UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA
Corso di Dottorato Comparato, Privato, Processuale Civile e dell’Impresa
XXXI Ciclo
SOPRAVVENIENZA DI XXXXX IMPERATIVA E CONTRATTO
Tutor:
Xxxxx.xx Prof. Xxxxxxxxxxx Xxxxx
Tesi di dottorato di: Xxxxxxx XXXXXX Matricola n. R11267
INDICE
Premessa p. 4
CAPITOLO I
Le sopravvenienze normative
1. I Mutamenti normativi e le categorie di diritto intertemporale: i principi che regolano l’efficacia nel tempo della legge civile ……………………………... p. 7 1.2 Segue …………………………………………………………………………p. 17
2. I mutamenti normativi ed il contratto ………………………………...……… p. 24 3. Il diritto transitorio……………………………………………………………. p. 28
4. Nel silenzio del legislatore: applicabilità o meno della norma sopravvenuta. Premessa ………………………………………………………………………. p. 34 4.2. L’inapplicabilità ……………………………………………………………. p. 38
4.3. Un mutamento di prospettiva: lo ius superveniens è applicabile ai rapporti in corso …………………………………………………………………………….. p. 41
4.4. L’applicabilità della norma sopravvenuta dipende da un bilanciamento di interessi contrapposti …………………………………………………………… p. 48
CAPITOLO II
L’incidenza della norma sopravvenuta sul contratto: i rimedi invalidatori
1. L’incidenza della norma sopravvenuta sul contratto: norme di validità e norme di comportamento …………………………………………………………………. p. 58
2. La nullità sopravvenuta: definizione, presupposti applicativi e disciplina …... p. 63 2.2. Segue: le critiche ………………………………………………………….…p. 70 2.3. Segue: la giurisprudenza ……………………………………………….........p. 74
3. L’inefficacia sopravvenuta ……………………………………………………p. 78
4. Nullità o inefficacia sopravvenuta? …………………………………………...p. 85
CAPITOLO III
I rimedi risolutori e manutentivi
1. Premessa p. 88
2. La risoluzione per impossibilità sopravvenuta ………………………………. p. 92
3. L’eccessiva onerosità sopravvenuta …………………………………………. p. 96
4. I rimedi manutentivi: l’obbligo di rinegoziazione ………………………….. p. 101
CAPITOLO IV
La validità sopravvenuta
1. Premessa ……………………………………………………………………. p. 107
2. Il punto di vista dottrinale ……………………………………………………p. 109 3. Segue: … e giurisprudenziale ………………………………………………. p. 115
4. Alcuni spunti di riflessione …………………………………………………. p. 120
Bibliografia ……………………………………………………… p. 122
PREMESSA
Il presente lavoro prende in esame il tema delle sopravvenienze contrattuali e, significativamente, l’incidenza sul contratto della norma imperativa introdotta successivamente alla sua stipulazione.
Una tale indagine non ha potuto non prendere avvio dall’analisi dei principi e delle norme che regolano l’efficacia nel tempo della legge civile, soprattutto al fine di verificare se l’applicazione immediata della norma sopravvenuta ai contratti ancora produttivi di effetti, costituisca una violazione del principio di irretroattività della legge di cui all’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale.
Una volta escluso tale contrasto è stato necessario individuare il rimedio applicabile.
Nonostante le principali tesi proposte in dottrina e giurisprudenza si siano concentrate sui rimedi invalidatori del negozio giuridico, in particolare sull’alternativa tra inefficacia e nullità sopravvenuta del contratto, si è voluta sottolineare l’importanza dei rimedi risolutori che appaiono i più adatti per risolvere il problema oggetto del presente studio.
Invero l’adozione di una nuova norma non derogabile destinata ad incidere sul contratto già perfetto con questa confliggente, si presta ad integrare un’ipotesi di impossibilità sopravvenuta dell’oggetto, con conseguente applicabilità della risoluzione di cui agli articoli 1463 e seguenti del codice civile, ancorché con alcuni correttivi suggeriti dalla necessità di tutelare efficacemente l’interesse pubblico sotteso alla disposizione introdotta.
Infine si è voluto affrontare il problema speculare, consistente nel determinare l’incidenza sul negozio giuridico dell’abrogazione di una norma imperativa, valutando l’ammissibilità di una validità sopravvenuta.
CAPITOLO I
LE SOPRAVVENIENZE NORMATIVE
1. I mutamenti legislativi e le categorie di diritto intertemporale: i principi che regolano l’efficacia nel tempo della legge civile
1.2. Segue
2. I mutamenti normativi ed il contratto
3. Il diritto transitorio
4. Nel silenzio del legislatore: applicabilità o meno della norma sopravvenuta. Premessa
4.2 L’inapplicabilità
4.3. Un mutamento di prospettiva: lo ius superveniens è applicabile ai rapporti in corso
4.4. L’applicabilità della norma sopravvenuta dipende da un bilanciamento di interessi contrapposti
1. I mutamenti legislativi e le categorie di diritto intertemporale: i principi che regolano l’efficacia nel tempo della legge civile
L’art. 73 della Costituzione italiana afferma: “le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso”; in modo sostanzialmente analogo l’art. 10 delle disposizioni sulla legge in generale recita: “le leggi e i regolamenti divengono obbligatori nel decimoquinto giorno successivo a quello della loro pubblicazione, salvo che sia altrimenti disposto”. Le norme appena ricordate stabiliscono in tal modo il termine iniziale di efficacia delle leggi, e quindi l’inizio della loro obbligatorietà, ma nulla dicono in merito alle fattispecie concrete a cui debbono essere applicate.1
Infatti l’entrata in vigore della legge deve essere tenuta distinta dall’irretroattività o retroattività delle norme in essa contenute poiché questa riguarda solo la qualità della legge come atto efficace e vincolante, e non la sua efficacia nel tempo.2 Conseguentemente l’entrata in vigore di una nuova norma porta sempre con sé dubbi in merito ai limiti temporali della sua efficacia.
Tale situazione di incertezza è riscontrabile tanto nell’ipotesi in cui il legislatore intervenga dettando un nuovo precetto destinato a disciplinare diversamente una fattispecie anteriormente regolamentata da una precedente norma, che viene contestualmente abrogata in via espressa o tacita, quanto nell’ipotesi in cui l’innovazione legislativa riguardi un settore fino a quel momento privo di una disciplina positiva colmando così una lacuna normativa.
Nella prima ipotesi la successione di leggi nel tempo dà luogo ad un conflitto tra enunciati normativi mentre nella seconda si è soliti parlare di conflitto tra norme.3
1 L’efficacia nel tempo delle norme è disciplinata dall’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale che verra ampiamente analizzato nel proseguo.
2 X. Xxxxxx, Dell’applicazione della legge in generale artt. 10- 15, in Commentario al Codice Civile, a cura di X.Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, Bologna, 1974, p.52.
3 X. Xxxxxx, Il “diritto intertemporale”. La ragionevolezza dei criteri per la risoluzione dei conflitti tra norme diacroniche, Napoli, 2007 p. 21. L’ipotesi del conflitto tra norme ricorre qualora il contrasto sussista tra una norma ricavata dagli interpreti nel silenzio del legislatore e l’altra da una disposizione legislativa. Guardando al passato un caso di conflitto tra norme può essere ravvisato nell’ambito della disciplina del contratto di fideiussione. In particolare anteriormente all’entrata in vigore della l.154/1992 la dottrina e la giurisprudenza si erano interrogate sulla validità della c.d. fideiussione omnibus ossia dell’ipotesi, molto frequente nei rapporti bancari, in cui nel contratto di
Le difficoltà in questione derivano dalla circostanza per cui una medesima fattispecie concreta risulta essere disciplinata da norme differenti che si sono succedute nel tempo, prevedendo una diversa regolamentazione.
La soluzione a tale problema deve essere ricercata dall’interprete facendo riferimento al c.d. diritto intertemporale ed ai criteri che lo costituiscono.
Con la formula “diritto intertemporale” si allude ad una molteplicità di categorie astratte volte ad individuare la disciplina applicabile ai fatti accaduti in prossimità di un mutamento normativo e quindi a risolvere in via preventiva e generale l’antinomia tra le norme stesse.4
Si tratta di principi generali che sono frutto di una lunga e complessa evoluzione giurisprudenziale e dottrinale che non trovano sempre un puntuale ed espresso riconoscimento a livello normativo.5
fideiussione venga inserita una particolare clausola con cui il fideiussore si impegna a garantire tutte le obbligazioni, presenti e future, assunte dal debitore principale, spesso senza alcun limite di importo; a causa dell’ampiezza e della genericità della clausola omnibus la giurisprudenza di merito aveva più volte ritenuto che il contratto fosse nullo per assoluta indeterminabilità dell’oggetto (si ricorda ex multibus Trib. Milano 14 gennaio 1993, in Banca borsa e tit. cred.,1994 II60 e ss); tuttavia la giurisprudenza di legittimità era giunta alla conclusione opposta, riconoscendone invece la validità sul presupposto che l’oggetto del contratto fosse determinabile per relationem ossia con riferimento alle obbligazioni di volta in volta assunte dal debitore principale a seguito di operazioni il cui compimento è sottratto al mero arbitrio della banca, essendo questa assoggettata a specifiche disposizioni, anche di natura pubblicistica, che regolano l’esercizio dell’attività creditizia (a titolo esemplificativo si ricorda Cass. n.12743/1999 in Giust. civ. Mass., 1999, 2275). L’interprete quindi, di fronte alla lacuna normativa, aveva concluso per la validità del contratto di fideiussione con clausola omnibus; tale conclusione è stata poi fatta propria dal legislatore che innovando l’art. 1938 c.c. che con la legge 154/92 ne ha riconosciuto la piena liceità tuttavia prevedendo che il contratto debba stabilire l’importo xxxxxxx xxxxxxxxx.
4 La stessa nozione di diritto intertemporale non appare univoca in dottrina: X. Xxxxxx, op. cit., p.16 ricomprende la disciplina di tutti i fatti accaduti sotto l’imperio di una norma ma assoggettati a giudizio durante il vigore di una nuova norma; diversamente per X. Xxxxxxxxxx, Fonti europee, successione di leggi e rapporti contrattuali pendenti, in Riv. dir. priv., 2005, p.245, la nozione deve essere circoscritta all’ipotesi in cui sia necessario individuare la disciplina applicabile ai soli fatti preordinati all’attuazione di rapporti ancora pendenti al momento del mutamento normativo. La distinzione non è meramente dogmatica se si considera che abbracciando la prima definizione si possono ricomprendere anche le fattispecie ad effetti istantanei purché queste siano sottoposte a giudizio in un momento successivo al mutamento normativo, mentre nella seconda ipotesi i rapporti rilevanti sono esclusivamente quelli di durata o quelli istantanei ma ad effetti differiti con esclusione del regime dei fatti integralmente accaduti prima della successione tra norme ma sottoposti a valutazione in un momento successivo. Parte della dottrina ha invece ritenuto più opportuno limitarsi a definizioni più generali fra cui si ricorda X. Xxxxxxxx, La retroattività della legge, in Trattato di diritti privato dir. da X. Xxxxxxxx,1982, p.245 per cui il diritto intertemporale è costituito “dall’insieme delle regole relative alla soluzione dei conflitti tra norme, derivanti dalla successione delle leggi nel tempo”.
5 Corte Cass., 8 marzo 1956, n. 696:“l’applicazione della legge nel tempo, nel senso della ultrattività o della retroattività discende da principi generali che, sebbene disputati, sono stati individuati dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema e della dottrina senza che occorra una disposizione espressa”. Come si avrà modo di analizzare nel proseguo l’unico criterio positivizzato è rappresentato
La funzione propria del diritto intertemporale è quindi quella di rispondere ad un preciso interrogativo: vista la duplicità di leggi che regolano in modo diverso il medesimo fatto, secondo quali norme dovranno giudicarsi i rapporti che rientrano nel loro ambito?6
In dottrina è diffuso l’accostamento tra le norme di diritto intertemporale e le norme di diritto internazionale privato.7
In particolare, tale paragone sarebbe reso possibile dalla presenza di elementi comuni che ineriscono rispettivamente alla funzione di tali norme ed alla loro struttura.
Tanto le norme di diritto internazionale privato quanto quelle di diritto intertemporale avrebbero lo scopo di guidare l’interprete nella risoluzione di conflitti riguardanti in un caso lo spazio, ossia di permettere l’individuazione della disciplina volta a regolare le fattispecie che presentino richiami ad un ordinamento diverso da quello nazionale, e nell’altro il tempo, ovvero di rendere possibile l’identificazione della norma applicabile in caso di mutamento normativo.
In secondo luogo entrambe potrebbero essere qualificate come norme di secondo grado (ius supra iura) perché non avrebbero ad oggetto la disciplina del rapporto ma altre norme e regolerebbero le fonti e l’applicazione del diritto.
dal principio di irretroattività della legge sancito dall’art. 11 delle disposizioni sulle legge in generale e dall’art. 25 comma 2 Cost.
6 In dottrina è stato osservato come, fino agli anni ’80, i problemi sollevati dal diritto intertemporale potevano apparire marginali per la sporadicità con cui si presentavano e venivano per lo più affrontati dalla giurisprudenza recependo in modo piuttosto acritico le argomentazioni tradizionali. L’attenzione degli interpreti per lo ius superveniens è stata risvegliata per la prima volta con la l. n. 35/1977 che è intervenuta sulla disciplina del contratto di deposito in albergo ed ha assunto maggiore importanza negli ultimi anni a causa dei sempre più frequenti interventi legislativi dettati anche dall’esigenza di adattare l’ordinamento nazionale alle prescrizioni del legislatore europeo. Così X. Xxxxxxxxxx, op. cit. p.547.
7 Un ampio quadro dell’elaborazione dottrinale in materia è ricostruito da X. Xxxxxx, Retroattività e contratto, Napoli, 2007, pp. 26 ss. L’Autore sottolinea come non sia corretto ritenere che solo con riferimento alle norme di risoluzione dei conflitti di leggi nello spazio si verificherebbe una coesistenza tra diversi ordinamenti mentre con riferimento alle norme di diritto intertemporale si assisterebbe ad un fenomeno di successione tale per cui la legge sopravvenuta farebbe venire meno quella anteriore; infatti il giudice, così come di fronte ad una pluralità di ordinamenti giuridici coesistenti nello spazio deve determinare quale tra essi preveda la regola necessaria ai fini della risoluzione della controversia, così nel caso di successione di norme nel tempo è chiamato a decidere se sia applicabile quella vigente all’epoca in cui si è verificato il fatto oppure se la questione debba essere risolta applicando la regola vigente al momento del giudizio. Conseguentemente non è errato trasporre la terminologia tipica del diritto internazionale privato nel diritto intertemporale, purché questa operazione avvenga con le cautele necessarie. Ciò è avvenuto, ad esempio, con l’elaborazione della categoria del c.d. ordine pubblico intertemporale che, per parte della dottrina, ha la funzione di rendere immediatamente applicabile la norma sopravvenuta ai rapporti ancora pendenti alla data del mutamento normativo su cui si veda infra in questo capitolo.
A prescindere dalla correttezza e dall’opportunità di un simile accostamento, si osserva che il diritto intertemporale è costituito da una pluralità di categorie ed in particolare dal principio di irretroattività, di retroattività, ultrattività e dal diritto transitorio le cui caratteristiche meritano attenzione, quanto meno nei tratti essenziali, per una compiuta comprensione della problematica in questione.8
Il principio di irretroattività rappresenta il “criterio di risoluzione del conflitto tra norme diacroniche”9 che viene sancito espressamente dal legislatore all’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale secondo cui “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo” e costituisce il punto di partenza di qualsiasi indagine di diritto intertemporale.
Si tratta di un canone che vanta origini antichissime10 e su cui la dottrina è ormai concorde nel ritenere che non derivi da un postulato logico, quanto semmai da un
8 Per ragioni di opportunità espositiva la categoria del diritto transitorio verrà analizzata nel successivo paragrafo 3 del presente capitolo a cui si rinvia.
9 L’espressione è di X. Xxxxxx op. cit., p. 17.
10 Le ripercorre analiticamente X. Xxxxxx, op. cit., pp.39 ss. Le preoccupazioni nei confronti degli effetti di una norma retroattiva si manifestano già nella letteratura classica greca e romana e giungono fino ai giorni nostri grazie alle codificazioni ottocentesche ed in particolare a quella napoleonica che ha esercitato una forte influenza nell’elaborazione del Codice Civile italiano del 1865 il cui art. 2 escludeva l’efficacia retroattiva della legge con una formula che è confluita in modo pressoché identico nell’art. 11 preleggi sopra ricordato. In tal senso il nostro ordinamento, e prima ancora quello francese, si distaccano profondamente da quello tedesco dove il legislatore ha preferito eliminare qualsiasi regola generale sull’efficacia nel tempo della norma demandando al giudice, tramite l’attività di interpretazione di ogni singola legge, il compito di precisarne i limiti temporali tenendo in considerazione sia lo scopo che l’intenzione di essa. Qui ci si limiterà a ricordare che il principio di irretroattività della legge è stato per lungo tempo legato alla teoria del “diritti quesiti” che trova le proprie origini in epoca medioevale ed in particolare è stata sviluppata tra il XIII e XIV secolo. Nel XVIII secolo fu ripresa dalla Scuola del diritto naturale e rielaborata fino a giungere alla Scuola Pandettistica dove si svilupparono diverse teorie; la più seguita ritiene che possano essere considerati diritti quesiti, e come tali siano insensibili al mutamento normativo, solo quei diritti che si acquistano per fatto volontario dell’uomo e non le qualità o le facoltà giuridiche attributi direttamente dalla legge. Il dato comune è comunque ravvisabile nell’idea di ritenere che il divieto di retroattività corrisponda alla necessità di rispettare i diritti acquisiti che non possono essere in alcun modo lesi dal legislatore che in un momento successivo decida di innovare l’ordinamento. Quindi il rispetto del diritto acquisito si fonda sulla volontà di salvaguardare al massimo grado l’intangibilità della volontà individuale che costituisce la fonte dell’acquisto stesso. Successivamente l’impostazione venne abbandonata in favore della diversa teoria c.d. “del fatto compiuto” che nacque in contrapposizione alla precedente, diventando poi predominante in dottrina e giurisprudenza. In questo caso l’attenzione si sposta dal diritto al fatto acquisitivo del medesimo che, se verificatosi sotto l’imperio della legge abrogata, deve rimanere da questa disciplinato a meno che la legge successiva venga qualificata espressamente dal legislatore come retroattiva. Tuttavia lo stesso Xxxxxxx distinse le norme che riguardano l’acquisto dei diritti da quelle che concernono la loro esistenza ed il loro contenuto, ammettendo solo per queste ultime un’efficacia retroattiva e legittimandola alla luce di motivazioni legate a ragioni di “ordine pubblico” o di “grave ed evidente ragione di moralità”. In questi casi la norma sopravvenuta andava a ledere anche i diritti acquisiti ma la ratio della mancata tutela veniva individuata nella concezione del diritto propria della Scuola Storica, poiché negare l’immediata applicazione nelle ipotesi considerate avrebbe significato negare la coscienza comune del popolo di
principio di civiltà giuridica, in quanto posto a tutela della libertà di autodeterminazione dei singoli e della certezza del diritto.11
Lo stesso principio viene sancito anche dall’art. 25 comma secondo Cost. per cui “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.
E’ opinione pacifica che la disposizione si riferisca esclusivamente alla materia del diritto penale, grazie all’uso dell’espressione “è punito”, sancendo in tal modo il divieto per l’interprete, e ancora prima per lo stesso legislatore ordinario, di applicare retroattivamente una disposizione che preveda una nuova fattispecie incriminatrice o un trattamento sanzionatorio più severo.12
evolvere il suo comune sentire vincolandolo per il futuro a scelte già compiute in un passato più o meno remoto. Già da questo momento emerge quindi l’esigenza di ammettere delle eccezioni al principio di irretroattività che rimane pur sempre il principio fondamentale in materia di efficacia nel tempo della legge, legate ad esigenze “superiori” che trascendono la sfera giuridica del singolo. X. Xxxxxxxxxx, op. cit., p. 553; P.G. Xxxxxxxx, Voce Diritto Transitorio, in Dig. disc. priv., sez.civ., p. 443; X. Xxxxxx, op.cit., p. 136.
11 X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxxxxxx, Manuale di diritto privato, Milano, 2015 p. 47. In particolare appaio significative le parole di X.Xxxxxxxx riportate da X.Xxxxxx, op. cit. p. 61 secondo cui”la retroattività delle leggi è il più grave attentato che la legge possa commettere; è il sovvertimento del patto sociale, l’annullamento delle condizioni in base alle quali la legge ha diritto d’esigere l’obbedienza dei cittadini” ed ancora afferma Xxxxxx, Dell’applicazione della legge in generale, in Comm. del cod.civ., a cura di Xxxxxxxx e Branca, arrt. 10- 15, Xxxxxxx - Xxxx, 0000, p. 115: “La retroattività della legge è, in linea di principio, contraria alla stesa natura dello Stato moderno o di diritto che proteggendo la libertà dell’individuo nei limiti dei quali non sussiste un titolo che legittimi l’invasione della sfera individuale, implica che il legislatore non possa ... negare quella libertà che è nell’essenza dello Stato di diritto proteggere e garantire”.
Osserva X. Xxxx, I principi generali, in Trattato di dir. priv., a cura di X.Xxxxxx, X.Xxxxx, Milano, 2006, p. 338 che il principio di certezza del diritto può essere declinato diversamente a seconda del campo in cui viene invocato; nell’ambito che qui interessa tale principio deve essere inteso “come certezza dei rapporti che si istituiscono tra privati” ovvero certezza della regola ossia della sua durata, circostanza che comporta la necessaria previsione di garanzie sul processo di formazione delle leggi e dell’irretroattività della norma.
12 E’ un dato acquisito che l’art. 25 comma 2 Cost. si riferisca esclusivamente al divieto di retroattività in peius della norma penale sopravvenuta, ossia della disposizione che introduca nuovi fatti costituenti reato o trattamenti sanzionatori più severi per i fatti commessi prima della sua entrata in vigore. Differentemente si ritiene applicabile lo ius superveniens qualora risulti più favorevole per il reo. Tale retroattività non trova però giustificazione nell’art. 25, la cui formulazione letterale non permette tale distinzione, ma viene ricondotta all’art. 3 Cost. che sancendo il principio di uguaglianza, impone in linea di massima di trattare in modo uguale situazioni uguali. In tale ottica appare ragionevole applicare anche ai fatti pregressi una successiva disciplina più mite per il reo laddove questa sia espressione di una mutata percezione del fenomeno criminale da parte del legislatore. Utilizzando nel campo del diritto penale alcune categorie che verranno analizzate successivamente nel presente lavoro si possono distinguere diversi gradi di retroattività; in primo luogo può aversi la retroattività estrema (c.d. iper- retroattività) laddove la sopravvenuta abolitio criminis vada a travolgere anche il giudicato, senza che in questo caso sia necessaria un’espressa disposizione normativa essendo questa già contenuta in via generale nell’art. 2 comma 2 c.p. Diversamente quando il fatto continui a costituire reato e ne muti solamente la disciplina in modo più mite il principio di parità di trattamento trova un limite nel rispetto del principio dell’intangibilità della cosa giudicata e quindi nella necessità di salvaguardare le attività processuali già espletate e portare a compimento, ritenuto prevalente rispetto
D’altro canto, il principio in questione, se considerato nel campo dei rapporti tra privati, non pare desumibile da nessuna altra disposizione costituzionale e da tale silenzio si è soliti giungere alla conclusione per cui il principio di irretroattività nel campo del diritto privato non è stato costituzionalizzato.13
Tale assunto può essere avvalorato anche dalla lettura dei Lavori preparatori al codice civile, svoltisi in epoca di poco antecedente all’insediamento dell’Assemblea Costituente, dove emerse la volontà di escludere una regola generale volta a vietare norme retroattive poiché si osservò come “in materia civile bisogna procedere con estrema cautela (...) non vi è dubbio che il principio di irretroattività debba guidare tutta la legislazione e tutta l’attività del legislatore: ma quando si verte nel campo del diritto privato non si può trascurare il carattere specifico di mobilità che lo caratterizza e lo distingue”.14
al principio di uguaglianza e di libertà personale del reo. Infatti la presunzione di ragionevolezza dell’applicazione retroattiva della legge più favorevole ammette delle deroghe e delle limitazioni che vengono ritenuti ragionevoli, e quindi compatibili con il principio di cui all’art. 3 Cost., ogni qual volta sia necessario salvaguardare un interesse di analogo rilievo. A tal proposito si ricorda Corte Cost. 393/2006 in cui è stata riconosciuta la ragionevolezza della preclusione della retroazione delle norme più favorevoli in tema di prescrizione introdotte dall’art. 10 comma 3 l. 251/2005, allorché il processo penale a carico dell’attore del fatto commesso prima pendesse, all’atto dell’entrata in vigore della disciplina innovativa, in grado di appello o di legittimità in quanto volta a salvaguardare un interesse specifico e di analogo rilievo quale quello ad “evitare la dispersione delle attività già compiute” nei precedenti gradi di giudizio e quindi quelli “di rilievo costituzionale sottesi al processo come la sua efficienza e la salvaguardia dei diritti dei destinatari della funzione giurisdizionale”. Pertanto anche nella materia penale entra in gioco la necessità di operare un bilanciamento di interessi contrapposti qualora sia necessario determinare l’efficacia nel tempo della legge sebbene questo si verifichi esclusivamente a proposito della retroattività della legge più favorevole al reo poiché, nel caso di legge sfavorevole, è lo stesso legislatore costituzionale che, comparando gli interessi in gioco, ha ritenuto prevalente la libertà personale del singolo senza permettere al legislatore ordinario e all’interprete di ritenere predominanti interessi diversi. L’argomento risulta ampiamente analizzato in
X. Xxxxxxxx, Manuale di diritto penale parte generale, Roma, 2014, pp. 217 ss.
13 Aderisce a tale soluzione Corte Cost. 21 aprile 1994, n. 153, in Giur. Cost., 1994,1176. Si veda in tal senso anche Corte Cost. 16 giugno 1993, n.283, in Giust. Civ., 1993, I, 1989.
14 Sono parole dell’On. Tupini riportate in X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, Roma, 1948, p.49. X. Xxxxxx, op.cit., p. 44 osserva che le genesi dell’art. 11 disp. prel. è stata meccanica e non ragionata in quanto corrispondente alla fedele trasposizione della norma previgente, senza alcun dibattito in merito al valore del principio ivi sancito. L’unico punto sul quale la Commissione Reale credette di innovare fu l’aggiunta dell’espressione “di regola” al fine di rendere esplicita la natura derogabile del principio di irretroattività ad opera del legislatore. Si legge nella Relazione del Guardasigilli al progetto definitivo (n.2) come: “L’inciso “di regola” ... turbasse, senza alcuna concreta utilità, la formula tradizionale della disposizione ora vigente. La regola non è che un che un canone di interpretazione, così che è di per sé evidente che la retroattività può in singoli casi essere disposta dalla legge stessa. D’altra parte, l’inciso predetto- inserito nella proposizione iniziale dell’articolo e non anche nella successiva, che è esplicativa della prima -turberebbe l’euritmia della disposizione, non senza il pericolo di imprevedute illazioni da parte degli interpreti, trattandosi di materia tra le più disputate”. Invece lo considera un vero e proprio “principio giuridico” e non “un limite legislativo” P.G. Xxxxxxxx, op.cit., p. 443.
Dalla mancata copertura costituzionale del principio di irretroattività della legge civile discendono importanti conseguenze in ordine alla determinazione dei limiti temporali di efficacia di una nuova legge.
In particolare, tale circostanza rende ammissibile nel nostro ordinamento una legge con efficacia retroattiva ossia destinata a regolare le fattispecie concrete compiutesi in un tempo anteriore alla sua entrata in vigore.
Tuttavia, tale facoltà non è rimessa al mero arbitrio del legislatore ma è sottoposta ad un preciso limite costituito dalla necessità di individuare una ragionevole giustificazione a tale efficacia per il passato e sul cui rispetto è chiamata a vigilare la Corte Costituzionale.15
Così la Corte ha più volte avuto modo di chiarire che il ricorso alla legge retroattiva debba “essere fondato su una adeguata e ragionevole giustificazione, tale da evitare che la disposizione possa trasmodare in un regolamento irrazionale ed arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti o possa contrastare con altri principi o valori costituzionali specificamente protetti”16 ed allo stesso tempo ha sottolineato come “ il principio di irretroattività costituisce un principio generale nel nostro ordinamento e, se pur non elevato, fuori dalla materia penale, a dignità costituzionale, rappresenta pur sempre una regola essenziale del sistema a cui, salvo un’effettiva causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi, in quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio cardine della convivenza civile e della tranquillità dei cittadini”.17
15 X. Xxxxxx op. cit. p. 35. Per l’Autore il principio di irretroattività è caratterizzato da una ambivalenza di fondo: da una parte contrasta con il principio di uguaglianza formale ex art. 3 comma 1 Cost., poiché in virtù di esso situazioni identiche vengono sottoposte a diversa disciplina per il solo fatto di essere state poste in essere prima o dopo ad un mutamento normativo; allo stesso tempo il principio di irretroattività è altresì espressione del principio di uguaglianza sostanziale ex art. 3 comma 2 Cost. se si considera il grado di prevedibilità che garantisce al singolo in ordine alle conseguenze giuridiche dei propri atti. Infatti attraverso l’applicazione di tale principio lo ius superveniens non incide sugli effetti scaturenti da un atto perfezionatosi in epoca antecedente che rimangono quindi i medesimi previsti dalla disciplina abrogata.
16 Xxxxx Xxxx., 00 aprile 1994, n.153.
17 Xxxxx Xxxx., 0 aprile 1990, n. 155. In materia si veda anche Corte Cost. 23 dicembre 1997, n.932, in Giust. civ., 1998, I, 316 secondo cui:”la possibilità di adottare norme dotate di efficacia retroattiva .. non può essere esclusa, ove le norme stesse vengano a trovare un’adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto con altri principi o valori costituzionali specificatamente protetti, così da evitare che la disposizione retroattiva possa “trasmodare in un regolamento irrazionale ed arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti...la legge è pur sempre soggetta al controllo di ragionevolezza..”.
La retroattività della legge è quindi vincolata al rispetto del principio costituzionale di ragionevolezza che trova la propria origine storica nel principio di uguaglianza ma da cui si è progressivamente distaccato andando così ad acquisire dignità autonoma.18
In particolare, si osserva come nella giurisprudenza costituzionale italiana si assista ad un uso promiscuo dei termini ragionevolezza e proporzionalità laddove invece, in altri ordinamenti giuridici stranieri, tali principi conservino un proprio autonomo ambito di applicazione.19
Pertanto il sindacato di ragionevolezza viene impiegato dalla Consulta in una duplice direzione: da un lato per censurare una legge che sia manifestamente irrazionale (c.d. ragionevolezza in senso stretto), dall’altro per bilanciare valori contrapposti che
18 X. Xxxxxxxx, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, Atti della Conferenza trilaterale delle Corti Costituzionali italiana, portoghese e spagnola svoltosi a Roma, Palazzo della Consulta, 24 - 26 ottobre 2013. Originariamente il principio di ragionevolezza veniva ricondotto al principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione e si concretizzava nella verifica che eventuali differenziazioni tra medesime situazioni introdotte con la nuova disciplina fossero sorrette da una valida giustificazione. In particolare, partendo dall’uguaglianza formale come presunzione di non arbitrarietà, i Giudici Costituzionali hanno iniziato a parlare di ragionevolezza o irragionevolezza della disciplina legislativa.
Osserva X.Xxxxxxx, Voce Ragionevolezza (principio di), in Enc. Dir., 1997 che l’importanza del principio di ragionevolezza è oggi così forte da costituire un complemento di qualsiasi altro valore costituzionale richiamato a parametro di legittimità da parte della Corte. Da qui deriva la pervasività del canone di ragionevolezza, principio onnipresente e costante nella giurisprudenza della Corte.
19 Nei sistemi di common law il principio di ragionevolezza costituisce un criterio di giudizio minimale utilizzato nei casi più estremi e volto a censurare le scelte legislative che siano manifestamente irrazionali e palesemente in contrasto al senso comune e che conseguentemente non impongono al giudice un grande sforzo motivazionale. Tale principio mostra quindi una forte deferenza del potere giudiziario nei confronti dell’Autorità politica che di conseguenza gode di ampi margini di discrezionalità. Differentemente il principio di proporzionalità, che vanta origine tedesche ma poi ha trovato impiego in altri ordinamenti, viene impiegato soprattutto nei giudizi di legittimità costituzionale relativi alla tutela dei diritti fondamentali ed al loro bilanciamento ed è stato trasfuso in un rigido modulo procedimentale scandito in quattro fasi, seguito con costanza dalle corti straniere; la prima fase, c.d. di legittimità, consiste essenzialmente nel verificare che il legislatore, attraverso l’intervento normativo, abbia agito perseguendo uno scopo preciso, non in contrasto con i principi costituzionali; la seconda è rappresentata dalla valutazione del rapporto tra il fine perseguito ed i mezzi a disposizione per il suo raggiungimento, affinché questi appaiano adeguati; in terzo luogo si procede al rispetto del principio di necessità ossia nel verificare che lo strumento prescelto per il raggiungimento di un dato obiettivo sia quello che, tra i mezzi disponibili, comporti il minor sacrificio possibile ad altri diritti o interessi costituzionalmente protetti; a chiusura del ragionamento ricorre la fase “della proporzionalità in senso stretto” ossia della valutazione degli effetti dell’intervento legislativo per verificare se i benefici ottenibili tramite la nuova legislazione siano maggiori dei costi rappresentati dal sacrificio di altri valori riconosciuti a livello primario. Tale articolazione del giudizio di proporzione ha avuto una grandissima diffusione in molti paesi europei anche grazie al tramite delle Corti internazionali di Strasburgo e Lussemburgo che, adottandolo espressamente nelle loro motivazioni, hanno contribuito alla sua diffusione. Così per X. Xxxxxxxx, op.cit., p. 5.
possono entrare in conflitto con l’avvicendarsi degli interventi legislativi (rientrando così nell’ambito del principio di proporzione).20
La necessità di operare un bilanciamento di interessi contrapposti risulta del resto inevitabile ed è la diretta conseguenza del pluralismo costituzionale che informa la nostra Carta fondamentale.
Infatti “tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è pertanto possibile individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro”.21 Quindi, da una lettura dei provvedimenti della Consulta che si sono succeduti nel tempo, possono desumersi alcuni elementi che connotano il sindacato di ragionevolezza: in primo luogo nessuno dei diritti riconosciuti a livello costituzionale ha carattere assoluto e quindi può sottrarsi ad un bilanciamento; in secondo luogo il contemperamento di interessi non può essere compiuto una volta per tutte dando origine ad una gerarchia di valori astratta ed immutabile nel tempo, ma deve essere compiuto di volta in volta dal legislatore che decide di intervenire in via legislativa e su cui poi la Corte Costituzionale esplica la propria attività di controllo. In terzo ed ultimo luogo non basta ritenere prevalente un valore su un altro per legittimarne la compressione, ma è altresì necessario che tale limitazione permetta la maggior realizzazione dell’altro interesse, pena la sua irragionevolezza.22
Applicando così le osservazioni generali appena svolte all’ambito che qui interessa, ossia la previsione di una legge retroattiva, tale sindacato si risolve in ultima analisi nel verificare che le esigenze perseguite dal provvedimento legislativo che dispiega i suoi effetti anche per il passato siano compatibili con la necessità di salvaguardare il valore della certezza delle situazioni giuridiche poste in essere.
Xxx si comprende allora come il bilanciamento di valori contrapposti coinvolga, da un lato, l’affidamento dei singoli sulle conseguenze giuridiche dei propri atti che è un elemento essenziale affinché la norma esplichi la propria funzione deterrente o incentivante di determinati comportamenti e quindi, in ultima analisi, la certezza del
20 Tuttavia manca nella giurisprudenza italiana l’adozione di qualsiasi modulo procedimentale, modulo che permetterebbe di aumentare la coerenza e la prevedibilità delle decisioni della Corte.
21 Corte Costituzionale del 19 novembre 2012, n.264.
22 X. Xxxxxxxx, op.cit., p.12.
diritto, dall’altro le singole finalità perseguite dal legislatore con l’innovazione normativa.23
Ne consegue che sarà costituzionalmente legittima una norma retroattiva ogni qual volta questa sia diretta a realizzare interessi gerarchicamente prevalenti rispetto al bene della certezza del diritto che ne risulta sacrificato, poiché in questo caso tale lesione potrà essere ritenuta ragionevole.24
Pertanto, con l’avvento della Costituzione del 1948 è mutato il criterio per risolvere i conflitti tra leggi che si succedono nel tempo; mentre prima alla manifestazione di volontà veniva riconosciuto carattere pressoché intangibile, salva una più o meno vasta gamma di eccezioni,25 oggi le situazioni giuridiche resistono o mutano con l’innovazione legislativa in ragione della loro rilevanza costituzionale e, in ultima analisi, della ragionevolezza di un trattamento differenziato di identiche fattispecie concrete26.
23 Sebbene la certezza del diritto sia considerata un valore intrinseco al diritto, una sua condizione imprescindibile, non si è avvertita la necessità, al momento della redazione della Costituzione repubblicana, di includervi una disposizione che ne riconoscesse espressamente l’importanza. A parte qualche corollario come l’irretroattività della legge penale, il giusto processo, l’immodificabilità della Costituzione se non a seguito di un processo normativo particolare, “la Costituzione riposa sulla certezza del diritto ma non la esplicita”. X. Xxxx, op.cit., p. 357.
24 X. Xxxxxx op.cit. p.39. Rimane peraltro il dubbio in merito alla necessità o meno che l’efficacia retroattiva debba essere esplicitata dal legislatore. A tal fine si registrano opinioni discordanti: X.Xxxxxx, op. cit., nega che sia necessaria una deroga espressa al principio di irretroattività ben potendo questa essere desunta dalla ratio dell’intervento normativo e dagli scopi perseguiti dal legislatore. Diversamente X. Xxxxxxxxxx, op. cit., p.556 distingue varie ipotesi: solamente per la retroattività estrema -che si verifica qualora l’efficacia retroattiva si spinga fino a travolgere situazioni caratterizzate da una particolare definitività (su cui si veda infra nota n.36) sarebbe necessaria un’espressa previsione normativa mentre negli altri casi potrebbe essere desunta in via implicita. Xxxxxxxx, op.cit., p.245, afferma che il principio della necessaria dichiarazione espressa del legislatore è venuto meno progressivamente in favore del principio opposto, in modo tale per cui la retroattività della legge può essere desunta dall’interprete ricorrendo ai comuni canoni di ermeneutica giuridica. Conferma tale conclusione anche X. Xxxxxxx, La nuova normativa in materia di usura ed i rapporti negoziali in corso, in I contratti, n.7/2000, p. 694; ammette la c.d. retroattività implicita sulla base di un’attenta analisi della ratio e della funzione della legge sopravvenuta anche X. Xxxxxxx, Jus superveniens, rapporti in corso ed usurarietà sopravvenuta, in Rass. dir. civ., 3/99, p. 491.
25 Il riferimento è alla teoria dei diritti quesiti di cui supra alla nota 10.
26 X. Xxxxxxxxxx, op.cit., pp. 563 -565.
1.2 segue
Sulla base di tali considerazioni parte della dottrina ha ritenuto opportuno introdurre il concetto di ordine pubblico intertemporale, intendendosi con tale espressione una proiezione sintetica e concreta dei valori sanciti dalla nostra Carta costituzionale che, in linea di principio, possono essere ritenuti prevalenti rispetto al principio di certezza del diritto e che quindi giustificano una deroga al principio di irretroattività.27
I fautori di tale categoria vi includono valori quali: la tutela della persona umana, le garanzie contro gli abusi di potere, l’integrazione comunitaria e lo sviluppo economico.28
Vista la rilevanza che il principio di ragionevolezza ha assunto nel tempo, parte della dottrina è giunta a ritenere che il principio in questione rappresenti il fondamento ultimo non solo del principio di irretroattività della legge, ma altresì di tutte le categorie di diritto intertemporale e che, conseguentemente, qualsiasi determinazione in ordine all’efficacia temporale di una legge debba necessariamente risultare ad esso conforme.
La diretta conseguenza di tale impostazione è ravvisabile nell’impossibilità di delineare una gerarchia tra i vari criteri di risoluzione dei conflitti, poiché ognuno condivide con gli altri la medesima origine.29
Così il canone dell’irretroattività della norma sopravvenuta concorrerebbe paritariamente con tutti gli altri criteri di risoluzione del conflitto tra le norme nel
27 X. Xxxxxxxxxx, Fonte europee, successioni di leggi e rapporti contrattuali pendenti, in Riv. Dir. priv., 2005, p.567. La terminologia è mutuata direttamente dal diritto internazionale privato secondo la già ricordata tendenza, che valorizzandone gli elementi comuni, assimila tali norme a quelle di diritto intertemporale. Nel diritto internazionale privato il principio dell’ordine pubblico costituisce un limite generale al riconoscimento delle sentenze ed all’applicazione delle norme straniere, così come stabilito dall’art. 16 l. 218/1995. Nel diritto intertemporale l’ordine pubblico costituisce un limite all’applicazione della legge vigente al momento del fatto. In entrambi i casi si tratta di una clausola generale, che lascia ampio margine di valutazione all’interprete, ed è volta ad impedire l’applicazione di una norma, straniera o nazionale a seconda dei casi, ritenuta incompatibile con i principi fondamentali del nostro ordinamento.
28 X.Xxxxxx, “Il diritto intertemporale”. La ragionevolezza dei criteri per la risoluzione dei conflitti tra norme diacroniche, Napoli, 2007, p. 39; X. Xxxxxxxxxx, op.cit., p. 567.
29 X. Xxxxxx, op.cit., p. 39.
tempo e l’assenza di una disposizione di legge non attribuirebbe necessariamente forza irretroattiva alla norma sopravvenuta.30
Tuttavia si osserva come il principio del tempus regit actum abbia assunto valore paradigmatico, tanto che spesso viene definito come un vero e proprio “principio generale dell’ordinamento”,31 e che tale importanza induce l’interprete a concludere per l’esistenza di una presunzione di legittimità dell’irretroattività della norma sopravvenuta.
Tuttavia, si tratta di una presunzione semplice che ammette prova contraria e che quindi può essere vinta sia da un’espressa disposizione contraria avente contenuto diverso,32 sia in via interpretativa, dimostrando che l’applicazione della legge successiva per definire gli effetti di una fattispecie perfezionatasi sotto il vigore della legge abrogata comporti utilità sociali idonee a compensare la lesione dell’affidamento dei privati.
Se quindi la giurisprudenza e la dottrina sono giunte a considerare che, in linea di principio in assenza di disposizioni transitorie, la legge sopravvenuta non si applichi ai fatti avvenuti a cavallo del mutamento normativo e che tale irretroattività sia ragionevole, in talune ipotesi è approdata a formulare considerazioni opposte.
In particolare si ritiene che esplichi i propri effetti anche per le situazioni passate la legge di interpretazione autentica.
Come è noto, attraverso la legge di interpretazione autentica il legislatore interviene a chiarire l’interpretazione di una disposizione adottata in precedenza, scegliendo tra uno dei possibili significati letterali dei termini utilizzati.
La norma così adottata per specificare il significato di un precedente enunciato legislativo non è suscettibile di autonoma applicazione, dal momento che la disciplina del singolo caso concreto viene desunta dalla lettura congiunta della norma di interpretazione autentica e di quella interpretata.33
30 X. Xxxxxx op.cit. p.38, 48 e 118.
31 Xxxxx Xxxx. 0 aprile 1990 n. 155.
32 Salva la possibilità di dimostrare che la disposizione transitoria sia irragionevole. Si veda infra par. 3.
33 Così Cass., 29 luglio 1974, n.2289.
Tale intervento legislativo, che spesso ma non necessariamente pone fine ad una situazione di incertezza venutasi a creare tra gli interpreti34, dal punto di vista formale deroga al principio del tempus regit actum qualora la disposizione sia impiegata per tracciare la disciplina di fatti accaduti in epoca anteriore all’entrata in vigore, così come qualsiasi legge innovativa.
In questi casi la dottrina parla di retroattività presunta in quanto l’applicazione ai fatti pregressi all’adozione della norma interpretativa e verificatisi dopo l’entrata in vigore, della norma interpretata risulta essere una caratteristica intrinseca di questo intervento normativo35 e sembra essere altresì ragionevole in quanto non sacrifica il bene del legittimo affidamento del cittadino, ma anzi mira ad evitare il prolungamento dell’incertezza.36
34 La giurisprudenza è concorde nel ritenere che l’esistenza di una situazione di incertezza nell’interpretazione di una norma non sia un requisito indispensabile perché il legislatore possa adottare delle norme di interpretazione autentica. Infatti l’unico limite a cui il legislatore deve attenersi è il rispetto del principio di ragionevolezza che si sostanzia in tal caso nel controllo della Corte Costituzionale della compatibilità del significato prescelto con il tenore letterale delle espressioni utilizzate. A titolo esemplificativo si rinvia a Xxxxx Xxxx., 00 febbraio 2002, n.29. Si ricorda anche Xxxxx Xxxx., 00 novembre 2000 n.525 secondo cui: “il legislatore può adottare norme che precisino il significato di altre disposizioni non solo quando sussista una situazione di incertezza nell’applicazione del diritto o xxx xxxxx xxxxxxxxx giurisprudenziali, ma anche in presenza di un indirizzo omogeneo della Corte di Cassazione, quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore”.
35 Corte Cass.,7 novembre 1998, n. 11235 ritiene che le norme interpretative debbano essere considerate “naturalmente retroattive”; ed ancora si rinvia a Xxxx. 25 ottobre 1986, n.6260, in Rep. Xxxx.xx., 1986, voce Legge, decreto, regolamento, n.35, secondo cui “una legge di interpretazione autentica (è) da ravvisarsi ogni qual volta il legislatore non detti una nuova disposizione, né riformuli una disposizione precedenti, ma imponga per quest’ultima, anche per il passato, una determinata ed esclusiva esegesi” destinata in quanto tale a valere anche per i rapporti sorti anteriormente all’entrata in vigore della norma interpretativa. Parla invece di “retroattività implicita” Xxxxxxxx, Le disposizioni sulla legge in generale: gli articoli da 1 a 15, in Tratt. dir. priv., diretto da X. Xxxxxxxx, X, Xxxxxx, x. 000
00 X. Xxxxxx, Retroattività e contratto. Disciplina negoziale e successione di norme nel tempo, Napoli, 2007, p. 77 parla di retroattività ordinaria o temperata per indicare che la norma interpretativa si applica alle conseguenze anteriori alla sua entrata in vigore nella misura in cui, se anche l’interpretazione autentica non fosse intervenuta, la legge interpretata avrebbe tuttavia potuto invocarsi ed applicarsi; la categoria si contrappone così a quella della retroattività estrema volta a travolgere anche gli effetti del giudicato. In tale ultima ipotesi la Corte Costituzionale con sentenza del 27 luglio 2000, n. 374 ha dichiarato l’incostituzionalità della norma interpretativa per contrasto con gli artt. 14, 103, 113 Cost.; in tale ipotesi infatti entra in gioco nel bilanciamento degli interessi anche l’efficacia di giudicato e l’affidamento dei singoli sull’immutabilità del principio sancito dal provvedimento giurisdizionale, in modo tale per cui si deve escludere la presunzione di ragionevolezza nell’applicazione retroattiva con conseguente onere per l’interprete di dimostrare che le utilità sociali perseguite sono maggiori della lesione dell’affidamento del singolo sull’efficacia di giudicato e sul principio della certezza del diritto. La distinzione è presente anche in X.Xxxxxxxxxx, op. cit. p. 556; in particolare distingue tra una retroattività estrema (o iper-retroattività) che si verifica qualora vengano interessati fatti del passato caratterizzati da una particolare definitività quali ad esempio in conseguenza del giudicato, della prescrizione da una retroattività ordinaria che inerisce a
In particolare, se la legittimità della norma interpretativa dipende dal fatto che il significato prescelto sia riconducibile ad una delle possibili accezioni proprie del termine utilizzato, si evince come tali significati erano fin dall’inizio tutti astrattamente conoscibili dagli interessati.37
fatti del passato ma senza la connotazione estrema anzidetta. Per l’Autore nel primo caso sarebbe necessaria un’espressa previsione legislativa mentre la retroattività ordinaria potrebbe essere desunta anche in via interpretativa.
37 Se queste appena ricordate sono le caratteristiche essenziali perché una legge possa essere qualificata come norma di interpretazione autentica ben si comprende come non possa essere accolto l’indirizzo dottrinale e giurisprudenziale che aveva considerato la l.154/1992, volta a modificare tra l’altro gli artt. 1938 e 1956 c.c., un esempio di interpretazione autentica dell’art. 1938 c.c. e che quindi si applicasse automaticamente anche ai contratti di fideiussione stipulati anteriormente. La tesi è risultata nettamente minoritaria poiché si è osservato come presupponesse che già secondo il regime previgente la fideiussione per obbligazioni future non potesse essere valida se non conteneva la specifica previsione dell’importo xxxxxxx xxxxxxxxx; tale assunto è falso poiché l’intervento legislativo ha integralmente “sostituito” l’art. 1938 c.c. ed ha aggiunto un nuovo comma all’art. 1956
c.c. La tesi viene ampiamente analizzata da X. Xxxxxxxx, Fideiussioni omnibus non “esaurite” e la legge sulla trasparenza bancaria, in Banca Borsa e titoli di credito,1999, p.686.
Diversamente, in materia di usura è stata pienamente riconosciuta la natura interpretativa del d.l. 29 dicembre 2000, n.394 convertito con l. 28 febbraio 2001 n.24; tramite tale intervento normativo il legislatore è tornato sulla modifica del reato di usura ex art. 644 c.p. e dell’art. 1815 c.c. operata con la legge 108/96 chiarendo che, ai fini dell’applicazione tanto delle norme penali sull’usura quanto delle disposizioni civili sulla qualificazione degli interessi del contratto di mutuo come usurari, rileva esclusivamente il momento della pattuizione e non quello successivo della dazione. La disposizione pone quindi fine all’acceso dibattito giurisprudenziale e dottrinale, alimentato anche dall’assenza di disposizioni transitorie, in merito alla possibilità che la normativa sopravvenuta si applichi anche ai contratti pendenti alla data di entrata in vigore e quindi alla configurabilità della c.d. usura sopravvenuta. La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di tale intervento interpretativo, l’ha ritenuto con sentenza del 25 febbraio 2002 n.29 (in Corr. Xxxx., 5, 2002, pp.609 ss. con nota di X. Xxxxxxx) pienamente conforme ai principi costituzionali in quanto l’interpretazione adottata dal legislatore con il d.l. 394/2000 “non è solamente pienamente compatibile con il tenore e con la ratio della suddetta legge ma è altresì del tutto coerente con il generale principio di ragionevolezza”. La pronuncia in questione è stata sollecitata da quattro ordinanze di rimessione rispettivamente provenienti dal Tribunale di Benevento (emesse il 30 dicembre 2000 ed il 4 maggio 2001), di Taranto (emessa e depositata il 27 giugno 2001) e di Trento (emessa il 18 marzo 2001 e depositata il successivo 4 aprile). Ciò che le accomuna è, tra i vari motivi di ricorso, la lamentata violazione da parte del Governo del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. sia perché la disciplina così risultante riserverebbe irragionevolmente un trattamento di favore alle banche in dispetto dei clienti, sia perché la disposizione in questione avrebbe natura di norma innovativa nonostante il nomen iuris “interpretazione autentica” e quindi non potrebbe essere applicata retroattivamente. Per l’analisi puntuale delle ordinanze di rimessione si rinvia a X. Xxxxxxxx, La Consulta e l’interpretazione autentica della legge sull’usura (l’ultimo saluto all’usurarietà sopravvenuta), in Rass. dir. civ., 4, 2004, p. 1115. Il decreto legge, prontamente convertito, è stato fonte di accesi dibattiti in dottrina. In particolare non è mancato chi ha sostenuto che, nonostante la qualificazione formale di legge di interpretazione autentica, l’intervento normativo in questione avesse carattere innovativo in quanto in tale modo il Governo ha abrogato implicitamente parte della norma che si sarebbe voluto interpretare, dal momento che ha considerato rilevante esclusivamente il momento della promessa a discapito di quello della corresponsione di interessi sopra soglia ed ha altresì introdotto una disciplina differenziata in relazione ai soli interessi usurari senza intervenire sugli “altri vantaggi usurari” parimenti contemplati dalla legge 108/1996. Così facendo il potere esecutivo si è distaccato dal principio enunciato precedentemente dalla Corte Cost. con sentenza del 23 novembre 1994, n.397, in Giur. Cost., 1994, p.3529 secondo cui il carattere interpretativo della norma deve desumersi dal rapporto tra le norme in modo tale per cui la norma interpretante non fa venir meno quella interpretata ma l’una e l’altra si saldano dando luogo ad un precetto normativo unitario. Fra coloro che hanno
Ne consegue che il giudice potrà applicare retroattivamente la norma sopravvenuta senza la necessità di dimostrare la realizzazione di utilità prevalenti rispetto al bene della certezza del diritto, poiché questa si presume dalle caratteristiche intrinseche della norma in questione.38
Allo stesso modo la ragionevolezza degli effetti retroattivi sussisterebbe ogni qual volta la legge sopravvenuta abbia come scopo ultimo la promozione della persona umana.39
Si tratta di ipotesi in cui nel bilanciamento di interessi il principio della certezza del diritto risulta soccombente di fronte alla necessità di promuovere i diritti della persona che trovano tutela all’art. 2 Costituzione.
La protezione della persona umana assume valore preminente rispetto a tutti gli altri principi costituzionali ed è in grado di bilanciare il sacrificio di qualsiasi interesse concorrente.40
In tali ipotesi la dottrina è solita parlare di “retroattività intrinseca alla norma in favore della persona umana”41 per indicare la presunzione di ragionevolezza che si accompagna all’adozione di una legge avente le finalità suddette e che può essere
sostenuto la portata innovativa si segnala X. Xxxxxx, L’usurarietà sopravvenuta nei mutui in Contr. e xxxx., 2001, I, p.48; di contrario avviso X. Xxxxxxx, I contratti usurari: tipologie e rimedi, in Riv. dir. civ., 2001, I, p.353.
38 X. Xxxxxx, op. cit., pp. 130 ss. Secondo l’Autore l’impiego retroattivo di una norma sarebbe legittimato anche dall’obbligo di interpretare la norma nazionale in modo conforme al diritto europeo che discende direttamente dal principio di leale collaborazione ex art. 10 TUE. In tal modo le norme di recepimento di una direttiva comunitaria dovrebbero dispiegare i propri effetti anche per i fatti accaduti prima della sua emanazione ma dopo l’adozione del provvedimento comunitario. Si osserva altresì che tale soluzione è conforme al principio di ragionevolezza poiché in tali casi non viene leso l’affidamento incolpevole del cittadino sulle situazioni giuridiche poiché costui potrebbe agevolmente conoscere le conseguenze dei propri atti consultando il provvedimento europeo.
39 X. Xxxxxx op. cit., pp. 60 ss; X. Xxxxxx, op. cit., pp. 70 ss. La retroattività delle norme statuenti situazioni soggettive a tutela della persona umana è espressamente enunciata anche dalla giurisprudenza costituzionale. Tra le varie pronunce in materia si ricorda Xxxxx Xxxx., 00 luglio 1986,
n.199 con cui è stata riconosciuta fondata la questione di incostituzionalità sollevata con riferimento all’art. 3 Cost. della l. 4 maggio 1983 n.184 in tema di procedure relative all’adozione di minori stranieri. In particolare l’art. 76 della sopra richiamata legge escludeva che la nuova normativa si applicasse alle procedure di adozione in corso o già definite alla data di entrata in vigore della nuova normativa; la Corte, accertata la finalità di protezione del minore di siffatta disciplina, ne ha dichiarato l’incostituzionalità laddove ne veniva esclusa l’applicazione retroattiva, trattandosi di una limitazione temporale priva di alcuna ragionevole giustificazione e quindi in contrasto con l’art. 3 Cost.
40 La necessità di tutelare la persona umana in sé e per sé considerata permea l’intera Costituzione. Si ricorda ex multibus Xxxxx Xxxx. 00 ottobre 2007, n. 21748 secondo cui: “ .. il principio personalistico che anima la nostra Costituzione la quale vede nella persona umana un valore etico in sé e guarda al limite del “rispetto della persona umana” in riferimento al singolo individuo, in qualsiasi momento della sua vita e nell’integrità della sua persona in considerazione del fascio di convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive ...”.
41 X. Xxxxxx op.cit., p. 72
smentita dall’interprete o dallo stesso legislatore solamente fornendo la complessa dimostrazione che un’efficacia retroattiva sia socialmente dannosa.42
Infine l’ultima categoria di diritto intertemporale è costituita dal principio di ultrattività della legge.
Come suggerisce la stessa etimologia del termine, il fenomeno ricorre ogni qual volta una norma continui ad essere applicata a determinate tipologie di rapporti nonostante la sua abrogazione o sostituzione. La categoria è perciò diretta ad indicare le ipotesi in cui da una norma risalente si enuclea la disciplina di un fatto avvenuto dopo l’eliminazione della norma stessa.43
Tale principio è desumibile a contrario dall’art. 15 delle disposizioni preliminari alla legge recante la disciplina dell’abrogazione della legge.
Infatti la disposizione in questione prevede che la norma cessi di avere efficacia, o tramite l’adozione di un nuovo intervento normativo che espressamente indichi quali disposizioni precedenti vengono contestualmente abrogate, oppure in via implicita, ossia tramite l’accertamento che la nuova normativa disciplina in maniera diversa ed in modo incompatibile la medesima materia prevista dalla legislazione precedente. Conseguentemente se ne ricava che di norma le disposizioni abrogate non possono avere efficacia ultrattiva in quanto sostituite dalle regole più recenti.
L’ultrattività della norma non è altro che la diretta conseguenza dell’applicazione del principio di irretroattività.
Infatti laddove la norma sopravvenuta non possa essere applicata ai rapporti pregressi questi continueranno ad essere regolati dalla precedente disciplina seppur formalmente abrogata.
Spesso la categoria in questione viene altresì associata all’ipotesi in cui una determinata disposizione sia oggetto di declaratoria di incostituzionalità da parte della Corte Costituzionale.
42 Già Xxxxxxxx, Manuale di diritto civile italiano, p. 112 enunciava il principio, recepito oggi dalla dottrina e dalla giurisprudenza, per cui le leggi relative alla capacità delle persone ed allo stato di famiglia hanno applicazione immediata.
43 X. Xxxxxx, op. cit., p. 254. La categoria è espressamente richiamata da Corte Cost. 27 giugno 1997,
n. 204 con cui ha ritenuto applicabile la legge 154/1992 ai contratti di fideiussione ancora produttivi di effetti alla data di entrata in vigore della nuova normativa; nel ragionamento compiuto dalla Corte l’applicazione pro futuro della nuova normativa - limitatamente alle obbligazioni principali sorte dopo tale momento - impedisce di riconoscere alla precedente disciplina carattere ultrattivo. Il provvedimento in questione verrà ripreso anche 4.3 del presente capitolo a cui si rimanda.
Si osserva infatti come la norma ritenuta contraria al dettato della nostra Carta fondamentale non soltanto sia priva della capacità di innovare l’ordinamento giuridico, ma risulti altresì incapace di abrogare la precedente disciplina con questa incompatibile.
2. I mutamenti normativi ed il contratto
L’oggetto del presente studio impone ora di analizzare i problemi di diritto intertemporale propri della materia contrattuale, che consistono essenzialmente nel verificare l’eventuale influenza che i mutamenti normativi possono avere sui rapporti contrattuali conclusi prima della novella legislativa.
Si tratta pertanto di stabilire se la sopravvenienza normativa vada ad incidere, e se sì a quali condizioni, sugli effetti voluti un tempo dalle parti.
E’ ben possibile che il regolamento contrattuale sia destinato a realizzarsi mediante l’esecuzione di un’unica prestazione o più prestazioni concentrate in un unico momento; in tale ipotesi si è soliti parlare di “contratti ad esecuzione istantanea” che, a loro volta, vengono distinti in contratti istantanei ad esecuzione immediata, qualora il momento esecutivo coincida con la perfezione dell’accordo o in contratti istantanei ad esecuzione differita, se il regolamento contrattuale è destinato a realizzarsi in tutto o in parte in un momento successivo.44
Ai contratti ad esecuzione istantanea si contrappongono i contratti di durata, in cui almeno una delle prestazioni non si esaurisce in un’unica operazione o in un effetto istantaneo ma si attua nel tempo, senza soluzione di continuità -contratti ad esecuzione continuata- oppure si attua con erogazione di beni o di servizi ripetuti ad intervalli regolari -contratti ad esecuzione periodica-.45
Conseguentemente, si è osservato che nelle situazioni giuridiche istantanee viene tutelato l’interesse immediato di un soggetto a conseguire un bene, mentre in quelle durature è protetto un interesse diretto alla conservazione o al conseguimento di un bene che si realizza con il passare del tempo e dà vita ad una situazione giuridica duratura.46
I problemi di diritto intertemporale si pongono soprattutto per i contratti di durata e per quelli istantanei ad effetti differiti, poiché per i contratti istantanei ad esecuzione immediata è logicamente impossibile ipotizzare che intervenga un mutamento
44 X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxxxxx, Manuale di diritto privato Milano, 2015, p. 522.
45 X. Xxxxx, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di X. Xxxxxx e X. Xxxxx, Milano, 2011, pp. 511 - 512.
46 X. Xxxxxxxx, Fideiussioni omnibus non “esaurite” e legge sulla trasparenza bancaria, in Banca Borsa e titoli di credito, 1996, I, p.698.
normativo nel lasso temporale tra la stipulazione e l’esecuzione, atteso che questi due momenti vanno a coincidere.
In relazione a questi ultimi contratti, le questioni potrebbero porsi nel caso in cui la legge sopravvenuta alla cessazione degli effetti contrattuali venisse espressamente qualificata come retroattiva o tale efficacia venisse desunta dall’interprete alla luce degli obiettivi perseguiti con l’intervento normativo.
In tali ipotesi sarebbe necessario vagliare la “ragionevolezza” di una legge sopravvenuta idonea ad influire sui rapporti contrattuali esauriti alla stregua del bilanciamento di interessi di cui in precedenza si è parlato. 47
Le difficoltà aumentano se oggetto dell’intervento legislativo sopravvenuto sono norme imperative ossia norme il cui rispetto, per definizione, si impone alle parti con limitate, possibilità di deroga.48
Infatti, le drastiche conseguenze in cui un contratto incorre qualora si ponga in contrasto con queste,49 si giustificano alla luce dell’interesse tutelato dalle norme
47 Si veda supra par. 1.
48 E’ stato osservato che la legislazione recente, introducendo numerose ipotesi di nullità relativa, ha portato a rivisitare l’idea per cui le norme imperative siano sempre inderogabili. Infatti spesso in tali ambiti è ammessa una deroga alla norma cogente qualora questa si traduca in un vantaggio per il contraente protetto, costituendo la disciplina legale una garanzia minima apprestata a tutela di una parte contrattuale. Questo fenomeno ha portato a ritenere che quindi il vero tratto caratterizzante sia rappresentato non dall’inderogabilità ma dall’indisponibilità dell’interesse protetto. Così X.Xxxxxxx, Della nullità del contratto (commento all’art.1418 c.c.), in X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxxxx (a cura di), Commentario al codice civile, diretto da X. Xxxxxxxxx, volume Dei contratti in generale artt. 1387- 1424, Torino, 2012.
Per quanto riguarda il problema relativo ai criteri utilizzabili per l’accertamento della natura imperativa della norma si rinvia a G. Villa, Contratto e violazione di norme imperative, Milano, 1993,.p. 83. Qui ci si limiterà a ricordare che, salvo alcune ipotesi in cui si è in presenza di chiari indici in grado di provare il carattere non disponibile della norma, quali ad esempio la previsione di una sanzione penale ovvero l’esclusione del patto contrario, “il criterio dello scopo della norma non vada utilizzato in astratto, chiedendosi solo quale sia la ratio della norma” poiché decisivo “non è tanto quale sia lo scopo del divieto in assoluto, ma quale elemento del processo di scambio si muova in direzione contraria a quello scopo” poiché in alcune ipotesi il contrasto tra tale scopo ed alcuni elementi conduce a situazioni di incompatibilità del negozio con il sistema mentre in altre il negozio sopravvive in quanto la situazione che ne deriva non determina la lesione di alcun divieto. G. Villa, op.cit., p. 137 a cui si rinvia anche per gli esempi chiarificatori ivi contenuti.
49 La violazione di una norma imperativa comporta, di norma, la nullità dell’intero contratto o della singola clausola. Tale nullità può essere testuale o virtuale; Nel primo caso la nullità deriva dall’applicazione dell’art. 1418 comma III c.c. che richiede un’espressa opzione del legislatore a favore dell’invalidità; la nullità virtuale è invece è prevista dal primo comma dell’art. 1418 c.c.; in questa ipotesi il rimedio dell’invalidità non è una conseguenza necessaria della violazione della norma inderogabile perché lo stesso legislatore ha previsto che le norme possano prevedere una diversa disciplina. La dottrina si è interrogata a lungo sull’interpretazione dell’inciso “salvo che la legge disponga diversamente” ed è infine giunta a riconoscere che la nullità possa essere esclusa non solo grazie alla previsione di un diverso rimedio ma altresì tramite la valorizzazione della ratio sottesa alla disposizione. Sull’argomento si rinvia a G.Villa, op.cit.. Infine, ai sensi dell’art. 1418 comma secondo
c.c. conduce sempre alla nullità dell’intero contratto la causa e l’oggetto illeciti che ricorrono, tra le
stesse individuato, per consolidata giurisprudenza e dottrina, in un interesse pubblico generale che si colloca al vertice della gerarchia dei valori protetti dell’ordinamento e che quindi risulta indisponibile ad opera dei singoli.50
In tutte queste ipotesi è quindi necessario verificare in primo luogo se il mutamento normativo sia in grado di influire sulle vicende contrattuali perfezionatesi prima dell’entrata in vigore delle nuove norme e in secondo luogo, qualora si ritengano applicabili le nuove disposizioni, è necessario altresì accertare se si è in presenza di una applicazione retroattiva o meno della nuova legge.51
Talvolta il legislatore interviene risolvendo a priori le problematiche appena illustrate attraverso la previsione di apposite norme di diritto transitorio che regolano il passaggio dal vecchio al nuovo regime.
altre ipotesi, qualora si pongano in contrasto con una norma imperativa secondo il disposto di cui all’1343 e 1346 c.c. Sulla necessità di rinvenire un criterio per distinguere le due ipotesi si rinvia a G.Villa, op.cit.
50 X. Xxxxxxxxxx, Il contratto illecito, in Trat. Roppo, II, Il regolamento, a cura di X.Xxxxxxx, Milano, 2006, 441. Dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere che la disposizione contenuta nella norma imperativa possa essere determinata “da un interesse, sociale, dal bisogno di difesa della sicurezza giuridica” (F. Ferrara, Teoria del negozio illecito, Milano, 1914, p.23) nonché “dall’esigenza di tutela dei principi fondamentali e di interesse generale, essenziali all’ordinamento giuridico dello Stato (anche transitoriamente) e tali da osservarsi inderogabilmente da tutti”. (Cass. 11 novembre 1979, n.5311, in Riv. not., 1980, p.134. In realtà parte della dottrina ha sottolineato che la ricostruzione basata sul binomio nullità e interesse generale sia entrata in crisi all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso con l’emersione della categoria delle “nullità speciali” originata dal ricorso da parte del legislatore alla figura della nullità per la tutela di interessi particolari riferibili non alla collettività ma tutt’al più, a classi di contraenti individuate X.Xxxxxxx, op.cit., p.540. Nonostante queste critiche recentemente la giurisprudenza di legittimità non ha esitato a confermare il proprio orientamento consolidato escludendo che l’emersione delle nullità speciali possa smentire il principio per cui tale categoria di invalidità è sempre posta a presidio di interessi generali. Infatti la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n.26242 del 12 dicembre 2014) non ha negato che le nuove ipotesi di nullità siano volte a tutelare particolari categorie di soggetti, quali i consumatori, i subfornitori e così via, ma ha altresì aggiunto che il potere offioso del giudice di rilevare tali forme di nullità, che sussiste anche in tali ipotesi, è essenziale al perseguimento di valori che possono anche avere rilievo costituzionale, quali il corretto funzionamento del mercato (ex art. 41 Cost.) o l’uguaglianza formale tra contraenti forti e deboli (ex art. 3 Cost.) poichè “lo squilibrio contrattuale tra le parti altera non soltanto i presupposti dell’autonomia contrattuale ma altresì le dinamiche concorrenziali tra le imprese”. L’orientamento è seguito anche in dottrina, si osserva infatti che le nullità extracodicistiche sono sì volte a tutelare un contraente appartenente ad una determinata categoria considerata “debole”, in quanto sfornita di un sufficiente potere contrattuale in grado di influire adeguatamente sul contenuto del negozio, ma allo stesso tempo non considerano il singolo in sé poiché tengono conto di una situazione di asimmetria che ha carattere diffuso ed è generalizzata tra tutti gli appartenenti alla medesima categoria di modo che si tratta di nullità volte a colpire il contratto socialmente dannoso. Così per M. Bianca, Diritto civile, Il Contratto, vol. III, Milano, 2000, p. 613.
51 X. Xxxxxxxx, op.cit., p.696 osserva infatti che imperatività e retroattività sono due concetti distinti. L’avvenuto riconoscimento del carattere inderogabile di una disposizione non permette di per sé di concludere per l’applicabilità della stessa a tutte le fattispecie in cui questa venga in rilievo. Infatti inderogabilità e retroattività sono due concetti che operano su piani differenti, poiché attengono in un caso ai limiti dell’autonomia privata e nell’altro all’efficacia nel tempo della legge. Si comprende così come una norma possa essere imperativa e nonostante ciò non venire applicata a determinati rapporti in quanto non avente efficacia retroattiva.
Tuttavia l’adozione di tali regole non si impone ma rientra nella discrezionalità di cui gode nell’esercizio del potere legislativo, di modo che, in loro assenza, spetta all’interprete precisare l’ambito temporale di applicazione della nuova legge ricorrendo ai criteri di diritto intertemporale.
3. Il diritto transitorio
Il diritto transitorio rappresenta una delle categorie proprie del diritto intertemporale ed in particolare indica la disciplina giuridica di fatti accaduti a cavallo di un mutamento normativo, individuandola in una norma terza, diversa tanto dalla norma precedente oggetto di abrogazione, quanto dalla norma di nuova emanazione.52 Attraverso le disposizioni transitorie il legislatore si preoccupa quindi di regolamentare il passaggio dal vecchio al nuovo regime, permettendo un mutamento graduale e rendendo possibile l’adattamento delle vecchie situazioni alla nuova regolamentazione. 53
Dalla finalità propria di queste norme è pertanto possibile desumerne alcune caratteristiche intrinseche, individuabili rispettivamente nella natura eccezionale, che non tollera quindi interpretazioni analogiche ex art. 14 preleggi,54 e nella loro efficacia necessariamente limitata nel tempo.55
Le norme di diritto transitorio possono avere un contenuto vario e non rigidamente preordinato, poiché sono strettamente correlate al tipo di intervento a cui si accompagnano e riflettono il pensiero del legislatore su quale sia il sistema migliore per attenuare gli effetti psicologici e sociali di un brusco mutamento legislativo.
52 X. Xxxxxx, Il”Diritto intertemporale”. La ragionevolezza dei criteri per la risoluzione dei conflitti tra norme diacroniche, Napoli, 2007, p. 231.
53 X. Xxxxxx, Voce Disposizioni transitorie, in Xxx.xx dig. it., 1960, p. 1133.
54 X. Xxxxxxxx, Le disposizioni sulla legge in generale: gli articoli da 1 a 15, in Tratt. Dir. priv., diretto da X. Xxxxxxxx, X, Xxxxxx, 0000, p. 232; G. U. Xxxxxxxx, Voce Disposizioni transitorie, in Enc. Dir., 1964, p.8 ammette una applicazione analogica qualora la singola disposizione transitoria sia espressione puntuale dei principi generali di diritto intertemporale il che accade, ad esempio, qualora la disposizione transitoria sancisca l’inapplicabilità della nuova legge ai rapporti già esauriti in conformità dell’art. 11 preleggi.
55 La necessità di un termine finale di efficacia della norma transitoria è stata espressamente enunciata da Xxxxx Xxxx., 00 novembre 2002, n.466, che ha dichiarato incostituzionale l’art. 3 comma 7 l. 249/1997 nella parte in cui non prevedeva un termine massimo, certo e non prorogabile, entro il quale conformare le situazioni giuridiche preesistenti al nuovo precetto normativo. Senza la necessità di prevedere esplicitamente un termine finale di efficacia riconosce la natura temporanea delle disposizioni transitorie anche G. U. Xxxxxxxx, op. cit.; l’Autore infatti sottolinea che le disposizioni transitorie possono essere considerate come legge singolare di determinate fattispecie già esistenti al momento dell’entrata in vigore e perciò queste sono destinate ad esaurire il loro ambito di applicazione con la progressiva estinzione delle fattispecie stesse. Si osserva altresì come la predeterminazione di un termine finale dei fatti soggetti alla loro autorità sia un tratto comune tanto alla categoria della norma transitoria quanto alla norma temporanea sebbene le categorie non vadano confuse; infatti la locuzione “norma transitoria” enuclea il concetto per cui allo scadere del termine acquistano efficacia situazioni innovative rispetto a quelle programmate dalla norma previgente. Nel paradigma della norma temporanea invece, quando scade il termine prefissato, riacquistano efficacia le situazioni giuridiche indicate dalla norma previgente. Così per X. Xxxxxx, op.cit.,p. 233.
Tuttavia in dottrina si è voluto razionalizzare la materia cercando di suddividere le norme di diritto transitorio in quattro specie utilizzando come criterio guida le caratteristiche strutturali ed il loro contenuto.56
Così, si è soliti individuare quattro gruppi distinti:
a) in un primo gruppo possono essere ricomprese le disposizioni con cui il legislatore si preoccupa di decidere l’ambito di efficacia temporale di specifiche norme, stabilendo fino a che punto queste retroagiscano o fino a quando la norma abrogata è ultrattiva.
Si tratta di vere e proprie norme di diritto intertemporale, ossia norme di secondo grado, poiché la disposizione non enuncia direttamente la disciplina applicabile alla singola fattispecie concreta, ma si limita a richiamare o la vecchia o la nuova norma.57
b) nella seconda categoria confluiscono le norme che diversificano le situazioni, a seconda che si tratti di fattispecie pendenti o nuove; nel primo caso si è in presenza di norme transitorie in senso proprio, poiché si stabiliscono regole diverse tanto da quelle abrogate quanto da quelle nuove, mentre nell’ipotesi rimanente si opta per l’applicazione immediata della nuova legge.
In questo ultimo caso, a differenza della categoria precedente si è in presenza di vere e proprie norme materiali poiché la disposizione sancisce direttamente la regolamentazione della singola fattispecie che non coincide, nel caso delle norme transitorie vere e proprie, né con la legge precedente né con quella di nuova introduzione ma presenta rispetto ad esse delle peculiarità.
c) integrano la terza ipotesi le norme previste dal legislatore che differiscono l’entrata in vigore della nuova norma ad un momento successivo, prevedendo per il periodo intermedio un regime diverso e di compromesso tra le due discipline, al fine di attuare in modo graduale il cambiamento.
Anche in questa ipotesi, come per le disposizioni transitorie in senso proprio, si tratta di norme materiali, ma con la differenza che la norma è destinata a dare regola ad un numero indeterminato di fattispecie, purché poste in essere nel lasso temporale di
56 La classificazione è proposta da G. U. Xxxxxxxx, op.cit., p. 1 ss.
57 Con riferimento alla possibilità di applicazione analogica delle norme di diritto transitorio (per cui si veda supra nota n.37) G.U. Xxxxxxxx, op.cit., p. 3, ammette che in questo caso sia possibile un’applicazione analogica qualora la disposizione costituisca applicazione concreta di un principio generale di diritto intertemporale.
vigenza della norma e non esclusivamente ai rapporti pendenti alla data di entrata in vigore.
d) infine la quarta categoria costituisce un’ipotesi residuale, in cui confluiscono tutte le disposizioni che non possono rientrare nelle fattispecie precedenti, ad esempio, perché pur essendo state adottate in occasione di un mutamento normativo, non coinvolgono l’efficacia nel tempo delle nuove e vecchie disposizioni.58
Benché si tratti di ipotesi tra di loro molto eterogenee, è possibile intravedere un comune denominatore tra le classi appena ricordate, individuabile non solo nella stessa denominazione formale adottata dal legislatore ma altresì nella funzione loro propria, ossia quella di facilitare il mutamento normativo ancorché tramite il ricorso a strumenti differenti.
La possibilità di adottare disposizioni di diritto transitorio è rimessa alla discrezionalità del legislatore chiamato a valutare di volta in volta l’opportunità di una tale previsione ma, una volta che abbia deciso di intervenire in tal senso, non gode di assoluta libertà nello stabilirne il contenuto.59
Infatti anche il diritto transitorio, al pari di tutti gli altri criteri di diritto intertemporale, deve essere conforme al principio di ragionevolezza costituzionale.
In particolare, riprendendo la classificazione precedentemente proposta, nel caso di norme transitorie riconducibili al primo gruppo, sarà necessario operare un bilanciamento di interessi tra la tutela del principio della certezza del diritto ed il fine perseguito dal legislatore con l’innovazione legislativa di modo che, ad esempio, qualora si sia optato per la retroattività della nuova norma, è necessario dimostrare che le utilità sociali perseguite con tale operazione siano maggiori ed idonee a sacrificare l’affidamento del singolo sulle conseguenze giuridiche delle proprie azioni.
In modo sostanzialmente analogo per le norme di diritto transitorio rientranti nella seconda e nella terza categoria, ossia per quelle norme che hanno carattere materiale non essendo riconducibili interamente sotto l’una o l’altra disciplina, è necessario
58 G.U. Xxxxxxxx, op. cit., p. 6, indica tra le norme rientranti in tale categoria le norme che prevedono la risarcibilità del danno ingiusto cagionato dal mutamento legislativo.
59 Corte Cost. ordinanza 252/2000 secondo cui: “il legislatore, pur godendo della più ampia discrezionalità nello stabilire i limiti di applicabilità delle norme transitorie, deve comunque rispettare i principi della ragionevolezza e della non arbitraritetà”.
provare che le finalità che si ripropongono di raggiungere siano più importanti della lesione dell’affidamento individuale e del principio di uguaglianza formale60.
Tuttavia è stato osservato come in realtà si tratti di una dimostrazione in qualche misura agevolata, perché nel bilanciamento entra in gioco anche la finalità propria di tali disposizioni, ossia la volontà di accrescere il grado di preparazione dei cittadini di fronte alla norma di nuova adozione e di evitare un mutamento legislativo troppo brusco e radicale.61
A titolo esemplificativo si possono ricordare alcune disposizioni transitorie in materia contrattuale che hanno accompagnato l’entrata in vigore del codice civile del 1942, dedicate alla disciplina del contratto con cui il legislatore ha voluto riconoscere l’immediata applicabilità di alcune norme anche ai rapporti pendenti, ancorché scaturenti da negozi giuridici stipulati sotto il vigore del codice del 1865.
60 Così la Corte Costituzionale con sentenza del 25 febbraio 2002 n.29 ha ritenuto che “sia costituzionalmente illegittimo l’art. 1 comma 2 de d.l. 394/2000, convertito con modificazioni in l.
n.24 del 2001, nella parte in cui dispone che la sostituzione del tasso degli interessi dei finanziamenti non agevolati in corso alla data di entrata in vigore del decreto, stipulati nella forma di mutui a tasso fisso e assistiti da garanzia reale, si applica alle rate che scadono successivamente al 2 gennaio 2001, anziché a quelle che scadono il giorno stesso dell’entrata in vigore”. Con il decreto legge 394/2000
,di cui anche supra par. 1, il legislatore è intervenuto sull’annosa questione dell’applicazione ai mutui ancora in corso della legge di riforma 108/96 stabilendo, in via di interpretazione autentica che ai fini dell’applicazione delle sanzioni penali e delle disposizioni civili in ambito di interessi usurari nel contratto di mutuo, rileva esclusivamente il momento della pattuizione e non quello della corresponsione (art. 1 comma 1 d.l. 394/2000); il comma secondo prevedeva appunto un differimento della sostituzione dei tassi di interesse posticipato di tre giorni rispetto all’entrata in vigore del decreto stesso. La Corte Costituzionale ha censurato tale ultima scelta del legislatore ritenendo che un simile differimento sia irragionevole in quanto non giustificato dalle finalità che hanno spinto il legislatore ad intervenire in materia. In particolare i giudici hanno osservato che le ragioni che hanno giustificato un intervento del Governo esercitato tramite il ricorso alla decretazione d’urgenza sono incentrate “sulla eccezionale caduta dei tassi di interesse avvenuta in Europa ed in Italia nel biennio 1998/1999. La norma risulta dunque inequivocabilmente dettata dalla necessità di ricondurre ad equità in maniera generalizzata - ed indipendentemente dall’esercizio di eventuali azioni giudiziarie - i contratti di mutuo a tasso fisso divenuti eccessivamente onerosi, a danno dei mutuatari, per effetto dell’eccezionale caduta dei tassi di interesse verificatisi nel biennio 1998/1999. In relazione a siffatta ratio, se non può ritenersi costituzionalmente imposta una efficacia retroattiva della norma censurata, risulta invece manifestamente irragionevole, la scelta di differirne, di pochissimi giorni, l’efficacia anche allo scopo di escludere che la norma possa trovare applicazione anche riguardo alla rate in scadenza tra il 31 dicembre 2000, giorno di entrata in vigore del decreto legge, e il 2 gennaio 2001. In tal modo infatti il legislatore, anziché eliminare, ha finito per protrarre, relativamente alle rate in scadenza nel periodo indicato, quella situazione di eccessiva onerosità e, quindi, di sostanziale iniquità per i mutuatari dallo stesso evidenziata ed ha, conseguentemente, reso la norma manifestamente illogica e contraddittoria, e quindi lesiva del generale canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione.” A ben vedere in questo caso la censura della Corte si fonda sul principio di ragionevolezza in senso stretto, poiché la previsione di un termine iniziale di efficacia della legge stride con le finalità proprie dell’intervento normativo senza la necessità di comparare altri valori protetti dalla Costituzione che possono entrare in conflitto con lo scopo perseguito dal legislatore. Sulla distinzione tra ragionevolezza e proporzionalità si rinvia al paragrafo 1 del presente capitolo.
61 G.U. Xxxxxxxx, op.cit., p.20.
Attraverso la lettura sistematica di tali disposizioni si evince come il legislatore del tempo avesse chiaro che i contratti antecedenti all’entrata in vigore della nuova disciplina dovessero rimanere regolati in linea di massima dalla legge previgente, ossia dalla legge in vigore al tempo della stipulazione, ma che tale principio non poteva trovare attuazione in relazione ad una serie determinata di ipotesi tra cui si ricorda: la possibilità per il giudice di ridurre la penale manifestamente eccessiva (art. 163 disp. trans.62), le limitazioni legali alla validità della clausole solve et repete (art. 167 disp. trans.63) e la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 168 disp. trans.64).65
La lettura della Relazione Ministeriale che ha accompagnato l’entrata in vigore del codice civile permette di comprendere le motivazioni che hanno spinto il legislatore ad optare per l’immediata applicabilità di tali disposizioni, ravvisabili essenzialmente in ragioni di equità e di ordine pubblico economico.66
Senza pretesa di completezza, tali norme sono volte prevalentemente a porre limiti all’autonomia privata dei contraenti per evitare che una maggior forza contrattuale in capo ad una delle parti possa tradursi nella conclusione di un negozio fortemente iniquo e svantaggioso per l’altra.
Attraverso tali interventi il legislatore ha voluto sostanzialmente introdurre degli strumenti volti a riequilibrare la posizione dei contraenti a fronte di contratti ab origine squilibrati o, nel caso dell’art. 1467 c.c., divenuti tali successivamente a causa di eventi straordinari ed imprevedibili.
Se è questo lo spirito che ha dato origine a tali disposizioni, ben si comprende come sia stato considerato inopportuno ritenere che queste potessero essere applicate
62 art. 163 disp. trans.: “ il giudice può ridurre la penale manifestamente eccessiva anche se il contratto sia stato concluso anteriormente all’entrata in vigore del codice e anche se il pagamento della penale sia stato giudizialmente domandato e il giudizio sia pendente alla data suddetta.”
63 art. 167 disp. trans.:” le disposizioni dell’art. 1462 del codice si applicano anche se la clausola ivi previsti sia inserita in un contratto stipulato prima del giorno dell’entrata in vigore del codice stesso, quando l’eccezione del debitore sia opposta dopo o, se proposta prima, il relativo giudizio sia ancora pendente alla data predetta.”
64 art.168 disp. trans.:” le disposizioni relative agli effetti dell’eccessiva onerosità sopravvenuta si applicano anche per i contratti conclusi prima dell’entrata in vigore del codice se le circostanze e gli avvenimenti da cui deriva la eccessiva onerosità si siano verificati dopo.”
65 Per ulteriori esempi di norme transitorie del codice civile che prevedono l’applicazione delle nuove disposizioni anche ai contratti pendenti si veda A. Ciatti, Retroattività e contratto. Disciplina negoziale e successione di norme nel tempo, Napoli, 2007, pp. 146 ss.
66 Relazione del Ministro Guardasigilli Grandi al Codice civile del 1942, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1943.
solamente ai contratti stipulati dopo l’entrata in vigore del nuovo codice e non a quelli anteriori destinati però a produrre ancora effetti.
L’esclusione di tali norme non si sarebbe rivelata “ragionevole”, poiché avrebbe dato luogo a trattamenti giuridici differenziati per situazioni che presentano le medesime caratteristiche ad eccezione del momento in cui sono state poste in essere.
Le finalità di interesse generale, che trascendono quindi la sfera giuridica dei singoli contraenti, giustificano pertanto la lesione dell’affidamento del singolo a beneficiare di una clausola penale considerata eccessiva che costituirebbe così una fonte di arricchimento ingiustificato o a non vedersi sollevare in giudizio eccezioni gravi che riguardano la validità stessa del contratto.
Del resto, anche in assenza di una disposizione di diritto transitorio, l’interprete avrebbe potuto giungere ad un risultato analogo tramite l’analisi della ratio sottesa alle norme in questione che avrebbe portato a concludere per la ragionevolezza della prevalenza della finalità protettiva sul principio di certezza del diritto.
4. Nel silenzio del legislatore: applicabilità o meno della norma sopravvenuta. Premessa
Qualora il legislatore non abbia voluto farsi carico dei problemi di diritto intertemporale connessi all’entrata in vigore della nuova disciplina, spetta all’interprete procedere alla determinazione dei limiti temporali di efficacia dello ius superveniens.
Così, facendo applicazione dei principi generali che regolano la materia precedentemente ricordati, si può ritenere applicabile la nuova disciplina a tutte le fattispecie concrete i cui elementi costitutivi si siano verificati in un momento successivo alla sua entrata in vigore e pertanto, per quanto riguarda l’ambito contrattuale che qui interessa, a tutti i rapporti giuridici scaturenti da accordi perfezionatisi dopo tale momento.
Con lo stesso grado di certezza si può escludere che la modifica legislativa vada ad incidere sulle fattispecie contrattuali completamente esaurite in un momento antecedente all’entrata in vigore, salvo il caso in cui oggetto della sopravvenienza sia una norma interpretativa o, nel caso di legge innovativa, qualora l’efficacia retroattiva possa essere desunta in via di interpretazione con ragionevole grado di certezza e sempre che si aderisca alla tesi per cui l’efficacia retroattiva non necessita di espressa statuizione da parte del legislatore.67
Qualora si optasse per tale soluzione, sarebbe necessario dimostrare che il sacrificio dell’affidamento riposto dai privati su un determinato assetto di interessi realizzato tramite contratto, comporti utilità sociali maggiori e sia quindi rivolto al perseguimento di un interesse superiore, dimostrazione che è tanto più difficile se si considera che si tratta di incidere su situazioni giuridiche stabilizzate nel tempo, in quanto originate da rapporti contrattuali ormai esauriti.
L’interprete incontra maggiori difficoltà nell’applicazione dei principi generali sull’efficacia della legge nel tempo ai rapporti contrattuali ancora pendenti al momento della modifica legislativa, ossia di posizioni giuridiche che traggono
67 Infatti, come visto in precedenza alla nota n. 24, la possibilità di desumere la retroattività di una norma in via interpretativa non è ancora del tutto pacifica in dottrina e giurisprudenza, essendo per taluni necessario che questa sia oggetto di una espressa statuizione da parte del legislatore.
origine da atti perfezionatisi precedentemente, ma che non hanno ancora esaurito i propri effetti e che sono quindi destinati a produrli anche dopo il mutamento normativo.
Del resto la soluzione al problema risulta essere ancora più complessa qualora oggetto dello ius superveniens siano norme imperative, ossia disposizioni che sono volte a tutelare interessi generali che, per definizione, trascendono la sfera giuridica del singolo contraente.68
La prassi si è già scontrata molte volte con tale problematica elaborando soluzioni non sempre uniformi.
Tra i casi più significativi che hanno dato adito ad un lungo dibattito dottrinale e giurisprudenziale, ed hanno altresì fatto emergere la complessità della materia, si possono ricordare i mutamenti legislativi intervenuti in materia di: fideiussione,69 usura70,
68 Sul punto si rinvia alle osservazioni svolte nei paragrafi precedenti.
69Il problema è sorto nel momento in cui il legislatore con la legge del 17 febbraio 1992, n.154 (Norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari), ora confluita nel Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1 settembre n.385) è intervenuto modificando la disciplina codicistica del contratto di fideiussione. L’art. 10 comma 1 l. 154/1992 modificando l’art. 1938 c.c. ha riconosciuto la validità della fideiussione per le obbligazioni future purché sia previsto l’importo massimo che il fideiussore è tenuto a garantire. Con il comma secondo del medesimo articolo invece è intervenuto sull’art. 1956 c.c. rendendo invalida la preventiva rinuncia del fideiussore al diritto di essere liberato dall’obbligo di garantire il debito altrui qualora il creditore, consapevole che il peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore era tale da rendere notevolmente più difficile l’estinzione del debito, abbia concesso ulteriore credito senza la preventiva autorizzazione del fideiussore. La natura imperativa della novella è desumibile dalla generale previsione del primo comma dell’art. 11 ove si statuisce la derogabilità solo in senso più favorevole per cliente. Una volta entrata in vigore gli interpreti si sono domandati quale fosse l’incidenza della riforma sui contratti di fideiussione già stipulati ed a tal proposito è stata proposta dalla dottrina una tripartizione delle situazioni che possono venire in rilievo articolata rispettivamente in: fideiussioni
c.d. esaurite intendendosi per tali i rapporti sorti antecedentemente alla data di entrata in vigore (fissata dallo stesso provvedimento legislativo per il 9 luglio 1997) ma già esauriti in quanto definiti con sentenza passata in giudicato o perché siano già decorsi i termini di decadenza e prescrizione; le fideiussioni c.d. chiuse ossia quei contratti stipulati prima della novella normativa ma che abbiano cessato di garantire le nuove obbligazioni del debitore principale prima dell’entrata in vigore a prescindere che siano state o meno escusse dal soggetto garantito; infine le fideiussioni c.d. aperte ossia quelle ancora in corso alla data di entrata in vigore della nuova disciplina. Così per X. Xxxxxxxx, Fideiussioni omnibus non “esaurite” e la legge sulla trasparenza bancaria, in Banca borsa e titoli di credito, 1999, p. 685. Il rilievo pratico della questione fu di massima importanza; a tal fine basti ricordare che il modello contrattuale al tempo predisposto dall’ABI prevedeva l’inserimento della clausola omnibus e la rinuncia preventiva ad avvalersi di quanto disposto dall’art. 1956 c.c. L’intervento legislativo indica la volontà del legislatore di porre un freno all’allargamento dell’oggetto della garanzia fideiussoria favorito dall’utilizzo di una modulistica con contenuto nettamente favorevole alle banche. Così per X. Xxxxxxxxxx Xxxxxx, La fideiussione “omnibus” fra recente passato e prossimo futuro, in Giur. it., 1992, I, p. 1306.
70 La legge 7 marzo 1996 n. 108 nel tentativo di arginare il fenomeno usurario è intervenuta tanto piano penale quanto su quello civile; sul primo versante, tra l’altro, ha riformulato l’art. 644 c.p.
disciplina antitrust71 e tutela dei consumatori contro le clausole vessatorie.72
ancorando a dati oggettivi la definizione di interessi o altri vantaggi usurari, eliminando così il riferimento allo stato di bisogno della persona offesa e del conseguente approfittamento da parte del soggetto attivo del reato. Inoltre si è valorizzato ai fini della configurazione del delitto non solo il momento della pattuizione ma altresì quello della successiva dazione che, lungi dall’essere considerato un post factum non punibile, sposta in avanti il momento consumativo del delitto con tutte le conseguenze che ne derivano in punto di disciplina. Sul piano civile è intervenuta modificando l’art. 1815 c.c. prevedendo la nullità della clausola con cui vengono pattuiti interessi usurari e convertendo così il contratto di mutuo da oneroso a gratuito in luogo della disciplina previgente che riteneva nel caso applicabile il tasso di interessi legali. I problemi di diritto intertemporale che si sono posti sono numerosi ed investono sia il campo civilistico che quello penalistico ma, per quello che qui più interessa, ci si è chiesti se la sanzione civilistica della nullità della clausola prevista dal nuovo art. 1815 c.c. dovesse applicarsi anche ai contratti stipulati antecedentemente ma ancora produttivi di effetti al momento della sopravvenienza e, in ogni caso, se fosse lecita la corresponsione di interessi originariamente non usurari ma divenuti tali a seguito della prima rilevazione trimestrale dei tassi di interessi medi ad opera del Ministero del Tesoro. A ben vedere questa questione riguarda anche i contratti stipulati dopo l’entrata in vigore della nuova normativa qualora al momento della pattuizione il tasso di interesse non ecceda la soglia dell’usura ma la superi nel corso del rapporto per effetto della caduta dei tassi medi di mercato. Le ambiguità insite nella nuova normativa sono state risolte dal legislatore che è intervenuto in via di interpretazione autentica con l’art. 1 d.l. 394/2000 convertito con legge del 28 febbraio 2001 n. 24 affermando che “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 cp e dell’art. 1815 secondo comma c.c. si intendono usurari gli interessi che superano il limiti stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”, sulla cui legittimità costituzionale si veda sopra nota n. 37.
In epoca molto recente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza del 19.10.2017, n. 24675 hanno definitivamente riconosciuto l’inapplicabilità dell’art. 1815 comma secondo c.c., così come riformulato ad opera della l.198/1996, ai contratti stipulati in epoca antecedente alla riforma, sancendo così la piena liceità degli interessi precedentemente pattuiti ancorché qualificabili come usurari perché eccedenti il tasso soglia. Allo stesso modo la Corte ha riconosciuto l’insensibilità dei contratti stipulati dopo la riforma del ’96 qualora il tasso, originariamente lecito, divenga solo in un momento successivo usurario, ritenendo invece applicabile l’art. 1815 c.c. alla sola ipotesi in cui gli interessi possano essere qualificati come usurari al momento della pattuizione.
71 La legge del 10 ottobre 1990 n.287 (Norme sulle intese, sull’abuso di posizione dominante e sulle operazioni di concentrazione) ha provveduto a recepire nel nostro ordinamento la legislazione antimonopolistica dell’Unione Europea ed ha, tra l’altro, provveduto ad istituire l’Autorità garante della concorrenza e del mercato chiamata a vigilare sulla sua corretta applicazione della normativa in questione. L’art. 2 della suddetta legge contiene una definizione molto ampia di intesa idonea ad abbracciare qualsiasi accordo e/o pratica concordata tra imprese nonché le deliberazioni di consorzi, associazioni tra le stesse ed organismi similari che abbiano per effetto quello di alterare le dinamiche del libero scambio statuendone al tempo stesso la nullità salva la possibilità che queste ottengano un’apposita autorizzazione dall’Autorità garante secondo il meccanismo delineato dal successivo art.
4. Le disposizioni appena ricordate hanno carattere innovativo ed intervengono in un settore prima regolato dal solo art. 2596 c.c. che ammette la validità del patto di non concorrenza, seppur entro limiti temporali e spaziali ben precisi. All’entrata in vigore della nuova normativa si è posto il problema di accertare l’applicabilità delle nuove disposizioni anche alle intese già esistenti e chiamate ad esplicare i propri effetti anche dopo la data di entrata in vigore della normativa nazionale. Il problema è stato particolarmente sentito poiché il legislatore italiano non ha ritenuto opportuno richiamare in sede di recepimento il Regolamento 17/62 che prevedeva a livello europeo un apposito regime transitorio consistente nel ritenere provvisoriamente valide le vecchie intese notificate alla Commissione entro un termine perentorio per tutto il tempo necessario affinché questa si pronunciasse. Le intese invece non notificate sono state ritenute nulle a tutti gli effetti. Per un’analisi più approfondita della tematica si rinvia a X. Xxxxxx, Nullità e autorizzazione delle intese restrittive della concorrenza nella normativa antitrust nazionale, in Riv. dir. ind., 1996, pp.69 ss.
72 Problemi di diritto intertemporale analoghi a quelli prospettati in precedenza si sono posti anche a seguito dell’introduzione nel codice civile degli artt. 1469 bis s.s. (oggi confluiti nel d. lgsl. 6
Il minimo comune denominatore tra i casi sopra ricordati è rappresentato non solo dal carattere non derogabile della novella legislativa ma altresì dall’assenza di qualsiasi disposizione di diritto transitorio volta a regolare il passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina73.
settembre 2005, n.206, Codice del Consumo) ad opera della l. 25 febbraio 1996, n.52 in recepimento della Direttiva 93/13/CEE del Consiglio concernente l’inefficacia delle clausole abusive contenute nei contratti con i consumatori.
73 In realtà alcune di queste riforme sono state accompagnate da disposizioni di diritto transitorio che però non avevano ad oggetto l’efficacia dei contratti precedentemente stipulati ed ancora in corso. In particolare l’art. 11 della l.154/1992 in materia di fideiussione differiva l’entrata in vigore della nuova normativa di 120 giorni dalla data di entrata in vigore. L’art. 3 della legge 108/1996 si è preoccupata di disciplinare, per di più in un’ottica penalista, l’ipotesi di contratti conclusi nel periodo che intercorre dalla data di entrata in vigore della legge alla prima rilevazione trimestrale dei tassi di interesse effettivi globali medi stabilendo che fino a questo momento incorreva nella sanzione penale chiunque si facesse “dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, da soggetto in condizioni di difficoltà economica o finanziaria, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altro vantaggi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e ai tassi praticati per operazioni similari dal sistema bancario e finanziario, risultano sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o altra utilità”.
4.2. L’inapplicabilità
Dall’analisi comparata dei primi provvedimenti giurisdizionali che hanno affrontato il problema dell’applicabilità dello ius superveniens ai rapporti contrattuali ancora in corso si può evincere come, in un primo tempo, la giurisprudenza abbia risolto il problema in moto piuttosto netto, optando per la non applicabilità della norma sopravvenuta.
Così è stato affermato che: “Le norme dell’art. 10 l. 17 febbraio 1992 n. 154, non avendo natura di interpretazione autentica, ed anzi introducendo innovazioni sostanziali in ordine alla validità del contratto di fideiussione, non sono applicabili ai contratti di garanzia sorti prima dell’entrata in vigore della medesima legge, ai quali pertanto si applicano le disposizioni anteriori”.74
Nel ragionamento compiuto dagli organi giurisdizionali l’inapplicabilità ai rapporti in corso è una diretta conseguenza del principio di irretroattività che informa l’intera
l. 154/1992 e tale efficacia, a sua volta, è diretta conseguenza del carattere innovativo e non interpretativo della normativa in questione desunto da vari indici tra i quali: l’espressa qualificazione fornita dal legislatore, la struttura delle norme e la previsione di un termine iniziale di efficacia delle nuove disposizioni.
Lo stesso passaggio logico è rinvenibile anche in altre sentenze che riguardano un ambito totalmente diverso quale la tutela della concorrenza nel mercato laddove, accertata la natura innovativa delle nuove disposizioni, viene esclusa l’applicabilità agli accordi ancora in corso in assenza di deroghe espresse al principio di irretroattività da parte del legislatore.75
Così ancora, in merito all’applicabilità della nuova disciplina di matrice comunitaria in tema di clausole vessatorie, la Corte di Cassazione ha concluso per l’inapplicabilità ai contratti pregressi ma oggetto di giudizio dopo l’entrata in vigore, attraverso un rigoroso richiamo al principio di irretroattività ed alla mancanza di una sua deroga espressa ad opera del legislatore.76
74 Trib. di Milano 20 aprile 1995.
75 Così Corte Cass. 8251/1995: “il contenuto inequivocabilmente innovativo della norma sopraggiunta ne evidenzia, in mancanza di diversa previsione, l’irretroattività, e, quindi l’inidoneità ad interferire sulla validità di contratti anteriormente stipulati”.
76 Corte Cass. n. 13339/1999: “Giusta la regola generale posta dall’art. 11, comma 1, preleggi, la legge non dispone che per l’avvenire, essa non ha effetto retroattivo. Ne deriva, come assolutamente
Con maggiore impegno esplicativo il Tribunale di Roma77 ha escluso che la novella legislativa volta a riformare il delitto di usura e la disciplina civilistica sugli interessi contrattuali, possa essere applicata ai rapporti pendenti in ragione della struttura propria del contratto di mutuo, che rende inapplicabili i principi enunciati dalla Corte Costituzionale che invece aveva riconosciuto una diretta incidenza della l.154/1992 sulle fideiussioni ancora aperte78.
Infatti nel contratto di mutuo l’obbligazione restitutoria del mutuatario non sorge di volta in volta al momento della scadenza delle singole rate, ma è unitaria e trova la propria origine all’atto di consegna del denaro. Essendo il fatto generatore dell’unica obbligazione del mutuatario verificatosi in epoca antecedente al mutamento normativo questo rimane regolato dalla legge previgente, rendendosi insensibile al cambiamento di disciplina.79
Poco tempo dopo l’adozione del provvedimento appena ricordato, il Giudice di merito è stato chiamato a pronunciarsi di nuovo sull’applicabilità della l. 108/96 ai contratti di mutuo stipulati anteriormente e, con motivazione differente, l’ha esclusa in quanto “la norma invocata dall’opponente non è stata introdotta per calmierare il mercato finanziario e non rientra quindi fra quelle norme imperative che, per tale specifica funzione, devono avere immediata applicazione ai contratti in corso ...ma ha carattere penale, tende a colpire il fenomeno dell’usura ed è diretta a reprimere le condotte offensive dell’interesse da essa protetto”.80
Per la prima volta il giudice ha preso in considerazione il carattere imperativo della norma sopravvenuta ed ha ammesso che questa possa trovare applicazione anche
pacifico in dottrina come una più che consolidata giurisprudenza di questa Corte regolatrice, che la validità - o meno - di qualsiasi contratto - in difetto di una eventuale norma espressamente dichiarata retroattiva dal legislatore -deve essere sempre riferita alle norme in vigore nel momento della sua conclusione (e non a quello della sua applicazione o - come si assume in questa sede - della sua verifica in sede giudiziale)”.
77 Trib. Roma del 4 giugno 1998.
78 Corte Cost. 27 giugno 1997, n. 204 su cui si veda infra nel presente paragrafo. Con il provvedimento in questione la Corte ha ritenuto applicabile la novella del ’92 ai contratti ancora produttivi di effetti alla data di entrata in vigore ma limitatamente alla garanzia inerente alle obbligazioni assunte dal debitore principale successivamente alla data di entrata in vigore della nuova normativa mentre, per le obbligazioni precedentemente contratte, la fideiussione è rimasta regolata dalla precedente disciplina e quindi è stata ritenuta valida ancorché in assenza del limite massimo garantito.
79 La natura unitaria dell’obbligazione del mutuatario rende, a parere del Tribunale di Roma, inapplicabile il principio enunciato dalla Corte Costituzionale 204/1997, poiché questo postula necessariamente che vi siano obbligazioni sorte successivamente all’entrata in vigore della nuova norma, ancorché connesse ad contratto stipulato precedentemente.
80 Trib. Roma del 10 luglio 1998.
relativamente ai rapporti in corso ma l’ha esclusa sulla base di una artificiosa distinzione della categoria.
A parte questo precedente, le sentenze in commento non considerano il carattere imperativo della legge sopravvenuta, né tantomeno l’interesse da essa tutelato, ma si limitano ad escludere la sua incidenza sui rapporti contrattuali in corso, secondo un procedimento logico articolato in due momenti fondamentali: in un primo momento il giudice esclude che le nuove norme rappresentino una forma di interpretazione autentica di un precedente intervento normativo -circostanza che permette di concludere per la “naturale retroattività” di tale norma81- e successivamente se ne desume la natura irretroattiva in assenza di deroghe espresse al principio di cui all’art. 11 preleggi.
Secondo tale orientamento la legge in vigore al tempo di conclusione del contratto è destinata a produrre i suoi effetti nonostante lo ius superveniens con natura inderogabile, andando a tutelare in misura massima l’affidamento riposto dai contraenti sul regolamento contrattuale al tempo voluto, che diviene pertanto insensibile a qualsiasi mutamento legislativo.
81 si veda supra nota n.35.
4.3 Il mutamento di prospettiva: lo ius superveniens è applicabile ai rapporti in corso
Tuttavia le massime appena ricordate sono espressione di un orientamento giurisprudenziale che in breve tempo si è rivelato minoritario ed è stato subito smentito dai provvedimenti successivi in materia che sembrano riflettere una mutata percezione del fenomeno.
Infatti dalla loro analisi emerge l’avvenuta presa di coscienza che non è possibile assimilare tout court i contratti precedentemente stipulati, che hanno tuttavia esaurito i loro effetti, ai contratti che sono destinati a mantenere la loro forza vincolante anche sotto il vigore della nuova normativa.
Il mutamento si percepisce in tutta la sua chiarezza dalle parole della Corte Costituzionale che, nel rigettare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1938 c.c., così come modificato dall’art. 10 l.154/1992,82 ha affermato che la circostanza per cui la nuova regolamentazione non abbia carattere retroattivo non significa che “la disciplina precedente - la quale, secondo l’interpretazione dominante, consentiva la prestazione di una garanzia illimitata per le obbligazioni future il cui oggetto fosse determinabile - acquisti carattere ultrattivo, tale da consentire che la garanzia personale prestata dal fideiussore assista non solo le obbligazioni principali sorte prima dell’entrata in vigore della legge 154 del 1992, ma anche quelle successive, in modo tale da attribuire efficacia permanente all’illimitatezza del rapporto di garanzia. In altri termini l’innovazione legislativa, che stabilisce la nullità delle fideiussioni per obbligazioni future senza limitazione di importo, non tocca la garanzia per le obbligazioni principali già sorte, ma esclude
82 La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal Trib. di Varese con riferimento agli artt. 3 e 47 Cost. In particolare il giudice rimettente, vista la portata innovativa della l.154/1992 e quindi il suo carattere irretroattivo in assenza di deroghe espresse al principio di cui all’art. 11 preleggi, ha censurato l’art. 1938 c.c., così come modificato, perché permetterebbe alle fideiussioni omnibus rilasciate precedentemente alla data di entrata in vigore della nuova normativa di continuare a produrre i propri effetti sebbene le medesime, ove stipulate successivamente, siano colpite da nullità ove non prevedano l’importo massimo garantito. Tale situazione determinerebbe quindi, ad avviso del giudice rimettente, una disparità di trattamento contraria all’art. 3 Cost., atteso che situazioni identiche sarebbero disciplinate diversamente. Inoltre tale disciplina lederebbe altresì l’art. 47 Cost. laddove tutela ed incoraggia il risparmio e prevede che l’esercizio del credito sia regolato e controllato dalle autorità statali.
che si producano effetti ulteriori e che la fideiussione possa assistere obbligazioni principali successive al divieto di garanzia senza limiti.”83
Dal ragionamento compiuto dalla Corte emergono due considerazioni molto importanti: in primo luogo non basta escludere che la normativa sopravvenuta abbia carattere retroattivo per impedire la sua applicazione ai rapporti contrattuali pendenti; inoltre l’applicazione della nuova normativa alle situazioni ancora in itinere, seppur solo pro futuro e quindi limitatamente agli effetti ancora non verificatisi, non equivale ad applicare retroattivamente le nuove regole e quindi, in definitiva, a derogare al disposto di cui all’art. 11 preleggi.
Il principio di diritto così sancito è stato ripreso dalla giurisprudenza successiva, che l’ha esteso anche a contratti diversi da quello fideiussorio.84
Ad esempio, in materia di usura, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la
l. 198/96, pur non potendo operare rispetto ai precedenti contratti di mutuo in difetto di una previsione di retroattività, è di immediata applicazione nei rapporti da essi scaturenti limitatamente agli effetti ancora in corso, superando così la posizione assunta dalle corti di merito che ne avevano escluso a priori qualsiasi rilevanza.85
La stessa linea di pensiero è rinvenibile anche nelle pronunce rese nell’ambito della libera concorrenza del mercato che hanno dichiarato nulle pro futuro le intese
83 Corte Cost. del 17 giugno 1997, n.204 con nota di X.Xxxxxxxx, Fideiussioni omnibus e jus superveniens al vaglio della Corte Costiuzionale, in Banca Borsa e titoli di credito, VI, 1997, p.634.
84 Sempre nell’ambito della fideiussione Corte Cass. n.831/1998 molto efficacemente ha affermato: “Invero il principio di irretroattività non impedisce che la legge nuova si applichi ai rapporti che, pur avendo origine sotto il vigore della legge abrogata, siano destinati a durare ulteriormente e ne modifichi l’assetto con effetto ex nunc, vale a dire dal momento della sua entrata in vigore.”
85 L’applicazione della nuova normativa anti usura ai contratti pendenti è stata riconosciuta da Corte Cass. 1126/2000 con nota di X. Xxxxxxx, La nuova normativa in materia di usura ed i rapporti negoziali in corso, in I contratti, 7/2000, p 687 ss. Tra i provvedimenti che precedentemente ne avevano negato l’applicabilità si ricordano Trib. di Roma 4 giugno e 10 luglio 1998 di cui si è già parlato nel presente capitolo. I giudici di legittimità, a differenza dei giudici di merito, richiamano espressamente il principio sancito dalla Corte Cost. con sentenza 154/1992 e lo ritengono applicabile anche al contratto di mutuo, osservando a tal proposito che l’obbligazione degli interessi non si esaurisce in una sola prestazione e che il momento rilevante ai fini della qualificazione della loro corresponsione in termini di usurarietà è la dazione e non solo la stipulazione del contratto così come desumibile dalla stessa formulazione letterale dell’art. 644 c.p. X.Xxxxxxx, Jus superveniens, rapporti in corso e usurarietà sopravvenuta, in Rass. dir. civ.,1999,p. 517 ove si ricorda che “le obbligazioni che hanno ad oggetto gli interessi, pur rinvenendo la propria ragione giustificativa nel contratto di mutuo, nascono non già nel momento costitutivo del rapporto bensì alla scadenza dei singoli periodi in cui si articola il godimento del capitale da parte del mutuatario”.
realizzate in un momento successivo all’entrata in vigore della l. 287/90, ancorché poste in essere in virtù di un accordo perfezionatosi in epoca precedente.86
Per comprendere al meglio la teoria che ha segnato una vera e propria una svolta nel modo di considerare l’influenza dello ius superveniens sui contratti in corso, e che è stata anche qualificata dalla giurisprudenza come un principio generale dell’ordinamento,87 è necessario risalire alle sue origini.
In realtà la tesi che riconosce l’immediata applicabilità della norma sopravvenuta ai contratti in corso, benché trovi la propria consacrazione con la sentenza 204/1997 della Corte Costituzionale è già presente nella giurisprudenza della Corte di legittimità a partire dagli anni ’70.88
La Corte di Cassazione nel 1975 affermava che “la retroattività non sussiste (e se ne parla tuttora impropriamente) quando ... la nuova norma disciplina status, situazioni e rapporti, che, pur costituendo lato sensu effetti di un pregresso fatto generatore (previsti e considerati nel quadro di una diversa normazione), siano distinti ontologicamente e funzionalmente (indipendentemente dal loro collegamento con detto fatto generatore) e suscettibili di una nuova regolamentazione mediante l’esercizio di poteri e facoltà non consumati sotto la precedente disciplina ...”89, circostanza che si verifica principalmente nei contratti di durata.
86 A titolo esemplificativo si ricorda Corte Xxxx. 827/1998 in cui si osserva che il termine “intesa”,alla luce della definizione contenuta nell’art. 2 l. 287/1990, deve includere non solo gli accordi tra due o più professionisti ma altresì le pratiche concordate e le delibere statutarie e regolamentari e che quindi è idoneo a ricomprendere non solo i contratti intesi in senso tecnico ma altresì i loro effetti che vengono considerati di per sé e che rilevano come comportamenti in quanto tali purché siano inerenti a pratiche anti concorrenziali. Ciò posto la Corte giunge ad affermare che la l. 287/1990, stabilendo la nullità delle intese ad ogni effetto “ha voluto anche togliere l’efficacia di legge tra le parti che un eventuale negozio possiede per sua natura, se validamente costituito”. A favore dell’immediata applicazione dello ius superveniens, seppur limitatamente agli effetti prodotti dalle intese dopo l’entrata in vigore della nuova legge, si è pronunciata più volte anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato; per un esame dei provvedimenti si rinvia a X.Xxxxxxxxx, Legge antitrust nazionale e la sua applicabilità ai contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge, in Riv. dir. priv., 1997, p.352 che osserva altresì come la soluzione in materia sia agevolata da alcune ragioni specifiche tra cui la circostanza per cui la l’art. 2 l. 287/1990 prende direttamente in considerazione l’effetto anticoncorrenziale a prescindere dalla struttura e dalla collocazione temporale della fonte da cui tale effetto deriva. Infatti, poiché la legge al fianco degli accordi vieta anche le pratiche concordate, un accordo precedente, se non rileva come tale, rileva in ogni caso come pratica concordata. Sulla stessa linea di pensiero si colloca anche X. Xxxxxxx, Le intese restrittive, in Xxxx.xx., 2000,p. 939.
87 Il rifermento è a Corte Cass. 5286/2000 con nota di X. Xxxxxxx, op. cit., p. 697.
88 Tra le tante si ricordano: Xxxx. 4 maggio 1966, n.1115; Cass. 18 maggio 1999, 4805, in Xxxx.xx, 1999,I,2211; Cass. 3 aprile 1987, n.3231, in Xxxx.xx, 1988,I,1226; Cass. 31 marzo 1983, n.2351.
89 Corte Cass. 271/1973, in Rep. Xxxx.xx., 1973, voce Legge, decreto e regolamento, n. 23 e successivamente Corte Cass. 2473/1975 in Giust. civ., 1975, I, 1235.
Si verifica così la c.d. retroattività apparente ogni volta in cui la nuova legge incida sugli effetti di situazioni giuridiche sorte sotto il vigore di una legge precedente, purché tali effetti possano essere considerati in se stessi, prescindendo dal fatto generatore, e gli effetti verificatisi precedentemente siano l’occasione e non la causa di quelli successivi.90
Si è affermato invece che, qualora invece la nuova legge riguardi, anche solo indirettamente, il fatto generatore, l’applicazione immediata non sarebbe possibile, poiché si inciderebbe in via retroattiva sul nucleo base di una fattispecie giuridica venuta a compiuta esistenza nel passato.91
I riferimenti in dottrina alla teoria della retroattiva apparente, chiamata anche retroattività impropria, sono addirittura anteriori.
Già Xxxxxxxx Xxxxxxxx distingueva tra una retroattività in senso proprio ed una apparente, intendendosi per la prima la legge che agisce sugli effetti passati di un fatto compiuto sotto la legge precedente e per la seconda l’applicazione immediata della nuova legge agli effetti successivi alla sua emanazione, salvo che incida sul fatto generatore degli stessi.92
Del resto si osserva come la sopravvivenza della legge antica per le conseguenze di fatti passati, che però si avverano sotto l’imperio della legge nuova, non trovi giustificazione nel testo della legge.
Infatti il nostro legislatore del’42 ha delimitato l’efficacia della legge nel tempo, non solo in maniera negativa, ma anche positiva, atteso che con l’art. 11 preleggi ha sì disposto che la legge non ha effetto retroattivo ma ha altresì contestualmente aggiunto che questa non dispone che per l’avvenire.93
Pertanto l’applicazione della norma sopravvenuta agli effetti contrattuali ancora da prodursi è pienamente conforme al disposto legislativo.
90 X. Xxxxxxxx, La retroattività della legge, in Trat. Dir. priv., diretto da X. Xxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 244; Cass. 11 luglio 1975, n. 2743 in Giust.civ., 1975,I, 1233.
91 X. Xxxxxxxx, op.cit., p.634.
92 X. Xxxxxxxx, Manuale di diritto civile italiano, Milano, 1910, pp. 107 ss.
93 A. Giuliani, op.cit., p. 239.
Invero, l’immediata applicazione agli effetti ancora pendenti non è questione di retroattività ma inerisce alla generale efficacia delle nuove norme a far data dal giorno di entrata in vigore.94
La teoria in esame si fonda sulla distinzione tra fatto generatore ed effetti del rapporto che quindi necessita di maggiore approfondimento.
Parte della dottrina ha fin da subito messo in evidenza come la distinzione tra il fatto generatore e gli effetti, dal punto di vista applicativo, non sia sempre agevole e possa quindi prestarsi ad applicazioni arbitrarie da parte dell’interprete.95
Inoltre la maggior parte delle norme imperative introduce requisiti di validità del contratto, prevedendo la necessaria sussistenza di determinati elementi o vietandone particolari contenuti, circostanza che, secondo la teoria in esame, porterebbe ad escludere l’applicazione dello ius superveniens nella quasi totalità delle ipotesi.96
Per questi motivi è stato proposto di intendere il fatto generatore non come il fatto giuridico che ha dato origine al rapporto, ossia la stipulazione del contratto, perché questo non permetterebbe di distinguere adeguatamente le situazioni giuridiche istantanee da quelle di durata ma dovrebbe essere inteso quale “fattispecie legale tipica” la cui disciplina, una volta che il rapporto si sia compiuto conformemente allo schema astratto di legge, non può essere interessata da una legge successiva che non sia retroattiva.97
Il fatto generatore viene così ad identificarsi con la causa del rapporto, ossia con la sua funzione economico-giuridica che avrà diverso contenuto a seconda della natura istantanea o meno del rapporto giuridico considerato.
In particolare, nel primo caso la causa del contratto si realizza istantaneamente e gli interessi dei contraenti sono soddisfatti per effetto del consenso legittimamente manifestato in sede di conclusione del contratto, momento che va a coincidere con il fatto generatore.
94 F. Xx Xxxxxx, Il trattamento dell’usura sopravvenuta tra validità, illiceità, e inefficacia della clausola di interessi, in Giust. civ., 2000, III, p.3108.
95 X. Xxxxxxxx, op. cit. p. 693 nota come in definitiva la giurisprudenza disponga con tali formule di strumenti da adoperare con ampia discrezionalità giungendo il più delle volte alle soluzioni che, nel caso concreto, appaiono le più opportune.
96 X. Xxxxxxxxxx, Fonti europee, successioni di leggi e rapporti contrattuali pendenti, in Riv. Dir. priv., 2005, p.551.
97 X. Xxxxxxxx, op.cit., p. 700.
Diversamente nei rapporti di durata il fatto generatore, inteso nel senso sopra indicato, ossia come causa del contratto, non si esaurisce all’atto della stipulazione, ma si attua continuamente fino all’esaurimento del rapporto giuridico.
In questi casi il fatto generatore non coincide con la manifestazione del consenso, anzi quest’ultimo momento segna il momento iniziale in cui la causa inizia a realizzarsi.
Questa considerazione permette di comprendere alcuni caratteri peculiari che presenta la disciplina codicistica dei contratti di durata, individuabile principalmente nella regola per cui in tali rapporti il sopravvenire di un elemento esterno che renda impossibile l’ulteriore dispiegarsi degli effetti del contratto, se impedisce da un lato il prodursi di nuovi effetti, dall’altro non travolge gli interessi ormai soddisfatti.98
Ed allora si è osservato che tale principio deve valere, poiché strettamente connesso alla natura dei rapporti di cui si discorre, anche nell’ipotesi in cui l’ulteriore protrarsi del rapporto nel tempo sia impedito da una norma di legge sopravvenuta, non retroattiva, che contenga una disciplina diversa del medesimo.
Pertanto dovrebbe essere considerata come incidente sul fatto generatore qualsiasi disciplina sopraggiunta che incida su una fattispecie giuridica venuta a completa esistenza nel passato.99
Infatti, l’idea sottesa alle pronunce in tema di retroattività sembra quella di evitare che una fattispecie compiutamente realizzatasi sotto il vigore della precedente disciplina possa essere interessata dal mutamento normativo non chiaramente retroattivo, che ricolleghi nuovi effetti giuridici a circostanze prima diversamente regolate o irrilevanti, oppure ponga nel nulla le conseguenze già scaturenti da fatti prima rilevanti giuridicamente.
Come già precisato in precedenza un conflitto di diritto intertemporale non si presenta solamente per i contratti di durata ma è altresì presente nel caso di contratti istantanei ad esecuzione differita nel tempo.
98 Tale principio è sotteso all’art. 1360 comma secondo c.c. che sancisce l’irretroattività dell’avveramento della condizione risolutiva, all’art. 1458 c.c. laddove esclude l’effetto retroattivo della risoluzione per inadempimento e per impossibilità sopravvenuta visto il richiamo a tale articolo contenuto nell’art. 1467 c.c.. Si può quindi affermare che la disciplina dettata dal legislatore del 1942 in tema di contratti di durata è ispirata al principio di conservazione degli affetti contrattuali già prodottisi prima della sopravvenienza.
99 X. Xxxxxxxx, op.cit., p. 701.
Continuando ad applicare la tesi in esame, si può concludere che in questi casi la causa del contratto non si realizza contestualmente alla stipulazione del contratto ma l’apposizione di un termine iniziale di efficacia o di una condizione sospensiva fa sì che questa inizi a realizzarsi alla scadenza del termine o al verificarsi dell’evento dedotto in condizione, in modo tale per cui il sopraggiungere di una norma imperativa in questo lasso temporale precluda definitivamente la possibilità che il contratto produca in futuro i suoi effetti.
4.4 L’applicabilità della norma sopravvenuta dipende da un bilanciamento di interessi contrapposti
Le difficoltà applicative insite nella distinzione tra fatto generatore ed effetti da esso scaturenti ha portato gli interpreti a superarla abbandonando così la predetta la bipartizione.100
Il mutamento di prospettiva è già ravvisabile nella sentenza della Corte Costituzionale 204/1997 che ha sancito l’applicabilità pro futuro della innovazioni introdotte dalla l. 154/1992 diretta a modificare gli artt. 1938 e 1956 c.c., applicabilità che viceversa sarebbe stata esclusa alla luce della precedente teoria, in quanto volta ad introdurre due nuovi requisiti di validità dell’intero contratto o della singola clausola di fideiussione a pena di nullità dello stesso.101
Invero, nella sentenza in commento non è rinvenibile alcun riferimento al fatto generatore o ai suoi effetti, essendo l’applicazione della nuova normativa riconosciuta sulla base del principio di ragionevolezza costituzionale che origina dal principio di uguaglianza ex art. 3 Costituzione, ma da cui si è progressivamente distaccato acquisendo poi dignità autonoma.102
L’applicazione pro futuro della norma sopravvenuta ai rapporti pendenti è quindi subordinata all’esito di un bilanciamento di interessi contrapposti che vede, da un lato gli obiettivi perseguiti dal legislatore con l’innovazione normativa, e dall’altro il principio di affidamento dei singoli sulle conseguenze giuridiche dei propri atti.
100 Quindi potrebbe in tal modo superarsi il principio per cui le teorie di cui si discorre si applichino necessariamente ai contratti di durata. Infatti tale affermazione ha dato adito a vivaci dibatti in merito alla riconducibilità o meno a tale categoria di determinati contratti quali, ad esempio, il mutuo o la stessa fideiussione. Così originariamente il Tribunale di Roma, 4 giugno 1988, aveva escluso che fosse applicabile il principio sancito dalla Corte Cost. con sentenza 204/1997 al contratto di mutuo sul presupposto che questo richiedesse la nascita di obbligazioni in un momento successivo all’entrata in vigore della nuova normativa. Il giudice di merito ha osservato che il mutuo non è qualificabile in tali termini in quanto caratterizzato da un’unica obbligazione, comprensiva della corresponsione del capitale e degli interessi, sorta anteriormente al mutamento legislativo avvenuto con l. 108/1996. I dubbi hanno riguardato anche il contratto di fideiussione per cui si rinvia a X. Xxxxxxxx, op. cit., p.702 ss.
101 Così per X. Xxxxxxxxx, Fideiussione omnibus: la Cassazione applica retroattivamente il nuovo art. 1938 c.c., in Corr. Giur., 10, 2001, p.1285. Tale conclusione è imposta, sia dalla formulazione letterale della norma, sia dall’interpretazione che della stessa ha dato la Corte di Cass. con sentenza del 22 giugno 1993, n.6897, in Xxxx.xx, 1993, I, 271 secondo cui” non può dubitarsi che le modifiche arrecate dalla legge n.154/1992 al disposto originario degli artt. 1938 r 1956 c.c. incidano direttamente sulle stesse caratteristiche genetiche del contratto e cioè sulla disciplina generale della fideiussione, intesa quale fatto generatore di conseguenze obbligatorie protrattesi nel tempo”.
102 Sul punto si rinvia a quanto precedentemente detto nel par. 1.
La legge sopravvenuta è quindi immediatamente applicabile ove l’obiettivo perseguito sia volto alla realizzazione di un interesse considerato maggiormente meritevole di tutela rispetto al valore dell’autonomia privata ed alla certezza del diritto, purché tale sacrificio sia necessario e sempre che venga prescelto il mezzo più adeguato al perseguimento dell’interesse ed allo stesso tempo meno incisivo per il valori sacrificati.
In tal modo si demanda all’interprete un giudizio complesso, composto da diverse fasi, ciascuna delle quali è volta ad accertare un preciso requisito.
a) la prima fase è diretta all’indagine sulla natura della fattispecie contrattuale in esame, che deve essere destinata a produrre effetti nel tempo;
b) la seconda fase ha invece ad oggetto l’indagine sulla sussistenza di una norma di diritto transitorio, per verificare che il legislatore non abbia distinto fra effetti verificatisi prima e dopo il mutamento normativo;
c) la terza ed ultima fase è invece indirizzata alla norma sopravvenuta e prevede l’analisi della ratio ad essa sottesa per verificare se possa essere ricompresa nei principi di ordine pubblico.
Quanto al primo requisito la giurisprudenza è solita ammettere l’efficacia immediata della norma sopravvenuta nei contratti di durata che, per definizione, sono esposti al pericolo della sopravvenienza di fatti idonei ad interferire con la regolare esecuzione del rapporto negoziale.103
Tuttavia, anche in considerazione delle incertezze applicative sussistenti in ordine all’identificazione di tale tipologia contrattuale, bisognerebbe valutare l’opportunità di adottare, ai fini che qui interessano e quindi allo scopo di determinare l’influenza dello ius superveniens sui contratti in corso, una concezione ampia di tale categoria o addirittura di abbandonare l’idea che l’immediata applicazione riguardi esclusivamente solo tali rapporti e non tutti i rapporti ancora pendenti.104
103 Così ad esempio il Tribunale di Roma con sentenza del 4 giugno 1988, ha escluso l’applicabilità del principio di diritto sancito dalla Corte Costituzionale con sentenza 204/1997 in materia di fideiussione omnibus al contratto di mutuo, sul presupposto che questo presupponga la nascita di nuove obbligazioni dopo il mutamento normativo mentre nel contratto di mutuo l’obbligazione del mutuatario è unica ancorché la sua esecuzione venga ripartita nel tempo.
104 Il contributo dottrinale fondamentale in tema di rapporti di durata è risalente nel tempo ma è ancora oggi attuale; X. Xxxx, I contratti di durata, in Xxx. xxx. xxxx., 0000, X, xx.000 xx individua il carattere fondamentale dei contratti durata nell’esistenza di un adempimento della prestazione reiterato nel tempo in modo tale per cui il tempo colora la causa del contratto che corrisponde ad un interesse o bisogno durevole delle parti che viene soddisfatto dal contratto. Tuttavia la categoria in
In tal modo sarebbero ricompresi sia i contratti di durata c.d. in senso stretto, perché caratterizzati dall’esecuzione di una prestazione continuata o periodica, ma altresì tutti i contratti in cui il tempo acquista dignità autonoma, in quanto elemento idoneo a caratterizzare la causa del contratto.105
Così discorrendo si finirebbe per ricomprendere altresì i negozi istantanei ma ad effetti differiti atteso che, attraverso l’apposizione di un termine iniziale di efficacia, i contraenti hanno dimostrato che il soddisfacimento dei loro interessi è subordinato al decorso di un determinato lasso temporale.
Adottando questa impostazione perderebbe rilevanza la circostanza per cui si tratti di obbligazioni sorte dopo il mutamento normativo, oppure di mera esecuzione di prestazioni nate antecedentemente, venendo solamente in rilievo il fatto che l’esecuzione debba avvenire sotto il vigore di una nuova legge.
Di talché si potrebbe giungere alla conclusione per cui le prestazioni contrattuali ancora inadempiute debbano essere sempre regolate dalla legge vigente al momento della loro esecuzione, a prescindere dal momento perfezionativo della fonte da cui scaturiscono.
Del resto, anche parte della giurisprudenza, sembrerebbe aderire alla tesi appena esposta, laddove sorvola sulla possibilità di qualificare un determinato rapporto in
questione è da sempre oggetto di vivaci dibattiti in dottrina e non manca chi ha proposto di riconsiderare la categoria abbandonando il criterio identificativo strutturale a favore di uno funzionale basato esclusivamente sulla causa concreta del contratto; così per X. Xxxxxxxxxx, Rapporti di durata e divisibilità del regolamento contrattuale: spunti per una riconcettualizzazione, in Studium Iuris, 1/2016, pp.23 ss.
Le incertezze interpretative si sono manifestate soprattutto in merito all’esatta qualificazione del contratto di mutuo su cui non si è ancora giunti ad un punto fermo. Per parte della dottrina (X.Xxxxxxxx, Mutuo usurario e invalidità del contratto, Torino, 2001, p.149) il contratto di mutuo non può essere considerato come un contratto di durata perché l’obbligazione del mutuatario consistente nella restituzione del capitale e nel pagamento degli interessi è un’obbligazione unitaria che sorge contestualmente alla conclusione del contratto essendone solamente sottoposta a termine l’esecuzione. Differentemente per X.Xxxxxxx, Xxxxx sopravvenuta e tutela del debitore, in Riv. not., 2000, p.1449, l’obbligo del mutuatario di provvedere al pagamento degli interessi secondo il criterio della computazione giorno per giorno è un vero e proprio obbligo ad esecuzione continuata.
Per quanto riguarda la fideiussione omnibus come contratto di durata. Infatti X.Xxxxxxxx, Fideiussioni omnibus non “esaurite” e legge sulla trasparenza bancaria, in Banca borsa, 1996, p. 703, osserva come tale tipologia contrattuale, a differenza della fideiussione prestata per un singolo debito, abbia una propria causa caratterizzata dalla rilevanza del tempo per cui “la prestazione è determinata in funzione della durata stessa in quanto la sua quantificazione dipende dalla durata del rapporto”.
000 X. Xxxxxx, Xx tema di nullità sopravvenuta del negozio giuridico, in Riv. trim. dir. proc. civ.,p.763.
X. Xxxxxxxx, Il contratto in genere, Milano, 1972, p.182.
termini di durata per concludere che la nuova norma imperativa si applica genericamente ai rapporti destinati ancora a produrre effetti.106
Venendo all’analisi della seconda fase prima enunciata, è necessario che il legislatore non abbia proceduto a distinguere tra effetti contrattuali già verificatisi prima del mutamento normativo e quelli ancora in corso di produzione.
Questo elemento non necessita ora di particolare attenzione poiché, alla luce del discorso fino ad ora condotto, basta osservare che in caso contrario saremmo in presenza di una norma transitoria e che quindi l’interprete sarebbe sollevato dal gravoso compito di valutare l’incidenza della norma sopravvenuta sui rapporti pendenti, poiché la questione sarebbe risolta a priori dalla disposizione legislativa.
Maggior impegno esplicativo richiede invece l’ultimo requisito richiesto, ossia la necessità di individuare la ratio ispiratrice del mutamento legislativo e la possibilità di considerarla espressione dei principi di ordine pubblico.
La circostanza per cui l’ordine pubblico sia cosa diversa rispetto alle norme imperative emerge chiaramente dallo stesso codice civile che, all’art. 1343 c.c., li menziona separatamente come limiti distinti all’autonomia privata.107
Ciò che contraddistingue l’ordine pubblico rispetto alle norme imperative risiede nel carattere non scritto del primo, in quanto questo costituisce una clausola generale, idonea quindi ad adattarsi ai mutamenti socio- giuridici, ed è espressione “dei principi immanenti nell’ordinamento giuridico che non debbono necessariamente essere racchiusi in disposizioni normative”.108
Se quindi si volesse idealmente descrive il rapporto tra ordine pubblico e norme imperative si potrebbe ricorrere alla figura di due cerchi che si intersecano solo in parte, perché è possibile immaginare sia principi di ordine pubblico che non trovano puntuale espressione in norme codificate, sia norme imperative che non costituiscono
106 Il riferimento è a Cass. 22 aprile 2000 n.5286 e Cass. 2 febbraio 2000 n. 1126, in Corr. giur. 7/2000,p. 687 con nota di X. Xxxxxxx, La nuova normativa in tema di usura ed i rapporti negoziali in corso. Le sentenze in commento non hanno condiviso la tesi sostenuta dal Tribunale di Roma con sentenza del 4 giugno 1988 e hanno ritenuto applicabile la legge 108/96 ai contratti di mutuo precedentemente stipulati ed ancora produttivi di effetti.
107 Tuttavia X. Xxxxxxxxx, voce Ordine pubblico, in Dig. disc. priv., 1995, p.168 afferma l’esistenza di una “teoria normativa” dell’ordine pubblico, che incontra consensi ancora oggi, tendente a sovrapporre alla tripartizione codicistica dei limiti all’autonomia privata la bipartizione pandettistica incentrata sulla distinzione tra norme imperative e buon costume, con conseguente identificazione dell’ordine pubblico nelle disposizioni inderogabili.
108 Corte di Cass. 27 maggio 1971, n. 1971, in Xxxx.xx, 1971, I, 1883.
enunciazione di principi di ordine pubblico ed infine sia norme cogenti che di tali principi sono espressione.109
L’ordine pubblico è quindi costituito dai principi politici, sociali ed economici che sottesi ad un determinato ordinamento in un preciso momento storico e che vengono desunti per lo più da norme o da gruppi di norme che li presuppongono, senza però enunciarli espressamente.110
L’entrata in vigore della Carta Costituzionale nel 1948 ha segnato un momento di svolta nella ricostruzione dei principi costituenti l’ordine pubblico, poiché siamo in presenza di una legislazione per principi, espressione dei valori fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano e che, grazie al suo valore precettivo, gerarchicamente superiore alla legge ordinaria, costituisce il punto di riferimento per qualsiasi applicazione della clausola generale in questione.111
Risulta così chiaro che la norma inderogabile che sia anche espressione di un principio di ordine pubblico sia dotata di una particolare forza cogente, in quanto non è solo il frutto di una scelta politica del legislatore ma è altresì il riflesso di principi su cui l’intero ordinamento si fonda.
Se così è, allora si comprende come, nel bilanciamento di interessi necessario perché si possa applicare immediatamente la norma sopravvenuta ai rapporti ancora pendenti alla data di entrata in vigore, questa prevalga sul principio di autonomia privata.
Tale conclusione sembra del resto avvalorata anche dal rilievo che la Costituzione riconosce alla stessa autonomia privata.
109 Ad esempio nessuna norma imperativa vieta i contratti che impegnano a sposarsi o a non sposarsi ed allo stesso modo non esiste alcuna norma che vieta di assicurarsi contro il rischio di riportare condanne penali ma nessuno dubita che tali negozi violerebbero rispettivamente il principio di libertà delle scelte matrimoniali e quello di effettività della deterrenza penale che sarebbe compromesso se la condanna per una reato desse al condannato il diritto contrattuale di percepire l’indennità assicurativa; così le norme che prescrivono una particolare forma per la validità o per la prova non sembrano essere espressione di principi di ordine pubblico ma sono richieste generalmente per garantire maggior certezza in ordine al contenuto negoziale.
110 X. Xxxxx, op. cit., p.384. Sussiste infatti un’iterazione fra ordine pubblico e norme imperative. Per un verso, le norme imperative contribuiscono a fondare l’ordine pubblico, per un altro verso la moltiplicazione delle norme cogenti riduce lo spazio operativo dei principi di ordine pubblico.
111 X. Xxxxx, voce Ordine pubblico, in Enc. giur., 1990, p.4.
Tale principio non viene espressamente sancito dalla nostra Carta fondamentale ma, per l’opinione maggioritaria, è riconducibile agli artt.. 41 e 42 Cost. che riconoscono rispettivamente la libertà di iniziativa economica ed il diritto di proprietà.112 L’autonomia privata non è quindi annoverata tra i diritti fondamentali dell’individuo, ma è disciplinata nel diverso Titolo III, dedicato ai rapporti economici, ed ammette interferenze legislative per assicurare che questa sia esercitata in modo tale da perseguire finalità sociali.
Allora si comprende come parte della dottrina abbia ritenuto utile ricorrere al concetto di ordine pubblico intertemporale113, quale clausola generale idonea a ricomprendere tutti i valori in grado di prevalere sul principio di autonomia privata, e quindi a giustificare in linea di massima l’applicazione immediata ai rapporti pendenti della legge che ne è espressione, in quanto volta a garantire particolari utilità sociali.114
Così inteso, l’ordine pubblico ha una duplice funzione: da un lato è uno strumento idoneo ad operare sia in sede di perfezionamento dell’accordo contrattuale, determinandone la nullità qualora sia con esso contrastante, dall’altro rileva durante l’esecuzione, per negare ulteriore efficacia ad un regolamento negoziale che è divenuto socialmente dannoso.
112 X. Xxxxxxx, Manuale di diritto privato, Napoli, 2011, p. 775. X. Xxxxxxxxxx X. Xxxxxxx, Manuale di diritto civile, vol. III Il contratto, Milano, 2008, p.8. L’art. 41 della Costituzione è stato ritenuto il referente costituzionale dell’autonomia privata nonostante le problematiche connesse all’oggettiva difficoltà di accomunarne la nozione a quella della libera iniziativa economica. Infatti è innegabile che l’autonomia privata sia strumentale rispetto all’iniziativa economica privata, con la conseguenza che nei rapporti economici la tutela della prima è inscindibilmente connessa alla tutela della seconda e gli stessi limiti posti dal legislatore all’esercizio dell’una si ripercuotono inevitabilmente in limiti anche per l’esplicazione dell’altra.
Dal punto di vista giurisprudenziale si ricorda Corte Costituzionale 20 giugno 1994, n.268 per cui:”Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, l'autonomia contrattuale dei singoli é tutelata a livello di Costituzione solo indirettamente, in quanto strumento di esercizio di libertà costituzionalmente garantite”. Giova precisare che per un diverso e minoritario orientamento dottrinale l’autonomia negoziale, in quanto mezzo di esplicazione della personalità del singolo, troverebbe tutela nell’art. 2 Cost; secondo detto orientamento, l’autonomia privata si configurerebbe pertanto come un diritto fondamentale della persona, la quale esplica la sua personalità nei rapporti con gli altri proprio attraverso il compimento di atti e l’instaurazione di rapporti giuridici. Così per
C.M. Xxxxxx, Diritto Civile, Il contratto, vol. III, Milano, 2000, p.31.
113 X.Xxxxxxxxxx, op.cit., p.
114 Riprendendo quanto espresso nei primi paragrafi di questo capitolo si potrebbe ipotizzare una presunzione semplice di ragionevolezza della norma sopravvenuta che sia espressione di principi di ordine pubblico, salvo la dimostrazione che la lesione del principio di affidamento non è necessaria per il perseguimento di un determinato obiettivo o che sussistono altri mezzi meno lesivi rispetto a quello prescelto per il suo raggiungimento.
L’adozione di tale tesi permetterebbe di giustificare le soluzioni giurisprudenziali e dottrinali precedentemente analizzate, che hanno fino ad oggi riconosciuto l’applicabilità dello ius superveniens in ambito di fideiussione, usura, antitrust e tutela del consumatore.
E’ opinione comune che la legge 108/1996 volta a riformare il delitto di usura e la disciplina civilistica del mutuo non sia stata ispirata solamente dalla necessità di combattere in modo più efficace un fenomeno criminale molto diffuso e nemmeno da quella di mera protezione del contraente debole, quale è l’usurato115, ma ha assunto una portata più vasta, assurgendo a vero e proprio intervento di direzione economica, volto in particolare a regolare il mercato del credito e quindi idoneo a rientrare a pieno titolo nel c.d. ordine pubblico economico116.
Tuttavia l’opinione non è stata condivisa in modo unanime e, ad esempio, i giudici di merito hanno talvolta ritenuto che la novella legislativa avesse carattere spiccatamente penale e non fosse stata introdotta per calmierare il mercato non rientrando quindi nelle disposizioni “che per tale specifica funzione devono avere immediata applicazione ai contratti in xxxxx”.000
Proprio questo inciso potrebbe essere addotto a conferma della teoria sopra esposta, poiché si può ragionevolmente ipotizzare che il Tribunale, seppur non esplicitandolo, abbia ritenuto che la norma imperativa sopravvenuta, alla luce della ratio individuata
115 A. Xxxxxxx, I contratti usurari: tipologie e rimedi, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, x. 000 x xxxxxxxx xxxxx xxxx in esame afferma che l’usurato non può essere ricondotto facilmente ad una categoria socio- economica con connotati tipici; infatti i ruoli socio-economici che fino ad oggi hanno dato luogo a interventi di protezione del contraente debole, quali sono stati quelli a favore dei consumatori e dei subfornitori, si manifestano giuridicamente nel contratto ma esistono autonomamente anche dal punto di vista sociologico.
116 X. Xxxxxxx, op.cit., p. 358 indica altresì come dato rilevante la circostanza per cui il contraente è protetto anche da se stesso e anche quando non sia affatto debole rispetto alla controparte, atteso che non potrebbe assumere obbligazioni a condizioni che la legge giudica usurarie neppure se lo ritenesse opportuno, liberamente e senza costrizione per iniziative per lui altamente speculative. Concordano sulla ratio dirigistica volta a determinare un abbassamento del costo del denaro, necessario e funzionale allo sviluppo dell’economia anche X. Xxxxxxx, op.cit., p. 486, X. Xxxxxx, Usura e legislazione civile, in Corr. giur. 7/1999, p. 891, X. Xxxxx, Xxxxxxxxxx sopravvenuto ed usura nei contratti con prestazioni monetarie, in NGCC, 2003, II, 118. Per ordine pubblico economico si intendono comunemente i principi che presiedono alla produzione e alla circolazione della ricchezza; così per X. Xxxxx, xx.xxx., x.000.
000 Tribunale di Roma 10 luglio 1998. Anche la Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 22972/2017 resa a Sezione Unite, già ricordata, ha dimostrato di non condividere l’orientamento maggioritario laddove ha affermato che “..la ratio delle nuove disposizioni sull’usura consiste invece nell’efficace contrasto a tale fenomeno ... il meccanismo di definizione del tasso soglia è basato infatti sulla rilevazione periodica dei tassi medi praticati dagli operatori, sicché esso è configurato dalla legge come un effetto, non già una causa, dell’andamento del mercato.”
in via ermeneutica, non potesse essere ricondotta ai principi di ordine pubblico e quindi essere applicata immediatamente ai rapporti ancora pendenti.
Analogamente anche la giurisprudenza e la dottrina hanno ricondotto ai principi di ordine pubblico economico c.d. di protezione anche gli obiettivi perseguiti dal legislatore con l. 154/1992 che ha imposto la previsione di un importo massimo garantito per le obbligazioni future.118
La stessa conclusione vale anche rispettivamente per la legge 287/1990 in materia di disciplina antitrust e la legge 52/1996 sulle clausole vessatorie nei contratti tra professionisti e consumatori.
Infatti si tratta di provvedimenti legislativi adottati in recepimento di direttive comunitarie che hanno lo scopo principale di concorrere alla creazione di un mercato unico tra gli Stati membri e di garantire la libera circolazione dei capitali, delle merci e delle persone.
A proposito del diritto comunitario è utile ricordare che la giurisprudenza della Corte di Giustizia, soprattutto a partire dagli anni ’90, a seguito di un’opera di costruzione sistematica dei principi generali del diritto comunitario, desunti in via di interpretazione tanto dal Trattato di Roma quanto dai principi comuni agli ordinamenti giuridici degli Stati membri, è giunta a definire i contorni del principio generale di tutela dell’affidamento, diretto a preservare la Comunità da uno stato di incertezza e di imprevedibilità della posizioni giuridiche dei singoli.119
Nonostante l’importanza assunta dal principio di tutela dell’affidamento dei singoli, la stessa Corte di Giustizia ha manifestato con sufficiente chiarezza l’idea per cui l’immediata applicazione di norme ai rapporti pendenti sorti sotto la precedente
118 Corte Cass. 26 gennaio 2010, n. 1520 con nota di X. Xxxxx, Il limite dell’importo massimo garantito:principio di garanzia e di ordine pubblico economico, in Giur. comm., 38.4, 2010, p.528: “In tema di fideiussione, l’art. 1938 c.c., come modificato dalla legge 17 febbraio 1992 n. 154, nel prevedere la necessità della determinazione dell’importo massimo garantito per le obbligazioni future, pone un principio generale di garanzia di ordine pubblico economico, valevole anche per le garanzie personali atipiche”. Analogamente si veda anche X. Xxxxxxxxxx Xxxxxx, La fideiussione “omnibus” fra recente passato e prossimo futuro, in Giur. it., 1992, p. 1312. Per X. Xxxxx, op. cit., p.386, l’ordine pubblico di protezione implica il confronto fra le posizioni e gli interessi di categorie economiche-sociali contrapposte sul mercato e muove dal riconoscimento che una delle due categorie si trovi in una condizione di debolezza o comunque di inferiorità, cosicché i suoi interessi considerati meritevoli di tutela rischiano di di essere sacrificati per la forza prevalente della categoria contrapposta.
119 V. S. Xxxxxxxxxx, Recenti conferme della Corte di Giustizia circa la ricostruzione di un principio fondamentale di tutela dell’affidamento nell’ordinamento comunitario, in Riv. dir. pubb. com., 2002, p.1130; X. Xxxx, in X. Xxxxxxx (a cura di), Il diritto privato dell’Unione Europea, in Tratt. dir. priv., Bessone, Torino, 2000, pp. 73 ss.
disciplina, con efficacia limitata agli effetti ancora da prodursi, non è in linea di principio in contrasto con il diritto comunitario a condizione che tale soluzione sia imposta dallo scopo perseguito con la nuova normativa, purché sia rispettato debitamente il legittimo affidamento dei privati e sempre che, ove possibile, sia dato conto in motivazione delle ragioni che suggeriscono tale applicazione120.
Si può quindi concludere che tutto quanto sostenuto in precedenza è altresì conforme al diritto comunitario, tenuto altresì conto del c.d. primato del ordinamento giuridico europeo sui singoli ordinamenti nazionali che impone agli Stati aderenti di armonizzare la propria disciplina a quella europea, a pena di incorrere in procedure di infrazione.
Pertanto dal quadro delineato, tanto a livello europeo che nazionale, risulta che la manifestazione dell’autonomia privata che si realizza attraverso il contratto può essere intrinsecamente debole perché permeabile alle norme sopravvenute quando le stesse siano espressione di valori di rilievo primario, quali sono quelli appartenenti all’ordine pubblico che intervengono laddove l’autonomia privata non opera.121
120 Corte giust., 9 gennaio 1990, c. 337/88, Società agricola fattoria alimentare, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 1991, pp.462 ss; Corte giust., 10 luglio 1986, c. 270/84, Xxxxxxx Xxxxxx, in Racc., 1984, pp. 2305 ss; Xxxxx xxxxx., 00 marzo 1979, c. 134/78, X. Xxxxxxxx, “prelievi exim”, in Racc., 1979, pp.1014 ss.
121 X. Xxxxxx, Retroattività e contratto. Disciplina negoziale e successione di norme nel tempo, Napoli, 2007, p.170.
CAPITOLO II
L’INCIDENZA DELLA NORMA SOPRAVVENUTA SUL CONTRATTO: I RIMEDI INVALIDATORI
1. L’incidenza della norma sopravvenuta sul contratto: norme di validità e norme di comportamento
2. La nullità sopravvenuta
2.1. Definizione, presupposti applicativi e disciplina
2.2. Segue: le critiche
2.3. Segue: la giurisprudenza
3. L’inefficacia sopravvenuta
4. Nullità o inefficacia sopravvenuta?
1. L’incidenza della norma sopravvenuta sul contratto: norme di validità e norme di comportamento
Una volta riconosciuta l’applicabilità della norma sopravvenuta ai rapporti ancora pendenti al momento della sua entrata in vigore e dopo aver ritenuto tale applicazione pienamente conforme al dettato di cui all’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, è necessario verificare le conseguenze a cui si espone il contratto che risulti con essa confliggente.
Una tale indagine non può prescindere dall’analisi del contenuto della disposizione inderogabile sopraggiunta al perfezionamento dell’accordo e dai rimedi eventualmente previsti dal legislatore per il caso di una sua violazione.
Tuttavia la dottrina non ha mancato di osservare che la volontà di elaborare una classificazione generale delle disposizioni cogenti sulla base del loro contenuto rischi di non trovare compiuta realizzazione, non potendo che arrestarsi ad un’analisi delle risultanze delle singole esperienze che si sono succedute nel tempo.122
Infatti, risulta arduo compiere una tipizzazione delle norme imperative, poiché possono avere il contenuto più ampio: possono vietare o imporre un certo comportamento, rendere illecito il perseguimento di determinati interessi da parte dei privati, ritenere impossibile l’oggetto del contratto oppure ancora vietare l’esecuzione o l’assunzione di determinate obbligazioni, o sottoporle ad autorizzazione amministrativa.123
122 G. M. Xxxxxxx, Norme imperative sopravvenute e validità dei contratti, in Giur. it., 1987, p. 53.
123 X.Xxxxx, Contratto e Violazione di norme imperative, Milano, 1993, nota 23 e 24. L’Autore ritiene corretta la bipartizione diffusa nella letteratura giuridica secondo la quale le norme imperative possono consistere tanto in norme di divieto, quanto di comando dal momento in cui, mentre la norma precettiva è sempre trasponibile in termini di proibizione, la norma proibitiva non è sempre riformulabile come precetto. Infatti, “mentre il comando impone una certa azione e vieta tutti i comportamenti che si pongono in contrasto con essa, il divieto reprime una certa azione ma non impone comportamenti diversi; ne è logica conseguenza che, mentre la norma precettiva è sempre trasponibile in termini di proibizione, la norma proibitiva non è trasponibile un termini di precetto”. Un’altra distinzione largamente diffusa in dottrina (si rinvia a X. Xxxxx, Il contratto, in Trattato di dir. Priv., a cura di X. Xxxxxx e X. Xxxxx, Milano, 2011, p. 472) adotta il criterio della funzione espletata dalla norma imperativa. Infatti, le norme imperative possono avere funzione meramente proibitiva qualora vietino tout court che il contratto presenti determinate caratteristiche (si pensi, ad esempio, all’art. 1471 c.c. che proibisce a determinati soggetti di acquistare alcuni beni) oppure può avere uno scopo conformativo, qualora miri non ad eliminare il contratto nel suo insieme ma solamente a modificarne il contenuto. A sua volta, quest’ultimo obiettivo può essere perseguito sia in modo
Nonostante le difficoltà appena evidenziate, la dottrina è solita distinguere la norma cogente che impone l’osservanza di un determinato comportamento da quella che interviene sul contenuto del regolamento negoziale.124
Nella prima categoria vengono ricomprese le c.d. norme di comportamento che sono, come facilmente intuibile dalla denominazione, volte ad imporre l’osservanza di una determinata condotta nella fase di formazione dell’accordo contrattuale125 oppure nella fase di esecuzione di un contratto già perfetto.126
Diversamente, nella seconda categoria possono essere ricomprese tutte le ipotesi in cui il legislatore decida di intervenire limitando l’autonomia negoziale attraverso l’imposizione di requisiti di validità dell’intero contratto o della singola clausola in essa contenuta,127 oppure con l’integrazione del regolamento negoziale precedentemente concordato, attribuendo alle parti facoltà e/o diritti da loro non espressamente previsti. 128
Tale distinzione non riveste importanza solo sul piano dogmatico ma si riflette sui rimedi applicabili in caso di violazione della norma imperativa, qualora il legislatore non abbia espressamente previsto alcun rimedio.
Rientra nella discrezionalità di cui gode il potere legislativo statuire le conseguenze a cui si espongono le parti che, consapevolmente o meno, violano un precetto inderogabile, purché il rimedio prescelto sia ragionevole.129
indiretto, qualora la norma preveda semplicemente l’eliminazione della clausola con essa contrastante, oppure in via diretta, ove la disposizione preveda la modifica della clausola nei suoi contenuti attraverso il meccanismo della sostituzione automatica previsto dall’1339 c.c.
124 X. X’Xxxxx, Regole di validità e regole di comportamento nella formazione del contratto, in Riv. dir. civ., 2002, I, p.52 nota 8.
125 Si pensi, a titolo esemplificativo, agli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario finanziario nei confronti dell’investitore in prodotti finanziari prescritti dall’art. 21 d.lgsl. 58 del 1998 (T.u.f.), o ancora a quelli a carico del professionista intenzionato a concludere con il consumatore un contratto a distanza oppure un contratto concluso fuori dai locali commerciali, previsti dall’art. 49 del
d. lgsl. 206/2005 (Codice del consumo); sono entrambi espressione puntuale, come si avrà modo di precisare nel proseguo, dell’obbligo posto a carico delle parti di comportarsi secondo buona fede durante la fase delle trattative e di formazione del contratto, sancito in via generale dall’art. 1337 c.c. 126 Di cui è espressione generale l’art. 1375 c.c. secondo il quale le parti nell’esecuzione del contratto devono comportarsi secondo buona fede.
127 Si ricorda, ad esempio, l’art. 782 c.c. che prescrive la forma solenne dell’atto pubblico per il contratto di donazione ovvero l’art. 1815 c.c. che prevede la nullità della clausola del contratto di mutuo contenente la pattuizione di interessi usurari.
128 Ad esempio riconoscendo in maniera inderogabile al consumatore il diritto di recesso dai contratti da questo stipulati con con il professionista (artt. 52 ss Codice del Consumo) oppure attribuendo all’istituto di credito il potere di modificare unilateralmente il contenuto negoziale in presenza di determinati presupposti (art. 118 T.u.b).
129 Per X. Xxxxxx, “Il diritto intertemporale. La ragionevolleza dei criteri per la risoluzione dei conflitti tra norme diacroniche”, Napoli, 2007, p. 171 il legislatore non è rigidamente vincolato a
Tuttavia, qualora nulla sia stato specificato, la distinzione sopra prospettata acquista una rilevanza cruciale in ordine alla determinazione delle conseguenze della violazione.
Infatti, per consolidata giurisprudenza di legittimità, la violazione delle norme di comportamento non derogabili non può mai tradursi nell’applicazione di rimedi invalidatori del contratto, ma può essere esclusivamente fonte di responsabilità, precontrattuale o contrattuale a seconda che la disposizione trovi applicazione nella fase antecedente o successiva alla stipulazione, salvo in quest’ultimo caso la possibilità per la parte che subisce l’altrui inadempimento di esperire altresì l’azione di risoluzione ex art. 1453 c.c. o di esatto adempimento.130
scegliere il rimedio in base alla natura del vizio del contratto. Infatti alla luce del principio di ragionevolezza per ciascun vizio è legittimo il ricorso a qualunque rimedio purché diretto a conseguire utilità sociali meritevoli di tutela, venendo così ad affermarsi un principio di variabilità e libertà dei rimedi contrattuali. Così si ricorda, a titolo esemplificativo, il mutamento normativo determinato con l’entrata in vigore del d.lgsl. 11 febbraio 1998, n.32, dove si prendono in considerazione i contratti per l’affidamento in gestione dei distributori di GPL. L’art. 10 stabilisce la nullità dei nuovi contratti quando manchino nel regolamento di alcuni elementi prestabiliti dal legislatore; i contratti in corso di esecuzione alla data del mutamento normativo sono contemplati dal secondo comma del medesimo articolo che ne sancisce la risoluzione, in luogo della nullità, quando manchi un atto diretto a rendere pienamente conformi i precedenti accordi alla nuova normativa. Il tema è stato affrontato anche dalla giurisprudenza ed in particolare da Xxxxx Xxxx., 00 ottobre, n.16356, con nota di I. Castiglioni, Sopravvenienza di norme imperative e validità dei contratti, in Contratti, 2003, p. 486 ss.
130 La distinzione viene chiaramente analizzata in Cass. S.U. del 19.12.2007 n. 26724 e in Cass. S.U. del 19.12.2007 n.26725. In tali occasioni le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi sulle conseguenze della violazione degli obblighi informativi posti a carico degli intermediari finanziari dall’art. 6 l. 1/1991, oggi sostituti da quanto previsto ex art. 21 d. lgsl. 58/1998. Nella motivazione è stato affermato a chiare lettere che il carattere imperativo della norma non è di per sé sufficiente per ritenere nullo il contratto concluso in violazione della disposizione. Sono stati altresì richiamati alcuni precedenti giurisprudenziali in materia ed in particolare la sentenza resa a Sezioni semplici n. 19024 del 29.9.2005 in cui già fu affermato il principio per cui la nullità per contrarietà a norme imperative presuppone violazioni attinenti agli elementi intrinseci della fattispecie negoziale, relativi al contenuto o alla struttura del contratto e conseguentemente fu escluso che l’illegittimità della condotta tenuta nel corso delle trattative prenegoziali, ovvero nella fase dell’esecuzione, potesse essere causa di nullità, indipendentemente dalla natura delle norme con le quali tale condotta contrasti, a meno che tale sanzione sia espressamente prevista dal legislatore. La giurisprudenza successiva si è attenuta a tale principio salvo affermare che, in realtà, l’area delle disposizioni inderogabili che dà luogo ad invalidità del negozio è più ampia di quella inerente al suo oggetto ed alla struttura; in particolare è stato riconosciuto il rimedio invalidatorio anche in caso di violazione di norme inderogabili attinenti ad elementi estranei al contratto, quali ad esempio la mancanza dell’autorizzazione a contrarre (Cass. 19 settembre 2006, n. 20261; Cass. 10 maggio 2005, n. 9767; Cass. 16 luglio 2003, n. 11131) o di mancanza di necessari requisiti soggettivi di uno dei contraenti (cfr., tra le altre, Cass. 3 agosto 0000, x 00000; Cass. 18 luglio 2003, n. 11247; Cass. 5 aprile 2001, n. 5052; Cass. 15 marzo 2001, n, 3753; e Cass. 7 marzo 2001, n. 3272) oppure in caso di contratti le cui clausole siano tali da sottrarre una delle parti agli obblighi di controllo su di essa gravanti (cfr.Cass. 8 luglio 1983, n. 4605), ed inoltre in caso di circonvenzione d'incapace (cfr. Cass. 23 maggio 2006 n, 12126; Cass. 27 gennaio 2004, n. 1427; e Cass. 29 ottobre 1994, n. 8948). Neppure in tali casi, tuttavia, si tratta di norme di comportamento afferenti alla concreta modalità delle trattative prenegoziali o al modo in cui è stata data di volta in volta attuazione agli obblighi contrattuali gravanti su una delle parti, bensì del fatto che il contratto è stato stipulato in situazioni che lo avrebbero dovuto impedire.
Diversamente la violazione di norme di validità legittima il ricorso ai rimedi caducatori dell’atto negoziale, secondo quanto disposto dall’art. 1418 c.c. comma primo ed in particolare può dar luogo alla c.d. nullità virtuale del contratto, che viene integrata dalla violazione di una norma imperativa che non preveda espressamente il ricorso al rimedio invalidatorio.
Del resto, così come prima già ricordato, nulla vieta al legislatore di isolare specifiche fattispecie comportamentali, elevando la relativa proibizione al rango di norma di validità dell’atto, ma tale circostanza fa ricadere la fattispecie nel terzo e non nel primo comma dell’art. 1418 c.c.
La previsione di rimedi caducatori e risarcitori può essere meglio compresa analizzando la ratio sottesa al principio in questione, poiché si tratta di regole aventi funzioni alquanto diverse.
Le regole di validità attengono alla struttura del contratto e sanciscono i requisiti necessari perché questo possa ritenersi vincolante per le parti, mentre le regole di comportamento sono dirette ad assicurare la correttezza e la “moralità” delle contrattazioni.131
Da tale diversità consegue un diverso ambito di applicazione: le prime intervengono in un settore riservato alla valutazione esclusiva del legislatore, mentre le seconde costituiscono la concretizzazione di una clausola generale e, in quanto tale, non hanno un contenuto determinabile a priori, essendo invece connesse alla valutazione da pare dell’interprete delle circostanze del singolo caso concreto.
Invero, tutte le regole di comportamento sono accomunate dall’essere applicazione del principio generale di buona fede, direttamente riconducibile nell’alveo del principio di solidarietà di cui all’articolo 2 della Costituzione.132
La buona fede viene qui intesa in senso oggettivo, ossia quale norma di comportamento, che costituisce un criterio di integrazione del contratto, in quanto fonte di obbligazioni ulteriori rispetto a quelle espressamente previste dai contraenti. In particolare prescrive alla parte di tenere tutte le condotte che permettono di soddisfare l’interesse di controparte, con un minimo sacrificio a carico dell’obbligato.133
131 G. D’Amico, op.cit., p. 43.
132Anche le già ricordate pronunce della Corte di Cassazione rese a Sezioni Unite nel 2007 riconducono le norme di comportamento al principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost.
La validità di tale distinzione è del resto confermata dallo stesso diritto positivo che prevede espressamente alcuni casi, di grande rilevanza pratica, in cui alla violazione di regole non afferenti alla sfera di validità del negozio fa seguito il solo diritto della parte danneggiata alla tutela risarcitoria134.
Ciò premesso non si rinvengono motivazioni valide per non attenersi a tale distinzione anche nel caso di norma sopravvenuta alla conclusione del contratto non munita di efficacia retroattiva.
Nello stabilire le conseguenze della sopravvenienza si dovrà quindi procedere applicando le coordinate ermeneutiche appena delineate: in via preliminare sarà necessario procedere alla corretta qualificazione della norma di nuova adozione, per poi escludere successivamente il ricorso ai rimedi caducatori nel caso ci si trovi in presenza di una regola di comportamento.
Diversamente, nel caso in cui si ritenga che la sopravvenienza costituisca una norma di validità, il ricorso ai rimedi invalidatori del contratto è ancora oggetto di dibattito giurisprudenziale e dottrinale.
Tale situazione di incertezza è stata altresì alimentata alla luce dell’assenza di indicazioni da parte della giurisprudenza costituzionale che, nel sancire l’applicabilità della norma sopravvenuta ai rapporti ancora in corso, ha affermato genericamente che “l’innovazione legislativa esclude che si producano ulteriori effetti”135, senza prendere espressa posizione sul rimedio invocabile dalle parti o eventualmente rilevabile d’ufficio dal giudice.
133 X. Xxxxx, op.cit., p. 468 per il quale la buona fede obbliga “la parte alla coerenza dei propri comportamenti per non deludere gli affidamenti che questi hanno generato in controparte: essa fonda l’antico precetto che vieta di venire contra factum proprium”.
134 In particolare il riferimento è all’art. 1338 c.c., che prescrive alla parte a conoscenza di una causa di invalidità del contratto di darne notizia all’altra parte, agli articoli 1427 c.c. e seguenti, che disciplinano i vizi del consenso, ed infine al rimedio della rescissione nel caso di approfittamento dell’altrui stato di bisogno o necessità ex art. 1447 ss c.c.
Più precisamente, nel caso di vizio del consenso e di approfittamento dell’altrui stato di bisogno o necessità, alla tutela risarcitoria si accompagna anche un rimedio invalidatorio, l’annullamento e la rescissione, ma si tratta di strumenti diversi rispetto alla nullità.
In primo luogo sono rimedi meno incisivi in quanto permettono al contratto di produrre provvisoriamente i suoi effetti fino al momento in cui la parte non lo farà valere e, essendo azioni soggette ad un termine di prescrizione breve, tali effetti saranno destinati a consolidarsi in caso di mancata proposizione della domanda.
In secondo luogo la legittimazione a farli valere è sempre circoscritta alla parte lesa e, a differenza della nullità, non è mai estesa ai terzi interessati.
135 Corte Costituzionale del 27 giugno 1997 n. 204 già analizzata nel precedente cap. I a cui si rinvia.
2. La nullità sopravvenuta: definizione, presupposti applicativi e disciplina
Per parte della dottrina la sopravvenienza di una norma imperativa che prescriva un nuovo requisito di validità del contratto (o della singola clausola in esso contenuta) conduce all’accertamento della relativa invalidità.
A tal proposito si è proposto di ricorrere al rimedio della nullità sopravvenuta.136
Con tale espressione si designa sinteticamente l’evento per cui “il giudizio di validità stabilito al momento della conclusione dell’accordo si trasforma in un giudizio d’invalidità prima dell’esaurimento della sua attuazione”,137 ossia prima che decorra il tempo programmato per la definitiva realizzazione di tutte le situazioni giuridiche ivi convenute.
Il medesimo concetto viene altresì spesso denominato con espressioni quali “nullità successiva” o “invalidazione”, ma è stato osservato che in realtà si tratta di mere differenze terminologiche, poiché in tutte le ipotesi si allude al fenomeno per cui un contratto originariamente valido diviene invalido per effetto di una sopravvenienza normativa.138
Così definita, la nullità sopravvenuta sottende una particolare disciplina dei contratti di durata o comunque di quei negozi che sono destinati a produrre i propri effetti in
136 Aderiscono alla tesi in esame: X. Xxxxxx, In tema di nullità sopravvenuta, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1967, pp. 755 ss.; X. Xxxxxxxx, Il contratto in generale, in Tratt. di dir. civ. e comm., diretto da Xxxx e Messineo, 2, Milano, 1972, p.182; X.Xxxxx, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. dir. civ., diretto da Xxxxxxxx, XV, Torino, pp. 307 ss. e 488 ss.; X. Xxxxxx, Teoria del negozio, Padova, 1947,
p. 63, X.Xxxxx, voce Invalidità e inefficacia del negozio giuridico, in Noviss. Dig. it., VIII, Torino, 1962, pp. 995 ss;; Xxxxxx, L’invalidità del negozio giuridico di diritto privato, Torino, 1943, p.118 ss;
X. Xxxxxxx, Il contratto, Milano, 1987, pp. 623 ss; Xxxxxxx, Sull’invalidità successiva dei negozi giuridici, in Arch. giur., 101, VII, p. 201; X. Xxxxxxx, Le invalidità, in Tratt. dei contratti dir. Xxxxxxxx, I contratti in generale, a cura di Xxxxxxxxx, Tomo II, Torino, 1999, p. 1287; X. Xxxxxx, Il “diritto intertemporale”; La ragionevolezza dei criteri per la risoluzione dei conflitti tra norme diacroniche, Napoli, 2007, p. 157.
137 X. Xxxxxx, Il “diritto intertemporale”. La ragionevolezza dei criteri per la risoluzione dei conflitti tra norme diacroniche, Napoli, 2007, p.157.
138 X. Xxxxxx, op.cit., p. 756. E’ stato precisato che con l’espressione “invalidità sopravvenuta” si allude esclusivamente alla categoria della nullità e non a quella dell’annullabilità, poiché nessuna delle ipotesi da cui origina l’annullabilità del contratto sembra idonea a verificarsi in un momento successivo alla conclusione del negozio stesso, dal momento che si tratta di fattispecie che attengono al momento formativo del negozio e quindi alla sua fase iniziale. Pertanto, un’annullabilità sopravvenuta sarebbe ammissibile nel solo caso in cui la novella legislatva avesse efficacia retroattiva.
un momento successivo alla loro stipulazione e che sono interessati da un mutamento normativo.139
Il requisito fondamentale perché questa possa trovare applicazione risiede nel mancato completamento del ciclo di formazione del negozio, atteso che l’elemento distintivo rispetto alla nullità originaria è costituito dalla non contemporaneità tra la nascita del negozio e la verificazione della causa di nullità, non essendo considerata come una trasformazione di una precedente forma di patologia insita nel negozio.140 Infatti l’aggettivo “sopravvenuta” sottolinea l’esistenza di due fasi distinte che si susseguono nel tempo: in un primo momento, coincidente con la conclusione dell’accordo, il contratto è considerato valido secondo il regime allora vigente, ma successivamente, all’atto della sottoposizione a giudizio o comunque prima che il negozio cessi di produrre i suoi effetti,141 si profila un regime di invalidità dettato dalla norma nel frattempo intervenuta.
La dottrina è solita individuare due ipotesi idonee ad originare una nullità sopravvenuta del contratto; la prima è rappresentata dal mutamento del quadro normativo deputato a regolare il negozio, costituito dall’adozione di una norma inderogabile in contrasto con quanto precedentemente pattuito dai contraenti.
In secondo luogo l’ambito di applicazione dell’invalidità successiva è esteso anche all’ipotesi in cui oggetto del mutamento siano i presupposti di fatto sottesi al
139 Si ritiene infatti che la condizione essenziale perché si possa parlare di nullità sopravvenuta sia proprio il mancato esaurimento del negozio, dal momento che, in caso contrario, sarebbe più appropriato parlare di caducazione o rimozione degli effetti già prodottisi. Così per X. Xxxxxx, op.cit., p. 765.
In realtà per parte della dottrina la figura della nullità sopravvenuta è ammissibile esclusivamente nei negozi ad effetti istantanei ma differiti nel tempo. Infatti è stato osservato che tale ambito di applicazione è il solo possibile per rendere la figura in esame compatibile con il concetto di nullità del contratto tradizionalmente accolto e che sia altresì necessario per non confondere i piani della validità e dell’efficacia. A sostegno della legittimità della figura, la dottrina ha individuato nel codice civile delle ipotesi tipizzate di invalidità successiva: si tratta della nullità del testamento a seguito di condanna all’ergastolo del testatore (art. 32 c.2 c.p. modificato dall’art. 119 l.698/1981) e la revocazione del testamento per sopravvenienza dei figli (art. 687 c.c.). Conseguentemente, per la corrente dottrinale in esame, nei contratti di durata, qualora le prestazioni siano in parte già state eseguite, non si potrebbe mai parlare di invalidità sopravvenuta perché l’atto ha già prodotto almeno in parte i suoi effetti. Così per X. Xxxxxxxxxx, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1987, pp. 250- 251, per X. Xxxxx, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1950, p.477 ed infine per Xxxxxxxxx, Sulla cosidetta invalidità successiva degli atti amministrativi, in Jus, 1942, pp.123 ss.
140 X. Xxxxxx, op. cit., p. 756.
141 V. supra cap. I nota n.4. Si ricorda infatti che parte della dottrina abbraccia una nozione più ampia di diritto intertemporale in modo tale da ricomprendere, non solo i rapporti ancora pendenti, ma anche le fattispecie perfezionatesi ed esauritesi sotto il vigore di una norma ma sottoposte a giudizio dopo il mutamento normativo.
contratto, ed in particolare nel caso in cui ricorra un elemento prima mancante, che se presente al momento della conclusione avrebbe portato ad un giudizio di riprovazione del negozio, secondo la legge al tempo vigente ed ancora in vigore.142
Il regime giuridico della nullità sopravvenuta viene identificato in quello proprio della nullità originaria, atteso che le due categorie possono essere considerate in rapporto di genere a specie.143
Pertanto se ne deduce che tale forma di invalidità negoziale può essere fatta valere dalle parti, da chiunque vi abbia interesse ed altresì può essere rilevata d’ufficio dal giudice (art. 1421 c.c.)144; inoltre l’azione diretta al suo accertamento non soggiace a termini di prescrizione o decadenza, salvi gli effetti della prescrizione dell’azione restitutoria e dell’usucapione (art.1422 c.c.).
Ancora, il negozio che ne è affetto non è suscettibile di convalida, salvo diversa disposizione di legge, ma può essere solamente convertito in un diverso contratto, qualora ne sussistano i requisiti di forma e di sostanza e questo sia parimenti idoneo a soddisfare gli interessi delle parti (artt. 1423 e 1424 c.c.).
142 X. Xxxxxx, op.cit., p.158; X. Xxxxxx, op.cit., p. 769. Viene così delineata una categoria articolata. In particolare Xxxxxx la configura ogni qual volta vi sia “un contrasto tra l’atto di autoregolamento degli interessi privati e le norme giuridiche ordinative”. Il caso in cui si la sopravvenienza riguardi il contesto fattuale e non normativo è stato ricavato a contrario dalla fattispecie su cui si è pronunciata la Corte di Cassazione con sentenza del 14 dicembre 2002, n. 17952, in Giur. it., 2003, II, p. 2035 con nota di X. Xxxxxxxx, In tema di nullità e validità sopravvenuta. La normativa in questione è la c.d. legge sull’equo canone (l. n. 392 del 23 luglio 1978) che, con l’obiettivo di tutelare i conduttori degli immobili adibiti ad uso abitativo situati nei comuni con una popolazione superiore ai 5.000 abitanti, all’art. 26 aveva previsto la predeterminazione del canone massimo pattuibile, prevedendo la nullità della pattuizione in misura superiore ed applicazione del massimo legale. Con la predetta sentenza la Corte di Cassazione ha affermato il principio per cui la sostituzione di una clausola nulla opera con esclusivo riferimento al momento genetico del contratto, ritenendo pertanto che la successiva diminuzione della popolazione nel Comune di appartenenza dell’immobile non rilevi ai fini dell’applicazione della normativa in questione, escludendo in tal modo la validità sopravvenuta di una clausola originariamente nulla. Quindi, ragionando per l’ipotesi inversa, secondo la corrente dottrinale che ritiene ammissibile la figura della nullità sopravvenuta, qualora nel corso del rapporto il numero degli abitanti cresca fino a superare il numero di 5.000 unità abitanti la clausola inerente alla determinazione del canone sarebbe affetta da nullità successiva poiché superiore ai limiti legali inderogabilmente fissati dalla legge. Tuttavia, nella fattispecie in esame, la Suprema Corte ha dimostrato di non condividere la tesi di coloro che sostengono la rilevanza dei mutamenti fattuali sulla validità del contratto e dal ragionamento compiuto dai Giudici sembra altresì possibile escludere anche il caso inverso ossia la sopravvenuta nullità di un contratto originariamente valido.
143 X. Xxxxxx, op.cit., p. 769; X. Xxxxxx Elmi, Contratto e norme imperative sopravvenute: nullità o inefficacia successiva e sostituzione di clausole, in Obb. e contr., I, 2006, p.37. Infatti l’elemento specializzante è rappresentato dal carattere posteriore alla conclusione del contratto con cui la nullità si manifesta.
144 Naturalmente anche nel caso di rilievo ufficioso della nullità sopravvenuta varanno le coordinate ermeneutiche delineate dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con le note sentenze del 12.12.2014 n. 26242 e 26243, in Xxxx.xx, 2015, ViI, pp. 1387 s.s., con nota di X. Xxxx, Rilievo d’ufficio della questione di nullità e oggetto del processo nelle impugnative negoziali.
Il carattere distintivo risiede, oltre che nel suo manifestarsi successivamente al perfezionamento dell’atto, nella sua efficacia ex nunc, in quanto preclude la realizzazione di quelle sole attribuzioni patrimoniali programmate per il momento successivo al cambiamento di valutazione, non essendovi contemporaneità tra la nascita del negozio e la verificazione della causa di nullità.145
Pertanto, il contratto affetto da nullità sopravvenuta non sarebbe totalmente improduttivo di effetti, come nel caso di nullità originaria, ma la cessazione dell’efficacia sarebbe da ricondurre alla data di entrata in vigore della nuova disposizione, con conservazione di tutti gli spostamenti patrimoniali già verificatisi che, conseguentemente, non verrebbero travolti dal giudizio di invalidazione.146 L’operatività ex nunc viene giustificata alla luce della considerazione per cui fino al verificarsi della sopravvenienza il contratto è valido e degno di tutela per l’ordinamento giuridico, valutazione che non permette di travolgere gli effetti da questo prodotti in tale periodo di tempo, attribuendole così efficacia retroattiva.147 L’efficacia ex nunc trova la propria giustificazione non solo dal solo punto di vista funzionale ma altresì da quello sistematico, poiché si rivela del tutto conforme alla normativa prevista dal codice civile per i contratti di durata ed, in particolare, con quella che prevede l’esclusione dell’efficacia retroattiva in caso di eventi sopravvenuti che incidono sugli effetti del contratto, come nel caso di avveramento
145 X. Xxxxxx, op.cit., p.157; X. Xxxxxx, op.cit., p.795. L’efficacia ex nunc non viene desunta da un bilanciamento di interessi tra le finalità perseguite dal legislatore ed il sacrificio dell’affidamento individuale, ma piuttosto da un’applicazione analogica degli artt. 1360, 1458 e 1467 c.c. nella parte in cui disciplinano i contratti di durata. Ovviamente l’inefficacia ex nunc conserva un preciso rilievo solo in relazione a questi contratti poiché per i contratti istantanei ma ad effetti differiti non è nemmeno necessario valutare un’eventuale retroattività, non essendosi ancora prodotti effetti finali. In ogni caso non pare corretto giustificare un’eventuale efficacia retroattiva della nullità sopravvenuta richiamando la disciplina di quella originaria poiché in tal caso, essendo l’invalidità contemporanea al perfezionamento del negozio, impedisce che lo stesso produca effetti fin dall’inizio. Pertanto in tale ambito non deve essere operato alcun bilancamento di interessi, a differenza del momento logicamente antecedente, ossia quello in cui è necessario determinare se sia applicabile o meno la norma sopravvenuta. L’efficacia ex nunc fu già affermata da Xxxxx Xxxxxx, Osservazioni sull’invalidità successiva degli atti amministrativi, in Raccolta di scritti di diritto pubblico in onore di
X. Xxxxxxxxx, Milano, 1938, pp. 431 ss.
146Pertanto qualora la nullità venga fatta valere, le restituzioni avranno ad oggetto le solo prestazioni eseguite dalla sopravvenienza normativa fino alla sentenza che accerta la nullità, mentre non saranno coinvolte quelle adempiute antecedentemente al mutamento.
147 X. Xxxxxx, op. cit., p.797; le peculiari ragioni che conducono alla nullità sopravvenuta del contratto non consentono di estendere in via analogica gli effetti retroattivi che seguono all’annullamento. Infatti tale efficacia viene giustificata dalla circostanza per cui la causa che dà luogo all’annullamento del negozio è stata posta in essere in un momento antecedente al suo perfezionamento. Pertanto un contratto annullabile nasce già viziato a differenza di quello affetto da nullità sopravvenuta.
della condizione risolutiva (art. 1360 comma secondo c.c.), dell’esercizio del diritto di recesso (art.1373 comma secondo c.c.) ed infine di risoluzione (artt. 1458 e 1467 c.c.).148
Inoltre, la limitazione dell’incidenza della nullità ai soli effetti contrattuali ancora in fieri permette di ritenere la figura in esame coerente con il principio di irretroattività della legge, atteso che questa opera solo per il futuro, lasciando impregiudicate tutte le prestazioni precedentemente eseguite, con esclusione di qualsiasi effetto retroattivo.
Tuttavia, non è mancato chi ha osservato come tale compatibilità sussista solo formalmente perché, dal punto di vista sostanziale, è comunque in grado di ledere l’affidamento dei contraenti, che non potranno più contare sulla produzione degli effetti negoziali per il soddisfacimento dei propri interessi.149
A sostegno del ragionamento fino ad ora compiuto, è stato osservato che il ricorso alla nullità sopravvenuta è coerente con la funzione propria dell’istituto, ossia quella di tutelare interessi generali che possono essere pregiudicati dall’accordo tra i privati, i medesimi sottesi alle norme imperative che necessitano di immediata applicazione.150
Infatti, tale forma di invalidità interviene qualora gli interessi perseguiti dalle parti siano realizzabili sul piano pratico, ma il loro prodursi viene paralizzato dall’ordinamento, in quanto ritenuti non meritevoli di tutela, essendo in contrasto con valori fondanti dell’ordinamento stesso.151
L’applicazione di tale istituto sarebbe quindi pienamente legittima, in quanto strumento a tutela di interessi superindividuali, espressione di principi di ordine
148 X. Xxxxxx, Nullità sopravvenuta del contratto, in Contratto e impresa, 2000, p. 634; X. Xxxxxx, In tema di nullità sopravvenuta, op. cit., p.799; Xxxxxxx, Jus superveniens, rapporti in corso ed usurarietà sopravvenuta, p. 39; In senso contrario X. Xxxxxxx, voce Inefficacia (diritto privato), in Enc. dir., XXI, p.369, il quale ritiene non corretto estendere in via analogica gli articoli ricordati in caso di nullità sopravvenuta per mancanza dell’eadem ratio. Infatti le ipotesi disciplinate dagli articoli richiamati per legittimare l’effetto ex nunc presuppongono la validità dell’atto circostanza che ne preclude applicazione analogica nel caso in cui sia necessario verificare le conseguenze dell’invalidità dell’atto.
149 X. Xxxxxx, op.cit., p.161. Tuttavia, qualora il contratto sia stato parzialmente eseguito e la sopravvenienza riguardi una sola delle obbligazioni ivi dedotte, potrebbe porsi un problema di malfunzionamento del sinallagma, determinato dal sopraggiunto squilibrio tra prestazione e controprestazione.
150 Si veda supra cap. I nota 50.
151 X. Xxxxxx op. cit. 173, M. La Micella, Lo “ius superveniens” e la nullità sopravvenuta di clausole negoziali. Il contratto tra controllo genetico e funzionale, Milano, 2003, p.37.
pubblico, quali sono quelli che giustificano l’applicazione immediata della normativa sopravvenuta secondo il discorso condotto in precedenza.
L’emersione della figura dell’invalidazione successiva sarebbe quindi la riprova di una avvenuta rivisitazione dell’istituto della nullità rispetto al modello delineato dal codice civile.
Tale evoluzione ha avuto origine grazie anche al contributo fornito dal diritto comunitario ed al suo recepimento nell’ordinamento nazionale ed ha condotto gli interpreti a considerare l’istituto più uno strumento di politica del diritto che una categoria ontologica dotata di una precisa ed unitaria disciplina.152
Infatti, è stato osservato che nell’impianto originario del codice civile del ’42 l’obiettivo preminente del legislatore era quello di garantire la regolare formazione del contratto, assicurandosi che questo rispondesse ad un canone prestabilito, caratterizzato dalla necessaria completezza del regolamento contrattuale e sorretto da un adeguato fondamento giustificativo.
Di talché la nullità veniva tradizionalmente intesa quale rimedio volto a fronteggiare un contratto colpito da una deficienza strutturale, contrapposta all’annullabilità, quale forma di invalidità connessa al vizio di un suo elemento costitutivo.153
Invece, nella disciplina extra-codicistica di formazione posteriore, diviene prevalente l’esigenza di conformazione del contenuto del contratto a scopi predeterminati, con conseguente introduzione di nuove cause di invalidità, funzionali alla costruzione di un preciso regolamento di interessi e volte a rimuovere le pattuizioni con questo contrastanti. 154
152 La Micella, op.cit., p. 35; X.Xxxxxxx, Le intese restrittive anteriori alla legge antitrust: legge retroattiva o nullità speciale?(Ancora su Cass., Sez. I, 1 febbraio 1999 n. 827), in Xxxx.xx., 2000, p. 941.
153 C. M. Xxxxxx, Il contratto, in Tratt. Dir. civ., Milano, 2015, p. 630.
154 X. Xxxxxxx, Invalidità e inefficacia. Modalità assiologiche della negozialità, in Riv. Dir. Civ., 2003
p. 209, ricorda tra i fenomeni che testimoniano questo mutamento: la rinascita del formalismo negoziale, lo ius poenitendi, il ruolo preminente assunto dall’informazione precontrattuale e la previsione sempre più frequenti di requisiti minimi del contenuto contrattuale. Osserva altresì che nell’era postcodicistica si dovrebbe parlare di invalidità al plurale e non al singolare, poiché alla validità del contratto come schema unitario sono subentrate una molteplicità di figure diverse contraddistinte da statuti normativi differenziati.
Oggi, pare quindi innegabile l’esistenza di un’esigenza volta a permettere un controllo esterno al contratto, necessità che porta ad accentuare l’importanza della nullità come strumento a tutela di interessi generali.155
155 F. Xx Xxxxxx, Forme di nullità nel nuovo diritto dei contratti. Appunti sulla legislazione, sulla dottrina e sulla giurisprudenza dell’ultimo decennio, in Giust. Civ., 2000, p.484 conclude affermando:”la nullità è concepita dal legislatore come strumento giurisdizionale di controllo della dinamica negoziale e di promozione della buona fede nella conclusione dei contratti”.
2.2 Segue: le critiche
La principale critica formulata avverso la nullità successiva verte attorno al contrasto tra tale forma di nullità ed il principio per cui l’invalidità del negozio deve essere necessariamente coeva alla sua nascita, ossia al momento in cui l’atto si perfeziona.156
Invero, la teoria dell’invalidità successiva comporta un duplice giudizio di rilevanza giuridica: uno, con esito positivo, compiuto all’atto di perfezionamento della fattispecie, ed uno successivo di segno opposto.
Il principio in questione non trova espressa menzione legislativa ma viene affermato dalla dottrina sulla base di diverse argomentazioni.
Innanzitutto viene in rilievo la stessa definizione di invalidità, atteso che questa consiste nella negazione della rilevanza giuridica del negozio e pertanto non sembra ammissibile che tale rilievo venga negato in un momento successivo al suo perfezionamento.157
Precisamente è stato osservato che l’oggetto di invalidazione è il contratto inteso come atto il quale, per il suo carattere dichiarativo, ha natura necessariamente istantanea, cosicché non può essere sottoposto ad una nuova qualificazione in un momento successivo al suo perfezionarsi, poiché una volta esaurito rimangono i soli effetti da esso scaturenti che però implicano il ricorso a rimedi diversi, come la risoluzione, la caducazione e la revoca.158
Infatti la norma sopravvenuta non è idonea a determinare alcuna alterazione della fattispecie contrattuale, essendo in grado di incidere esclusivamente sulla sua funzionalità, che non è solo quella di permettere la produzione di effetti giuridici ma anche di farli durare nel tempo. 159
E’ stato altresì affermato che ammettere la nullità sopravvenuta porterebbe ad una contraddizione interna dell’ordinamento, perché un atto verrebbe qualificato al
156 X. Xxxxxxxxxxx, voce Inefficacia (dir. priv.), in Enc. Giur., XVI, Roma, 1988, p.85. Hanno manifestato opinione contraria all’ammissibilità: X. Xxxxxx, Xxxxx e legislazione civile, in Corr. giur., 1999, p.897; X.Xxxxx, Interessi usurari: rapporti in corso e ius superveniens, in Corr. giur., 1998, p. 192; X. Xxxxxxx, Le invalidità, in Tratt. dei contratti diretto da Xxxxxxxx, I contratti in generale, a cura di Xxxxxxxxx, tomo II, Torino, 1999, p.1289; Xxxxxxx op, cit., p.37 ss
157 X.Xxxxxxxxxxx, op.cit., p.86.
158 X. Xxxxxxxxx, voce Invalidità (storia), in Enc. giur., 1972.
159 X. Xxxxxxx, voce Inefficacia (diritto privato), in Enc. dir., XXI, p. 369;
tempo stesso valido ed in valido e tale rilievo non può essere superato sostenendo che l’efficacia pro futuro vale a scongiurare tale contraddizione, dal momento che la validità del negozio è un fenomeno istantaneo che ha luogo in un preciso momento, ossia al suo perfezionamento, e che non può più essere messa in discussione.160 Coloro che sostengono il principio di contemporaneità della nullità all’atto sono inclini ad ammettere che l’invalidità successiva possa trovare applicazione nei soli casi di contratti istantanei ad effetti differiti, poiché solo in questo caso si può rendere coerente la figura con il concetto di nullità tradizionalmente accolto, non confondendo i piani della validità e dell’efficacia dell’atto.161
Tale critica non è parsa insuperabile ai sostenitori della tesi favorevole.
Infatti, è stato affermato che il negozio deve essere considerato non solo come un fenomeno statico, coincidente con l’incontro dei consensi delle parti che perfeziona il vincolo, ma deve essere valutato anche per il suo aspetto dinamico, ossia con lo scopo per cui questo è stato concluso, ed in particolare per la sua idoneità a soddisfare determinati interessi.162
Pertanto, fino a quanto il contratto non ha raggiunto il suo obiettivo, ossia non ha esaurito i propri effetti, questo conserva rilevanza giuridica e quindi è suscettibile di valutazione da parte dell’ordinamento giuridico.
160 L’invalidità sopravvenuta deve essere tenuta distinta dalla c.d. invalidità sospesa o pendente che si verifica ogni qual volta in cui manchi un requisito essenziale del contratto ma questo possa ancora sopraggiungere, rendendo così incerto il giudizio di validità del negozio, poiché dipendente dall’evolversi dei fatti. Tra gli esempi di invalidità sospesa può essere ricordato il caso in cui la determinazione dell’oggetto sia rimessa ad un terzo (art. 1349 c.c.) oppure la vendita non aleatoria di cosa futura.
In questi casi, a differenza dell’ipotesi di invalidità sopravvenuta, la situazione di incertezza è nota fin dall’origine del negozio stesso e, quando il requisito viene definitivamente a mancare, si assiste alla soluzione negativa dello stato di pendenza piuttosto che all’invalidità susseguente ad un giudizio di validità. Per questa circostanza parte della dottrina preferisce parlare di formazione progressiva del contratto, atteso che manca una successione nel tempo di giudizi di validità aventi il medesimo oggetto. Per approfondimenti si rinvia a X. Xxxxxxxxxxx, op.cit., p.79; X. Xxxxx, voce Invalidità e inefficacia del negozio giuridico, in Noviss. dig. it., VII, 1962, p.1002; X. Xxxxx, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di X. Xxxxxx e X. Xxxxx., Milano, 2011, p. 703.
161 X. Xxxxxx Elmi, Contratto e norme imperative sopravvenute: nullità o inefficacia successiva e sostituzione di clausole, in Obb. E contr., 2006, pp. 38- 39. X. Xxxxxxxxxx, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1989, p.251. Infatti solo in questo caso, a differenza dei contratti di durata, il contratto è “ancora inidoneo a produrre i suoi effetti”.
162 Xxx X. Xxxxxxx, Jus superveniens, rapporti in corso ed usurarietà sopravvenuta, in Rass. Dir. civ., 199, p. 521 il principio per cui l’invalidità deve essere necessariamente coeva alla sua conclusione è un “dogma non sufficientemente dimostrato”; X. Xxxxxx, xx.xxx., x. 00; X. Xxxxx, op.cit., p.1002; X. Xxxxxxx, op.cit., p.521.
Per la dottrina in questione questa considerazione permette di superare il principio per cui la nullità deve essere necessariamente coeva al perfezionamento del negozio giuridico: è corretto ritenere che la sua qualificazione non si arresti al momento iniziale ma segua il suo svolgersi ed evolversi, perché il negozio va considerato dal punto di vista funzionale.163
Se ne deduce che è lecito riconoscere al contratto non ancora esaurito una successiva qualificazione negativa a seguito del mutamento normativo e che di conseguenza è ipotizzabile una nullità non contemporanea alla nascita.
Infatti, è stato affermato che: “la riluttanza ad ammettere che un negozio sorto validamente possa divenire invalido in un momento successivo trae origine da una distorta visione del rapporto tra volontà delle parti e volontà della legge …onde molti vengono indotti a ritenere che la volontà della legge – s’intende della legge in vigore al momento della formazione del negozio- faccia corpo, per così dire, con la volontà delle parti si che di fronte ad un negozio così plasmato la nuova legge non possa far altro che o continuare a riconoscergli forza di legge.”164
163 X. Xxxxxx, op. cit.. p. 767 afferma che a fronte di una fattispecie negoziale che “si atteggia a dato durevole sino al conseguimento del suo obiettivo e dunque fino al suo esaurimento, cadrebbe
...l’imperatività e, per dir così, l’ineluttabilità” del principio della contemporaneità tra nascita e (possibile) nullità del negozio: infatti, essenso quest’ultimo un fenomeno funzionalmente non istantaneo e percìò esposto ad eventuali trasformazion, apaprirebbe naturale, già alla luce della logica comune, che la sua qualificazione (in genere) non si arresti al momento della sua nascita, ma segua, eventualmente modificandosi, il suo svolgersi”.
164 X. Xxxxxxx, Il Contratto, in Tratt. Dir.civ. e comm., a cura di Xxxx Xxxxxxxx, 1968, p. 623.
2.3 Segue: la giurisprudenza
Nonostante le critiche ricevute da parte della dottrina, vi è giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, che si è dimostrata favorevole ad aderire alla tesi della nullità sopravvenuta e ne ha fatta concreta applicazione nelle fattispecie sottoposte a giudizio.165
I giudici, nelle motivazioni dei provvedimenti in commento, si sono mostrati ben consapevoli che il suo accoglimento si pone in contrasto con il principio per cui l’invalidità dovrebbe essere contemporanea alla nascita del negozio, ma hanno ritenuto che nel conflitto tra autoregolamentazione privata ed etero regolamentazione normativa, non possa che prevalere la seconda, purché si tratti di negozi destinati ulteriormente produrre effetti e quindi con prestazioni quanto meno non totalmente non eseguite.166
165 Per la giurisprudenza di merito si ricorda: Trib. di Milano, 13 novembre 1997, in Corr. Giur.,1998, p.435; Trib. di Napoli, 8 marzo 1994, in Giur. Xxxxxx, 1994, I, p.605; Trib. di Monza, 10 settembre 1994, in I contratti, 1994, p.667; Trib.di Firenze, 10 giugno 1998, in Corr. giur., 1998,p.806; Trib. di Forlì, 21 ottobre 1993, in Le società, n.9/1994.
Per la giurisprudenza di legittimità: Xxxx. 1900/1955; Cass. del 00.0.0000 x.0000 in Banca borsa e titoli di credito, 2000, p.620 con nota di X. Xxxxxxxx, Le prime sentenze della Cassazione civile in materia di usura ex lege n. 108/1996, in Consulente dell’impresa commerciale industriale (per il), 2000, p. 1000 con nota di X. Xxxxxxxxx, Nuovi orientamenti su tassi usurari;in Riv. Del Notariato, 2000, 1145, con nota di X. Xxxxxxx, Usura sopravvenuta e tutela del debitore; in Corr. Giur, 2000, p 878 con nota di X. Xxxxx, La disciplina degli interessi divenuti usurari: una soluzione che fa discutere,; Cass. 1.2.1999 n. 827 in Xxxx.xx, 1999, p.1123 con nota di X. Xxxxxxxx, Intese orizzontali e aperture in tema di concorrenza e di mercato nella giurisprudenza della Cassazione; in Giust. Civ., 1999, p.1649, con nota di X. Xxxxxxxx, La libertà di concorrenza secondo la disciplina civilistica e la normativa pubblicistica a tutela della concorrenza e del mercato; in Giur. it, 2000, p. 939, con nota di
X. Xxxxxxx, Le intese restrittive anteriori alla legge antitrust: legge retroattiva o nullità speciale? (Ancora su Cass. Sez. I , 1 febbraio 1999, n. 827; Cass. 2.2.2000 n. 1126, in Giur. it, 2000, p.311 con nota di X. Xxxxx, Xxxxx usurari, mutui a tasso fisso, contratto aleatorio e riflessi sulle operazioni di cartolarizzazione dei crediti; Cass.17.11.2000 n.14899 in Giust. Civ., 2000, p. 3099 con nota di F. Xx Xxxxxx, Il trattamento dell'usura sopravvenuta tra validità, illiceità e inefficacia della clausola interessi, in Xxxx.xx, con nota di X. Xxxxx, Usura e autonomia privata nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Corr. Xxxx., 2001, p.43 con nota di X.Xxxxx, Xxxxx: il punto della situazione, in Xxxx.xx, 2001, p.80 con nota di X. Xxxxxxxx, Xxxxx usurari e introduzione della soglia variabile: ancora una risposta interlocutoria; Cass. 21.11.2000 n.15024 in Giust. Civ., 2001, p.689; Cass. 00.0.0000 x.0000 in Giust. Civ. 2006, p.108.
166 Si veda ad esempio, Cass. 00.0.0000 x.0000 con commento di X. Xxxxxxxx, Le prime sentenze della Cassazione civile in materia di usura ex lege n.198/1996, in Banca borsa e titoli di credito, 2000, 6, p. 620; F. M. Xxxxxxx, Usura sopravvenuta e tutela del debitore, in Riv. Not., 2000, 6, p. 1445; X. Xxxxx, La disciplina degli interessi divenuti usurari: una soluzione che fa discutere, in Corr. Giur., 2000, 7, p. 878. in tema di interessi usurari nel contratto di xxxxx, espressamente richiamata da Xxxx. 14899/00, per cui “pur dovendosi ritenere che in via di principio che il giudizio di validità vada condotto alla stregua della normativa in vigore al momento della conclusione del contratto, tuttavia, verificandosi un concorso tra autoregolamentazione pattizia ed eteroregolamentazione normativa, diviene insostenibile la tesi che subordina l’applicabilità dell’art. 1419 comma 2 c.c., all’anteriorità
Pertanto, l’analisi delle pronunce in materia, ha permesso di rilevare che, dal punto di vista applicativo, le preoccupazioni maggiori risiedono non tanto nel trovare un’argomentazione efficace per superare il principio di contemporaneità, ma in quella di determinare quali siano le conseguenze del suo riconoscimento, soprattutto qualora l’invalidità sopravvenuta inerisca esclusivamente ad una clausola determinata e non riguardi il contratto nella sua interezza.
Infatti, il principale dubbio ermeneutico ha riguardato l’applicabilità dell’art. 1419 comma secondo c.c., che, come noto, impedisce che la nullità della singola clausola si estenda all’intero contratto qualora la clausola invalida sia sostituita di diritto da norme imperative, anche in caso di norma inderogabile sopravvenuta alla stipulazione.
Secondo un primo orientamento la nullità parziale prevista dal secondo comma dell’art. 1419 c.c. si applica solamente se le norme sono preesistenti alla stipulazione del contratto.167
Secondo tale tesi l’articolo in questione presuppone la preesistenza della norma che interviene in via sostitutiva, poiché solo in questo caso potrebbe essere conosciuta, o quanto meno conoscibile, da parte dei contraenti, i quali pertanto avrebbero accettato il rischio di una sostituzione automatica.
Tale interpretazione si fonda su una visione unitaria dei due commi da cui è composto l’art. 1419 c.c., basata sull’attribuzione di un ruolo centrale alla volontà ipotetica delle parti.168
della legge rispetto al contratto, perché l’inserimento ex art.1339 c.c. del nuovo tasso incontra l’unico limite che si tratti di prestazioni non ancora eseguite in tutto o in parte”.
167 X. Xxxxxx Elmi, Contratto e norme imperative sopravvenute: nullità o inefficacia successive e sostituzione di clausole, in Obb. E contr., 2006, p.38.
168 x. Xxxx. 7.5.1948 n.675 in Xxxx.xx, 1949, p.39 e Cass. 5.10.1953 n.3179. Tuttavia per X. Xxxxx, op. cit., pp. 812 – 814 l’art. 1419 comma primo x.x. xx xxxxx xxx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx x xxxxx xxxxx xxxx contrattuale. La nullità cancella parte del contratto ed altera il suo equilibrio, facendo sopravvivere un contratto diverso rispetto a quello previsto dai contraenti. Si tratta di un contratto che ha perso la sua causa perché in esso i vantaggi ed i sacrifici non sono più distribuiti nel modo che le parti avevano originariamente programmato. Questo nuovo contratto potrebbe penalizzare una parte e favorire l’altra in modo ingiusto, ponendosi in contrasto al principio di buona fede. In tale contesto la nullità è il rimedio che interviene per evitare un risultato così indesiderabile. Anche in questo caso, come per la conversione del contratto nullo, vale un criterio oggettivo senza che sia necessaria un’indagine psicologica sulla volontà dei contraenti. Infatti è richiesto al giudice di operare un confronto tra i due contratti, quello originario e quello derivante dall’omissione della clausola nulla, per verificare che siano ragionevolmente compatibili. L’estensione della nullità all’intero contratto non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma può essere fatta valere solo dalla parte colpita dallo squilibrio indotto dalla nullità parziale. Pertanto, si è in presenza di una nullità sui generis, fortemente inclinata verso l’annullabilità ossia verso i rimedi predisposti a tutela di un interesse di parte.
Tuttavia tale soluzione non è unanimemente condivisa.
Invero, non è mancato chi ha posto in risalto la diversità dei principi sottesi ai due commi dell’art. 1419 c.c.
In particolare, secondo questo orientamento, il secondo xxxxx, fondandosi sulla prevalenza della legge non derogabile sull’autonomia contrattuale delle parti, prescinde totalmente dalla volontà delle stesse, con conseguente irrilevanza dell’eventuale conoscenza o conoscibilità della norma imperativa che ha modificato il regolamento contrattuale.169
Infatti, si osserva che solo il primo comma dell’art. 1419 c.c. richiama la volontà ipotetica delle parti per legittimare l’estensione della nullità della singola clausola all’intero contratto qualora emerga che i contraenti non avrebbero voluto stipularlo senza la clausola sostituita di diritto, mentre nel comma successivo manca qualsiasi riferimento a tale elemento.
Di conseguenza per la tesi in esame, essendo il requisito volontaristico estraneo al meccanismo sotteso al secondo comma, questo potrebbe trovare applicazione anche nel caso di norma sopravvenuta alla conclusione dell’accordo.
Inoltre, tale interpretazione, oggi maggioritaria ed accolta da tutte le pronunce che hanno aderito alla tesi della nullità sopravvenuta, trova conferma anche alla luce della considerazione per cui il regolamento contrattuale non è il frutto della mera volontà dei contraenti, ma è il risultato di un concorso di fonti diverse tra le quali vi è la legge che interviene sia in via suppletiva sia in via sostitutiva, legittimando anche un’integrazione successiva.170
Un altro profilo affrontato con frequenza dalla prassi riguarda la necessità che il legislatore preveda espressamente una disciplina sostitutiva oppure sia sufficiente che sia stabilità la mera invalidità della clausola.
Per un primo indirizzo, poiché la lettera dell’art. 1419 c.c. parla di sostituzione di clausole con disposizioni previste da norme imperative, è necessario ai fini dell’applicazione del secondo comma che la legge sopravvenuta preveda una
169 X. Xxxxx, Il contratto, in Tratt. Iudica e Zatti, Milano, 2001, p.868. Il secondo comma dell’art. 1419 c.c. prescinde totalmente dalla valutazione della volontà ipotetica delle parti nel valutare l’estensione della nullità della clausola all’intero contratto. Questo si spiega considerando l’interesse generale sotteso alla norma imperativa che determina la sostituzione che impone il mantenimento del negozio a prescindere dalla volontà ipotetica delle parti.
170 X.Xxxxx, Xxxxx: il punto della situazione, in Corr. giur,, 2001, p.45.
regolamentazione diversa, atteso che, in mancanza, deve trovare applicazione il primo comma, con conseguente ricorso al criterio della volontà ipotetica delle parti.171
Tuttavia, un diverso orientamento ha osservato che, allorquando la legge abbia voluto vietare esclusivamente una determinata pattuizione, presupponendo per il resto la validità del contratto, l’eliminazione di una clausola nulla deve essere equiparata alla sostituzione.172
Quest’ultima ipotesi ben può verificarsi qualora la legge proibisca la clausola senza sostituirla con altra disciplina ed, invero, è ben possibile per l’interprete desumere dalla portata della norma il carattere necessariamente parziale della nullità.173
La ratio alla base della disposizione di cui al secondo comma dell’art. 1419 c.c. è quella di tutelare un particolare interesse generale sotteso alla norma imperativa, che esige per il resto il mantenimento del contratto.
Tale interesse si fonda spesso sulla necessità di proteggere la parte debole del rapporto contrattuale, riflettendo una scelta politica del legislatore174 ed allora,
171 Xxxxxx, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1984, p.602 afferma che l’art. 1419 comma secondo
c.c. “presuppone una regola positiva del rapporto” mentre l’art. 1419 comma prima c.c. “presuppone solo una regola negativa (cioè un divieto), che comporta l’invalidità della clausola contraria e quindi una parziale inoperatività del regolamento negoziale”. In caso di semplice divieto, per stabilire l’estensione della nullità opererebbe il criterio della volontà ipotetica previsto dal primo comma. In tal senso Xxxxx, Usura e autonomia privata nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Xxxx.xx., 2001, p.685 sostiene che il meccanismo degli artt. 1339 e 1419 comma secondo c.c. non si applica quando il legislatore nello stabilire la nullità di una clausola non abbia altresì previsto la sostituzione imperativa. In giurisprudenza si rinvia a Cass. 11.6.1981 n. 3783, in Giust. civ. mass., 1981, f.6, che ha sostenuto tale tesi affermando che l’art. 1419 comma secondo c.c. “ si riferisce all’ipotesi in cui specifiche disposizioni, oltre a comminare la nullità di determinate clausole contrattuali, ne impongano anche la sostituzione con una normativa legale, mentre tale disposizione non si applica qialora il legislatore nello statuire la nullità della clausola non ne abbia espressamente previsto la sostituzione con una specifica norma imperativa”; in tale senso si veda anche Cass. 00.0.0000 x.000, in Contr., 1999, p.1093 e Cass. 28.6.2000, n.8794, in Foro it., 2000, Contratto in genere, n.76.
172 Xxxxxx Xxxx, op.cit., p. 43.
173 Cass. 00.0.0000 x.0000; Cass. 00.0.0000 x.0000: “Ai fini dell’operatività della disposizione di cui al secondo comma dell’art. 1419 c.c. …non si richiede che le disposizioni inderogabili, oltre a prevedere la nullità delle clausole difformi, ne impongano e dispongano altresì espressamente la sostituzione. Infatti, la locuzione codicistica (“sono sostituite di diritto”) va interpretata non nel senso dell’esigenza di una previsione espressa della sostituzione, ma in quello dell’automaticità della stessa, trattandosi di elementi necessari del contratto o di aspetti del rapporto, cui la legge ha apprestato la propria inderogabile disciplina”.
174 X. Xxxxx e G. De Nova, Il contratto, II, in Tratt. Xxxxx, III ed., Torino, 2004, p.556, secondo i quali i redattori del codice, nel distinguere tra nullità accompagnata da una sostituzione e nullità priva di tale sostituzione “hanno dimenticato che l’essenziale della distinzione si pone tra il contratto parzialmente nullo, di cui il legislatore vuole che la parte restante sia efficace, e il contratto parzialmente nullo di cui il legislatore intende che la parte restante sia efficace solo se entrambe le parti lo vogliano” e pertanto “ciò che conta non è la possibilità di una sostituzione,non è il carattere imperativo della norma sostituita, ma è il senso della norma che commina la nullità”. Per la
qualora l’interprete accerti che la nullità parziale è posta a protezione di una parte, deve equiparare l’eliminazione della clausola alla sostituzione, facendo applicazione del secondo comma e non del criterio della volontà ipotetica che porterebbe a disattendere la logica protezionistica.
giurisprudenza si rinvia a Cass. 10.5.2005 n. 9747 secondo cui “l’ampia dizione degli artt.1339 e 1419 c.c. consente non solo la sostituzione automatica di clausole con altre volute dall’ordinamento, ma anche la semplice eliminazione di clausole nulle senza alcuna sostituzione, dovendosi tener conto del maggior spessore dell’eteroregolamentazione nell’ambito della contrapposizione tra autonomia contrattuale ed imperatività della norma”; in tal senso si era già espressa Cass. del 17.11.2000 n. 14899.
3. L’inefficacia sopravvenuta
Coloro che non ammettono la nullità sopravvenuta preferiscono ritenere che le sopravvenienze normative conducano all’inefficacia sopravvenuta del contratto.175 L’inefficacia è stata definita da autorevole dottrina come “l’inidoneità di un atto di autonomia privata a produrre effetti giuridici che ne realizzano la funzione”176 in modo tale per cui l’inattuazione dei suoi effetti comporta una qualificazione giuridica di contenuto negativo.
E’ stato correttamente osservato che, sebbene la nullità e l’inefficacia siano categorie distinte ed autonome, queste presentino reciproci punti di contatto, poiché l’invalidità negoziale, intesa come inidoneità del regolamento alla produzione dei suoi effetti tipici, è una situazione che dal punto di vista logico precede l’inefficacia, concepita invece come mancata messa a disposizione degli effetti stessi.177
Se quindi spesso le due figure sono avvinte da un legame che esprime una relazione di causa ed effetto, tuttavia sono ammissibili ipotesi in cui operano indipendentemente l’una dall’altra.
175 Xxxxx ritenuto condivisibile la tesi dell’inefficacia sopravvenuta: X.Xxxxxxxxxxx, op.cit., p.55;
.X.Xxxxxxxxx, op.cit.; X. Xxxxxxx, xx.xxx., x.000, X.X. Xxxxxxx, Xxxxx imperative sopravvenute e validità dei contratti, in Xxxx.xx., 1987, p.54; X. Xxxxxx, La fideiussione omnibus cinque anni dopo la riforma, in Contr. e impresa, 1997, p.1080; X. Xxxxxxx, Manuale di diritto privato, Napoli, 2013, p. 998; Xx Xxxxxx, Forme della nullità nel nuovo diritto dei contratti. Appunti sulla legislazione, sulla dottrina e sulla giurisprudenza dell’ultimo decennio, in Giust. civ., 2000, p.465. X. Xxxxxxx, Le invalidità, in Trattato dei contratti, dir. Da Xxxxxxxx, I contratti in generale, a cura di Xxxxxxxxx, tomo II, Torino, 1999, p.1289.
In giurisprudenza la tesi dell’inefficacia è stata sostenuta da: Cass. del 00.0.0000 x.000 in Giur. it.,1998, p. 1645 con nota di X. Xxxxxxxxx, Cass. 11.1.1997 n. 204, Cass. 6.12.2017 n. 29255, Trib.di Palermo 18 ottobre 2006.
176 X. Xxxxxxxxxxx, voce Inefficacia (dir. priv.), in Enc. giur., XVI, Roma, 1988, p.1; per X.Xxxxx, voce Invalidità e inefficacia del negozio giuridico, in Nov. Xxx.xx., p. 995 l’inefficacia è intesa come “l’inidoneità a produrre effetti giuridici congruenti con la funzione economico-sociale che caratterizza il negozio giuridico”.
L’inefficacia è quindi una qualificazione propria del negozio giuridico e del provvedimento amministrativo, non risultando invece concepibile in relazione agli altri fatti giuridici di diritto privato, ancorché questi consistano in attività o comportamenti umani. Infatti nel caso di atti giuridici non negoziali e di atti illeciti non vi è spazio per una qualificazione negativa dell’efficacia giuridica oltre all’alternativa tra ricorrenza o meno della fattispecie ipotizzata dalla legge e degli effetti ad essa connessi. Sul punto concorda anche X. Xxxxxxx, op.cit. p. 217.
177 X. Xxxxxxx, op.cit., p.208; X.Xxxxx, Il contratto, in Trattato di dir. priv., a cura di Xxxxxx e Zatti, Milano, 2011, p.689. Nel caso in cui l’inefficacia costituisce lo strumento attraverso il quale l’invalidità può svolgere la sua funzione remediale si è soliti parlare di inefficacia in senso lato che presenta due caratteristiche connesse: il possibile rapporto con l’invalidità, di cui è conseguenza, e la possibile funzione remediale, in quanto reagisce contro un contratto difettoso.
Infatti, è configurabile un atto invalido ma efficace e, specularmente, un atto valido ma non produttivo di effetti giuridici.178
L’esistenza di un ambito di applicazione autonomo dell’inefficacia rispetto all’invalidità viene comunemente giustificato dalla dottrina sulla base della considerazione per cui l’invalidità attiene alla qualificazione dell’atto, mentre l’inefficacia inerisce alla funzione, di modo tale per cui sono configurabili circostanze che incidono esclusivamente sull’effetto, lasciando impregiudicato il giudizio di validità precedentemente compiuto alla stregua della legge al tempo vigente.179
Così, per parte della dottrina, l’unica soluzione ammissibile in caso di sopravvenienza normativa è l’inefficacia del contratto con essa contrastante, atteso
178 Il legislatore stesso ha previsto che in alcune ipotesi il contratto nullo possa produrre taluni effetti giuridici (v. ad es. l’art. 2126 c.c. che stabilisce il diritto del lavoratore subordinato a percepire la retribuzione per le prestazioni eseguite in virtù di un contratto nullo o nel caso di nullità relativa dove il negozio è in grado di produrre gli effetti tipici nei confronti della generalità degli interessati mentre è inoperativo per alcuni di essi); è altresì possibile che un contratto invalido, perché affetto da annullabilità o nullità, abbia prodotto effetti giuridici e questi vengano stabilizzati in mancanza di impugnativa da parte dell’avente diritto entro gli eventuali termini di decadenza o prescrizione previsti. Quindi non può essere accolta la tesi per cui l’invalidità del negozio si traduce nella sua non impegnatività per le parti. La nullità rappresenta ancora oggi la forma più grave di invalidità ma ha perso parte della sua intensità, in modo tale da permettere che un negozio esplichi almeno in parte la sua efficacia tipica. Per un’analisi più appronfondita si rinvia a X.Xxxxx, op.cit., p. 996. Per quanto riguarda la seconda ipotesi, si consideri il frequente caso in cui venga apposta ad un contratto una condizione sospensiva all’avverarsi della quale viene rinviata la produzione di effetti giuridici. X. Xxxxxxx, xx. xxx., x. 000 xx domanda come sia possibile che un atto riconosciuto idoneo alla produzione di effetti giuridici possa ciò nonostante non produrre tali effetti. La soluzione al quesito risiede nella considerazione per cui anche l’effetto giuridico ha un suo ciclo vitale e per questo possa trovarsi nell’impossibilità, provvisoria o definitiva, assoluta o relativa, originaria o successiva, di dispiegare i propri effetti tipici. L’inefficacia che coesiste con la validità dell’atto è quindi legata a quelle circostanze che intervengono solamente sull’effetto dell’atto negoziale, lasciando impregiudicato il giudizio di validità precedentemente compiuto con esito positivo. Nel caso in cui l’inefficacia si presenti svincolata dalla nozione di invalidità e priva remediale si è soliti parlare di inefficacia in senso stretto.
000 X. Xxxxxxx, op. cit., pp. 211- 21; X. Xxxxx, op.cit., p.681. Sulla base di tale assunto è stata criticata la teoria tradizionale (su cui si rinvia a S.Xxxxx, op.cit., p.995) secondo la quale l’invalidità costituisce un trattamento rispondente ad un vizio intrinseco del negozio, intendendosi per tale ogni difetto attinente ai presupposti essenziali, alla genesi o al contenuto del negozio stesso, mentre l’inefficacia interviene nel caso di vizi estrinseci. L’esponente principale della critica è stato X. Xxxxxxxxxxx, voce Inefficacia, op.cit, p. 2; secondo l’Autore la distinzione tra inefficacia ed invalidità basata sulla distinzione tra elementi essenziali o costitutivi del negozio ed elementi estrinseci è infondata, in quanto viziata da un errore di logica giuridica. Infatti la rilevanza degli elementi necessari per la validità del negozio si fonda propria sulla necessità di questi per la produzione di effetti giuridici, cosicché non è possibile individuare a priori quali siano gli elementi necessari per la validità e quali per l’efficacia. Così è ben possibile che il legislatore commini il requisito della nullità del negozio per la mancanza di un’autorizzazione amministrativa che, di per sé, non può essere considerata un elemento intrinseco della fattispecie. Del resto l’Autore si è rivelato il principale critico della teoria della nullità sopravvenuta e l’adozione della tesi tradizionale potrebbe portare al risultato di legittimare la figura ogni volta in cui l’innovazione legislaiva intervenga su un elemento intrinseco della fattispecie.
che questa incide solo sulla funzione dell’atto, che non è solo quella di produrre effetti giuridici ma altresì di farli durare nel tempo.180
In particolare, posto che in questi casi il negozio incorre in un vizio funzionale, e rilevato che l’efficacia presuppone la sua validità, è errato parlare di nullità sopravvenuta.181
Al pari della nullità sopravvenuta, anche l’inefficacia successiva opera ex nunc, lasciando impregiudicati gli effetti contrattuali già prodottisi alla data di entrata in vigore della nuova disposizione e precludendone solamente la prosecuzione.
Gli effetti derivanti dall’inefficacia sopravvenuta sono pertanto suscettibili di essere assimilati a quelli derivanti dalla risoluzione del contratto che è parimenti una vicenda che riguarda il contratto come rapporto e non come atto.182
Per la dottrina in esame, la preferibilità dell’inefficacia sopravvenuta alla nullità è confermata anche dal dato normativo.
In particolare tutte le ipotesi in cui la diversa tesi ravvisa fattispecie codificate di nullità successiva, a ben vedere, devono essere qualificate come casi di inefficacia successiva, in quanto si tratta di eventi che incidono non sull’atto in sé ma sulla sua funzione e sono altresì originati da elementi estrinseci alla fattispecie negoziale.183 Così, per quanto riguarda la nullità sopravvenuta del testamento a causa di condanna all’ergastolo del testatore, intervenuta in un momento successivo alla sua redazione (art. 31 c.p. oggi abrogato), è corretto, nonostante il dato normativo, parlare di inefficacia e non di nullità, poiché la situazione che si viene a creare costituisce un fatto impeditivo all’efficacia del testamento, assimilabile all’avveramento di una condizione risolutiva legale.184
180 X. Xxxxxx Xlmi, Contratto e norme imperative sopravvenute: nullità o inefficacia sostitutiva e sostituzione di clausole, in Obb. E coxxx., 2006, p.39; X. Xxxxxxx, op. cit.p. 201.
181 X. Xxxxxxxxxxx, annuari p.70.
182 X. Xxxxxx Xlmi, op.cit., p.39.
183 X. Xxxxxxxxxxx, annuari pp.90 ss; X. Xxxxxxxxx, op.cit., p.2.
184 X. Xxxxxxxxxxx, op.cit., p.92 osserva che già di per sé il dato normativo presenta due peculiarità: la prima consistente nella previsione del rimedio della nullità in luogo dell’annullabilità (ancorché assoluta) per un difetto di capacità ad agire dell’autore dell’atto; la seconda ravvisabile nel ricorrere del rimedio in un momento successivo alla perfezione del negozio. Aggiunge altresì che non pare accoglibile la tesi che cerca di armonizzare la figura della nullità come rimedio previsto in caso di vizi genetici dell’atto, ammettendo che in tali casi la nullità retroagisca al momento di compimento dell’atto poiché si tratta di una soluzione contraddittoria la capacità d’agire va valutata al momento in cui l’atto si compie non si può spiegare come un soggetto al tempo valutato capace in relazione a quell’atto poi divenga incapace in relazione al medesimo atto.
Allo stesso modo può essere interpretato anche l’art. 587 c.c. che prevede la revoca del testamento per sopravvenienza dei figli, poiché la nascita o il riconoscimento di uno o più figli non contemplati dal testatore non determina la nullità sopravvenuta del negozio unilaterale, ma esclusivamente la sua inefficacia, poiché si tratta di un fatto estrinseco al negozio che incide sulla sua funzione senza pregiudicarne la validità.185
La teoria in esame prevede altresì che l’inefficacia possa riguardare anche la singola clausola contrattuale e non il contratto nella sua interezza.
In tali casi è necessario invocare il rimedio di cui all’art. 1339 c.c. che, analogamente all’art. 1374 c.c., sancisce il principio per cui il regolamento contrattuale è integrato da quanto previsto dalle norme inderogabili, allorché queste siano incompatibili con quanto pattuito dalle parti.186
Infatti questa norma, a differenza dell’art. 1419 c.c,. prescinde dall’invalidità della clausola ed impone la sostituzione delle clausole volute dalle parti ogni qualvolta queste abbiano un contenuto contrastante con una norma cogente.187
L’autonomia della disposizione di cui all’art. 1339 c.c. rispetto al giudizio di invalidità si evince sia da un argomento testuale, poiché nella norma non si fa alcun riferimento alla nullità della clausola da sostituire, sia dal punto di vista sistematico, atteso che l’articolo in questione trova collocazione nella sezione del codice civile relativa all’accordo delle parti, mentre l’art. 1419 c.c. è collocato nel capo relativo alla nullità del contratto; infine soccorre anche un argomento di ordine logico, perché se l’articolo 1339 c.c. presupponesse la nullità della clausola da sostituire sarebbe del tutto superfluo, in quanto costituirebbe un duplicato di quanto disposto all’art. 1419
c.x. xxxxx xecondo.
185 X. Xxxxxxxxxxx, op.cit., p.98 critica la tesi tradizionale che ravvisa nella fattispecie un’ipotesi di nullità sopravvenuta del testamento per difetto di causa che consisterebbe in tale ipotesi nel trapasso del patrimonio per quote astratte. Semmai si potrebbe pensare ad un vizio funzionale della causa del negozio che conduce non alla nullità ma all’inefficacia.
186 X. Xxxxx, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di X. Xxxxxx x X. Xxxxx, Milano, p.869 osserva che “sul piano logico la norma dell’art. 1419 comma secondo del c.d. può apparire perfino superflua, alla luce dell’integrazione legale del contratto ex 1339 c.c. Per effetto della sostituzione automatica, nel regolamento contrattuale non c’è una clausola nulla (quella pattuita) bensì c’è una fonte legale che concorre con la volontà delle parti alla costruzione del regolamento”.
187 Xxxxxxxx, La legge come fonte di integrazione del contratto, in Comm. Schlensiger, Milano, sub art.1374, 23, sostiene che “se soltanto attraverso la qualificazione della nullità della clausola contrattuale l’art. 1339 c.c. potesse essere operante, si dovrebbe escludere l’applicazione della norma, non essendo contemplata nell’ordinamento la figura della nullità sopravvenuta”.
Tuttavia, entrambe le disposizioni in commento hanno sicuramente in comune la ratio ispiratrice, individuabile nel principio di prevalenza delle norme inderogabili sull’autonomia contrattuale e nella volontà di conservare il contratto.
Nel tentativo di semplificare la complessa tesi dell’inefficacia sopravvenuta, si possono distinguere tre distinte ipotesi fondamentali che possono presentarsi nella pratica:
Sub a) qualora la legge sopravvenuta abbia efficacia retroattiva si potrà parlare di nullità del contratto o della singola clausola. Infatti in questi casi il carattere retroattivo della norma porta, attraverso una finzione, a considerarli nulli fin dalla loro stipulazione.
In tale ipotesi si è in presenza di una nullità originaria che colpisce il contratto come atto e porta alla restituzione di quanto già eseguito in esecuzione del medesimo.
Sub b) se invece la legge non è retroattiva i contratti ad esecuzione istantanea ma differita nel tempo saranno affetti da nullità sopravvenuta con efficacia ex nunc e ne sarà preclusa loro esecuzione.188
Sub c) Nel caso in cui sia necessario valutare l’incidenza della norma sopravvenuta sui contratti di durata, i medesimi saranno colpiti da inefficacia sopravvenuta e ne sarà vietata pro futuro l’attuazione, salvi in ogni caso gli effetti già prodottisi prima della sopravvenienza. Se invece l’inefficacia è circoscritta alla singola clausola contrattuale, questa verrà sostituita con la disciplina legale ex art. 1339 c.c.
Infine, è opportuno dare conto che parte della dottrina ha sviluppato ulteriormente la teoria dell’inefficacia sopravvenuta, sostenendo che questa si traduca nell’inesigibilità della prestazione.189
188 Si ricordi quanto detto in precedenza: i sostenitori dell’inefficacia sopravvenuta individuano in tale ipotesi l’unico caso in cui appare corretto parlare di nullità sopravvenuta, senza che ciò comporti una sovrapposizione tra il piano genetico dell’atto e quello funzionale. Coloro che invece ritengono inopportuno il ricorso alla categoria dell’invalidità sopravvenuta anche in presenza di tale fattispecie preferiscono parlare di inefficacia originaria. Si veda X. Xxxxxxx xp.cit.,365. In ogni caso in questa ipotesi non sarebbe corretto parlare di inefficacia sopravvenuta poiché questa richiede che il contratto abbia prodotto almeno in parte i propri effetti x. Xxxxxx, Nullità sopravvenuta del contratto, p.632.
189 X. Xxxxxxxx, Il mutuo con riguardo al “tasso soglia” della disciplina antiusura e al divieto di anatocismo, in Banca borsa, 1999, I, pp. 263 ss; l’Autore sostiene che la sopravvenienza normativa della l.108/1996 conduca, tanto per i contratti stipulati anteriormente, quanto per quelli successivi qualora il tasso pattuito, originariamente lecito, superi il tasso soglia in corso di esecuzione per effetto delle rilevazioni trimestrali, si traduca in una inesigibilità sopravvenuta della prestazione. Tale inesigibilità è solamente parziale atteso che il creditore non può pretendere la corresponsione della sola parte di interessi sopra soglia mentre per la parte rimanente la riscossione è lecita sia penalmente che civilmente, costituendo la normale attuazione del contratto.
L’inesigibilità si configura ogni qualvolta in cui “il creditore non può efficacemente pretendere l’adempimento di un’obbligazione, benché nata da un atto valido ed efficace”.190
Da tale qualificazione discendono rilevanti conseguenze pratiche, non tanto rispetto all’inefficacia, ma con riferimento alla nullità.
Invero, non ne differisce solo per la legittimazione a farla valere limitata al solo debitore della prestazione, ma altresì perché preclude la ripetizione di quanto prestato, analogamente a quanto accade in caso si adempimento di un’obbligazione prescritta ex art. 2940 c.c. o nell’ipotesi di adempimento anteriore alla scadenza del termine iniziale ex art. 1185 comma secondo c.c191.
Anche la tesi dell’inefficacia successiva, al pari della nullità successiva non è andata esente da critiche.
E’ stato ritenuto che l’inefficacia mal si concilia con un divieto contenuto in una norma imperativa inderogabile.
Infatti l’inefficacia incide unicamente sugli effetti dell’atto che rimane in sé valido, atteso che il giudizio di liceità della previsione contrattuale non viene interessato dal rimedio, essendo il medesimo ancora assoggettato alla legge in vigore al tempo della sua formazione.192
In secondo luogo, come si è già avuto di osservare, il richiamo all’inefficacia non è stato ritenuto corretto dal momento che questa, a differenza della nullità, presuppone l’esistenza di un interesse particolare, irrealizzabile, in quanto interferisce con altri valori delle parti stesse o di terzi esterni al contratto e con esso incompatibili.
Quindi, il rimedio dell’inefficacia implica da un lato l’accertamento dell’irrealizzabilità dell’interesse perseguito, ma dall’altro presuppone la valutazione positiva della finalità avuta di mira, al quale l’ordinamento continua a riconoscere rilevanza giuridica.
Diversamente nel caso di sopravvenienza di una norma imperativa è più corretto ritenere che l’interesse sia soggetto ad una valutazione negativa al sopraggiungere di nuovi criteri di valutazione introdotti dal legislatore.193
190 X. Xxxxxxx, Manuale di diritto privato, Napoli, 2013, p.994.
191 X. Xxxxxxx, op.cit., p.994.
192 X. Xxxxxxx, Ius superveniens, rapporti in corso ed usurarietà sopravvenuta, in Rass. Dir. civ., 1999, p.502.
193 X. Xxxxxxx, op.cit., p.502.
Inoltre l’inefficacia è volta a paralizzare la produzione degli effetti giuridici, quindi se il divieto legislativo dovesse venire meno, il negozio comincerebbe a produrre nuovamente i suoi effetti, laddove invece la nullità sopprime definitivamente l’atto di autonomia privata precludendone qualsiasi efficacia.194
194 G. M. Danusso, Norme imperative sopravvenute e validità dei contratti,in Giur. It., 1987, p. 55. X. Xxxxxxxx, op.cit., p. 265 a proposito del contratto di mutuo e del divieto di pattuire o corrispondere interessi usurari afferma: “ove si verificassero successivi innalzamenti del tasso soglia e quindi gli interessi originariamente pattuiti fssero di nuovo sotto soglia sarebbero di nuovo esigibili”. Tale situazione integrerebbe un’ipotesi analoga all’invalidità sopravvenuta su cui si rinvia al cap. IV. Tuttavia il carattere definitivo della nullità è messo oggi in discussione dal dibattito dottrinale e giurisprudenziale sull’ammissibilità della validità sopravvenuta del contratto per l’analisi della quale si rinvia al successivo capitolo IV. Inoltre la nullità presenta il vantaggio di essere rilevabile d’ufficio dal giudice mentre tale possibilità è discussa in merito all’inefficacia del contratto. Per Cass. 25.2.2005 n.4092, Cass. 00.0.0000 x.0000 e Cass. 14.3.2013 n. 6550 l’inefficacia non è mai rilevabile d’ufficio; l’orientamento contrario è stato invece sostenuto da Caxx. 07/8/2016 n.17150.
4. Nullità o inefficacia sopravvenuta?
Ciascuna delle due tesi presenta sia profili critici sia dei punti di forza, di modo che risulta difficile aderire ad una piuttosto che all’altra.
Il ricorso al rimedio della nullità in caso di introduzione di una nuova norma non derogabile si pone sicuramente in linea con la funzione del rimedio stesso, ossia quella di tutelare interessi generali e, con la sua legittimazione allargata e la possibilità di rilievo ufficioso, garantisce maggiori chances di paralizzare l’efficacia di un contratto socialmente dannoso; dall’altra parte il carattere sopravvenuto della nullità stride con il momento in cui normalmente viene condotto il giudizio di validità del negozio, ossia all’atto della sua stipulazione.
L’inefficacia sopravvenuta presenta il vantaggio di non ritenere più giuridicamente rilevante il rapporto, a prescindere da un giudizio sull’atto da cui scaturisce, ma è fonte di maggiori incertezze applicative, soprattutto per quanto riguarda l’ammissibilità di un suo rilievo ufficioso, non essendo un istituto che trova una compiuta disciplina nel codice civile.
Questa lacuna ha frequentemente portato, nei casi in cui il rimedio viene invocato per disciplinare l’incidenza dello ius superveniens sul contratto, ad individuare in via analogica la disciplina applicabile in quella della nullità.
Tale operazione conduce però l’interprete a non ritenere sussistenti particolari differenze nel caso di adozione dell’una piuttosto che dell’altra teoria e rischia di ridurre il dibattito ad una mera questione dogmatica.195
Alla luce di siffatte incertezze, appare forse allora meritevole l’atteggiamento di parte della giurisprudenza di legittimità che, con chiaro intento pragmatico, pur esprimendo una preferenza per il rimedio della nullità sopravvenuta, ha comunque chiarito che in ogni caso non si può continuare a dare effetto alla pattuizione in contrasto con la sopravvenuta norma imperativa, legittimando così in via subordinata il ricorso all’inefficacia sopravvenuta.196
195 F. Di Xxxxxx, Il trattamento dell’usura sopravvenuta tra validità, illiceità e inefficacia della clausola di interessi, in Giust. Civ., 2000, p.467, A.Xxxxxx, Retroattività e contratto. Disciplina negoziale e successione di norme nel tempo, Napoli, 2007, p.218.
196 Cass. 00.0.0000 x.0000 con nota di X. Xxxxxxx, Usura sopravvenuta e tutela del debitore, in Riv. Not., 2000, VI, p. 1445. Tuttavia vi sono pronunce successive (per le quali si rinvia ai paragrafi che seguono nel presente capitolo) che hanno ritenuto inammissibile la nullità sopravvenuta, afferamando
Ciò che colpisce è il grande sforzo ermeneutico compiuto da giurisprudenza e dottrina per cercare di adattare i presupposti applicativi dei rimedi invalidatori al caso di sopravvenienza normativa.197
Tuttavia ci si chiede se tale impegno, sicuramente lodevole, sia stato imposto dall’assenza di altri strumenti idonei a risolvere il problema.
Così non pare, vista l’esistenza dei rimedi risolutori che, per definizione, sono deputati ad intervenire in caso di malfunzionamento successivo al perfezionamento del negozio.198
che l’unico rimedio esperibile è quello dell’inefficacia. Pertanto, dalla pronuncia in commento non può desumersi un orientamento definitivo della giurisprudenza a favore dell’invalidità successiva.
197 Infatti la maggior parte dei contribute in material vertono proprio sull’opportunità di fare ricorso alla nullità successive piuttosto che all’inefficacia.
198 Sui quali si rinvia al successivo capitolo.
CAPITOLO III
I RIMEDI RISOLUTORI E MANUTENTIVI
1. Premessa
2. La risoluzione per impossibilità sopravvenuta
3. La risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta
4. I rimedi manutentivi: l’obbligo di rinegoziazione
1. Premessa
Sebbene gran parte del dibattito dottrinale sulle conseguenze contrattuali derivanti da una sopravvenienza normativa si sia incentrato sul binomio nullità o inefficacia successiva, non è mancato chi ha proposto soluzioni alternative.
In particolare, parte della dottrina, ancorché minoritaria, ha ritenuto opportuno ricorrere ai rimedi risolutori, come la risoluzione per impossibilità o per eccessiva onerosità sopravvenuta, piuttosto che a quelli invalidatori.199
Infatti, tali rimedi, al pari dell’inefficacia sopravvenuta,200 colpiscono il contratto inteso come rapporto, incidendo esclusivamente sulla sua funzione e lasciando impregiudicato il giudizio di validità del contratto come atto.201
Pertanto, per la tesi in esame, l’entrata in vigore di una norma successivamente alla conclusione del negozio, da’ origine ad un’ipotesi di risoluzione legale del contratto, poiché l’estinzione dello stesso ha luogo alla luce degli articoli 1463 e 1467 c.c.
Tale risoluzione ha altresì funzione rimediale, poiché il suo obiettivo è quello di fornire una via di uscita a fronte di un malfunzionamento del contratto, derivante da un fattore sopravvenuto.202
Ciò premesso, si ritiene opportuno evidenziare fin dal principio il punto critico delle teorie in esame.
La risoluzione del contratto, nelle ipotesi in cui assolve ad una funzione rimediale,203 interviene a fronte di un evento sopravvenuto che, incidendo su una delle prestazioni,
199 X. Xxxxxxxx, Mutuo Usurario e Invalidità del contratto, Torino, 2001; X. Xxxxxxx, I mutui usurari tra logica imperativa ed analisi economica del diritto, in Contr. e impr., 2001 p.644; A. Xxxxxx, Retroattività e contratto. Disciplina negoziale e successione di norme nel tempo, Napoli, 2007; G. Xx Xxxx, Lexxx xull’usura e mutui anteriori, in Italia oggi, 4.3.1998, p.5.
200 Sulla quale si rinvia al precedente capitolo.
201 X. Xxxxx, Il contratto, in Tratt. Dir. Priv., a cura di X. Xxxxxx x X. Xxxxx, Milano, 2011, p. 875; X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxxx, Manuale di diritto civile, Roma, 2015, p. 996.
202 Di regola le cause generali di risoluzione operano a fronte di un malfunzionamento del contratto generato da fattori sopravvenuti alla conclusione del medesimo. Tuttavia vi sono alcune eccezioni in cui i difetti del negozio sono già presenti al tempo del suo perfezionamento; è il caso, ad esempio, del contratto di vendita, per il quale gli artt. 1492, 1479, 1480, 1482 c.c prevedono la possibilità di risoluzione, qualora il bene presenti vizi materiali o funzionali o vizi giuridici che impediscono l’attuazione o la piena realizzazione dell’impegno traslativo del venditore. In questi casi la qualificazione ed il trattamento talora sconfinano nell’area dell’invalidità (sub specie di annullabilità).
203 La risoluzione può avere anche funzione non rimediale, ossia rispondere ad una logica diversa dall’esigenza di reagire a disturbi del contratto; tale effetto può discendere, ad esempio, dall’avveramento della condizione risolutiva oppure dall’esercizio del diritto di recesso convenzionale.
perturba il rapporto negoziale in danno di uno dei contraenti, aggravando il sacrificio che il contratto gli impone o diminuendo l’utilità che il medesimo gli arreca.
Così inteso, il rimedio in questione è previsto nell’interesse particolare del contrante colpito dall’evento successivo alla formazione del contratto che, in linea di principio, vi potrebbe anche rinunciare.204
Tale funzione di protezione individuale appare in contrasto con quella tipica delle norme imperative, che sono poste, come più volte sottolineato, a tutela di un interesse generale e che per tale motivo operano laddove l’autonomia negoziale non trova spazio.
La differente finalità si riflette anche sulla disciplina che regola l’istituto.
Infatti, solo le parti e non i terzi, ancorché interessati, sono legittimate a richiedere la risoluzione; inoltre, l’avvenuta risoluzione per impossibilità sopravvenuta dell’oggetto, che opera di diritto, non è rilevabile d’ufficio dal giudice, essendo qualificata quale eccezione in senso stretto.
Da questo punto di vista, il regime giuridico proprio della nullità, con la sua legittimazione allargata e la possibilità di rilievo officioso, si rivela sicuramente maggiormente conforme alle finalità di tutela dell’interesse pubblico perseguite dal legislatore.
Tuttavia, è bene evidenziare che la nullità sopravvenuta, così come concepita dalla dottrina e dalla giurisprudenza che ne sostengono l’ammissibilità, presenta tratti tanto peculiari da rendere plausibile una sua assimilazione al rimedio risolutorio.205 L’efficacia ex nunc che la contraddistingue legittima tale confronto, perché in tal modo il rimedio invalidatorio finisce per incidere sui soli effetti del contratto, precludendo al medesimo di produrli esclusivamente per il momento successivo all’entrata in vigore della sopravvenienza normativa.
204 X. Xxxxx, op.cit., p. 882. Tale funzione di protezione individuale spiega lo spazio lasciato all’autonomia negoziale delle parti nella fissazione dei presupposti, dei limiti e delle modalità di operatività del rimedio, anche in deroga alle norme di legge che pertanto debbono essere qualificate quali norme dispositive. La dottrina si è interrogata se l’autonomia di cui godono i contraenti possa spingersi fino al punto di escludere completamente l’esperibilità del rimedio risolutorio. Il problema non si pone per le rinunce successive al momento in cui tutti i presupposti per l’operatività del rimedio stesso si siano verificati, in quanto trattasi di atti di disposizione di diritti patrimoniali, in linea di principio disponibili. Il problema si pone per le rinunce o esclusioni preventive; dalle norme in tema di vendita (artt. 1487 e 1490 c.c.) si ricava il principio generale per cui tale rinuncia preventiva sarebbe possibile nei soli casi in cui il fatto idoneo a legittimarlo sia imputabile alla parte beneficiaria della rinuncia stessa. R. Xxxxx x G. De Nova, Il contratto, II, in Tratt. Sacco, III ed., Torino, 2004, p. 616.
205 X. Xxxxxx Xlmi, Contratto e norme imperative sopravvenute: nullità o inefficacia successiva e sostituzione di clausole, in Obbligazioni e contratti, 2006, I, p. 39.
Da un punto di vista dogmatico il ricorso ai rimedi risolutori appare il più corretto tra tutte le possibili soluzioni fino ad ora esaminate.
Infatti non si ravvisano motivi per non trattare il problema alla stregua di una sopravvenienza vera e propria che altera l’equilibrio sinallagmatico nella fase esecutiva del contratto, mentre appare insolito invocare rimedi che intervengono normalmente nella fase di perfezionamento dell’accordo, quali quelli invalidatori.
Se lo scopo perseguito dall’interprete che ritiene ammissibile una nullità o un’inefficacia sopravvenuta è quello di garantire al giudice la possibilità di rilevare il contrasto tra il negozio e la norma di nuova adozione, allora sarebbe sufficiente estendere tale possibilità anche nel caso di risoluzione per sopravvenuta incompatibilità dell’oggetto con la norma imperativa, giustificandola alla luce dell’interesse pubblico sotteso all’innovazione legislativa.206
Il ricorso ai rimedi risolutori si rivela più appropriato anche per quanto riguarda la disciplina degli effetti della risoluzione rispetto alle parti, atteso che l’art. 1458 c.c. esclude, nei contratti di durata, l’effetto retroattivo dello scioglimento e, pertanto, evita all’interprete di dover ammettere l’esistenza di una forma di nullità con efficacia ex nunc.
Detto in altri termini, la risoluzione per impossibilità sopravvenuta (sub specie di impossibilità giuridica), ancorché con il correttivo che prevede una legittimazione allargata ad azionarla, sembra essere il rimedio più appropriato per disciplinare le conseguenze derivanti dall’introduzione di una nuova norma non derogabile che altera l’equilibrio tra le originarie pattuizioni dei contraenti.
A sostegno della fondatezza di quanto appena detto potrebbe essere invocata, per quanto riguarda la giurisprudenza, una recente pronuncia della Corte di Cassazione che parrebbe, tra le righe, sostenere la tesi a favore del ricorso ai rimedi risolutori.
Infatti le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nel ritenere prive di pregio sia la tesi della sopravvenuta inefficacia sia quella della nullità successiva, hanno espressamente affermato che: “ far salva la validità e l’efficacia della clausola contrattuale non significa negare la praticabilità di altri strumenti di tutela del mutuatario, ove ne ricorrano gli specifici presupposti; significa solamente negare
206 L’applicazione della legittimazione allargata e dell’imprescrittibilità dell’azione in caso di risoluzione del contratto per contrasto con norma imperativa è stata sostenuta da X. Xxxxx, op. cit., p.704. Sarebbe altresì utile escludere l’automaticità che caratterizza la risoluzione per impossibilità sopravvenuta, lasciando alle parti la possibilità di rinegoziare i termini contrattuali in modo tale da renderli compatibili con il mutato contesto normativo. Su tale aspetto si rinvia al successivo paragrafo nel presente capitolo sugli obblighi di rinegoziazione.
che uno di tali strumenti sia costituito dall’invalidità o inefficacia della clausola in questione.”207 e tra tali rimedi a disposizione della parte danneggiata dalla sopravvenienza non possono non esservi, a parere di chi scrive, quelli risolutori.
207 Cass. S.U. del 19 ottobre 2017 n. 24675 con nota di: X. Xxxxxx, Il tramonto dell’usura sopravvenuta, in I contratti, 2017, 6, p. 637; G. Xxxxxx, Le Sezioni Unite e il de profundis per l’usura sopravvenuta, in Corr. Giur., 2017, 12, 1484; S. Xxxxxxxxxxx, Usurarietà sopravvenuta ed il canone delle S.S. U.U.: ultimo atto?, in Corr. Giur., 2017, 12, 1484; X. Xxxxxxxx, Usura sopravvenuta. C’era una volta?, in Foro. It., 2017, 11, Parte I, p. 3274; G. Xx Xxxxx, Usura sopravvenuta e “sana e prudente gestione” della banca: le Sezioni Unite impongono di rimeditare la legge sull’usura a venti anno dall’entrata in vigore, in Foro. It., 2017, 11, Parte I, p. 3274; X. Xxxxx, L’irrilevanza dell’usura sopravvenuta alla luce del vaglio (forse) definitivo delle S.U., in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2018, 4, p.517; X. Xxxxxxxxxxxx, L’usura sopravvenuta al vaglio delle Sezioni Unite, in Giur, it., 2018, 1, p.40. La Corte in motivazione ribadisce più volte che la pretesa di ricevere interessi sopra la soglia di usura non può essere considerata un comportamento contrario a buona fede ma, in ogni caso, la violazione di tale principio legittima solamente il ricorso al rimedio risarcitorio, salvo che assuma i caratteri di gravità necessari perché possa essere pronunciata la risoluzione del contratto per inadempimento.
2. La risoluzione per impossibilità sopravvenuta
Per una parte della dottrina il rimedio risolutorio adatto a determinare le conseguenze del contratto colpito da una sopravvenienza normativa è quello previsto per il caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione, disciplinato dagli articoli 1463 e seguenti del codice civile.208
Come è noto, il rimedio è azionabile dalle parti209 in presenza di tre presupposti che vengono identificati rispettivamente: nell’ impossibilità della prestazione, nel carattere sopravvenuto di tale impossibilità ed infine nella non imputabilità alla parte colpita del fatto da cui origina.
E’ richiesto che l’impossibilità sia successiva perché, qualora fosse anteriore o coeva alla stipulazione, il contratto sarebbe affetto da invalidità per carenza di un elemento strutturale del contratto, ex art. 1418 comma secondo c.c.
L’evento da cui scaturisce l’impossibilità deve essere altresì non imputabile alla parte impossibilitata, perché altrimenti questa sarebbe chiamata a rispondere per inadempimento alla luce degli artt. 1218 e 1453 c.c.
Maggior impegno esplicativo richiede invece concetto di impossibilità della prestazione.
Il codice civile non fornisce a proposito alcuna definizione ma si limita a determinarne le conseguenze, sia nella disciplina dedicata all’obbligazione (artt. 1218, 1256 s.s. c.c.), sia nella parte dedicata al contratto in generale (artt. 1463 s.s. c.c).
Pertanto, attorno a tale concetto si è sviluppato un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale che sembra oggi giunto alla soluzione di considerare l’impossibilità della prestazione un concetto relativo, distinto dall’imputabilità,210
208 A. Xxxxxx, Retroattività e contratto. Disciplina negoziale e successione di norme nel tempo, Napoli, 2007; G. Xx Xxxx, Lexxx xull’usura e mutui anteriori, in Italia oggi, 4.3.1998, p.5.
209 X. Xxxxx, Il Contratto, in Tratt. Dir. Priv., a cura di X. Xxxxxx x X. Xxxxx, Milano, 2011, p. 936; la risoluzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione è un rimedio azionabile esclusivamente ad istanza di parte e non rilevabile d’ufficio dal giudice. Può essere invocato sia dalla parte che doveva ricevere la prestazione divenuta impossibile, per liberarsi dell’obbligo di eseguire la controprestazione o per ripetere la prestazione già eseguita, sia dalla parte impossibilitata che la farà valere soprattutto in via di eccezione, quando sia convenuta per l’adempimento o per la risoluzione per inadempimento.
210 L’imputabilità rappresenta la fase successiva all’avvenuto accertamento che la prestazione è divenuta impossibile; tale giudizio deve essere condotto sulla base dei diversi criteri che di volta in volta vengono in rilievo ed in particolare a seconda che si tratti di una responsabilità oggettiva o per colpa.
che merita di essere declinato in base al tipo di rapporto che viene in considerazione.211
L’impossibilità della prestazione è considerata oggi un concetto giuridico e non naturalistico, da ricostruirsi in base al rapporto rimasto inadempiuto, dei mezzi destinati alla sua esecuzione e dei rischi che originariamente le parti si sono assunti.212
Ovviamente la sopravvenienza di norma imperativa deve essere inquadrata nell’ambito dell’impossibilità giuridica che dà origine alle medesime conseguenze di quella materiale.
Parte della dottrina ha sussunto le ipotesi di sopravvenienza normativa nella categoria del factum principis, ossia dei tipici eventi che liberano il debitore, soluzione che sembra essere stata condivisa anche da parte della giurisprudenza, ancorché minoritaria.213
211 Lo ripercorre analiticamente G. Villa, Xxxxx e risarcimento contrattuale, in Tratt. del contratto, a cura di X. Xxxxx, I rimedi vol.2. Nel tempo, due sono le teorie principali che si sono contese la scena: quella proposta da Xxxxxxxx, fondata su una visione di impossibilità concepita in termini soggettivi, che pone l’attenzione sullo sforzo diligente che può essere preteso dal debitore ex art. 1176 c.c. e quella di Xxxx, che diversamente pretende un’impossibilità oggettiva al fine di liberare il debitore inadempiente.
212 G. Villa, op. cit., p.42; l’Autore distingue tra obbligazioni pecuniarie, di dare cose generiche, di fare e, all’interno di quest’ultima categoria tra obbligazioni di mezzi e risultato.
213 X. Xxxxxx, op.cit., p. 234; assimilate all’ipotesi di sopravvenienza normativa figurano anche l’adozione successiva di un provvedimento amministrativo o giurisdizionale idoneo ad incidere sul contratto. In giurisprudenza si segnala Cass. 19 agosto 1992, n. 9658, in Rep. Foro. it., 1992, voce Contratto in genere, c.679, n. 409, chiamata a pronunciarsi sugli effetti derivanti dall’abolizione del regime del monopolio legale per l’approvvigionamento e la vendita del latte alimentare nella zona urbana comunale ad opera del Regolamento Cee n. 1411 del 29 giugno 1971 sul contratto con il quale la locale Centrale si era obbligata a trasferire il terreno e gli stabilimenti su di esso esistenti al Comune che le aveva concesso la privativa; in particolare la Corte ha affermato che: “Il contratto con il quale il Comune, vigente il monopolio per l'approvvigionamento e la vendita di latte alimentare nel territorio comunale, ha concesso ad una società la privativa per l'esercizio di detto monopolio, per un determinato numero di anni e verso l'obbligo della concessionaria di trasferire al Comune, alla scadenza, lo stabilimento industriale e gli impianti dell'azienda senza la corresponsione di speciali compensi e indennità, è un contratto a prestazioni corrispettive. Ne consegue che, abolito il regime di monopolio con l'entrata in vigore del Regolamento CEE n. 1411 del 29 giugno 1971 e risoluto il contratto per sopravvenuta impossibilità delle reciproche prestazioni, a norma dell'art. 1463 cod. civ., che richiama le disposizioni sull'indebito (Art. 2033), la società è tenuta a restituire al Comune l'eventuale eccedenza di ricavi di cui risulti aver goduto, alla data della risoluzione, rispetto al valore dei beni ed impianti aziendali promessi e non trasferiti”; Ancora, Cass. 4 aprile 1989 n.3986, in Rep. Xxxx.xx., 1989, voce Lavoro (rapporto), c. 1794, n. 2086 ha statuito che la legge 29 maggio 1982, n.297, che aveva soppresso il Fondo per la corresponsione di un’indennità di risoluzione del rapporto di lavoro presso l’Istituto nazionale delle assicurazioni, libera il contraente dell’obbligazione di pagamento dei premi all’assicuratore; ed infine, in materia di intermediazione finanziaria, sugli effetti scatuenti dalla legge n.1 del 1991, che ha riservato alle società di intermediazione mobiliare la conclusione dei contratti di domestic indexed lira swap Cass. 5 aprile 2001 n. 5052, in Foro. It.,c. 2185 s.s., con nota di X. Xxxxxxxxx; Cass.7 marzo 2001 n. 3272, in Rep. Foro .it., 2001, voce Contratto in genere, p.795, n.448 è giunta ad un’analoga soluzione.
Anche nel caso di impossibilità della prestazione derivante da una sopravvenienza normativa può trovare applicazione l’art. 1464 c.c., che disciplina l’ipotesi di impossibilità parziale.
In questi casi sarà fondamentale valutare l’interesse che il creditore conserva ad ottenere solamente la parte della prestazione non in contrasto con la norma imperativa sopravvenuta perché, dalla sussistenza o meno di esso, avrà luogo o la riduzione della controprestazione o il recesso (legale) dal contratto.
Potrebbe anche darsi che la norma imperativa venga introdotta in via d’urgenza attraverso l’esercizio del potere normativo attribuito al Governo, ed in particolare tramite l’adozione di un decreto legge.
In questi casi può profilarsi un’impossibilità temporanea determinata dalla nuova disposizione introdotta, perché il decreto legge necessita di conversione in legge ordinaria ad opera del Parlamento entro il termine perentorio di sessanta giorni, altrimenti, secondo il disposto dell’art. 97 Costituzione, perde efficacia retroattivamente.214
In siffatta ipotesi, l’art. 1256 c.c. esclude l’immediata risoluzione del contratto, esonerando la parte impossibilitata da qualsiasi profilo di responsabilità per inadempimento, salvo che l’impossibilità perduri fino a quando il creditore non abbia più interesse a ricevere la prestazione o il debitore non possa più considerarsi obbligato.
Pertanto, se il decreto legge non è oggetto di conversione in legge ordinaria l’impossibilità verrà meno e il contratto riprenderà ad avere regolare esecuzione; invece nel caso di conversione, l’impossibilità diverrà definitiva e quindi il negozio non potrà che risolversi, salvo il caso di impossibilità parziale con applicazione della relativa disciplina.
A testimoniare la fondatezza della teoria in esame, la dottrina ha sottolineato che almeno in un’occasione è stato lo stesso legislatore a prevedere espressamente il ricorso alla risoluzione in caso di mancato adeguamento dei contratti preesistenti al contenuto della nuova disposizione inderogabile introdotta, soluzione che potrebbe
214 Infatti l’art. 77 della Costituzione specifica che in caso di mancata conversione del decreto legge questo perde efficacia e si considera come mai emanato, travolgendo anche gli effetti nel mentre prodotti che, pertanto, vengono meno retroattivamente. Tuttavia il medesimo articolo permette al Parlamento di regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.
indicare una preferenza verso tale rimedio rispetto a quelli invalidatori, applicabile anche in assenza di un’espressa disposizione di diritto transitorio.215
Tuttavia l’orientamento dottrinale in esame non è stato unanimemente condiviso, atteso che le critiche sono state molteplici.
A proposito del contratto di mutuo e della corresponsione di interessi usurari sulla base della riforma introdotta con la legge n.108 del 1996216, è stato affermato che la soluzione che prevede il ricorso alla risoluzione per impossibilità sopravvenuta si pone in contrasto con lo spirito della riforma introdotta dal legislatore negli anni ’90.217
Infatti, la parte maggiormente interessata ad invocare il rimedio sarebbe il mutuante e non il mutuatario, interessato ad evitare di incorrere nella sanzione penale che punisce non solo la pattuizione di interessi sopra soglia, ma altresì la semplice corresponsione.
Ciò contrasta con l’intento legislativo che è rivolto in modo inequivocabile nella direzione di voler mantenere in essere il rapporto giuridico per tutelare il mutuatario che, in caso di scioglimento del rapporto, sarebbe tenuto a restituire immediatamente il capitale al tempo ottenuto.
Ed ancora, per un diverso orientamento, il rimedio in sé e per sé sarebbe configurabile ma, sul piano pratico, sarebbe difficilmente attuabile atteso che ai fini dell’esonero della responsabilità del debitore e dell’estinzione dell’obbligazione la legge attribuisce rilevanza ai soli “fatti causativi di impedimenti assoluti, obiettivi e definiti, tali cioè da rendere impossibile e non semplicemente più difficoltosa la prestazione”.218
215 Ci si riferisce all’ art. 10 del d.lgsl. 11.2.1998 n.32 in tema di somministrazione di gas petrolio liquefatto (GPL) che, oltre a modificare radicalmente per i contratti futuri la disciplina per la fornitura tra privati, ha stabilito per i contratti conclusi anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto, l’adeguamento degli stessi alla nuova normativa entro il 1 settembre 1998, prevedendo in caso contrario la risoluzione degli stessi con effetto immediato. La scelta del legislatore è chiara: non comminare la nullità delle clausole contrattuali avente un contenuto difforme all’art. 10 ma prevedere solo la risoluzione di diritto del contratto in caso di mancato adeguamento. La norma è stata applicata da Cass. 30.10.2003 n.16556, in I contratti, 2000, p.486 con nota di I. Castiglioni.
216 Sull’evoluzione del problema si rinvia alla nota n. 70.
217 X. Xxxxxxx, op. cit., p. 498.
218 C.G. Terranova, L’eccessiva onerosità dei contratti, in Codice Civile. Commentario, diretto da X. Xxxxxxxxxxxx, Milano, 1999, p.118; X. Xxxxxxxx, op.cit., p. 139. Tuttavia si è già osservato come l’idea oggi dominante sia quella di ritenere il concetto di impossibilità un concetto relativo che deve essere interpretato alla luce del singolo rapporto che viene in rilievo. Nel caso di specie sembra arduo ritenere che la novella legislativa non abbia comportato un’impossibilità della prestazione pecuniaria, ancorché parziale, ossia limitata alla corresponsione degli interessi superiori alla soglia fissata con decreto ministeriale. In questo caso viene all’attenzione il rilievo fatto poco prima incentrato sulla tutela del mutuatario; se il mutuante non avesse interesse a percepire la misura degli interessi sotto
3. L’eccesiva onerosità sopravvenuta
Fra le varie ipotesi elaborate, vi è altresì quella che fa leva sulle norme che prevedono l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione.219
Il rimedio è disciplinato dagli articoli 1467 e seguenti del codice civile e risulta imperniato, tra l’altro, sulla sussistenza di due requisiti fondamentali: la straordinarietà dell’evento che incide sull’equilibrio contrattuale e la non prevedibilità dello stesso da parte dei contraenti al momento della conclusione del contratto.
Tuttavia, è stato osservato come nella prassi, spesso le due circostanze vengano considerate un tutt’uno, perdendo la straordinarietà dell’evento autonomo rilievo e venendo così assorbita dalla non prevedibilità, il cui giudizio si impernia essenzialmente sulla valutazione del grado di specificità e di probabilità di verificazione del fatto sopravvenuto. 220
Anche la durata del contratto è sicuramente in grado di influire su tale valutazione: più questa è lunga, più aumenta il grado di probabilità, e quindi di prevedibilità, di certi eventi.221
xxxxxx, secondo il meccanismo della risoluzione parziale, potrebbe decidere di risolvere il contratto, penalizzando il debitore che sarebbe tenuto a restituire l’intero capital al tempo percepito.
219 Aderiscono alla teoria in esame: X. Xxxxxxxx, Mutuo Usurario e Invalidità del contratto, Torino, 2001; X. Xxxxxxx, I mutui usurari tra logica imperativa ed analisi economica del diritto, in Contr. e impr., 2001 p.644; X. Xxxxxx, Retroattività e contratto. Disciplina negoziale e successione di norme nel tempo, Napoli, 2007.
220 X. Xxxxx, Il contratto, in Tratt. Dir. Priv., a cura di X. Xxxxxx e X. Xxxxx, Milano, 2011, p. 953. Il giudizio sulla prevedibilità è un giudizio di fatto, incensurabile in Cassazione se adeguatamente motivato.
La straordinarietà di un evento deve essere valutata, esaminando elementi suscettibili di misurazione, quali la frequenza, le dimensioni e l’intensità. Un evento è quindi straordinario quando per almeno di di questi criteri è di rara verificazione statistica. Il concetto di imprevedibilità ha invece una dimensione soggettiva, poiché un avvenimento è tale quando un soggetto mediamente diligente non avrebbe potuto prevederne l’avvenimento, avuto riguardo alle circostanze concrete esistenti al momento della conclusione del contratto. X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxxx, Manuale di diritto civile, Roma, 2015, p. 998.
221 La dottrina registra una progressiva attenuazione del rigore con cui la giurisprudenza conduce tale giudizio che ha portato ad ammettere l’esperibilità del rimedio in ipotesi in cui prima veniva negato. E’ il caso, ad esempio, della perdita del potere di acquisto della moneta conseguente all’inflazione; negli anni immediatamente dopo l’entrata in vigore del codice civile la giurisprudenza negava il rimedio al contraente che dietro al trasferimento di un bene riceveva moneta svalutata perché, si diceva, che non sarebbero mai imprevedibili eventi che incidono sull’intero contesto nazionale, avendo portata generale. Successivamente tale orientamento è stato abbandonato poiché si è ritenuto che anche aventi aventi carattere generale, come l’inflazione ma anche come l’adozione di una disposizione normativa che per definizione ha carattere generale ed astratto, può essere fonte di onerosità sopravvenuta. X. Xxxxx, op. cit., p.954.
La dottrina in questione si è occupata dell’applicabilità del rimedio soprattutto con riguardo al contratto di mutuo, a seguito della riforma legislativa introdotta con la l. 108 del 1996 sul divieto di pattuizione di interessi usurari, che è intervenuta sia in materia civile, sia penale.222
Il problema è oggi superato alla luce della decisione con cui le Sezioni Unite della Corte di Cassazione223 hanno escluso che possa configurarsi un’usura sopravvenuta, considerando rilevante esclusivamente il momento della pattuizione e non quello della dazione.
Tuttavia le diverse soluzione al tempo proposte meritano di essere analizzate per verificare se da esse si possa ricavare un modello di ragionamento in grado di essere applicato a tutte le ipotesi di sopravvenienza di norma imperativa.
In tale ambito è stato dapprima osservato che la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta non sarebbe un rimedio esperibile da parte del mutuatario in ogni caso in cui gli interessi originariamente pattuiti si rivelino poi usurari, in quanto superiori al tasso soglia.224
Infatti è lo stesso codice civile a chiarire che il rimedio de quo non può essere azionato ogni qual volta in cui “la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto”225 e, sicuramente, la variazione dei tassi di interesse e dello stesso tasso soglia, non solo è un fenomeno normale e prevedibile ma connaturato al meccanismo sotteso al contratto di mutuo a tasso variabile.
Di talché è stato concluso che, anche a seguito della novella legislativa, il momento rilevante per la valutazione dell’usurarietà è quello della pattuizione e, poiché le oscillazioni dei tassi rientrano nell’alea normale del contratto, non assumono rilievo le variazioni successive al momento di conclusione del contratto, ancorché queste comportino un superamento del tasso soglia fissato trimestralmente con Decreto Ministeriale.
Diversamente, l’eccessiva onerosità sopravvenuta potrebbe configurarsi per il mutuatario, solo ove eventi straordinari ed imprevedibili comportino non un semplice ma significativo superamento del tasso soglia rispetto a quanto originariamente pattuito.226
222 Per l’evoluzione normativa si veda la nota n.70.
223 Cass. SS UU. Del 19.10.2017 n. 24675 su cui si rinvia alla nota n.70.
224 X. Xxxxxxxx, op.cit., p. 140.
225 Art. 1467 comma secondo c.c.
226 X. Xxxxxxxx, op. cit., p.140; L’Autore osserva che, vista la natura di contratto unilaterale del mutuo, sarebbe più corretto invocare l’applicazione dell’art. 1468 c.c. che, per i contratti con obbligazioni di
Sempre a proposito del mutuo, è stata ammessa l’esperibilità del rimedio, qualora nel caso di contratto di mutuo a tasso fisso, per eventi straordinari, il tasso di interesse fissato dal legislatore diminuisca in maniera apprezzabile, di modo che il tasso originariamente previsto dal contratto diventi eccessivamente oneroso.227
Tuttavia, per l’analisi del problema oggetto del presente studio non è opportuno prendere come paradigma la vicenda scaturita dall’entrata in vigore della l. 108/1996, perché trattasi di una storia peculiare, altresì complessa, non suscettibile di offrire soluzioni idonee ad essere facilmente applicate anche in ambiti diversi.228 Pertanto è utile chiedersi se, in generale, di fronte al sopraggiungere di una norma imperativa, possa essere azionato tale rimedio229.
E’ possibile che la disposizione inderogabile vieti la prestazione in sé; in questi casi non potrà essere invocata alcuna eccessiva onerosità sopravvenuta, perché la prestazione non è maggiormente dispendiosa per l’obbligato ma diviene impossibile giuridicamente, con conseguente risoluzione ex art. 1463 c.c. o 1464 c.c., qualora l’impossibilità sia solo parziale.
una sola parte, non prevede la risoluzione del contratto ma la sua reductio ad aequitatem, da attuarsi tramite la riduzione della prestazione oppure una modifica delle modalità di esecuzione della prestazione. Giungono alle medesime conclusioni anche: C. G. Terranova, L’eccessiva onerosità nei contratti, in Codice civile. Commentario, diretto da X. Xxxxxxxxxxx, Milano, 1999, p.118; X. Xxxxxxxx, I contratti tipici e atipici, Milano, 1995, p. 724; X. Xxxxxxx, In tema di mutuo e di eccessiva onerosità sopravvenuta, in Xxxx.xx., 1951, I, p.679. Secondo un’interpretazione risalente nel tempo il contratto di mutuo gratuito è un negozio reale e unilaterale, ossia con obbligazioni di una sola parte, poiché con la consegna del denaro sorge esclusivamente l’obbligazione restitutoria a carico del mutuatario. Il mutuo oneroso viene invece ricondotto all’interno della categoria dei contratti sinallagmatici, salvo poi il dibattito in merito alla possibilità di considerarlo quale negozio unilaterale, bilaterale o bilaterale imperfetto. Si rinvia a Commentario al codice civile, Dei singoli contratti, vol. III, arrt.1803-1860 a cura di X. Xxxxxxxxx, diretto da X. Xxxxxxxxx, Utet, 2011, p.146.
227 X. Xxxxxxx, op. cit., p. 640. Osserva che l’oscillazione del tasso di interesse non è solo un prevedibile nel contratto di mutuo a tasso fisso, ma è altresì il presupposto stesso del contratto; infatti, le parti prevedono in misura fissa dell’ammontare degli interessi da corrispondere proprio per sottrarsi alle variazioni che il tasso di interesse subisce nel tempo.
228 La complessità scaturisce da molteplici fattori tra i quali vale la pena di ricordarne alcuni; la norma imperativa è intervenuta sia in materia penale, riformando l’art. 644 c.p. considerando rilevante non solo la promessa ma anche la semplice dazione di interessi sopra soglia, sia in campo civile, modificando l’art. 1815 comma secondo c.c. prevedendo, con intento sanzionatorio, la conversione del mutuo da oneroso a gratuito in caso di pattuizione di interessi usurari e non più la riduzione entro il tasso consentito; infine il meccanismo delineato dalla legge 108/1996 prevede una periodica fluttuazione dei tassi di interesse, circostanza che implica la possibilità di un superamento del tasso soglia anche in corso di esecuzione del contratto.
229 In giurisprudenza l’esperibilità del rimedio è stata negata per difetto dei presupposti richiesti dalla norma da Tribunale di Milano 11 novembre 1982, Pretura di Roma 13 gennaio 1982 mentre è stato dichiarato ammissibile da Tribunale di Sanremo 27 ottobre 1982; i provvedimenti in questione sono intervenuti nell’ambito del diritto bancario e finanziario e, in particolare, sui contratti di borsa a premio semplice, c.d. “don’t”, che sono stati interessati da un provvedimento regolamentare della Consob che, di fatto, precludeva il compimento di operazioni speculative per le quali i contratti erano stati conclusi.
Questa soluzione presenta un inconveniente non di scarsa importanza; infatti, la risoluzione ex art. 1463 c.c., a differenza di quella legata all’eccessiva onerosità sopravvenuta, opera di diritto e, un’eventuale azione giudiziale sarà volta al mero accertamento dell’avvenuto scioglimento del vincolo contrattuale per il verificarsi dei presupposti richiesti dalla legge.
Tale circostanza impedisce al contraente la cui prestazione non è interessata dalla sopravvenienza normativa di rendersi disponibile a modificare l’oggetto del contratto, in modo tale da renderlo compatibile con le previsioni legislative e da renderlo parimenti idoneo a soddisfare gli interessi delle parti coinvolte.
Questa disponibilità, ove manifestata alla controparte, potrà valere tutt’al più come proposta che, se accettata, porterà alla stipulazione di un nuovo contratto, destinato a sostituirsi al precedente ormai risolto, nella regolazione dei rapporti patrimoniali tra gli interessati.
Può darsi altresì il caso in cui la disposizione non derogabile non incida sul negozio vietando direttamente la prestazione ivi dedotta, ma vi influisca in via secondaria, ad esempio vietando una determinata modalità di esecuzione, oppure eserciti indirettamente la sua influenza, incidendo sul costo necessario per la sua esecuzione. In tali ipotesi andrà vagliata caso per caso l’esperibilità del rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, verificando attentamente la sussistenza di tutti i presupposti richiesti dalla legge230 e prestando attenzione affinché il riconoscimento della legittimazione ad azionarlo non costituisca un espediente per aggirare l’applicazione della norma imperativa.
Invero, secondo attenta dottrina, esulano dal campo di applicazione degli articoli 1467 e seguenti c.c. tutte le ipotesi in cui le prestazioni siano conformate da norme imperative.231
Ciò ovviamente non significa escludere l’applicabilità del rimedio ogni volta in cui la norma imperativa incida sul contratto, essendo la risoluzione preclusa solamente nel caso in cui l’onerosità lamentata colpisca proprio l’interesse tutelato dalla norma inderogabile e non qualora lo squilibrio inerisca ad interessi diversi.232
230 Ovviamente nel giudizio rileverà anche il tempo in cui il contratto è stato concluso; infatti, la prevedibilità dell’evento sussisterà ogni volta in cui le parti hanno stipulato il contratto a ridosso del mutamento normativo.
231 X. Xxxxx, op. cit., p. 962.
232 X. Xxxxx, op.cit., p. 962. Ad esempio, qualora la legge incida sul contratto di locazione prorogando il termine finale e fissando in misura massima il canone da corrispondere, la risoluzione non potrà essere invocata, in quanto l’intervento legislativo mira proprio a tutelare il conduttore che verrebbe pregiudicato dalla concessione del rimedio.