RETRIBUZIONE
Trattamento economico del lavoratore
RETRIBUZIONE
Risulta alquanto complicato elaborare una definizione unica del concetto di retribuzione poiché nel nostro ordinamento non esiste una norma che né contenga l’esatta nozione, essa pertanto dovrà essere necessariamente dedotta dalle varie fonti legislative che né fanno riferimento, in particolare la Costituzione ed il Codice Civile.
Dal punto di vista giuridico la retribuzione costituisce l’elemento fondamentale del rapporto di lavoro che ha la sua origine in un contratto sinallagmatico o a prestazioni corrispettive, caratterizzato dal connotato dell’onerosità e dall’esistenza di un nesso funzionale tra prestazione lavorativa e controprestazione economica.
L’obbligo retributivo, pertanto, in virtù del sinallagma contrattuale, costituirà il principale adempimento del datore di lavoro a cui corrisponderà la prestazione lavorativa della controparte, considerando che la corresponsione economica dovrà essere adeguata a quella dell’obbligazione lavorativa.
E’ l’art.36 della nostra Carta Costituzionale, infatti, a sancire che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro svolto, che dovrà essere sufficiente ad assicurare per sé e per la sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
Ed ancora l’ art.2094 Codice Civile, ai fini dell’elaborazione della nozione di retribuzione, stabilisce che il prestatore di lavoro subordinato è colui che si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore ( Cassazione 22/9/1999, n.10314).
Requisito fondamentale della nozione di retribuzione è l’obbligatorietà, laddove essa costituisce l’oggetto di un’obbligazione pecuniaria da parte del datore di lavoro, né deriva, pertanto, che
sarà parte integrante della remunerazione tutto ciò che è dovuto al prestatore di lavoro in via necessaria e non eventuale, come compenso di una specifica attività lavorativa (artt.1277 e seguenti cod. civ).
Si precisa che quanto corrisposto al prestatore di lavoro non sempre è considerato un elemento integrante della retribuzione; le erogazioni di benefici economici, ad esempio, effettuate dal datore di lavoro a scopo assistenziale, di liberalità o perché previste dalla contrattazione collettiva, non rientrano in prestazioni avente carattere propriamente retributivo e pertanto non fanno parte della retribuzione.
Emerge che il diritto alla retribuzione, sancito dall’ art.36 della Costituzione, risulta caratterizzato da una sostanziale indeterminatezza e genericità, avendo esso natura precettiva, conferendo, pertanto, ampia discrezionalità di intervento ai giudici nei casi in cui il corrispettivo non sia stato determinato dalla volontà delle parti.
Nonostante tale astrattezza concettuale, è possibile affermare con certezza che il disposto costituzionale contiene il riferimento a due elementi essenziali: la proporzionalità e la sufficienza; il primo è riferito al rapporto intercorrente tra datore e prestatore, la cui funzione è rapportare la misura della retribuzione alla qualità ed alla quantità di lavoro prestato; il secondo invece introduce una valutazione di tipo sociale e morale della retribuzione, vista come elemento strumentale atto a soddisfare i bisogni primari ed inderogabili di una popolazione, assecondando il progresso di una civiltà.
La mancanza nel nostro ordinamento di una regola che recepisca, la nozione di “salario minimo orario”, tanto auspicata da una parte della dottrina, se da un lato offre il vantaggio di ancorare la retribuzione del lavoratore subordinato ad un criterio fisso e generale, revisionabile nel tempo, dall’altro appare eccessivamente rigido e come tale inadeguato a rappresentare il corrispettivo, sia pur minimo, di prestazioni lavorative che possono assumere contenuti e valori diversi.
E’ stata rimessa, pertanto, alla contrattazione collettiva la determinazione dei trattamenti retributivi spettanti ai lavoratori appartenenti alle varie categorie ed ai diversi settori aziendali, rispetto alle qualifiche, ai livelli di inquadramento ed alle mansioni svolte, allo scopo di introdurre in un quadro normativo, tendenzialmente piatto ed uniforme, trattamenti economici, regole ed elementi di flessibilizzazione, con o senza l’appoggio della legge.
L’art.2099, comma 2, Codice Civile, infatti, attribuisce in via primaria alla contrattazione collettiva il compito di stabilire la misura della retribuzione dovuta dal datore di lavoro al prestatore; possiamo affermare, pertanto, che la funzione principale del contratto collettivo, è quella tariffaria, in quanto provvede a fissare la misura minima della retribuzione, tale da poter soddisfare non solo l’interesse meramente individuale, del singolo lavoratore, bensì collettivo, cioè di un intero gruppo professionale.
Sicuramente anche il regime della sindacalizzazione dei trattamenti retributivi presenta limiti ed inconvenienti che possono trovare rimedi adeguati, all’interno dell’istituto contrattuale, attraverso l’evoluzione delle sue regole o all’esterno, a seguito di interventi legislativi o giurisprudenziali mirati.
In passato, ad esempio, è avvenuto che i sindacati non essendo stati in grado di tutelare equamente gli interessi collettivi di alcune classi di lavoratori, appartenenti a categorie poco vitali o scarsamente organizzate (es. portieri dei condomini di abitazione civile), hanno reso necessario l’intervento specifico del legislatore.
In ogni caso, qualora il lavoratore voglia contestare la legittimità della retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva di categoria, potrà invocare il disposto dell’ >art.36 della Costituzione, laddove il giudice sarà in grado di individuare la retribuzione equa e sufficiente in base ad un parametro esterno abbastanza attendibile.
Requisiti
Proporzionalità
Il requisito della proporzionalità (art.36 Costituzione), impone che la retribuzione sia determinata, secondo un criterio oggettivo di equivalenza, sulla base della quantità e della qualità del lavoro prestato, pertanto la sua commisurazione dipenderà non solo dalla durata del lavoro, ma anche dal suo contenuto professionale.
Tale elemento quantitativo si misura principalmente in relazione alla durata nel tempo
dell’impegno lavorativo (Cassazione 3/4/1999, n. 3235), ma anche in base ai risultati, ai prodotti o agli utili che né derivano nelle diverse forme retributive.
Il connotato della quantità, ad esempio, si manifesta con particolare evidenza nel caso di lavoro a tempo ridotto o part-time, dove al lavoratore verrà corrisposto un importo retributivo proporzionato alla minore durata della prestazione lavorativa e nel caso del lavoro straordinario, dove al contrario, la prestazione prosegue oltre il limite del normale orario di lavoro, stabilito dalla legge, determinando così un’integrazione della retribuzione.
La qualità del lavoro svolto, invece, riguarda il contenuto ed il valore professionale della prestazione lavorativa in relazione al raggiungimento degli obiettivi aziendali, laddove detto valore sarà determinato in base ad elementi che risultano dalle mansioni assegnate e dalle relative qualifiche, stabilite dalla contrattazione collettiva.
E’ possibile affermare, dunque, che con il requisito della proporzionalità è stato introdotto nella nostra Costituzione il principio della differenziazione salariale, in relazione alle mansioni svolte ed alla classificazione professionale assegnata al prestatore di lavoro.
Sufficienza
Altro requisito, indicato dall’art.36 della costituzione, è quello della sufficienza che impone una misura minima della retribuzione tale da garantire al prestatore di lavoro un livello di vita sufficiente a realizzare un’esistenza libera e dignitosa, per sé e per la sua famiglia, laddove l’espressione “libera” va intesa come esigenza del soggetto di non essere oppresso dal bisogno economico, mentre la locuzione “dignitosa” indicherà la possibilità di condurre un tenore di vita decoroso secondo valutazioni sociali.
Diviene alquanto complicata l’attuazione di tale principio, poiché è difficile tracciarne i confini ed estremamente relativa ed opinabile risulta la sua concreta realizzazione, variando rispetto al luogo, alle aspettative e ad altri fattori individuali e collettivi.
Mancando dei validi criteri oggettivi, pertanto, da prendere come punti di riferimento, al fine di
garantire il requisito della sufficienza retributiva, è stata, anche in tal caso, riconosciuta alla contrattazione collettiva la funzione di fonte regolatrice in grado di assicurare un salario sufficiente a soddisfare i bisogni di vita dei lavoratori e dei propri familiari.
Ma in realtà i C.C.N.L. nel fissare i minimi tabellari nulla specificano in merito alla sufficienza di tali importi, realizzando una sostanziale identificazione della retribuzione sufficiente con quella contrattuale e quindi proporzionale, ignorando la separazione dei due precetti contenuti nell’ art.36 della costituzione.
Determinatezza
La retribuzione sarà determinata dalla contrattazione collettiva o dai contratti individuali, contenenti disposizioni di miglior favore per il prestatore di lavoro, ma qualora al rapporto di lavoro non sia possibile applicare un C.C.N.L. del settore o il datore di lavoro di fatto non ha mai provveduto alla sua applicazione, sarà demandato al giudice il compito di determinare l’ammontare del trattamento economico da corrispondere al lavoratore, ricorrendo ai parametri delle tabelle salariali contenuti nel contratto di settore di appartenenza o affine ( >art.2099 Codice Civile).
Corrispettività
Tale caratteristica indica che ogni emolumento corrisposto dal datore al prestatore ha la sua origine causale nel rapporto di lavoro, caratterizzato da un’obbligazione a prestazioni corrispettive.
Continuità
Premettendo che l’attività del lavoratore venga prestata per un certo periodo di tempo, il carattere della continuità comporta che la retribuzione spetta anche nei casi in cui il rapporto di lavoro (malattia), o la prestazione lavorativa (ferie) siano sospesi.
Obbligatorietà
In virtù del principio secondo il quale il contratto di lavoro si fonda sul sinallagma che vincola le parti ad adempiere alle reciproche prestazioni, il lavoratore sarà tenuto ad eseguire la prestazione ed il datore di lavoro sarà obbligato a corrispondere la retribuzione ( >art.2094 cod. civ.) che dovrà comprendere solo le somme da erogare secondo il contratto di lavoro stipulato.
Ne consegue che in caso di assenza, qualora essa sia imputabile al lavoratore, verrà meno l’obbligo retributivo, mentre se dovuta al datore di lavoro, la retribuzione dovrà essere comunque riconosciuta.
Vi sono degli eventi, comunque, come la malattia, l’infortunio, la gravidanza o il puerperio, in cui la legge garantisce, in ogni caso, il predetto obbligo retributivo ( >art.2110 cod. civ.).
Irriducibilità
Il principio dell’irriducibilità della retribuzione è inevitabilmente legato alla facoltà concessa al datore di lavoro (ius variandi) di variare le mansioni del prestatore (art.2103 cod. civ.), laddove qualora egli venga assegnato ad altri incarichi, conserva in ogni caso il diritto a percepire la medesima retribuzione senza riduzione alcuna (art.13 Legge 300/1970).
Il concetto dell’irriducibilità, secondo orientamenti giurisprudenziali, potrà essere invocato solo nell’ipotesi in cui il lavoratore subisce un declassamento di mansione, in quanto se non si verifica tale modifica, in pejus, le parti potranno raggiungere un valido accordo, stabilendo nuove modalità di svolgimento del rapporto di lavoro che potranno, eventualmente, anche ridurre l’ammontare del precedente trattamento retributivo (Xxxxxxx Xxxx. 19/12/1987, n.9473).
La giurisprudenza ritiene, quindi, che sia irriducibile l’indennità corrisposta in rapporto diretto e normale alla qualità della prestazione svolta dal lavoratore, anche nel caso in cui il datore di lavoro proceda ad un mutamento di mansione, mentre qualora gli emolumenti siano connessi solo occasionalmente allo svolgimento di un’attività lavorativa precaria e mutevole, essi non
dovranno più essere erogati (Sent. Cass. 9/1/1981, n.191).
A titolo esemplificato riportiamo alcune indennità considerate irriducibili:
- indennità di reperibilità, a condizione che sia direttamente connessa alla particolare qualità della mansione svolta dal prestatore di lavoro (Sentenza Cassazione 14/01/1992, n. 390);
- indennità per gli addetti alle macchine contabili, dovuta in ogni caso, poiché inerente alla specifica qualità soggettiva della prestazione svolta e della professionalità acquisita dal lavoratore (Sent. Cass.11/5/1982, n.2950);
- indennità per gli addetti a elaboratori elettronici, erogata per compensare la maggiore professionalità acquisita durante lo svolgimento della prestazione lavorativa che dovrà essere mantenuta anche in caso di trasferimento del dipendente ad altro reparto.
Determinazione della retribuzione
La disposizione contenuta nell’ art.36 della Costituzione ha un contenuto esclusivamente programmatico, demandando alle leggi la determinazione di una retribuzione minima sufficiente.
Nel nostro ordinamento ciò non è avvenuto e la giurisprudenza ha sopperito a tale carenza, elaborando principi vincolanti per l’autonomia privata.
La Corte di Cassazione ad esempio ha sostenuto che i requisiti della proporzionalità e della sufficienza sussistano qualora la retribuzione sia equivalente a quella prevista nei contratti collettivi applicabili alla categoria o al settore produttivo cui appartiene il prestatore di lavoro. Considerando che qualora sia impossibile far riferimento ad uno specifico contratto collettivo stipulato per la categoria a cui appartiene l'impresa, il giudice di merito, del determinare l’adeguatezza della retribuzione potrà individuare una categoria affine, senza essere vincolato
dalle indicazioni delle parti.
Inoltre, anche se il riferimento al contratto collettivo di categoria ha solo un valore orientativo, sarà ammissibile la valorizzazione anche di quelle clausole che non riguardano la retribuzione in senso stretto, ma tuttavia indirettamente necessarie, per determinare quella retribuzione minima sufficiente, in relazione alla prestazione resa, atta a garantire un'esistenza libera e dignitosa ( Cassazione 20/1/1987, n. 502; Cassazione 17/3/2000, n. 3184).
Le impostazioni giurisprudenziali, manifestano, quindi, la chiara volontà politica della magistratura di supplire all’assenza di norme che conferiscano ai contratti collettivi un’efficacia generale ed inderogabile.
In mancanza di norme contrattuali, collettive o individuali tra le parti, la determinazione della retribuzione sarà fissata dal giudice (2° comma art.2099 Codice Civile).
A titolo di completezza si precisa che il giudice, nel determinare la giusta retribuzione, può discostarsi dai minimi salariali previsti dai contratti collettivi, attribuendo al prestatore di lavoro una retribuzione inferiore, purché motivi adeguatamente la sua decisione (Cassazione 9/8/1996 n. 7383, Cassazione 14/5/1997 n. 4224; Cassazione 10/4/2000, n. 4523).
Non è individuabile, inoltre, nel nostro ordinamento un principio che imponga la parità di trattamento tra lavoratori dipendenti che svolgano identiche mansioni, poiché l' art.36 della Costituzione si limita a garantire la sufficienza e la proporzionalità della retribuzione alla qualità ed alla quantità del lavoro prestato, mentre il canone della ragionevolezza, che rappresenta un utile criterio di valutazione per verificare che venga rispettato il principio di uguaglianza ( art.3 Costituzione), non potrà essere applicato con la stessa efficacia per stimare il modo in cui gli interessi privati, frutto dell'autonomia contrattuale, vengano regolamentati.
Di conseguenza, qualora la contrattazione collettiva introduca posizioni e trattamenti diversificati, sarà precluso al giudice valutare la regolamentazione contrattuale, a meno che non risultino violate specifiche disposizioni di legge (Cassazione 7/1/1999, n. 62).
La determinazione della retribuzione adeguata, secondo quanto sancito dall’ art.36 della costituzione, sarà resa possibile, pertanto, da parte del giudice ordinario, solo nel caso in cui le disposizione contenute nei contratti collettivi siano in contrasto con norme imperative, appartenenti ad un livello gerarchicamente superiore, quali ad esempio precetti costituzionali o determinati contratti collettivi di diritto comune aventi efficacia "erga omnes" (Cass. 8/8/2000, n. 10434).
Principio di omnicomprensività della retribuzione
Si intende per retribuzione omnicomprensiva tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro, avente carattere di continuità, obbligatorietà, determinatezza o determinabilità, pur non esistendo nel nostro ordinamento, un principio generale ed inderogabile, sancito invece dalla legge solo in riferimento ad alcuni emolumenti.
E’ possibile infatti rintracciare la definizione di retribuzione omnicomprensiva per il calcolo del trattamento di fine rapporto (art.2120 Codice Civile), laddove si fa riferimento a “tutte le somme corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale”, nonché ad ogni compenso di carattere continuativo, ad esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese e dell’indennità sostitutiva di preavviso ( art.2121 Codice Civile).
Orientamenti della giurisprudenza
In materia di retribuzione dovuta al prestatore di lavoro, risulta impossibile rintracciare nel nostro ordinamento un principio generale ed inderogabile di omnicomprensività, sarà delegata, pertanto, alla contrattazione collettiva o agli accordi individuali, l’esatta determinazione della retribuzione, da porre come base per il calcolo delle voci retributive, indirette o differite, che concorrono a formarla ( >Cassazione 5/3/1999, n. 1883).
In assenza, del suddetto principio di omnicomprensività la giurisprudenza ha affermato che per il computo di alcuni elementi retributivi, riferiti alla retribuzione normale, la base di calcolo dovrà comprendere tutte le erogazioni destinate a compensare le prestazioni qualificate come normali. Al riguardo è sorta la questione se le attività svolte oltre il normale orario di lavoro, pur presentando il carattere della continuità, in osservanza di turni, dovessero essere considerate straordinario o meno; l’ipotesi è affermativa a meno che non sia riscontrabile un patto specifico
che qualifichi come orario ordinario quello che generalmente supera l’orario normale stabilito dalla legge o dai CCNL ( Cassazione 26/5/1995, n. 5828).
Per quanto riguarda gli altri elementi retributivi indiretti, va precisato che la continuità di un compenso, come potrebbe essere quello per lavoro notturno, dovrà essere accertata precedentemente e non successivamente, ai fini dell’inclusione dell’importo nella retribuzione normale, definita dalla disciplina collettiva, in virtù della sussistenza di una previsione astratta della sua corresponsione ( Cassazione 11/6/1990, n.5654).
Parità retributiva
Premettendo che in un rapporto di lavoro, le parti sono libere di stabilire gli elementi facenti parte della retribuzione, è bene precisare che nel nostro ordinamento non esistono particolari vincoli, ad eccezione di quanto disposto dall’art.37 della Costituzione, che stabilisce contemporaneamente la parità retributiva tra uomo e donna e tra lavoratori maggiorenni e minorenni.
Viene sancito, infatti, che:
- la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e la stessa retribuzione che spetta al lavoratore;
- la legge determina il limite minimo di età per lo svolgimento di attività lavorativa salariata;
- l’ordinamento provvede a disciplinare il lavoro dei minori di età con speciali norme, garantendo, a parità di lavoro, il diritto alla parità retributiva.
Parità uomo-donna
Dal precetto costituzionale si evince che il diritto alla parità retributiva tra uomo e donna, si riterrà violato qualora la disparità di trattamento salariale non venga giustificata da una obiettiva diversità delle prestazioni lavorative.
La parità retributiva di cui trattasi non dovrà essere intesa, infatti, come parità di rendimento o di durata delle prestazioni lavorative svolte da ambo i sessi, bensì dovrà essere riferita alla parità di qualifica professionale e di mansione (Cassazione 11/01/1984 n.209).
Il principio della parità di trattamento retributivo tra uomini e donne, è stato inoltre recepito dal nostro ordinamento in alcune disposizioni legislative ( art. 119 dell’allegato Legge del 14 ottobre 1957 n. 1203), in cui è stabilito che ciascuno Stato membro provveda a garantire la parità delle retribuzioni fra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro.
Per retribuzione si intende, il salario, il trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri emolumenti pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’attività lavorativa svolta; mentre la parità retributiva, implica che:
- la retribuzione accordata per uno stesso lavoro pagato a cottimo sia fissata in base ad una stessa unità di misura;
- la retribuzione corrisposta per un lavoro pagato a tempo sia uguale a quella riferita ad impiego che riguarda il medesimo lavoro.
E' comunque vietata qualsiasi discriminazione per quanto riguarda l'accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, nonché la promozione, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale (art.27, comma 1, D. Lgs n. 198/2006 comma sostituito dall’Art. 1, comma 1, lett. r), n. 2), X.Xxx. 25 gennaio 2010, n. 5). A tal proposito eventuali deroghe potranno essere ammesse solo per lo svolgimento di mansioni particolarmente pesanti, così come individuate dai contratti collettivi.
La lavoratrice avrà diritto al medesimo trattamento retributivo per quanto riguarda uno stesso
lavoro o un lavoro al quale è attribuito un valore uguale ( art.28, comma 1, D. Lgs n. 198/2006 modificato dall’ art. 1, comma 1, lett. s), n. 1), D.Lgs. 25 gennaio 2010, n. 5).
Nonostante il nostro ordinamento contenga alcune disposizioni di legge ed abbia provveduto a recepire convenzioni internazionali legge n. 1203 del 14 ottobre 1957) in materia di parità retributiva, in realtà tale principio sussiste solo come concetto puramente dottrinale, in quanto orientamenti giurisprudenziali hanno sentenziato l’ammissibilità di trattamenti volutamente discriminatori, da parte del datore di lavoro, allo scopo di favorire un lavoratore rispetto ad un altro.
La questione è sorta soprattutto in merito alla parità di trattamento tra i lavoratori addetti alle stesse mansioni, laddove il dubbio emergeva in merito alla obbligatorietà da parte del datore di lavoro di corrispondere la medesima retribuzione a lavoratori svolgenti le medesime mansioni o ricoprenti la medesima qualifica professionale.
In una prima fase i giudici della Cassazione hanno affermato la non invocabilità dell’ >art.36 della Costituzione, né dell’ art.3 del codice civile, in quanto il primo si limitava solo a garantire la proporzionalità e sufficienza della retribuzione ed il secondo solo l’uguaglianza dei cittadini innanzi alla legge.
Nell’ambito privatistico, invece, si faceva rientrare nel libero esercizio dell’autonomia contrattuale del datore la facoltà di accordare un miglior trattamento retributivo solo ad alcuni dipendenti, in relazione al titolo di studio ( Cassazione del 24 marzo 1987, n. 2853), alla natura del rapporto ( Cassazione del 25 febbraio 1988, n. 2027) o alla categoria a cui appartengono i lavoratori.
La questione fu definitivamente risolta con l’emanazione di una sentenza ( Corte Costituzionale del 1989, n.103) che ha rappresentato un inversione di tendenza nel sistema, affermando il linea di principio il diritto ad un’eguale retribuzione a parità di mansioni, delegando al giudice il compito di accertare eventuali discriminazioni e violazioni di norme contrattuali, regolamentari, internazionali e costituzionali, ferma restando la facoltà dell’imprenditore di attribuire ai propri dipendenti differenti retribuzioni (artt.2086, 2087, 2095, 2099, 2103 Codice Civile).
Successivi orientamenti giurisprudenziali hanno ampliato tale principio, sostenendo il concetto
di disparità giustificata ( Cassazione del 13 maggio 1994, n.6448) e stabilendo che anche nel caso in cui la contrattazione collettiva attribuisce differenti trattamenti, a parità di mansioni, ciò non implica la lesione del principio di non discriminazione retributiva.
La Cassazione afferma che la parità di trattamento salariale tra uomo e donna è limitata ai minimi tabellari, pertanto ciò non preclude al datore di lavoro la facoltà di attribuire superminimi differenziati, a favore di alcuni lavoratori, in virtù di particolari meriti ( Cassazione del 11 gennaio 1984 n. 209).
L’unica limitazione alla discrezionalità del datore è data dalla valutazione da parte del giudice che dovrà accertare se l’attribuzione dell’eventuale superminimo abbia o meno natura discriminatoria.
In conclusione, pertanto, è possibile affermare che le parti sono libere ed autonome, nel rispetto delle leggi e dei minimi garantiti ai lavoratori, di stabilire differenze retributive tra gli stessi e qualora si verifichino vantaggi economici solo a favore di alcuni prestatori, gli altri non potranno vantare il diritto ad ottenere il medesimo trattamento, né determinare l’insorgenza di un danno risarcibile, poiché non esistendo un diritto alla parità di trattamento non ne sussiste la lesione ( Cassazione del 17 maggio 1996, n. 4570).
Nonostante l’ art.141, n. 4 del Trattato UE autorizzi gli Stati membri a mantenere o ad adottare misure che prevedano vantaggi specifici diretti a facilitare l’esercizio di un’attività professionale da parte del sesso sottorappresentato ovvero a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali per perseguire una politica non discriminatoria fra lavoratori uomini e lavoratrici donne, dalla stessa disposizione non può dedursi la fissazione di una condizione differente di età pensionistica a seconda del sesso del lavoratore.
Al riguardo la Corte (Sentenza del 13 novembre 2008, n. C‑ 46/07) afferma che mantenendo in vigore una normativa in forza della quale i dipendenti pubblici hanno diritto a ricevere la pensione di vecchiaia a età diverse a seconda che siano uomini o donne, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi di cui all’art.141 CE.
In particolare, secondo l’art.141 CE, ciascuno Stato membro deve assicurare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile
per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore. La pensione dei dipendenti pubblici è considerata, dalla giurisprudenza prevalente, quale “retribuzione” in quanto direttamente proporzionale agli anni di servizio prestati e calcolata sulla base dello stipendio percepito primo del pensionamento.
Parità maggiori - minori
Il medesimo precetto costituzionale ( art.37 Costituzione) che garantisce la parità retributiva tra uomini e donne, dispone la tutela del lavoro dei minori con speciali norme, che garantiscano, a parità di lavoro, la parità di trattamento retributivo tra prestatori di lavoro maggiorenni e minorenni.
Nonostante l’esistenza di tale principio costituzionale, la successiva contrattazione collettiva ha provveduto sistematicamente alla sua disapplicazione, laddove i minimi tabellari fissavano per i lavoratori minorenni retribuzioni più basse rispetto a quelli maggiorenni.
L’opinione comune era quella del minor rendimento, sostanzialmente fisiologico del prestatore di lavoro minorenne rispetto al maggiorenne, ma successivamente tale convinzione ha perso il suo fondamento, rafforzando simultaneamente il principio contenuto nell’ art.37 della nostra Costituzione.
La giurisprudenza, infatti, ha ritenuto che l’espressione “parità di lavoro”, atta a garantire la parità retributiva, sancita nel comma 3 dell' art.37costituzione,dovrà essere intesa non come parità di rendimento bensì come parità di qualifica e mansioni. Il datore di lavoro, pertanto, potrà tener conto della minore età ai fini dell'inquadramento, in virtù dell'eventuale inferiore attitudine lavorativa, ma non sarà tenuto a corrispondere allo stesso, una retribuzione inferiore a quella minima prevista per tale inquadramento (Cassazione del 19 maggio 1984 n.2571).
Sono illegittime, inoltre, le clausole contenute nei contratti collettivi le quali dispongono che gli scatti di anzianità, ai fini della maturazione del diritto agli aumenti periodici, decorrono dal compimento della maggiore età del lavoratore e non dall'assunzione (Cassazione del 22 ottobre 1980 n. 5678 e del 16 ottobre 1980, n.5541).
Parità razza-origine etnica
E’ disposta la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica ( D. Lgs n. 215 del 09 luglio 2003 mod. dall’art. 8-sexies, comma 1, lett. c), D. Lgs. 8 aprile 2008, n. 59 conv. con modif. in legge 6 giugno 2008, n. 101, attuativo delladirettiva 2000/43/CE).
Per principio di parità di trattamento si intende l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell'origine etnica.
Il principio di parità di trattamento senza distinzione di razza ed origine etnica si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela giurisdizionale, con specifico riferimento alle seguenti aree:
- accesso all'occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione;
- occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni del licenziamento;
- accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali;
- affiliazione e attività nell'ambito di organizzazioni di lavoratori, di datori di lavoro o di altre organizzazioni professionali e prestazioni erogate dalle medesime organizzazioni;
- protezione sociale, inclusa la sicurezza sociale;
- assistenza sanitaria;
- prestazioni sociali;
- istruzione;
- accesso a beni e servizi, incluso l'alloggio.
Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nell'ambito del rapporto di lavoro o dell'esercizio dell'attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla razza o all'origine etnica di una persona, qualora, per la natura di un'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima.
Retribuzione in denaro
Solitamente la retribuzione è determinata e corrisposta in denaro, laddove la moneta, avente corso legale, costituisce il normale mezzo di pagamento dei debiti, offrendo al possessore, la possibilità di acquistare beni e servizi, necessari a soddisfare le proprie esigenze di vita.
Solo con riferimento a quantità di denaro, pertanto, potrà essere stabilito il trattamento retributivo dei lavoratori subordinati, rispettando i requisiti della proporzionalità e sufficienza.
Tenendo in debita considerazione tali criteri, sarà la contrattazione collettiva di categoria o aziendale che provvederà a determinare i parametri retributivi in riferimento alle diverse qualifiche di inquadramento.
Retribuzione a cottimo
Qualora la determinazione della quantità di lavoro prestato e quindi della retribuzione, avvenga non in considerazione del tempo, bensì del risultato utile della prestazione, si avrà la retribuzione a cottimo, che mira a favorire il massimo rendimento in cambio di un adeguato compenso, corrisposto al lavoratore sotto forma di maggiorazione integrativa della retribuzione (c.d. percentuale di cottimo).
Con la retribuzione a cottimo la rimunerazione è determinata moltiplicando il compenso corrisposto, per ciascuna unità prodotta dal lavoratore, per il numero complessivo di unità effettivamente prodotte; è evidente, pertanto che tale forma di retribuzione costituisce un incentivo per il prestatore poiché, in virtù di compensi aggiuntivi, sarà disposto a sottoporsi ad uno sforzo e ad una fatica maggiore, con conseguente incremento della produttività.
Ciò ha reso indispensabile l’intervento del legislatore, al fine di tutelare gli interessi del lavoratore, stabilendo i casi in cui il cottimo può e deve essere adottato.
L’ art.2100 comma 1, cod. civ. stabilisce che il sistema di retribuzione a cottimo dovrà essere adottato, obbligatoriamente, qualora ricorrano due circostanze:
- un‘organizzazione dell’attività lavorativa, tale da vincolare il prestatore all’osservanza di un determinato ritmo produttivo, come ad esempio la catena di montaggio;
- una valutazione della prestazione, effettuata in base ai risultati ottenuti, attraverso la misurazione dei tempi di lavorazione.
Si precisa che nel nostro ordinamento è stato introdotto il sistema del cottimo obbligatorio per tutelare i lavoratori coinvolti in lavori particolarmente usuranti, laddove la maggiorazione retributiva è legata a tempi di lavorazione più veloci, che il prestatore non percepirebbe qualora fosse retribuito a tempo.
Ma nonostante l’obbligatorietà del cottimo la legge ha disposto che la determinazione dei rami produttivi e dei casi in cui si verificano le predette condizioni (art.2100 comma 2 Codice Civile) sarà demandata alla contrattazione collettiva che provvederà, inoltre, a fissare i criteri per la formazione delle relative tariffe di cottimo.
Determinazione delle tariffe di cottimo
Secondo la prassi le tariffe di cottimo si formano attraverso due distinti passaggi, individuati in una fase sindacale ed in una fase aziendale, laddove la prima mira a determinare in astratto ed in via preventiva le maggiorazioni di cottimo da applicare alla paga base, mentre nella seconda verranno calcolate le tariffe di cottimo da adattare alle singole lavorazioni.
In quest’ultima fase risulta particolarmente importante il momento del c.d. assestamento, regolato dalla contrattazione collettiva ( art.2101, comma 1 e 2 del cod. civ.), con il quale si intende il tempo tecnico ritenuto necessario per rendere stabili le condizioni di lavoro.
Le tariffe di cottimo pertanto diverranno definitive solo dopo essere state sottoposte ad un periodo di esperimento, stabilito a priori dalle parti e potranno essere sostituite o modificate soltanto se intervengono mutamenti nelle condizioni di esecuzione del lavoro; in tal caso la sostituzione o la variazione della tariffa diverrà anch’essa definitiva a condizione che trascorra un periodo di esperimento stabilito dai C.C.N.L..
Obblighi del datore di lavoro
Il datore di lavoro che si avvale delle prestazioni a cottimo, sarà (art.2101, comma 3, cod. civ.) tenuto a comunicare preventivamente ai lavoratori:
- i dati riguardanti gli elementi costitutivi della tariffa di cottimo;
- le lavorazioni che dovranno essere eseguite;
- il compenso unitario (c.d. bolla di cottimo).
Sarà inoltre tenuto a comunicare, successivamente, i dati relativi alla quantità di lavoro prestato ed al tempo impiegato, affinché il lavoratore possa verificare che vi sia corrispondenza tra la retribuzione percepita ed il lavoro eseguito.
I suddetti dati potranno essere portati a conoscenza dei prestatori di lavoro attraverso l’affissione o le organizzazione sindacali, considerando che nel caso in cui vi siano variazioni del sistema di cottimo sarà necessario un preventivo esame congiunto con le organizzazioni sindacali.
E’ evidente che la ratio di tali disposizioni normative sia quella di tutelare il lavoratore nei confronti del datore di lavoro, limitando la discrezionalità di quest’ultimo, qualora decida di modificare i tempi o altre condizioni della prestazione; ciò al fine di garantire al cottimista, un maggiore guadagno ed un’adeguata protezione, poiché il ritmo accelerato dell’attività lavorativa implica un più elevato dispendio di energie lavorative ed una maggiore produzione.
Cottimo pieno
Si è in presenza di cottimo pieno (integrale o puro) qualora il prestatore venga pagato esclusivamente in base al rendimento o al risultato ottenuto, come detto precedentemente, questo è il sistema usato per il lavoro a domicilio, poiché in tale tipologia di prestazione la quantità di lavoro svolto è difficilmente controllabile.
Cottimo misto
In via generale i CCNL prevedono un sistema di cottimo misto, affinché venga assicurata al prestatore un minimo di retribuzione; in tal caso infatti il dipendente percepirà una paga base, alla quale si aggiunge la maggiorazione di cottimo.
Questa forma di retribuzione sarà determinata dai seguenti elementi:
- paga base, da corrispondere al lavoratore in ogni caso, a prescindere dal risultato conseguito;
- utile di cottimo garantito, consistente in una quota percentuale della paga base corrisposta al lavoratore, a condizione che abbia raggiunto un livello minimo di produzione, preventivamente stabilito, o nel caso in cui il mancato raggiungimento di tale rendimento minimo non sia dipeso da cause imputabili alla volontà o alla scarsa capacità del prestatore;
- utile di cottimo effettivo, consistente in un compenso aggiuntivo al precedente e progressivamente crescente, corrisposto al lavoratore qualora venga superato il livello minimo di produzione pattuito.
Tale forma di retribuzione, è data dalla combinazione della corresponsione a tempo ed a cottimo, componendosi di una parte fissa ed una variabile e generalmente adottata per garantire al lavoratore un minimo retributivo, costituito dalla paga base, addizionata dalla maggiorazione di cottimo, quale forma di incentivo per migliorare la qualità e la quantità della produzione.
Nel caso in cui, infatti, il rendimento del prestatore sia stato inferiore a quello pattuito nel contratto, in termini di produttività, il predetto sistema permetterà al datore di lavoro di ridurre proporzionalmente la retribuzione a cottimo.
Cottimo individuale e collettivo
E’ possibile effettuare una distinzione tra cottimo individuale e cottimo collettivo, la cui
divergenza è rinvenibile all’interno dei CCNL, considerando che nel primo assumerà particolare rilievo la capacità e l’iniziativa del singolo prestatore.
Solo indirettamente la legge (art.2127 cod. civ.) affronta il cottimo collettivo, vietando all’imprenditore di ricorrere a tale prestazione, qualora rappresenti una forma di interposizione di manodopera.
Si precisa che nel cottimo collettivo il rendimento è riferito al gruppo di lavoratori, mentre il pagamento delle tariffe sarà previsto proporzionalmente, alla retribuzione dei singoli prestatori ed alle ore lavorate.
Particolare rilevanza, inoltre, nel cottimo collettivo, assume l’organizzazione ed il coordinamento di prestazioni lavorative tra di loro collegate all’interno di un gruppo o di una squadra, laddove il capo cottimista esercita, per delega dell’imprenditore, il potere direttivo all’interno della squadra stessa, provvedendo a ripartire il compenso per il lavoro svolto tra i componenti del gruppo, in proporzione agli apporti di ciascuno.
Il cottimo collettivo non dovrà essere confuso (Cassazione 10/11/1978, n.5158) con il contratto per squadra che non è una forma di determinazione della retribuzione, bensì un contratto concluso da un caposquadra, in nome e per conto di un gruppo di lavoratori.
Concottimista
Inusuale ed anch’essa esclusivamente prevista dalla contrattazione collettiva è la figura del concottimista, il cui ritmo lavorativo è direttamente vincolato a quello dei prestatori di lavoro a cottimo.
Detto lavoratore, pur svolgendo una prestazione lavorativa superiore a quella tipica del lavoro a tempo, non sarà retribuito a cottimo, ma in base ad una percentuale del ricavo di cottimo determinato a livello aziendale, proporzionale alla collaborazione data.
Retribuzione a tempo
La retribuzione a tempo o ad economia è commisurata alla durata della prestazione lavorativa e costituisce la forma prevalente di remunerazione del lavoro subordinato (art.2099, comma 1 Codice Civile).
Tale sistema, presuppone un compenso predeterminato in misura fissa ed in funzione del periodo durante il quale il lavoratore si pone a disposizione del datore di lavoro e svolge la propria prestazione lavorativa.
Il parametro di riferimento per la determinazione della retribuzione, è l’unità di tempo, sia essa l’ora, la giornata, la quindicina o il mese, laddove essa resta del tutto estranea alla concreta utilizzazione della disponibilità lavorativa del dipendente, poiché non è più valido il concetto secondo il quale l’ammontare retributivo è pari alla quantità di tempo effettivamente lavorato.
L’entità della retribuzione, infatti, si otterrà sulla base di valori medi o risultati, essendo essa corrisposta per l’attività prestata durante un predeterminato intervallo temporale (ad esempio la retribuzione mensile), indipendentemente dalle ore di lavoro che in esso sono ricomprese.
Questa tipologia retributiva è largamente utilizzata nel lavoro impiegatizio e nelle prestazioni a contenuto prevalentemente intellettuale, le quali, in particolare, non potrebbero prestarsi ad un apprezzamento in termini esclusivi di rendimento o di risultato.
Ovviamente ciò non implica che il lavoratore non sia tenuto ad un rendimento medio o a ritmi di lavoro corrispondenti ad un’esecuzione diligente degli obblighi assunti attraverso il contratto di lavoro ( >art.2104 Codice Civile), con facoltà del datore di lavoro di controllare le modalità in cui viene svolta la prestazione lavorativa ed il relativo risultato.
Il decorso del tempo potrà essere rapportato alle ore o ai giorni, mentre la corresponsione della retribuzione, un tempo corrisposta a brevi cadenze, giornaliere, settimanali o quindicinali, ha lasciato spazio ad un sistema di pagamento che avviene mensilmente (c.d. mensilizzazione), anche se ai fini del calcolo del compenso dovuto per il lavoro straordinario o delle retribuzioni
differite o sostitutive, la paga dovrà essere rapportata, nel primo caso, alle ore, nel secondo ai giorni.
I divisori orari e giornalieri sono comunque previsti dai contratti collettivi, diversificandosi per i vari settori produttivi.
Si precisa che generalmente il salario corrisposto agli operai è rapportato al mese, in cui il numero delle giornate lavorative è convenzionalmente pari a 26, pertanto il calcolo delle diverse voci retributive per più giornate di lavoro, andrà effettuato sulla base di 1/26.
Modalità di calcolo
La modalità di calcolo per la retribuzione a paga oraria consiste nel moltiplicare il compenso riferito a ciascuna ora, fissata per ogni singolo lavoratore, per il numero delle ore lavorate, indicato sul libro paga, sostituito dal libro unico del lavoro, o in un diverso sistema di registrazione.
Attualmente è prevista, comunque, dalla maggior parte dei C.C.N.L., la mensilizzazione anche per gli operai, laddove la liquidazione mensile delle competenze verrà effettuata sulla base delle ore effettivamente lavorate nel periodo considerato.
Le quote orarie saranno computate dividendo la retribuzione mensile per il numero delle ore medie mensili (detto divisore orario), stabilito da ciascun contratto.
Ogni CCNL, infatti, prevede un divisore giornaliero ed un divisore orario, utile per il calcolo della retribuzione da applicare ai vari istituti contrattuali; generalmente il primo, utilizzato per calcolare la retribuzione giornaliera, è pari a 26 ed è ottenuto moltiplicando 6 giornate settimanali per il numero delle settimane annue (52) e dividendo l’importo per 12 mesi.
Il divisore orario invece, pari a 173, si ottiene moltiplicando 40 ore settimanali per il numero
delle settimane annue (52) e dividendo per 12 (40x52=2.080 2.080/12=173,3).
Qualora alcune aziende adottino il sistema della timbratura all’entrata ed all’uscita dal lavoro, i ritardi di minuti verranno arrotondati a frazioni di tempo superiori, a tal scopo per calcolare le frazioni di ora sarà utile trasformare i minuti in centesimi di ora, ad esempio 15 minuti verranno indicati con 0,25, 30 minuti con 0,50 e così via, pertanto un ritardo di 30 minuti comporterà una detrazione della quota oraria pari al 50%.
Retribuzione in natura
Non esiste nel nostro ordinamento una definizione di retribuzione in natura (art.2099, comma 3 Codice Civile), ma dai casi concreti in cui si verifica tale tipo di corresponsione, si deduce che è riferita alle erogazione di beni e servizi di una certa utilità a favore del lavoratore e dei suoi familiari, il cui corrispondente valore monetario sarà determinato dalla contrattazione collettiva o in mancanza, dai prezzi medi di mercato o di costo, qualora i relativi beni e servizi siano prodotti dallo stesso datore di lavoro.
La retribuzione in natura ha un importanza sociale alquanto marginale, essendo limitata solo ad alcuni settori economici, come l’agricoltura, il lavoro domestico ed il lavoro marittimo e ciò ha dato luogo ha problematiche di lieve importanza, ridotte sostanzialmente all’attribuzione del valore del bene o servizio erogato, ai fini del computo dell’ammontare delle retribuzioni differite come il T.F.R. o la determinazione dell’imponibile retributivo ai fini fiscali e contributivi.
Le ipotesi più diffuse di tale tipologia retributiva si riscontrano nel rapporto di portierato, nel rapporto di lavoro domestico e in altri casi relativi a mansioni dirigenziali, il cui compenso in natura consiste nell’utilizzo di specifici beni e servizi denominati “fringe benefit”.
Generalmente le modalità della retribuzione in natura sono regolate dalla contrattazione decentrata o individuale, poiché sarà compito delle parti sociali individuare e dare valore alla parte retributiva da erogare in natura.
Alloggio
Come già precedentemente accennato le due categorie di prestatori di lavoro che usufruiscono di tale modalità retributiva sono i portieri ed i lavoratori domestici, considerando che per la prima tipologia di prestatori la somministrazione dell’alloggio, ubicato nell’edificio condominiale, deve presumersi effettuata qualora siano addetti alla vigilanza e custodia dello stabile.
Il relativo contratto collettivo, infatti, considera, per i portieri, quali elementi della retribuzione, l’uso dell’abitazione, del riscaldamento e dell’energia elettrica, prevedendo inoltre una serie di indennità sostitutive nel caso in cui il proprietario dello stabile non fornisca l’alloggio all’atto dell’assunzione.
Per quanto riguarda il lavoratore domestico, invece, oltre alla normale retribuzione, qualora egli presti più di sei ore al giorno di lavoro, avrà diritto al vitto e all’alloggio e nel caso in cui non ne usufruisca gli verrà corrisposta un’indennità sostitutiva fissata dal relativo contratto collettivo.
Mensa
Alcuni C.C.N.L. regolamentano il servizio di mensa, che consente al prestatore di lavoro di fruire dei pasti, durante l’intervallo di lavoro.
Il pasto potrà essere erogato attraverso, una mensa aziendale interna, con gestione propria o affidata in appalto a società esterne; una mensa aziendale esterna, presso apposite strutture o buoni pasto di un determinato valore, utilizzabili presso esercizi convenzionati.
Qualora non vi sia tale servizio, il datore di lavoro, talvolta concede un’indennità sostitutiva, corrisposta anche nel caso in cui il lavoratore decida di non usufruire del suddetto servizio.
Poiché il nostro ordinamento non prevede un principio inderogabile di onnicomprensività della retribuzione, orientamenti giurisprudenziali hanno affermato che il valore del servizio di mensa non costituisce un elemento integrativo della retribuzione, qualora esso consista in un’agevolazione di carattere assistenziale e non in un corrispettivo obbligatorio della prestazione lavorativa. Non essendo prevista, infatti, l’erogazione di un’indennità sostitutiva a favore di tutti i dipendenti che non usufruiscono della mensa, viene meno la natura retributiva del servizio stesso, per assenza di corrispettività e di nesso causale tra prestazione lavorativa ed utilizzo della mensa ( Cassazione 6/8/1996, n.7187).
La normativa vigente, inoltre, dispone che, sia il servizio di mensa aziendale, che l’importo della prestazione pecuniaria sostitutiva di esso, percepita da chi non ne usufruisce, non fanno parte della retribuzione ( art.6, comma 3 Decreto Legge 333/1992), pur essendo demandata alla contrattazione collettiva la possibilità di disporre diversamente, stabilendo se ed in quale misura il servizio di mensa possa essere considerato retribuzione in natura.
Fringe benefit
I fringe benefit costituiscono una sorta di retribuzione marginale, attribuita in forma non monetaria e consistente nell’erogazione di beni e servizi a favore dei prestatori di lavoro occupati in attività di livello medio-elevato che solitamente comportano l’obbligo di relazione esterne.
Essi riguardano la concessione di: autovetture aziendali, abitazione, telefono cellulare, prestiti agevolati, soggiorni a prezzi agevolati in località turistiche, assicurazione sulla vita, iscrizione a circoli culturali, acquisto di libri, abbonamenti a teatro o al cinema ecc..
Si precisa che il valore dell’uso e della disponibilità, anche ai fini personali, dell’autovettura aziendale, concessa contrattualmente dal datore di lavoro al lavoratore come beneficio in natura, indipendentemente dall’effettiva utilizzazione, sarà considerata di natura retributiva, qualora sia stata inserita nel sinallagma contrattuale ( Cassazione 11/2/1998, n. 1428) mentre l’esclusione di tale natura avverrà nel caso in cui l'uso predetto sia concesso a fronte di un corrispettivo, pagato dal lavoratore nell'ambito di un vero e proprio contratto di locazione del veicolo ( >Cassazione 22/5/1987, n.4666).
Solitamente si distingue il caso in cui l’equivalente monetario sia o meno contenuto nel contratto collettivo e nel caso in cui non sia determinato si ricorre al prezzo medio di mercato o al prezzo di costo, nel caso siano prodotti dallo stesso datore.
Partecipazione agli utili
L’art.2099, comma 3, cod. civ. tra i vari sistemi retributivi adottabili dalle parti, consente, anche quello della partecipazione del lavoratore agli utili aziendali, variabile in funzione diretta alla quantità di lavoro prestata.
Sarà legittima pertanto, l'erogazione di un compenso mensile fisso e di una percentuale sugli utili, conseguiti dall’imprenditore nell’esercizio della sua attività di impresa ( Sent.Cass.15/01/1986 n.187).
L’art.2102 cod. civ. stabilisce che, fatto salvo patto contrario, la partecipazione agli utili spettante al lavoratore, è determinata in base agli utili netti dell’impresa e per quelle soggette alla pubblicazione del bilancio, in base agli utili netti risultanti dal bilancio regolarmente approvato e pubblicato.
Tale forma di retribuzione, è generalmente vista con sfavore in quanto essa dipende esclusivamente dalla produzione dell’impresa, su cui incidono elementi, quali la capacità dell’imprenditore o le condizioni di mercato.
Il lavoratore, in tal modo si troverà in una posizione di debolezza, poiché non concorrendo alla determinazione della politica aziendale, sarà costretto a subire le scelte del datore, che a sua discrezione potrà adottare strategie che agiscono negativamente sugli utili da corrispondere.
Molto simile è il sistema di partecipazione ai prodotti, tipica del settore agricolo e della pesca, in cui il lavoratore viene retribuito con una percentuale calcolata non sugli utili, bensì sulla produzione aziendale, che lui stesso ha contribuito a produrre; solitamente nella realtà non esistono forme di rimunerazione costituite esclusivamente da prodotti, pertanto tale compenso costituirà soltanto un’integrazione alla retribuzione percepita in misura fissa.
Sarà la contrattazione collettiva a contenere disposizioni in materia, poiché il nostro ordinamento non né prevede una regolamentazione.
E’ evidente che tali forme retributive andrebbero a vanificare le disposizioni normative, garantite dall’ art.36 della nostra Carta Costituzionale, violando il diritto ad un salario equo e sufficiente, pertanto la giurisprudenza, ritenendo che la retribuzione non possa dipendere da eventi puramente aleatori, ha previsto che al lavoratore, retribuito in tutto in parte con la partecipazione agli utili o ai prodotti, sia garantito in ogni caso un trattamento retributivo minimo proporzionale e sufficiente (Cassazione 21/6/1983, n. 4267).
Il lavoratore, a tal scopo, disporrà di un potere di controllo, onde verificare che le risultanze di bilancio e i dati forniti dall’imprenditore, sui quali è stato calcolato l’utile, siano veritieri, in caso contrario egli potrà esperire le azioni giudiziarie per dimostrare l’ammontare reale degli utili, rivendicando eventualmente una maggiore retribuzione (Cassazione 16/4/1968, n. 1117).
Provvigioni
La provvigione è prevista dalla legge (art. 2099 Codice Civile) come una tipica forma retributiva, in cui coesiste la partecipazione e l’incentivo alla produzione, diffusa in particolar modo nel settore commerciale dove il prestatore di lavoro procacciando un affare percepisce un ulteriore corrispettivo che premia un aspetto positivo del suo lavoro.
La contrattazione collettiva dedica una specifica regolamentazione a tale istituto, laddove in alcuni contratti, come quello di agenzia, di commissione, di mediazione, la provvigione è intesa come corrispettivo della prestazione principale, poiché il lavoro è svolto da un soggetto che agisce per conto e nell’interesse della parte contraente.
La finalità di tale tipo di corresponsione, che può essere in tutto o solo in parte a provvigioni, è quella di proporzionare la retribuzione al risultato della prestazione, stimolando allo stesso tempo il lavoratore a svolgere il proprio lavoro con diligenza ed impegno.
Solitamente l’importo della provvigione è riferito agli affari conclusi e perfezionati mediante contratto e spesso in relazione a quelli andati a buon fine, intendendo per tali anche quelli perfezionati mediante l’esecuzione dell’obbligazione.
La contrattazione collettiva fa riferimento alla disciplina applicata al rapporto di agenzia, dove il diritto alle provvigioni scaturisce dal buon esito di un’operazione di intermediazione che abbia prodotto un utile, ma patti individuali potranno sicuramente prevedere condizioni di miglior favore, riducendo ad esempio l’alea retributiva che incombe sull’agente, attraverso la corresponsione della provvigione anche nel caso in cui venga assunto solo l’impegno contrattuale.
Generalmente i C.C.N.L. prevedono forme miste di provvigione, costituite da una parte fissa (a tempo) e da una parte variabile in base all’ammontare degli affari conclusi.
A sostegno la giurisprudenza afferma il diritto ad una garanzia minima del prestatore che gli assicuri una retribuzione equa e sufficiente ed indipendente dal risultato della prestazione (Cassazione 3/7/1980, n. 4237).
Il sistema di remunerazione a provvigioni, infatti, in un rapporto di lavoro subordinato, solitamente, prevede la contemporanea pattuizione di una retribuzione-base o di un minimo garantito (Cass.5/01/1984 n.35).
Mance
Tali modalità di compenso, provenienti da terzi, sono considerate erogazioni liberali e come tali, solitamente, non hanno natura retributiva.
Croupiers
Fanno eccezione le mance elargite, dai clienti delle sale da gioco, ai croupiers, che verranno
ripartite tra gli stessi ad opera di una Commissione, opportunamente costituita.
Generalmente ai croupiers verrà corrisposto il 50% delle mance incassate, laddove la ripartizione avverrà in base alla mansione svolta, al grado e all’anzianità.
Orientamenti della giurisprudenza
E’ previsto che le mance corrisposte ai lavoratori con carattere di continuità ed abitualità, in determinati settori, avranno natura retributiva solo qualora vi sia uno specifico contratto, sia esso individuale o collettivo, a stabilire le condizioni che determinano l’integrazione totale o parziale dei predetti emolumenti nella retribuzione. Sarà pertanto valido l'accordo aziendale che prevede l'inclusione solo parziale degli importi delle mance ricevute dai lavoratori nella base di calcolo di istituti retributivi, compresa l'indennità di anzianità ( Sent.Cass.16/7/1992, n. 8598).
La prassi diffusa nelle case da gioco è generalmente quella di destinare una quota delle vincite ai croupiers, ripartendo il cumulo rimanente tra gli addetti al gioco ed il gestore della casa.
La quota spettante al singolo addetto non assume natura retributiva e non può essere ricompresa nella base contributiva previdenziale, se non nella misura in cui le parti vi abbiano conferito la funzione di coefficiente integrativo della retribuzione ( Sent. Cass.20/6/1981 n.
4051; Sent. Cass.4/11/1995, n. 11502).
Si precisa, inoltre che le mance corrisposte, dai giocatori vincenti, ai dipendenti dei Casinò, non potranno essere considerate elargizioni volontarie ed aleatorie da parte di persone diverse dal datore di lavoro, poiché per effetto di disposizioni consuetudinarie, scaturenti dalla costante abitudine di elargire parte delle somme vinte ed a causa dell’entità del loro gettito, costituiscono parte integrante della retribuzione.
Corresponsione
La corresponsione della retribuzione da parte del datore di lavoro, è una tipica obbligazione pecuniaria ( artt.1277 e ss. Codice Civile), anche se l’ultimo comma dell’ art.2099 Codice Civile prevede l’ipotesi del tutto marginale in cui la retribuzione venga corrisposta in natura.
La legge, inoltre, dispone che la retribuzione sia corrisposta in moneta avente corso legale, nel momento in cui avviene il pagamento (art.1277 Codice Civile), ma gli usi ne prevedono l’erogazione anche mediante assegno o bonifico bancario a patto che vi sia il consenso del lavoratore (Cassazione 3/4/1998, n. 3427) e che le somme siano accreditate con valuta non posteriore all’ultimo giorno utile per il versamento della retribuzione stessa.
In caso di lavori in appalto, per assicurare la tracciabilità dei flussi finanziari, gli appaltatori, i subappaltatori e i subcontraenti della filiera delle imprese nonché i concessionari di finanziamenti pubblici anche europei a qualsiasi titolo interessati ai lavori, ai servizi e alle forniture pubbliche devono utilizzare uno o più conti correnti bancari o postali, accesi presso banche o presso la società Poste italiane Spa, dedicati, anche non in via esclusiva, alle commesse pubbliche, per il pagamento dei dipendenti. Ai fini della tracciabilità dei flussi finanziari, il bonifico bancario o postale deve riportare, in relazione a ciascuna transazione, il codice unico di progetto (CUP) relativo all'investimento pubblico sottostante ( art. 3, della legge 13 agosto 2010, n. 136, entrato in vigore il 7 settembre 2010). Le transazioni effettuate comportano: una sanzione amministrativa pecuniaria dal 5 al 20 per cento del valore della transazione, se effettuate senza avvalersi di banche o della società Poste Italiane Spa; una sanzione amministrativa pecuniaria dal 2 al 10 per cento del valore della transazione, se effettuate senza l’indicazione del codice CUP (art. 6, della legge 13 agosto 2010, n. 136).
L’ art.2099 del Codice Civile stabilisce che la retribuzione sia corrisposta con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui la prestazione viene eseguita e nel caso in cui la legge, i contratti collettivi o individuali non contengano specifiche previsioni in merito, saranno gli usi aziendali a stabilire le modalità di adempimento dell’obbligo retributivo.
E’ importante ricordare che, indipendentemente dal termine entro il quale la retribuzione dovrà essere corrisposta, indicato dai contratti collettivi o dagli usi, trova applicazione la regola della post-numerazione, secondo la quale il lavoratore sarà rimunerato dopo l’esecuzione della prestazione.
Si precisa, comunque, che tale regola pur rappresentando un uso consolidato e costante, elevato a norma legale, potrà essere legittimamente derogata dalle parti qualora intercorra un
particolare rapporto di fiducia tra datore di lavoro e prestatore, conseguente, ad esempio a rapporti di affinità tra le parti (Cassazione 23/06/1989 n.3028).
In linea generale, si ritiene che la retribuzione debba essere erogata al lavoratore alla scadenza contrattualmente prevista. Pertanto se il lavoratore a tempo pieno percepisce la retribuzione (fissa e variabile) in un’unica soluzione con cadenza mensile, eguale trattamento, in linea di massima, deve essere riservato ai lavoratori in part-time, che dovranno ricevere, anche essi con cadenza mensile, la retribuzione fissa e la retribuzione variabile legata alle sole prestazioni rese nel mese di riferimento.
Nel caso specifico degli assistenti di volo ci si dovrà attenere, in linea di massima, agli stessi criteri adottati per il pagamento della parte variabile della retribuzione erogata all’assistente di volo a tempo pieno ma ciò non esclude che si tenga anche conto delle specificità derivanti dai cicli di attività osservati dai lavoratori a part time. E’ inoltre sempre possibile, da parte dei ccnl, introdurre diverse modalità di corresponsione della retribuzione variabile che tenga conto delle specificità proprie della prestazione lavorativa resa in forza di un contratto part-time verticale ( Interpello Ministero del lavoro del 03 ottobre 2008, n. 45).
Pignorabilità
Non possono essere sequestrati, pignorati o ceduti, gli stipendi, i salari, le paghe, le mercedi, gli assegni, le gratificazioni, le pensioni, le indennità, i sussidi ed i compensi di qualsiasi specie che lo Stato, le province, i comuni, le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e qualsiasi altro ente od istituto pubblico sottoposto a tutela, od anche a sola vigilanza dell'amministrazione pubblica e le imprese concessionarie di un servizio pubblico di comunicazioni o di trasporto nonché le aziende private corrispondono ai loro impiegati, salariati e pensionati ed a qualunque altra persona, per effetto ed in conseguenza dell'opera prestata nei servizi da essi dipendenti (art. 1 DPR 180/1950).
A decorrere dal 1° gennaio 2005 la Finanziaria 2005 ( Legge 311 del 30 dicembre 2004) ha equiparato le disposizioni relative ai pignoramenti nell’ambito degli stipendi privati e di quelli pubblici.
I pensionati pubblici e privati possono tuttavia stipare con banche e intermediari finanziari
autorizzati prestiti da estinguersi con cessione di quote della pensione fino al quinto della stessa, valutato al netto delle ritenute fiscali e per periodi non superiori a dieci anni.
E’ dichiarata l'illegittimità costituzionale delle predette disposizioni normative nella parte in cui escludono la pignorabilità per ogni credito dell’intero ammontare di pensioni, indennità che ne tengono luogo ed altri assegni di quiescenza erogati ai dipendenti dai soggetti individuati dall’ art. 1, anziché prevedere l’impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte delle pensioni, indennità o altri assegni di quiescenza necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte (Sentenza Corte Costituzionale del 4 dicembre 2002, n. 506).
Deroghe
Disciplina vigente dal 29 aprile 2012
A decorrere dal 29 aprile 2012, le somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate dall'agente della riscossione in misura ( articolo 72ter, DPR n. 602/1973 come modificato dall’ art. 3, co. 5, D.L. n. 16/2012 conv. con mod. in L. n.
66/2012):
- pari ad un decimo per importi fino a 2.500 euro;
- pari ad un settimo per importi superiori a 2.500 euro e non superiori a 5.000 euro.
Qualora le somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, superino i cinquemila euro possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito (articolo 545, quarto comma, c.p.c).
Disciplina in vigore fino al 28 aprile 2012
Gli stipendi sono pignorabili in tali circostanze:
1) fino alla concorrenza di un terzo valutato al netto di ritenute, per causa di alimenti dovuti per legge;
2) fino alla concorrenza di un quinto valutato al netto di ritenute, per debiti verso lo Stato e verso gli altri enti, aziende ed imprese da cui il debitore dipende, derivanti dal rapporto d'impiego o di lavoro;
3) fino alla concorrenza di un quinto valutato al netto di ritenute, per tributi dovuti allo Stato, alle province ed ai comuni, facenti carico, fino dalla loro origine, all'impiegato o salariato.
Il sequestro ed il pignoramento, per il simultaneo concorso delle cause indicate ai numeri 2, 3, non possono colpire una quota maggiore del quinto sopra indicato, e, quando concorrano anche le cause di cui al numero 1, non possono colpire una quota maggiore della metà, valutata al netto di ritenute, salve le disposizioni previste nel caso di concorso anche di vincoli per cessioni e delegazioni.
La Corte costituzionale, con sentenza 26 luglio 1988, n. 878, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il presente comma nella parte in cui non prevede la pignorabilità e la sequestrabilità degli stipendi, salari e retribuzioni corrisposti dallo Stato, fino alla concorrenza di un quinto, per ogni credito vantato nei confronti del personale.
Luogo del pagamento
Dal principio generale contenuto nel nostro ordinamento (art.1182 Codice Civile), in merito al luogo in cui una prestazione deve essere eseguita, si deduce, in particolare, riguardo all’adempimento dell’obbligazione pecuniaria in esame (pagamento della retribuzione) che,
qualora il luogo non sia determinato dalle convenzione o dagli usi, l'obbligazione retributiva dovrà essere adempiuta nel luogo in cui l’attività lavorativa è svolta.
La retribuzione, pertanto, sarà corrisposta nella sede di lavoro dell’imprenditore, che di solito coincide con il luogo in cui il lavoratore esegue la sua prestazione.
Solitamente i CCNL dispongono che l’arco di tempo occorrente al prestatore per riscuotere la retribuzione dovrà essere computato nell’orario di lavoro e qualora il pagamento avvenga in un luogo che non sia quello in cui si svolge la prestazione lavorativa, il tempo necessario per raggiungerlo sarà ricompreso nell’orario di lavoro.
Periodo di pagamento
La contrattazione collettiva generalmente dispone che il pagamento della retribuzione debba avvenire mensilmente, ma potrà essere stabilito anche diversamente.
La retribuzione potrà essere corrisposta utilizzando il criterio della retribuzione fissa mensile o della retribuzione a paga oraria.
Nel caso la retribuzione venga corrisposta in misura fissa mensile, la sua unità di misura sarà il mese intero, pertanto le assenze retribuite non avranno influenza ai fini del calcolo delle competenze, mentre sarà necessario indicare separatamente il compenso per le giornate o le ore di assenze non retribuite al fine di operarne la detrazione; generalmente tale modalità retributiva riguarda i dirigenti, gli impiegati, gli intermedi e tutto il settore del commercio.
La retribuzione a paga oraria, invece, viene rapportata alle ore retribuite ed è corrisposta, al personale operaio; essa verrà calcolata rispetto alle ore effettivamente lavorate durante il mese, escludendo tutte le assenze ed evidenziando specifiche voci (compensi o indennità).
Documentazione
E’ strettamente collegata alla retribuzione la seguente documentazione:
- foglio delle presenze o strumento equipollente sul quale viene indicato il numero delle presenze di ciascun prestatore di lavoro, utile ai fini della determinazione retributiva non in misura fissa;
- schede di produzione o documenti equipollenti, utili ai fini della determinazione dei cottimi o degli incentivi;
- busta o prospetto paga, da consegnare al dipendente quale resoconto degli elementi retributivi;
- libro paga, che conseguentemente all’evoluzione dei sistemi informatici è attualmente composto da schede mobili, in cui sono indicati tutti gli elementi fondamentali della retribuzione e gli elementi aggiuntivi che non presentano il carattere dell’obbligatorietà, specifici per ciascuna azienda.
A seguito della eliminazione dei libri paga e matricola e di altri libri obbligatori e della loro sostituzione, a far data dal 18 agosto 2008, è operativo il libro unico del lavoro ( articoli 39 e 40 del Decreto Legge 25 giugno 2008, n. 112 e D.M. 9 luglio 2008).
Il Libro unico del lavoro equivale, infatti, al cedolino paga tenuto con i sistemi attualmente previsti, integrato, sugli stessi sistemi, con il dettaglio delle presenze del lavoratore. Esso assolve alla duplice funzione di documentare ad ogni lavoratore lo stato del proprio rapporto di lavoro ed agli organi di vigilanza lo stato occupazionale dell'impresa ( Nota Inail del 10 settembre 2008, n. 7095).
Prospetto paga
La legge ( art.1, Legge 4/1953) dispone che il datore di lavoro è tenuto a consegnare ai propri dipendenti, all’atto della corresponsione della retribuzione, un prospetto paga, il cui obbligo è limitato ai soli operai ed impiegati, ma non sussiste nei confronti dei dirigenti.
Sono inoltre esonerati dall’obbligo le Amministrazioni dello Stato, le Regioni, le Province, i Comuni, le aziende agricole che impiegano nell'annata agraria mano d'opera salariata per un numero di giornate lavorative non superiore a 3000 ed i datori di lavoro privati che occupano personale addetto ai servizi familiari ( art. 4, Legge 4/1953).
Nel predetto prospetto dovranno essere indicati:
- il nome ed il cognome del dipendente;
- la qualifica;
- il periodo cui la retribuzione si riferisce;
- gli assegni familiari e gli altri elementi della retribuzione;
- le singole trattenute.
In calce, inoltre, dovrà essere apposta la firma, la sigla o il timbro del datore di lavoro o di chi né fa le veci.
Si precisa che la semplice sottoscrizione, “per ricevuta” apposta al prospetto paga dal lavoratore, non accompagnata da altre dichiarazioni non è sufficiente a dimostrare l’avvenuto pagamento dell’intera retribuzione indicata nel prospetto, in quanto concorrerà semplicemente a formare una presunzione di avvenuta estinzione dell’obbligazione retributiva, suscettibile di
valutazione giudiziale, al fine di interpretare la volontà negoziale (art.1362 cod. civ.) delle parti contraenti ( Cassazione 24/6/1998, n.6267).
Sarà necessaria inoltre un’esatta coincidenza tra le singole annotazioni contenute nel prospetto paga e le registrazioni eseguite sui libri paga o registri equipollenti, sostituiti dal libro unico del lavoro, relativi allo stesso periodo ( artt.20, 25, 30, 32 D.P.R. 1124/1965).
La legge non ha previsto un particolare modello di prospetto paga, per consentire ai datori di lavoro di utilizzare prospetti conformi ai propri sistemi amministrativo-contabili.
Le imprese artigiane e le piccole imprese potranno affidare l’elaborazione delle buste paga dei propri dipendenti a centri di elaborazione dati costituiti e composti esclusivamente da professionisti abilitati, iscritti agli albi o promossi dalle rispettive associazioni di categoria.
Le imprese con oltre 250 dipendenti, invece, che non si avvalgono, per le predette operazioni, di proprie strutture interne, potranno demandarne l’esecuzione a centri di elaborazione dati, anche di diretta costituzione o esterni, che dovranno in ogni caso essere assistiti da uno o più soggetti abilitati ( art.58, comma 16, Legge 144/1999).
Non essendo, pertanto, previsto un modello unico di prospetto paga, disposizioni ministeriali ( circolare Ministero del Lavoro del 20/10/1953 n. 119) contemplano che:
- è ammessa la possibilità di utilizzare numeri, sigle o codici convenzionali in alternativa alla qualifica ed alla causale dei singoli importi;
- si intende per qualifica anche l’indicazione particolare dalla quale si evince il grado gerarchico del prestatore di lavoro;
- dovranno essere contenuti nel prospetto tutti gli elementi che compongono la retribuzione in denaro, escludendo quella corrisposta in natura, che andrà indicata solo nella misura un cui
determini un incremento della retribuzione imponibile ai fini fiscali e previdenziali;
- dovrà essere indicato l’ammontare degli emolumenti corrisposti per lavoro notturno, festivo e straordinario, relativo al periodo di retribuzione cui il prospetto si riferisce.
Non sussiste una presunzione assoluta di corrispondenza della retribuzione percepita dal lavoratore rispetto a quella risultante dai prospetti paga. Sempre possibile risulta, pertanto, accertare l’insussistenza del carattere di quietanza anche delle sottoscrizioni eventualmente apposte dal lavoratore sulle busta paga.
La sottoscrizione della busta paga per quietanza non ha, infatti, valore confessorio e non può, quindi, impedire al lavoratore di azionare le sue pretese retributive, non contenendo detta sottoscrizione alcuna volontà abdicativa all'esercizio dei diritti ( Cassazione, sentenza del 30 giugno 2011, n. 14411).
Stesso discorso vale per la dicitura “per ricevuta”; tale sottoscrizione, infatti, apposta dal lavoratore alla busta paga non implica, in maniera univoca, il concreto pagamento della somma indicata nel documento. L’espressione, dunque, “per ricevuta” non può interpretarsi alla stregua del solo riscontro letterale, ma richiede il ricorso anche ad ulteriori criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 c.c. e seguenti, quali l’indagare sulla comune intenzione delle parti ed il loro comportamento complessivo, anche posteriore, alla conclusione del contratto ( sentenza Xxxxx xx Xxxxxxxxxx x. 00000 del 26 settembre 2008).
Modalità di consegna
I cedolini dello stipendio devono essere consegnati spillati o in busta chiusa e non devono contenere informazioni lesive della riservatezza. Gli uffici addetti alla predisposizione e alla consegna dei cedolini sono, infatti, tenuti a tutelare la privacy dei lavoratori, limitando l'inserimento di informazioni sulla sfera privata e impedendo l'indebita conoscenza dei dati da parte di persone non autorizzate ( Nota Garante Privacy del 25 giugno 2009, n.325).
Trasmissione telematica
La trasmissione telematica del prospetto di paga è compatibile con le disposizioni previste dalla
>L. n. 4/1953.
Non si ravvisano, infatti, motivi ostativi all’invio del prospetto di paga con posta elettronica ( Interpello Ministero del lavoro del 11 febbraio 2008, n. 1) a condizione che vi sia la prova legale dell’effettiva consegna prospetto di paga al lavoratore alla scadenza prevista per il pagamento della retribuzione.
L’azienda che utilizza il servizio di posta elettronica certificata seguendo le procedure vigenti (
D.P.R. 11 febbraio 2005 n. 68, capo IV D.Lgs. n. 82/2005 e art. 2, comma 3, Codice dell’Amministrazione Digitale), nel rispetto delle regole in materia di protezione dei dati personali, potrà validamente assolvere agli obblighi di consegna del prospetto di paga anche per via telematica.
In tal caso il datore di lavoro dovrà mettere a disposizione del lavoratore idonee tecnologie ed attrezzature informatiche per la ricezione e stampa del prospetto, posto che i costi relativi alla formazione e consegna dello stesso sono a carico dell’impresa.
Si chiarisce che anche la consegna del documento mediante posta elettronica non certificata può considerarsi legittimo. Ciò a condizione che sia garantita al dipendente la possibilità di entrare nella disponibilità del prospetto e di poterlo materializzare. È tuttavia opportuno, da parte del datore di lavoro, adottare anche in questi casi opportune iniziative per comprovare l’avvenuto adempimento nei confronti di ciascun lavoratore. Pertanto, i prospetti di paga possono anche essere collocati su sito web dotato di un’area riservata con accesso consentito al solo lavoratore interessato, mediante utilizzabilità di una postazione internet dotata di stampante e l’assegnazione di apposita password o codice segreto personale.
Nelle suddette ipotesi, per garantire la verifica immediata da parte del lavoratore o comunque gli eventuali accertamenti dell’organo di vigilanza, appare peraltro necessario che della collocazione mensile dei prospetti di paga risulti traccia nello stesso sito ( Interpello Ministero lavoro 30 maggio 2012, n. 13).
Gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, possono essere svolti dal consulente del lavoro e dagli altri soggetti abilitati, su delega del datore di lavoro.
Tra gli adempimenti delegabili, può rientrare anche la consegna del prospetto di paga dei dipendenti.
Al riguardo va tuttavia precisato che la responsabilità per la mancata ricezione del prospetto paga da parte del proprio dipendente, permane in capo al datore di lavoro. Anche la prova della avvenuta consegna del prospetto paga ricade sul datore di lavoro. Tale soluzione può essere altresì adottata nelle ipotesi di gruppi societari in cui le società del gruppo delegano la capogruppo alla consegna del prospetto paga dei propri dipendenti ( Interpello Ministero del lavoro del 2 aprile 2010, n. 8).
Sanzioni
I prospetti consegnati al lavoratore, nei termini di legge, dovranno definitivamente essere lasciati ad essi ed in caso di mancata o ritardata consegna, di omissione o inesattezza delle registrazione apposte, sarà applicata al datore una sanzione amministrativa da € 25,00 a € 154,00 ( art. 5 Legge 4/1953 come sost. dall’art. 10, D.lgs.758/1994)
a patto che non vi sia reato.
A decorrere dal 1° gennaio 2007 ( art. 1, comma 1177, Legge 27 dicembre 2006, n. 296) gli importi delle sanzioni amministrative diventano da € 125,00 a 770,00.
E’ utile segnalare infine che l’introduzione della moneta unica Europea sostituisce la moneta di conto dei singoli stati dell’U.E., pertanto l’aspetto contributivo e retributivo subirà delle modifiche.
La legge ha previsto un periodo di transizione al fine di evitare i conseguenti squilibri che un drastico mutamento avrebbe potuto comportare, ma a far data dall’1/1/2002, l’indicazione in busta paga e la relativa corresponsione della retribuzione è esclusivamente in euro, gravando sul datore di lavoro, l’onere di illustrare al proprio dipendente la nuova lettura del prospetto paga.
Illeciti amministrativi
L'obbligo di consegna del prospetto paga si assolve consegnando il medesimo “al lavoratore nel momento stesso in cui gli viene consegnata la retribuzione"(Lettera circolare Ministero del lavoro del 18 aprile 2008, n. 5407)
Il datore di lavoro assolve all'obbligo normativamente prescrittogli, consegnando a ciascun lavoratore contestualmente all'erogazione della retribuzione (la cui periodicità è, ormai normalmente mensile) il prospetto di paga, che riporti le indicazioni di cui all' art. 1. commi 1 e
2. L. 4/1953, le quali devono, a loro volta, trovare riscontro con le registrazioni effettuate nel registro delle presenze, ai sensi dell’art. 2.
Il destinatario dell'obbligo giuridico si rende inadempiente, integrando la previsione d'illecito amministrativo di
cui all' art. 5, L. 4/1953, qualora all'atto dell’erogazione della retribuzione in favore di ogni lavoratore, non consegni il prospetto di paga ovvero lo consegni successivamente e/o in modo incompleto o con dati inesatti.
In proposito si precisa che qualora lo stesso prospetto paga sia consegnato non solo successivamente ma anche in modo incompleto si tratterà comunque di un unico illecito e dunque dovrà essere applicata una sola sanzione.
Sussistono invece tanti illeciti quanti sono i lavoratori oggetto dell'omissione o della consegna incompleta e di norma ogni mese in cui si verifica detta omissione o incompletezza.
Gli illeciti amministrativi saranno contestati o notificati (art. 35, comma 7 L. 689/1981), previo esperimento della condizione per la procedibilità dell’iter sanzionatorio di cui all’ art. 13, D.Lgs. 124/2004 (diffida obbligatoria).
Omissioni e ritardi
Durante lo svolgimento di un rapporto di lavoro o al termine dello stesso, talvolta potrebbero verificarsi delle situazioni che inducono il datore di lavoro ad erogare con ritardo, o non erogare affatto, la retribuzione; per garantire i diritti del prestatore di lavoro il nostro ordinamento riconosce particolari misure atte a tutelare i crediti retributivi.
Genericamente le disposizioni del codice civile ( art.2935 cod. civ.) stabiliscono che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere e si interrompe mediante ogni atto scritto con il quale il lavoratore costituisce in mora il proprio datore di lavoro ( circolare INPS del 26/5/2004, n. 86).
Le domande di liquidazione dei crediti di lavoro diversi dal TFR possono essere presentate ( circolare INPS del 26/5/2004, n. 86):
- in caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa ed amministrazione straordinaria, dal 15° giorno successivo al deposito dello stato passivo reso esecutivo (art. 97 e 209 del Regio Decreto n. 267/1942)
- nel caso in cui siano state proposte impugnazioni o opposizioni riguardanti il credito del lavoratore, dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza;
- in caso di concordato preventivo, dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza di
omologa, o alla sentenza che decide di eventuali opposizioni o impugnazioni;
- in caso di insinuazione tardiva del credito nella procedura fallimentare, dal giorno successivo al decreto di ammissione al passivo o dopo la sentenza;
- nell’ipotesi di esecuzione individuale, dal giorno successivo alla data del verbale di pignoramento negativo, o, in caso di pignoramento in tutto o in parte positivo, dal giorno successivo alla data del provvedimento di assegnazione all’interessato del ricavato dell’esecuzione.
Il diritto alla prestazione dei crediti diversi dal tfr si prescrive in un anno, che decorre dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, o, dalle date sopra indicate.
Con riferimento agli atti interruttivi della prescrizione dei crediti di lavoro diversi dal tfr ( art. 2 del
D. LGS n. 80 del 27/01/1992) si precisa che ( Messaggio Inps n. 8538/2006) la domanda di ammissione del credito allo stato passivo del fallimento (art. 94 della Legge Fallimentare), interrompe la prescrizione con effetti permanenti sino alla chiusura della procedura, con la conseguenza che la domanda di intervento del Fondo di garanzia può essere presentata entro un anno dalla chiusura del fallimento.
Tale principio si applica anche a tutte le procedure concorsuali ed in particolare anche all'amministrazione straordinaria, per la quale la domanda di intervento del Fondo di garanzia potrà essere presentata entro un anno dal decreto di chiusura ( art. 76 D.lgs. 270/99).
Nel caso in cui vi sia il decorso di un certo intervallo temporale senza che alcuna rivendicazione del proprio diritto sia vantata dal titolare, opererà la presunzione che il diritto sia stato soddisfatto (c.d. prescrizione presuntiva).
In particolare in materia di lavoro avremo le seguenti prescrizioni:
- prescrizione presuntiva annuale ( art. 2955 cod. civ.) valevole per gli insegnanti, che impartiscono lezioni a mesi, a giorni o a ore e per i prestatori di lavoro, le cui retribuzioni vengono corrisposte a periodi non superiori al mese;
- prescrizione presuntiva triennale (art. 2956 cod. civ.) applicata ai prestatori di lavoro, per le retribuzioni corrisposte a periodi superiori al mese, ai professionisti, per il compenso dell'opera prestata e per il rimborso delle spese correlate, ai notai ed agli insegnanti, per la retribuzione delle lezioni impartite per periodi superiori ad un mese;
- prescrizione ordinaria quinquennale, laddove decorsi 5 anni decadono i diritti relativi alle prestazioni periodiche (crediti retributivi), agli interessi ed alle indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro (art.2948 cod. civ.);
- prescrizione ordinaria decennale applicata ai crediti di natura non retributiva ( art.2946 cod. civ.) come ad esempio il riconoscimento, al prestatore lavoro, del diritto ad una qualifica superiore.
Gli orientamenti della giurisprudenza
La giurisprudenza si è occupata, in particolar modo, del momento da cui decorre il termine di prescrizione dei crediti da lavoro, effettuando una distinzione, a seconda che l’estinzione decorra in un rapporto assistito da stabilità reale o obbligatoria.
Qualora un rapporto di lavoro sia caratterizzato da adeguate garanzie di stabilità, con idonei rimedi giurisdizionali contro l'illegittimo recesso del datore di lavoro o nel caso in cui si tratti di un rapporto di pubblico impiego, la prescrizione del diritto del lavoratore alla retribuzione decorre anche durante il rapporto di lavoro ( sentenza della Corte Costituzionale n.63/1966 e Cassazione 6/04/1983 n. 2430).
Nel caso in cui si tratti di un rapporto di lavoro privo di stabilità, come nel caso dei dirigenti d'azienda, la prescrizione del diritto alla retribuzione decorre dal momento della sua cessazione anche se la contrattazione collettiva del settore di appartenenza prevede un'indennità supplementare in caso di licenziamento ingiustificato (Cassazione 13/09/1997, n. 9137; Cassazione 13/01/1984 n. 291)
Si precisa, inoltre, che la prescrizione presuntiva verrà applicata ai crediti derivanti da qualunque rapporto di lavoro, anche non assistito da tutela reale (Cassazione 3/10/1998, n.9825).
Modalità di liquidazione dei crediti
In applicazione dei principi stabiliti dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee ( sentenza del 4/3/2004C-50/01), gli anticipi di retribuzione relativi agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro non devono essere detratti dal massimale pari a tre volte la misura massima del trattamento di CIGS mensile al netto delle trattenute previdenziali ed assistenziali (art. 2, comma 2 D. LGS 80/92), ma dal credito complessivo maturato dal lavoratore nel periodo di riferimento (Circolare INPS n. 118/2004).
Il responsabile della procedura concorsuale, di conseguenza, non dovrà più specificare l’ammontare complessivo delle retribuzioni maturate nel periodo coperto dal Fondo di garanzia né l’importo degli acconti ricevuti dal lavoratore, ma sarà tenuto ad indicare direttamente l’importo del credito netto ancora da pagare.
Il credito richiesto dovrà essere riferito:
- alla retribuzione maturata nell’ultimo trimestre;
- ai ratei di tredicesima;
- alle altre eventuali mensilità aggiuntive fissati dai CCNL;
- alle somme dovute dal datore di lavoro a titolo di prestazioni di malattia;
Dovranno invece essere escluse:
- l’indennità di mancato preavviso;
- l’importo relativo alle ferie non godute;
- le indennità di malattia a carico dell’INPS;
- ogni altra voce che non costituisca retribuzione propriamente detta.
Interessi e rivalutazione monetaria
Nel caso in cui il datore di lavoro corrisponda in ritardo la retribuzione, avrà l’obbligo di pagare, in aggiunta, al compenso spettante al prestatore, gli interessi di mora secondo quanto stabilito dai CCNL del settore di appartenenza.
Qualora invece venga pronunciata una sentenza, da parte del giudice, che condanni il datore di lavoro al pagamento di somme corrispondenti a crediti retributivi, gli interessi saranno determinati nella misura pari al tasso legale in ragione d'anno, stabilito dal Ministro del tesoro, con proprio decreto.
Lo stesso giudice dovrà, inoltre, stabilire la misura della rivalutazione monetaria del credito retributivo calcolata, al pari degli interessi di mora, sull’importo dovuto dal datore di lavoro al lordo delle trattenute fiscali e contributive (Cassazione 1/7/2000, n. 8842).
Attualmente è ammessa la cumulabilità degli importi dovuti a titolo di rivalutazione monetaria ed a titolo di interessi per i crediti di lavoro, in quanto è stata dichiarata l’incostituzionalità di una disposizione legislativa ( art.22 comma 36, legge, 23/12/1994 n.724), secondo la quale veniva riconosciuta al lavoratore la maggiore somma tra l'ammontare degli interessi e quello della rivalutazione monetaria (Corte costituzionale del 2000, n.459).
ELEMENTI DELLA RETRIBUZIONE
Minimo retributivo
Denominato anche paga base o minimo tabellare, il minimo contrattuale costituisce la retribuzione minima fissata dai contratti collettivi, determinata, in base all’orario di lavoro ed all’inquadramento del lavoratore nelle varie categorie stabilite dai contratti stessi, in relazione alle mansioni effettivamente svolte.
Esso è considerato il principale compenso collegato alla prestazione lavorativa ed alle assenze retribuite, costituendo, inoltre, la base ai fini della determinazione di altri compensi come le mensilità aggiuntive.
E’ utile per calcolare l’imponibile sia previdenziale che fiscale e la retribuzione annua dovuta ai fini del trattamento di fine rapporto; la sua tassazione avverrà applicando le aliquote e gli scaglioni di reddito disposti dalla normativa vigente all’atto della sua corresponsione.
Il minimo contrattuale è determinato in coerenza con la nozione di salario equo, disposta dalla nostra Costituzione all’art. 36 (Cassazione 8/8/2000, n. 10465) ed al fine di assicurare un’esistenza libera e dignitosa al lavoratore ed alla sua famiglia, ne è previsto l’adeguamento al
costo della vita.
Il Protocollo sulla politica dei redditi (Accordo Interconfederale dell’1/8/1993), ha stabilito, infatti, la rivalutazione del predetto minimo ogni biennio in maniera coerente con i tassi di inflazione programmata.
I successivi aumenti, invece, saranno legati al passaggio di qualifica o ai rinnovi contrattuali e non danno luogo ad assorbimenti di altri elementi della retribuzione.
Gli orientamenti della giurisprudenza
Si precisa che in caso di lavoro prestato a tempo parziale o comunque soltanto per alcune ore nella settimana il principio di proporzionalità garantito dall’art.36 della costituzione, impone di aver riguardo alla singola prestazione retributiva, raffrontandola a quella lavorativa, mentre il principio di adeguatezza troverà attuazione in riferimento anche alle altre attività che il lavoratore svolge o che comunque è in grado di svolgere nel residuo tempo libero (Massima della Cassazione 6/11/2000, n. 14433).
Per adeguare la retribuzione ai principi sanciti dall’ art.36 della Costituzione, il giudice non può fare riferimento a tutti gli elementi ed istituti contrattuali che confluiscono nel trattamento economico globale, ma soltanto a quelli che concorrono alla formazione del minimo contrattuale.
L'istituto degli aumenti periodici di anzianità, ad esempio, di origine e disciplina esclusivamente contrattuale, è estraneo alla proporzionalità della retribuzione ed alla quantità e qualità del lavoro prestato, poiché l'autonomia collettiva ha configurato tali aumenti come un elemento in più, attribuiti in virtù del fattore anzianità, senza considerazioni di merito (Cassazione 16/12/1982 n. 6959).
Nel caso in cui, per la determinazione della giusta retribuzione, venga preso in considerazione un contratto collettivo non vincolante fra le parti, il mancato adeguamento, da parte del datore di lavoro, delle indennità accessorie, corrisposte al lavoratore, ad aumenti pattuiti in sede di
contrattazione collettiva, non costituisce violazione del principio sancito dall’ art.36 della costituzione.
Il principio della proporzionalità e della sufficienza, infatti, potrà essere accertato dal giudice soltanto considerando il complesso delle voci retributive attribuite al lavoratore, riscontrando l’eventuale insufficienza ed inadeguatezza di tale ammontare facendo unicamente riferimento al minimo costituzionale, rappresentato dalla retribuzione base stabilita dalla contrattazione collettiva, non direttamente applicabile e dall'indennità di contingenza (Cassazione 28/3/2000, n. 3749).
Superminimo
Superminimo individuale
I contratti aziendali o individuali, possono prevedere somme particolari che, superano i minimi tariffari previsti dalla contrattazione nazionale ed è per tale ragione che i compensi aggiuntivi concessi dal datore al lavoratore, prendono il nome di superminimi.
Tali somme sono considerate elementi accessori della retribuzione e sono determinate secondo criteri discrezionali assunti sulla base di valutazioni di mercato, come ad esempio la carenza di particolari tipologie professionali di prestatori di lavoro, o di rendimento, laddove la concessione del superminimo avviene per premiare particolari qualità personali del dipendente o per sollecitarne alcuni comportamenti.
E’ possibile definire i suddetti compensi: assegni ad personam o aumenti di merito.
Per arginare la piena discrezionalità del datore che, nel concedere tali eccedenze retributive, potrebbe tenere atteggiamenti discriminatori o discostarsi eccessivamente dai minimi retributivi
previsti dalla contrattazione collettiva, il sindacato opera un controllo al fine di evitare, tale eventuale condotta.
Un problema particolarmente dibattuto in giurisprudenza riguarda l’assorbibilità dei superminimi, nei nuovi minimi stabiliti dai contratti collettivi, o in caso di passaggio a categoria superiore.
L’orientamento giurisprudenziale preminente sostiene che il superminimo, o eccedenza della retribuzione rispetto ai minimi tabellari, individualmente pattuito, è soggetto al principio dell'assorbimento nei miglioramenti retributivi contemplati dai C.C.N.L., a meno che non sia diversamente disposto, o qualora le parti abbiano attribuito all'eccedenza retributiva la particolare natura di compenso speciale, strettamente collegato a particolari meriti del dipendente o alla maggiore qualità o onerosità delle mansioni svolte dal dipendente stesso, o infine nel caso in cui il superminimo costituisca un terzo elemento della retribuzione e sia erogato per ragioni di "opportunità" aziendale ( Cassazione 8498/1999).
Il superminimo è sottoposto al principio generale dell’assorbimento nei miglioramenti contemplati dalla disciplina collettiva, esclusi i casi in cui la stessa disponga diversamente oppure le parti abbiano attribuito all’eccedenza la natura di compenso speciale, sorretto da un autonomo titolo in quanto strettamente collegato a particolari meriti o a speciale qualità o maggiore onerosità delle mansioni svolte dal dipendente “alla cui dimostrazione, alla stregua dei principi generali sull’onere della prova, è tenuto lo stesso lavoratore” (Interpello Ministero del lavoro del 2 aprile 2010, n. 14).
Inoltre ai fini della validità del patto di conglobamento del compenso per il lavoro straordinario nella retribuzione ordinaria, è tuttavia richiesto che risultino, in ogni caso, riconosciuti i diritti inderogabili dei lavoratori e determinati i compensi per il lavoro ordinario e straordinario, in modo da consentire il controllo giudiziale sull’effettivo riconoscimento al lavoratore dei diritti inderogabilmente spettantigli per legge o in virtù della contrattazione collettiva ( entenza Cassazione del 12 novembre 2008, n. 27027).
Il datore di lavoro comunque, nella concessione del superminimo, dovrà rispettare i vincoli stabiliti dalla legge e pertanto non potrà erogare tali somme in conseguenza della mancata adesione ai sindacati o agli scioperi o per motivi discriminatori.
Si precisa che qualora il prestatore di lavoro ricorra in giudizio, vantando differenze retributive, in merito a superminimi, è tenuto a fornirne la prova, attraverso l’esistenza di pattuizioni individuali, contenenti condizioni di maggior favore, ricorrendo alle tabelle retributive del CCNL di riferimento ed inoltre, se necessario, a provare i comportamenti tenuti dalle parti prima o dopo la conclusione del contratto, dai quali sia possibile ricavare l'interpretazione del patto nel senso del non assorbimento del trattamento personale superiore a tali minimi ( Cassazione 23/12/1986 n.7868).
Il superminimo individuale è considerato utile per il calcolo dell’imponibile retributivo previdenziale e fiscale e per il computo della retribuzione annua dovuta ai fini del trattamento di fine rapporto.
Sanzioni
Nel caso in cui il datore conceda trattamenti economici di maggior favore aventi carattere discriminatorio sarà condannato al pagamento, a favore del fondo adeguamento pensioni, di una somma pari all'importo dei trattamenti economici di maggior favore illegittimamente corrisposti ( artt.15,16, Legge 300/1970).
Superminimo collettivo
Tale eccedenza retributiva è prevista dalla contrattazione collettiva aziendale, è riconosciuta a tutti i lavoratori ed è collegata direttamente alle qualifiche contrattuali.
Attualmente non è più in vigore essendo stato sostituito dal premio di rendimento.
Anche questo elemento è considerato utile per il calcolo dell’imponibile fiscale e previdenziale e per il calcolo della retribuzione annua ai fini del trattamento di fine rapporto.
EDR
Il Protocollo del 31/7/92, nell’eliminare il sistema di indicizzazione della scala mobile, ha introdotto a far data dall’1/1/1993 un elemento distinto della retribuzione (EDR) per tutti i lavoratori, ad esclusione dei dirigenti, a qualsiasi settore appartenenti, e dei dipendenti degli studi professionali.
L’importo di tale elemento è pari L. 20.000 lorde mensili per 13 mensilità; esso potrà essere ridotto proporzionalmente, in caso di part-time o frazionato a giornata ed a ora.
Poiché nel protocollo in esame manca un’esplicita previsione, degli elementi ai quali è possibile applicare l’E.D.R., è stato necessario far riferimento, per la loro identificazione, all’accordo interconfederale del 25/1/1975, che aveva previsto, per i lavoratori appartenenti al settore industria, l’erogazione di un elemento distinto della retribuzione pari a L. 12.000 mensili, applicabile:
- alla tredicesima mensilità;
- alle festività, godute lavorate o cadenti la domenica;
- ai permessi retribuiti;
- alle ferie godute ed alle indennità sostitutiva delle stesse;
- al preavviso ed all’indennità sostitutiva dello stesso;
- al trattamento di fine rapporto.
Successivamente i contratti collettivi hanno predisposto la computabilità di tale elemento anche ai fini del trattamento della malattia, infortunio, maternità, congedo matrimoniale e cassa integrazione guadagni.
Applicando in via analogica, pertanto, a tale istituto, l’Accordo del 1975 è possibile ritenere che l’E.D.R. non dovrà essere applicato ad esempio, alla 14a mensilità, alle maggiorazioni per lavoro straordinario, ai premi di produzione, al lavoro notturno festivo o a turni, alle diarie ed agli aumenti periodici in percentuale.
A titolo di completezza ricordiamo che negli ultimi anni alcuni contratti collettivi nazionali di lavoro hanno conglobato l’E.D.R. nel nuovo minimo retributivo, assoggettandolo sia a contribuzione previdenziale che a tassazione fiscale.
Esso, inoltre, è considerato utile anche ai fini della determinazione della retribuzione necessaria per il calcolo del TFR.
Elemento economico territoriale
L’elemento economico territoriale, stabilito tra le parti a livello di Contratto Integrativo Provinciale se non Aziendale, costituisce una sorta di "elemento variabile delle retribuzione", revisionato alla luce dell'andamento congiunturale di ogni specifica categoria.
L’elemento economico territoriale si caratterizza, infatti, quale componente aggiuntiva e variabile della retribuzione base nel suddetto settore, la cui entità è definita periodicamente a livello di contrattazione territoriale, alla luce dei livelli di produzione raggiunti.
Si tratta, pertanto, di elementi retributivi previsti dalla contrattazione provinciale o regionale, le cui definizioni sono molto varie, essi, infatti, sono diversamente denominati a seconda del tipo di contratto a cui appartengono: indennità regionale o premio di operosità nel settore dei trasporti, indennità di mensa o di trasporto nel settore edile, assegno supplementare nel settore commercio.
Gli elementi territoriali sono utili ai fini del calcolo dell’imponibile previdenziale e fiscale e per il calcolo della retribuzione annua dovuta ai fini del trattamento di fine rapporto.
L’elemento economico territoriale del settore edile è incluso nell’applicazione dell’imposta sostitutiva del 10% (art. 2 del decreto legge 27 maggio 2008, n. 93) qualora costituisca un elemento retributivo erogato in corrispondenza di incrementi di produttività, innovazione, efficienza, ovvero per il conseguimento di elementi di competitività e redditività legati all’andamento economico della impresa e non una somma stabilmente riconosciuta al lavoratore (Circolare Agenzia delle entrate n. 59/E del 22 ottobre 2008 punto 11).
Scatti di anzianità
Tale istituto, di derivazione contrattuale, annoverato tra le forme di automatismo retributivo, è sorto inizialmente per il solo settore impiegatizio e successivamente esteso agli operai (CCNL industria settore metalmeccanica del 17/2/1963).
Gli aumenti periodici, istituiti per compensare la maggiore professionalità acquisita con l’esperienza lavorativa, hanno generalmente cadenza biennale o triennale, non possono essere assorbiti da aumenti di merito e vanno indicati nei prospetti e libri paga, in apposite voci separate dalla normale retribuzione; il loro numero massimo varia da un minimo di 5 ad un massimo di 12.
Maturazione
Dispute giurisprudenziali hanno avuto luogo, riguardo l’età minima richiesta per la decorrenza degli scatti, che in alcune clausole, previste dai contratti collettivi, coincideva con il raggiungimento della maggiore età
Attualmente consolidati orientamenti giurisprudenziali ritengono che la loro maturazione avvenga, con il decorso dell’anzianità di servizio, dalla data di assunzione e non dal
compimento di una determinata età, in quanto la retribuzione, cui fa riferimento la nostra Costituzione, all’art.37, è finalizzata ad evitare che, a parità di quantità e qualità di lavoro prestato, il trattamento economico dei lavoratori maggiorenni sia diverso da quello dei minorenni (Cassazione 21/11/1987 n. 8604), saranno considerate, pertanto illegittime quelle clausole contrattuali che prevedono tali disposizioni.
Decorrenza
Generalmente gli scatti decorrono a far data dal mese successivo a quello in cui si compie il biennio o il triennio di anzianità, ad eccezione del prestatore che viene assunto il 1° giorno del mese, laddove lo scatto decorrerà dal mese stesso di compimento, poiché il biennio o triennio di anzianità si ritiene compiuto il giorno precedente, a meno che i C.C.N.L. non dispongano diversamente.
Calcolo e ricalcolo
La misura degli scatti è stata oggetto di continua evoluzione, precedentemente, infatti, essi venivano fissati in una determinata percentuale, calcolata sul minimo di categoria, includendo successivamente nella base di calcolo anche l’indennità di contingenza e rivalutando annualmente gli importi degli scatti in conseguenza dell’incremento della contingenza.
Attualmente i contratti collettivi hanno riordinato la normativa riguardante gli scatti di anzianità, fissandone l’entità in cifra fissa o in percentuale del solo minimo contrattuale ed eliminando dalla base di calcolo l’indennità di contingenza.
Per quanto riguarda il ricalcolo degli stessi, in funzione del passaggio di categoria o di aumenti retributivi, esso di regola viene effettuato nel momento in cui avviene il passaggio o l’aumento, attraverso un semplice procedimento consistente nel considerare il valore complessivo degli scatti maturati fino a quella data e dividendo tale valore per l’importo corrispondente al nuovo scatto. E’ in tal modo che verrà individuato il numero o la frazione di scatti a cui avrà diritto il prestatore di lavoro.
Esempio di calcolo
Maturazione di n.3 scatti pari al valore di L. 60.000.
Passaggio di qualifica al livello superiore comportante uno scatto pari al valore di L. 30.000.
Determinazione del numero di scatti corrispondenti al nuovo livello: 60.000/30.000 = 2 scatti di anzianità.
Maturazione in caso di sospensione dell’attività lavorativa
Solitamente la contrattazione collettiva prevede che la maturazione degli scatti avviene con la decorrenza dell’anzianità di servizio e non con l’effettivo svolgimento dell’attività lavorativa, pertanto essi matureranno anche in caso in cui il prestatore di lavoro si assenti.
A titolo esemplificativo riportiamo i casi in cui, nonostante l’attività lavorativa sia sospesa, gli scatti di anzianità giungono comunque alla loro maturazione.
Il periodo in cui viene prestato il servizio militare di leva dovrà essere computato ai fini della corresponsione degli scatti di anzianità in quanto la sospensione del rapporto di lavoro, dovuta all'adempimento dell'obbligo di leva sancito dalla costituzione ( art.52 Costituzione), non deve pregiudicare la posizione lavorativa del cittadino e qualora vi siano eventuali clausole contrattuali in contrasto con tale principio esse dovranno essere considerate nulle ( cassazione 14/11/1988 n. 6166).
Le assenze dal lavoro dovute a maternità, ferie, malattia ed infortunio sono anch’esse computate ai fini della maturazione degli scatti di anzianità.
Il periodo trascorso in aspettativa non retribuita, (art.31 legge 300/1970) dai lavoratori chiamati a svolgere funzioni pubbliche elettive ed a ricoprire cariche sindacali, è comunque utile ai fini della maturazione degli scatti di anzianità, laddove il relativo obbligo retributivo va adempiuto alla ripresa del lavoro ( Cassazione 24/09/1996, n.8430).
Passaggio di qualifica
Secondo un principio, storicamente consolidato, gli scatti di anzianità, sono assorbiti e non possono essere riportati in cifra o conservati per intero, in caso di progressione ad una qualifica superiore, nella retribuzione di tale qualifica, salvo che ciò non sia espressamente previsto dalla contrattazione collettiva.
Si avrà pertanto l’assorbimento nella relativa maggiore retribuzione degli aumenti periodici di anzianità maturati nella precedente categoria (Cassazione 17/3/1982 n. 1739; Cassazione 8/6/1983, n.3929; Cassazione 24/5/1999, n.5046).
Alcuni contratti, in caso di passaggio di categoria, prevedono l’azzeramento degli scatti o il congelamento in cifra fissa di una quota di essi.
Si precisa che, nel caso in cui il passaggio di qualifica comporti la perdita totale o parziale degli scatti maturati nella qualifica di provenienza, il prestatore di lavoro avrà in ogni caso diritto ad una retribuzione non inferiore a quella percepita precedentemente, in virtù del principio che sancisce l’irriducibilità retributiva ( art.2103 Codice Civile).
Verrà pertanto corrisposto al prestatore un superminimo o un aumento, fino al raggiungimento del precedente livello retributivo.
Premi
Premio di produzione
Istituito esclusivamente in sede di contrattazione collettiva o aziendale è tipico del settore industriale, spesso è stabilito in misura minima, a livello nazionale lasciando ampio spazio agli accordi aziendali.
Collegato all’andamento produttivo ed ai fattori economici aziendali, verrà calcolato secondo criteri, termini di pagamento e modalità di revisione che variano a discrezione delle decisioni imprenditoriali.
Qualora sia previsto dalla contrattazione collettiva entra a far parte della retribuzione effettiva ed è equiparato alla paga o allo stipendio, sia in riferimento alla decorrenza, sia all’inclusione nella retribuzione da prendere a base per il compenso di prestazioni straordinarie, corresponsione della gratifica natalizia o tredicesima, indennità sostitutiva di preavviso e TFR.
Premio di rendimento o di risultato
Elemento retributivo variabile, è esclusivamente legato agli incrementi di produttività aziendale, in relazione alla qualità ed alla quantità dei prodotti o servizi.
Qualora, secondo quanto previsto dai C.C.N.L., il premio, sia correlato alla valutazione, da parte dell’azienda, del particolare rendimento del dipendente, esso costituisce un emolumento caratterizzato dalla straordinarietà e dall’eccezionalità ed essendo rimesso alla discrezionalità del datore di lavoro, che individuerà i dipendenti particolarmente meritevoli, è considerato un elemento integrativo della retribuzione, facoltativo, non avente carattere obbligatorio ( Cassazione 2/2/1990 n.707).
Il rinnovo del C.C.N.L. del 5/7/1994 - settore metalmeccanico, con piena soddisfazione delle rappresentanze dei lavoratori e degli imprenditori, introdusse soluzioni normative che riconobbero a chiare lettere il consistente apporto che la categoria metalmeccanica dava al processo produttivo.
L’intenzione fu quella di superare, nel contratto del suddetto settore, la logica della conflittualità e dell’inaffidabilità causata dalle rivendicazione economiche, all’interno dell’azienda, attraverso l’introduzione del Premio di risultato nella contrattazione di secondo livello.
Tale istituto conferì ai contratti aziendali la funzione di correlare ai risultati conseguiti, nella realizzazione di programmi concordati tra le parti, per il perseguimento di obiettivi, quali l’incremento della produttività e della competitività aziendale, erogazioni economiche aggiuntive rispetto al trattamento retributivo previsto dalla contrattazione collettiva nazionale, eliminando richieste economiche individuali e trattamenti discriminatori.
Premio di fedeltà
E’ un’erogazione effettuata in occasione del raggiungimento di una determinata anzianità di servizio da parte del lavoratore, in occasione di un determinato anniversario aziendale, o per particolari festività e ricorrenze.
Tale premio potrà essere obbligatorio o liberale.
Si precisa che nel caso in cui il contratto collettivo istituisca un premio ai lavoratori, per il raggiungimento di una certa anzianità di servizio, la stessa, secondo quanto stabilito dalle parti, potrà essere calcolata in base al tempo trascorso dall’inizio del rapporto o in base alla durata effettiva della prestazione lavorativa.
Nel primo caso, considerando l'anzianità come un fatto obiettivo nella durata del rapporto di lavoro e quindi non necessariamente condizionata all’effettivo svolgimento dell’attività lavorativa, ai fini della maturazione del trattamento premiale, dovranno essere computati anche gli eventuali periodi di sospensione dal rapporto di lavoro ( Cassazione 29/4/1997, n. 3719).
Ai fini fiscali il "premio di fedeltà", che il datore di lavoro eroga ai dipendenti che raggiungono una determinata anzianità di servizio, senza effettuare discriminazioni ed in modo consuetudinario, fa parte del reddito imponibile, in quanto costituisce un’erogazione liberale usuale e ricorrente ( Massima della Cassazione del 12/6/1999, n. 5795).
Una tantum
La somma corrisposta a titolo di una tantum è considerata un’erogazione liberale, se effettuata spontaneamente ed occasionalmente dal datore di lavoro, diversamente, se pattuita individualmente o contrattualmente, non sarà più possibile definirla tale, in quanto diverrà corrispettivo della prestazione.
Spesso la contrattazione collettiva, infatti, prevede la corresponsione di somme a titolo di una tantum, per coprire i periodi precedenti il rinnovo del C.C.N.L., laddove in tal caso va confermata la natura retributiva di tale erogazione, con imposizione ai fini fiscali ( art.3 D. Lgs 2 settembre 1997, n.314) e previdenziali.
Condizione necessaria, affinché avvenga la corresponsione dell’una tantum a copertura dei suddetti periodi, è che il prestatore di lavoro sia in forza alla data di stipulazione del nuovo C.C.N.L.
Un’altra ipotesi in cui è prevista l’erogazione di somme a titolo di una tantum, è quella dovuta a causa di rivendicazioni salariali riferite a periodi pregressi, determinate da errori materiali in busta paga; una volta accertato l’errore, l’accredito avverrà a decorrere dalla data in cui è sorto l’errore e pertanto sarà soggetto ad imponibile fiscale previdenziale.
Infine ne è prevista la corresponsione qualora a seguito di vertenze al lavoratore saranno dovute somme arretrate.
Si precisa che già precedenti disposizioni legislative (art.12 Legge 153/1969) avevano stabilito che le somme erogate a titolo di gratificazione o elargizione, concesse una tantum per eventi eccezionali e non ripetibili, non collegate al rendimento dei lavoratori o della produttività aziendale, erano escluse dalla base imponibile ai fini previdenziali ed assistenziali.
Successivi orientamenti giurisprudenziali hanno affermato, che sono esenti ai fini fiscali e
previdenziali, le erogazioni liberali che presentano i seguenti requisiti:
- erogazione a titolo di liberalità ed assenza di correlazione, anche indiretta, al rendimento dei lavoratori o all'andamento aziendale (Cassazione 4/11/1983 n. 6525).
- non ripetitività dell’erogazione, laddove a tal scopo, possono essere citate particolari ricorrenze come nozze, natalità, anniversario aziendale o eventi eccezionali come terremoti o alluvioni.
L’erogazione concessa "una tantum", al prestatore non a titolo di liberalità ma collegata ai vantaggi aziendali e quindi indirettamente, al rendimento dei lavoratori rientra, invece, nel concetto di retribuzione imponibile (Cassazione 28/01/1985 n.451).
Una tantum contrattuale e gli altri istituti retributivi
Contratti di solidarietà
Per i periodi di trattamento straordinario di integrazione salariale concesso per contratto di solidarietà il datore di lavoro è tenuto a corrispondere la quota dell'importo forfettario relativa all'orario di lavoro effettivamente prestato; la restante quota, non percepita dai lavoratori interessati al contratto di solidarietà, dovrà essere presa a base per il ricalcolo del trattamento straordinario di integrazione salariale compreso nel periodo di riferimento, applicando a tale quota la misura spettante per detto trattamento.
Il ricalcolo darà comunque luogo ad un effettivo beneficio per i lavoratori in quanto, trattandosi di contratto di solidarietà, il relativo trattamento non è soggetto al limite massimo mensile. La riliquidazione dovrà essere operata anche nei casi in cui, in base agli accordi collettivi, siano da prendere in considerazione, ai fini della riliquidazione del trattamento di integrazione salariale, soltanto i periodi di sospensione dal lavoro (e non anche quelli di riduzione) (Circolare Inps n.
247 del 23 ottobre 1992).
Assegno per congedo matrimoniale
Sono considerate utili ai fini della maturazione dell’una tantum le giornate di assenza dal lavoro per congedo matrimoniale, intervenute nel periodo considerato, che abbiano dato luogo al pagamento di trattamenti economici previdenziali a carico dell’Istituto competente e di integrazione a carico delle aziende ( Circolare Inps del 18 febbraio 2010, n. 26).
Gli importi forfetari possono essere valutati ai fini della determinazione del guadagno medio giornaliero "realizzato" dal lavoratore con la "normale retribuzione" corrispostagli o che gli sarebbe stata corrisposta nel periodo di paga considerato, guadagno sulla cui base si determina l'importo di paga considerato, guadagno sulla cui base si determina l'importo dell'assegno per il congedo matrimoniale.
L'importo dell’assegno erogato a carico dell'Istituto, va dunque rideterminato, per quei lavoratori aventi titolo a percepire l'importo forfetario laddove tale importo sia corrisposto con riferimento ad un periodo nel quale è compreso il periodo di paga in base al quale è stato calcolato l'assegno stesso.L'assegno invece non va riliquidato qualora il datore di lavoro sia tenuto a corrispondere, a norma di contratto, la quota parte di importo forfettario riferibile al periodo di congedo matrimoniale ( Circolare Inps n. 247 del 23 ottobre 1992).
Servizio militare
L’erogazione una tantum non compete per i periodi mensili nei quali si è verificata una sospensione della prestazione lavorativa senza diritto alla retribuzione a causa di servizio militare ( Circolare Inps del 18 febbraio 2010, n. 26).
Aspettativa non retribuita
L’erogazione una tantum non compete per i periodi mensili nei quali si è verificata una sospensione della prestazione lavorativa senza diritto alla retribuzione a causa di aspettativa ( Circolare Inps del 18 febbraio 2010, n. 26).
Assenza facoltativa post partum
L’erogazione una tantum non compete per i periodi mensili nei quali si è verificata una sospensione della prestazione lavorativa senza diritto alla retribuzione a causa di congedo parentale post partum ( Circolare Inps del 18 febbraio 2010, n. 26).
Malattia
Sono considerate utili ai fini della maturazione dell’una tantum le giornate di assenza dal lavoro per malattia, intervenute nel periodo considerato, che abbiano dato luogo al pagamento di trattamenti economici previdenziali a carico dell’Istituto competente e di integrazione a carico delle aziende (Circolare Inps del 18 febbraio 2010, n. 26).
Per eventuali episodi morbosi insorti nel mese successivo, la quota erogata non va inclusa nella retribuzione da prendere a riferimento per l'erogazione dell'indennità ( Circolare Inps n. 127 del 17 maggio 1991).
Infortunio
Sono considerate utili ai fini della maturazione dell’una tantum le giornate di assenza dal lavoro per infortunio, intervenute nel periodo considerato, che abbiano dato luogo al pagamento di trattamenti economici previdenziali a carico dell’Istituto competente e di integrazione a carico delle aziende ( Circolare Inps del 18 febbraio 2010, n. 26).
Per eventuali episodi morbosi insorti nel mese successivo, la quota erogata non va inclusa nella retribuzione da prendere a riferimento per l'erogazione dell'indennità ( Circolare Inps n. 127 del 17 maggio 1991).
Gravidanza e puerperio
Sono considerate utili ai fini della maturazione dell’una tantum le giornate di assenza dal lavoro per gravidanza e puerperio, intervenute nel periodo considerato, che abbiano dato luogo al pagamento di trattamenti economici previdenziali a carico dell’Istituto competente e di integrazione a carico delle aziende ( Circolare Inps del 18 febbraio 2010, n. 26).
Per eventuali eventi di maternità insorti nel mese successivo, la quota erogata non va inclusa nella retribuzione da prendere a riferimento per l'erogazione dell'indennità (Circolare Inps n. 127 del 17 maggio 1991)
Permessi donatori sangue
Per i permessi donatori di sangue sorti nel mese successivo, la quota erogata non va inclusa nella retribuzione da prendere a riferimento per l'erogazione dell'indennità (Circolare Inps n. 127 del 17 maggio 1991).
Cig e Cigs
Con riferimento ai riflessi sulle integrazioni salariali, sia ordinarie che straordinarie, erogate nell'ambito del periodo cui si riferisce la corresponsione dell'importo una tantum si precisa che la misura dell'80% rimborsabile al datore di lavoro, nei limiti del massimale mensile, devono essere calcolati seguendo i seguenti criteri ( Circolare Inps 58 del 5 marzo 1991 e del 18 febbraio 2010, n. 26 e del 27 gennaio 1996, n. 25):
- i periodi da prendere in considerazione sono unicamente i periodi di sospensione totale dal lavoro, in quanto nel caso di riduzione dell'orario settimanale di lavoro (sia verticale che orizzontale) i periodi stessi sono comunque periodi retribuiti e quindi l'erogazione è a completo carico dell'azienda;
- qualora la durata del periodo lavorato sia superiore a 15 giorni, l'onere della quota mensile grava interamente sul datore di lavoro anche se nel mese sono compresi periodi di integrazione salariale;
- la quota mensile è interamente a carico dell'Istituto se la durata del periodo integrato sia superiore a 15 giorni.
Determinato l'onere a carico dell'Istituto, il datore di lavoro, nel caso che le integrazioni salariali che costituiscono il titolo per il rimborso siano state corrisposte dal datore di lavoro medesimo, effettuerà il conguaglio della somma rimborsabile.
Con riferimento ai casi di pagamento diretto delle integrazioni salariali da parte dell'Istituto, le richieste delle somme spettanti a complemento delle integrazioni già erogate devono essere rivolte alla sede che ha disposto il pagamento.
Sulle somme corrisposte dal datore di lavoro ovvero poste in pagamento dalla sede dovranno essere applicate la riduzione pari alla contribuzione prevista per l’apprendista (art. 26, Legge n. 41/1986) e le ritenute erariali; inoltre l'impresa dovrà versare il contributo addizionale (art. 12, Legge n. 164/1975), se previsto nel provvedimento inerente il periodo interessato.
Casi particolari
La determinazione della quota una tantum contrattuale
Il pagamento degli arretrati retributivi, ai lavoratori in forza ad una certa data, di un importo “una tantum”, generalmente sono suddivisibili in quote mensili in relazione ai mesi di servizio prestati nel periodo considerato dal CCNL.
La frazione di mese superiore a 15 giorni è considerata, ai predetti effetti, come mese intero ( Ci rcolare Inps del 18 febbraio 2010, n. 26).
Lavoratori part-time
L’una tantum è ridotto proporzionalmente, per i lavoratori a tempo parziale, in ragione del minore orario di lavoro convenuto.
L’importo dell’una tantum - comprensivo dell’incidenza sugli istituti retributivi diretti ed indiretti, di origine legale o contrattuale viene corrisposto alle scadenze previste dai CCNL ovvero, nel caso di risoluzione del rapporto di lavoro, all’atto della liquidazione delle competenze. Si precisa, altresì, che l’importo è escluso dalla base di calcolo del trattamento di fine rapporto (Circolare Inps del 18 febbraio 2010, n. 26).
Tredicesima mensilità
Si fa risalire all’Accordo Interconfederale del 27/10/1946 l’origine di tale mensilità aggiuntiva la cui efficacia normativa è estesa a tutti i prestatori di lavoro ( D.P.R. 28/7/1960, n. 1070) ed è regolata dalla contrattazione collettiva.
Si dispone infatti che le aziende sono tenute a corrispondere ai lavoratori, in occasione del Natale, una gratifica, la cui misura è rapportata alla normale retribuzione ed al periodo di maturazione.
Misura
Attualmente la tredicesima è generalmente pari ad una mensilità della retribuzione globale di fatto o alla misura stabilita contrattualmente.
Maturazione
L’erogazione della tredicesima presuppone una maturazione del relativo diritto nell’arco temporale che va dal 1° gennaio al 31 dicembre, pertanto essa andrà corrisposta in misura intera nel caso in cui il lavoratore abbia prestato la sua opera ininterrottamente per tutto l’anno.
Qualora il prestatore inizi o cessi il rapporto di lavoro durante l’anno, avrà diritto a tanti dodicesimi quanti sono i mesi di servizio, computando come mese intero la frazione pari o superiore a 15 giorni, secondo quanto previsto dai C.C.N.L.; nel caso di passaggio di qualifica, avvenuta durante l’anno, la tredicesima mensilità sarà corrisposta per intero se al momento del passaggio non è stato risolto il precedente rapporto di lavoro.
Assenze
Ai fini della maturazione del diritto alla tredicesima mensilità saranno considerati utili i seguenti periodi:
- malattia o infortunio con obbligo alla conservazione del posto di lavoro, secondo quanto disposto dai CCNL;
- astensione obbligatoria ( art.6 Legge 1204/1971, art.3, Legge 53/2000);
- congedo matrimoniale ( Regio Decreto Legge 1334/1937);
- festività, ferie e permessi retribuiti, secondo quanto disposto dai CCNL;
- periodo di prova seguito da conferma in servizio;
- cassa integrazione con riduzione oraria;
- periodi di preavviso;
- richiamo alle armi.
Non saranno invece computati i seguenti periodi:
- malattia del bambino fino a tre anni ( art.3, Legge 53/2000);
- servizio militare di leva, secondo quanto disposto dai CCNL;
- sciopero, secondo quanto disposto dai CCNL;
- astensione facoltativa ( art.7 Legge 1204/1971, art.3 comma 5, Legge 53/2000).
Elementi computabili
Ai fini della tredicesima mensilità verranno computati i soli elementi aventi natura retributiva che presentano i caratteri della continuità e della determinatezza; riportiamo qui di seguito le voci retributive utili per la determinazione della mensilità aggiuntiva:
- paga base o stipendio di fatto;
- cottimo, sulla base di quanto è stato corrisposto in media al prestatore nelle ultime due quindicine o nelle ultime quattro settimane;
- indennità di contingenza ed EDR;
- premio di produzione, qualora sia previsto dalla contrattazione collettiva;
- l’indennità sostitutiva di mensa, nei limiti in cui la stessa risulta computabile;
- l’indennità di maneggio del denaro;
- le provvigioni (in riferimento al personale retribuito tutto in parte a provvigioni, conteggiate sulla media dell’anno solare).
Si precisa, inoltre che alcuni C.C.N.L. prevedono che nella gratifica natalizia e nella tredicesima siano ricomprese anche alcune indennità o compensi corrisposti ad alcune categorie di lavoratori, calcolate sulla media di quanto percepito durante l’anno.
Tredicesima mensilità nei vari istituti contrattuali
Malattia
Durante i periodi di assenza per malattia si avrà comunque la maturazione della tredicesima, nei limiti della conservazione del posto di lavoro.
L’indennità, pertanto, che in caso di malattia sarà corrisposta, a carico dell’INPS, comprenderà anche una quota relativa alla tredicesima, la quale va successivamente detratta dall’ammontare della mensilità stessa.
Nel calcolo della tredicesima mensilità, pertanto, si dovrebbe tener conto di quanto già corrisposto a tale titolo, ma solitamente secondo la prassi il recupero delle quote di tredicesima, relative ai periodi di malattia (o infortunio) viene effettuato in occasione dell’integrazione del trattamento dovuto all’assenza, per agevolare i conteggi.
Si precisa, infatti, che nel momento in cui i C.C.N.L. prevedono che durante i periodi di assenza per malattia (o infortunio) debba essere garantita ai lavoratori la normale retribuzione ed a tal fine il datore di lavoro dovrà integrare l’indennità dovuta dall’Istituto assicuratore, tale integrazione verrà calcolata in base alla differenza tra la normale retribuzione corrente e quanto corrisposto a titolo di indennità, al lordo dei contributi, recuperando in tale occasione la quota di tredicesima inclusa nell’indennità di malattia o infortunio.
In tal modo, all’atto della corresponsione della tredicesima mensilità non si dovrà più recuperare alcun importo, erogando l’intero ammontare dovuto.
E’ possibile che vi siano dei casi in cui i C.C.N.L. non prevedano un’integrazione dell’indennità fino al 100% della retribuzione, bensì la corresponsione di un’integrazione in misura percentuale fissa, in tal caso, non si provvederà a recuperare durante l’anno le quote di tredicesima corrisposte con le indennità di malattia e la detrazione di tali quote, pertanto, avverrà all’atto del pagamento della tredicesima mensilità.
Infortunio
L’indennità temporanea liquidata dall’INAIL comprende una quota pari all’8% a titolo di tredicesima che a fine anno dovrà essere detratta dall’importo della gratifica stessa corrisposta al prestatore.
La somma da detrarre verrà calcolata moltiplicando l’importo pagato dall’Istituto per il numero fisso 0,074074, ottenuto dal rapporto tra 8, corrispondente alla percentuale di gratifica e 108, che è l’importo dell’indennità pagata più la retribuzione.
Maternità
Ai fini della maturazione e del calcolo della tredicesima mensilità durante la maternità occorre necessariamente effettuare una distinzione tra astensione obbligatoria ( art.6 Legge 1204/1971) ed astensione facoltativa ( art. 7 Legge 1204/1971, art.3 comma 5, Legge 53/2000).
Per quanto riguarda l’astensione obbligatoria la procedura è simile a quella dell’assenza dovuta a malattia o infortunio, durante tali periodi, infatti, verrà corrisposta alle lavoratrici madri (impiegate o operaie che siano) un’indennità comprensiva di una quota pari all’80% della tredicesima mensilità.
Qualora il CCNL preveda la corresponsione, a carico del datore di lavoro, di un’integrazione che garantisca la normale retribuzione, la quota di gratifica natalizia verrà immediatamente recuperata.
In caso di astensione facoltativa, invece, non è prevista la maturazione della tredicesima, pertanto non si pone alcun problema di calcolo.
Riposi per allattamento
Si precisa che per i riposi, necessari alla lavoratrice madre per l’allattamento del bambino, a far data dall’1/1/78 l’INPS eroga un’indennità pari all’intero ammontare della retribuzione relativa ai riposi stessi (Circolare INPS n. 77 del 1981).
L’indennità, anticipata dal datore di lavoro, conterrà tutti gli elementi che costituiscono parte integrante della normale retribuzione, compresa la tredicesima e la quattordicesima, che
saranno incluse nella predetta indennità proporzionalmente alle ore di lavoro non prestate.
La quota di tredicesima e quattordicesima dovrà, quindi, essere detratta in occasione del pagamento di tali mensilità.
Cassa integrazione guadagni
Per i periodi in cui ricorre il trattamento di cassa integrazione guadagni il diritto alla maturazione della tredicesima mensilità varia a secondo che il trattamento riguardi solo “riduzioni” di orario o sospensione a “zero ore”, della prestazione lavorativa.
La maturazione, infatti, decorrerà solo nei casi di riduzione oraria e non anche nei casi di sospensione a zero ore.
In entrambi i casi verrà, comunque, garantito ai lavoratori interessati l’80%, a carico dell’INPS, della retribuzione relativa alla tredicesima mensilità, mentre la decorrenza o meno della sua maturazione manifesta i suoi effetti solo per quanto riguarda la quota di tredicesima a carico del datore di lavoro ( art.2, Legge 164/1975; art.26, Legge 41/1986).
Sarà utile precisare che la procedura per determinare la quota a carico dell’Istituto previdenziale avverrà come segue:
- si divide l’importo totale della mensilità aggiuntiva per 2000 ore, che corrisponde al totale annuo delle ore lavorative stabilito convenzionalmente dall’INPS, le quali verranno proporzionalmente ridotte se la mensilità è riferita a periodi inferiori ad un anno;
- la quota oraria ottenuta sarà moltiplicata per il numero delle ore autorizzate ed integrate durante l’anno;
- verrà determinato l’80% dell’importo così ottenuto;
- su quest’ultimo ammontare verrà determinato il contributo a carico del lavoratore, determinando in tal modo l’importo da addebitare all’INPS che sarà recuperato mediante il conguaglio, utilizzando il DM 10.
La quota, invece, a carico dell’azienda verrà determinata in modo diverso a seconda che la procedura di Cassa integrazione comporti riduzione oraria o sospensione a zero ore.
Nel primo caso il prestatore di lavoro avrà diritto alla corresponsione di una somma pari alla differenza tra il totale dovuto e la quota a carico dell’INPS, mentre nel secondo caso sarà necessario determinare i ratei mensili per i quali la tredicesima mensilità è dovuta per intero.
Ad esempio se in un mese il periodo di sospensione a zero ore è superiore a 15 giorni, non si avrà alcuna maturazione per quel mese del rateo di tredicesima, mentre maturerà qualora la sospensione sia inferiore a 15 giorni.
Riguardo i mesi durante i quali matura il rateo di tredicesima dovrà essere corrisposta l’integrazione a carico dell’azienda, mentre nulla è dovuto in aggiunta alla quota a carico dell’INPS per il periodo in cui non vi è alcuna maturazione.
Periodo di prova
Nel caso in cui il periodo di prova sia seguito dalla conferma in servizio, esso sarà considerato utile ai fini della maturazione del rateo di tredicesima mensilità.
Generalmente la contrattazione collettiva rinvia la liquidazione della tredicesima alla conferma in servizio, pertanto se a fine anno il prestatore di lavoro è ancora in prova, il rateo sarà corrisposto nel momento della conferma, in base alla retribuzione in vigore al 31 dicembre.
Sciopero
Secondo quanto previsto dalla maggior parte dei CCNL durante lo sciopero non vi è maturazione del diritto alla tredicesima mensilità.
Anche la giurisprudenza, nell'interpretare le disposizioni contrattuali che prevedono la corresponsione della tredicesima mensilità al lavoratore considerato in sevizio, sostiene che, qualora l’attività lavorativa sia sospesa, si dovrà distinguere il caso in cui il rischio della mancata prestazione lavorativa grava sul datore di lavoro, senza alcuna incidenza sul diritto alla retribuzione, dal caso in cui l'assenza dal lavoro sia dovuta a sciopero, il cui diritto sebbene sia garantito dalla Costituzione, determina, il temporaneo venir meno dell'obbligazione del pagamento della retribuzione, in cui è ricompresa la tredicesima mensilità (Cassazione 23/11/1982 n. 6316).
La gratifica natalizia, pertanto, essendo considerata una voce retributiva andrà ridotta in misura proporzionale alle giornate di sciopero, a meno che non vi sia una diversa, e più favorevole, disciplina contrattuale la quale prevede che la misura di tale elemento retributivo non sia suscettibile di riduzione per lo sciopero dei dipendenti ( Cassazione 22/01/1987 n.598).
Categorie particolari
Apprendisti
Salvo diverse disposizioni contrattuali, la gratifica natalizia dovrà essere riproporzionata all’eventuale orario ridotto in atto per gli apprendisti, ragguagliato a quello vigente per la generalità dei lavoratori.
Nel caso di ex apprendista confermato durante l’anno, la tredicesima mensilità verrà erogata in base alla retribuzione riferita al mese di dicembre ed attribuita alla qualifica conseguita, indipendentemente dal momento in cui l’ex apprendista ha conseguito l’inquadramento.
Part-time
L’ammontare della tredicesima mensilità dovrà essere corrisposta in proporzione al rapporto fra minor orario di lavoro effettivamente prestato ed orario contrattuale.
Nel caso di part-time ciclico, laddove la prestazione verrà svolta solo per alcune settimane durante il mese o solo per alcuni mesi durante l’anno, dovrà essere considerato il rapporto tra l’orario di lavoro effettivamente prestato dal lavoratore a tempo parziale e quello annuo contrattuale, svolto dagli altri lavoratori.
Si precisa che, qualora vi sia il passaggio durante l’anno da part-time a full-time o viceversa dovranno essere considerati i ratei prestati con i diversi orari.
Quattordicesima mensilità
E’ prevista da alcuni contratti collettivi, l’erogazione di un’ulteriore mensilità aggiuntiva che prende il nome di quattordicesima (o premio ferie), qualora essa non sia prevista potrà essere concordata a livello aziendale.
Saranno gli stessi C.C.N.L. a regolarne la maturazione, l’erogazione e l’entità della retribuzione su cui computare la mensilità aggiuntiva.
Solitamente essa viene corrisposta nel mese di luglio con riferimento ad un periodo di maturazione che va dal 1° luglio dell’anno precedente al 30 giugno dell’anno in cui viene erogata.
La misura, prevista dalla contrattazione collettiva, è pari ad una mensilità della retribuzione globale di fatto in corso nel mese in cui viene corrisposta o ad una sua percentuale.
E’ stato posto un particolare problema circa la computabilità o meno della contingenza nella quattordicesima mensilità, poiché disposizioni legislative (art.2 Decreto Legge 1/2/1977, n.12) avevano previsto che a far data dal 1977, i miglioramenti retributivi intervenuti per effetto di variazioni del costo della vita, dovevano essere limitati al numero delle mensilità previste per il settore industriale.
L’intervento della Corte Costituzionale, dichiarando illegittimo l’articolo 2 della citata legge, ha disposto l’ammissione del computo dell’indennità di contingenza su elementi della retribuzione diversi da quelli previsti dalla contrattazione collettiva per il settore industriale e pertanto anche la quattordicesima ( Corte Costituzionale del 1991, n.124).
Soci di cooperative ex DPR 602/70
A decorrere dal 1° gennaio 2007 la retribuzione imponibile da assumere a base del versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali per i soci di cooperative con rapporto di lavoro subordinato è determinata in base alle norme in vigore per la generalità dei lavoratori dipendenti ( art. 6 del D.Lgs. n. 314/97 e art. 1, co. 1, della legge n. 389/89).
Tale criterio di imponibilità trova applicazione con esclusivo riferimento ai compensi di competenza dell’anno 2007.
Alla luce di tale particolare modalità di applicazione del criterio di imponibilità e in considerazione del fatto che la 14° mensilità è solitamente riferita dalla contrattazione collettiva al periodo che va dal 1° luglio dell’anno precedente al 30 giugno dell’anno di corresponsione, le cooperative ex D.P.R. n. 602/70 assoggetteranno a contribuzione assicurativa e previdenziale la quattordicesima mensilità solo con riferimento ai ratei della stessa maturati nell’anno 2007, cioè in ragione di tanti dodicesimi quanti sono quelli ricompresi nel periodo 1° gennaio-30 giugno 2007 ( Messaggio Inps del 12 luglio 2007, n. 18271).
Vacanza contrattuale
Nozione generale
Fu il Protocollo d’intesa del 23/7/1993 a sostituire il vecchio sistema di indicizzazione automatica delle retribuzioni con un particolare meccanismo di rivalutazione retributiva, anch’esso automatico, atto a produrre i suoi effetti nel caso in cui un CCNL non venisse rinnovato entro tre mesi dalla sua data di scadenza.
L’indennità di vacanza contrattuale può essere considerata, pertanto, una forma di tutela retributiva, qualora l’imprenditore disattenda ai suoi impegni contrattuali, a copertura del periodo intercorrente tra la scadenza ed il rinnovo del CCNL.
Si prevede, infatti, che decorso un intervallo temporale (vacanza contrattuale), pari a tre mesi, dalla data di scadenza del contratto o dal momento della presentazione della piattaforma, da parte delle Organizzazioni sindacali dei lavoratori, se successiva, sarà corrisposta ai lavoratori dipendenti, a cui si applica il relativo CCNL scaduto, un elemento provvisorio della retribuzione:
- pari al 30% del tasso d’inflazione programmato, applicato ai minimi retributivi contrattuali vigenti, compresa l’ex indennità di contingenza, nel caso siano trascorsi 3 mesi dalla data di scadenza del CCNL;
- pari al 50% dell’inflazione programmata, applicata ai minimi retributivi, compresa l’ex indennità di contingenza, qualora siano trascorsi 6 mesi dalla data di scadenza del contratto.
L’erogazione di tale indennità cesserà dal momento dalla decorrenza dell’accordo di rinnovo; il meccanismo è unico per la totalità dei lavoratori e sarà considerato un elemento della retribuzione sia ai fini contrattuali che legali.
L’accordo interconfederale del 15 aprile 2009, sostituisce le regole definite del Protocollo sottoscritto fra Governo e parti sociali il 23/7/1993.
In particolare prevede che per la dinamica degli effetti economici dei contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria, le parti individuano l’indicatore della crescita dei prezzi al consumo per il triennio - in sostituzione del tasso di inflazione programmata - in un nuovo indice previsionale costruito sulla base dell’IPCA (l’indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo per l’Italia), depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati.
Il recupero degli eventuali scostamenti sarà effettuato entro la vigenza di ciascun contratto collettivo nazionale di lavoro in termini di variazione dei minimi.
In sede di rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria le parti stipulanti applicheranno il nuovo indice previsionale ad un valore retributivo medio assunto quale base di computo composto dai minimi tabellari, dal valore degli aumenti periodici di anzianità considerata l’anzianità media di settore e dalle altre eventuali indennità in cifra fissa stabilite dallo stesso contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria.
Il presente accordo decorre dal 15/4/2009 ed avrà vigore fino al 15/4/2013.
Sei mesi prima della data di scadenza del contratto, le parti devono presentare le piattaforme di rinnovo del contratto collettivo nazionale di categoria. Qualora non vengano rispettati tali tempi e procedure, i lavoratori in servizio alla data di raggiungimento dell’accordo di rinnovo avranno diritto alla IVC nella misura stabilita nei singoli contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria.
Pertanto, l’IVC va corrisposta in seguito al rinnovo del contratto solo ai lavoratori ancora in servizio in tale momento e nella misura prevista al medesimo rinnovo e viene calcolata in base ad un nuovo indicatore previsionale dell’inflazione IPCA.
Regime transitorio
Tutti i contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria e gli accordi di secondo livello, la cui scadenza biennale o quadriennale sia successiva alla data di entrata in vigore del presente accordo interconfederale, saranno rinnovati con l’applicazione delle condizioni, principi, regole, modalità, tempi stabiliti con il presente accordo interconfederale.
Ai fini della presentazione delle richieste di rinnovo, i tempi stabiliti - sei mesi dalla scadenza il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria - dovranno essere rispettati per i contratti in scadenza dall’1/11/2009. Nel frattempo devono essere rispettati i tempi previsti dal Protocollo del 23/7/1993 con le modalità in atto.
In fase di prima applicazione del presente accordo interconfederale nel rinnovo di ciascun contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria, ai fini dell’eventuale recupero degli scostamenti inflazionistici registrati nel biennio precedente si procederà secondo la disciplina prevista dal Protocollo del 23/7/1993.
Ferie
Secondo un principio sancito dalla Costituzione al lavoratore spetta un periodo annuale di ferie retribuite a cui non può rinunciare ( art.36 Costituzione) in quanto necessario al ripristino delle energie psicofisiche ( art.2109, comma 2 Cod. civ.); in linea generale, durante l’assenza dal lavoro per ferie, al lavoratore spetterà il medesimo trattamento economico che avrebbe percepito in caso di svolgimento della prestazione lavorativa, anche se la disciplina della materia è demandata alla contrattazione collettiva.
Ferie godute
Secondo quanto disposto dalla normativa internazionale ( art. 7, Convenz. OIL 132/1970) e dai
C.C.N.L. la retribuzione corrisposta al lavoratore durante le ferie dovrà essere pari a quella percepita in caso di effettivo svolgimento della prestazione lavorativa.
Ai fini della determinazione degli elementi che compongono la retribuzione feriale dovranno essere ricompresi nella stessa i compensi aventi carattere ricorrente ed i tipici elementi della paga base, quali, ad esempio, minimi tabellari, scatti di anzianità ed indennità di contingenza, ma in ogni caso è demandata ai C.C.N.L. la facoltà di individuare quali elementi della retribuzione dovranno essere posti come base del trattamento per ferie ( Cassazione 15/12/1988, n.6830).
Si precisa, inoltre, che durante le ferie anche l’assegno per il nucleo familiare verrà computato nella retribuzione corrisposta in tale periodo ( Circ. INPS del 17/4/1992, n. 110).
Corresponsione
Le ferie maturano in relazione ai mesi di lavoro effettivamente prestato, conseguentemente anche la retribuzione feriale dovrà essere proporzionata ai giorni realmente spettanti e non a quelli goduti.
Potrà verificarsi la situazione secondo la quale il lavoratore fruisca di un numero di giorni di ferie superiore a quello dei giorni realmente maturati; in tal caso occorrerà operare una distinzione tra prestatori di lavoro retribuiti in misura fissa (impiegati) e lavoratori retribuiti con paga oraria (operai).
Ai primi spetterà, alternativamente, o la corresponsione della normale retribuzione mensile, provvedendo il datore di lavoro a sottrarre dal periodo successivo di maturazione i giorni goduti in più o il pagamento di un importo dal quale saranno detratti i giorni di ferie non maturati.
Per gli operai invece dovrà essere moltiplicato il numero delle ore corrispondenti alle ferie fruite per la paga oraria, indicando separatamente nel prospetto paga la retribuzione feriale da quella per le ore lavorate.
Si precisa che la retribuzione feriale dovrà essere corrisposta prima dell’inizio del periodo di congedo.
Ferie non godute
Anche se il diritto al godimento delle ferie è un diritto costituzionalmente garantito ( art. 36
Costituzione) al quale non è possibile rinunciarvi, è comunque possibile, in deroga a tale principio, riconoscere al lavoratore un’indennità economica, qualora, per cause a lui non imputabili, non abbia potuto fruire del periodo feriale spettantegli.
La mancata fruizione delle ferie potrà essere risolta con il differimento delle stesse o con il pagamento di un’indennità.
In base a quanto stabilito dalla normativa internazionale (art. 7 e art. 22, comma 2, Direttiva CEE n. 88/2003) il prestatore di lavoratore avrà diritto alla fruizione di un periodo di ferie annuali retribuite pari ad almeno 4 settimane, concesse in base ai criteri definiti dalle disposizioni di legge e della prassi nazionale.
In ogni caso tale periodo di ferie annuali retribuite non potrà essere sostituito da un'indennità finanziaria, tranne in caso di risoluzione del rapporto di lavoro.
E’ data facoltà alla contrattazione collettiva di stabilire ( art. 10, Dlgs. 66/2003):
- condizioni di miglior favore circa la durata delle ferie;
- criteri e modalità di regolazione qualora l’orario di lavoro normale sia riferito alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all'anno ( art. 3 comma 2 D.lgs.66/2003).
Indennità sostitutiva delle ferie
A sostegno del principio in base al quale il diritto alle ferie è irrinunciabile ( art. 36 Costituzione), in quanto connesso alla personalità del lavoratore, le disposizioni di legge ( art. 7 e art. 22, comma 2, Direttiva CEE n. 88/2003 e art. 10,comma 2 D.lgs.n. 66 del 2003) stabiliscono che il periodo minimo di ferie annuali, corrispondente a 4 settimane, a far data dal 29 aprile 2003, non può essere sostituito da indennità finanziaria, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro (
Circolare del min. lavoro del 03 marzo 2005, n. 8).
Per i contratti a tempo determinato, di durata inferiore all’anno, quindi, è sempre ammissibile la monetizzazione delle ferie.
L’indennità sostitutiva delle ferie risulta essere imponibile sia livello fiscale che previdenziale, ma alcuni problemi sono sorti circa l’individuazione del momento in cui deve essere dichiarata la sussistenza dell’obbligazione contributiva, nel caso in cui la contrattazione collettiva non fissi un termine entro il quale sussista l’obbligo di retribuire le ferie (art. 6, D.lgs. 314/1997).
Si precisa ( Circolare Inps 186/1999) che i compensi per le ferie non godute rientrano nella retribuzione imponibile ai fini previdenziali in base al principio di onnicomprensività ( >art. 6, D.lgs. 314/1997), così come in campo fiscale ( art. 48 DPR 917/1986) l'introduzione di una nozione di retribuzione più ampia fa si che sarà considerato reddito qualunque compenso erogato "in dipendenza del rapporto di lavoro" a prescindere dal collegamento o meno con il lavoro prestato. Il prelievo fiscale, pertanto, non sarà connesso solo alla cosiddetta
"paga-base", ma si estende a qualsiasi indennità corrisposta a causa del rapporto di lavoro che rientri nel reddito imponibile.
La normativa (Decreto legislativo n. 314/1997) che ha consentito l'unificazione della base imponibile fiscale con quella previdenziale ha rafforzato tale criterio causale, disponendo che il reddito di lavoro dipendente ai fini previdenziali è costituito da tutte le somme ed i valori in genere, a qualunque titolo “maturati nel periodo di riferimento”, comprendendo pertanto, non solo quanto percepito ma anche quanto dovuto, in base al principio di competenza.
Nel caso in cui esista una previsione legale o contrattuale che regolamenti la fruizione delle ferie prevedendo un termine per l’erogazione dell’indennità sostitutiva, la scadenza dell’obbligazione contributiva sul compenso sostitutivo per le ferie non godute e la collocazione temporale dei contributi dovrà essere individuata in base a quanto suddetto.
Si precisa che la natura dell'indennità sostitutiva delle ferie è stata oggetto di dispute giurisprudenziali, (Massima della Cassazione del 19 maggio 2003, n. 7836) secondo una parte, infatti, essa avrebbe natura risarcitoria, in quanto diretta a ristorare il danno fisico e psichico subito dal lavoratore per la mancata concessione del riposo spettantegli (art.2109 cod. civ. e
art. 36 Costituzione) e come tale non dovrebbe essere assoggettabile a contribuzione previdenziale ( Massima della Cassazione 2/8/2000, n. 10173).
Differenti orientamenti, invece, sostengono che la predetta indennità abbia natura retributiva, in qualità di compenso corrisposto al prestatore di lavoro, in dipendenza dell’attività lavorativa svolta ( >Massima della Cassazione 19/10/2000, n.13860) e come tale soggetta a contribuzione sia previdenziale che assistenziale.
L’importo erogato a titolo di indennità sostitutiva di ferie non concorre alla determinazione della retribuzione utile ai fini del calcolo del T.F.R..
Nel caso in cui il lavoratore inoltri la richiesta di indennità per ferie non godute, avrà l’onere di provare lo svolgimento dell’attività lavorativa nelle giornate che avrebbero dovuto essere destinate alla fruizione delle ferie ( Cassazione 21/8/2003, n. 12311).
In relazione alla monetizzazione delle ferie non godute il Ministero chiarisce ( Nota Ministero del lavoro del 13 giugno 2006, n. 496) che è possibile, per il periodo anteriore al 29 aprile 2003 (data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 66/2003), monetizzare le ferie se ed in quanto previsto dal contratto collettivo di lavoro applicabile e sempre nel rispetto dei principi costituzionali dai quali, ad esempio, si può ricavare che il potere di monetizzare le ferie non può essere rimesso ad una decisione unilaterale del datore di lavoro.
In merito, invece, alle modalità di imputazione delle ferie precisa che, in assenza di un principio in materia, occorre attenersi ad un criterio di prudenza che, per evitare eventuali sanzioni per la violazione degli obblighi di legge, impone di imputare prioritariamente le ferie maturate nei periodi rispetto ai quali è più vicina la data di scadenza del termine per il godimento.
Categorie particolari
Dirigenti
Sarà la contrattazione collettiva a stabilire, per tale categoria di prestatori, il periodo annuale di ferie, disciplinando, inoltre, l’ipotesi in cui le ferie sono maturate ma non godute .
Si considera che in deroga al principio dell'irrinunciabilità delle ferie, i dirigenti ed i prestatori appartenenti al personale direttivo, in quanto dotati di ampi poteri di autodeterminazione, hanno la facoltà di rinunciarvi, nell’anno in cui maturano, perdendo in tal modo il diritto all’indennità sostitutiva (Cassazione 18/6/1998, n. 4198).
Lavoratori part-time
In virtù del principio di non discriminazione, il lavoratore a tempo parziale ha diritto ad un trattamento equiparato a quello di un lavoratore a tempo pieno che sia inquadrato nel medesimo livello, in base alla classificazione stabilita dai contratti collettivi.
Il part-time, pertanto, avrà diritto alla fruizione delle ferie annuali e ad una retribuzione feriale riproporzionata alla ridotta entità della prestazione lavorativa (art.4 D.Lgs. 61/2000).
Apprendistato
Premettendo che l’apprendista ha diritto ad un periodo di ferie di durata non inferiore a 30 giorni se di età non superiore a 16 anni ed a 20 giorni se ha superato i 16 anni di età (art.14, Legge 25/1955), il datore di lavoro avrà l'obbligo di corrispondere al prestatore durante tale periodo la normale retribuzione (art.11. lett. e Legge 25/1955).
In particolare sarà la contrattazione collettiva di settore a stabilire il trattamento economico feriale, in base ai differenti livelli retributivi.
Festività
Si premette che sono considerate festive le seguenti giornate (DPR n. 792/1985, art.2 Legge 260/1949):
- tutte le domeniche;
- il 1° gennaio, Xxxxx Santissima Madre di Dio;
- il 6 gennaio, Epifania;
- il 15 agosto, Assunzione della Beata Xxxxxxx Xxxxx;
- il 1° novembre, tutti i Santi;
- l'8 dicembre, Immacolata Concezione della Beata Xxxxxxx Xxxxx;
- il 25 dicembre, Natale del Signore;
- il 26 dicembre, X. Xxxxxxx;
- il 25 aprile, Liberazione nazionale;
- il giorno di lunedì dopo Pasqua;
- il 1° maggio festa del Lavoro;
- il 2 giugno (celebrazione della festa nazionale della Repubblica), a decorrere dal 2001 ( art.1, legge 20/11/2000 n. 336);
- il Santo Patrono (secondo quanto disposto dalla contrattazione collettiva).
- limitatamente all'anno 2011, il giorno 17 marzo è considerato giorno festivo ( D.L. 22 febbraio 2011, n. 5) in quanto 150º anniversario della proclamazione dell'Unità d'Italia ( art. 7-bis, DL 64/2010 conv. con mod.Legge 100/2010).
Per quanto riguarda il trattamento economico occorre fare una distinzione tra i prestatori di lavoro pagati ad ore e quelli retribuiti in misura fissa.
Nelle giornate coincidenti con la festa nazionale (2 giugno), l'anniversario della liberazione (25 aprile), la festa del lavoro (1° maggio) ed il giorno dell'unità nazionale (4 novembre) i datori di lavoro saranno tenuti a corrispondere ai lavoratori retribuiti non in misura fissa, ma in relazione alle ore di lavoro prestato, la normale retribuzione globale di fatto giornaliera compreso ogni elemento accessorio, ragguagliata ad un sesto dell'orario settimanale contrattuale o in mancanza a quello legale.
Qualora i suddetti lavoratori prestino la loro opera nelle suindicate festività, avranno diritto oltre alla normale retribuzione giornaliera, alla retribuzione per le ore di lavoro effettivamente prestate con la maggiorazione per il lavoro festivo (art.5 Legge 260/1949).
Si precisa che nel caso in cui il datore di lavoro non osservi quanto disposto dalla legge, in
merito al trattamento economico, sarà punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 154,94 a euro 929,62 ( art.6 Legge 260/1949 modif. dall’art.75, D.Lgs. 30/12/1999, n.507). A decorrere dal 1° gennaio 2007 ( articolo 1, comma 1177, Legge 296/2006) la sanzione diventa da euro 774,70 a euro 4.648,10.
Ai lavoratori retribuiti in misura fissa, invece, che non abbiano prestato attività lavorativa, saranno corrisposte solo le quote degli elementi variabili della retribuzione quali, la quota giornaliera dell’indennità di mensa, l’indennità per lavorazioni nocive o la percentuale di maggiorazione per lavoro a turni, in quanto lo stipendio fisso mensile ricomprende già il compenso per le festività godute.
Nel caso in cui sia stata svolta l’attività lavorativa, nelle giornate considerate festive, sarà dovuta, oltre alla normale retribuzione globale di fatto giornaliera, compreso ogni elemento accessorio, la retribuzione per le ore di lavoro effettivamente prestate con la maggiorazione per il lavoro festivo.
Se la festività cade di domenica agli impiegati ed ai lavoratori retribuiti in misura fissa sarà dovuto, in aggiunta al normale trattamento economico, un importo pari ad una quota giornaliera della retribuzione di fatto (art.1 Accordo Interconfederale 3/12/1954). Detto importo sarà determinato, per gli impiegati e gli altri lavoratori retribuiti mensilmente, sulla base di 1/26 della retribuzione mensile fissa, mentre per i lavoratori retribuiti ogni quattro settimane, oppure a quindicina, quattordicesima o settimana, il calcolo avverrà dividendo rispettivamente la retribuzione fissa per 24, 13, 12 e 6.
Per quanto concerne la festività riconosciuta, per il 17 marzo, limitatamente all’anno 2011, il Legislatore (D.L. 22 febbraio 2011, n. 5) ha escluso l’applicazione del trattamento normalmente spettante, in via ordinaria, per questa tipologia di ricorrenze; ha previsto, piuttosto, una particolare disciplina basata sul “trasferimento” al 17 marzo del trattamento che i datori di lavoro avrebbero, altrimenti, attribuito in occasione delle festività soppresse.
Pertanto, al fine dell’individuazione del trattamento economico-normativo da erogare ai lavoratori in occasione della festività nazionale del 17 marzo 2011, il singolo datore di lavoro può scegliere come riferimento, sia la giornata del 4 novembre sia, in via alternativa, una qualsiasi delle altre festività ( L. n. 54/1977) tuttora soppresse (Ministero lavoro, interpello 17 giugno 2011, n. 25).
Assenze dal lavoro
Il trattamento economico dovrà essere egualmente corrisposto per intero al lavoratore, anche se risulta assente dal lavoro per i seguenti motivi:
- infortunio, malattia, gravidanza, puerperio e periodo di assenza facoltativa seguente al puerperio, congedo matrimoniale, xxxxx, permessi e assenze per giustificati motivi;
- riduzione dell'orario normale giornaliero o settimanale di lavoro;
- sospensione dal lavoro, a qualunque causa dovuta, indipendente dalla volontà del lavoratore;
- sospensione dal lavoro dovuta a riposo compensativo di lavoro domenicale;
- sospensione dal lavoro dovuta a coincidenza della festività con la domenica o ad altro giorno festivo considerato tale dai contratti collettivi, compresa la celebrazione del Santo Patrono della località in cui si svolge la prestazione lavorativa ( art.2, Legge 90/1954).
Si precisa che il trattamento retributivo per festività non verrà corrisposto ai lavoratori, retribuiti in relazione alle ore di lavoro prestato, che siano stati sospesi dal lavoro per oltre due settimane ( art.3 Legge 90/1954).
Categorie particolari
Lavoratori part-time
La retribuzione spettante ai lavoratori a tempo parziale dovrà essere corrisposta, rispettando differenti modalità, a seconda che il lavoratore sia retribuito con paga oraria o in misura fissa.
Nel primo caso (paga oraria) verrà corrisposta al lavoratore, che non presta alcun attività durante le giornate considerate festive, la normale retribuzione di fatto, compreso ogni elemento accessorio, che sarà determinata ragguagliandola a quella corrispondente ad 1/6 dell'orario settimanale contrattuale o, in mancanza, a quello previsto dalla legge.
Al dipendente, invece, che presta la sua opera nei giorni festivi sarà dovuta, oltre alla normale retribuzione globale di fatto giornaliera, la retribuzione per le ore di lavoro effettivamente prestate, con la maggiorazione per il lavoro festivo.
Al lavoratore retribuito in misura fissa, che nei giorni considerati festivi, non svolge alcuna attività lavorativa, non spetterà nessun compenso, poiché la retribuzione mensile è comprensiva anche delle quote relative alle festività infrasettimanali, mentre qualora presti attività nei predetti giorni, gli verrà corrisposta, oltre alla normale retribuzione globale di fatto giornaliera, la retribuzione per le ore di lavoro effettivamente prestate, con la maggiorazione per il lavoro festivo e qualora la festività coincida con la domenica, spetterà ai lavoratori stessi, oltre alla normale retribuzione globale di fatto giornaliera, anche una ulteriore retribuzione corrispondente all'aliquota giornaliera ( art.1 Legge 90/1954).
Si precisa, infine che in caso di part-time verticale il prestatore di lavoro non avrà diritto ad alcuna retribuzione, nel caso in cui la festività ricada nel giorno in cui non avrebbe dovuto lavorare ( art.2 lett. c, Legge 90/1954).
E’ ammissibile ( Nota Ministero del lavoro del 10 ottobre 2006, n. 4581) stipulare un contratto a tempo parziale anche nei casi in cui sia previsto lo svolgimento del lavoro durante tutte le domeniche dell’anno. In tal caso, dovrà, naturalmente, essere corrisposta la maggiorazione retributiva spettante per il lavoro festivo. Si ribadisce peraltro che, nelle ipotesi di cumulo di più rapporti di lavoro a tempo parziale con più datori di lavoro, resta fermo l’obbligo del rispetto dei limiti di orario di lavoro e del diritto al riposo settimanale del lavoratore ( D.Lgs. n. 66/2003).
Edili
Non esistendo disposizioni generali di legge che regolamentano tale settore, sarà necessario fare riferimento esclusivamente alla contrattazione collettiva, operando una distinzione tra la categoria impiegatizia e quella operaia.
Indennità di mensa
In linea generale non esiste un principio secondo il quale è obbligatorio allestire un servizio di mensa, ma a discrezione del datore di lavoro, le aziende potranno mettere a disposizione dei propri dipendenti tale servizio oppure offrire loro dei buoni pasto (o ticket restaurant).
In caso di mancato utilizzo della mensa o dei buoni pasto, sarà riconosciuta ai prestatori un’indennità sostitutiva giornaliera in misura forfetaria.
E’ stata controversa e dibattuta la natura giuridica del servizio di mensa e della corrispondente indennità sostitutiva, in particolar modo per quanto riguarda la sua incidenza sulla retribuzione.
Disposizioni legislative hanno provveduto alla risoluzione del problema (art.6, comma 3 Decreto Legge 11/7/1992, n.333), affermando che sia il valore del servizio di mensa che la relativa indennità sostitutiva di esso, percepita da chi non usufruisce del servizio istituito dall'azienda, non fanno parte della retribuzione, a nessun effetto attinenti agli istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro subordinato, a meno che gli accordi ed i contratti collettivi, anche aziendali, non dispongano diversamente, stabilendo se ed in quale misura la mensa costituisce retribuzione in natura.
In merito, la Corte Costituzionale pronunciandosi sul rapporto tra normativa legale e contrattuale, ha conferito rilievo a quanto stabilito dai contratti collettivi, anche se stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto; pertanto qualora disposizioni contrattuali prevedano l’erogazione di una indennità sostitutiva per coloro che non utilizzano il servizio di mensa, essa dovrà essere computata negli istituti retributivi differiti, entro i limiti convenzionali contrattualmente stabiliti, avendo in tal caso detta indennità natura retributiva ( Corte Costituzionale 164/1994).
A conferma del suddetto orientamento la giurisprudenza sostiene che il valore dei pasti, di cui il lavoratore può fruire in una mensa aziendale o presso esercizi convenzionati con il datore di lavoro, non costituirà elemento integrativo della retribuzione, nel caso in cui il servizio di mensa rappresenti un'agevolazione di carattere assistenziale e non un corrispettivo obbligatorio della prestazione lavorativa, per mancanza di un nesso causale tra l'utilizzazione della mensa ed il lavoro prestato ( Cassazione 1/12/1998, n.12168).
Per quanto riguarda l’aspetto previdenziale e fiscale è stato disposto (art.3, comma 2 lett. c, X.Xxx n. 314 del 2 settembre 1997), che non concorrono alla formazione del reddito imponibile:
- le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro, come ad esempio nel caso dei camerieri, dei cuochi, del custode, laddove l’esenzione sia fiscale che previdenziale è pari al 100%;
- le mense organizzate direttamente dallo stesso datore, laddove l’esenzione sia fiscale che previdenziale è pari al 100%;
- le mense gestite da terzi, laddove l’esenzione sia fiscale che previdenziale è pari al 100%;
- le prestazioni (tickets restaurant) ( Circolare Inps n. 21 del 27 gennaio 1987) o le indennità sostitutive fino all'importo complessivo giornaliero di € 5,29, corrisposte agli addetti ai cantieri edili, ad altre strutture lavorative a carattere temporaneo o ad unità produttive ubicate in zone dove manchino strutture o servizi di ristorazione (art.4 D.Lgs. n.56 del 23/3/1998; Circolare n. 104 del 14 maggio 1998).
Tickets restaurant
Disposizioni ministeriali (Circolare Ministero delle Finanze n. 326/E, punto 2.3, del 23 dicembre 1997) chiariscono che:
- ad essere escluso dalla base imponibile sarà il valore nominale dei tickets restaurant;
- nei tickets dovrà essere possibile individuare il collegamento fra i tagliandi ed il tipo di prestazione a cui essi danno diritto;
- dovrà essere indicato sul retro dei tickets la non cedibilità, la non cumulabilità, la non commerciabilità e la non convertibilità in denaro.
Servizi sostitutivi di mensa resi a mezzo buoni pasto
Per buono pasto ( D.P.C.M. del 18 novembre 2005) si intende il documento di legittimazione, anche in forma elettronica, avente determinate caratteristiche, che attribuisce al possessore ( art. 2002 C.C.), il diritto ad ottenere dagli esercizi convenzionati la somministrazione di alimenti e bevande e la cessione di prodotti di gastronomia pronti per il consumo, con esclusione di qualsiasi prestazione in denaro.
I buoni pasto devono avere i seguenti requisiti ( D.P.C.M. del 18 novembre 2005):
- consentono all'utilizzatore di ricevere un servizio sostitutivo di mensa di importo pari al valore facciale del buono pasto;
- costituiscono il documento che consente all'esercizio convenzionato di provare l'avvenuta prestazione nei confronti delle società di emissione;
- sono utilizzati, durante la giornata lavorativa anche se domenicale o festiva, esclusivamente dai prestatori di lavoro subordinato, a tempo pieno e parziale, anche qualora l'orario di lavoro non prevede una pausa per il pasto, nonché dai soggetti che hanno instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione anche non subordinato;
- non sono cedibili, commercializzabili, cumulabili o convertibili in denaro;
- sono utilizzabili esclusivamente per l'intero valore facciale.
Per servizi sostitutivi di mensa si intendono:
- le somministrazioni di alimenti e bevande effettuate dai pubblici esercizi;
- le cessioni di prodotti di gastronomia pronti per il consumo immediato, effettuate da mense aziendali, rosticcerie e gastronomie, pubblici esercizi ed esercizi commerciali autorizzati alla vendita, produzione, alla preparazione o alla preparazione e vendita di generi alimentari ( Circolare Ministero delle Finanze n. 326/E, punto 2.3, del 23 dicembre 1997).
Si precisa, infine che uno stesso dipendente nella medesima giornata non potrà fruire del servizio mensa ed utilizzare anche il ticket restaurant o ricevere l'indennità sostitutiva del servizio di mensa, fruendo dell'esclusione dalla formazione del reddito di € 5,29.
Indennità di trasferta
Il nostro ordinamento legislativo non ha provveduto a dare una definizione dell’istituto della
trasferta, pertanto secondo orientamenti giurisprudenziali si intende per tale, il mutamento provvisorio e temporaneo del luogo in cui abitualmente il lavoratore esegue la prestazione lavorativa, disposto unilateralmente dall'imprenditore nell'esercizio dei suoi poteri organizzativi ( Sentenza Cassazione del 14 agosto 1998, n.8004).
E’ la contrattazione collettiva a disciplinare in maniera esaustiva la trasferta, indicando i relativi compensi, indennità o rimborsi al personale inviato in missione in una località diversa dal normale luogo di lavoro.
Alcune difficoltà sorgono in merito alla natura retributiva di tali compensi, all’eventuale incidenza sugli altri elementi della retribuzione ed all’assoggettabilità a contribuzione ed al prelievo fiscale ( Sentenza Cassazione del 30 luglio 1993, n.8512; Sentenza Corte Costituzionale del 03 maggio 1993, n.239).
I CCNL generalmente stabiliscono un’indennità di trasferta che può essere di importo prestabilito, in misura fissa o in percentuale sulla retribuzione giornaliera.
L’indennità, calcolata sugli elementi base della retribuzione giornaliera, va corrisposta per tutte le giornate in cui dura la missione stessa, comprese le festività, le domeniche, le giornate di assenza per infortunio o malattia, durante le quali il lavoratore è costretto a rimanere fuori sede.
Non viene corrisposta invece, nel caso in cui la retribuzione resta sospesa a causa di permessi non retribuiti o assenze ingiustificate.
Rimborso spese
I lavoratori inviati in trasferta avranno diritto al rimborso delle spese di viaggio, vitto, alloggio ed altre spese strettamente necessarie per il compimento della missione.
Tali rimborsi non hanno natura retributiva e quindi non incidono su altri elementi della
retribuzione né sul T.F.R. e non sono assoggettati a contribuzione previdenziale.
Diaria
In alternativa al rimborso a piè di lista delle spese sostenute dal lavoratore, potrà essere stabilita di comune accordo tra le parti, nel caso in cui la missione abbia una certa durata, la corresponsione di una diaria giornaliera forfetaria che può assorbire, oltre alle spese realmente sostenute, anche l’eventuale indennità di trasferta prevista dai C.C.N.L.
Solitamente la diaria è frazionabile in terzi, che verranno corrisposti nel caso in cui la missione non duri l’intera giornata, in misura pari ad 1/3 per ciascun pasto consumato ed 1/3 per il pernottamento.
Casi particolari
Tempo per raggiungere la sede di lavoro
Il tempo impiegato giornalmente per raggiungere la sede di lavoro durante il periodo della trasferta non può considerarsi come impiegato nell'esplicazione dell'attività lavorativa vera e propria in quanto non rientra nell'orario di lavoro effettivo e non si somma quindi al normale orario di lavoro, in modo tale da essere qualificato come lavoro straordinario poiché l’indennità di trasferta è in parte diretta a compensare il disagio psicofisico e materiale dovuto agli spostamenti nei vari luoghi di lavoro ( Massima della Corte di cassazione del 22 marzo 2004, n. 5701).
Indennità di trasferta contrattuali
La frazione di indennità di trasferta che eccede ai fini IRPEF i limiti individuati nell’ art. 51 del TUIR (quindi solo l’eccedenza) ha natura retributiva; è ammissibile, quindi, la stipula di un accordo collettivo aziendale per la corresponsione di una indennità di trasferta superiore a quello previsto dalla contrattazione nazionale o territoriale ( Interpello Ministero del lavoro del 2 aprile 2010, n. 14).
Nel caso in cui ( Nota Ministero del lavoro 21 aprile 2010, n. 7301) vengano concordati o comunque erogati a titolo di trasferta importi superiori rispetto a quanto stabilito dalla contrattazione collettiva — determinati da maggiore disagio e onerosità delle trasferte (ad es. maggiore disagio affrontato per il viaggio necessario all'effettuazione della trasferta, costi maggiori per vitto e alloggio ecc. ) - si ritiene che gli stessi non debbano essere assoggettati ad imposizione. Ciò anche in considerazione delle difficoltà insite nell’individuazione, da parte della contrattazione collettiva, di tutte le varietà dei casi che possono determinare trattamenti maggiori rispetto a quelli previsti dal contratto collettivo applicato.
L’esenzione ovviamente opera fintanto che gli importi superiori rientrino nei limiti quantitativi nei limiti di € 46,48 al giorno in Italia e di € 77,47 all'estero previsti dall' art. 51 del TUIR.
Il suesposto regime contributivo trova applicazione anche nei casi in cui la corresponsione a titolo di trasferta di importi superiori a quanto stabilito dalla contrattazione collettiva trovi espressa previsione in accordi individuali (INPS - messaggio n. 19685 del 28 luglio 2010).
Ore viaggio e trasferta
Nonostante l’estensione del concetto di orario di lavoro, permane la problematica della computabilità del tempo di viaggio per trasferta nell’attività lavorativa poiché l’ art. 8 del D.Lgs.
n. 66/2003 ha confermato l’esclusione dall’orario di lavoro del tempo impiegato per recarsi al lavoro, così come previsto all‘art. 5 del R.D. n. 1955/1923 e dall’art. 4 del R.D. n. 1956/1923, stabilendo che tale periodo di tempo non è retribuibile e non può essere computato nell’orario di lavoro.
Il tempo impiegato dal lavoratore per raggiungere la sede di lavoro durante la trasferta non costituisce esplicazione dell’attività lavorativa ed il disagio che deriva al lavoratore è assorbito dall’indennità di trasferta.
La giurisprudenza, seppure con riferimento alla nozione di orario di lavoro effettivo dettata dal
X.X. x. 000/0000, ha negato costantemente che il tempo di viaggio in occasione della trasferta possa rientrare nell’esplicazione dell’attività lavorativa (Sentenze Cassazione n. 1202 del 3 febbraio 2000; n. 5359 del 10 aprile 2001) ribadendo che il disagio psico-fisico e materiale del lavoratore viene compensato dall’indennità di trasferta.
Tuttavia recentemente ( sentenza n. 5701 del 22 marzo 2004) la Cassazione ha precisato che “il tempo impiegato per raggiungere il posto di lavoro rientra nell’attività lavorativa vera e propria (con sommatoria al normale orario di lavoro), allorché sia funzionale rispetto alla prestazione.
Tale requisito sussiste quando il dipendente, obbligato a presentarsi alla sede dell’impresa, sia inviato, di volta in volta, in varie località per svolgere la prestazione lavorativa”. Tuttavia, sempre nella stessa sentenza, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che “salvo diverse previsioni contrattuali, il tempo impiegato giornalmente per raggiungere la sede di lavoro durante il periodo della trasferta non può considerarsi come impiegato nell’esplicazione dell’attività lavorativa vera e propria, non facendo parte dell’orario di lavoro effettivo, e non si somma quindi al normale orario di lavoro”.
La giurisprudenza conferma le disposizioni vigenti sostenendo che, in caso di trasferta, le relative ore di viaggio non possono essere computate nell’orario di lavoro e il trattamento economico che ne deriva non può che essere di natura indennitaria, nei limiti previsti ( art. 51, comma 5, D.P.R. n. 917/1986).
Al riguardo è necessario ribadire che all’art. 8, comma 3 del D.Lgs. n. 66/2003 consente alla contrattazione collettiva una differente disciplina delle trasferte che stabilisca in quali casi il tempo di viaggio possa essere considerato come servizio a tutti gli effetti in quanto modalità di espletamento delle prestazioni lavorative.
L’eventuale deroga effettuata dai CCNL, inoltre risulta in linea con la nozione di orario di lavoro, nel quale è logico ricomprendere tutto quanto svolto dal lavoratore nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni nel periodo in cui si trova al lavoro e a disposizione del datore di lavoro.
E’ infine opportuno valutare le eventuali deroghe anche alla luce di quanto disposto dalla Cassazione con la sentenza n. 5701 del 22 marzo 2004, nella quale l’evidente apertura nel
considerare le ore di viaggio quale esplicazione dell’attività lavorativa risiede nella funzionalità del tempo impiegato per il viaggio rispetto alla prestazione (Interpello del Ministero del Lavoro del 2 Aprile 2010 n.15).
Indennità rischio radiologico
Al personale medico e tecnico di radiologia medica, radiodiagnostica, radioterapia e medicina nucleare è corrisposta una indennità mensile. Al personale non compreso nelle predette categorie che sia esposto a rischio in modo discontinuo, temporaneo o a rotazione, in quanto adibito normalmente o prevalentemente a funzioni diverse da quelle svolte dal personale è comunque riconosciuta una indennità mensile ( art. 1, comma 2, Legge n. 460/1988).
A tal fine si deve accertare la “continuità” o la “ occasionalità ” dell’esposizione tenendo conto:
- della “frequenza” delle presenze in zone controllate e del “tempo” di effettiva esposizione, al fine d’accertare il “grado di assorbimento”;
- del “livello del conseguente assorbimento” stabilito “in relazione alla concreta possibilità di superamento delle dosi massime ammissibili d’esposizione”.
Ai fini della corresponsione dell’indennità in misura piena, l’unica diversità che residua nei rapporti tra il personale di radiologia ed il personale diverso che è concretamente esposto in maniera continua e permanente al rischio è costituita dunque dal regime probatorio. Mentre per il primo è necessaria e sufficiente la qualifica rivestita, cui l’ordinamento collega una presunzione assoluta circa l’esposizione al rischio, per il secondo è indispensabile un accertamento sulle situazioni concrete (modalità, tempi, orari ed intensità dell’esposizione), ad opera di una apposita commissione.