Settimo rapporto sulla contrattazione
Settimo rapporto sulla contrattazione
sociale territoriale
SUPPLEMENTO AL N. 10/2016 DI MATERIALI DI RASSEGNA SINDACALE - POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN A. P. - D.L. 353/03 (CONV. L.27/02//04 N.46) ART. 1, COMMA 1, AUT. MBPA/C/RM/01/2015
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I TASCABILI DI
rassegna sindacale
CGIL•SPI •FONDAZIONE DI XXXXXXXX
sociale territoriale
Settimo rapporto sulla contrattazione
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I TASCABILI
DI RASSEGNA
INDICE
◆PREMESSA
Quali prospettive per la contrattazione sociale territoriale? 5
di Xxxxxx Xxxxxx e Xxxxxx Xxxxxxxx
◆PRESENTAZIONE
La contrattazione sociale: il sindacato tra lavoro e cittadinanza 8
di Xxxxx Xxxxxxxx e Xxxxx Xxxxxxxx
◆PARTE PRIMA • LA CONTRATTAZIONE SOCIALE NEL 2015
TRA CRISI ECONOMICA, CAMBIAMENTO E INIZIATIVA SINDACALE 11
I dati e il profilo generale della contrattazione sociale 13
◆ Tipologia dei documenti 15
◆ Livello territoriale 17
◆ Andamento nel corso dell’anno 19
◆ Parti coinvolte 20
◆ Destinatari 24
◆ Articolazione territoriale 28
La contrattazione sociale nei temi di accordo 35
Le aree tematiche principali 35
◆ Area 1. Relazioni tra le parti e definizione del processo 41
◆Area 2. Politiche e strumenti della partecipazione e cittadinanza attiva 43
◆ Area 3. Pubblica amministrazione 44
◆ Area 4. Politiche di bilancio 46
◆Area 5. Politiche socio-sanitarie e assistenziali 46
◆Area 6. Politiche del lavoro e dello sviluppo 49
◆Area 7. Politica locale dei redditi e delle entrate 52
◆ Area 8. Azioni di contrasto delle discriminazioni e pari opportunità 55
◆Area 9. Politiche abitative e del territorio 56
◆Area 10. Politiche dell’infanzia, per i giovani, educative e dell’istruzione 59
◆Area 11. Politiche culturali, di socializzazione e sicurezza 61
◆PARTE SECONDA • WELFARE AZIENDALE, WELFARE PUBBLICO
E CONTRATTAZIONE 62
◆ Welfare territoriale e Welfare in azienda 62
di Xxx Xxxxxx
◆ Negoziazione sociale e concertazione aziendale sul welfare.
Azioni soft per una società e un mondo del lavoro fragili e fluidi 65
di Xxx Xxxxxxx
◆ Le prospettive del sistema previdenziale italiano 69
di Xxxxxxx Xxxxxxx
◆ Welfare integrativo e inclusione sociale 75
di Xxxx Xxxxxxxx
◆ Welfare contrattuale: nuova frontiera della contrattazione? 79
di Xxxxxx Xxxxxxx
◆ Premio di produttività, welfare aziendale e diverse figure contrattuali:
inclusione ed esclusione 82
di Xxxxxxx Xxxxxx
◆ La “qualità” del welfare aziendale: interventi, governance e livelli
della contrattazione sindacale 85
di Beppe De Sario
◆APPENDICE • LA CONTRATTAZIONE SOCIALE 2015, LE TEMATICHE 89
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE
Il coordinamento e l’impostazione del rapporto si devono a Xxxxx Xxxxxxxx (responsabile del coordinamento dell’Ocs) Xxxxx Xxxxxxxx (Spi Cgil nazionale)
Xxxxx Xx Xxxxx (ricercatore Fondazione Xx Xxxxxxxx)
La discussione intorno alle linee guida dell’Ocs è anche il frutto del confronto con Xxxxxx Xxxxxxxx (Cgil nazionale)
Xxxxxx Xxxxxx (segretario nazionale Spi Cgil)
I testi, quando non diversamente indicato, sono di Xxxxx Xx Xxxxx
Il data management è a cura di Xxxxxxxx Xxxxxxxx (Fondazione Xx Xxxxxxxx)
Per la classificazione e l’inserimento dei documenti si ringraziano i responsabili Spi e Cgil degli osservatori regionali Xxxxxxxxx Xxxxx Cicchi (Spi Cgil nazionale)
Xxxxxxxx Xxxxxxxx (Cgil nazionale)
Xxxxx Xx Xxxxx e Xxxxx Xxxxxxxx
Il nostro ringraziamento va a tutti i responsabili Cgil e Spi regionali e territoriali, senza la cui attività di contrattazione e di alimentazione dell’Osservatorio questo lavoro non sarebbe stato possibile
Quali prospettive
PREMESSA
per La contrattazione sociaLe territoriaLe?
XXXXXX XXXXXX Segretario nazionale Spi Cgil
XXXXXX XXXXXXXX Coordinatore Area contrattazione sociale Cgil
♦
L
a presentazione del rapporto sulla contrattazione sociale oltre all'analisi quantitativa e qualitativa sulle attività contrattuali costituisce anche l'occasione, nel- le riflessioni e nelle diverse iniziative di pre- sentazione e confronto, per analizzare la pro-
spettiva d'intervento nel campo del sociale. Questo sia in relazione alla esigenza di rafforzare l'attività contrattuale nei campi costantemente esplorati dalla nostra azione che dall'evolversi e dal mutare del quadro di riferimento. Aggiornare la riflessione sulla contrattazione è necessario per poter agire meglio la contrattazione stessa. Per questo non ci soffermeremo sui dati e sulle analisi del rapporto, se non per rendere evidente da un lato il consolidamento dell'attività contrattuale con una crescita che di anno in anno si realizza. Certo è da approfondire l'o- rientamento della contrattazione sociale, il tema della costruzione delle piattaforme, i modelli di partecipazione, le materie ogget- to d'intervento: aspetti che sono sviluppati nel rapporto e sui quali rimandiamo ai capi- toli e alle considerazioni specifiche. Il punto sul quale, invece, intendiamo svolgere qual- che considerazione è quale scenario si intra- vede nel campo del sociale e quali prospet- tive, se sapremo adeguatamente coglierle,
possono determinarsi per l'attività negozia- le in ambito territoriale. Questa considera- zione muove da alcuni interventi previsti dalla più recente attività legislativa e per l'a- zione del Ministero competente.
Possiamo enucleare almeno tre temi d'inte- resse per la contrattazione:
♦ la previsione su scala nazionale di uno strumento di contrasto alla povertà, oggi il Sia (Sostegno inclusione attiva) domani il Rei (Reddito d'inclusione);
♦ il piano per la non-autosufficienza;
♦ gli interventi sul versante del welfare con- trattato, con particolare riferimento alla di- mensione aziendale e al rapporto con il ter- ritorio.
Si è scelto di ragionare su questi tre ambiti perché hanno tra loro anche alcuni elemen- ti in comune e perché presentano alcune le- ve attraverso le quali agire per rafforzare la nostra azione contrattuale.
Perché il Sia: abbiamo sempre inteso e ri- chiesto, anche nella proposta del Reddito d'inclusione Sociale che caratterizza il lavo- ro dell'Alleanza contro la povertà, che il con- trasto alla povertà non può limitarsi al tra- sferimento monetario. I percorsi di attiva- zione e di inclusione e i servizi territoriali u- tili a svolgere queste attività sono importan-
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 5
I TASCABILI
DI RASSEGNA
ti e necessari quanto il contributo economi- co. Su questo terreno però il nostro paese ri- schia, seppure non in termini omogenei, di ritrovarsi in una condizione di difficoltà, cioè senza la strumentazione necessaria a partire dalla presa in carico dei soggetti per arrivare alla erogazione delle misure d'inclusione e di attivazione.
Perché è un tema importante per la contrat- tazione sociale? La contrattazione sociale deve porsi l'obiettivo di leggere la dimensio- ne territoriale a partire dalla quantità e dalla qualità dell'offerta di servizi e prestazioni nel territorio per capire, valutare e intervenire rispetto alla reale capacità d'intervento. Questo tema incrocia la povertà, con la ne- cessità di una adeguata presa in carico e di una necessaria offerta d' interventi sul ver- sante dell'inclusione.
Questo incrocia il tema della non-autosuffi- cienza, con il graduale e progressivo passag- gio verso una dimensione nazionale e la ne- cessità di una corrispondente capacità di e- rogazione di servizi nell'ottica dell'omoge- neità corrispondente al livello essenziale delle prestazioni.
Questi due capitoli di riforma, che provano a orientare il sistema verso piani nazionali da agire poi nella dimensione locale, costi- tuiscono il terreno dove poter misurare la quantità e la qualità della rete dei servizi nel territorio e la loro effettiva e reale capacità d'intervento. Tema che interessa trasversal- mente i diversi ambiti generazionali, dalla povertà che insiste sui diversi profili d'età al- la non-autosufficienza per i riflessi prevalen- ti sulla popolazione anziana.
Il punto, poi, non è soltanto quello relativo ai servizi perché sono presenti almeno altri due ambiti d'intervento propri della con- trattazione sociale e della sua qualificazio- ne. Il primo fa riferimento alla necessità di avviare con i comuni una riflessione sulla re-
lazione tra intervento nazionale e interven- to locale: in assenza di una misura nazionale di contrasto alla povertà si è operato nella dimensione locale attraverso risorse proprie delle amministrazioni comunali. Dove con- fluiranno in futuro tale risorse, stimate in cir- ca 600 milioni di euro, è tema d'intervento della contrattazione sociale con la esigenza comunque di vincolarle a una destinazione nel campo delle politiche sociali. Va anche detto che ci siamo trovati negli ultimi anni con una serie di misure frammentarie di ti- po meramente assistenziale (Carta acquisti, bonus) che non hanno affrontato in modo sistematico la necessità di un indirizzo stra- tegico di contrasto alla povertà e per l’inclu- sione sociale così come avviene nella gran parte dei paesi europei e come si era cerca- to di fare, prima e dopo l’approvazione della Legge 328/2000 con la sperimentazione di alcuni strumenti.
Il punto è evitare che un' intervento finan-
ziato da una misura nazionale produca una contrazione d'impegno e di spesa in ambito locale. Le scelte possono essere tante: dal rafforzamento delle misure sui nuclei inte- ressati, magari guardando alla intensità del- la povertà oggi non misurata dai criteri di accesso al Sia, a interventi in altri ambiti e in altri capitoli del sociale. Perché ciò possa es- sere fatto partendo dalla condizione reale è evidente la necessità di un analisi preventiva sul complesso degli interventi relativi al so- ciale nella dimensione comunale.
Il terzo punto riguarda la relazione tra welfa- re contrattato nella dimensione aziendale e territorio. Dai recenti provvedimenti legisla- tivi, che saranno rafforzati dalla prossima legge di bilancio, è evidente che si è dato impulso alla definizione/previsione di piani di welfare aziendali. Il punto in questione non in questo contesto la valutazione in sé dell'agevolazione verso la contrattazione di
6 PREMESSA ♦ QuaLi prospettive per La contrattazione sociaLe territoriaLe?
piani di welfare, ma la loro relazione con il contesto territoriale e sociale nel quale essi insistono. Diversi possono essere i terreni d'intervento, a partire però dalla esigenza/necessità che la contrattazione so- ciale assuma il welfare contrattato come un elemento sul quale costruire gli adeguati strumenti di relazione.
Anche in questo caso il primo punto è la co- noscenza di ciò che già il welfare pubblico e- roga e di come questo può relazionarsi, in un ottica di vicendevole raccordo, con gli in- terventi che saranno previsti e definiti nella dimensione aziendale e territoriale. Uno dei limiti del welfare cosiddetto integrativo è costituito dalla platea dei beneficiari che e- videntemente essendo legato alla dimen- sione aziendale o contrattuale non ha carat- tere universale, con l'esclusione di una fetta consistente di lavoratori, così come i disoc- cupati e i pensionati. Gli indirizzi della nuova legge di bilancio per il 2017 consolidano il percorso avviato nel 2016 con incentivi di natura fiscale all’uso del welfare aziendale. Il punto, rimandando a una discussione più complessiva sul rapporto tra welfare pubbli- co e welfare contrattato, è come si può rea- lizzare una reale ed efficace integrazione per evitare anche in termini di finanziamento un progressivo indebolimento del welfare pubblico allontanando l'obiettivo della uni- versalità. Il terreno di riflessione e anche di pratica sindacale è valutare come possa svi- lupparsi una integrazione su base territoria- le/regionale tra welfare contrattato e inter- vento pubblico. In questo senso va fatta una ricognizione attenta di ciò che si muove an- che nella dimensione regionale con alcuni recenti progetti d'intervento. Ci pare un ter- reno anche questo di sperimentazione e in- tervento per la contrattazione sociale.
Ultimo punto, comune a tante valutazioni
espresse anche nel rapporto. Uno dei campi
poco sviluppati nella contrattazione sociale è quello relativo al lavoro e agli appalti/con- venzioni. I servizi di welfare sono prevalen- temente e principalmente prestazioni di persone rese a persone, il tema del lavoro e della sua qualità è essenziale. La contratta- zione sociale deve poter sviluppare ambiti d'intervento nella direzione del lavoro gene- rato dai servizi di welfare: appalti, tutele, di- ritti, qualificazione strutture, accredito. Tut- ti ambiti d'intervento che hanno un riflesso diretto verso l'utenza dei servizi e verso chi presta la propria opera.
In sintesi, per concludere, c'è bisogno di
contrattazione e di più contrattazione: con l'obiettivo di cogliere spazi e opportunità d'azione e d'intervento del sindacato nel suo radicamento sociale.
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 7
I TASCABILI
DI RASSEGNA
PRESENTAZIONE
La contrattazione sociale:
iL sindacato tra Lavoro e cittadinanza
XXXXX XXXXXXXX Responsabile Cgil per l’Ocs
XXXXX XXXXXXXX Responsabile Spi Cgil per l’Ocs
♦
S
iamo giunti al settimo Rapporto dell’Osservatorio sulla contrattazio- ne sociale e territoriale. Abbiamo ini-
ziato questa attività di rilevazione con una crisi che stava cominciando a manifestare i suoi effetti e le sue inedite caratteristiche. Sono passati otto anni e siamo per larghi versi ancora nel tunnel.
La crisi ha prodotto e produce una crescen- te esclusione di quote sempre più rilevanti di popolazione dalle garanzie sociali e dal- l'accesso a un lavoro degno. Si sono accen- tuate le disuguaglianze, che sono diventate una vera e propria “cifra” del nostro tempo, La politica non svolge più quella funzione di indirizzo e di orientamento verso il futuro che la democrazia gli ha affidato, vive e reagi- sce solo al tempo presente e le scelte di go- verno continuano spesso a essere le stesse: i- nadeguate o inefficaci, a volte ingiuste. Come ad esempio per il taglio dei finanziamenti a pezzi consistenti di welfare. A questi si ag- giunge l’aumento dell'imposizione fiscale, la mancanza di un serio intervento di riforma dei servizi, che affronti anche il costoso e dila- gante tema della corruzione. Permane inol- tre un elevatissimo livello di evasione fiscale e contributiva che sottrae importanti risorse al sistema di welfare nelle sue articolazioni.
Il conto si presenta sempre e solo ai “paga- tori certi”: lavoratori e pensionati. Una crisi che non è solo economica e finanziaria, ma investe anche quei valori e quei principi che sono alla base della democrazia come siste- ma che garantisce non solo la rappresentan- za, ma anche la partecipazione, la condivi- sione delle scelte in un orizzonte che per noi ha come riferimento immediato l’Unio- ne Europea. Unione Europea che vede oggi in numerosi stati nascere o rinascere culture autoritarie e xenofobe, con risposte orien- tate all'estremismo e all'integralismo, sono solo religioso ma anche sociale e politico. Si indebolisce il capitale sociale, cioè quel- l'insieme di relazioni, di riconoscimento di interdipendenze e connessioni, di fiducia e speranza, senza i quali qualsiasi sviluppo e- quo, sostenibile e giusto è impossibile.
Xxxxxxxxxx, riconoscere e dare senso alla par-
tecipazione, disporsi “all' ascolto” dei tanti disagi che la società esprime sono imperati- vi per chiunque si misura con le scelte am- ministrative, con la rappresentanza.
La politica, e non solo, invece predilige la semplificazione delle relazioni, il rapporto diretto con i cittadini che spesso si risolve in una scelta tra un SÌ e un NO negli appunta- menti elettorali e/o referendari: una scelta
8 PRESENTAZIONE ♦ La contrattazione sociaLe: iL sindacato tra Xxxxxx e cittadinanza
manichea, che esclude impegno e ragiona- mento, confronto e dialogo, quindi sintesi della pluralità delle posizioni e delle esigen- ze che spesso si esprimono, talora anche le- gittimamente, in forma corporativa e lobbi- stica, con una visione parziale e per certi versi egoistica delle cose.
Disuguaglianza e corporativizzazione cre- scenti necessitano di una forte funzione “sintetica” delle domande sociali. A rapporti sempre più anonimi e appiattiti nella super- ficialità di una esistenza sempre più povera di valori corrisponde la sensazione di vivere, in solitudine, una realtà sempre più incerta. L'azione negoziale del sindacato non può non risentire di questa situazione. Frammen- tazione e disuguaglianze attraversano e con- notano anche il mondo del lavoro e il suo a- gire, nonché gli strumenti con i quali le af- fronta, a partire dalla necessità di scelte con- divise e agite coerentemente sulle questioni che attengono al modello sociale. Il lavoro che diviene sempre più precario e indebolito nei suoi diritti necessita di un sistema di pro- tezione sociale che trova le sue ragioni fon- danti nella cittadinanza e nell'universalismo. O deve (può) continuare ad avere un carat- tere, ancora, prevalentemente lavoristico? Non a caso, tra le lacune delle politiche ne- goziate di sviluppo e benessere spicca anche, per la sua assenza, il legame più ambivalente e in tumultuoso sviluppo che lega la contrat- tazione sociale e territoriale con la contrat- tazione collettiva, in questo caso di secondo livello: il welfare aziendale. In questo campo, l’eventuale spinta prodotta dalle recenti nor- mative sulla detassazione dei premi di pro- duttività e la loro erogazione (se negoziata) in “welfare” è tutta da verificare sul campo. Xxxxxxxx capire se possa effettivamente tradursi in un’occasione di confronto nego- ziale o, al contrario, produca soltanto un’ini- ziativa unilaterale delle imprese, ancor più
diffusa di quella attuale. Su questo tema, co- me su quelli a essa collegati del welfare con- trattuale – consolidato dagli anni novanta – e della “mutualità territoriale” non possedia- mo ancora un quadro di insieme, che ancor prima di progetti di larga scala sia capace di sostenere capillarmente un rapporto razio- nale tra ciò che è contrattato per i cittadini (anche in quanto lavoratori/trici) e ciò che è contrattato per i lavoratori di aziende pub- bliche e private (anche in quanto cittadini e abitanti di determinati territori). Siamo per- suasi che se il sistema dei servizi pubblici, de- gli orari delle città, della fiscalità locale te- nesse conto dei caratteri produttivi del terri- torio, delle aspirazioni dei soggetti, sia inte- grati sia ai margini dello sviluppo, ciò potreb- be interagire proficuamente con una nuova modalità di contrattazione collettiva che – rispetto al welfare aziendale fiscalmente de- finito, o di natura contrattualmente norma- tiva – porti a un rafforzamento dei servizi stessi, stabilisca standard di qualità e buone relazioni con l’economia sociale del territo- rio, sostenga l’attenzione e l’integrazione con le stesse politiche sociali mutuandone criteri, linee guida e priorità.
E' evidente la necessità irrinunciabile di rico-
stituire i xxxxx tra la contrattazione sui luo- ghi di lavoro e la contrattazione territoriale, diversamente, la nostra attività negoziale in- vece di essere un momento di sintesi e ri- composizione della pluralità della domanda sociale rischia di essere un ulteriore stru- mento di divisione e frammentazione.
Riteniamo che l'introduzione del Sia (Soste- gno all'inclusione attiva), pur con tutti i suoi limiti, a partire dalla scarsa dotazione finan- ziaria, e contando su un’applicazione corret- ta delle sue linee guida, possa rappresentare un'occasione di riorganizzazione dei servizi territoriali, di integrazione tra politiche del lavoro e di welfare, di definizione di un cor-
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I TASCABILI
DI RASSEGNA
retto rapporto pubblico/privato sociale. Questi sono temi che interrogano priorita- riamente anche la qualità e l'organizzazione del lavoro. Ancora una volta l'interazione e il dialogo fra i diversi livelli negoziali si eviden- ziano come un perno essenziale. Luogo di lavoro e territorio, lavoro e cittadinanza so- no dimensioni che devono sempre più dia- logare e compenetrarsi.
Noi non possiamo non notare che, sia per effetto della crisi sociale ed economica, del conseguente ridimensionamento della spe- sa pubblica, la contrattazione con un profilo prevalentemente difensivo si è polarizzata su interventi di sostegno al reddito, a volte con connotazione fortemente assistenziali- stica, richiamando in alcuni casi una cultura che doveva essere considerata superata: quella della carità filantropica. In altri casi l’azione negoziale ha teso a rendere più e- quo il prelievo della fiscalità locale, ma senza riuscire a modificare il modello, che vede u- na imposizione locale aggiuntiva e non so- stitutiva di quella centrale e che manca di quella progressività che rende equo il pre- lievo in base alla capacità reddituale.
Quelle richiamate sono priorità quasi ovvie,
ma nello stesso tempo rilevanti e di fortissi- ma attualità, come le politiche per l'immi- grazione, le politiche di genere, i servizi al- l'infanzia, temi che risultano essere sono sempre più marginali nelle nostre politiche, mentre nei fatti condizionano fortemente le relazioni e la coesione sociale. Possiamo di- re che l'attività di contrattazione è sempre più condizionata dalla necessità di rispon- dere all'emergenza a scapito di proposte con un orizzonte più profondo, che provino a misurarsi con le necessarie riforme e inno- vazioni, anche dei sistemi sociali ed econo- mici territoriali.
Per questo, crediamo sia necessario riflette-
re anche sui modi con cui il sindacato “in-
terpella” le istituzioni pubbliche, chiamate in causa come soggetti deputati a realizzare le proposte di cui esso è portatore e si fa rappresentante. L'attività negoziale deve ri- spondere alle emergenze, ma senza perdere di vista un progetto, per far sì che essa si e- serciti su un terreno più avanzato e produt- tivo. Del resto la stessa proposta del Piano del lavoro, e ancor più, la sua attuazione, muovono da questo assunto: essere prota- gonisti della riprogettazione dei sistemi so- ciali ed economici territoriali attraverso la valorizzazione, l'integrazione delle risorse (intellettuali, umane, economiche, sociali) e delle peculiarità di ciascuna realtà nel qua- dro di un nuovo sviluppo del sistema Paese. E' un'occasione per confrontarci con una di- versificazione delle modalità con cui i citta- dini cercano di avere visibilità sociale, per- ché c'è una sempre maggiore difficoltà a ri- conoscersi integralmente nelle tradizionali “classi sociali” e sempre più ciascun indivi- duo presenta caratteristiche ed esigenze che sono trasversali.
Abbiamo bisogno di investire in qualità e
quantità sulla negoziazione territoriale, che è una componente sempre più rilevante del profilo di un sindacato con un forte insedia- mento territoriale, con una rappresentanza legittimata da un coinvolgimento effettivo dei cittadini e dei lavoratori, a partire dalla definizione delle piattaforme rivendicative.
10 PRESENTAZIONE ♦ La contrattazione sociaLe: iL sindacato tra Xxxxxx e cittadinanza
PARTE PRIMA
La contrattazione sociale nel 2015:
tra crisi economica, cambiamento e iniziativa sindacaLe
♦
N
el 2015, la contrattazione socia- le territoriale del sindacato ha mostrato nel suo complesso ca-
ratteri assai differenziati, e per alcuni a- spetti contrapposti. Non tanto, e non solo, per quanto riguarda i temi trattati, la rispo- sta ai bisogni sociali e degli individui, o il coinvolgimento nelle politiche sociali terri- toriali nei vecchi e nuovi ambiti in cui que- ste si sviluppano.
Nella contrattazione sociale del 2015 si ri- trova la compresenza di elementi di inno- vazione e conservazione, universalismo e residualità, integrazione tra le politiche e criticità delle soluzioni. Questi piani ambi- valenti della contrattazione sociale, per certi aspetti, sono intrinseci all’attività stessa di negoziazione del sociale; a partire dal fatto che si tratta di una pratica non ga- rantita a priori da relazioni sindacali gene- ralizzate – di fatto o di diritto –, asimmetri- ca nelle prerogative degli attori e nella loro autonomia (le amministrazioni fanno se- guire o meno atti propri, dopo gli eventua- li accordi con le parti sociali), sottoposta più di altre pratiche negoziali a molteplici piani di condizioni esterne. Queste si con- cretizzano nella varietà dei livelli istituzio- nali e delle politiche che precipitano sul
territorio, nella contingenza dei processi e- volutivi delle società locali, nella qualità e capacità di cooperazione degli attori socia- li organizzati (parti sociali e Terzo settore, in particolare), negli effetti diversificati del- la crisi economica, nell’incertezza delle prerogative, dei limiti e delle opportunità che attengono al rapporto tra sindacato ed enti pubblici.
Tutto questo, senza contare i profili orga- nizzativi e il coinvolgimento assai differen- ziato delle strutture sindacali confederali, dei pensionati, delle categorie degli attivi in un amalgama priva di un modello unico o unificante. Naturalmente, lo sforzo dei li- velli sindacali responsabili dell’orienta- mento delle agende e delle linee guida ne- goziali è considerevole; essi svolgono co- stantemente un ruolo di coordinamento e tessitura del confronto sulle politiche so- ciali territoriali, a livello nazionale e regio- nale. Lo stesso Piano del lavoro Cgil (2013) aveva indicato un ruolo cruciale e trasver- sale per la contrattazione sociale nel terri- torio, laddove “il confronto sindacale con regioni e comuni può diventare il momen- to di attivazione, di adattamento e di verifi- ca dei Piani prioritari per la crescita, soste- gno delle Pmi” (p. 13). Sotto questo aspet-
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I TASCABILI
DI RASSEGNA
to, i margini e le risorse – non solo econo- mico-finanziarie in senso stretto, ma anche progettuali, ideative, di spinta sociale e qualità del personale politico e ammini- strativo – non paiono utilmente disponibi- li a un rilancio di questo genere, e con il profilo auspicato dal sindacato.
Si vedrà in maggiore dettaglio nei paragra- fi dedicati ai dati che le politiche del lavoro e dello sviluppo realizzate dalla contratta- zione sociale scontano una sorta di mino- xxxx: nelle dimensioni e nella capillarità, nell’integrazione con le politiche sociali e contro la povertà, nella valorizzazione del capitale sociale e delle relazioni tra i sog- getti organizzati del territorio.
Tenendo sullo sfondo i caratteri generali della contrattazione sociale e le tematiche che alludono alla concretezza degli inter- venti negoziati, e concentrandosi piuttosto sui processi più promettenti che si inne- scano a latere della quotidiana attività di contrattazione, il 2015 può segnalarsi per alcuni aspetti. Anzitutto vi appare un gene- rale rilancio quantitativo dei confronti, se non dei risultati veri e propri ottenuti. Ciò è il segno, perlomeno, di iniziative regionali e locali che hanno puntato a un reinsedia- mento della contrattazione, comune per comune, ristabilendo relazioni sindacali lo- gorate negli anni della crisi, o avviandone di nuove. Peraltro, per la contrattazione so- ciale assai più che per la contrattazione collettiva di lavoro vale la qualità e la dire- zione del processo, oltre che la stipula di un accordo vero e proprio. Per cui, spesso al di là dei numeri raggiunti dai documenti, lo sforzo del sindacato di stabilire relazioni proficue con gli enti regionali, specie nel centro-nord e in una fase tanto critica del sistema sanitario nazionale, si affianca alla capillare per quanto non omogenea – e certamente faticosa – interlocuzione sin-
dacale nella programmazione sociale terri- toriale, soprattutto nelle aree meridionali del Paese. Senza dimenticare la ricerca di nuove relazioni con i piccoli comuni, in at- tesa di un’estensione significativa delle re- lazioni associative e delle gestioni associa- te che stentano a generalizzarsi.
Lo sguardo dell’analisi che dal 2015 retro- cede agli anni precedenti, attraverso l’or- mai consistente base dati costituita dal- l’Ocs, fornisce inoltre spunti decisivi circa le direzioni prese dalla “contrattualizzazio- ne” delle politiche sociali territoriali. Non si tratta dunque di una lente neutra, ma quella che intercetta la politica sociale ne- goziata, e solo quella, ed esclusivamente negli ambiti, nelle dimensioni istituzionali e nei territori in cui risulta praticabile, per tradizione o per contingenza delle relazio- ni tra le parti. I dettagli di queste tendenze sono disponibili nelle parti successive del Rapporto; ci si soffermerà sulla curvatura ambivalente delle – pur necessarie e ur- genti – iniziative contro la povertà, sulla meticolosa ma spesso disomogenea ricer- ca di soluzioni eque e sostenibili per il si- stema fiscale locale, ma anche sulle iniziati- ve di coinvolgimento e partecipazione dei cittadini, del Terzo settore, nonché – dal la- to sindacale – delle strutture di servizio fi- scale e del patronato, specie nella comuni- cazione degli esiti della contrattazione e delle opportunità offerte ai cittadini.
Per diversi aspetti, il sindacato si trova a un
punto critico di svolta della contrattazione sociale, specie rispetto al suo livello poten- zialmente strategico. Da una parte, infatti, la crisi ha imposto al sindacato un maggior coinvolgimento – a volte richiesto espres- samente dalle amministrazioni – nella complessa combinazione dei vincoli – sempre più stringenti – e delle opportunità derivanti dalla “contrattualizzazione” delle
12 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
politiche sociali. Questo processo ha quin- di una doppia dimensione: sviluppo delle potenzialità del sistema dei servizi sociali e territoriali, ma anche confronto sui limiti e sulla sostenibilità delle scelte intraprese, sia di natura finanziaria sia istituzionale. Vi sono, inoltre, ambiti per i quali le risorse e le pressioni finanziarie sul territorio non rappresentano l’elemento “di blocco” prin- cipale, se si pensa alla debolezza sostanzia- le della contrattazione con i livelli respon- sabili della programmazione territoriale (settori di sviluppo, sistema dei servizi, ecc.) che, presumibilmente, denuncia una scarsa progettualità del sindacato nel rap- porto con il territorio e le sue possibilità di evoluzione sia produttiva che sociale. Altro tema che brilla per la sua fragilità è il nesso tra organizzazione dei servizi pubblici (o- rari, professionalità, condizioni di lavoro, ecc.) e qualità delle prestazioni erogate; in questo emerge la necessità del coinvolgi- mento delle categorie di riferimento e del- la relazione fra i vari livelli contrattuali.
Al di là dei contenuti illustrati nelle pagine
che seguono, certamente in grado di solle- citare valutazioni critiche e rilanci dell’ini- ziativa negoziale, vi è un livello di riflessione che interroga anche il sindacato stesso: il coinvolgimento delle categorie in un fran- gente cruciale dello sviluppo dei sistemi territoriali di welfare, in rapporto alla con- trattazione collettiva (settore privato) e al rinnovamento della pubblica amministra- zione (settore pubblico), ma anche la ricer- ca necessaria di interlocutori non necessa- riamente istituzionali – dalle università al Terzo settore – che siano capaci di sviluppa- re un capitale di relazioni anche al di là del confronto con gli enti e le amministrazioni
che hanno la titolarità delle politiche. Que- sto perché il deficit – insieme alle virtù e- mergenti dai dati – registrato dalla contrat- tazione sociale è anche un difetto di rap- presentanza e di relazione con la società che si riverbera sulla constituency stessa del sindacato. Si tratta di un tema che la stessa confederazione ha tematizzato in diverse occasioni – nella ricerca di un rapporto più stretto con il mondo del precariato, delle professioni, del lavoro autonomo “dipen- dente” di vecchia e nuova generazione – e dallo Spi rispetto ai rapporti intergenera- zionali e con le comunità locali. Si tratta di un livello d’azione che la contrattazione so- ciale non può trascurare se intende andare fino in fondo in una strategia di autonomia negoziale, di relazione e networking, di in- sediamento più profondo nei luoghi in cui avviene il cambiamento sociale.
◆ I DATI E IL PROFILO GENERALE DELLA CONTRATTAZIONE SOCIALE
Il primo elemento da sottolineare, in aper- tura dell’analisi dei dati e delle più significa- tive evidenze della contrattazione sociale realizzata nel 2015, è la dimensione com- plessiva che ha assunto l’archivio dell’Osser- vatorio Cgil e Spi. Considerando gli anni per i quali la raccolta dei documenti è stata più sistematica e capillare, e cioè a partire dal 2011, è possibile contare su oltre 4.700 do- cumenti, tra accordi, verbali e piattaforme negoziali1. Come si osserverà nei paragrafi successivi di questa parte dedicata al profilo generale della contrattazione sociale, l’an- damento di medio periodo centrato sugli
1 Se si aggiungono anche i documenti 2009 e 2010, relativi alla fase sperimentale di implementazio- ne dell’Ocs si raggiunge il totale di circa 5.350 documenti inseriti.
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 13
I TASCABILI
DI RASSEGNA
anni centrali e più recenti della crisi consen- te anzitutto di valutare profondità, diffusio- ne, orientamento ai beneficiari, coinvolgi- mento degli attori istituzionali, sindacali e del territorio.
Per quanto di anno in anno si possano ri- scontrare delle carenze nei flussi di docu- menti che arricchiscono l’Osservatorio, da parte di alcune regioni e territori, nel com- plesso il sistema di alimentazione dell’archi- vio ha raggiunto una buona stabilità e offre sicuramente alcune indicazioni sugli ele- menti strutturali della contrattazione socia- le negli anni della crisi. Analogo discorso può essere fatto per i dati presentati nella seconda parte del Rapporto, relativa ai con- tenuti degli accordi e alle tematiche con- trattate. Naturalmente, queste necessitano di essere accompagnate nel commento da valutazioni di tipo qualitativo, che orientino e diano sostanza alla lettura degli andamen- ti percentuali di determinate misure, da un anno all’altro.
I documenti del 2015 sono nel complesso
10782. All’incirca un quarto proviene dalla raccolta, analisi, classificazione e inserimen- to operata direttamente sul sistema del- l’Ocs da parte dei responsabili Cgil e Spi re- gionali, attivi in gran parte delle regioni. Ol- tre il 75% dei documenti, invece, sono stati acquisiti da osservatori e banche dati delle strutture confederali e di categoria regiona- li3, attraverso la riclassificazione dei testi presenti nei rispettivi osservatori.
Il rapporto tra i documenti acquisiti dagli osservatori regionali e quelli inseriti diretta- mente nell’Ocs dalle restanti regioni è più alto, a favore dei primi, rispetto agli anni passati. In parte ciò è dovuto a specificità
territoriali (la presenza nel 2015 di circa 80 accordi di programma lombardi sui Piani di zona) ma anche a un investimento sulla dif- fusione e radicamento della contrattazione sociale compiuto in alcune regioni, almeno da quanto ci appare dallo specifico punto di vista dell’Ocs.
Nel dettaglio, la Tabella 1 illustra come dal punto di vista strettamente quantitativo il 2015 abbia segnato un’inversione di ten- denza rispetto agli anni precedenti: si se- gnala un aumento di oltre il 20% dei docu- menti, tra 2014 e 2015. Inoltre in termini as- soluti il dato di 1078 documenti raccolti è il più alto dal 2011. Tale crescita si concentra particolarmente sulle regioni già ampia- mente rappresentate nell’Osservatorio, e che sui territori svolgono la maggior parte della contrattazione sociale del Paese (Pie- monte, Lombardia, Xxxxxx Xxxxxxx, Vene- to, Toscana), mentre va anticipato come i punti di maggiore difficoltà siano rilevabili nel Sud e nelle Isole. Tuttavia, va ricordato come la difformità di distribuzione si ritrovi anche in singole aree sub-regionali che in- vece nel complesso delle diverse ripartizioni territoriali vedono una tenuta generale o un rilancio della contrattazione. Un’ultima chiave di lettura generale dei dati risiede nella vasta e capillare contrattazione sociale 2015 in Lombardia, che nell’anno conside- rato si è soffermata sui confronti per il rin- novo degli accordi programma per i Piani di zona. Oltre 80 documenti sul complesso dei 710 accordi 2015 sono riferibili a questa ti- pologia; segnaliamo che per la loro natura assai particolare, ovvero per l’indubbio coin- volgimento sindacale nel confronto proget- tuale coniugato con una peculiare modalità
2 Documenti (Accordi, Piattaforme, Verbali d’incontro) siglati tra il 1 gennaio 2015 e il 31 dicembre 2015. 3 Si tratta dell’Osservatorio sulla Contrattazione Sociale Territoriale (Cgil, Spi, Fp dell’Xxxxxx Xxxxxxx), del- l’Archivio Negoziazione (Spi, Fnp e Uilp Lombardia), dell’Osservatorio della Contrattazione Territoriale (Cgil Lombardia), la Banca Dati della Contrattazione sociale Territoriale del Piemonte (Cgil e Ires Piemonte).
14 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
TAB.1 ◆ DOCUMENTI DELLA CONTRATTAZIONE SOCIALE (2011-2015) | ||||
2011 | 2012 | ANNO 2013 2014 | 2015 | TOTALE |
Accordi, intese,
protocolli, verbali di intesa | 708 | 667 | 601 | 523 | 710 | 3.209 |
Piattaforme negoziali | 35 | 37 | 22 | 27 | 25 | 146 |
Resoconti e verbali di incontri | 190 | 296 | 271 | 287 | 343 | 1.387 |
Totale | 933 | 1.000 | 894 | 837 | 1.078 | 4.742 |
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv |
di inclusione formale nella sigla degli stessi4, si è scelto di considerare in maniera distinta la presenza di tali accordi nelle successive e- laborazioni: nella parte generale, che segue, si ritrovano nei Grafici sia i valori completi del 2015 sia quelli – segnalati da asterisco – che escludono dall’elaborazione questo ge- nere di documenti. Nella seconda parte, l’a- nalisi delle tematiche negoziate è stata svol- ta senza tener conto di tali documenti; ov- viamente non per la loro irrilevanza (si tratta di decine di accordi che mettono le basi per la programmazione sociale dei territori) ma per un’esigenza di confrontabilità dei valori percentuali rilevati per il 2015 con gli anni precedenti (tab.1).
Tipologia dei documenti
L’analisi dell’Osservatorio fin dal principio si è concentrata sui diversi documenti prodotti nel corso del processo negoziale: Piattafor- me, verbali e accordi. Questo perché le pre- messe metodologiche dell’attività di osserva- zione vedono tra le priorità non solo la qua- lità degli esiti (gli accordi) ma anche la con- cordanza di questi con le premesse, e cioè con le Piattaforme, le quali potrebbero indi- care punti avanzati di elaborazione che, per quanto non assunti nelle intese, risulterebbe- ro ugualmente utili per indicare nuove linee da percorrere. Inoltre, si è valutato che anche
i verbali e i resoconti di riunione, che pure ca- ratterizzano il processo negoziale, siano un genere di documento utile a testimoniare l’attività di contrattazione sociale che non giunge a esiti pieni e conclusivi; ma anche a fornire una indiretta indicazione sullo stato di salute della contrattazione sociale stessa. Nel merito dei dati (vd. Grafico 1), va segna- lato anzitutto che nonostante l’aumento si- gnificativo in valore assoluto dei documenti, la percentuale di Piattaforme negoziali resta assai marginale: il 2,5%. Ciò indica un punto critico della contrattazione sociale, e cioè la scarsa formalizzazione delle agende nego- ziali, specie quelle di livello superiore alla di- mensione comunale che dovrebbero orien- tare e indirizzare le linee guida della contrat- tazione con i comuni. Certamente non tutte le piattaforme sono intercettate dall’Ocs, an- che per le scelte diversificate degli osserva- tori regionali che in pochi casi raccolgono e analizzano anche tali documenti. Tuttavia, oltre al dato quantitativo – sottostimato per i motivi accennati – esiste un problema di ti- po qualitativo rispetto alla definizione delle agende negoziali: difatti, se la presenza di piattaforme provinciali o regionali con “linee guida per la contrattazione sui bilanci di pre- visione dei comuni” risulta la forma più diffu- sa di piattaforma, restano assai marginali i casi di piattaforme che ricalchino gli ambiti
4 I sindacati sono citati, ma non sempre risultano tra i firmatari e in altri casi si esplicita che insieme ad altri attori del territorio aderiscono agli accordi di programma, di titolarità delle istituzioni locali.
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 15
I TASCABILI
DI RASSEGNA
GRAF.1 ◆ TIPOLOGIA DEL MATERIALE (XXXX 0000-0000)
80
70
60
50
40
30
20
10
0
2011 2012 2013 2014* 2015 2015**
Accordi, intese, protocolli, verbali di intesa
Piattaforme negoziali Resoconti
e verbali di incontri
*I dati 2014 – in questo grafico come nei successivi – comprendono anche documenti inseriti nel corso di 2015 e 2016, pertanto si potrebbero discostare di alcune frazioni di punto % rispetto ai dati del VI rapporto
**documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
di contrattazione sociale potenzialmente in crescita, anche per le modifiche istituzionali in corso: piattaforme di mandato sui bilanci delle amministrazioni locali, piattaforme in- tercomunali (Unioni di comuni, ambiti so- ciali, ecc.), piattaforme progettuali su singoli campi dello sviluppo territoriale e sulle stra- tegie dei sistemi locali dei servizi.
Gli accordi veri e propri rappresentano nel 2015 quasi due terzi dei documenti (il 63,4%, senza contare gli accordi lombardi sui Piani di zona, con i quali si raggiunge il 65,9%). Pare arrestarsi il calo relativo degli accordi rispetto ai verbali di incontro. Tale diminuzione fino al 2014 era da associare al- la parallela diminuzione dei documenti in termini assoluti, e quindi a un contesto ge- nerale di difficoltà negoziali. Per il 2015, la quota pur significativa di verbali (34%) si combina invece con una crescita dei docu- menti in termini assoluti e, soprattutto, ri-
sulta maggiormente diversificata: insieme ad “accordi mancati”, ovvero percorsi nego- ziali non sfociati in intese, e puri e semplici resoconti a posteriori delle iniziative di bi- lancio prese dalle amministrazioni locali, vi è una quota di verbali che in alcune aree o- mogenee territorialmente (province o com- prensori di specifiche regioni) stabilisce di fatto nuove relazioni sindacali, a partire cer- to dal resoconto delle scelte amministrative già operate ma rimandando a successivi confronti in vista dei bilanci di previsione e degli appuntamenti amministrativi degli en- ti coinvolti. In qualche misura, si tratta di verbali rispetto ai contenuti (temi non ne- goziati, ma comunicati da parte delle ammi- nistrazioni e al più condivisi dai sindacati), eppure in qualche modo tali documenti configurano di fatto degli accordi su nuove relazioni sindacali. La natura di questi verba- li può risultare quindi un promettente pro-
16 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
memoria per verificare se nel corso del 2016 tali relazioni avranno poi portato a un consolidamento proficuo, finalizzato in nuovi accordi effettivamente negoziati con le organizzazioni sindacali.
Livello territoriale
Il livello territoriale di riferimento per gli ac- cordi risulta un elemento importante per definire i profili della contrattazione stessa e, indirettamente, per alludere alle sue po- tenzialità e ad alcuni limiti attuali. Come è ovvio per certi versi, la dimensione preva- lente della contrattazione sociale si concen- tra sul livello comunale, laddove vengono negoziati gli accordi sui bilanci di previsione dei comuni: ciò corrisponde al 87,2% degli accordi del 2015 (vd. Grafico 2).
Si conferma pertanto una prevalenza del- l’ente locale comunale e allo stesso tempo del tipo di accordo stabilito, e cioè quello sui bilanci. Gli altri livelli coinvolti nella contrat- tazione sociale si mantengono invece più marginali, per quanto con specifiche diffe-
renziazioni funzionali che possono sollecita- re per il futuro un maggiore investimento negoziale da parte del sindacato. In questo senso, il livello regionale degli accordi si atte- sta nel 2015 al 3,8%; nel complesso si tratta di accordi intorno ai temi della programma- zione sanitaria con l’ente regionale, sulla spe- sa sociale, sulle procedure di appalto (clau- sole sociali), più marginalmente su piani per lavoro e sviluppo, ma anche accordi di indi- xxxxx e linee guida (Isee, relazioni sindacali) stabiliti con Anci regionale e Legautonomie. Poche differenze rispetto ai dati degli anni passati si registrano negli altri livelli sovraco- munali. Gli accordi Provinciali nel periodo 2011-2015 oscillano intorno al 2,5%; pur nel passaggio istituzionale che ha investito le Province, vi sono ugualmente ambiti terri- toriali provinciali che impegnano la contrat- tazione, specialmente a livello di Asl/distret- ti sanitari, e più marginalmente gli Ato e le materie relative ai servizi pubblici locali. Per- tanto cambia in parte la sostanza e i conte- xxxx degli accordi stabiliti a questo livello,
GRAF.2 ◆ LIVELLO TERRITORIALE (ACCORDI, 2011-2015)
100
80
60
40
20
0
2011 2012 2013 2014 2015 2015*
Livello comunale Livello inter-comunale Livello provinciale
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Livello regionale
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 17
I TASCABILI
DI RASSEGNA
con una minore incidenza delle materie re- lative al lavoro e allo sviluppo (politiche atti- ve, anticipazione cassa integrazione guada- gni, ecc.). Analoga stagnazione vale per gli accordi Intercomunali, e cioè quelli che in- tersecano il livello comunale soprattutto sui temi del welfare locale (ambiti sociali, di- stretti, Piani di zona) e di riflesso mostrano l’ambivalente affermazione dell’associazio- nismo tra comuni. Nel periodo gli accordi inter-comunali oscillano tra il 4,6% (del 2015) e il 8,5% del 2013.
Per quanto riguarda i verbali, vi è un’ovvia maggiore presenza del livello comunale, conseguenza delle maggiori incertezze che si situano a quel livello, ma anche del rinno- vato slancio sindacale per il recupero di re- lazioni tra le parti e di consolidamento dei confronti in prospettiva futura. Da segnalare il peso significativo di verbali di livello inter- comunale, con i quali si segnalano i percorsi di confronto programmatico intorno alle di- mensioni del welfare locale e territoriale. Per quanto questi confronti non confluisca-
no in veri e propri accordi, indicano da una parte una intensa attività negoziale (a livello intercomunale si collocano ben il 13,1% di tutti i verbali di incontro del 2015), dall’altra ciò non significa necessariamente una mag- giore fragilità delle relazioni nel welfare ter- ritoriale, e invece può alludere alla natura maggiormente processuale del confronto che si realizza in ambiti sociali, distretti so- ciali e sanitari, Piani di zona, ecc.
Il Grafico successivo (4) mostra che nell’am- bito della contrattazione svolta con comuni (singoli o in qualche modo associati, anche indirettamente in strutture intercomunali) la relazione uno-a-uno sia quella largamen- te prevalente: il 91,9% degli accordi che coinvolgono l’amministrazione comunale vedono la presenza di un solo comune. De- cisamente oscillante la presenza di accordi che vedono la presenza di 2-10 comuni (6,5% nel 2015, principalmente Unioni di comuni di medie e piccole dimensioni), mentre solo il 1,7% degli accordi ha una di- mensione superiore ai 10 comuni.
GRAF.3 ◆ LIVELLO TERRITORIALE (VERBALI, 2011-2015)
100
80
60
40
20
0
2011 2012 2013 2014 2015 2015*
Livello comunale Livello inter-comunale Livello provinciale
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Livello regionale
18 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
GRAF.4 ◆ NUMERO DI COMUNI COINVOLTI, PER CLASSI (ACCORDI E VERBALI, 2011-2015)
100
80
60
40
20
0
2011 2012 2013 2014 2015*
Un comune Da 2 a 10 comuni Oltre 10 comuni
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
Andamento nel corso dell’anno
La data di firma degli accordi risulta influen- zata da molteplici fattori, sia contingenti e cioè legati ai contesti locali o a misure e vin- coli di livello superiore che incidono sul
confronto con il sindacato; sia di altro gene- re, ovvero fattori di contesto relativi alle sca- denze per la presentazione dei bilanci di previsione dei comuni e a strettoie determi- nate dalla normativa nazionale, specie in
GRAF.5 ◆ ANDAMENTO NEL CORSO DELL’ANNO (STIPULA ACCORDI, 2011-2015)
60
50
40
30
20
10
0 2011
I trimestre
2012
2013
II trimestre
2014
III trimestre
2015
2015*
IV trimestre
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 19
I TASCABILI
DI RASSEGNA
materia fiscale. Come risulta evidente dai dati (Grafico 5), tra 2011 e 2014 si è assistito a una vera e propria transizione dei processi di confronto negoziale sui bilanci di previ- sione (che rappresentano la gran parte degli accordi di contrattazione sociale). Difatti, se nel 2011 il 54,2% degli accordi veniva siglato nel primo trimestre dell’anno, nel 2014 è stato il terzo trimestre a conseguire il mag- gior numero di intese (34,5%).
Il 2015 mostra in certa misura un’inversione di tendenza, con il 36,7% del secondo trime- stre che risulta il periodo in cui si concentra la maggioranza relativa delle intese. Tutta- via, a fronte della progressiva difficoltà degli enti locali nella definizione dei bilanci di previsione, segnalata nel corso degli ultimi cinque anni, l’andamento dei picchi e del- l’intensità degli accordi dipende sostanzial- mente dai termini e dalle relative proroghe che di anno in anno caratterizzano le sca- denze proposte dal ministero degli Interni. In particolare nel corso del 2015, alla proro- ga del termine di presentazione di bilanci di previsione entro il 31 marzo è seguita una proroga al 30 aprile e una successiva al 31 luglio, con la quale si spiega la concentrazio- ne degli accordi tra secondo e terzo trime- stre dell’anno. Va inoltre tenuto conto che sebbene la riforma della contabilità armo- nizzata sia entrata in vigore a regime nel 2016, è stata comunque avviata nel 2015, incrociando adempimenti e procedure che nella transizione hanno dovuto far riferi- mento sia allo schema del Dlgs 267 del 2000 sia al nuovo Dlgs 118 del 2011.
Al di là dei ritardi e della collocazione tem-
porale in cui si conclude l’iter dei bilanci di previsione, il riflesso dell’incertezza sotto- stante si riflette sui processi negoziali e sul confronto con le amministrazioni locali. Di- fatti, la quota minoritaria – per quanto non marginale – di intese realizzate nel quarto
trimestre dell’anno non si riferisce se non in casi eccezionali ad accordi sul bilancio di previsione per l’anno successivo (in questo caso, il 2016), ma invece si tratta in gran par- te di tardivi confronti su scelte di bilancio già compiute dalle amministrazioni, oppu- re accordi specifici intorno a temi delimitati. In sostanza, l’incertezza sui tempi e sule pro- cedure di bilancio degli enti locali ha porta- to un limite significativo nel confronto ne- goziale. Questo al netto della – incerta e al- talenante – disponibilità di risorse, dei cam- biamenti della normativa fiscale, della vo- lontà delle amministrazioni a stabilire profi- cue relazioni sindacali.
Parti coinvolte
La contrattazione sociale non è un’attività negoziale strettamente formalizzata, sia per quanto riguarda le procedure, i tempi e l’an- damento del confronto, ma anche rispetto ai soggetti titolati a stabilire relazioni tra le parti, e dunque a firmare accordi. Pertanto, al di là della asimmetria delle relazioni tra parti differenti con prerogative diverse (spet- ta alle amministrazioni tradurre accordi sen- za valore contrattuale in atti amministrativi, progettuali, e in quanto tali esigibili da parte dei cittadini), l’osservazione della distribu- zione e dell’intreccio delle Parti coinvolte nella contrattazione sociale può fornire di- versi elementi di riflessione circa la pratica stessa della contrattazione. Un’osservazione generale, a partire dal numero di parti coin- volte negli accordi (vd. Grafico 6) illustra una progressiva crescita degli accordi che vedo- no la presenza di tre parti coinvolte (dal 38,8% del 2012 al 51,8% del 2015). Va ricor- dato che nel sistema di classificazione degli accordi è considerata come singola parte coinvolta anche la presenza unitaria di Cgil- Cisl-Uil, oppure e Spi-Fnp-Uilp; per cui nella quota maggioritaria di accordi con tre parti
20 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
GRAF.6 ◆ NUMERO DI PARTI COINVOLTE, PER CLASSI
(ACCORDI, 2012-2015)
60
50
40
30
20
10
0 2012
2013
2014
2015
2015*
2 parti coinvolte 3 parti coinvolte 4 parti coinvolte oltre 4 parti coinvolte
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
vanno segnalate soprattutto le intese che vedono coinvolte le amministrazioni locali con i sindacati dei pensionati e le strutture confederali. Come si vedrà dai dati sulla pre- senza di ciascuna specifica parte coinvolta, è proprio questo il dato più rilevante degli ulti- mi anni, confermato dal 2015: una maggiore e più diffusa presenza delle confederazioni ai tavoli negoziali. Accanto a questo elemento, gli accordi che vedono una partecipazione multilaterale di diversi soggetti, oltre alle amministrazioni e ai sindacati confederali e dei pensionati, sono assai più limitati e co- stanti nel periodo: tra 2012 e 2015 oscillano tra circa il 12% e il 15% degli accordi.
Questa varietà dei dati consegna una situa-
zione ambivalente a proposito della parteci- pazione degli attori locali alle politiche so- ciali e territoriali: da una parte, accordi – so- prattutto di livello comunale, e incentrati sui bilanci di previsione – nei quali cresce la confederalità dell’approccio e dell’apporto sindacale; dall’altra, una componente anco- ra limitata (come peraltro emerge dal livello
degli accordi, vd. il precedente Grafico 2) in cui la maggiore presenza di altri attori è do- vuta fondamentalmente alle prerogative degli enti e della dimensione a cui si svolgo- no i confronti (Asl, distretti sanitari, ambiti sociali, Unioni di comuni, ecc.). è assai raro ed episodico, invece, oltre che concentrato territorialmente per tradizioni locali e ap- procci amministrativi specifici, che il con- fronto sui bilanci e in generale sulle politi- che comunali veda il coinvolgimento di altri attori del territorio: associazioni datoriali, Terzo settore, servizi per l’impiego, ecc.
Per quanto riguarda i verbali, in parte si con-
ferma la crescita dei documenti siglati da tre parti coinvolte. Questo segnala che i verbali non segnalino prevalentemente situazioni marginali o concentrate nei piccoli comuni, in cui si può presumere una maggiore diffi- coltà di chiudere intese vere e proprie e confronti negoziali sostenuti dall’iniziativa delle Leghe Spi e dai sindacati dei pensiona- ti. Anche nelle difficoltà di intese mancate e tentativi di nuove relazioni sindacali, per
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 21
I TASCABILI
DI RASSEGNA
GRAF.7 ◆ NUMERO DI PARTI COINVOLTE, PER CLASSI (VERBALI, 2012-2015)
70
60
50
40
30
20
10
0 2012
2013
2014
2015
2015*
2 parti coinvolte 3 parti coinvolte 4 parti coinvolte oltre 4 parti coinvolte
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
quanto da sviluppare in veri e propri accor- di, si diffonde la confederalità dell’approc- cio, desumibile dal 63,7% dei verbali del 2015 (che conferma il 65,1% dei documenti del 2014).
Dal punto di vista delle specifiche parti coin- volte, nei processi negoziali si confermano alcuni elementi appena evidenziati. Anzitut- to la larghissima e costante presenza dei Co- muni nella contrattazione sociale sviluppata dal sindacato: tra 2012 e 2015 la presenza delle amministrazioni comunali oscilla negli accordi tra il 86% e il 91% (per il 2015 il dato è 87,9%). Le parti sindacali vedono invece un’evoluzione già in parte accennata; difatti, la presenza dei sindacati dei pensionati pur restando assai rilevante scende di alcuni punti nel periodo: dal 83,5% del 2012 al 70,8% del 2015, ma crescono ugualmente le intese in cui è presente il solo Spi, dal 3,7% del 2012 al 11,8%del 2015. Quest’ultimo da- to vede, da una parte, intese in cui i sindacati dei pensionati sono rappresentati – non per deficit unitario, ma per situazioni contingen-
ti specie nei singoli comuni – dai soli Spi e Fnp. Dall’altra, esso è sintomo di quella mag- giore confederalità già segnalata, nel caso di intese che vedono la presenza di Cgil Cisl e Uil in cui si aggiunge la presenza dello Spi, specie in alcuni territori in cui il sindacato pensionati ha sempre svolto un ruolo di spinta nella contrattazione sociale. Ciò è ve- ro anche considerando il ruolo delle confe- derazioni, e in modo più accentuato: la pre- senza di Cgil Cisl Uil nelle intese passa dal 47,7% del 2012 al 60,2% del 2015; la presen- za della sola Cgil (8,1% negli accordi del 2015) in questo caso non indica tanto intese non unitarie a livello confederale quanto ac- cordi in cui sono presenti Spi Fnp Uilp a cui si aggiunge la presenza della confederazione. In estrema sintesi, pare consolidarsi una contrattazione maggiormente confederale anche nei piccoli comuni e nei territori di tradizionale insediamento dei sindacati dei pensionati. Ciò non indica, di per sé, una più intensa integrazione degli approcci o un in- treccio funzionale più fluido, ad esempio
22 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
GRAF. 8 ◆ PARTI CONVOLTE (ACCORDI, 2012-2014, PRIME 16 VOCI AL 2015*)
Amministrazione comunale
Spi/Fnp/Uilp
Cgil/Cisl/Uil
Spi
Fnp
Cgil
Cisl Parti coinvolte:
altre organizzazioni sindacali
Associazioni Commercio e Artigianato
Uomini di comuni/Comunità montane
Anci
Amministrazione regionale
Aziende pubbliche
Associazioni dell’industria
Altri enti
Terzo settore e Fondazioni
0
2015* 2015
20 40
2014
60 80
2013
100
2012
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 23
I TASCABILI
DI RASSEGNA
nella determinazione delle piattaforme ne- goziale, dei temi prioritari in agenda, nella condivisione delle tematiche e dei progetti; tuttavia segna indubbiamente un passo in avanti. Viceversa, risulta estremamente marginale l’apporto delle categorie sindaca- li degli attivi, non presenti tra le prime 16 voci delle parti coinvolte maggiormente nel 2015. Osservando invece il panorama degli altri soggetti coinvolti, a vario titolo, nella contrattazione sociale, emerge un campo polverizzato nel quale nessun soggetto è presente in più del 3% degli accordi. Peraltro si tratta di presenze in genere non sovrap- ponibili in accordi multilaterali; per cui la presenza delle organizzazioni datoriali del commercio/artigianato (2,6% nel 2015) e dell’industria (1,6%), si ritrova principalmen- te in alcuni territori nei confronti sui bilanci di previsione. Questa quota di confronti, e- rede di tradizioni locali specie in Xxxxxx Ro- magna e Marche, si affianca ad ancora epi- sodici accordi progettuali centrati sulle poli- tiche attive del lavoro (formazione, inseri- mento, protezione del reddito) e sui temi della legalità del lavoro, salute e sicurezza, appalti. All’interno del campo dei soggetti residuali coinvolti negli accordi, e nonostan- te i valori percentuali assai limitati, va segna- lata la presenza in via di consolidamento dell’Anci regionale (2,4% nel 2015), interlo- cutore del sindacato sia rispetto al quadro delle relazioni sindacali poi sviluppate a li- vello comunale, sia su temi specifici per i quali vengono fornite linee guida e cornici di massima (applicazione del nuovo Isee, i- niziative di contrasto dell’evasione fiscale e tributaria, ecc.).
Infine, la presenza nelle intese del Terzo set-
xxxx appare con differenti profili a seconda della tipologia di accordo: principalmente cooperazione sociale negli accordi pro- grammatici del welfare locale; Fondazioni di
origine bancaria ed espressione del territo- rio in accordi specifici per l’inclusione socia- le, ad esempio di sostegno al diritto all’abita- re; associazionismo e volontariato sociale sono più coinvolti in accordi che prevedono interventi di contrasto alla povertà, tutela e sostegno ai migranti, rifugiati e richiedenti asilo, ma anche contrasto della violenza di genere. Nel complesso, tuttavia, quella del Terzo settore è presenza molto più diffusa in qualità di beneficiari di contributi e conven- zioni (come si vedrà nel Grafico 11), mentre nel complesso degli accordi il si ritrova sola- mente nel 1,4% dei documenti, dal punto di vista dei firmatari e quindi dei partecipanti al processo negoziale e al confronto.
Destinatari
La platea dei destinatari della contrattazio- ne sociale è da sempre decisamente artico- lata. Nella costruzione dello schema di clas- sificazione e delle diverse variabili, difatti, il campo dei beneficiari è stato costruito in maniera articolata, e modificato nel corso degli anni per tenere in considerazione l’ampliamento delle iniziative e dei provve- dimenti contrattati con le amministrazioni. Il numero di destinatari per ciascun accordo è un primo indicatore della complessità del- le intese e della pluralità degli interventi (vd. Grafico 9). Nel corso del periodo 2012- 2015 si può notare un andamento altale- nante dei documenti con minori destinatari (tra 1 e 3, tra 4 e 6). Questi accordi sono da una parte documenti concentrati principal- mente su provvedimenti universalistici e trasversali (uno per tutti, la tassazione loca- le) e sono lo specchio di intese limitate, spe- cialmente nei piccoli comuni. In misura mi- nore vi si ritrovano intese su aspetti specifici, all’interno di un sistema di accordi tra le par- ti articolato e approfondito (ad esempio ac- cordi sull’emergenza abitativa, sul contrasto
24 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
della crisi, su interventi contro la povertà, sui servizi sociali e socio-sanitari, ecc.). Sotto questo aspetto, il dato per cui il 73,4% degli accordi si concentri su un numero circo- scritto di destinatari (tra 1 e 6) non è un in- dice di scarsa capillarità degli interventi. Ov- vero, la valutazione è duplice: insieme a do- cumenti effettivamente carenti di interven- ti specifici, o di declinazioni specifiche di po- litiche più ampie (ad esempio, donne e gio- vani nelle politiche del lavoro, o migranti e minori in quelle sociali ed educative), si tro- va la prassi di percorsi negoziali specifici che possono mettere l’accento su un elemento sottovalorizzato della contrattazione socia- le: la coprogettazione degli interventi, lo svi- luppo di politiche integrate e specifiche.
In generale, è vero però che sono scarsi gli
interventi capaci di articolare la multidimen- sionalità dei destinatari, per quanto vi siano eccezioni promettenti: da politiche (non maggioritarie) contro la povertà che focaliz- zano e intervengono a partire da alcune spie socio-demografiche (famiglie monoparen-
tali, presenza di figli minori, precarietà della condizione occupazionale, ecc.), a iniziative di inclusione lavorativa strutturate secondo criteri di politiche attive (formazione, tiroci- ni, lavori socialmente utili, sostegno al reddi- to e accesso ai servizi, ecc.), implicando quindi diversi soggetti sia tra i destinatari di- retti (precari, inoccupati, disoccupati, giova- ni e anziani, ecc.) sia tra quelli indirettamen- te coinvolti dal lato dei servizi (Terzo settore, lavoratori pubblici, ecc.).
Accanto a ciò, gli stessi dati sul numero di de- stinatari per accordo mettono in luce la cre- scita delle intese più complesse, ovvero quel- le che si concentrano su oltre 7 soggetti (dal 22,9% del 2012 al 26,7% del 2015) segnalan- do la presenza di intese – specie sul bilancio di previsione dei comuni – nelle quali è tenu- ta in considerazione un’ampia articolazione dei beneficiari degli interventi. Anche questo dato, tuttavia, non è di per sé indice di una maggiore efficacia e penetrazione delle poli- tiche sociali locali, ma allude quanto meno al fatto che tra i destinatari espliciti della con-
GRAF. 9 ◆ NUMERO DESTINATARI, PER CLASSI (ACCORDI, 2012-2015)
50
40
30
20
10
0 2012 2013 2014 2015 2015*
1-3 destinatari 4-6 destinatari 7-9 destinatari oltre 9 destinatari
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 25
I TASCABILI
DI RASSEGNA
trattazione coesiste un’attenzione a provve- dimenti universalistici con quella a una mag- giore specificazione dei beneficiari.
Dal punto di vista dei verbali, la platea dei be- neficiari è decisamente più ristretta, a partire dai documenti più complessi (oltre i 7 desti- natari, nel 2015 si contano solamente il 6,3%). Inoltre, rispetto a una crescita costan- te dei documenti di media complessità (tra i 4 e 6 destinatari, passati dal 33,1% del 2012 al 45,4% del 2014) si registra nel 2015 un ar- resto, probabilmente dovuto non solo a con- fronti negoziali più complessi e frammentari non giunti a un esito complessivo, ma anche alla presenza tra i verbali di diverse intese di fatto per sviluppare relazioni sindacali più costanti e proficue negli anni a venire, risolti in un puro e semplice rendiconto degli inter- venti autonomamente disposti dalle ammi- nistrazioni per il 2015 (che quindi non risul- tano, dal nostro punto di osservazione, ma- terie effettivamente negoziate e di cui non sono registrati pertanto i beneficiari).
L’osservazione degli effettivi beneficiari con- sente di approfondire gli orientamenti della contrattazione sociale e di alludere indiret- tamente ad alcune sue caratteristiche, poi articolate nei paragrafi dedicati alle temati- che negoziali. Anzitutto, si conferma una contrattazione sociale largamente animata da un approccio universalistico, con provve- dimenti che ricadono sulla Generalità di cit- tadini/famiglie. Si tratta di una voce che ne- gli anni ha oscillato tra poco meno del 80% e oltre il 90% degli accordi. In controluce si ri- trovano interventi sulla fiscalità locale (compartecipazione dei cittadini ai costi dei servizi del welfare, tassazione, tariffe e tribu- ti locali), ma anche interventi di sviluppo, di cura del territorio, di infrastrutturazione, per quanto più limitati; oppure si tratta di ac- cordi specifici sulla programmazione e revi- sione del sistema territoriale dei servizi so- ciali, sanitari, socio-sanitari.
I destinatari specifici, che rappresentano
gruppi più o meno vasti di popolazione, ri-
GRAF. 10 ◆ NUMERO DESTINATARI, PER CLASSI (VERBALI, 2012-2015)
80
70
60
50
40
30
20
10
0
2012 2013 2014 2015 2015*
1-3 destinatari 4-6 destinatari 7-9 destinatari oltre 9 destinatari
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
26 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
spetto all’andamento nel corso del periodo 2012-2015 possono essere raggruppati in modo differente. Caso a sé, è costituito dagli Anziani: è sempre stato un target della con- trattazione sociale tra i più diffusi e radicati, anche per l’indubbio apporto delle organiz- zazioni sindacali dei pensionati. Tuttavia, la voce che individua specificamente gli anziani risulta in calo nel periodo: dal 82,7% del 2012 al 63,8% degli accordi siglati nel 2015. Ciò non significa un allentamento dell’interesse delle amministrazioni per interventi a favore degli anziani; occorre difatti leggere il dato al- l’interno della concretezza degli accordi, e in relazione con altri beneficiari, in particolare non autosufficienti e disabili. Questi passano, rispettivamente, dal 27,4% del 2012 al 40,8% del 2015 (con un picco del 48,2 e del 45,5% nel 2014). In un senso molto ampio, si può sostenere che le politiche per gli Anziani ri- sultino da una parte incorporate nei provve- dimenti di agevolazione, detrazione, accesso a servizi e contributi che rientrano negli in- terventi contro il disagio economico e di con- trasto alla povertà; per altri versi, sono so- vrapposti alla dimensione socio-sanitaria (servizi domiciliari, residenziali, semiresiden- ziali, prevenzione, ecc.). Da questa lettura e- merge un aspetto dell’approccio prevalente nella definizione delle agende tradotte in ac- cordi e intese con le amministrazioni: la spin- ta, operata dalla crisi economica e dalle sue conseguenze, a circoscrivere piani e progetti organici e integrati riguardanti i diversi sog- getti e gruppi sociali. Se ciò in parte è vero per gli Anziani – ma limitato comunque dalla loro vasta presenza negli accordi – appare con maggiore evidenza a proposito di Don- ne, Immigrati, Giovani. Questi passano dal 12,8% del 2012 al 5,8% del 2015 (Donne), dal
13,7% al 10,6% (Immigrati), dal 21,7% al 13,4%
(Giovani). Per giunta, come si evidenzierà nei paragrafi dedicati ai temi negoziati, a una di-
minuzione della presenza nei testi di accordo corrisponde una limitatezza delle tematiche associate a ciascun soggetto, che non confi- gura affatto politiche integrate e trasversali, e semmai mette in luce alcuni binomi conven- zionali: ad esempio, e salvo buone pratiche sempre riscontrabili, gli interventi esplicita- mente a favore delle donne si concentrano su iniziative antiviolenza; quelle a favore degli immigrati si dividono tra l’integrazione cultu- rale/linguistica, compresa quella scolastica, e alcune iniziative di sostegno e offerta di servi- zi abitativi di emergenza per profughi e ri- chiedenti asilo; i giovani invece sono richia- mati in modo diretto per lo più per iniziative di contrasto del “disagio giovanile” (anche bullismo nelle scuole, contrasto delle dipen- denze, ecc.) e assi meno nelle politiche per il lavoro e la formazione.
Altri destinatari, più direttamente ritagliati
intorno alla loro condizione economica e al- la posizione nel mercato del lavoro, hanno invece avuto un andamento di crescita nel periodo 2012-2015. I Disoccupati risultano presenti in una percentuale che varia tra il 25% e il 30% degli accordi; i Lavoratori di a- ziende in crisi (solitamente associati a prov- vedimenti e “fondi anticrisi”) appaiono in misura analoga; i Lavoratori si attestano nel 2015 al 17,4% (in questo caso sia per la loro implicazione in interventi sulla Pubblica am- ministrazione sia in rapporto a più diffusi provvedimenti sulla regolazione di appalti ed esternalizzazioni).
Un elemento di confine, che come si vedrà
nei paragrafi dedicati alle politiche sociali e del lavoro, è rappresentato dalla voce Fami- glie e individui in condizione di povertà. Tale gruppo di destinatari ha segnato una pre- senza significativa nel periodo: tra il 55% e il 65% circa. Esso risulta un elemento centrale nella contrattazione sociale; ma di per sé non indica un orientamento di tali iniziative,
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 27
I TASCABILI
DI RASSEGNA
se non attraverso la lettura trasversale e mi- rata delle tematiche offerta dai paragrafi successivi. Questa, in sintesi, evidenzia un’insufficienza delle iniziative strettamente locali, soprattutto perché spesso non inte- grate né con il sistema dei servizi per l’im- piego né con la programmazione sociale che sarebbe di stretta pertinenza degli enti locali. Per giunta, sotto la lente degli inter- venti concreti, questa voce mette in luce u- na prospettiva pauperistica – e spesso resi- duale e assistenziale – che influenza anche gli interventi a favore di disoccupati e lavo- ratori in crisi occupazionale, in qualche mi- sura risucchiati nella specifica cornice “anti- povertà” realizzata – in termini minimalistici
– nella dimensione locale.
In qualche misura, anche la presenza del Ter- zo settore – in questo caso, principalmente l’associazionismo e il volontariato solidaristi- co – tra i beneficiari della contrattazione so- ciale si colloca in stretta connessione con gli interventi contro la povertà. In termini quan- titativi, la presenza del Terzo settore è stabile e significativa nel periodo, con valori com- presi tra il 17% del 2012 e il 19% del 2015; ovvero circa un quinto degli accordi presen- ta interventi a favore e sostegno dell’associa- zionismo e volontariato solidaristico locale. Come si vedrà dai dati relativi all’Area 2, che comprende le tematiche negoziali riguar- danti la partecipazione e cittadinanza attiva, l’associazionismo beneficia degli interventi negoziati lungo un continuum che va dal so- stegno all’attività volontaria e alla partecipa- zione sociale fino alla pura e semplice attri- buzione di contributi per erogare servizi di supporto ai cittadini in difficoltà.
Gli interventi di contrasto alla povertà stan-
no segnando una seconda stagione del pro- tagonismo associativo a livello locale, dopo quella che ne ha consolidato il ruolo sussi- diario – o sostitutivo – nel campo delle atti-
vità di sostegno ai servizi socio-sanitari – tra- sporti sociali, pasti a domicilio, cura leggera, telesoccorso, ecc. –. La grande maggioranza di accordi che include il Terzo settore tra i beneficiari si concentra pertanto sul soste- gno puro e semplice e l’erogazione di con- tributi. A volte si omette anche questo a- spetto, citando le attività ordinarie promos- se dal volontariato, quasi a segnalarne pura- mente la valenza nel contesto locale. Risulta assente invece una riflessione sul posiziona- mento e l’integrazione – eventuale – di tali i- niziative nel complesso delle politiche pub- bliche, che siano di contrasto alla povertà o di sostegno ai servizi per i minori, disabili, non autosufficienti.
Una posizione minoritaria ma non per que-
sto marginale tra i beneficiari della contratta- zione sociale è rivestita dalle Imprese. Presen- te nel periodo tra circa il 8% e il 12%, tale voce allude ad iniziative di vario genere: in minima parte, si tratta di interventi di sollievo fiscale, sostegno al credito – non diretti, ma favoriti dalle amministrazioni locali – e di piccoli in- vestimenti pubblici per lavori di cura della città e del territorio. Per il resto, le imprese sono destinatarie indirette di regole e nor- mative riguardanti i protocolli sugli appalti e sulla regolarità del lavoro. Rari e marginali i progetti integrati di sviluppo del territorio.
Articolazione territoriale
La contrattazione sociale è un’attività sinda- cale presente in misura assai differenziata sul territorio nazionale. Ciò è dovuto alla stratificazione e al concorso di differenti cause, la cui natura è ugualmente variegata. Anzitutto, vi è un elemento legato alle cul- ture amministrative dei territori, nei quali la relazione con il sindacato è stata variamente intesa, ricercata o tenuta ai margini del dia- logo tra gli attori organizzati e le istituzioni locali. Vi è poi un elemento più tattico, che
28 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
GRAF. 11 ◆ DESTINATARI (ACCORDI, 2012-2014, PRIME 16 VOCI AL 2015*)
Generalità di cittadini/Famiglie
Anziani Famiglie e individui
in condizione di povertà
Minori e infanzia
Non autosufficienti
Disabili
Disoccupati Lavoratori/trici di aziende in crisi
Terzo settore
Lavoratori/trici
Giovani
Imprese
Immigrati
Donne
Lavoratori/trici precari
Inoccupati
0
2015* 2015
20 40
2014
60 80
2013
100
2012
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 29
I TASCABILI
DI RASSEGNA
spinge o meno le amministrazioni locali alla ricerca di relazioni sindacali alla luce di una possibile legittimazione delle proprie scelte amministrative, spesso al di là dei muta- menti di colore politico delle amministra- zioni. Vi sono poi fattori di tipo strutturale, legati alla maggiore o minore qualità delle strutture tecniche, professionali e alla go- vernance dei servizi locali e del welfare terri- toriale, le quali possono favorire o meno la partecipazione del sindacato alla contrat- tualizzazione delle politiche sociali. In gene- re, sistemi maggiormente complessi di ge- stione delle politiche e del welfare locale hanno favorito il coinvolgimento delle orga- nizzazioni sindacali. Va considerata anche la qualità e l’intensità del capitale sociale dei diversi territori, nei quali un tessuto non lo- gorato di partecipazione e cittadinanza atti- va può avere un effetto ambivalente sulle relazioni tra le parti coinvolte nella contrat- tazione sociale: da una parte, le sostiene va- lorizzando il ruolo di rappresentanza sociale del sindacato, dall’altra non pare mettere pienamente a frutto la pluralità di voci e soggetti organizzati del territorio.
Nel dettaglio dei dati, la grande maggioran-
za della contrattazione sociale è realizzata nel nord del Paese. In particolare, nel perio- do 2012-2015 una quota sempre superiore al 50% degli accordi si concentra a Nord-o- vest (55,6% nel 2015). A Nord-est si ritrova circa il 20% degli accordi, in costante risalita dopo il picco negativo del 2013. La contrat- tazione sociale svolta nelle regioni del Cen- tro ha tenuto sostanzialmente valori stabili, attestandosi intorno al 20% del totale degli accordi (20,8% nel 2015). L’elemento critico è senz’altro rappresentato dal Sud e Isole; anche considerando tale valore al netto di una più discontinua penetrazione della rac- colta degli accordi a opera dell’Osservato- rio, e alla altalenante partecipazione delle
strutture regionali, va tuttavia rilevato che la presenza di accordi veri e propri diviene sempre più marginale: da una percentuale attestata tra il 5% e il 7% (2011-2013), si giunge a valori marginali negli anni più re- centi (3,8% nel 2014, 1% nel 2015).
La diversità di penetrazione territoriale della contrattazione sociale si sovrappone ovvia- mente a condizioni assai differenziate dei territori, ponendo nuovamente il tema criti- co del Meridione italiano. Questo si somma, peraltro, alla difforme presenza della con- trattazione di secondo livello, che oltre a im- pegnare una quota limitata di imprese (i da- ti disponibili oscillano tra il 20% e il 30%), mo- stra rilevanti variazioni territoriali, con valori nelle regioni settentrionali che doppiano u- na presenza più discontinua in quelle meri- dionali. Naturalmente, si tratta di dimensioni non comparabili tra loro, all’interno di siste- mi di relazioni tra le parti decisamente diffe- renti, sia rispetto all’autonomia negoziale degli attori, alle loro prerogative, fino alla na- tura contrattuale degli accordi che non può essere estesa alla contrattazione sociale. Se, pertanto, la somma delle differenze territo- riali di entrambe le pratiche contrattuali non mitiga ma rispecchia le diseguaglianze terri- toriali del Paese; nel caso della contrattazio- ne sociale queste non possono nemmeno giovarsi degli elementi perequativi presenti nella contrattazione collettiva nazionale. An- che in questo caso, la contrattazione sociale procede pragmaticamente e senza garanzie normative: attraverso accordi ai livelli terri- toriali superiori e con enti e associazioni di enti (l’Anci, ad esempio) capaci di orientare e omogeneizzare la contrattazione anche a livello di specifici territori all’interno di aree più vaste. Difatti, oltre alle varietà riscontra- bili tra le grandi ripartizioni territoriali del Paese, la contrattazione segna differenze di rilievo anche tra regioni e all’interno di esse.
30 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
GRAF. 12 ◆ RIPARTIZIONE TERRITORIALE (ACCORDI, 2011-2015)
70
60
50
40
30
20
10
0 2011
Nord-ovest
2012
2013
Nord-est
2014
Centro
2015
2015*
Sud e isole
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
Per giunta, anche laddove la contrattazione sociale è maggiormente diffusa e capillare i risultati raggiunti e i modelli applicati alle politiche sociali possono essere anche assai diversi gli uni dagli altri, da comune a comu- ne. Per questo è decisivo il ruolo di orienta- mento che possono svolgere accordi quadro di livello territoriale o regionale, specie in fa- si di cambiamento della normativa (si pensi alla necessità di applicare in modo omoge- neo il nuovo Isee).
Analogamente alla diffusione degli accordi, anche i verbali sono presenti in modo consi- stente nel nord Italia, ma rispetto con valori decisamente più alti a Nord-est (36,3% nel 2015), soprattutto grazie a una quota signi- ficativa di verbali realizzati in Veneto e in mi- sura minore in Xxxxxx Xxxxxxx. Il Sud e Iso- le mostrano dati più in linea con la contrat- tazione sociale svolta effettivamente sul ter- reno, e la quota di verbali si attesta per il 2015 al 8,3%. Questa differenza nel Mezzo- giorno tra una presenza maggiore (anche in termini assoluti) dei verbali rispetto agli ac-
cordi è dovuta in prevalenza alla vasta azio- ne di interlocuzione svolta dal sindacato a livello di programmazione territoriale dei servizi, nella quasi completa assenza, inve- ce, della “tradizionale” contrattazione sui bi- lanci di previsione dei comuni, largamente diffusa al Centro-nord.
Osservando i dati con un maggiore detta- glio, emergono ulteriori differenze territo- riali. Il livello a cui si collocano gli accordi ve- de un’ovvia prevalenza della dimensione co- munale, che supera il 90% a nord-ovest e si attesta oltre l’80% a Nord-est a al Centro (ri- spettivamente, 83,8% e 84,6%). La contratta- zione regionale risulta più diffusa nelle re- gioni del Centro (7,7% degli accordi 2015, con un forte contributo della Toscana), mentre quella intercomunale è storicamen- te più insediata a Nord-est (12% nel 2015) e in special modo in Xxxxxx Xxxxxxx, nella di- mensione della contrattazione con le Unio- ni di comuni.
A una struttura differenziata territorialmen-
te delle caratteristiche generali della con-
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 31
I TASCABILI
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GRAF. 13 ◆ RIPARTIZIONE TERRITORIALE (VERBALI, 2011-2015)
70
60
50
40
30
20
10
0 2011
Nord-ovest
2012
2013
Nord-est
2014
Centro
2015
2015*
Sud e isole
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
TAB. 2 ◆ TIPOLOGIA DEI DOCUMENTI PER RIPARTIZIONE TERRITORIALE (ACCORDI, 2015) | ||||
LIVELLI | ||||
INTER-COMUNALE | REGIONALE | PROVINCIALE | COMUNALE | TOTALE |
trattazione sociale (per tipologia dei docu- menti e livelli territoriali) corrispondono an- che caratteristiche specifiche delle parti coinvolte e dei destinatari degli accordi. Le amministrazioni comunali sono coinvolte in misura analoga in tutte le ripartizioni terri- toriali, con valori che oscillano tra l’85% e il 90% degli accordi. Alcune differenze emer- gono per la presenza sindacale nei percorsi negoziali; difatti, i sindacati dei pensionati sono presenti in oltre tre quarti degli accor-
di a Nord-ovest (76,7%) in misura assai più diffusa delle confederazioni Cgil Cisl Uil (49,4%). Si tratta di valori che non conside- rano l’ampia negoziazione intorno alla pro- grammazione dei Piani di zona lombardi, considerando i quali le confederazioni risul- tano assai più vicine ai valori di Spi Fnp Uilp. Nelle altre ripartizioni, invece, e in particola- re a Nord-est, i valori si invertono e la pre- senza maggiore è da attribuire alle confede- razioni, anche in relazione a una maggiore
Nord-ovest* | 0,6 | 3,4 | 3,4 | 90,2 | 100 |
Nord-ovest | 19,9 | 2,8 | 2,8 | 72,7 | 100 |
Nord-est | 12,0 | 0,7 | 2,1 | 83,8 | 100 |
Centro | 6,2 | 7,7 | 0,8 | 84,6 | 100 |
Sud e isole | --- | --- | --- | --- | 100 |
Totale | 15,9 | 3,4 | 2,3 | 76,9 | 100 |
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
32 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
GRAF. 14 ◆ PARTI CONVOLTE PER RIPARTIZIONE TERRITORIALE (ACCORDI 2015)
Amministrazione comunale
Spi/Fnp/Uilp Cgil/Cisl/Uil
Spi
Fnp Cgil
Cisl Altre organizzazioni sindacali
Unioni di comuni / comunità montane
Associazioni commercio e artigianato
Anci
Amministrazione regionale
Aziende pubbliche
Altri enti
Categorie lavoratori
Distretti, ambiti, consorzi socio-sanitari
0 20 40 60 80 100
Totale
Xxxxxx
Xxxx-xxx
Xxxx-xxxxx
Xxxx-xxxxx*
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 33
I TASCABILI
DI RASSEGNA
GRAF. 15 ◆ DESTINATARI PER RIPARTIZIONE TERRITORIALE (ACCORDI 2015)
Generalità di cittadini/Famiglie
Anziani Famiglie e individui
in condizione di povertà
Minori e infanzia
Non autosufficienti
Disabili
Disoccupati Lavoratori/trici di aziende in crisi
Terzo settore
Lavoratori/trici
Giovani
Imprese
Immigrati
Donne
Inoccupati
Totale
Lavoratori/trici precari
0
Centro
20
Nord-est
40 60
Xxxx-xxxxx
00 000
Xxxx-xxxxx*
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
34 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
diffusione della contrattazione di livello in- tercomunale. Rispetto agli altri attori della contrattazione, l’articolazione per territori non evidenzia differenze significative, se non per la presenza dell’associazionismo comunale (unioni di comuni) presenti nel 7% delle intese del Nord-est.
Dal punto di vista dei destinatari, l’orienta- mento a un approccio rivolto all’universalità dei cittadini e delle famiglie è decisamente prevalente, con percentuali comprese tra l’85% e oltre il 90% in tutte le ripartizioni ter- ritoriali. Differenze emergono, invece, nel confronto tra gli altri destinatari. In partico- lare, si osservano almeno due profili differen- ti: la contrattazione a Nord-ovest, una delle cui caratteristiche è l’ampia diffusione nei piccoli comuni di Lombardia e Piemonte, mostra percentuali più alte della media e delle altre ripartizioni in tutte le principali voci: Anziani (75,3%), Famiglie e individui in condizione di povertà (69,5%), Minori e in- fanzia (49,7%), Non autosufficienti (49,1%),
Disabili (44,8%), Disoccupati (33%) e Terzo
settore (25,3%). Eccetto che per questi ulti- mi gruppi di destinatari, la contrattazione a Nord-ovest pare concentrarsi sui soggetti che tradizionalmente hanno occupato le pri- me linee dell’interesse negoziale, fin dagli e- sordi della contrattazione sociale e certa- mente a partire dagli anni novanta. Il profilo delle altre ripartizioni è invece più differen- ziato: al Centro si concentrano maggiormen- te le iniziative rivolte a Lavoratori in difficoltà occupazionali soprattutto mediante fondi anticrisi (30,8% degli accordi), ai Giovani (26,2%) e alle Imprese (22,3%); in qualche misura, la contrattazione nel Centro Italia (con particolar peso di quella toscana) ri- spetto ai destinatari sembrerebbe avere un profilo più spiccato di sostegno al lavoro e allo sviluppo. La contrattazione a Nord-est, oltre a confermare alcuni di questi elementi
(Disoccupati, 23,4%), mostra un profilo più orientato ai soggetti specifici e ai diritti, con valori superiori alla media nazionale per gli Immigrati (17%), Donne (11,3%), Minori e in- fanzia (41,1%), e soprattutto Lavoratori (30,5%) che riflettono la concentrazione di misure di contrasto dell’illegalità e promo- zione di salute e sicurezza e regolazione so- ciale degli appalti pubblici.
◆ LA CONTRATTAZIONE SOCIALE NEI TEMI DI ACCORDO
Le aree tematiche principali
Il profilo tematico della contrattazione è sen- za dubbio lo specchio più significativo delle tendenze dell’attività negoziale, nonché dei limiti e delle opportunità delle politiche so- ciali territoriali. La descrizione generale delle principali caratteristiche extra-tematiche – affrontata nei paragrafi precedenti – è senza dubbio uno strumento prezioso di analisi e intervento: l’osservazione e l’andamento quantitativo della contrattazione, l’articola- zione territoriale, i livelli a cui si applica, le par- ti coinvolte e i destinatari offrono spunti per elaborare strumentazione e formazione ri- volta ai “contrattualisti del sociale”, riorganiz- zare i livelli dell’intervento sindacale, rivedere la cornice e il profilo delle agende negoziali e dei processi di coinvolgimento degli attori del territorio. L’analisi che seguirà si concen- trerà invece sui contenuti degli accordi, os- servati nell’andamento avuto negli anni più recenti. Non si tratta di un’analisi delle politi- che sociali territoriali, in senso stretto, perché l’andamento della contrattazione non mette in evidenza i valori economici e finanziari ag- gregati, non analizza le politiche pubbliche nel loro complesso, non fornisce una mappa dei servizi erogati e della loro governance, ma
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 35
I TASCABILI
DI RASSEGNA
GRAF. 16 ◆ AREE TEMATICHE DI PRIMO LIVELLO (ACCORDI, 2012-2015)
osserva alcuni elementi di questo insieme at- traverso la lente di ciò che è contrattato con il sindacato. Pertanto, la descrizione e l’analisi che seguiranno vanno intese soprattutto co- me definizione dei pieni e dei vuoti, delle punte innovative e delle risacche, dei rischi e delle opportunità offerte dalla relazione ne- goziale tra sindacati e amministrazioni pub- bliche, ai diversi livelli. Peraltro, come sarà e- vidente dalle pagine successive, l’analisi delle tematiche contrattate interpella direttamen- te la capacità del sindacato di enucleare dalla serie continua dei provvedimenti ammini- strativi, dalle linee programmatiche dei co-
muni, dalle cornici progettuali degli attori del welfare territoriale quelle linee di sviluppo – o di contrasto – con le evoluzioni più ampie del welfare determinate dalle politiche regionali e nazionali.
Sotto il profilo della più ampia osservazione quantiativa, le undici aree tematiche princi- pali sono illustrate nel loro andamento tra 2012 e 2015 nel Grafico 16. Va ancora speci- ficato che il confronto diacronico non tiene conto – pur evidenziandoli nei grafici – dei documenti lombardi sulla programmazione dei Piani di zona, dal momento che essendo monotematici avrebbero in linea generale ri-
2. Partecipazione e cittadinanza attiva
3. Pubblica amministrazione
5. Politiche socio-sanitarie e assistenziali
6. Lavoro e sviluppo
7. Politica dei redditi e delle entrate
8. Contrasto discriminazioni
e pari opportunità
9. Abitare e territorio
10. Infanzia e giovani
11. Cultura socialità e sicurezza
0 20 40 60 80 100
2015*
2015
2014
2013
2012
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
36 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
dimensionato tutti i valori delle aree e delle voci non coincidenti con le politiche socio- sanitarie e assistenziali (Area 5). Inoltre, l’in- teresse per l’andamento relativo di ciscuna voce nel complesso delle tematiche contrat- tate non deve distogliere lo sguardo dai va- lori asosluti, ovvero dagli accordi ocncreti veri e propri; per cui in quasi tutte le aree le voci tematiche mostrano una crescita quan- titativa dovuta alla crescita degli accordi 2015, che si traduce in più interventi, in co- pertura territoriale maggiore e così via.
In linea generale, e prima di affrontare nello specifico le voci tematiche e le singole mi- sure, alcune aree si confermano centrali nel- la struttura della contrattazione sociale: an- zitutto le Politiche socio-sanitarie e assi- stenziali, presenti nel periodo in esame in circa tre quarti degli accordi; una posizione preminente è ovviamente assunta dalle Po- litiche dei redditi e delle entrate, con per- centuali comprese tra l’80% e l’85% degli ac- cordi. In linea generale, alcune aree temati- che vedono in generale una crescita tra 2014 e 2015: Politiche abitative e del terri- torio (dal 54,9% al 59,4%), Pubblica ammini- strazione (dal 34,7% al 38,7%), le stesse Poli- tiche dei redditi e delle entrate (dal 82,3% al 85,8%), altre sono in leggero regresso (Poli- tiche dell’infanzia, per i giovani, educative e dell’istruzione, Politiche della partecipazio- ne e cittadinanza attiva, Politiche culturali, di socializzazione e sicurezza), altre ancora risultano sostanzialmente stabili (Politiche del lavoro e dello sviluppo).
A questo livello generale di analisi, tuttavia,
non vi sono scostamenti, da un anno all’al- tro, la cui lettura può risultare univoca; a un livello di voci tematiche specifiche sarà inve- ce possibile leggere in controluce e distin- guere quel gioco di forze qualitative, di som- me e di sottrazioni quantitative, che nel complesso danno il risultato generale offer-
to dal Grafico 16. A questo livello macro, tut- tavia, l’andamento nel corso del periodo 2012-2015 consente alcune valutazioni ge- nerali: è indubbia la crescita delle aree 2 e 3 (Partecipazione e Pubblica amministrazio- ne), segno di processi complessi e non uni- voci di riassesto e in qualche misura di rior- ganizzazione della macchina amministrativa, sia nel rapporto con i cittadini sia per far fronte ai cambiamenti tecnici e istituzionali intercorsi (nuovo sistema di bilancio degli enti locali, rapporti tra amministrazioni, a- dattamento ai mutamenti della fiscalità lo- cale e al recupero dell’evasione fiscale e tri- butaria, ecc.). La crescita ambivalente delle Politiche del lavoro e dello sviluppo, con un profilo legato sempre più alla protezione del lavoro (specie negli appalti pubblici) e all’in- serimento lavorativo sfuma nelle iniziative di contrasto della povertà, a fronte di un calo degli interventi di sviluppo in senso stretto, e cioè di progettualità capaci di attivare l’eco- nomia locale e l’occupazione. La stabilità ap- parente delle Politiche socio-sanitarie e assi- stenziali e delle Politiche dei redditi e delle entrate nasconde una grande varietà inter- na, come si vedrà in dettaglio, con la crescita degli interventi contro la povertà e variazioni anche repentine dei pesi interni al sistema della fiscalità locale e della compartecipazio- ne dei cittadini ai costi del welfare.
All’interno dei singoli accordi le diverse aree
tematiche sono presenti con diversa varietà e numerosità. Nel corso del tempo (vd. Gra- fico 17) si evidenzia in particolare un au- mento dei documenti che affrontano un nu- mero medio-alto di aree tematiche (da 7 a 9, pari al 39,5% degli accordi 2015).
Da un altro punto di vista, e cioè quello del numero di singole voci tematiche trattate all’interno degli accordi, si ritrova un analo- go aumento dei documenti più complessi: difatti in circa un terzo degli accordi 2015
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 37
I TASCABILI
DI RASSEGNA
GRAF. 17 ◆ AREE TEMATICHE DI PRIMO LIVELLO, PER CLASSI (ACCORDI, 2012-2015)
50
40
30
20
10
0 1-2 aree tematiche 3-5 aree tematiche 6-8 aree tematiche 9-11 aree tematiche
2012 2013 2014 2015 2015*
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
(33,9%, con percentuale analoga nel 2014) sono presenti oltre 15 voci tematiche nego- ziali, a fronte di un progressivo calo relativo dei documenti meno complessi, tra 11 e 15 tematiche (24,1%, nel 2015) e tra 4 e 10 (31,9%, specie accordi con i piccoli comuni). Restano costanti e più marginali (con valori intorno al 10%) i documenti più semplici, o maggiormente focalizzati su singoli temi (dalle relazioni sindacali a misure e progetti mirati sulle politiche abitative, sulla scuola, sul fisco locale, ecc.).
L’articolazione dei valori relativi alle aree te- matiche per ripartizione territoriale offre di- versi spunti circa le caratteristiche specifi- che della contrattazione sociale, nelle diver- se aree del Paese. A Nord-ovest, la contrat- tazione copre con più intensità i diversi am- biti tematici; in particolare essa spicca nelle politiche sociali e in quelle fiscali, ma anche in quelle abitative e dell’infanzia, scolastiche ed educative. È significativamente più alta la presenza delle politiche di partecipazione, essendo diventata una prassi assai diffusa u-
na formula in chiusura degli accordi per la quale le parti si impegnano a dare massima diffusione agli interventi condivisi, quindi in un’ottica di garanzia dell’informazione per i cittadini. Anche le aree centrali del Paese e il Nord-est hanno valori significativi e non de- ficitari in quasi tutte le aree tematiche, con picchi particolari nell’area Pubblica ammini- strazione, segno di processi più avanzati di integrazione sovracomunale, ma anche di maggiore capillarità di regolazioni stringen- ti dei meccanismi degli appalti pubblici.
Un’ulteriore faccia del prisma della contrat- tazione sociale, se osservata nella dimensio- ne territoriale, emerge dall’articolazione dei temi di accordo nei comuni capoluogo e nelle intese realizzate nei piccoli centri. Na- turalmente si tratta, a monte, di una selezio- ne della base dati delle elaborazioni prece- denti, che consideravano accordi conclusi a diversi livelli territoriali. I dati presentati nel Grafico 20, invece, si basano sui soli accordi realizzati in ambito comunale. In linea gene- rale, emergono profili decisamente diversi
38 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
GRAF. 18 ◆ AREE TEMATICHE, PER CLASSI (ACCORDI, 2012-2015)
50
40
30
20
10
0 Da 1 a 3 aree tematiche da 4 a 10 aree tematiche da 11 a 15 aree tematiche oltre 15 aree tematiche
2012 2013 2014 2015 2015*
GRAF. 19 ◆ AREE TEMATICHE PER RIPARTIZIONE TERRITORIALE (ACCORDI 2015)
2. Partecipazione e cittadinanza attiva
3. Pubblica amministrazione
5. Politiche socio-sanitarie e assistenziali
6. Lavoro e sviluppo
7. Politica dei redditi e delle entrate
8. Contrasto discriminazioni
e pari opportunità
9. Abitare e territorio
10. Infanzia e giovani
11. Cultura socialità e sicurezza
0 20 40 60 80 100
Totale
Xxxxxx
Xxxx-xxx
Xxxx-xxxxx
Xxxx-xxxxx*
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
39
I TASCABILI
DI RASSEGNA
tra i comuni capoluogo e gli altri comuni. Al- cuni elementi possono sembrare sorpren- denti, a un primo sguardo: la marginale pre- senza delle tematiche culturali e di socializ- zazione negli accordi dei capoluoghi, evi- dentemente prerogativa mantenuta dai programmi culturali delle amministrazioni; oppure la minore presenza dei temi della partecipazione e cittadinanza attiva, nono- stante l’enfasi spesso posta sulla necessità di investire in iniziative del genere, specie nei grandi centri. Le aree solitamente associate al cuore della contrattazione sociale (servizi sociali, temi fiscali, politiche abitative) si
presentano nei capoluoghi con una fre- quenza dimezzata rispetto agli accordi nei piccoli centri. Solo in tre aree tematiche il rapporto si inverte, per quanto in maniera non eclatante: Pubblica amministrazione (51,4% dei capoluoghi, contro 39,7% dei pic- coli comuni), Contrasto discriminazioni e pari opportunità (17,1%, contro 13,1%), e Relazioni tra le parti (91,4% contro 71,3%, in particolare grazie a una maggiore formaliz- zazione di tavoli di confronto, verifiche, ap- profondimenti tecnici stabiliti negli accordi dei comuni più grandi). Per le Politiche del lavoro e dello sviluppo i valori sono invece
GRAF. 20 ◆ AREE TEMATICHE PER DIMENSIONE DEI COMUNI (ACCORDI 2015)
1. Relazione tra le parti e definizione del processo
2. Partecipazione e cittadinanza attiva
3. Pubblica amministrazione
5. Politiche socio-sanitarie e assistenziali
6. Lavoro e sviluppo
7. Politica dei redditi e delle entrate
8. Contrasto discriminazioni
e pari opportunità
9. Abitare e territorio
10. Infanzia e giovani
11. Cultura socialità e sicurezza
0 20 40 60 80 100
Totale Comune non capoluogo Capoluogo
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
40 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
più vicini, sebbene a favore dei piccoli cen- tri, intorno al 50% degli accordi.
Nella lettura di questi dati è d’obbligo un’av- vertenza: gli accordi realizzati nei capoluoghi spesso seguono un approccio negoziale dif- ferente da quello dei piccoli centri: sono più frequenti accordi formalizzati sulle relazioni sindacali; più rari sono gli accordi complessivi sui bilanci di previsione dei comuni; mentre è più usuale che percorsi e tavoli di confronto su singoli temi sfocino poi in accordi specifici (ad esempio, schemi di restituzione di Xxxx e Tari per famiglie in difficoltà, accordi sui rego- lamenti Xxxx, piani anticrisi e contro la po- vertà, ecc.). Nei piccoli comuni le relazioni tra le parti non sono generalmente costanti nel corso dell’anno; risultano meno diversificate per focalizzarsi, invece, su un accordo annua- le che si riflette in decisioni e iniziative esigi- bili da parte dei cittadini, ma anche in peti- zioni di principio e formulazioni generiche di indirizzo. Dietro lo scenario qualitativo, le dif- ferenze tra capoluoghi e piccoli centri si ri-
flettono anche in altri aspetti quantitativi: il numero medio di aree tematiche trattate è 5,8 nei piccoli comuni, contro 4,4 nei capo- luoghi; analogamente, il numero medio di beneficiari è sensibilmente più alto nei picco- li comuni (5,08) che nei capoluoghi (3,09); invece il numero medio di parti coinvolte ne- gli accordi è pressoché analogo, con un lieve vantaggio per i capoluoghi (2,89, contro 2,78). Nel complesso ciò può confermare per i capoluoghi una maggiore presenza di ac- cordi specifici, focalizzati su beneficiari deter- minati, e realizzati da un numero più ampio di attori (amministrazioni locali, sindacati confederali e dei pensionati, ma anche asso- ciazionismo, fondazioni, aziende pubbliche, strutture dello Stato).
AREA 1. Relazioni tra le parti e definizione del processo
Le prime due aree tematiche dello schema di classificazione della contrattazione sociale esprimono alcuni indicatori di qualità e di sa-
GRAF. 21 ◆ AREA 1 - RELAZIONI TRA LE PARTI E DEFINIZIONE DEL PROCESSO
(ACCORDI, 2012-2015*)
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
2012 2013 2014 2015*
1. Relazioni
tra le parti e definizione del processo
1.1. Valutazioni di premessa
1.2. Composizione tavoli di confronto
1.3. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati, osservatori
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 41
I TASCABILI
DI RASSEGNA
lute della contrattazione stessa. Difatti, lo stato delle relazioni tra le parti (Area 1) e del- la partecipazione e promozione di cittadi- nanza attiva per i cittadini (Area 2) rappre- senta senz’altro una spia di un approccio ne- goziale aperto. Naturalmente, la qualità dei complessi processi di relazione tra le parti non possono essere dedotti solo attraverso la forma dei documenti negoziali, tuttavia le indicazioni sono ugualmente preziose.
L’area delle Relazioni tra le parti e definizione del processo negoziale rappresenta quindi un indicatore indiretto della salute del me- todo e delle procedure negoziali. La forma- lizzazione del processo negoziale è un aspet- to particolarmente importante nella con- trattazione sociale, e attiene al metodo dei rapporti tra le parti. In tale formalizzazione rientrano accordi e protocolli specifici sulle relazioni sindacali, per quanto assai rari e di- somogenei sul piano territoriale. In misura assai più ampia, invece, nelle premesse degli accordi sono riportate dichiarazioni comuni di intenti, valutazioni sulle politiche – specie nazionali – che incidono sulle scelte di bilan- cio e programmatiche, oltre che considera- zioni generali sulle priorità da perseguire.
Anzitutto, risulta una sostanziale costanza
negli anni 2012-2015 della presenza dell’A- rea 1, con valori compresi tra 81% e 85% de- gli accordi. Ciò non significa che il restante 15%-20% di accordi siano stati definiti senza una vera e propria prassi di relazioni sinda- cali, ma solo che questa non è richiamata – in forme anche assai variegate – nei docu- menti stessi. La voce specifica più ricorrente è quella delle Valutazioni di premessa (76% nel 2015) dietro la quale ricorrono formu- lazioni e brani di diverso genere: posizioni comuni intorno alle politiche governative e all’andamento economico e sociale, oppu- re più dettagliati resoconti dell’attività am- ministrativa dell’anno precedente quali
premesse alla contrattazione in atto. Nel 2015 va inoltre segnalata la quota ristretta ma non irrilevante di nuovi accordi specifici sulle relazioni sindacali; in genere tali ac- cordi aggiungono alla pura e semplice af- fermazione del mutuo riconoscimento tra le parti quali interlocutori negoziali, anche un affinamento tecnico delle procedure, che in qualche modo può ricordare il mo- dello applicato nelle relazioni industriali a proposito dei meccanismi di informazione, consultazione e partecipazione. Difatti, do- po la premessa generale, tali accordi defini- scono il campo e le materie oggetto di con- fronto, garantiscono un numero minimo ma certo di incontri nel corso dell’anno, stabiliscono margini di autonomia e vincoli tra le parti per evitare iniziative unilaterali, includono la possibilità di avvalersi nel con- fronto negoziale anche di consulenze e competenze tecniche oltre ai dati offerti dalle strutture informative delle ammini- strazioni. Per giunta, tali accordi introduco- no stabilmente il principio del monitorag- gio e della verifica degli esiti, oltre che il di- ritto all’informazione per i cittadini. Nel corso del 2015 si restringe la Composizione di tavoli di confronto specifici (dal 36,3% al 24,3%), mentre è sostanzialmente stabile la voce 1.3 (12,5% nel 2015), che sostanzial- mente individua momenti – ma non neces- sariamente gli strumenti – di verifica del- l’applicazione degli accordi.
Al di là del dato contingente del 2015, in ge-
nerale i valori mostrano una transizione da una prevalenza di momenti di verifica (dei principi generali e delle misure concrete ne- goziate) con un minor peso dei momenti di confronto intorno all’approfondimento di specifiche materie, progetti, interventi, ver- so un modello in cui a prevalere sono i tavo- li di confronto, ovvero in qualche misura l’e- lemento progettuale e tecnico concertato.
42 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
AREA 2. Politiche e strumenti
della partecipazione e cittadinanza attiva L’area della Politiche e strumenti della par- tecipazione e cittadinanza attiva compren- de le iniziative attinenti principalmente al metodo del confronto con la cittadinanza, con le organizzazioni sociali, il non profit, in materia di informazione, comunicazione, consultazione e partecipazione nonché di accountability della pubblica amministra- zione stessa. La definizione di strumenti di informazione, partecipazione, coinvolgi- mento dei cittadini, nelle forme più varie, dovrebbe essere insita nel metodo stesso della contrattazione sociale. Difatti, l’area 2 presenta voci tematiche specifiche che at- tengono sia a strumenti di trasparenza am- ministrativa e informazione dei cittadini sia a momenti di maggiore coinvolgimento e promozione della partecipazione sociale. Osservando i dati nel loro andamento nel periodo 2012-2015 è possibile segnalare al- cune tendenze che indicano un cambia- mento dei riferimenti alla partecipazione presenti negli accordi. A livello generale, l’A- rea 2 è ormai un elemento consolidato al- l’interno delle intese: negli ultimi due anni si ritrova all’incirca in un terzo dei docu- menti (vd. Grafico 22). Più in dettaglio, que- sti valori si compongono di iniziative in a- scesa e in progressiva diminuzione. Se, da u- na parte, decresce la presenza dei Bilanci sulla qualità sociale (bilancio sociale, di ge- nere, ambientale) che si attestano sul 2,2% nel 2015; risultano stabili ma marginali i processi di consultazione di Bilancio parte- cipativo (intorno al 4% negli anni più recen- ti). Altre voci contribuiscono alla crescita complessiva dell’Area; in particolare, vi so- no i Percorsi di informazione, consultazione e coinvolgimento dei cittadini, che per il 2015 si ritrovano nel 22,9% degli accordi (in- torno al 14% nel 2012). Sotto questa voce
emergono iniziative di vario genere: dal ri- lancio degli sportelli informativi rivolti ai cit- tadini (Informagiovani, Urp, ecc.) a iniziative specifiche di informazione e facilitazione dell’accesso rispetto alle misure definite ne- gli accordi stessi. Questo orientamento al- l’informazione spesso non è meglio definito, e rappresenta in intento di massima segna- lato nei documenti; in altre occasioni si spe- cificano i servizi dedicati (Uffici relazioni con il pubblico, sportelli informativi dei servizi sociali o degli assessorati comunali). Sotto traccia emerge la difficoltà di individuare servizi di informazione effettivamente capa- ci di coniugare informazione e presa in cari- co complessiva, specie laddove molte misu- re di agevolazione necessiterebbero di una gestione integrata capace di rispondere alla domanda specifica dei cittadini, ma anche di offrire proattivamente il ventaglio di op- portunità a cui il cittadino avrebbe diritto al di là della richiesta con cui si presenta pres- so gli uffici pubblici. Questo aspetto è parti- colarmente evidente nel caso delle agevola- zioni tariffarie, fiscali e tributarie; difatti, an- che per coprire le lacune delle pubbliche amministrazioni in alcuni territori gli accor- di stessi hanno previsto che l’informazione e
– in parte – la presa in carico delle domande
veda coinvolti anche i servizi del sindacato (patronato, Caf).
Xxxxx voce in crescita nel periodo è la Pro- mozione del Terzo settore e partecipazione sociale (13,4% degli accordi, nel 2015). Que- sta voce, che allude prevalentemente alle i- niziative di sostegno al campo associativo e al volontariato va comunque letta insieme ad altre voci tematiche presenti soprattutto nell’area delle politiche sociali in senso stretto (affidamento di prestazioni in con- venzione o mediante contributi mirati per interventi contro la povertà, o attività inte- grative di sostegno a disabilità e non auto-
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 43
I TASCABILI
DI RASSEGNA
GRAF. 22 ◆ AREA 2 - POLITICHE E STRUMENTI DELLA PARTECIPAZIONE
E CITTADINANZA ATTIVA (ACCORDI, 2012-2015*)
40
35
30
25
20
15
10
5
0
2012 2013 2014 2015*
2. Politiche e strumenti della partecipazione
e cittadinanza attiva
2.1. Bilanci sulla qualità sociale
2.2. Bilancio partecipato, partecipativo
2.3. Informazione, consultazione
e coinvolgimento
2.4. Promozione terzo settore e partecipazione sociale
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
sufficienza, ecc.). In questo caso, con la voce
2.4 sono stati segnalati contributi economi- ci, servizi e opportunità di accesso e gestio- ne di strutture comunali rivolte alle associa- zioni del territorio, in genere non vincolati a una prestazione specifica offerta dall’asso- ciazione; ma si ritrova anche la promozione del volontariato civico dei cittadini, in que- sto caso slegato da controprestazioni (co- me comincia invece a comparire nei capito- li dedicati al contrasto della povertà e per l’inclusione sociale).
AREA3. Pubblica amministrazione
Le politiche locali più strettamente legate alla Pubblica amministrazione rappresenta- no un fronte decisivo per l’azione negoziale del sindacato. Questo per motivazioni che spaziano su più livelli: per le necessità di riforma spinte dal Testo unico degli enti lo- cali, per i provvedimenti di trasformazione delle province, per la costante necessità di implementare le strutture del welfare locale (uffici di piano, consorzi dei servizi, ambiti
sociali e distretti sanitari, ecc.). La contin- genza di questi anni, inoltre, a causa dell’au- sterità calata sugli enti locali – sia con il ta- glio dei trasferimenti centrali sia con le nuo- ve e incerte normative fiscali e tributarie – ha reso via via più necessaria non solo la contrattazione ma anche il coinvolgimento del sindacato nei processi di cambiamento degli apparati chiamati ad adattarsi a questi processi.
Tra tutte le aree tematiche affrontate nella contrattazione sociale, quella della Pubblica amministrazione è l’unica che mostra un trend netto e univoco nel corso del perio- do: una crescita che dal 24,9% del 2012 giunge fino al 38,7% del 2015. Va ricordato, tuttavia, che questa crescita non è omoge- nea, ma si concentra maggiormente in de- terminate zone del paese (particolarmente Centro e Nord-est, e al loro interno in speci- fiche regioni). Sotto l’aspetto contenutisti- co, la crescita della contrattazione sui temi della pubblica amministrazione è sostenuta soprattutto dai confronti su Relazioni tra
44 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
GRAF. 23 ◆ AREA 3 - PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
(ACCORDI, 2012-2015*)
40
35
30
25
20
15
10
5
0
2012 2013 2014 2015*
3. Pubblica amministrazione
3.1. Personale e formazione
3.3. Appalti e subappalti
3.5. Organizzazione e razionalizzazione
3.6. Aziende pubbliche e partecipate
3.7. Relazioni
tra amministrazioni e gestioni associate
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
amministrazioni e gestioni associate (10% nel 2012 e 22,9% nel 2015); si tratta a ogni modo di una voce eterogenea, ancora larga- mente presidiata da cenni e rimandi ai servi- zi associati sovracomunali – ma all’interno di accordi sui bilanci di previsione dei singo- li comuni – o degli stanziamenti di quote ca- pitarie per finanziare i consorzi territoriali dei servizi sociali. Più raramente gli accordi presentano una declinazione progettuale del tema, e cioè linee guida e orientamenti rivolti al rafforzamento e all’estensione delle gestioni associate o dei vincoli associativi tra comuni. Prevale quindi nei documenti un’a- zione ordinaria, rispetto a quanto già con- solidato, invece di un rilancio della gover- xxxxx e della riorganizzazione vera e pro- pria dei servizi. Peraltro, va segnalato che pur a fronte di una vasta platea di comuni i- taliani attualmente inclusi in strutture asso- ciative (Unioni di comuni), gli accordi con questi interlocutori sono decisamente po- chi: in parte per una ancora troppo limitata autonomia – e consistenza – dei bilanci del- le Unioni stesse; ma anche per la ritrosia dei
singoli comuni a determinare regole condi- vise ed omogenee per servizi ed erogazioni proprie, nei campi più vari: regolamenti Isee, contributi contro la povertà, detrazioni ed esenzioni dalla compartecipazione, iniziati- ve di inclusione lavorativa, contributi all’as- sociazionismo sociale e culturale, ecc.
La voce che traina la crescita dell’Area 3 nel 2015 è senza dubbio Appalti e subappalti (16,8% nel 2015, contro valori inferiori al 10% negli anni precedenti). Ciò riflette so- prattutto l’inserimento all’interno degli ac- cordi di clausole sociali per gli appalti, verifi- che di legalità e rispetto dei contratti collet- tivi; ma anche sperimentazioni che si con- nettono con gli interventi di inclusione so- ciale (priorità negli appalti alle aziende che inseriscono personale con voucher, segna- lato dai servizi sociali) e clausole in deroga alla normativa del Jobs act sui licenziamenti (Dlgs 23/2015) specie nel caso di cambio di appalto, e quindi di nuova assunzione del personale precedentemente occupato at- traverso il cosiddetto contratto a tutele cre- scenti. Di certo sarà un campo che impe-
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 45
I TASCABILI
DI RASSEGNA
gnerà intensamente il sindacato nel 2016 e negli anni successivi, anche per le conse- guenze dell’introduzione del nuovo Codice degli appalti (Dlgs 50/2016 – Codice degli appalti pubblici e concessioni di lavori, ser- vizi e forniture).
Una presenza più limitata mostrano voci cruciali nei percorsi di ammodernamento della pubblica amministrazione: Politiche del personale e formazione (6,7%), Organiz- zazione e razionalizzazione (8,2%) e Aziende pubbliche e partecipate (4%). Questi sono temi di confronto che necessariamente a- vrebbero bisogno di sviluppare percorsi tec- nici e anche di contrattazione nei luoghi di lavoro, attraverso il coinvolgimento delle rappresentanze sindacali del lavoro pubbli- co (una partecipazione che i dati sulle parti coinvolte hanno segnalato come assai defi- citaria).
AREA 4. Politiche di bilancio
Nel complesso, l’area delle Politiche di bi- lancio riflette la natura profonda della con- trattazione sociale e il suo legame con la ne- goziazione intorno ai bilanci di previsione dei comuni. Nel dettaglio, tuttavia, va evi- denziato che la percentuale di accordi sigla- ti sotto questa tematica sia passata negli an- ni più recenti da circa l’80% a circa il 60% de- gli accordi. Solo in parte ciò è dovuto all’au- mento – assai contenuto – di accordi su te- matiche specifiche o a livelli sovracomunali. Emerge piuttosto una tendenza a conclude- re accordi meno ampi e diversificati delle di- verse aree che attengono alle politiche so- ciali locali, configurando quindi intese mira- te a questioni di emergenza o di particolare rilievo (vd. tasse e tributi locali). È assai me- no praticato un approccio complessivo al confronto sulla struttura del bilancio per ciò che concerne la spesa sociale e il suo finan- ziamento. Questo si deve anche alla presa
d’atto che i tempi delle intese sui bilanci, an- che quando sono nominalmente definite tali nei titoli degli accordi, si collocano sem- pre più in là nel corso dell’anno, in periodi nei quali le principali scelte delle ammini- strazioni sono state già compiute in autono- mia rispetto al confronto negoziale.
Va anche sottolineato che il confronto sui bilanci solo marginalmente si applica ad ac- cordi più ampi, che tengano conto dell’inte- ro mandato amministrativo o che abbiano una cornice pluriennale. E peraltro il con- fronto organico sui consuntivi è altrettanto rarefatto.
AREA 5. Politiche socio-sanitarie e assistenziali
Le Politiche socio-sanitarie e assistenziali rappresentano il cuore, insieme a quelle fi- scali tributarie e tariffarie, della contratta- zione sociale territoriale. Nel complesso, es- sa si attesta negli anni più recenti su valori compresi tra il 75% e l’80% degli accordi sot- toscritti (76,2% degli accordi 2015).
L’area 5 è decisamente vasta e raccoglie in- terventi variegati; per giunta, con essa ven- gono registrati sia gli interventi che consi- stono in servizi e prestazioni sia alcuni a- spetti dell’organizzazione, della program- mazione e della governance del sistema dei servizi sociali territoriali (vd. Grafico 24). Questo risulta rilevante specie confrontan- do i dati sulle Prestazioni e servizi (tra 55% e 60% nel periodo, 57,4% nel 2015) con i Mo- delli organizzativi e dell’offerta (tra 20% e 25%) e la Programmazione sociale, sanitaria, integrata (in calo dal 30% del 2012-2013 al 12,3% del 2015, sebbene con gli accordi lombardi sui Piani di zona si raggiunga il 20%). Prestazioni e servizi sono trattati negli accordi in termini di conferma, estensione al margine dell’offerta, regolazione dei mec- canismi di compartecipazione. Assai limitati
46 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
GRAF. 24 ◆ AREA 5 - POLITICHE SOCIO-SANITARIE ED ASSISTENZIALI
TEMATICHE DI SECONDO LIVELLO (ACCORDI, 2012-2015*)
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
2012 2013 2014 2015*
5. Politiche socio- sanitarie e assistenziali
5.1. Programmazione servizi e prestazioni*
5.2. Modelli organizzativi e dell’offerta
5.3. Prestazioni e servizi
5.4. Interventi
di contrasto alla povertà
5.5. Non autosufficienza
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
gli interventi sulle strutture e sulla gover- xxxxx (appalti, gestione diretta, concessio- ne, ecc.). Scarso è il coinvolgimento di altri enti, per quanto appaiano fondazioni terri- toriali ed enti del Terzo settore a proposito dei servizi integrativi. Rispetto ai Modelli or- ganizzativi e dell’offerta, si registra un anda- mento altalenante specie riguardo gli ele- menti di maggiore qualità: Carte dei servizi, sportelli sociali, meccanismi di accredita- mento e affidamento delle prestazioni.
Il peso complessivo dell’Area 5 è sostenuto sempre più dagli Interventi di contrasto del- la povertà: 50,1% degli accordi del 2015. In- terventi su cui l’attenzione da prestare è massima: sia per la criticità della questione sociale sottostante sia per le intersezioni con le politiche attive e di inclusione lavora- tiva. Non va trascurato, inoltre, che sebbene dal punto di vista analitico tali interventi sia- no inseriti nell’area delle politiche sociali in senso stretto, ma sul terreno molte iniziati- ve concrete risultano non integrate nella struttura dei servizi. Sullo sfondo appare so-
prattutto la mancanza di una politica nazio- nale, ma anche l’assenza di un dispositivo stabile del contrasto della povertà a livello territoriale – che pure sta certamente sti- molando alcune sperimentazioni, specie va- lorizzando la sussidiarietà degli attori orga- nizzati e associativi del territorio –. Permane l’impressione di iniziative fortemente diso- mogenee e, nella scarsa integrazione tra promozione sociale, inclusione e sostegno, esse paiono ripiegare sull’assistenzialismo di stampo caritativo, con pericolosi scivola- menti verso la stigmatizzazione stessa dei poveri, chiamati a legittimare la richiesta di assistenza che sfuma da diritto soggettivo a contropartita di servizi per la collettività o inserimento in percorsi di workfare. Occorre sottolineare che la stabilità apparente del- l’Area 5 è sostenuta proprio dal maggior “movimento” che avviene nei campi del contrasto alla povertà; tutto ciò, a parte gli interventi gestiti attraverso la presa in carico dei servizi sociali, solitamente non risulta in- tegrato nel sistema dei servizi.
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 47
I TASCABILI
DI RASSEGNA
GRAF. 25 ◆ AREA 5 - POLITICHE SOCIO-SANITARIE ED ASSISTENZIALI
PRESTAZIONI E SERVIZI (ACCORDI, 2012-2015*)
70
60
50
40
30
20
10
0
2012
2013
2014
2015*
5.3. Prestazioni e servizi
5.3.1. Residenziali
5.3.2. Semiresidenziali
5.3.3. Domiciliari
5.3.4. Territoriali
5.3.5. Accoglienza ed emergenza
5.3.6. Prevenzione e promozione della
salute e del benessere
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
Uno sguardo al dettaglio delle voci presenti nell’area Prestazioni e servizi consente alcu- ne valutazioni più mirate (vd. Grafico 25). Anzitutto, la tipologia più presente negli ac- cordi è quella dei Servizi domiciliari, che nel 2015 vede un calo sensibile (dal 41%-43% degli anni 2012-2014 al 36% del 2015), e u- na trattazione prevalente sui temi della compartecipazione. I servizi residenziali scendono al 22,4%, ma al di là dei movimen- ti percentuali l’elemento caratterizzante più diffuso fa riferimento alle incertezze di so- stenibilità finanziaria per gli enti locali in se- guito all’introduzione del nuovo Isee. La cre- scita delle voci Servizi territoriali (29,3%) e semiresidenziali (12,2%) riflette anche una certa vivacità delle iniziative locali: da una parte nell’orientamento di molti territori verso la medicina di prossimità, di interven- to, dalla dimensione articolata e integrata (Case della salute, laboratori, ambulatori territoriali, sperimentazioni con i medici di medicina generale, ecc.); dall’altra nell’inve- stimento specie a livello di ambiti sociali per
l’apertura di Centri diurni rivolti a disabili. Il tema della prevenzione, per quanto in calo nel 2015 (6,9%) è un campo promettente della contrattazione, specie laddove coin- volge sia i servizi del territorio sia il tessuto sociale e associativo: progetti di salute in ot- tica di genere, contributi per odontoiatria “solidale”, corsi e informazioni su alimenta- zione e benessere.
L’osservazione più dettagliata degli Inter- venti di contrasto della povertà (nel com- plesso, il 50,1% degli accordi) presenta una fisionomia duale: da una parte la consisten- za dei Contributi economici (27,2%) sia di- retti sia indiretti, attraverso i contributi per individui e famiglie in difficoltà presi in cari- co dai servizi sociali (nelle esperienze più strutturate in base a bandi specifici) o me- diante l’esenzione dalla compartecipazione ai costi e l’accesso agevolato ai servizi. Dal- l’altra la crescente componente dei Contri- buti in servizi o beni di prima necessità (25,1%), mentre sono marginali gli Interven- ti promozionali e per l’inclusione sociale
48 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
GRAF. 26 ◆ AREA 5 - POLITICHE SOCIO-SANITARIE ED ASSISTENZIALI
CONTRASTO ALLA POVERTÀ (ACCORDI, 2012-2015*)
60 5.4. Interventi
di contrasto alla povertà
50 5.4.2. Contributi
economici una tantum
40
30
20
10
0
2012 2013 2014 2015*
5.4.3. Contributi in servizi o beni
di prima necessità
5.4.4. Interventi promozionali
e per l’inclusione sociale
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
(4,5%). La crescita del sostegno di base e di prima necessità (carte acquisto, vestiario, distribuzione alimenti, ticket service per i farmaci, “rigenerazione” dei pasti non con- sumati nelle mense scolastiche, in alcune zone montane anche contributi per legna da ardere, ma anche accordi con la piccola distribuzione per il calmieramento o agevo- lazioni sui prezzi) non accentua solo il carat- tere emergenziale e assistenziale degli inter- venti contro la povertà, ma introduce una separazione tra il campo delle azioni strut- turali, inserite nel sistema dei servizi, della bandistica, dei regolamenti e dell’applica- zione dell’Isee e quello delle iniziative d’assi- stenza, spesso curate in proprio dal campo associativo e dal volontariato sociale (spes- so solo riconosciute, e non co-progettate con le amministrazioni). In entrambi i casi è cruciale il sistema di finanziamento delle ini- ziative: solo in poche esperienze si è tentato il coinvolgimento di fondazioni bancarie e altri enti nella creazione di fondi sociali o di solidarietà integrati con le iniziative istitu-
zionali delle amministrazioni; l’uso di risorse proprie comunali per il contrasto della po- vertà resta complesso, segnalato da alcune iniziative sostanzialmente simboliche: il ri- corso al 5 per mille delle amministrazioni, la riduzione delle indennità di carica a favore degli interventi sociali.
AREA 6. Politiche del lavoro e dello sviluppo
Per quanto le competenze degli enti locali prevalentemente impegnati nella contratta- zione sociale non prevedano ampi strumen- ti di intervento, le Politiche del lavoro e del- lo sviluppo – nella loro declinazione locale e sociale – vedono una presenza rilevante nei percorsi negoziali. Il suo peso complessivo risulta in crescita nel periodo 2012-2015 (da 45,7% al 53,4%, vd. Grafico 27), frutto di diversi andamenti e ricomposizioni delle vo- ci interne. Restano marginali gli accordi di sviluppo locale (Accordi di area e pianifica- zione, tra 2,5% e 5% nel periodo), per quanto in alcune aree del Nord siano maggiormen-
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 49
I TASCABILI
DI RASSEGNA
te diffusi anche con il coinvolgimento delle associazioni datoriali, delle fondazioni di o- rigine bancaria, delle associazioni del terri- torio. Tuttavia, ancora più rara risulta in tali accordi la ripartizione effettiva dei compiti e degli obiettivi di ciascuna delle parti coin- volte, in un’ottica di vero e proprio accordo di programma.
Il sostegno diretto alle imprese registra valo- ri leggermente superiori (tra circa 4,5% e 6,5%), ma si concentra su una dimensione più ristretta – spesso quella comunale – limi- tandosi ad alcuni interventi per contributi al- le imprese o agevolazioni fiscali e tributarie, anche in relazione all’adesione delle imprese stesse a piani di inserimento lavorativo.
I due gruppi di voci più significativi all’inter- no dell’Area 6 sono le Azioni per la qualifica- zione e inserimento lavorativo (29,6%)e la Protezione sociale e del reddito (19,8%), che mostrano un’inversione dei rispettivi pesi a partire dal 2014. Le iniziative di Tutela del la- voro (15% nel 2015) risultano in costante crescita nel periodo, in particolare grazie al-
la diffusione di accordi sulla regolazione de- gli appalti pubblici.Osservando in maggiore dettaglio le singole voci tematiche (vd. Gra- fico 28), anzitutto emerge come il campo delle Azioni per la qualificazione e inseri- mento lavorativo (voce 6.4) sia sostenuto soprattutto dagli interventi di Inserimento lavorativo (raddoppiati in quattro anni: dal 10-13% al 22,2% del 2015) mentre risulta ca- rente, quantomeno a livello comunale, il raccordo con i servizi per l’impiego (4,5%) e con i progetti di formazione continua/pro- fessionale (2,7%).
Al di là di buone pratiche occasionali, ad e-
sempio con il coinvolgimento delle scuole professionali del territorio, non vi è integra- zione tra queste fasi e dimensioni dell’inseri- mento lavorativo, il quale pare orientarsi verso un legame sempre più stretto con gli interventi di contrasto della povertà. Difatti, sotto la voce Progetti di inserimento socio- lavorativo appaiono iniziative assai varie con caratteri altrettanto diversificati: per moda- lità di inserimento (borse lavoro, cantieri di
GRAF. 27 ◆ AREA 6 - POLITICHE DEL LAVORO E DELLO SVILUPPO (ACCORDI, 2012-2015*)
60
50
40
30
20
10
0
2012 2013 2014 2015*
6. Politiche del lavoro e dello sviluppo
6.1. Accordi di area e pianificazione interventi
6.3. Sostegno ad aziende e creazione di impresa
6.4. Azioni per la qualificazione
e inserimento lavorativo
6.5. Tutela del lavoro
6.6. Protezione sociale e del reddito
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
50 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
lavoro, ecc.), per beneficiari (disoccupati, i- noccupati, lavoratori in mobilità, incapienti, precari, ecc.), per criteri di accesso (utilizzo dell’Isee, o meno), per coinvolgimento del Terzo settore nella selezione o nel tutorag- gio delle persone inserite, per sostegno di- retto o indiretto alle imprese (nel caso di in- serimenti lavorativi nel settore privato), pre- senza o assenza di controprestazioni (la co- stituzione di leve civiche, con un ibrido tra volontariato e lavori socialmente utili), pos- sibilità di integrazione e formazione, coin- volgimento degli uffici comunali dei servizi per il lavoro, sostanziale assenza di relazioni con i servizi per l’impiego. Tutto questo sen- za considerare l’estrema varietà delle moda- lità di riconoscimento economico e di paga- mento di fatto: voucher Inps, rimborsi, con- tratti a termine.
Xxxxx voce specifica di particolare rilievo è
quella relativa alle misure di Sostegno al reddito (17,1%), sotto la quale appaiono i molteplici “Fondi anticrisi” costituiti dalle
amministrazioni locali a partire soprattutto dal 2009-2010. Nonostante la definizione sia ormai invalsa nell’uso degli accordi e del- le iniziative delle amministrazioni, molto di frequente tali fondi si configurano come meri stanziamenti annuali e mancano di u- na dimensione strutturale. Naturalmente vi sono delle eccezioni, peraltro arricchite da articolazioni ulteriori dei fondi a seconda degli obiettivi (casa, educazione, inclusione sociale, crisi occupazionali, ecc.) e da un am- piamento dei soggetti beneficiari (in princi- pio più centrati sulle figure in crisi ma dota- te ancora di una posizione occupazionale, per quanto fragile: lavoratori in mobilità, Cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria, o che avevano subito riduzio- ni di orario e salario).
Nei casi più interessanti, alle erogazioni dei
fondi sono connessi piani personalizzati a cura dei servizi sociali o di specifici gruppi di lavoro anticrisi che tengono in conto altre eventuali agevolazioni (per l’accesso agevo-
GRAF. 28 ◆ AREA 6 - POLITICHE DEL LAVORO E DELLO SVILUPPO
VOCI DI TERZO LIVELLO (ACCORDI, 2012-2015*)
30
25
20
15
10
5
0
2012 2013 2014 2015*
6.4.1. Sportello lavoro/ servizi per l’impiego
6.4.2. Formazione continua/professionale
6.4.3. Progetti di inserimento socio-lavorativo
6.5.1. Contrasto lavoro nero e irregolare
6.6.2. Sostegno al reddito
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 51
I TASCABILI
DI RASSEGNA
lato ai servizi e al pagamento di tasse, tariffe e tributi locali). Va sottolineato che il calo di questa voce va di pari passo all’aumento dei progetti di inserimento lavorativo e delle misure strettamente anti-povertà, segna- lando uno scivolamento da politiche locali di attenuazione e sostegno temporaneo alle situazioni di crisi occupazionale a iniziative di contrasto della sempre più strutturata e consolidata area delle povertà.
Queste scelte comportano naturalmente un travaso di risorse, in un gioco spesso a somma zero che fa i conti principalmente con i limiti di bilancio degli enti locali. In questo modo l’emergenza povertà corre il rischio di erodere quel set di strumenti che hanno configurato di fatto una sorta “am- mortizzatore sociale municipale” che l’in- ventiva della contrattazione sociale aveva concepito nel periodo iniziale della crisi: mediante “fondi sociali” e “anticrisi” che ga- rantivano un sostegno integrato al reddito anche mediante esenzioni e contributi per l’affitto o per i servizi pubblici locali e quelli sociali in senso stretto.
AREA 7. Politica locale dei redditi e delle entrate
L’area Politica locale dei redditi e delle en- trate rappresenta, insieme alle politiche so- ciali, uno dei campi di intervento maggior- mente trattati nella contrattazione sociale. La sua posizione complessiva è difatti pre- valente, e si attesta nel periodo 2012-2015 tra 80% e 85% degli accordi (vd. Grafico 29). La parte più consistente delle voci dell’Area 7 è rappresentata dalle Imposte e tasse locali (71,4% nel 2015), e ciò non sorprende se si pone attenzione, da una parte, alla situazio- ne critica delle finanze locali e del bisogno di diversi gruppi sociali di vedere alleggerito il proprio carico fiscale; ma anche, dall’altra, se si considera la necessità di continuo adatta-
mento degli schemi di fiscalità locale ai re- pentini cambiamenti della normativa nazio- nale, specie in relazione alle tasse sulle abita- zioni e alle tariffe sui rifiuti urbani.
Le due curve a cui corrisponde l’andamento della regolazione e dell’utilizzo dell’Isee e la voce Compartecipazione ai costi del welfare hanno uno sviluppo sostanzialmente analo- go nel periodo, pur tra crescita e diminuzio- ne (toccano, rispettivamente, il 60,6% e il 51,4% degli accordi 2015). Ciò segnala, in via generale, una affermata generalizzazione dell’Isee quale strumento di accesso agevo- lato e diversificato a un ampio spettro di servizi comunali e del territorio: dal campo socio-sanitario a quello dei servizi per l’in- fanzia. Un andamento analogo, almeno ne- gli anni più recenti, si riscontra per il gruppo di voci Tariffe servizi pubblici (64,% degli ac- cordi 2015); in parte l’analogia è spiegata da fattori contingenti, ovvero dalla pressione tariffaria e da aumenti dei costi dei servizi di igiene urbana oltre che dal passaggio alla Ta- ri. Allo stesso tempo, si segnala come la stes- sa tariffa dei rifiuti rientri sempre più nel campo dell’utilizzo dell’Isee per eventuali ri- duzioni, esenzioni, restituzioni, mentre ri- mane ancora marginale nel caso dell’appli- cazione – estensiva, per certi versi, rispetto alle intenzioni della norma – a provvedi- menti simili riguardanti la modulazione del- l’Irpef locale e della (ormai ex) Xxxx.
Da segnalare una nuova voce per l’analisi
della contrattazione del 2015, in virtù della normativa introdotta con il cosiddetto de- creto Sblocca Italia, convertito in Legge 164 del 2014: il Baratto amministrativo (2,2% degli accordi 2015, per un totale di 14 do- cumenti). L’ampiezza e le modalità del prov- vedimento sono ancora incerte, anche in se- guito alle indicazioni fornite dalla Corte dei conti dell’Xxxxxx Xxxxxxx che ha stabilito che il “baratto” (attività di pubblica utilità
52 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
per abbattere o annullare contributi fisca- li/tariffari dei cittadini in difficoltà) non pos- sa riguardare debiti pregressi, altrimenti configurando danno erariale per le ammini- strazioni che dovessero precedere in tal senso, e dovrebbe invece concentrarsi su at- tività congruenti con il beneficio rivolto ai cittadini (es. Tari e attività di igiene urbana o manutenzione del verde, ecc.). Al di là delle questioni giuridiche e procedurali, l’even- tuale adozione del baratto amministrativo non risulta necessariamente integrata con il sistema di agevolazioni ed esenzioni pre- senti nei regolamenti dei comuni. A rigore, un sistema progressivo e ispirato al soste- gno dei cittadini in difficoltà non dovrebbe produrre la necessità di un ulteriore provve- dimento, quale il baratto amministrativo, che rappresenta un ibrido – poco integrato
– tra tali misure e una spinta al contributo
dei cittadini alla cura e alla gestione dei beni comuni mediante il volontariato civico.
Il dettaglio delle singole voci vede anzitutto la preminenza dei temi fiscali (vd. Grafico 30), con l’addizionale Irpef (53,6%) che so-
pravanza la trattazione della Tasi (52,3%) e dell’Imu (46,6%), quest’ultima in calo nella contrattazione sociale anche per le implica- zioni residuali dovute all’esclusione dell’abi- tazione principale. Tuttavia, in alcuni comu- ni i regolamenti Imu hanno introdotto ali- quote di vantaggio per alcune tipologie di abitazioni concesse in affitto a canone con- cordato, o comunque secondo i criteri degli accordi territoriali per la locazione. Per quanto riguarda Tasi e addizionale Irpef, gli interventi in genere confermano i valori (già spesso vicini ai massimi consentiti dalla nor- mativa), lavorando sul sistema di detrazioni
– differenziato per rendite catastali, nel caso
della Tasi –, restituzioni con la costituzione di fondi specifici, e una regolazione dell’Ir- pef locale in base a principi di progressività, istituendo fasce con aliquote differenziate e soglie di esenzione (in base al reddito impo- nibile, ma anche in base a Isee). Da segnala- re che questi interventi risultano contrattati soprattutto nei piccoli comuni, specialmen- te la progressività dell’Irpef locale.
Rispetto alla compartecipazione ai costi del
GRAF.29 ◆ AREA7- POLITICALOCALEDEIREDDITIEDELLEENTRATE (ACCORDI,2012-2015*)
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70
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2012 2013 2014 2015*
7. Politica locale dei redditi
e delle entrate
7.1. Isee
7.2. Compartecipazione costi welfare
7.3. Tariffe servizi pubblici
7.4. Imposte e tasse locali
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 53
I TASCABILI
DI RASSEGNA
welfare, l’elemento principale è rappresen- tato dalle Rette servizi pubblici, un campo in crescita (37,6% nel 2015) e per certi versi in tensione, soprattutto per quanto riguar- da i riflessi dell’applicazione del nuovo Isee ai servizi residenziali e domiciliari, mentre per i servizi per l’infanzia e quelli scolastici si mantengono in genere i livelli di comparte- cipazione.
Per quanto riguarda le tariffe dei servizi pub- blici, la trattazione di quelle dei Rifiuti balza dal 32,4% del 2014 al 51% del 2015. Oltre le pure e semplici conferme delle tariffe già ap- plicate, una quota rilevante dei casi segnala l’aumento delle tariffe, su cui si applica la maggiore tensione finanziaria delle ammini- strazioni locali, ormai giunte in molti casi ai tetti massimi di imposizione per quanto ri- guarda Irpef e tassazione sulla casa. Peraltro, la trattazione della Tari, anche quando pre- vede sistemi di modulazione sociale della ta- riffa, restituzioni o detrazioni in base a Isee, raramente è connessa a interventi di effi-
cienza del sistema della raccolta, smaltimen- to e differenziazione dei rifiuti urbani, anche in vista di eventuali diminuzioni delle tariffe. Altre voce presente nel campo delle tariffe è quella relativa alle Utenze domestiche (19,4%), entro cui si segnalano sia il sostegno informativo e procedurale delle amministra- zioni per la concessione dei bonus gas ed e- nergia, sia contributi in ottica di contrasto della povertà per il pagamento delle bollette di acqua, gas, energia elettrica.
Per quanto riguarda le misure di Contrasto dell’evasione fiscale, dopo il boom di alcuni anni fa (42,6% degli accordi 2012), dovuto alla prima ondata di Xxxxx xxxxxxxxxxxx), i va- lori hanno teso a stabilizzarsi intorno al 32%- 36%, non tanto per una diminuzione dell’in- teresse per l’azione antievasione quanto per una sua entrata a regime. Tuttavia, sono an- cora pochi gli accordi che condividono in sede negoziale il resoconto delle risorse re- cuperate o che ne vincolano le somme per fini sociali, di sostegno al welfare locale e di
GRAF. 30 ◆ AREA 7 - POLITICA LOCALE DEI REDDITI E DELLE ENTRATE
VOCI DI TERZO LIVELLO (ACCORDI, 2012-2015*)
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0
2012 2013 2014 2015*
7.2.1. Rette servizi pubblici
7.3.1. Rifiuti
7.3.2. Utenze domestiche
7.4.1. Contrasto evasione fiscale e tributaria
7.4.2. Addizionali Irpef
7.4.3. Imu
7.4.5. Tasi
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
54 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
riduzione della tassazione per i redditi più bassi. Nella concreta articolazione dei testi di accordo, pochi documenti forniscono un rendiconto delle attività, dei servizi e dei da- ti finanziari del bilancio comunale; ancora più rari risultano i riferimenti all’accerta- mento e alla riscossione delle imposte e dei tributi evasi, generalmente fuori dal con- fronto con le organizzazioni sindacali.
AREA 8. Azioni di contrasto
delle discriminazioni e pari opportunità L’Area relativa alle Azioni di contrasto delle discriminazioni e pari opportunità risulta stabilmente ai margini degli accordi di con- trattazione sociale (tra il 10% e il 13% nel pe- riodo, vd. Grafico 31) e questo probabilmen- te a prescindere dalla loro diffusione nelle i- niziative delle amministrazioni. Questo non rappresenta un dato desumibile dagli accor- di, anche se in alcuni resoconti presenti nella premessa dei documenti le amministrazioni enumerano iniziative del genere, poi non af-
frontate nel confronto negoziale. Osservan- do le piattaforme negoziali – tra le poche di- sponibili tra i documenti dell’Osservatorio – tali temi risultano ugualmente marginali, e pertanto non sorprende il loro scarso peso a valle dei confronti negoziali.
Le percentuali delle voci specifiche dell’Area 8 illustrano di riflesso la posizione seconda- ria occupata dei destinatari Donne e Immi- grati. La voce Pari opportunità e integrazio- ne non raccoglie nel 2015 più del 7,7% degli accordi, e a essa si riferiscono soprattutto i- niziative di sostegno scolastico degli stu- denti di origine straniera, sportelli informa- tivi per facilitare l’accesso ai servizi comuna- li, iniziative culturali in prospettiva intercul- turale. Da segnalare alcuni accordi specifici, specie in alcuni comuni capoluogo ma an- che di livello intercomunale, che coinvolgo- no enti locali, amministrazioni dello Stato e associazioni nel sostegno a rifugiati e richie- denti asilo, offrendo soluzioni abitative, di socializzazione e anche organizzando il loro
GRAF. 31 ◆ AREA 8 - AZIONI DI CONTRASTO DELLE DISCRIMINAZIONI
E PARI OPPORTUNITÀ (ACCORDI, 2012-2015*)
14
8. Contrasto
12 discriminazioni
e pari opportunità
10
8.1. Pari opportunità
8 e integrazione
6
4
2
0
2012 2013 2014 2015*
8.3. Azioni contro razzismo/xenofobia
8.6. Contrasto della violenza
su donne e minori
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 55
I TASCABILI
DI RASSEGNA
contributo a interventi volontari di cura del territorio. Se questo si configura in pochi ca- si a livello intercomunale o di comune ca- poluogo, diversi piccoli centri hanno co- munque adottato misure di solidarietà e so- stegno a rifugiati e richiedenti asilo.
Sempre nel campo delle pari opportunità e integrazione sono rari i progetti rivolti alla popolazione femminile o ai minori, per quanto con una diffusione non omogena si segnalino convenzioni con associazioni e professionisti per consulenza legale in caso di separazione o divorzio, sportelli di media- zione famigliare, progetti e laboratori con le scuole per affrontare i temi degli stereotipi di genere e di educazione all’affettività, con- venzioni con associazioni e centri antivio- lenza. Questi ultimi aspetti si ritrovano an- che nella voce Contrasto della violenza su donne e minori (3,5% nel 2015).
Va rimarcato un aspetto già sottolineato nel
paragrafo sui destinatari della contrattazio- ne sociale, e cioè la settorialità e la scarsa trasversalità delle politiche rivolte a sogget-
ti specifici. Spesso si tratta della conferma di binomi tradizionali e non articolati in forme nuove (immigrati-integrazione, donne-vio- lenza di genere, giovani-disagio), i quali per quanto basati sulla realtà non tengono in conto le opportunità offerte della contrat- tazione sociale nel momento in cui affron- tasse i servizi sociali, le politiche fiscali, quel- le abitative ecc. anche sotto l’aspetto dei bi- sogni specifici di particolari gruppi di popo- lazione. Ad esempio proponendo progetti di pari opportunità e integrazione in senso trasversale, nel campo della formazione, dell’inserimento lavorativo, ecc.
AREA 9. Politiche abitative e del territorio
Il campo delle Politiche abitative e del terri- torio è un’area piuttosto variegata degli in- terventi affrontati dalla contrattazione so- ciale. In particolare, essa coniuga aspetti di tipo strutturale e territoriale in senso stret- to, che ovviamente rispondono ai vincoli degli investimenti imposti dal patto di stabi- lità interno, alle politiche ambientali realiz-
GRAF. 32 ◆ AREA 9 - POLITICHE ABITATIVE E DEL TERRITORIO (ACCORDI, 2012-2015*)
70
9. Politiche abitative
60 e del territorio
50
9.1. Pianificazione
40 e gestione del territorio
30 9.2. Politiche ambientali
20
10
0
2012 2013 2014 2015*
9.3. Politiche per la casa e condizione abitativa
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
56 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
zate dalle amministrazioni locali, fino ai te- mi delle politiche abitative in senso stretto fortemente connesse con i bisogni e le criti- cità prodotte dalla crisi economica in atto. L’area nel suo complesso risulta in crescita a partire dal 2013, segnando per l’anno passa- to una presenza del 59,4% negli accordi (vd. Grafico 32). Questa crescita è sostenuta so- prattutto dall’aumento delle Politiche per la casa e condizione abitativa in senso stretto (45,6% nel 2015). Più limitato il peso delle Politiche ambientali (19%) e della Panifica- zione e gestione del territorio (15,4%).
All’interno degli interventi territoriali in sen-
so stretto – investimenti, infrastrutture, cura del territorio – pare emergere una divarica- zione che incrocia le scelte delle ammini- strazioni e i vincoli di bilancio imposti dal patto di stabilità interno. Difatti, risultano al- talenanti o in contrazione i Programmi di in- frastrutturazione (3,4% nel 2015, vd. Grafico 33) sotto la cui voce compaiono gli investi- menti di maggior peso, ad esempio sulla re-
te viaria, sulla riqualificazione urbana, ecc.; mentre negli ultimi anni crescono gli inter- venti di recupero urbano e cura del territo- rio fino a toccare il 12,3%, investendo mag- giormente il campo delle “piccole opere”, in particolare la manutenzione ordinaria di strade ed edifici pubblici.
Nel campo delle Politiche ambientali, gli in- terventi sulla Mobilità urbana ed extraurba- na raggiungono il 9,3% degli accordi 2015. In verità si tratta di interventi al margine del sistema di trasporto pubblico urbano, e in genere in funzione di particolari bisogni so- ciali (facilitazione dei trasporti da e verso presidi sanitari, trasporto sociale, integrazio- ne delle linee di trasporto verso aree e fra- zioni non coperte dal trasporto pubblico). Solo marginalmente si segnalano interventi di carattere ambientale, come il sostegno al trasporto privato intermodale e la creazione di zone a traffico limitato, corsie preferen- ziali per i mezzi pubblici, ecc. Un punto inte- ressante sebbene limitato sono gli interven-
GRAF. 33 ◆ AREA 9 - POLITICHE ABITATIVE E DEL TERRITORIO - PIANIFICAZIONE
E GESTIONE DEL TERRITORIO E POLITICHE AMBIENTALI (ACCORDI,2012-2015*)
14
12
10
8
6
4
2
0
2012 2013 2014 2015*
9.1.2. Programmazione, recupero urbano
e cura del territorio
9.1.3. Programmi
di infrastrutturazione del territorio
9.2.1. Organizzazione servizi igiene urbana, raccolta differenziata e verde pubblico
9.2.2. Mobilità urbana ed extraurbana
9.2.3. Efficienza
e risparmio energetico e idrico
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 57
I TASCABILI
DI RASSEGNA
ti di Efficienza e risparmio energetico (7,2% nel 2015), per il quale si prevedono piccoli interventi per il miglioramento della soste- nibilità e dell’efficienza dei sistemi di illumi- nazione e degli edifici pubblici, anche attra- verso la ricontrattazione delle utenze con i fornitori di energia. Per quanto riguarda l’Organizzazione dei servizi di igiene urbana, raccolta differenziata e verde pubblico (5,8%) sorprende la limitata presenza negli accordi, specie alla luce della grande cresci- ta di interventi e misure prese a livello tarif- fario (vd. Area 7). In questo senso, non pare esservi una relazione tra la rivisitazione – an- che al rialzo – delle tariffe e le agevolazioni e misure di innovazione del sistema di gestio- ne del ciclo dei rifiuti, quanto meno sotto l’aspetto delle tematiche negoziate con il sindacato. L’altro polo delle politiche del territorio è rappresentato dalle Politiche per la casa e condizione abitativa che nel com- plesso si ritrovano nel 45,6% degli accordi 2015. Nello specifico delle singole voci, gli
Interventi sugli affitti raggiungono il 33,1% nel 2015 (vd. Grafico 34), in aumento ri- spetto agli anni precedenti. Vi si segnalano i contributi per l’affitto stabiliti dai comuni a integrazione delle risorse regionali, ma an- che i progetti specifici a sostegno della loca- zione attraverso la creazione di agenzie ter- ritoriali, fondi rotativi per favorire l’incontro domanda-offerta, garanzie per proprietari e locatari, la diffusione dei contratti di affitto agevolati. Pur risultando marginale il soste- gno all’acquisto della prima casa, si segnala la presenza di esperienze di contributi in “conto riscatto” con la previsione dell’acqui- sto della casa dopo alcuni anni di affitto.
La Programmazione dell’edilizia sociale
(12%) resta in una posizione defilata, e spes- so si configura nella messa a disposizione di limitate unità abitative, quindi nel campo del già costruito, o progetti episodici di housing sociale in particolare destinati agli anziani e disabili. L’Emergenza abitativa, dopo la cre- scita degli scorsi anni si mantiene al livello
GRAF. 34 ◆ AREA 9 - POLITICHE ABITATIVE E DEL TERRITORIO
POLITICHEPERLACASAECONDIZIONEABITATIVA (ACCORDI,2012-2015*)
40
35
30
25
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15
10
5
0
2012 2013 2014 2015*
9.3.1. Programmazione edilizia sociale
9.3.2. Risanamento alloggi
9.3.3. Graduazione sfratti ed emergenza abitativa
9.3.4. Interventi sugli affitti
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
58 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
del 9,4% degli accordi 2015; si tratta princi- palmente di offerta di abitazioni pubbliche, residence o altre soluzioni di emergenza per la transizione verso soluzioni abitative stabi- li per i soggetti più colpiti dalla crisi.
AREA 10. Politiche dell’infanzia,
per i giovani, educative e dell’istruzione L’Area delle Politiche dell’infanzia, per i gio- vani, educative e dell’istruzione ha raggiun- to nel 2015 una presenza nel 42,9% degli ac- cordi (vd. Grafico 35), in sostanziale costan- za sui valori del 2014. Rispetto alle voci spe- cifiche, emerge la tenuta quantitativa e au- mento degli interventi sui nidi (19,8%), tra mantenimento o limitata estensione quan- titativa dell’offerta, e articolazione (spesso in aumento) della compartecipazione ai co- sti. È ormai consolidato il ricorso all’Isee per la determinazione della fasciazione e delle rette dei nidi; in linea generale si prevedono fasce determinate su valori proporzionali e non progressivi rispetto all’Isee, mentre so-
no spesso assenti soglie di esenzione totale. In aggiunta, la struttura delle fasce Isee per la compartecipazione alle rette dei nidi pre- vede soglie massime, e cioè che comporta- no il pagamento della tariffa piena, su valori intorno ai 40mila euro/Isee. I valori superio- ri, sebbene rappresentino una percentuale assai limitata della “popolazione Isee”, ven- gono in tal modo di frequente considerati alla stessa stregua di redditi e condizioni pa- trimoniali corrispondenti al ceto medio. I- noltre, negli interventi di contrattazione so- ciale – specie nei piccoli comuni – si precisa- no anche differenziazioni tra residenti, non residenti, comuni convenzionati e non; una questione che pone sotto un aspetto speci- fico la necessità di una maggiore integrazio- ne dei servizi a livello intercomunale, in una fase di stagnazione della governance delle Unioni di comuni e delle loro prerogative o- perative, specie in rapporto all’integrazione tra i servizi di ambito sociale o di associazio- nismo comunale.
GRAF. 35 ◆ AREA 10 - POLITICHE DELL’INFANZIA, PER I GIOVANI,
EDUCATIVE E DELL’ISTRUZIONE (ACCORDI,2012-2015*)
50
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0
2012 2013 2014 2015*
10. Politiche infanzia, giovani, educative
e dell’istruzione
10.1. Asili nido
10.2. Scuole d’infanzia
10.3. Scuola primaria e medie
10.5. Diritto allo studio
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 59
I TASCABILI
DI RASSEGNA
GRAF. 36 ◆ AREA 10 - POLITICHE DELL’INFANZIA, PER I GIOVANI, EDUCATIVE
E DELL’ISTRUZIONE - VOCI DI TERZO LIVELLO (ACCORDI,2012-2015*)
25
10.5.1. Pre e post-scuola
20 10.5.2. Mense
e trasporti
15 10.2. Scuole d’infanzia
10 10.5.3. Integrazione
5
0
2012 2013 2014 2015*
10.5.4. Convenzioni e agevolazioni
per gli studenti
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
Invece sono in leggero regresso gli interven- ti riguardanti scuole dell’infanzia (10,1%), ma in ogni caso compresi tra 10% e 12% nel corso del periodo 2012-2015. Ci si riferisce quasi esclusivamente ai contributi per le spese di mensa e trasporti, mentre è margi- nale l’intervento sulla gestione, l’offerta di servizi, eventuali dispositivi di qualità e rela- zione con l’utenza. Ancora più limitati, e in parallelo con la caduta delle scuole dell’in- fanzia, gli interventi riguardanti la Scuola primaria e medie inferiori (7,1%). Laddove presenti, gli interventi si concentrano in mi- sura contenuta sull’estensione o la riorga- nizzazione degli istituti comprensivi, ma sempre in regime di risorse assai limitate (spesso richiamate negli accordi stessi). As- sai più limitati gli interventi di manutenzio- ne ordinaria o straordinaria, recupero delle strutture, efficienza energetica, ecc.
La voce preminente dell’Area 10, a ogni mo-
do, evidenzia quanto il cuore della contrat- tazione sul tema si soffermi sugli elementi
tariffari e di compartecipazione invece che su quelli di organizzazione e offerta dei ser- vizi. Difatti, la voce Diritto allo studio (che comprende le voci indicate nel Grafico 36) raggiunge nel 2015 il 31,7% degli accordi. Nello specifico, l’aumento del gruppo di vo- ci ricade principalmente proprio sul tema Mense e trasporti (21,9%) segnato da una generale tensione all’aumento delle tariffe. In leggero calo voci quantitativamente se- condarie: Integrazione (6,2%, specie lingui- stica rivolta ad alunni stranieri e per disabili, ma anche progetti educativi su ambiente, e- duzione di genere, ecc.) e Convenzioni e a- gevolazioni per studenti (2,2%, principal- mente borse di studio). L’elemento che spicca in rapporto all’anno precedente è il calo significativo di interventi su pre e post- scuola (dal 15,4% del 2014 al 10,6% del 2015), segno di difficoltà crescenti delle strutture scolastiche nell’offerta di servizi più ampi e rispondenti alle esigenze dei mi- nori e delle famiglie.
60 PARTE PRIMA ♦ La contrattazione sociaLe neL 2015: tra crisi economica, cambiamento...
GRAF. 37 ◆ AREA 10 - POLITICHE CULTURALI, DI SOCIALIZZAZIONE
E SICUREZZA (ACCORDI,2012-2015*)
45
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25
20
15
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5
0
2012 2013 2014 2015*
11. Politiche culturali, di socializzazione
e sicurezza
11.1. Promozione dell’offerta
e delle attività culturali
11.2. Iniziative
di socializzazione
11.3. Piani
per la sicurezza urbana, la vigilanza e i soccorsi
*documenti senza gli accordi di programma sui piani di zona lombardi
Fonte: dati Ocs, elaborazione Fdv
AREA 11. Politiche culturali, di socializzazione e sicurezza
L’Area delle Politiche culturali, di socializza- zione e sicurezza ha sempre mostrato un andamento altalenante, includendo iniziati- ve e servizi che più di altri non sono forte- mente integrati nelle strutture degli enti lo- cali e che quindi possono subire la sollecita- zione contingente a una riduzione delle ri- sorse disponibili. Peraltro, è anche rarefatta l’attitudine sindacale a considerare le politi- che culturali e di socializzazione come cen- trali nelle agende della contrattazione.
L’andamento nel corso del periodo oscilla quindi tra il 30% e il 40% circa degli accordi (vd. Grafico 37), e nel 2015 tocca il 33%. La componente più significativa è rappresen- tata dalle Iniziative di socializzazione (25,3%), in cui sono compresi principalmen- te contributi e offerta per centri sociali e di aggregazione, in genere rivolti a giovani e anziani, ma anche turismo sociale e promo- zione dello sport di base. Si tratta del grup-
po di voci più costanti nel periodo. I Piani per la sicurezza urbana sono invece presen- ti nel 9,9% degli accordi, e si concretizzano soprattutto in iniziative informative rivolte agli anziani, in genere per affrontare even- tuali tentativi di truffa nei loro confronti, ma anche in attività di rafforzamento della so- cialità e della vivibilità dei quartieri.
L’elemento che mostra le maggiori oscillazio- ni, probabilmente sottoposto più di altri al- l’aleatorietà delle scelte di bilancio, è rappre- sentato dalla Promozione dell’offerta cultu- rale e interculturale (9,6%). In questa voce vi sono iniziative per le strutture culturali pub- bliche, in particolare biblioteche, teatri, dan- za, ecc., ma anche iniziative interculturali che tuttavia rimangono ai margini dell’offerta complessiva, quantomeno di quella richia- mata dalle scelte amministrative presenti ne- gli accordi di contrattazione sociale.
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 61
I TASCABILI
DI RASSEGNA
PARTE SECONDA
INTERVENTI
Welfare aziendale,
weLfare pubbLico e contrattazione
♦
◆ WELFARE TERRITORIALE E WELFARE IN AZIENDA
XXX XXXXXX
Università Politecnica delle Marche
I
l Welfare italiano appare in grande affan- no rispetto alle sfide in atto e di fronte ai “nuovi rischi sociali” che ormai caratterizza- no tutti i grandi paesi capitalistici: reddito minimo e lotta alle povertà, disoccupazio- ne di lunga durata e precarizzazione del mercato del lavoro, conciliazione dei tempi di cura con i tempi di lavoro, transizione i- struzione-lavoro, long-term care, inclusione sociale degli stranieri, disagio abitativo. Allo stesso tempo vengono di fatto rimesse in discussione le filosofie universalistiche sulle quali si sono progettate e costruite le politi- che dell’istruzione e della sanità: è noto co- me la spesa sociale pubblica per questi due comparti, rapportata al Prodotto interno lordo, non figuri certo ai primi posti nella graduatoria europea. Tagliare il welfare pub- blico è stato (ed è ancora) un mantra che ha caratterizzato tuti i governi negli ultimi ven- ticinque anni (salvo, in parte, il primo gover-
no Prodi di fine secolo).
Una delle grandi novità nelle politiche è
stata la promozione per via legislativa di forme di welfare “privato”, collegate all’oc- cupazione, quelle che Titmuss oltre mezzo secolo fa definiva come “Welfare occupa- zionale”: le pensioni complementari e i fon- di sanitari integrativi. Differenti erano le fi- losofie ispiratrici dei due campi: nel primo caso si intendeva promuovere la nascita di un sistema “multipilastro” riducendo quin- di gli oneri per lo Stato, nel secondo, invece, si intendeva offrire un arricchimento delle prestazioni per la salute in aggiunta a quan- to garantito dal Servizio sanitario nazionale. Dopo oltre venti anni dalla nascita nel no- stro paese di quella tipologia di welfare oc- cupazionale (anche se alcuni fondi pensio- nistici, come è noto, esistevano anche pri- ma delle riforme dei primi anni novanta) possiamo tracciare un primo bilancio.
Il progetto di un “secondo pilastro” pensio-
xxxxxxx, basato cioè sulla possibilità di preve- dere un ulteriore livello di tutela, è a tutt’og- gi sostanzialmente fallito: appena un quarto circa del lavoro dipendente privato è iscritto ai Fondi pensionistici, meno del venti per cento sta effettivamente versando i propri contributi ai Fondi. Ha acquisito invece mag- giore importanza il terzo pilastro previden- ziale, individuale e di tipo sostanzialmente
62 PARTE SECONDA ♦ WeLfare aziendaLe, weLfare pubbLico e contrattazione
assicurativo. Molte sono le ragioni di tale fal- limento: ciò che in questa sede appare op- portuno sottolineare è comunque l’ulteriore dualizzazione creatasi nella società italiana e l’aumento delle disuguaglianze fra lavoratori del settore privato e quelli del settore pub- blico (sostanzialmente esclusi), fra occupati nelle grandi imprese e occupati nelle piccole e medie, fra lavoro alle dipendenze e lavoro autonomo, fra lavoro a tempo indetermina- to e lavoro a tempo determinato, fra Nord e Sud (notoriamente meno presidiato da inse- diamenti industriali).
Altro è invece il ragionamento da fare sui
Fondi sanitari (ex-integrativi): essi hanno co- nosciuto (e stanno conoscendo) un notevo- le successo e stanno riscuotendo un largo consenso fra i lavoratori. Il raggio d’azione dei Fondi ha mutato in gran parte l’origina- rio ruolo “integrativo”: le prestazioni garan- tite appaiono in larga parte “sostitutive” di quelle erogate dal Servizio sanitario nazio- nale e sono apprezzate sempre di più fra chi ne usufruisce. In tal modo si possono aggira- re le liste di attesa del sistema pubblico, aver accesso prontamente a visite specialistiche o a esami di laboratorio, ottenere rimborsi dei ticket, oltreché risposte ai bisogni esclu- si dal servizio pubblico e dai Lea, fra cui so- prattutto le cure odontoiatriche. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a forme private di welfare collegate con l’occupazio- ne, contrattate per lo più a livello nazionale- categoriale e aziendale, con rilevanti diffe- renze intercategoriali. Anche tale forma di welfare occupazionale dà luogo a processi che alimentano disuguaglianze fra le cate- gorie, fra le imprese grandi e le altre, fra la- voro privato e lavoro pubblico, fra lavoro stabile e lavoro precario, fra territori, soprat- tutto fra le regioni del Centro e del Nord e le altre del Mezzogiorno. C’è inoltre il pericolo che contribuisca a moltiplicare sfiducia e
scontento nei confronti del sistema pubbli- co di tutela e promozione della salute, spo- stando sempre più l’arco delle preferenze verso circuiti privati.
Il Welfare in azienda (laddove presente) si estende, come è noto, anche ad altri ambiti, dall’erogazione di prestiti agevolati, alla di- sponibilità di ulteriori forme di congedo ri- spetto alla normativa nazionale, dalle age- volazioni al consumo al sostegno al reddito, dalle borse di studio ai servizi di cura per l’infanzia, dalle prestazioni per affrontare la non autosufficienza fino al sostegno nell’ac- cesso all’abitazione. Si tratta di settori de- bolmente presidiati o non presidiati affatto dal Welfare pubblico: anche in questo caso occorre evidenziare l’incremento delle di- suguaglianze fra chi è dentro e chi è fuori. Il quadro che emerge dalla diffusione del Welfare occupazionale nel nostro paese, che inizia a presentarsi per altro anche in contesti di piccole e media impresa, mostra comunque una sostanziale debolezza nella risposta da fornire per affrontare i cosiddet-
ti nuovi rischi sociali. In assenza di un
profondo riorientamento delle politiche di welfare, che la letteratura definisce con il termine “ricalibratura”, una larghissima par- te delle problematiche sociali che caratte- rizzano una società post-industriale appare destinata a rimanere senza una efficace ri- sposta pubblica: ciò alimenta ulteriori pro- cessi di esclusione sociale ed una crescita ri- levante delle disuguaglianze sociali, comun- que le si voglia misurare. Recentemente in letteratura si è preferito parlare di “espulsio- ni” piuttosto che di “forme di esclusione”, a testimoniare una tendenza sistemica degli attuali sentieri di crescita economica.
Alla contrattazione sociale territoriale vie-
ne quindi affidata una missione molto im- pegnativa su un duplice versante: migliora- re l’efficacia delle azioni dei soggetti pub-
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 63
I TASCABILI
DI RASSEGNA
blici del welfare, da un lato, ed allargare l’a- rea delle tutele e delle risposte alle doman- de sociali, dall’altro. Contrattare con i sog- getti pubblici, principalmente Comuni, Re- gioni, Aziende sanitarie, politiche volte ad allargare e riorientare il raggio d’azione del welfare, con un approccio tendenzialmente universalistico; estendere ai territori deter- minate forme del welfare occupazionale, soprattutto nel campo dei servizi sanitari e socio-assistenziali: tutto ciò appare strate- gico in un’ottica di cittadinanza e ancor più necessario nelle aree del paese dove il wel- fare pubblico è più debole. Tale missione non può non vedere allo stesso tavolo sul versante sindacale le confederazioni, le ca- tegorie degli attivi e le organizzazioni dei pensionati; il quadro da costruire localmen- te, inoltre, non può non tenere conto dei soggetti del Terzo settore più rilevanti del territorio, con i quali andranno previsti op- portuni tipi di raccordo e di condivisione. Ciò che sembra emergere dal Rapporto sulla Contrattazione sociale territoriale rappresenta sicuramente un passo avanti rispetto al passato, sia rispetto al dato quantitativo, che rispetto al protagonismo della confederazione accanto al sindacato dei pensionati: tuttavia molto cammino re- sta da compiere se si intende portare avan- ti quella duplice missione. Ottenere la pre- senza al tavolo anche delle categorie ed e- stendere l’azione nelle aree più svantaggia- te del paese sembrerebbero le priorità nel- l’immediato: la maggior parte della con- trattazione sociale avviene in cinque regio- ni (Piemonte, Lombardia, Xxxxxx Xxxxxxx, Veneto e Toscana), le regioni e i comuni meridionali appaiono quasi totalmente e- stranei a tali processi. Tutto ciò rischia di approfondire ulteriormente i divari territo-
riali e di scavare un solco ancora più
profondo fra il Welfare del Nord e il Welfa-
re del Sud: il pessimo funzionamento del Servizio sanitario nazionale nel Mezzogior- no e la pressoché totale assenza di servizi socio-assistenziali richiederebbero invece in quella parte del paese uno sforzo straor- dinario da parte dei soggetti della rappre- sentanza sociale ed un confronto serrato con Comuni, Regioni ed Aziende sanitarie. In tale percorso appare ragionevole anche prevedere la possibile convergenza di sog- getti del terzo settore e di comparti della società civile non corrotta. L’alleanza con tali forze sociali rappresenta l’unica strada possibile per la costruzione di un ‘blocco sociale’ che possa contrapporsi efficace- mente alla area grigia che sta dietro al ma- laffare, alla corruzione, alla penetrazioni delle organizzazioni malavitose e di stam- po mafioso nei diversi settori del welfare, dall’erogazione di sussidi ed indennità fino alle prestazioni sanitarie e socio-assisten- ziali. L’evidenza dei fatti ha per altro dimo- strato come tale fenomenologia non sia u- na prerogativa delle sole regioni meridio- nali, anche se in quelle sedi appare mag- giormente radicata e consolidata.
Qualora si sviluppassero ulteriormente le
varie forme di welfare occupazionale in a- zienda e la contrattazione sociale territoria- le non riuscisse ad adempiere efficacemen- te alla sua missione strategica, in presenza di un welfare pubblico non “ricalibrato” ed in continua ritirata dai settori cruciali (sa- nità ed istruzione si tutti) è facile prevedere una spinta ulteriore verso un sistema di protezione sociale basato sempre meno sui diritti di cittadinanza e sempre più collega- to fortemente alla posizione ricoperta nel mercato del lavoro.
Un welfare sostanzialmente privato per le classi dirigenti, un welfare “all’americana” per i ceti medi e un “welfare povero” per i poveri.
64 PARTE SECONDA ♦ WeLfare aziendaLe, weLfare pubbLico e contrattazione
◆ NEGOZIAZIONE SOCIALE E CONCERTAZIONE AZIENDALE
SUL WELFARE. AZIONI SOFT
PER UNA SOCIETÀ E UN MONDO DEL LAVORO FRAGILI E FLUIDI
XXX XXXXXXX
Dipartimento di Scienze sociali e politiche, Università degli Studi di Milano
1.
In questa nota parleremo di negozia- zione sociale e di contrattazione/con- certazione del welfare aziendale. Due azioni diverse, accomunate però dal fatto di essere entrambe relativamente nuove nel reperto- rio delle forme di intervento sindacale, e an- cor più per essere, come cercheremo di dire, azioni soft per una società e un mondo del xx-
xxxx xxxxxxx x xxxxxx, xxxxxxxx xxx xxxxxxx.
Due azioni diverse, storicamente emerse co- me esito di dinamiche diverse, ma che oggi il sindacato vorrebbe si possano mettere in re- lazione, collegare tra loro virtuosamente. Ma è, quanto può essere, possibile? Prima di pro- vare a cercare delle risposte, è opportuno fa- re qualche riflessione su entrambe le moda- lità d’azione separatamente.
2. Non è il caso in questa sede di definire che cosa sia la negoziazione sociale. Alcune con- siderazioni sono tuttavia opportune. Una ri- guarda il termine stesso. In ambito sindacale
– specie in Cgil – se ne parla come di contrat- tazione. Ma è, può essere, contrattazione, nel senso pieno che il termine ha assunto nel tem- po, in particolare nel campo delle relazioni in- dustriali? Quando si pensa a contrattazione, si pensa a un processo per affrontare e cerca- re di risolvere un problema intorno a cui due parti si trovano obiettivamente divise in quan- to portatrici di interessi tanto o poco contra- stanti, se non contrapposti. Non a caso le due parti si percepiscono come “controparti”. Que- sto spiega la pratica, e una certa retorica, con-
flittuale che caratterizza sempre la contrat- tazione. Sappiamo che nei fatti, specie oggi, non è sempre necessario ricorrere aperta- mente al conflitto. Ma la contrattazione si svol- ge comunque all’ombra del conflitto: en- trambe le parti sanno bene che all’occorren- za potranno farvi ricorso, come effettivamente poi talvolta avviene.
Ma può essere così nel caso di confronti tra i sindacati (confederali, o comunque caratte- rizzati da un’ottica trasversale, generale, co- me quelli dei pensionati o del pubblico im- piego) e le amministrazioni locali, o altri in- terlocutori istituzionali, in vista della promo- zione di un welfare inclusivo e di equità e coe- sione sociale? Non è più opportuno utilizza- re il termine negoziazione? Negoziazione è termine più generale, che si può applicare a tutti i processi, impliciti o espliciti, in qualsia- si ambito delle relazioni sociali (da quelle in famiglia a quelle tra stati), in cui due o più at- tori di fronte a una risorsa scarsa cercano un accordo su come spartirla nel modo miglio- re, o comunque accettabile.
Questo richiamo terminologico serve per met-
tere in evidenza alcuni aspetti importanti che sono emersi in tutte le ricerche sulla nego- ziazione sociale e che si possono riassumere nella banale constatazione che essa non ri- sponde alle esperienze della tradizionale con- trattazione collettiva. È di meno, o forse di più. Come dicono bene, anche se spesso con un po’ di frustrazione, i sindacalisti che avevano in precedenza fatto contrattazione collettiva in azienda, o a livello di categoria, e che sono ora impegnati nella negoziazione sociale, qui la controparte è diversa (con essa ci si con- fronta, più che contrapporsi); qui il sindacato si sente un po’ inerme, debole, non dispone di armi adeguate con cui fare forti pressioni, per costringere l’altra parte alla trattativa, se non a un buon accordo, dal momento che non è in genere possibile mobilitare le persone per
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 65
I TASCABILI
DI RASSEGNA
cui negozia; né infine per lo più riesce a co- municare i risultati ottenuti che spesso ri- mangono sconosciuti non solo a quanti ne go- dranno, ma anche alle strutture del sindaca- to non direttamente coinvolte.
È tutto vero. Va tuttavia precisato che, più che la controparte, diversa qui è la tematica in- torno a cui ci si confronta – che non è più quel- la della retribuzione e del modo d’impiego del lavoro sul mercato, ma è quella di tema- tiche sociali che vanno oltre il conflitto di- stributivo e i luoghi di lavoro e che interessa- no vaste aree (potenzialmente tutte) di una popolazione locale, con particolare atten- zione (almeno in via di principio) alle fasce più deboli e meno capaci di tutelarsi da sé. E, ancor prima, diversa per il sindacato è la le- gittimazione ad agire in qualità di rappre- sentante: nel caso della negoziazione socia- le il sindacato (confederale, dei pensionati) potrà godere infatti di un riconoscimento ba- sato sulla conoscenza, l’esperienza e la capa- cità di agire di fatto nel sociale, facendosi por- tavoce dei bisogni dei gruppi sociali fragili, più che su una competenza di ruolo. Ciò si- gnifica anche che il sindacato qui non potrà a buon diritto ambire a un ruolo in esclusiva, come quando agisce in rappresentanza del lavoro dipendente, ma dovrà adattarsi ad agi- re in cooperazione con altri. Molto diverso infine è anche il processo entro cui potrà eser- citare la sua particolare funzione di rappre- sentanza, che è quello del procedimento am- ministrativo e del decision-making della po- litica locale, le cui dinamiche sfuggono alla sua possibilità di controllo.
Se il modello di riferimento è quello della con-
trattazione collettiva, non potranno che de- rivarne tensioni volontaristiche e un po’ vel- leitarie, oppure frustrazioni, delusioni. Eppu- re, molte sono le potenzialità di questo diverso modo di negoziare, se non si pretende di ri- condurlo nei parametri del modello contrat-
tuale consolidato: perché l’azione sindacale può allora concorrere a stimolare uno svilup- po locale più equo e un sistema di welfare più inclusivo e capace di coesione.
3.L’altro polo di questa riflessione è quello della contrattazione/concertazione del wel- fare aziendale. Preceduto da un dibattito dif- fuso sulla responsabilità sociale dell’impresa, da tempo questo tema è divenuto uno di quel- li più presenti nelle riflessioni sulle prospetti- ve nuove delle relazioni industriali. Spesso la sua presenza è interpretata come indicatore di relazioni buone, ragionevoli, improntate a un sano realismo che avvantaggia tutti. E in un contesto in cui a prevalere è la logica della cooperazione o concertazione intorno a obiet- tivi condivisi.
Sappiamo come un tempo, prima dello svi- luppo del welfare pubblico, alcune grandi aziende (l’Olivetti, la Fiat…) fossero state at- tive nel campo dei servizi sociali e dei benefi- ci per i dipendenti e le loro famiglie. Ma oggi il ritorno dell’iniziativa aziendale sul tema ha caratteri almeno in parte diversi. È più diffu- so: a partire dalla forte risonanza mediatica sull’accordo della Luxottica del 2009 (che non è peraltro il primo), le imprese impegnate sul terreno del welfare aziendale si sono molti- plicate piuttosto rapidamente e si continua- no a registrare nuove adesioni. Inoltre, l’o- dierno welfare d’impresa si caratterizza per l’offerta di un ampio menu di opportunità e benefit, nella cui definizione e realizzazione intervengono società di consulenza specia- lizzate, nazionali e internazionali. Da questo punto di vista, se in epoca precedente alla cri- si finanziaria eeconomica scoppiatanel 2008, di problematiche di welfare aziendale si par- lava soprattutto in termini di conciliazione vi- ta-lavoro, in seguito l’accento è posto so- prattutto sull’intento di sostenere il potere d’acquisto del lavoro, agendo non diretta-
66 PARTE SECONDA ♦ WeLfare aziendaLe, weLfare pubbLico e contrattazione
mente sulla retribuzione, ma attraverso l’of- ferta di servizi di welfare calibrati sulle esigenze dei lavoratori, e esenti da tasse, nelle diverse situazioni locali. In questo è d’altro lato cer- tamente cruciale il ruolo svolto dalle agevo- lazioni fiscali e contributive di cui, entro cer- te soglie, possono godere le imprese relati- vamente a quote di retribuzione erogate sot- to forma di beni e servizi. In terzo luogo, mol- to di frequente, queste iniziative vengono ne- goziate. A differenza di un tempo, non si trat- ta tanto di elargizioni unilaterali da parte del- l’impresa, alternative alla contrattazione azien- dale. Xxxx, nel dibattito sul tema, il fatto che il welfare d’azienda sia il risultato di accordi vie- ne per lo più visto dagli osservatori e dai pro- tagonisti come dato particolarmente qualifi- cante delle esperienze. Se ne parla come di “nuova fase nella cultura dei rapporti tra azien- da e rappresentanti dei lavoratori”, secondo il commento del segretario generale dei tes- sili della Cgil a proposito dell’accordo Luxot- tica del 2009, o come “segnale di svolta” ne- gli orientamenti delle maggiori organizzazioni sindacali (Del Conte 2011); e più in generale come di un nuovo terreno di confronto tra le parti sociali che può contribuire alla qualifi- cazione e allo sviluppo di quella contratta- zione decentrata che non decolla, in un’otti- ca di relazioni industriali rinnovate e mag- giormente volte a rispondere ai bisogni spe- cifici di lavoratori e imprese.
Dicevamo tempo fa (Regalia 2012), che que-
sto genere di welfare trova però il suo limite strutturale nel carattere appunto aziendale. E citavamo il commento di Xxxxxxxx Xxxxxxx, che, in occasione dell’accordo della Luxotti- ca del 2009, sottolineava come queste inizia- tive siano per loro natura di tipo esclusivo e selettivo e accentuino la segmentazione sul mercato del lavoro tra chi sta dentro e chi sta fuori l’impresa innovativa (Xxxxxxx 2009).
Oggi, tuttavia, le novità introdotte dalla Leg-
ge di Stabilità 2016, che estende al welfare aziendale le agevolazioni fiscali per i premi di risultato che siano oggetto di accordi sinda- cali aziendali o territoriali, e ancor più l’accor- do interconfederale tra Confindustria e Cgil Cisl Uil del 14 luglio 2016, che definisce le pro- cedure per estendere tali agevolazioni fiscali anche nel caso di aziende prive di rappresen- tanza sindacale, inducono a rivedere almeno in parte quella valutazione. Sono state infatti così poste le premesse normative e contrat- tuali che possono consentire un’estensione del welfare aziendale negoziato anche alle im- prese senza rappresentanza sindacale, che so- no soprattutto le più piccole, fondamentale tessuto connettivo dell’economia italiana, ri- ducendo, quanto meno in xxx xx xxxxxxxxx, xx xxxxxxxxxxxxx xxx xxxxxxx xxx xxxxxx.
4.Provando ora a combinare i due pezzi del discorso, abbiamo dunque visto come in mo- di assai diversi – in modo del tutto volontari- stico e per iniziativa eminentemente sindaca- le da un lato, in modo incentivato da sostegno pubblico, regolato contrattualmente e per ini- ziativa eminentemente aziendale dall’altro; e, ancora, agendo su uno spazio pubblico al di là dell’impresa da un lato, agendo su uno spazio privatoall’internodell’impresadall’altro– idue “nuovi” ambiti d’azione negoziale in cui il sin- dacato è coinvolto si caratterizzino per la cen- tralità che vi assumono le tematiche del wel- fare, ossia le tematiche su obiettivi sociali e di promozione della cittadinanza nella vasta gam- ma di declinazioni possibili.
Essi sono il portato non tanto o semplicemente della crisi del welfare pubblico, cui le orga- nizzazioni degli interessi e gli attori della so- cietà civile tendono a far supplenza, come so- litamente si dice. Si tratta ancor più di modi nuovi, più adatti alle mutate circostanze, di cercare risposte, pur molto imperfette e in parte anche opportunistiche, ai rischi e ai bi-
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 67
I TASCABILI
DI RASSEGNA
sogni nuovi che attraversano una società e un mondo del lavoro assai meno compatti e coe- si di un tempo: una società e un mondo del la- voro solcati da divisioni nuove, da processi di individualizzazione potenzialmente disgre- ganti, da debolezze e fragilità molteplici, di fronte a cui occorre che i modelli di welfare pubblico di un tempo si riattrezzino.
Si tratta di soluzioni – quelle di cui s’è detto – con molti limiti, e soft, nel senso che forni- scono risposte deboli, ma a un vasto arco di problemi e situazioni diverse.
Tra i limiti, nel caso della negoziazione socia- le, il principale – che è peraltro l’altra faccia della sua grande potenzialità – sta nel ruolo defatigante, di paziente confronto e corre- sponsabilizzazione, che il sindacato, unitaria- mente, occorre che svolga nei confronti dei governi e delle istituzioni pubbliche locali. Dif- ficilmente potrà agire per alzate di testa, con progetti a effetto. E probabilmente il suo ruo- lo rimarrà in ombra. E tanto meglio svolgerà un ruolo prezioso quanto più sarà capace di dar voce e rappresentanza alle diverse do- mande di aiuto e richieste di sostegno prove- nienti dalla società locale, privilegiandone il coordinamento e la compatibilità d’assieme alla selezione di quelle più facili da portare avanti con successo: quanto più sarà in grado, in altri termini, di affrontare il dilemma tra ge- neralità e specificità delle logiche d’azione. Se appena ci si riflette, questo fa intravedere quanto sia problematica quella saldatura che viene spesso auspicata con l’attività sindaca- le propria (e diversa) delle categorie. Ci sono tuttavia due terreni su cui si possono immagi- nare delle intersezioni: una è quella delle po- litiche del lavoro, l’altra è quella di un soste- gno, pur indiretto, ai programmi di welfare aziendale. La xxx xxxxx xxxxxxxxx xxxxxx xxx xx- xxxx, nel senso più forte e impegnativo del ter- mine, è tutto ancora da sviluppare e speri- mentare nel nostro paese. Sindacati allenati
alla negoziazione sociale potrebbero costi- tuirne una risorsa anche organizzativa crucia- le, instaurando probabilmente con successo, allora, collegamenti nuovi con i sindacati che operano sul mercato e nei luoghi produttivi. Poi c’è il terreno del welfare aziendale. S’è ri- cordatochelarecentenormativaforniscenuo- vo sostegno al suo sviluppo, permettendo di convertire totalmente o parzialmente i premi di produttività in beni o servizi di welfare com- pletamente detassati per i lavoratori e esenti da prelievo fiscaleecontributivo per le imprese. È indubbiamente una soluzione immediata- mente vantaggiosa per entrambe le parti. Il principale limite tuttavia di questa soluzione è che, dal lato dei lavoratori, a fronte dei van- taggi immediati essa implica gli svantaggi fu- turi di una riduzione della pensione in ragione della perdita di contributi pensionistici. Que- sto dilemma tra vantaggi a breve oppure a lun- go termine costituisce una criticità che richiede di essere affrontata, senza pregiudizi, ma in modo aperto e trasparente.
Non su questo, ma su un piano diverso, si po-
trebbe tuttaviaimmaginareunponte tra le pro- spettive di sviluppo di un welfare su obiettivi di conciliazione, sostegno reale al reddito e pro- mozione sociale in azienda e sviluppo della ne- goziazione socialealsuoesterno: quello diuna attenzionemaggiormenteconsapevoledapar- te dei sindacati a cercare di agire, nelle loro di- stinte competenze, per un più adeguato coor- dinamento d’assieme degli interventi pubbli- ci e delle politiche anche a sostegno dei pro- grammi di welfare negoziati nelle aziendeo ne- gli accordi tra le parti sociali sul territorio.
Riferimenti bibliografici
Del Conte M., 2011, Il welfare aziendale in un terzo delle imprese, “Corriere della Sera”, 8 febbraio 2011, 10
Xxxxxxx X., 2009, Luxottica e i rischi dell’azienda-mam- ma, “Corriere della Sera”, 14 febbraio 2009, 36
Regalia I., 2012, La protezione sociale del lavoro come te- ma delle relazioni industriali, “La rivista delle politiche sociali”, n.3, 13-36.
68 PARTE SECONDA ♦ WeLfare aziendaLe, weLfare pubbLico e contrattazione
◆ LE PROSPETTIVE DEL SISTEMA PREVIDENZIALE ITALIANO
XXXXXXX XXXXXXX
Università di Roma LaSapienza
Architettura e criticità del sistema previdenziale italiano
Dall'inizio degli anni ’90 il sistema previden- ziale italiano è stato oggetto di numerosi in- terventi di riforma che hanno riguardato primariamente l'innalzamento dell'età pen- sionabile, la modifica – da retributiva a con- tributiva – della regola di calcolo delle pre- stazioni e il tentativo di favorire lo sviluppo della previdenza integrativa, ridefinendo il quadro normativo e concedendo agli iscrit- ti cospicue agevolazioni fiscali.
Prima dell’inizio del processo di riforma si im- putavano al sistema pensionistico italiano tre principali difetti: l’insostenibilità finanziaria della spesa nel medio-lungo periodo; molte- plici iniquità distributive, spesso di segno re- gressivo; forti incentivi al pensionamento an- ticipato. Il passaggio dal retributivo al contri- butivo corregge questi difetti. Gli incentivi al pensionamento anticipato (al di là degli ulte- riori vincoli introdotti dalla “riforma Forne- ro”) vengono a sparire dato che i coefficienti di trasformazione fanno dipendere l’impor- to della pensione dall’età in cui ci si ritira; il saggio di rendimento sui versamenti è ugua- le per tutti i lavoratori; l’aggiornamento pe- riodico dei coefficienti di trasformazione e l’applicazione di un tasso di rendimento sui contributi legato alla crescita del Pil garanti- scono “per definizione” la sostenibilità finan- ziaria di lungo periodo della spesa previden- ziale italiana, come confermano le proiezioni della Commissione europea.
L’elemento cardine del contributivo consi-
ste nello stabilizzare la quota di risorse da destinare agli anziani, per quanto grande sia
il loro numero. Il reale problema di lungo periodo potrebbe allora manifestarsi dall’al- tro lato della coperta, ovvero in ragione di prestazioni ben minori di quanto era garan- tito dal precedente schema retributivo.
Fondandosi su criteri di equità attuariale fra versamenti e prestazioni, il contributivo ri- sulta scevro da espliciti elementi redistribu- tivi e rappresenta un mero “specchio” delle carriere individuali sul mercato del lavoro (si ricordi che nel contributivo è assente l’inte- grazione al minimo). A parità di andamento aggregato di economia e demografia, la pre- stazione dipende da quanto si contribuisce, quindi dal successo della carriera: rischi di prestazioni particolarmente limitate po- trebbero caratterizzare coloro i quali si tro- vassero a trascorrere parte della carriera con basse remunerazioni (anche a causa di part- time involontari), con frequenti periodi di non lavoro o lavorando con forme contrat- tuali ad aliquota ridotta (in passato le colla- borazioni parasubordinate, attualmente i voucher, coperti da un’aliquota del 13%).
In realtà, i rischi di pensioni basse non di-
pendono dalla formula contributiva in sé, ma dalla coesistenza delle regole attuariali con bassi tassi di crescita del Pil e un merca- to del lavoro incapace di garantire a tutti carriere soddisfacenti. D’altro canto, l’ade- guamento automatico dell’età di ritiro e i nuovi vincoli introdotti dalla “riforma Forne- ro” potrebbero migliorare l’adeguatezza delle future pensioni contributive: una mag- giore longevità lavorativa implica maggiore accumulazione di contributi e una pensio- ne più elevata. Ma, affinché tali previsioni ot- timistiche si realizzino, bisogna assumere che il sistema produttivo italiano sia in gra- do di garantire un’adeguata domanda rivol- ta a una forza lavoro sempre più anziana, a- spetto su cui, al momento, è lecito essere fortemente dubbiosi.
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 69
I TASCABILI
DI RASSEGNA
Le simulazioni delle pensioni attese
Per valutare i rischi di inadeguatezza delle pensioni contributive, risultano utili alcune simulazioni sulle prestazioni attese da indi- vidui rappresentativi, mostrando, come in- dicatori, sia il tasso di sostituzione (rapporto fra pensione e salario finale), sia il rapporto fra pensione ed assegno sociale, che indica di quanto la pensione individuale si discosta da un valore rappresentativo della soglia di povertà in vecchiaia.
Ipotizziamo il caso dei primi lavoratori ade- renti integralmente al sistema contributivo, ovvero chi ha iniziato a lavorare il 1° gennaio 1996. In base alle norme introdotte dalla riforma del 2011, e in linea con l’aumento at- teso dell’aspettativa di vita, intorno al 2040 ci si potrà ritirare nei seguenti casi:
♦ 69 anni, con almeno 20 anni di anzianità e una pensione non inferiore a 1,5 volte l’as- segno sociale.
♦ 66 anni, con almeno 20 anni di anzianità e una pensione non inferiore a 2,8 volte l’as- segno sociale.
♦ 73 anni, con anzianità non inferiore a 5 anni e una pensione non superiore a 1,5 vol- te l’assegno sociale (che, in assenza di altri redditi, verrà erogato a partire dai 69 anni).
♦ Indipendentemente da età e importo, si potrà andare in “pensione anticipata” dopo 44 o 45 anni di contribuzione (rispettiva- mente se donna o uomo).
I livelli delle prestazioni dipenderanno da u- na serie di variabili macroeconomiche e de- mografiche e dalle dinamiche di carriera dei lavoratori. Di seguito si ipotizza dal 2016 u- na crescita reale annua del PIL dell'1% e un tasso di inflazione del 2%, mentre le dinami- che salariali si riferiscono a tre tipologie di lavoratori (che ipotizziamo iniziare a lavora- re a 24 anni):
♦ a “bassa dinamica” (un operaio rappresen- tativo), che ha iniziato a lavorare nel 1996
con una retribuzione lorda annua di circa
22.000 Euro a prezzi correnti, che cresce ogni anno lo 0,5% in meno del Pil nominale;
♦ a “media dinamica” (un impiegato rappre- sentativo), che ha iniziato a lavorare nel 1996 con una retribuzione lorda annua di circa
31.000 Euro a prezzi correnti, che cresce ogni anno dello stesso tasso del Pil nominale;
♦ a “alta dinamica” (un dirigente rappre- sentativo), che ha iniziato a lavorare nel 1996 con una retribuzione lorda annua di circa 44.000 Euro a prezzi correnti, che cre- sce ogni anno lo 0,5% in più del Pil nominale. Per simulare storie di carriera più svantag- giate si sono immaginati anche scenari di la- voratori a “bassa dinamica” caratterizzati da interruzioni lavorative non compensate da
contribuzioni figurative. In particolare ab- biamo simulato il caso di dipendenti che trascorrono in inattività un intero anno ogni cinque o ogni tre di lavoro (trascorrendo quindi, in inattività, nel periodo dal 24 ai 69 anni, rispettivamente, sette e undici anni). Per valutare l'impatto sulle pensioni attese derivanti dal lavoro part-time (e dunque da un salario proporzionalmente minore), as- sociato a frequenti interruzioni di carriera (come accade a molte donne impiegate nella grande distribuzione) abbiamo imma- ginato anche la storia lavorativa di un dipen- dente part-time per l'intera carriera, a bassa dinamica retributiva e con un salario iniziale, nel 1996, di circa 13.000 Euro a prezzi cor- renti e caratterizzato da un anno di interru- zione ogni tre anni lavorati. Infine, per valu- tare ulteriormente le prospettive pensioni- stiche di individui con carriere particolar- mente fragili, abbiamo simulato il caso di chi avesse trascorso l'intero periodo 1996- 2017 lavorando come parasubordinato, in modo da incorporare l'effetto del divario di aliquote fra lavoro dipendente e parasubor- dinato che scomparirà solo a partire dal
70 PARTE SECONDA ♦ WeLfare aziendaLe, weLfare pubbLico e contrattazione
TAB. A ◆ INDICATORI DI ADEGUATEZZA DEL SISTEMA PREVIDENZIALE IN BASE ALLE DIVERSE ETÀ DI RITIRO, PER LAVORATORI DIPENDENTI CON CARRIERA “PIENA” E DIVERSE DINAMICHE SALARIALI | |||
BASSA DINAMICA | TASSO DI SOSTITUZIONE LORDO % MEDIA DINAMICA | ALTA DINAMICA | |
66 | 76.4 | 68.9 | 62.5 |
67 | 81.3 | 73.2 | 66.1 |
68 | 86.6 | 77.8 | 70.2 |
69 | 92.5 | 82.8 | 74.5 |
BASSA DINAMICA | RAPPORTO PENSIONE/ASSEGNO SOCIALE MEDIA DINAMICA | ALTA DINAMICA | |
66 | 2.79 | 4.10 | 5.67 |
67 | 2.96 | 4.35 | 6.03 |
68 | 3.13 | 4.63 | 6.43 |
69 | 3.33 | 4.93 | 6.86 |
Fonte: nostre elaborazioni |
2018. Anche in questo caso abbiamo simu- lato le prospettive di un lavoratore a bassa dinamica salariale, distinguendo i casi di car- xxxxx piena, un anno di interruzione ogni cinque lavorati e un anno di interruzione o- gni tre lavorati.
La tabella A conferma che le alte età pensio- nabili stabilite dalla riforma del 2011 fanno sì che nel sistema contributivo chi dovesse realizzare carriere lunghe e continue riceve- rebbe al pensionamento una pensione non troppo distante dall'ultimo salario e ben su- periore al livello dell'assegno sociale. Le pro- blematiche non riguardano, quindi, chi do- vesse essere caratterizzato da vite lavorative continue, ma i lavoratori caratterizzati da carriere intermittenti, salari bassi o non in- quadrati come dipendenti.
Un lavoratore a bassa dinamica salariale che registrasse 7 anni di mancata contribu- zione sarebbe costretto a lavorare fino a 69 anni (quindi a 38 anni di contribuzione) per poter ricevere la pensione, dato che non soddisferebbe il "requisito economi- co" di un rapporto fra pensione ed assegno
sociale pari ad almeno 2,8 e, a maggior ra- gione, lo stesso vincolo riguarderebbe chi dovesse avere 11 anni di interruzione della contribuzione nel corso della carriera (ta- bella 2). D'altro canto, i lavoratori più sfor- tunati (intermittenti che lavorano come dipendenti part-time o parasubordinati;) non soddisferebbero, nelle ipotesi di simu- lazione, neanche il requisito di una presta- zione pari ad almeno 1,5 volte l’assegno sociale, e, pertanto, dovrebbero continua- re a lavorare oltre i 69 anni.
La convenienza a partecipare alla previdenza integrativa
A fronte delle criticità ora delineate, si affer- ma sovente che le prestazioni pubbliche possano essere compensate partecipando agli schemi previdenziali privati integrativi. In realtà, il quadro definito dalla riforma del 2011, che ha stabilito età pensionabili mol- to elevate, ha modificato radicalmente la convenienza della previdenza integrativa. Come visto, chi dovesse riuscire a trascorrere vite lavorative lunghe e con salari dignitosi
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 71
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XXXXX DI SOSTITUZIONE LORDO %
TAB. B ◆ INDICATORI DI ADEGUATEZZA DEL SISTEMA PREVIDENZIALE IN BASE ALLE DIVERSE ETÀ DI RITIRO, PER LAVORATORI DIPENDENTI A BASSA DINAMICA DI SALARIO E CON CARRIERE DISCONTINUE
SEMPRE FULL-TIME CON 1 ANNO SEMPRE FULL-TIME CON 1 ANNO SEMPRE PART-TIME CON 1 ANNO DI "BUCO" OGNI 5 ANNI DI "BUCO" OGNI 3 ANNI DI "BUCO" OGNI 3 ANNI
66 70.1 66.7 66.7
67 74.7 71.2 71.2
68 79.8 76.2 76.2
69 85.3 81.5 81.5
RAPPORTO PENSIONE/ASSEGNO SOCIALE | |||
SEMPRE FULL-TIME CON 1 ANNO DI "BUCO" OGNI 5 ANNI | SEMPRE FULL-TIME CON 1 ANNO DI "BUCO" OGNI 3 ANNI | SEMPRE PART-TIME CON 1 ANNO DI "BUCO" OGNI 3 ANNI | |
66 | 2.17 | 1.90 | 1.27 |
67 | 2.30 | 2.02 | 1.34 |
68 | 2.44 | 2.10 | 1.40 |
69 | 2.60 | 2.23 | 1.49 |
Fonte: nostre elaborazioni |
TAB. C ◆ INDICATORI DI ADEGUATEZZA DEL SISTEMA PREVIDENZIALE IN BASE ALLE DIVERSE ETÀ DI RITIRO, PER LAVORATORISEMPRE PARASUBORDINATI, A BASSA DINAMICA SALARIALE E CON CARRIERE DISCONTINUE | |||
CARRIERA PIENA | TASSO DI SOSTITUZIONE LORDO % 1 ANNO DI "BUCO" OGNI 5 ANNI | 1 ANNO DI "BUCO" OGNI 3 ANNI | |
66 | 60.1 | 53.8 | 50.8 |
67 | 64.3 | 57.7 | 54.7 |
68 | 68.9 | 62.0 | 58.5 |
69 | 74.0 | 66.7 | 63.0 |
RAPPORTO PENSIONE/ASSEGNO SOCIALE | |||
CARRIERA PIENA | 1 ANNO DI "BUCO" OGNI 5 ANNI | 1 ANNO DI "BUCO" OGNI 3 ANNI | |
66 | 2.20 | 1.66 | 0.96 |
67 | 2.34 | 1.78 | 1.03 |
68 | 2.49 | 1.90 | 1.07 |
69 | 2.66 | 2.03 | 1.15 |
Fonte: nostre elaborazioni |
raggiungerebbe tassi di sostituzione non dis- simili da quelli ottenibili applicando la for- mula retributiva (pur se a età pensionabili sensibilmente maggiori). Per tali tipologie di individui – che, al momento, non si può pre- vedere se saranno maggioritarie o minorita-
rie – il sistema pubblico offrirebbe coperture adeguate e l'integrazione privata non risulte- rebbe necessaria (a meno di voler approfit- tare delle sostanziali agevolazioni fiscali con- cesse alla previdenza integrativa).
Diverso è il caso di lavoratori caratterizzati
72 PARTE SECONDA ♦ WeLfare aziendaLe, weLfare pubbLico e contrattazione
da carriere frammentate e poco remunera- te. Xxxxxxx, ammesso che riescano a restare attivi fino alle età di ritiro previste dalla rifor- ma, rischiano, come visto nelle tabelle B e C, di ricevere al pensionamento una prestazio- ne pubblica di importo limitato, che potreb- be utilmente beneficiare di un'integrazione da fonte privata. Tuttavia, come conferma l’evidenza dei dati sulla partecipazione ai fondi pensione in Italia, i lavoratori con car- riere a rischio tendono “razionalmente” a non partecipare alla previdenza integrativa per molteplici ragioni: la presenza di vincoli amministrativi sull'adesione ai fondi colletti- vi, l’assenza di Tfr per i parasubordinati, il maggior onere in termini di costi ammini- strativi che nei fondi pensione gravano su chi ha storie contributive frammentate e, soprattutto, l’esistenza di stringenti vincoli di liquidità per chi ha retribuzioni basse e/o contratti di durata limitata che inducono a una scarsa propensione al risparmio di lun- go periodo.
Versoformedidecontribuzione eoptingout?
Nonostante ciò, nel dibattito, e nello stesso accordo fra Governo e parti sociali sulla riforma pensionistica, firmato il 28 settem- bre 2016, si fa esplicito riferimento – in vista della “fase due” – a interventi sulla previden- za complementare per rilanciarne le adesio- ni, da accompagnarsi a misure di riduzione strutturale del cuneo contributivo.
In particolare, l’idea più spesso richiamata prevede una riduzione di 6 punti dell’aliquo- ta previdenziale, da dividersi in parti uguali fra datori e lavoratori: le imprese benefice- rebbero di un taglio di 3 punti di costo del la- voro; i lavoratori potrebbero incrementare del 3% la loro busta paga o devolvere la stes- sa somma alla previdenza integrativa.
Per i lavoratori la misura comporterebbe u-
na riduzione della copertura pensionistica pubblica (l’aliquota scenderebbe dal 33% al 27%), che essi potrebbero compensare, in parte, spostando nei fondi pensione i 3 pun- ti di aliquota a loro carico devoluti dal siste- ma pubblico. La misura ridurrebbe, dunque, pensioni future che, come visto poc’anzi, già con l’aliquota del 33% rischiano di non esse- re particolarmente generose per chi avesse carriere svantaggiate. La possibilità per i la- voratori di versare i 3 punti di aliquota a loro carico unicamente al sistema privato di- scende inoltre da una visione ideologica che considera la previdenza integrativa più effi- ciente di quella pubblica, in virtù di presunti maggiori rendimenti, smentiti dall’evidenza dei primi 15 anni di funzionamento dei fon- di pensione in Italia.
Inoltre in un sistema a ripartizione come
quello italiano, ogni riduzione di aliquota previdenziale non è “a costo zero”, ma com- porta un immediato “costo di transizione”, ovvero la necessità di reperire risorse per fi- nanziare parte della spesa pensionistica cor- rente, non potendo più utilizzare a questo scopo i contributi “sgravati” o devoluti ai fondi privati.
Effetti avversi sulle future pensioni discen- dono anche dalla detassazione della quota di salario erogata come premio di produtti- vità che, se viene destinata a welfare azien- dale, non è gravata di contributi previden- ziali. Tale forma di decontribuzione accen- tuerebbe il rischio di inadeguatezza delle pensioni future, soprattutto laddove la con- cessione di premi di produttività diventasse un modo generalizzato e surrettizio per ri- durre il costo del lavoro e se, come ventila- to, la quota di salario “sgravabile” fosse in- crementata fino a 4000 euro l’anno. Appare inoltre poco probabile che l’intero salario di produttività venga versato ai fondi pensione dal momento che i lavoratori preferirebbe-
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 73
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ro presumibilmente forme di welfare meno lontane nel tempo e meno tutelate dal si- stema pubblico (come i rimborsi per spese mediche non coperte dal Ssn o di long-term care per anziani o le rette per gli asili nido). Va infine sottolineato come sia la struttura fiscale della previdenza integrativa sia l’ero- gazione di salari di produttività “sgravati” siano fortemente regressive, a causa del combinato disposto di schemi di welfare occupazionali a cui partecipano soprattut- to i lavoratori più abbienti e basati su dedu- zioni fiscali che avvantaggiano maggior- mente chi ha salari più elevati.
Come intervenire per tutelare le basse pensioni nel contributivo?
L’opportunità di interventi di modifica della formula contributiva vanno valutati in base al profilo dell’equità. Il contributivo è da molti ritenuto “equo”, in quanto vi si applica uno stesso tasso di rendimento per tutti gli appartenenti a una determinata coorte e in quanto attuarialmente neutrale rispetto alle scelte individuali. Tuttavia, l’equità attuariale non va confusa con la giustizia distributiva: chi ritiene che la previdenza debba basarsi unicamente su un rigido meccanismo at- tuariale sta implicitamente accettando co- me “giusta” e immodificabile qualsiasi situa- zione che si crea nel mercato del lavoro.
In realtà, i tratti del mercato del lavoro ita-
liano, caratterizzato da molteplici disegua- glianze salariali e contrattuali inducono a ri- tenere che molte delle differenze nelle sto- rie lavorative non siano il risultato di un “giusto” processo di mercato che debba successivamente “cristallizzarsi” negli im- porti pensionistici. In aggiunta, nel contri- butivo significativi flussi redistributivi impli- citi connessi alla differente mortalità dei sotto-gruppi della popolazione sono inevi- tabilmente legati al meccanismo di calcolo
dei coefficienti di trasformazione, basati sul- l’aspettativa di vita media della popolazio- ne italiana. Tenuto conto che la letteratura è concorde nell’evidenziare come la longevità sia nettamente minore per gli individui con status socio-economico più svantaggiato, il contributivo non solo riflette le differenze che si determinano nelle storie lavorative, ma finisce per amplificarle comportando in- genti flussi redistributivi regressivi.
Appare dunque opportuno riflettere sull’in- troduzione di strumenti che, senza stravol- xxxx le logiche contributive (i cui pregi non vanno trascurati), garantiscano tutela a chi, maggiormente esposto ai rischi di instabilità contrattuale e a retribuzioni particolarmen- te limitate, rischi di ritrovarsi da anziano in condizioni di forte disagio economico pur essendo stato a lungo sul mercato del lavo- ro. Bisognerebbe allora prevedere modifiche della regola di calcolo della prestazione che assicurino gli ex lavoratori dal rischio di ritro- varsi da anziani in condizioni di disagio dopo aver essere stati attivi per molti anni.
In questa prospettiva, come già sostenuto e
come riportato nello stesso accordo fra il Governo e le parti sociali del 28 settembre 2016, coerentemente con la logica attuaria- le del sistema, si potrebbe garantire ad ogni pensionato del contributivo una prestazione di importo proporzionale agli anni di contri- buzione (effettiva e figurativa) e che, tramite un fattore di correzione legato ai coefficienti di trasformazione, sia funzione anche del- l’età di ritiro (la garanzia potrebbe ad esem- pio essere di 950 euro netti mensili in caso di ritiro a 66 anni e 42 di anzianità, da ridursi/aumentarsi proporzionalmente in ca- so di ritiri più precoci/ritardati). Ogni qual- volta, per una data combinazione di età e an- zianità, la pensione contributiva fosse infe- riore alla prestazione garantita, al pensiona- to verrebbe erogata come integrazione la
74 PARTE SECONDA ♦ WeLfare aziendaLe, weLfare pubbLico e contrattazione
differenza fra le due grandezze in questione, ed il finanziamento dell’integrazione sareb- be posto a carico della fiscalità generale.
Dal punto di vista della target efficiency (rag- giungere l’obiettivo desiderato al minimo costo) l’introduzione di una simile misura appare ampiamente auspicabile. Con essa si andrebbe infatti a tutelare esclusivamente chi dovesse registrare una carriera lavorativa lunga, ma fragile. L’introduzione di una pen- sione di garanzia permetterebbe inoltre di sanare criticità connesse a tutte e tre le de- terminanti delle basse pensioni (interruzioni della contribuzione, bassi salari o aliquota ri- dotta). Al contempo, si minimizzerebbero i disincentivi alla prosecuzione dell’attività (crescendo sia la pensione contributiva che la prestazione garantita con l’allungamento della carriera individuale) e lo stesso impatto sul bilancio pubblico, dato che parte della maggior spesa – che, si noti, non emergereb- be prima di almeno 20 anni – verrebbe fi- nanziata dai minori esborsi per prestazioni assistenziali che verrebbero altrimenti ero- gate ai pensionati da lavoro poveri.
◆ WELFARE INTEGRATIVO E INCLUSIONE SOCIALE
XXXX XXXXXXXX
Segretario generale Spi Cgil
N
ell’affrontare il tema del welfare integra- tivo in Italia e del suo crescente e per
molti versi contradditorio sviluppo, occorre in primo luogo definire quali sono i confini, qua- li sono le politiche realizzate sino ad oggi, qua- li possono essere le prospettive. Nell’ambito di questo quadro di riferimento verificare infi- ne quale è attualmente il rapporto con le te- matiche che investono più da vicino la que-
stione degli anziani e dei servizi e interventi di sostegno a loro diretti.
Welfare integrativo, welfare aziendale, welfare contrattuale, bilateralità Maneggiare la questione del welfare integra- tivo nelle sue diverse articolazioni (la dizione di welfare aziendale risulta approssimativa e spesso impropria) richiede sicuramente mol- ta attenzione, per evitare o facili generalizza- zioni oppure di focalizzare l’attenzione solo su alcuni aspetti. Si deve evitare quanto ad e- sempio avvenuto nel trattare la questione della sussidiarietà orizzontale, dove alla fine era difficile capire i confini tra una attività di puro volontariato e quella dell’impresa socia- le. Dunque il primo aspetto è l’individuazione del perimetro nel quale è contenuto il welfa- re integrativo nelle sue diverse formulazioni.
Il welfare aziendale
Il primo elemento certo è quello della cresci- ta del welfare aziendale in Italia, come risulta ad esempio da studi e rapporti degli ultimi anni (1). Il 50% delle aziende dichiara di avere un piano di welfare aziendale, di queste la metà lo ha introdotto nel biennio 2014-15. A dare maggior consistenza a questo dato è la dimensione dell’impresa. Quasi il 70% delle imprese che adotta sistemi di welfare azien- dale è costituito da grandi imprese, delle qua- li solo 500 hanno più di mille addetti. Delle piccole imprese solo poco più del 20% ha un piano di welfare aziendale. Il Ministero del la- voro e delle politiche sociali ha diffuso a lu- glio 2016 i dati relativi ai contratti aziendali e territoriali per i quali è obbligatorio l’invio te- lematico, rispetto agli accordi sottoscritti nel 2015, dai quali emerge che sono 2.290 su
13.543 (16,90%) i contratti aziendali e terri-
toriali istitutivi di premi di produttività che prevedono interventi di welfare aziendale. Questo dato però è destinato nel volgere di
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 75
I TASCABILI
DI RASSEGNA
non molto tempo a essere sicuramente in- crementato. Infatti il rapporto 2016 sul wel- fare aziendale delle piccole e medie imprese
(2) ha evidenziato anche in questo ambito x- xx xxxxx xxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxx xx xxxxx xx- prenditoriale che dei lavoratori.
Nell’ambito della ricerca condotta sulle Pmi vengono posti in luce quali sono i terreni prioritari individuati.
♦ Il bisogno di integrazione pensionistica;
♦ Il bisogno di integrazione dell’assistenza sanitaria e della salute in generale;
♦ Il bisogno di gestire l’invecchiamento an- che con la flessibilizzazione del lavoro fino a politiche per la non autosufficienza;
♦ Il sostegno all’inserimento dei soggetti deboli e all’integrazione sociale degli extra- comunitari.
Emerge dunque tra le problematiche consi- derate prioritarie quella di come gestire l’in- vecchiamento all’interno dell’impresa, fino a giungere al tema della non autosufficienza. Tra le novità, che segnano anche il cambia- mento della struttura demografica del Pae- se, c’è la questione dell’integrazione sociale degli immigrati, che rappresentano ormai u- na realtà consolidata e in espansione.
Questi dati ci devono far riflettere sulla forte dinamicità non solo del welfare aziendale, ma di un intero sistema industriale che sta attraversando un forte rinnovamento deter- minato dalla spinta delle nuove tecnologie (rivoluzione digitale, banda larga e ultralar- ga). Un dato sul quale interrogarci è l’arretra- tezza ancora esistente in Italia nell’impegno di spesa per i settori della ricerca, sviluppo e innovazione i dati OCSE riportati da Confin- dustria nell’audizione in Commissione su in- dustria 4.0, (3) mostrano che nel 2014 gli in- vestimenti complessivi dell’Italia in questi settori sono pari all’1,3% del PIL, quello della Germania è del 2,8%, contro una media OC- SE del 2,3% e una media UE dell’1,9%.
Il nuovo modello industriale 4.0
Proprio per superare questa arretratezza il mondo imprenditoriale ha iniziato a guarda- re con attenzione al tema della nuova rivolu- zione industriale 4.0. E’ stata recentemente svolta una importante indagine conoscitiva da parte della Commissione attività produt- tive della Camera dei deputati che ha come ricaduta immediata la creazione di una Cabi- na di regia nazionale. Ora, dopo l’indagine il progetto sta prendendo l’avvio concreta- mente attraverso il Piano governativo che prevede un intervento per 13 miliardi di eu- ro e il coinvolgimento delle parti sociali (4). In questo processo di grande cambiamento del sistema produttivo e del lavoro occor- rerà costruire un sistema contrattuale che tuteli al meglio le nuove figure professionali, così come andrà garantita la continuità di un sistema welfare pubblico, che rimane un pi- lastro fondamentale per dare certezze alle nuove generazioni sul versante previdenzia- le, sanitario e dei servizi sociali. Così come andranno disegnati confini precisi per quan- to riguarda il welfare integrativo.
Welfare pubblico e welfare integrativo
A livello europeo abbiamo differenti espe- rienze di welfare integrativo come ben illu- strato nelle relazioni al convegno sulla bila- teralità della Cgil del luglio 2016 (5). La cau- sa dell’incentivazione del welfare integrativo deriva certamente in prima battuta dal re- stringimento degli interventi un tempo ga- rantiti dal sistema pubblico. I referenti degli interventi di carattere integrativo hanno co- me caratteristiche principali: imprese di am- pie dimensioni; con prevalenza dei settori della manifattura qualificata e del terziario a- vanzato; con contratti a tempo indetermina- to; con qualificazione professionale.
Questo identikit del welfare integrativo fa e-
mergere con chiarezza il rischio che si pro-
76 PARTE SECONDA ♦ WeLfare aziendaLe, weLfare pubbLico e contrattazione
ducano ulteriori e pericolose difformità tra i lavoratori dei settori e categorie contrattual- mente forti e lavoratori dei settori e catego- rie contrattualmente deboli, che non avran- no mai la possibilità di accedere a prestazio- ni integrative e per i quali il welfare pubblico rimane l’unico elemento di certezza. Inoltre con l’aumentare del peso specifico del wel- fare aziendale, si avrebbe di converso un pe- sante indebolimento dell’intervento pubbli- co trasformandolo di fatto in un insieme di i- stituti e strutture destinati, non al benessere come diritto universale, ma ad interventi di natura meramente assistenziale, a supporto del contrasto alla povertà.
Occorre dunque ragionare su come invece sia
possibile condurre il welfare integrativo a una corretta funzione appunto di integrazione del sistema pubblico. A sostegno del welfare con- trattuale è intervenuta la legge di stabilità 2016 con una serie di agevolazioni. E qui è im- portante richiamare la distinzione tra welfare aziendale e welfare contrattuale (6). Mentre il welfare aziendale ha un riferimento contrat- tuale limitato, le agevolazioni introdotte con la detassazione dei premi della contrattazione territoriale amplia notevolmente la sfera d’a- zione. Qui per ovvie ragioni non entriamo nel merito delle ricadute di questa impostazione, che si presta a diverse chiavi di lettura critiche, sicuramente occorreranno opportuni ap- profondimenti di merito.
La possibile costruzione di un modello integrato
Nella illustrazione, seppur succinta, dei di- versi pezzi che compongono questo puzzle del welfare integrativo: welfare aziendale, welfare contrattuale, bilateralità, si ha co- munque la certezza di un sistema per larghi tratti incompiuto, che non ha una adeguata legislazione che ne definisca compiti e limiti, di un sistema contrattuale che si sta rimodu-
xxxxx su questo nuovo assetto, ma a cui manca un modello di relazioni concertato tra i soggetti di rappresentanza: istituzioni, imprese, sindacati. Qui nasce spontaneo il ri- chiamo alle elaborazioni dei primi anni ’80 alle quali diede un contributo fondamentale Xxxxx Xxxxxxx attraverso il “piano d’impresa” e la proposta di un nuovo modello di rela- zioni fondato sulla codeterminazione.
Un welfare integrativo
anche per gli anziani ei pensionati Xxxxxxxxx ora di ragionare su come può in- teragire il welfare integrativo con le proble- matiche degli anziani e pensionati e quale modello di welfare integrativo potrebbe es- sere sviluppato a questo fine. Ad oggi gli am- biti di intervento prioritari del welfare azien- dale e contrattuale hanno visto interventi fo- calizzati su due campi prioritari: la previden- za complementare e la sanità integrativa. E’ già consolidato l’intervento anche nelle ca- tegorie sindacali su questi due versanti, della previdenza complementare e della sanità in- tegrativa, come risulta da un documento della Cgil sulla contrattazione e il welfare contrattuale: “tutte le categorie Cgil sono promotrici di fondi sanitari di origine con- trattuale, in gran parte da CCNL, tuttavia ne esistono un numero assai elevato derivanti dalla contrattazione di 2° livello.”(7) Su que- sto tema andrebbe fatto un serio approfon- dimento sull’esperienza della bilateralità, del suo sviluppo, ma anche sui limiti. (8) Dun- que c’è già un terreno estremamente conso- lidato sul quale va verificato quali interventi possono essere innestati per far evolvere il sistema, che rischia di creare invece una net- ta frattura tra chi è fruitore di benefit aggiun- tivi e chi invece potrà accedere solo a presta- zioni di carattere pubblico, nelle quali i livel- li essenziali non sono a volte neanche stati definiti (servizi sociali).
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 77
I TASCABILI
DI RASSEGNA
Una ipotesi riguarda il welfare integrativo di tipo territoriale. Nel quale alle prestazioni pubbliche vadano ad aggiungersi una serie di interventi privati garantiti in uno stesso ambito territoriale di area vasta. Tali inter- venti sarebbero sempre integrativi degli in- terventi pubblici, ad esempio in ambito so- ciosanitario sul tema della non autosuffi- cienza. Tema che, come sopra già accennato, inizia ad essere posto dai lavoratori come u- na delle priorità di intervento. In questo caso gli interventi di sostegno sono ad oggi fina- lizzati ai familiari dei lavoratori che si trovano in condizione di non autosufficienza. In un quadro evolutivo, per avere una reale effica- cia universalistica in tema di non autosuffi- cienza le risorse o gli interventi integrativi dovrebbero essere gestiti da un unico cen- tro regolatore in stretta sinergia con il siste- ma pubblico. E’ evidente la difficoltà di que- sto percorso che avrebbe bisogno di un cambiamento culturale soprattutto da parte imprenditoriale. Tra le novità c’è l’esperienza del “Patto per il lavoro” dell’Xxxxxx Xxxxxxx, dove oltre all’impegno di facilitare le espe- rienze innovative di contrattazione del wel- fare aziendale e territoriale integrativo c’è anche la previsione di un Fondo pubblico per la sanità integrativa per l’erogazione di pre- stazioni extra Lea. In attuazione di questo in- dirizzo è stato recentemente siglato tra la Regione, i sindacati confederali e della Fun- zione Pubblica un accordo sulle politiche di innovazione e qualificazione del sistema sa- nitario regionale nel quale si prevede un ta- volo tecnico operativo che dovrà definire co- me attivare il fondo integrativo, che dovrà vedere un finanziamento composto da risor- se regionali, da quelle della contrattazione e da risorse aggiuntive derivanti dall’adesione dei cittadini su base volontaria. In questa pri- ma fase l’intervento sarebbe dedicato alle cure odontoiatriche in favore della popola-
zione giovanile. Questo percorso sperimen- tale è certamente innovativo e da seguire con attenzione, soprattutto per la popola- zione anziana che vive oggi un forte disagio in termini reddituali, dove aumentano gli an- ziani che non si curano a causa del costo de- gli esami e dei ticket. E le cure odontoiatri- che sono una delle aree di maggiore soffe- renza per la popolazione anziana.
Ad oggi dunque le esperienze di un welfare integrativo che abbia una valenza innovativa e con finalità universalistiche e inclusive è ancora embrionale, così come l’idea di una contrattazione sociale che affiancando la contrattazione categoriale e aziendale sap- pia cogliere le opportunità esistenti.
Il settore del welfare aziendale – contrattua- le – integrativo è come ben sappiamo in for- te e rapida evoluzione e dunque i sindacati confederali e di categoria sono chiamati non solo a momenti di dibattito e approfondi- mento, ma a dare risposte di merito in una nuova progettualità che deve ripartire dal basso, dai luoghi di lavoro e nei territori, coinvolgendo non solo gli attori presenti nel panorama produttivo, ma l’insieme del tes- suto sociale e delle comunità presenti nei territori, perché senza una ampia partecipa- zione democratica non può esserci un profondo e condiviso cambiamento.
Riferimenti bibliografici
• Rapporto 2015 realizzato da Od&M Consulting
• Rapporto 2016 Welfarwe Index PMI “Il welfare azien- dale fa crescere l’impresa”
• Audizione di Confindustria alla Commissione attività produttive del 22 marzo 2016
• X Commissione permanente Attività produttive, Com- mercio e Turismo “Indagine conoscitiva su industria 4.0” 30 giugno 2016.
• Xxxxxxxxx Xxxxxxxx “Bilateralità. Quali prospettive?”
Convegno Cgil luglio 2016
xXxxxx Xxxxxxx “A un anno dal convegno di Napoli” Convegno Cgil luglio 2016
• Cgil “Scheda rapporto tra contrattazione e welfare contrattuale – aprile 2016 “
• Gli enti bilaterali in Italia – Rapporto nazionale 2014
78 PARTE SECONDA ♦ WeLfare aziendaLe, weLfare pubbLico e contrattazione
◆ WELFARE CONTRATTUALE: NUOVA FRONTIERA DELLA CONTRATTAZIONE?
XXXXXX XXXXXXX
Segretario nazionale Cgil
È
il caso di affermare che il welfare con- trattuale è diventata la nuova frontiera
della contrattazione? Da un lato il Governo, che nella Legge di Stabilità conferma la scel- ta di destinare risorse pubbliche nella dire- zione di accordi di secondo livello, che con- tengano misure di welfare contrattuale; dal- l'altro Federmeccanica, che propone di ri- solvere la partita contrattuale di settore, in- dicando il welfare contrattuale come uno dei capitoli più significativi di un'eventuale intesa (ma Federmeccanica è solo la punta di un orientamento ormai sempre più diffu- so nel mondo delle imprese, non solo mani- fatturiere). Se l'affermazione può apparire eccessiva, non è esagerato dire che su quel terreno il sindacato si troverà a dover soste- nere un confronto che mai nella sua storia recente aveva sostenuto. Per questo è giu- stificata e necessaria l'attenzione che in mo- do crescente il dibattito interno sta dedi- cando al tema. Se il welfare contrattuale rappresenterà un capitolo sempre più cor- poso della contrattazione, il sindacato non può viverlo su posizioni di rimessa, subalter- no alle posizioni e alle proposte altrui. Oc- corre disporre di una propria visione, di un autonomo progetto, sostenuto da un profi- lo culturale e da un livello di consapevolezza assolutamente inedito, rispetto all'esperien- za di questi ultimi anni.
La prima domanda alla quale è opportuno
rispondere, quindi, è quanto abbia a che fa- re il welfare contrattuale con la natura sin- dacale ed in particolare con quella della C- gil. Può apparire una domanda retorica, ma se rivolgiamo un attimo l'attenzione a come
si è discusso in questi anni delle questioni legate alla previdenza complementare o, meglio ancora, ai fondi di sanità integrativa, per non dire della bilateralità, dovremmo concludere che per molto tempo (e in parte ancora oggi) quel mondo è sempre stato considerato da gran parte della nostra orga- nizzazione come estraneo alla nostra cultu- ra, come esterno al perimetro che definisce l'agire della Cgil. Ma ciò appare in aperta contraddizione con le origini della nostra Confederazione, che ha fatto del mutuali- smo uno dei tratti fondamentali della pro- pria cultura e della propria identità. Le So- cietà di Mutuo Soccorso sono nate con le Camere del Lavoro e l'azione di tutela delle condizioni delle lavoratici e dei lavoratori ha sempre collegato la condizione sul lavoro con quella sociale, nella consapevolezza che la costruzione delle tutele fuori dalla xxxxxx- ca fosse parte integrante del ruolo contrat- tuale del sindacato. Non a caso, soprattutto negli anni '70, quando l'intenso sviluppo e- conomico spinto dal boom degli anni pre- cedenti, aveva posto il sindacato di fronte a nuove sfide redistributive, diversi accordi, anche territoriali, si erano posti il problema di accompagnare alla crescita dei salari, an- che la realizzazione di interventi sociali, con- nessi alla condizione sociale del lavoro.
Poi, è vero che questa radice culturale si è
sempre più smarrita negli anni successivi, per diversi motivi. Non ultimo la prolungata crisi di questi anni, che ha spinto il sindacato sempre più nell'angolo difensivo, dove l'an- golo si è rivelato alla lunga un vicolo cieco, poiché la dimensione aziendale da sola non è più il contesto ottimale per "proteggere" e valorizzare il lavoro.
Il recente documento unitario Cgil-Cisl-Uil per un moderno sistema di relazioni indu- striali, nel suo capitolo sulla contrattazione, propone una sintesi avanzata fra le posizio-
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 79
I TASCABILI
DI RASSEGNA
ni delle rispettive organizzazioni e, di fatto, definisce un importante terreno sul quale lo sviluppo del welfare contrattuale può es- sere agito quale leva per potenziare gli stru- menti di tutela e miglioramento delle con- dizioni di chi lavora, ed in parte anche di chi, in condizioni di maggiore precarietà, un lavoro lo cerca e non necessariamente un lavoro qualsiasi.
Innanzitutto, si tratta di andare oltre la nota querelle sulla natura sostitutiva o integrativa di questa sfera di interventi. Le idee degli altri sono note. Tutti i governi che si sono succe- duti in questi anni hanno fatto della riduzio- ne della spesa pubblica e conseguente re- stringimento del campo di intervento dello stato sociale, una costante. La privatizzazio- ne delle politiche sociali è stata vista come l'inevitabile soluzione per compensare la ri- duzione dell'intervento pubblico. Contem- poraneamente, le associazioni di rappresen- tanza delle imprese, con a capo Confindu- stria, hanno colto nella privatizzazione dello stato sociale, una grossa occasione per fare business ed a questo fine si sono attrezzati. In questi ultimi anni, la convergenza tra que- sti due obiettivi è diventata più strutturale, trovando una sanzione significativa nelle mi- sure di sostegno alla contrattazione di se- condo livello, attraverso la detassazione e la decontribuzione dei premi. Indubbiamente, fa da sfondo a questa convergenza di inte- ressi la progressiva riduzione dell'area di in- tervento del welfare pubblico e la conse- guente privatizzazione di suoi settori impor- tanti, ma non è questo il pensiero nostro, ne' del sindacato confederale italiano. Non ba- sta però ribadirlo con una dichiarazione di principio: previdenza, assistenza, diritto alla salute, debbono tornare a essere al centro della nostra iniziativa generale. In queste ul- time settimane lo è stato, in parte, in occa- sione del tavolo sulle pensioni e dovrà conti-
nuare ad esserlo in occasione della seconda fase. Ma sulle politiche dell'assistenza, ed an- cor più su quelle della sanità occorre rilan- ciare un forte movimento. Continuano a cre- scere le persone che rinunciano a curarsi, sia per l'aumento degli indici di povertà del no- stro Paese, sia per l'indebolimento del carat- tere universalistico del sistema sanitario pubblico, misurato attraverso la crescita dei costi e dei tempi di accesso alle prestazioni. Per continuare a dire che il welfare contrat- tuale non è sostitutivo, ma complementare, prima di esserlo tale nei contenuti, dobbia- mo poterlo affermare nella difesa del siste- ma pubblico universale, altrimenti, per forza di cose ne occuperà progressivamente spazi fondamentali, il cui accesso non dipenderà più da un diritto di cittadinanza, ma da un potere contrattuale limitato ad una mino- ranza dei cittadini.
Per sua natura il welfare contrattuale è pri-
vato, quindi, non universale. Il nostro com- pito è far si che il suo carattere integrativo non accentui ulteriormente le disuguaglian- ze già esistenti tra chi può difendersi e chi no. Il recente decreto sulla detassazione dei premi, che prevede anche la detassazione per gli accordi che eroghino tali premi in prestazioni di welfare, è stato salutato posi- tivamente dalle confederazioni, anche per alcuni sue caratteristiche inedite, ma non sfugge a nessuno che quel decreto parla ad una minoranza dei cittadini, e un sindacato generale che si batte per l'inclusione non può solamente guardare alle opportunità, ma farsi carico anche delle contraddizioni. In questo caso, è del tutto evidente che le ri- sorse pubbliche destinate al sostegno della contrattazione e del welfare privato, per quanto contrattuale, in coincidenza con una riduzione della spesa per il welfare univer- sale pubblico, si traduce in una operazione che da a chi è più forte (chi può fare la con-
80 PARTE SECONDA ♦ WeLfare aziendaLe, weLfare pubbLico e contrattazione
trattazione), togliendo a chi non ha questa opportunità, e nel nostro Paese sappiamo che la contrattazione di secondo livello co- pre solo il 20% del mondo del lavoro.
Per questa ragione il documento unitario di Cgil-Cisl-Uil, nel cogliere l'opportunità offer- ta dal decreto sulla detassazione dei premi, per lo sviluppo della contrattazione azien- dale e territoriale, nel caso della sanità inte- grativa, indica la necessità che i fondi sanita- ri contrattuali, oltre a rivolgersi alle strutture private per l'erogazione delle prestazioni, optino per il convenzionamento con le strutture pubbliche. Si tratta di un modo per drenare risorse della contrattazione ver- so il sistema universale, un modo per far si che i più forti pensino anche ai più deboli e si tratterebbe di una dimostrazione concre- ta di come l'integrazione non è per dividere, ma per allargare l'accesso ai diritti. Se si pen- sa a quanta ingente sia la somma che i citta- dini spendono per interventi di sanità priva- ta, si può immaginare quali vantaggi pro- durrebbe in questo caso l'integrazione nel suo alimentare le strutture pubbliche.
L'altro elemento importante che il citato de-
creto ha introdotto e che può contribuire ad estendere il welfare contrattuale alle platee meno forti, è la dimensione territoriale. Se il welfare di cui si parla fosse esclusivamente quello "aziendale" è ovvio che la fetta più grande dei vantaggi fiscali sarebbe appan- naggio della parte più strutturata del siste- ma delle imprese, quelle più grandi. La pic- cola e media impresa, l'impresa artigiana, il terziario rischierebbero di venir tagliati fuori. In questo caso la possibilità di poter siglare accordi quadro territoriali, ai quali le singole aziende poter aderire, offre l'opportunità di rispondere ai bisogni di platee più ampie.
A questo punto, però, diventa necessario ri-
spondere alla domanda più importante: ma di quale welfare contrattuale parliamo?
Questa è la vera questione, perché attiene alla capacità nostra di elaborare un progetto compiuto in grado di rispondere a bisogni complessi e, spesso, differenziati fra aree e settori produttivi. Poiché, come detto in precedenza, il welfare contrattuale è stato individuato come terreno di business da parte di settori dell'impresa privata, si vanno sempre più diffondendo cataloghi offerti dalle aziende, che spaziano dalle polizze as- sicurative, ai carrelli della spesa.
La nostra posizione a questo proposito è e- stremamente chiara: il welfare contrattuale deve avere contenuti di grande valenza so- ciale, come peraltro scritto nell'accordo con la Confindustria. Non solo non può essere messa sullo stesso piano, per fare qualche e- sempio, l'assistenza domiciliare per gli an- ziani, con l'abbonamento per la palestra, op- pure, il sostegno ai processi formativi (a par- tire dagli strumenti per la didattica) con le sedute abbronzanti, ed ancora, la possibilità di usufruire dell'accesso a strutture per l'in- fanzia, con l'acquisto di detersivi o iPhone, ma questi piani dovrebbero possibilmente non doversi incontrare. E se qualcuno non avesse chiaro cosa possa entrarci l'assisten- za domiciliare per gli anziani, oppure, l'ac- cesso a strutture per l'infanzia con la con- trattazione, è sufficiente che guardi alla con- dizione in cui vivono le donne nel nostro Paese, all'assenza di politiche per la concilia- zione dei tempi di vita e di lavoro, o per le pari opportunità, per rendersi conto che di- ritto al lavoro e all'equa retribuzione sono fortemente messi in discussione, oltretutto, in settori dove le donne sono la maggioran- za degli addetti.
Occorre, dunque, progettare un welfare ter-
ritoriale a forte contenuto sociale, per incar- dinarvi la contrattazione, sia aziendale che territoriale. Ed è chiaro che questo tipo di contrattazione non può che connettersi
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 81
I TASCABILI
DI RASSEGNA
con la contrattazione sociale e territoriale, rivolta non solo al sistema delle imprese, ma anche alle istituzioni locali e regionali.
Un efficace ruolo del sindacato nella contrat- tazione del welfare presuppone -dunque- un forte cambio di paradigma, riuscire a vedere oggi quello che non c'era ieri, riuscire a rap- presentare oggi, ciò che ieri non appartene- va alla tradizione. Ed anche stare dentro la gestione di questo sistema, non per cambia- re mestiere, quanto per assumersi la respon- sabilità della sua giusta direzione di marcia. Il tema della governance infatti è strettamente connesso alla qualità del welfare contrattua- le. Coerenza delle scelte, trasparenza della gestione, finalizzazione delle risorse, impon- gono un nostro ruolo nel governo del siste- ma, anche per assicurare che il sistema man- tenga salde le fondamenta e resti in grado di assicurare la missione.
Per fare un esempio di quello di cui stiamo
parlando, è il caso di introdurre il tema della dimensione territoriale degli strumenti di welfare contrattuale. Ormai è palese la spin- ta a moltiplicare enti e fondi. Non solo le as- sociazioni datoriali all'interno delle quali si verificano scissioni, chiedono la costituzio- ne di nuovi strumenti che legittimino la loro rappresentanza, ma anche sul territorio esi- ste una spinta alla costituzione di fondi, co- me nel caso della sanità integrativa. È ovvio che questa moltiplicazione non può che av- venire intaccando le masse critiche neces- sarie per garantire la sostenibilità finanziaria degli strumenti ed occorre, dunque, muo- versi con molta attenzione e con motivazio- ni molto convincenti.
Quello che è certo è che non si tornerà più
indietro. Ma anche questa affermazione non deve essere vissuta come una realtà subita, perché la protezione sociale è l'altra faccia della battaglia salariale. L'importante è non confondere i piani, il welfare contrattuale e
aziendale non può essere vissuto e accettato come alternativa al salario, come pagamen- to in natura, anche solo per difendere il dirit- to alla libertà del consumo che ogni indivi- duo deve mantenere. Ma è indubbio che la condizione sociale di chi lavora non può più essere tutelata solamente attraverso le dina- miche salariali, soprattutto in epoche di scarsa crescita economica e di deflazione. Ec- co perché dobbiamo considerare questo terreno e questa sfida come qualcosa che ci appartiene e dobbiamo viverla da protagoni- sti, stando davanti e non a rimorchio. Solo così riusciremo a far vivere la funzione confe- derale, che consiste nel tenere insieme, nel trovare risposte per tutti e quando il lavoro non è più l'unica sede di costruzione dei di- ritti individuali e collettivi, il welfare, pubbli- co e privato, possono contribuire a realizzare un diritto di cittadinanza che vada oltre le di- visioni sociali e che, anche nel mondo del la- voro, la crisi e i conseguenti processi di ri- strutturazione hanno amplificato.
◆ PREMIO DI PRODUTTIVITÀ, WELFARE AZIENDALE E DIVERSE FIGURE CONTRATTUALI: INCLUSIONE ED ESCLUSIONE
XXXXXXX XXXXXX
segretario generale XXxxX Xxxx
C
hiedere a NIdiL di riflettere sui collega- menti tra i premi di produttività e il wel-
fare aziendale significa due cose: avere consa- pevolezza che sui lavoratori rappresentati da NIdiL si verifica la capacità del sindacato di su- perare le barriere che dividono i lavoratori in base alle tipologie d'impiego, e... non aver pau- ra dei risultati!
Aldilà delle battute, il tema è di straordinaria
82 PARTE SECONDA ♦ WeLfare aziendaLe, weLfare pubbLico e contrattazione
delicatezza, e non valgono certo giudizi liqui- datori o moralistici: si deve anzi cominciare col dire che in questi anni si è molto abbassata la capacità del sindacato e delle rappresentan- ze aziendali di conoscere e controllare l'orga- nizzazione del lavoro, e ciò ha permesso alle differenze di condizione, diritti e status di cre- scere tra i lavoratori.
Quindi riflettere oggi sul nesso tra premi e wel- fare aziendale nell'ottica dell'inclusione si- gnifica interrogarsi su come risalire una china che nel tempo è diventata molto profonda, e che si è venuta strutturando secondo alme- no tre vie:
♦ la più evidente, la diffusione di tante diver- se tipologie d'impiego all'interno di un unico luogo di lavoro;
♦ ma anche i processi di esternalizzazione/ cessione/ricorso agli appalti di pezzi di ciclo produttivo prima svolti col personale dell'im- presa madre;
♦ e, conseguenza dei due precedenti, appli- cazione di diversi regimi contrattuali, non so- lo per effetto di “accordi pirata”, con discipline declinanti sul piano dei diritti e delle tutele.
A conclusione di questo brevissimo schizzo, il delegato e il funzionario sindacale si ritrovano con luoghi di lavoro dove vivono diversi regi- mi contrattuali, intervengono diverse cate- gorie sindacali, e il più delle volte ci si scontra con il rinvio infinito delle risposte degli inter- locutori perché “io dipendo come voi dalle commesse o dagli ordinativi che mi vengono e quindi non ho margini di modifica”.
Il caso più emblematico riguarda la fruizione del premio di risultato: fin dal 1997 (pacchet- to Treu), il diritto a godere del premio in esse- re presso l'utilizzatore è stato sancito in linea di principio, demandando poi alla contratta- zione di definire “le forme e i modi” in cui ciò sarebbe avvenuto. Eppure, nonostante ciò, so- no state piuttosto poche le situazioni in cui l'e- rogazione è stata garantita senza dover azio-
nare strumenti via via più intensi fino alla ver- tenza collettiva. In questo campo si va dagli “errori di scrittura” dei testi contrattuali, che recitano ad esempio che i premi vanno a chi è in forza al momento della sottoscrizione del- l'accordo, che è un modo per escludere tutti quanti a quel risultato hanno concorso ma so- no cessati dall'impiego (vale per i lavoratori a termine come per i somministrati), a errori po- litici espliciti nelle intese che limitano espres- samente il beneficio a chi è assunto diretta- mente dall'impresa ed è a tempo indetermi- nato. Qui siamo di fronte a problemi di orien- tamento, che la Cgil ha il dovere di corregge- re, altrimenti la linea dell'inclusione è morta prima di cominciare. L'unica giustificazione che abbiamo sentito in questi anni, oggetti- vamente non discriminatoria ma molto insi- diosa, suonava così: “vorremmo erogare il pre- mio, ma nel frattempo i lavoratori tempora- nei hanno finito la loro missione, e non pos- siamo riaprire la posizione amministrativa”. Per rispondere a questo abbiamo definito nel rinnovo contrattuale del 2013 che, qualora l'e- rogazione del premio dell'utilizzatore avven- ga in periodi dove le missioni siano concluse, le agenzie debbano erogare ai lavoratori in somministrazione il premio nelle quantità de- finite per l'anno precedente. E nonostante che in questo modo si sia impedito qualunque ali- bi, abbiamo avuto nel 2016 il caso emblema- tico di Fca che non ha inteso erogare il premio, nelle sue due voci, ai lavoratori in sommini- strazione operanti in tutti gli stabilimenti del gruppo, prontamente seguita dalle imprese dell'indotto, a cominciare dal Consorzio Acm di Melfi. Solo dopo le iniziative di protesta, sia comuni tra noi e i sindacati metalmeccanici che di singole organizzazioni, Fca ha fatto mac- china indietro, naturalmente ricorrendoaun'in- tesa con i sindacati firmatari le intese separa- te vigenti nel gruppo. Altro esempio, indicati- vo di una difficoltà più generale che si riscon-
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I TASCABILI
DI RASSEGNA
tra nella P.A., la scelta delle Asl torinesi di non erogare il premio, nonostante la scrittura del bando alla base dell'appalto, aggrappandosi alla lettera dell'accordo siglato con le orga- nizzazioni sindacali, che “ovviamente” indica- no nei lavoratori dipendenti della Asl i desti- natari del premio, senza che ciò debba signifi- care, in forza del principio di parità più volte ri- chiamato, l'esclusione dei lavoratori in som- ministrazione!
Un'ulteriore difficoltà che si riscontra negli ac- cordi sui premi è la definizione dei requisiti d'accesso, che a volte sono tali da escludere i titolari di rapporti brevi, quali tempi determi- nati e lavoratori in somministrazione: anche qui se la logica deve essere quella dell'inclu- sione, requisiti troppo lunghi sono contrad- dittori, senza voler considerare che spesso ai lavoratori in somministrazione vengono affi- dati turni disagiati o comunque tali da accre- scere il potenziale produttivo dell'utilizzato- re, e quindi proprio ad accrescere quella pro- duttività i cui benefici vengono poi negati nel- la stipula degli accordi... insomma, la logica del- l'inclusione contrattuale deve crescere nella consapevolezza di tutti gli attori.
Altro discorso, per ora tutto da esplorare, sarà
l'inclusione dei lavoratori in somministrazio- ne nella fruizione dei benefici legati al welfare aziendale: qui giocano da un lato il principio di parità di trattamento economica e normati- va, che informa di sé la disciplina del lavoro in somministrazione fin dalle direttive comuni- tarie, e dall'altro l'attenzione che si dovrà man- tenere alta nell'approccio e nella scrittura de- gli accordi integrativi, sapendo che non è faci- le per le Rsu “ricordarsi” che in quel luogo di lavoro operano anche persone non dipendenti dell'impresa con cui si sta negoziando. Certo, la definizione di “pacchetti” di welfare, utiliz- zabili tramite voucher spendibili presso terzi non è in linea di principio incompatibile con la natura del lavoratore in missione. Non apro
qui il tema del rapporto tra negoziato, accor- do collettivo e scelte individuali, che pure la legge istitutiva affronta, ma che eccede le ti- tolarità di XXxxX. Un elemento “di sistema” va tuttavia segnalato, il mancato coordinamen- to e la possibile conflittualità tra le prestazio- ni di welfare aziendale, totalmente esenti sul piano fiscale per azienda e lavoratore, e ana- loghe prestazioni erogate dalla bilateralità na- zionale, definite nei Ccnl e, come tali, gravate da imposizione fiscale e contributiva: è il caso delle prestazioni garantite da Ebitemp ai lavo- ratori in somministrazione.
Infine, il mondo delle collaborazioni e dei rap-
porti di lavoro non dipendente. Qui il mondo è in evoluzione dopo il varo del Dlgs 81/2015 e la tanto enfatizzata soppressione delle col- laborazioni a progetto. In estrema sintesi le co- se stanno così:
♦ collaborazioni la cui natura sia caratteriz- zata da “eterodirezione”, cui, a partire dal giu- gno 2015 “si applica” la disciplina del lavoro dipendente: ergo, anche le provvidenze in es- sere in quel luogo di lavoro;
♦ collaborazioni disciplinate da parte dei sin- dacati nazionali comparativamente più rap- presentativi in forza delle specificità settoria- li riscontrate: qui decisivo è il contenuto degli accordi, l'obiettivo è di non discostarsi troppo dai contenuti economici e normativi del lavo- ro dipendente analogo, ma certamente non si raggiunge lo stesso livello di tutela, e spesso si rimanda al secondo livello la definizione di
problematiche legate allo svolgimento della prestazione. Esempi positivi di questa impo- stazione sono stati gli accordi firmati unitaria- mente da NIdiL, Felsa, Uiltemp con Aio (im- prese di call center e servizi di recupero credi- ti) ed Eci (istituti di lingua). Qui si potrà prova- re ad aprire il ragionamento sulla estensione dei benefici legati al welfare aziendale, aven- do particolare attenzione ai due ambiti della tutela della salute e della formazione, su cui la
84 PARTE SECONDA ♦ WeLfare aziendaLe, weLfare pubbLico e contrattazione
leggeè particolarmente carente; in questo am- bito NIdiL ha sempre puntato a giungere alla sottoscrizione delle intese previa verifica/con- fronto con la/le categorie dei lavoratori di- pendenti, al fine di minimizzare l'oggettivo ele- mento di dumping che la definizione dell'ac- cordo comportava. Vale la pena ricordare che proprio qui si annida il riaprirsi delle disugua- glianze, e che ciò richiederà un impegno co- mune tra NIdiL e le categorie per governarle e auspicabilmente superarle nella contratta- zione aziendale;
♦ collaborazioni coordinate e continuative
ex. art. 409 c.p.c.: la legge le ha lasciate in vi- gore, sono rapporti prettamente personali e come tali sfuggono alle regolazioni collettive. Una particolare attenzione va rivolta alla Pub- blica Amministrazione, alcuiinterno le xx.xx.xx. sono assai presenti e il cui futuro è oggettiva- mente minacciato dal divieto di rinnovo dei contratti dopo il 31 dicembre 2016.
◆ LA “QUALITÀ” DEL WELFARE AZIENDALE: INTERVENTI, GOVERNANCE E LIVELLI DELLA CONTRATTAZIONE SINDACALE
BEPPE DE SARIO
Fondazione Xxxxxxxx Di Xxxxxxxx
L
a critica sindacale, e non solo, a proposito diwelfareaziendalehamessoinlucequan-
to esso rispecchi e si sovrapponga alle dise- guaglianze e ai dualismi già di per sé presenti nel sistema contrattuale, nel mercato del la- voro, nei fattori dimensionali delle imprese ita- liane, senza contare le sperequazioni territo- riali tra Nord e Sud del Paese. In questa corni- ce, leesperienze diwelfareaziendale vannoco- munque diffondendosi, e trovano un sostegno strutturale nella revisione degli articoli del Te-
sto unico sulle imposte dei redditi (Tuir, art. 51 e 100) che regolano il trattamento fiscale dei redditi da lavoro e dei costi aziendali in rela- zione alle materie cosiddette di welfare. So- prattutto,sulpianocontrattuale,ilwelfareazien- dale si diffonde grazie alle norme sulla detas- sazione dei premi dirisultato, rilanciate per l’an- no 2016 e in probabile ampliamento nella leg- ge di bilancio 2017.
A un’estensione quantitativa del welfare azien- dale non necessariamente si associa un’evo- luzione qualitativa dei suoi contenuti e delle sue prassi, specie se la spinta che ne determi- na l’estensione – in questa fase, e con gli attuali strumenti normativi – risiede principalmente nei processi di incremento di produttività (a loro volta selettivi, in aggiunta ai dualismi e al- le disparità citate) e nel dispositivo del premio di risultato, per sua natura variabile e quindi strumento inadeguato a una pianificazione di medio-lungo termine di piani e sistemi di in- terventi che vogliano definirsi di “welfare”. Anche questo aspetto, insieme agli altri indi- cati nel contributo che segue, alludono al fat- to che a oggi non esiste un welfare aziendale inteso come sistema di prassi e regole conso- lidate, ispirate a una cornice di principio delle relazioni industriali e a orientamenti contrat- tuali e tecnici consolidati. La qualità degli in- terventi di welfare è quindi spesso demanda- ta a buona volontà, capacità e coinvolgimen- to delle parti – management, lavoratori, rap- presentanze sindacali – e alla disponibilità ade- guatadi risorse. Insostanza, essadipendedal- la congiuntura e da elementi soggettivi con- tingenti. Raramentetalequalità sidistendesu un orizzonte ampio capace di cogliere le ca- ratteristiche migliori dal welfare territoriale pubblico circostante, traendo ispirazione da esso o anche dalle consolidate pratiche sin- dacali di contrattazione sociale territoriale. La questione della qualità del welfare azienda- le nonèall’anno zero, né per il sindacato confe-
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 85
I TASCABILI
DI RASSEGNA
derale e dei pensionati – largamente impegna- ti nella contrattazione sociale – né per le cate- gorie stesse, specie se capaci diritornare inmo- do creativo alla propria storia negoziale. Anzi- tutto, la qualità del welfare aziendale non è af- fatto un tema “tecnico”. Nella storia della con- trattazioneaziendalel’assunzioneditematiche tecnico-organizzative all’interno dell’agenda sindacale,conlerelativeripercussionisullacon- dizione di lavoroesull’attività di rappresentan- za, ha una tradizione ampia e radicata. Questo è avvenuto sia rispetto a tematiche trasversali (dalla salute e sicurezza sul lavoro ai temi della formazione) sia nella valorizzazione dei saperi professionalistessisoprattuttonelsettorepub- blico (scuola, sanità). Tale dimensione dell’in- novazione non è intercettata pienamente dal- l’attivitànegozialesulwelfareaziendale, senon nelle commissioni paritetiche che diversi con- tratti integrativi costituiscono – anche in que- sta fase – specie sui temi della conciliazione vi- ta-lavoro e pari opportunità. Queste esperien- ze possono implicareunruolo preminentedel- le rappresentanze in azienda mediante com- missioni tecniche, coinvolgendo anche esper- ti e consulenti (ad esempio, rispetto a temati- che fiscali), oppure costituire una sorta di cabi- na di regia per le sperimentazioni dei piani di welfare in cui ideazione, accompagnamento, monitoraggio e verifica risultano essenziali an- che per i delegati sindacali.
Generalmente, tuttavia, le misure non imme-
diatamente applicabili (tutto ciò che non at- tiene a un semplice cambiamento normativo, procedurale, regolamentareesigibileinquan- to tale) vengono spesso considerate già ac- quisite al momento dell’accordo contrattua- le. Di conseguenza ciò significa demandare al- la proprietà e al management la scelta delle modalità atte a consentire l’accesso dei lavo- ratori alle opzioni di welfare: ad esempio me- diante le società – in rapida diffusione e cre- scita – che si occupano di fornire alle imprese
i servizi informatici e consulenziali per strut- turare un piano di welfare. Tra queste, alcune offrono prodotti integrati che comprendono la piattaforma online ma anche servizi fiscali, progettuali, contrattualistici rispetto alla pra- ticabilità delle soluzioni nel quadro della nor- mativa di riferimento e delle relazioni sinda- cali in azienda. Ciò può comportare, in linea generale, un disequilibrio informativo e di co- noscenza nel confronto negoziale stesso tra azienda e rappresentanze sindacali.
Altro aspetto di rilievo risulta nella scelta dei soggetti terzi chiamati a offrire servizi di wel- fare aziendale, laddove si configurino mediante convenzioni e “scontistica”, oppure con l’ac- cesso a veri e propri beni, servizi o prestazioni. È assai raro il coinvolgimento del sindacato – anche per sottrazione del tema al confronto negoziale – nella scelta dei “fornitori”. Si trat- ta invece di una questione non relegabile nel campo delle “tecnicalità”: essa ha implicazio- niperlapartecipazione dellerappresentanze, per una contrattazione più inclusiva (si tratta di particolari generi di “subfornitori”, in que- sto caso anche di servizi e prestazioni di natu- ra sociale) e può averle anche sul piano della responsabilità sociale d’impresa, su cui è pos- sibile far leva in sede di confronto. Questi aspet- ti potrebbero diventare cruciali nel momen- to in cui si dovesse diffondere un’opportunità prevista nella revisione delle norme sul welfa- re aziendale, definite con la Legge di bilancio 2016, e cioè la possibilità per le imprese di ero- gare “voucher” a titolo di welfare aziendale. Ta- le strumento potrebbe prestarsi in particola- re all’erogazione di alcuni servizi e prestazio- ni finora poco diffusi nel campo del welfare aziendale, anche per la complessità della scel- ta di fornitori accreditati: quelli legati alla cu- ra della persona e alla non autosufficienza. Per- tanto sarebbe necessario anticipare tali po- tenzialità valorizzando il sistema dei servizi pubblici (domiciliarità) e riflettendo su possi-
86 PARTE SECONDA ♦ WeLfare aziendaLe, weLfare pubbLico e contrattazione
bili convenzioni, meccanismi di “accredita- mento” ispirati alle modalità sperimentate nel welfare pubblico territoriale, albi di fornitori certificati, ad esempio tra soggetti del Terzo settore che rispondano a standard più eleva- ti di quelli di mercato in senso stretto. In ciò suggerendo un’analogia necessaria – per quan- to non sufficiente e semmai da articolare ri- spetto al tema – con la regolazione dei rapporti con fornitori esterni, relativamente alla qua- lità del servizio/prestazione ma anche alle con- dizioni contrattuali e di lavoro applicate dai fornitori stessi.
Tutto questo in quali forme può prendere cor-
po? Dall’alto, e cioè mediante l’azione delle or- ganizzazioni sindacali e datoriali di livello ter- ritoriale, ciò potrebbe avvenire stabilendo re- lazioni di valore con gli stakeholder esterni: isti- tuzioni pubbliche, fornitori di servizi, associa- zionismo e volontariato, gruppi e comitati di cittadini.Sulpianoaziendale,invece,sipotrebbe procedere attraverso i meccanismi sperimen- tati del confronto tra le parti; ma anche con nuove attribuzioni ai Cral aziendali (laddove presenti), oppure con la creazione di enti ter- zi, associazioni paritetiche di scala aziendale, interaziendale ma anche territoriale – con la possibilità di includere il tessuto della piccola e media impresa – che siano finalizzate a costi- tuire “fondi sociali” a cui i lavoratori potrebbe- ro aderire liberamente,conlapossibilitàdicoin- volgere sia le rappresentanze sindacali sia la- voratori e lavoratrici eletti allo scopo.
Questa prospettiva di innovazione sociale del-
la contrattazione ha anche basi nella riflessio- ne confederale, ad esempio nel riferimento al- l’attivazione delle “competenze sociali dei de- legati” presente nelle linee guida per la con- trattazionesocialeterritoriale. Perunaltrover- so, quindi, sulle tematiche del welfare azien- dale appaiono con evidenza i bisogni di dele- gati e responsabili della contrattazione di ca- tegoria relativi a formazione e informazione,
necessità di approfondimento tematico e ac- cesso a servizi tecnici, consulenze professio- nali, opportunità di networking sia interno al sindacato sia con altri stakeholder.
Nel merito, il potenziamento delle compe- tenze dei delegati incontra il ruolo diversifica- to del sindacato di categoria, il quale può es- sere moderatore e facilitatore dei rapporti sia tra delegati di diverse unità produttive sia tra questi e l’azienda. Rispetto alla definizione del- leagendenegoziali, l’incontrotraresponsabi- li nazionali, territoriali e delegati mette a con- fronto punti di vista anche diversi, ma com- plementari: ad esempio, rispetto alla scala di valori e ai temi chiave dell’agenda sul welfare i responsabilinazionali possonofar riferimen- to a temi portati nelle contrattazioni azienda- li a seguito di campagne sostenute dall’oriz- zonte valoriale del sindacato (equiparazione dei diritti delle coppie di fatto/dello stesso ses- so, congedo di paternità, contrasto di stalking e molestie, etc.); dall’altra, i delegati specifica- no e personalizzano l’introduzione di misure innovative, spesso riferendosi a casi concreti, esperienze dirette e contesti precisi con alla base un’evidente osservazione dei bisogni di lavoratori e lavoratrici (permessi per deter- minate patologie, riabilitazione e periodo di comporto, orientamento dei servizi di welfa- re aziendale anche ai bisogni di una popola- zione più matura sotto il profilo dell’età, etc.). Innovazione sociale del welfare aziendale può significare pertanto porre attenzione:
♦ alla qualità intrinseca di beni, servizi e pre-
stazioni;
♦ al processo post-negoziale di implementa- zione dei piani di welfare, compresi la verifica e il monitoraggio;
♦ all’ispirazione mediante linee guida, stan- dard, vincoli promossi dalla contrattazione so- ciale territoriale a proposito dei servizi pub- blici del territorio e– laddove presenti – utiliz- zati dalle istituzioni stesse;
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 87
I TASCABILI
DI RASSEGNA
♦ all’adozione di criteri ispirati al principio di progressività, naturalmente coniugato con il riconoscimentocontrattualedellaprestazio- ne lavorativa.
La qualità dei beni e servizi contrattati deve considerare una dialettica tra richieste di tipo distributivoe relative al“riconoscimento”, ov- vero richieste differenziate dei lavoratori e la- voratrici che riflettono diversi profili di uso del tempo di lavoro, dei bisogni personali e fami- gliari, degli orizzonti di valore i quali hanno cer- tamente una ricaduta sull’agenda di priorità che precipita nelle piattaforme sindacali.
La contrattazione sul welfare, una volta defi- nita, può portare a commissioni tecniche o ul- teriormente negoziali, con un ruolodellerap- presentanze aziendali e dei lavoratori. In que- sto caso si pone la questione di una formazio- ne specifica – anche tecnica – al confronto pa- ritetico a livello aziendale, specie laddove que- sto consideri procedimenti sperimentali, ve- rifichedellemisureadottate, coinvolgimento dei lavoratori rispetto alle loro preferenze. Tut- ti aspetti rilevanti nell’adozione di misure di welfare aziendale, e non solo. Per diverse ma- terie a cavallo tra welfare aziendale e concilia- zione vita-lavoro (in cui potrebbero rientrare misure sull’esigibilità dei permessi, sugli orari o sull’organizzazione del lavoro), l’apporto congiunto dei lavoratori stessi e dei respon- sabili di produzione (reparto, settore, nego- zio, etc.) può contribuire positivamente, o quantomeno – nel caso dei responsabili in- termedi – prevenire eventuali resistenze nel- l’applicazione delle misure.
Tutto questo vale naturalmente per temi e ma-
terie del welfare aziendale contrattato, e cioè oggetto delle relazioni sindacali. Vi è inoltre l’ampio campo del welfare unilaterale gestito direttamente dalle aziende. Molte imprese presentano regolamenti o policy che inclu- dono misure di welfare, in genere unilaterali, a volte sovrapposte o non armonizzate con il
welfare contrattato in azienda, con i benefici del sistema bilaterale o i Fondi previdenziali o le assicurazioni sanitarie di natura contrattuale. Elemento da non trascurare, infine, è il princi- pio di progressività che ispira le azioni di con- trattazione sociale del sindacato (ad esempio nella negoziazione delle politiche fiscali loca- li) e che dovrebbe rafforzare la contrattazio- ne aziendale, anche in tema di welfare. Non va dimenticato che per quanto la normativa sul welfare aziendale (Tuir e detassazione del pre- mio di risultato) sia formalmente universali- stica, e cioè riconosca un trattamento di van- taggio solo nel caso di interventi rivolti a “po- polazioni omogenee” o alla totalità dei di- pendenti, essa non è affatto socialmente o fi- scalmente neutra. Difatti, quanto più è alto il livello di reddito dei lavoratori che ricevono parti del proprio salario variabile in welfare aziendale (e la Legge di stabilità 2017 dovrebbe portare il tetto a 80.000 euro) tanto maggio- re è il vantaggio fiscale rispetto all’aliquota mar- ginale che sarebbe stata applicata ai redditi medio-alti. Senza contare che anche a parità teorica di libertà di scelta, all’interno di un pa- nieredi welfare i lavoratoricon diversilivellidi retribuzione probabilmente effettuerebbero scelte differenti, le une più obbligate delle al- tre. Ad esempio, quanti lavoratori con retri- buzioni medio-basse decideranno di avvaler- si di una nuova opportunità in discussione nel- la legge di stabilità 2017, ovvero la non con- correnza – in termini di deducibilità fiscale – tra versamento previdenziale del premio di ri- sultatoeversamentivolontari, arrivando auna contribuzione integrativa annua superiore al- la soglia di 5.164,57 euro? Evidentemente si tratta di un’opportunità socialmente seletti- va e fiscalmente regressiva, a vantaggio di qua- dri e middle management delle imprese.
88 PARTE SECONDA ♦ WeLfare aziendaLe, weLfare pubbLico e contrattazione
APPENDICE
La contrattazione sociale 2015,
Le tematiche
♦
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 89
I TASCABILI
DI RASSEGNA
AREA 1 ◆ RELAZIONI TRA LE PARTI E DEFINIZIONE DEL PROCESSO | (ACCORDI) |
Area primo livello | Area secondo livello |
1. Relazioni tra le parti e definizione del processo (507/81,1%) | 1.1. Valutazioni di premessa (475/76%) 1.2. Composizione tavoli di confronto (152/24,3%) 1.3. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati, osservatori (78/12,5%) |
AREA 2 ◆ POLITICHE E STRUMENTI DELLA PARTECIPAZIONE E CITTADINANZA ATTIVA (ACCORDI) | ||
Area primo livello | Area secondo livello | Area terzo livello |
2. Politiche e strumenti della partecipazione e cittadinanza attiva (204/32,6%) | 2.1. Bilanci sulla qualità sociale (14 /2,2%) 2.2. Bilancio partecipato, partecipativo (24/3,8%) 2.3. Percorsi di informazione, consultazione coinvolgimento dei lavoratori e dei cittadini (143/22,9%) 2.4. Promozione del terzo settore e della partecipazione sociale (84/13,4%) 2.5. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati, osservatori (3/0,5%) | 2.1.1. Bilancio sociale (10/1,6%) 2.1.2.Bilancio di genere (2/0,3%) 2.1.3. Bilancio ambientale (1/0,2%) |
AREA 3 ◆ PUBBLICA AMMINISTRAZIONE | (ACCORDI) |
Area primo livello | Area secondo livello |
3. Pubblica amministrazione (242/38,7%) | 3.1. Politiche del personale (42/6,7%) 3.2. Esternalizzazioni e internalizzazioni (18/2,9%) 3.3. Regolazione appalti e subappalti (105/16,8%) 3.4. Accreditamento (3/0,5%) 3.5. Formazione del personale e organizzazione (51/8,2%) 3.6. Aziende pubbliche e partecipate (25/4%) 3.7. Relazioni tra amministrazioni e gestioni associate (141/22,6%) 3.8. Uso del patrimonio pubblico (6/1%) 3.9. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati, osservatori (5/0,8%) |
AREA 4 ◆ POLITICHE DI BILANCIO | (ACCORDI) |
Area primo livello | Area secondo livello |
4. Politiche di bilancio (379/60,6%) | 4.1. Confronto sugli accordi di mandato (3/0,6%) 4.2. Confronto sui bilanci di previsione (361/57,8%) 4.3. Confronti su consuntivo e assestamento di bilancio (15/1,9%) 4.4. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati, osservatori (0) |
90 APPENDICE ♦ La contrattazione sociaLe 2015: Le tematiche
AREA 5 ◆ POLITICHE SOCIO-SANITARIE ED ASSISTENZIALI (ACCORDI) | ||
Area primo livello Area secondo livello Area terzo livello | ||
5. Politiche socio-sanitarie ed assistenziali (476/76,2%) | 5.1. Programmazione servizi e prestazioni (77/12,3%) 5.2. Modelli organizzativi e dell’offerta (125/20%) 5.3. Prestazioni e servizi (359/57,4%) 5.4. Interventi di contrasto alla povertà (313/50,1%) 5.5. Non autosufficienza (150/24%) 5.6. Welfare integrativo/ mutualità territoriale (8/1,3%) 5.7. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati, osservatori (29/4,6%) | 5.1.1. Piani e programmazione sociale (6/1%) 5.1.2. Piani e programmazione sanitaria (11/1,8%) 5.1.3. Piani e programmazione integrata (17/2,7%) 5.1.4. Piani di zona e/o distrettuali (38/6,1%) 5.2.1. Aziende speciali e società partecipate (23/3,7%) 5.2.2. Modalità di affidamento delle prestazioni (58/9,3%) 5.2.3. Semplificazione percorsi di accesso (36/5,8%) 5.2.4. Modalità di presa in carico (18/2,9%) 5.2.5. Carta dei servizi/Diritti degli utenti (21/3,4%) 5.3.1. Residenziali (140/22,4%) 5.3.2. Semiresidenziali (76/12,6%) 5.3.3. Domiciliari (225/36,0%) 5.3.4. Territoriali (183/29,3%) 5.3.5. Accoglienza ed emergenza (18/2,9%) 5.3.6. Prevenzione socio-sanitaria e promozione della salute e del benessere (43/6,9%) 5.4.1. Minimo vitale/Reddito minimo (28/3,4%) 5.4.2. Contributi economici una tantum (133/27,2%) 5.4.3. Contributi in servizi/beni di prima necessità (109/25,1%) 5.4.4. Interventi promozionali per l’inclusione sociale (68/4,5%) 5.5.1. Contributi economici (88/14,1%) 5.5.2. Servizi di sostegno alla non-autosufficienza (46/7,1%) 5.5.3. Regolarizzazione, formazione e accreditamento lavoro di cura (8/4,3%) |
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 91
I TASCABILI
DI RASSEGNA
AREA 6 ◆ POLITICHE DEL LAVORO E DELLO SVILUPPO (ACCORDI) | ||
Area primo livello Area secondo livello Area terzo livello | ||
6. Politiche del lavoro e dello sviluppo (334/53,4%) | 6.1. Accordi di area e pianificazione interventi (15/2,4%) 6.2. Sviluppo dell’economia sociale e solidale (11/1,8%) 6.3. Sostegno ad aziende e creazione di impresa (29/4,6%) 6.4. Azioni per l’inserimento lavorativo (185/29,6%) 6.5. Tutela del lavoro (94/15%) 6.6. Protezione sociale e del reddito (124/19,8%) 6.7. Azioni per la conciliazione (1/0,2%) 6.8. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati, osservatori (4/0,6%) | 6.4.1. Sportello lavoro/servizi per l’impiego (32/6,5%) 6.4.2. Formazione continua/professionale (40/8,2%) 6.4.3. Progetti speciali di inserimento socio-lavorativo (113/23,1%) 6.5.1. Contrasto ed emersione del lavoro nero e irregolare (28/5,7%) 6.5.2. Contrasto della precarietà e stabilizzazione del lavoro (16/3,3%) 6.5.3. Salute e sicurezza (41/8,4%) 6.6.1. Ammortizzatori sociali (12/2,5%) 6.6.2. Sostegno al reddito dei soggetti interessati da crisi aziendali o occupazionali (89/18,2%) 6.6.3. Sostegno all’autoimpiego e microimpresa (5/1,0%) |
92 APPENDICE ♦ La contrattazione sociaLe 2015: Le tematiche
AREA 7 ◆ POLITICA LOCALE DEI REDDITI E DELLE ENTRATE | (ACCORDI) | ||
Area primo livello Area secondo livello | Area terzo livello | ||
7. Politica locale dei redditi e delle entrate (536/85,8%) | 7.1. Isee (379/60,6%) 7.2. Compartecipazione costi welfare (321/51,4%) | 7.2.1. Rette servizi pubblici (130/26,6%) 7.2.2. Ticket sanitari (79/16,2%) | |
7.3. Tariffe servizi pubblici (400/64%) | 7.3.1. Rifiuti (168/34,4%) 7.3.2. Utenze domestiche (137/28,8%) 7.3.3. Trasporti pubblici (25/5,1%) | ||
7.4. Imposte e tasse locali (446/71,4%) 7.5. Altre imposte tariffe e tasse locali (16/2,6%) 7.6. Calmieramento prezzi (20/3,2%) 7.7. Baratto amministrativo (14/2,2%) 7.8. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati, osservatori (7/1,1%) | 7.4.1. Contrasto all’evasione fiscale e tributaria (170/34,8%) 7.4.2. Addizionali Irpef (268/54,8%) 7.4.3. Imu (253/51,7%) 7.4.4. Tasse di scopo (74/15,1%) 7.4.5. Tasi (269/55,0%) |
AREA 8 ◆ AZIONI DI CONTRASTO DELLE DISCRIMINAZIONI E PARI OPPORTUNITÀ (ACCORDI) | |
Area primo livello | Area secondo livello |
8. Azioni di contrasto | 8.1. Pari opportunità e integrazione (48/7,7%) |
8.2. Azioni contro le discriminazioni per età (1/0,2%) | |
delle discriminazioni | |
8.3. Azioni contro razzismo e xenofobia (4/0,6%) | |
e pari opportunità | |
8.4. Azioni contro le discriminazioni di genere e scelta sessuale (10/1,6%) | |
(81/13%) | |
8.5. Azioni contro le discriminazioni ai disabili (11/1,8%) | |
8.6. Azioni di contrasto della violenza su donne e minori (22/3,5%) | |
8.7. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati, osservatori (4/0,6%) |
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 93
I TASCABILI
DI RASSEGNA
AREA 9 ◆ POLITICHE ABITATIVE E DEL TERRITORIO (ACCORDI) | ||
Area primo livello Area secondo livello Area terzo livello | ||
9. Politiche abitative e del territorio (371/59,4%) | 9.1. Pianificazione e gestione del territorio (96/15,4%) 9.2. Politiche ambientali (119/19%) 9.3. Politiche per la casa e condizione abitativa (285/45,6%) 9.4. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati, osservatori (5/0,8%) | 9.1.1. Definizione, attuazione e varianti dei piani regolatori (5/0,8%) 9.1.2. Programmazione, recupero urbano e cura del territorio (77/12,3%) 9.1.3. Programmi di infrastrutturazione del territorio (21/3,4%) 9.1.4. Adeguamento tempi e orari della città (10/1,6%) 9.2.1. Organizzazione servizi igiene urbana, raccolta differenziata e verde pubblico (36/5,8%) 9.2.2. Mobilità urbana ed extraurbana (58/9,3%) 9.2.3. Efficienza e risparmio energetico ed idrico (45/7,2%) 9.3.1. Programmazione edilizia sociale (75/12%) 9.3.2. Risanamento alloggi (26/4,2%) 9.3.3. Graduazione sfratti emergenza abitativa e morosità (59/9,4%) 9.3.4. Interventi sugli affitti (207/33,1%) 9.3.5. Agevolazioni acquisto prima casa (1/0,2%) |
94 APPENDICE ♦ La contrattazione sociaLe 2015: Le tematiche
AREA 10 ◆ POLITICHE DELL’INFANZIA, PER I GIOVANI, EDUCATIVE E DELL’ISTRUZIONE (ACCORDI) | ||
Area primo livello | Area secondo livello | Area terzo livello |
10. Politiche dell’infanzia, per i giovani, educative e dell’istruzione (268/42,9%) | 10.1. Asili nido (97/19,8%) 10.2. Scuole d’infanzia (62/10,1%) 10.3. Scuola primaria e medie inferiori (52/3,7%) 10.4. Università, scuole superiori, Centri di Formazione Professionale (8/1%) 10.5. Diritto allo studio (155/31,7%) 10.6. Apprendimento permanente e università popolari (5/0,8%) 10.7. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati, osservatori (2/0,3%) | 10.5.1. Pre e post-scuola (66/10,6%) 10.5.2. Mense e trasporti (137/21,9%) 10.5.3. Integrazione (39/6,2%) 10.5.4. Convenzioni e agevolazioni per gli studenti (14/2,2%) 10.5.5. Contrasto della dispersione scolastica (5/0,8%) |
AREA 11 ◆ POLITICHE CULTURALI, DI SOCIALIZZAZIONE E SICUREZZA (ACCORDI) | ||
Area primo livello | Area secondo livello | Area terzo livello |
11. Politiche culturali, di socializzazione e sicurezza (206/33%) | 11.1. Promozione dell’offerta e delle attività culturali (60/9,6%) | 11.1.1. Biblioteche e servizi informativi (13/2,1%) 11.1.2. Promozione delle attività culturali e interculturali (50/8%) |
11.2. Iniziative di socializzazione (158/25,3%) 11.3. Piani per la sicurezza urbana, la vigilanza ed i soccorsi (62/9,9%) 11.4. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati, osservatori (2/0,3%) | 11.2.1. Promozione centri di aggregazione (90/14,4%) 11.2.2. Promozione del turismo sociale (60/9,6%) 11.2.3. Promozione dello sport di base (32/5,1%) |
SETTIMO RAPPORTO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE 95
Supplemento al n. 10-2016 di Materiali di Rassegna Sindacale
Direttore responsabile Xxxxx Xxxxx
Chiuso in tipografia il 28 ottobre 2016 • Stampa Spadamedia, Roma
E
Edit Coop, società cooperativa di giornalisti