxxxxxx00.xxxxxx00xxx.xxx/xxx/xxxxxXxXxxxxxx/xxxxxxxXxxxxx/0000-00-00/xxxxxxxx-xxxxxx- professione-essere-113831.php ;
3.12 La prescrizione presuntiva triennale del diritto delle s.t.p.
Xxxx succede ai diritti derivanti dai rapporti instauratisi con la società? La prescrizione ordinaria viene regolata all’articolo 2949 c.c., “Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni”, in materia di società, in particolare, la stessa è accorciata a soli cinque anni per i diritti derivanti dai rapporti xxxxxxx00; cosa succede nel caso delle s.t.p. per i diritti derivanti dalla prestazione di attività intellettuale? All’art. 2956 viene regolata la prescrizione di tre anni, applicabile al diritto “dei professionisti, per il compenso dell’opera prestata e per il rimborso delle spese correlative”. A questo punto è da chiedersi se sia possibile applicare tale fattispecie al diritto derivante dall’esercizio dell’attività professionale da parte della s.t.p.
In merito vi è stata una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione49, la quale premetteva che:
“Si deve osservare che la ratio della prescrizione presuntiva viene pacificamente individuata nella particolare natura dei rapporti obbligatori ai quali si applica: …di rapporti rispetto ai quali l’adempimento suole avvenire senza dilazione, o comunque in tempi brevi, e senza il rilascio di quietanza scritta. Il legislatore, pertanto, sopperisce con la presunzione alla difficoltà del solvens di fornire la prova certa del proprio adempimento. In particolare, per quanto qui interessa… La prescrizione presuntiva, pertanto, è collegata dalla legge al ‘contratto che ha per oggetto una prestazione d’opera intellettuale’…”
E conclude affermando:
“…il seguente principio di diritto: la prescrizione presuntiva triennale del diritto ‘dei professionisti, per il compenso dell’opera prestata e per il rimborso delle spese correlative’ (art. 2956 n.2 c.c.), trova la sua giustificazione nella particolare natura del rapporto di prestazione d’opera intellettuale dal quale, secondo la valutazione del legislatore del 1942, derivano obbligazioni il cui adempimento suole avvenire senza dilazione, o comunque in tempi brevi, e senza il rilascio di quietanza scritta. Ne consegue, in un regime nel quale il contratto d’opera professionale sia
48 Art. 2949 c.c. Prescrizione in materia di società, comma I, “Si prescrivono in cinque anni i diritti che derivano dai rapporti sociali, se la società è iscritta nel registro delle imprese.”
49 Sentenza Suprema Corte di Cassazione 22 Giugno 2015 n. 13144
caratterizzato dalla personalità della prestazione, non solo che ad una società può essere conferito soltanto l’incarico di svolgere attività diverse da quelle riservate alle professioni c.d. protette, ma anche che deve necessariamente essere utilizzato uno strumento diverso dal contratto d’opera professionale e che perciò alla società non può essere opposta la prescrizione presuntiva triennale”.
Dunque poiché l’incarico conferito dal cliente alla s.t.p., la quale è un professionista, avviene tramite il contratto d’opera intellettuale gli si potrà opporre la prescrizione presuntiva in tre anni; in quanto come specificato dalla suprema corte, è la natura del contratto il fattore determinante e non la titolarità dello stesso.
Inoltre poiché l’incarico deve essere affidato dalla società ad uno dei soci-professionisti, si potrebbe pensare che anche nei confronti di tale affidamento si possa opporre prescrizione presuntiva; in quanto il compenso a cui a diritto il professionista incaricato risulta essere un diritto dello stesso separato dalle vicende sociali.
3.13 L’assoggettamento fiscale delle s.t.p.
Ulteriore quesito relativo alle società tra professionisti riguarda l regime tributario applicabile, su cui si è recentemente pronunciata la quinta sezione tributaria della Suprema Corte di Cassazione50.
Si potrebbe pensare che le s.t.p. esercitando attività intellettuale non siano soggetti passivi di IRAP, tuttavia la suprema corte si è pronunciata affermando che:
“Appare invero essere stato violato il proncipio per cui ‘l’attività svolta dalle società commerciali costituisce in ogni caso presupposto d’imposta ai sensi del d.lgs. n. 446 del 1997, art. 2, della cui legittimità non sembra possibile dubitare alla luce di Corte cost. 2001/156 che, come è noto, ha ritenuto l’elemento organizzativo connaturato alla nozione stessa d’impresa. ’ (Cass. 25741/2009, 25315/2014). Così come è stato deciso che l’esercizio in forma associata perfino di una professione liberale rientra nell’ipotesi regolata dalla lett. c) del co. 1 dell’art. 3 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 e costituisce, quindi, in base alla seconda parte del cit. co. 1 dell’art. 2 del medesimo d.lgs., presupposto dell’imposta, prescindendosi completamente dal requisito dell’autonoma organizzazione (Cass. 16784/2010; 25313/2014). Il
50 Cassazione, quinta sezione tributaria, sentenza n. 10600, 25 febbraio 2015
carattere normativo del requisito impositivo rende pertanto del tutto irrilevante la disamina istruttoria circa l’autonomia o meno di una organizzazione separata rispetto all’apporto personale dei soci, trattandosi di profilo attinente ad un’indagine di merito incompatibile con la forma lato sensu prescelta dal contribuente che eserciti attività in assetto comunque non individuale, prevedendo la disposizione che l’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta.”
CONCLUSIONI
4. La società professionale: problemi e prospettive
Il legislatore del ’39, ancorato alla visione ottocentesca nei confronti delle professioni intellettuali, imponeva particolari regole riguardanti l’esercizio delle stesse in forma associata, che come illustrato avrebbero impedito ai professionisti l’esercizio in forma societaria della loro attività. Il mondo da quella emanazione legislativa ad oggi è profondamente cambiato, e continua ad evolversi sempre più velocemente. Questo comporta la richiesta da parte degli operatori che agiscono sul mercato di norme chiare e permissive, al fine di poter meglio esercitare la propria attività, ed essere competitivi sia in ambito nazionale che estero. E di fatto, i principi che regolano il diritto commerciale sono tendenti all’uniformità internazionale, in modo che le imprese operanti sul mercato non trovino troppe difficoltà nell’agire con soggetti esteri. Queste sono le finalità che hanno spinto il legislatore degli ultimi anni, ad avviare il processo di riforma riguardante l’esercizio in forma societaria dell’attività intellettuale.
Il problema di fondo legato a tale fattispecie societaria era quello di mantenere la personalità dell’esecuzione dell’incarico in capo al professionista abilitato; obiettivo raggiunto dal legislatore tramite la legge n. 183/2011 e il relativo decreto ministeriale n. 34/2013, contenente la previsione, da inserire nell’atto costitutivo, di far eseguire l’incarico al solo socio-professionista, e di porre al cliente tutte le informazioni necessarie affinché possa scegliere il socio-professionista che più gli si addica. Inoltre per conciliare tale personalità di esecuzione dell’incarico, con l’esercizio in comune, tratto essenziale delle società, ha equiparato la società ad un professionista, obbligandola a iscriversi nell’albo di pertinenza, e ha imputato alla stessa il conferimento dell’incarico. Xxxxxx si poteva porre il problema legato alla responsabilità, che tuttavia viene risolto in quanto alla società è attribuita la responsabilità professionale, senza che al socio-professionista sia
risparmiata la responsabilità disciplinare, mantenendo quindi l’obbligo di agire nel rispetto delle regole deontologiche dell’ordine; responsabilità che non viene meno neppure se il professionista che ha agito in violazione di tali principi, lo ha fatto su richiesta della società.
Questo risulta essere un altro punto che va a tenere salva la figura del professionista dagli abusi che l’esercizio societario potrebbe portare. E infatti, è previsto che la compagine societaria sia prevalentemente composta da soci-professionisti nell’ambito decisionale e gestionale, sicché i soci investitori siano limitati a quella gestione dell’organo sociale, che non incida sulle decisioni dei soci-professionisti in merito all’esecuzione dell’incarico; tale da lasciare piena libertà ai soci- professionisti riguardo le modalità di esecuzione.
Non mancano i problemi, come il regime pubblicitario della società. Questa è obbligata ad adempiere alle iscrizioni pubblicitarie richieste dal tipo societario prescelto, quindi a iscriversi nella sezione speciale, creata ad hoc per le s.t.p., del registro delle imprese; con questa acquisisce la qualifica di s.t.p., tuttavia, è inoltre obbligata ad iscriversi presso una sezione speciale dell’albo o del registro professionale di pertinenza in quanto professionista; quindi deve annotare tale avvenuta iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese. Il problema in ciò sta nel fatto che nessuna di queste iscrizioni pubblicitarie comporta la pubblicità legale, essendo limitate a mera pubblicità notizia; dunque per rendere noti ai terzi delle eventuali modificazioni statutarie, sociali, amministrative ecc. si deve procedere con procedure adeguate.
Altro problema che potrebbe scaturire è legato alla circolazione delle partecipazioni, poiché alcune di queste sono legate alla persona del socio; quali quelle dei soci-professionisti che quindi porterebbero a problemi gestionali qualora il trasferimento delle stesse modifichi la prevalenza dei professionisti.
L’attuale problema da risolvere da parte del legislatore riguarda le società tra avvocati. In quanto con la riforma della disciplina forense del 2012 si era delegato il Governo per disciplinare tale tipo organizzativo, basandosi sulle s.t.p. della legge n.183/2011, art. 10, sui principi della legge n.96/2001, e su delle direttive espresse nel testo. Tuttavia il Governo ha lasciato scadere tale delega, e ora la dottrina si domanda se
sia o no applicabile la disciplina dettata dalla legge n. 183/2011, o se la delega sia comunque operante anche se scaduta. L’opinione è che in ogni caso si possano costituire tali società tra avvocati51, scegliendo l’uno o l’altro metodo in quanto l’esclusione di uno lascia pieno campo all’altro.
Anche in presenza di alcuni problemi, e ambiguità su alcuni aspetti della disciplina, l’esercizio delle professioni protette in forma societaria è al giorno d’oggi possibile.
51 Nei giorni precedenti la conclusione di questo lavoro è al vaglio della camera un disegno legislativo intitolato ‘Concorrenza’, nel quale sono previste modifiche riguardanti le società tra professionisti
esercenti attività forense. Nel testo vi è la proposta di abrogazione dell’art. 5 della riforma forense, che conteneva la delega non esercitata dal governo, e l’inserimento di un art. 4-bis con cui regolamentare la costituzione e l’esercizio per tale tipo societario. Le vicende dei professionisti sembravano essere approdate ad una conclusione, tuttavia esistono ancora dei dubbi e il dibattito è più aperto che mai.
Legislazione
Legge 23 novembre 1939, n. 1815
Legge 21 dicembre 2001, n. 96
D.lg. 4 luglio 2006, n. 233 D.lg 163/2006
Legge 12 novembre 2011, n.183
Decreto ministeriale 8 febbraio 2013, n. 34
Legge 31 dicembre 2012, n. 247
Suprema Xxxxx xx Xxxxxxxxxx 00 Xxxxxx 2015 n. 13144
Cassazione, quinta sezione tributaria, sentenza n. 10600, 25 febbraio 2015
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