LA CERTIFICAZIONE DEI CONTRATTI DI LAVORO
Alma Mater Studiorum Università degli Studi di Bologna
Dottorato di ricerca in Diritto del Lavoro
XIX Ciclo
LA CERTIFICAZIONE DEI CONTRATTI DI LAVORO
Tesi in DIRITTO DEL LAVORO
(Settore scientifico disciplinare IUS 07)
Relatore: Xxxxx.xx Xxxx. XXXXXXX XXXXXXXXXXXX
Coordinatore: Xxxxx.xx Xxxx. XXXXXXX XXXXX
Presentata da: XXXXXX XXXXXXXXX
Esame finale: anno 2007
INDICE SOMMARIO
CAPITOLO PRIMO
LA CERTIFICAZIONE TRA MODULAZIONE DELLE TUTELE E QUALIFICAZIONE DEI CONTRATTI DI LAVORO
1. Cenni sui profili di incidenza della certificazione 1
2. Alle “origini” dell’istituto: l’idea di Vallebona 5
3. La certificazione nello “Statuto dei lavori” 8
3.1. La “derogabilità assistita” di norme inderogabili
(xx xxxxxxx questioni sul drafting normativo) 8
3.2. La qualificazione “certificata” dei contratti di lavoro 14
4. Dallo “Statuto dei Lavori” al “Libro Bianco” 18
5. La certificazione come strumento di qualificazione dei contratti di lavoro
nella l. 30/2003 nel d. lgs. 276/2003 21
6. Segue: la non plausibilità di una ipotesi di derogabilità assistita nella
riforma del mercato del lavoro 25
7. Segue: l’incerta collocazione funzionale delle altre ipotesi di certificazione (artt. 82, 83 ed 84 del d. lgs. 276/2003) 33
CAPITOLO SECONDO
LA CERTIFICAZIONE DI FRONTE ALL’ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE DI QUALIFICAZIONE DEI CONTRATTI
1. Sulla specificità della qualificazione nel diritto del lavoro rispetto al diritto
dei contratti 40
2. L’idoneità qualificatoria del concetto di subordinazione e
gli indici di qualificazione nella giurisprudenza 46
3. La qualificazione dei contratti di lavoro tra metodo sussuntivo
e metodo tipologico 51
4. La compatibilità della certificazione con la funzione giurisdizionale di qualificazione dei contratti: l’imputazione della qualificazione alla
commissione di certificazione e non alle parti 55
5. Segue: sulla legittimità di una qualificazione “certificata”
alla luce degli artt. 24 e 102 Cost 59
6. La natura giuridica della certificazione 64
CAPITOLO TERZO
IL RISCONTRO EMPIRICO DELL’ATTIVITÀ DI CERTIFICAZIONE
1. I soggetti abilitati alla certificazione: in particolare sull’opportunità delle scelte del legislatore e sulla idoneità di tali soggetti nel qualificare
i contratti di lavoro 70
2. L’esperienza delle commissioni di certificazione costituite presso
le Direzioni provinciali del lavoro dell’Xxxxxx Xxxxxxx 76
2.1. Premesse minime sull’ambito della ricerca ed indicazione
dei dati statistici 76
2.2. Costituzione e funzionamento delle commissioni 78
2.3. La certificazione di soli contratti non ancora eseguiti nell’operato delle commissioni: una implicita esclusione della possibilità di certificare
contratti in xxxxx xx xxxxxxxxxx? 00
0.0. Sul valore discretivo delle “linee guida” ministeriali per la certificazione e sull’attività valutativa e decisionale delle
commissioni 89
CAPITOLO QUARTO CERTIFICAZIONE E TECNICHE DI TUTELA
1. Efficacia della certificazione ed autotutela delle autorità
amministrative 95
2. La tutela giurisdizionale nel d. lgs. 276/2003 100
2.1. L’impugnazione per erronea qualificazione del
contratto 100
2.2. L’impugnazione per difformità tra il programma negoziale certificato
e la successiva attuazione 103
2.2.1. Possibili situazioni di difformità tra programma negoziale certificato e la successiva attuazione:
la simulazione 106
2.2.2. Segue: la novazione oggettiva 110
2.3. L’impugnazione per i vizi del consenso: in particolare sull’errore di
diritto indotto dall’erronea qualificazione 113
2.4. L’impugnazione per eccesso di potere o per i vizi del procedimento 116
3. Sulla plausibilità dei ricorsi amministrativi verso l’atto
di certificazione 120
BIBLIOGRAFIA 124
CAPITOLO PRIMO
LA CERTIFICAZIONE TRA MODULAZIONE DELLE TUTELE E QUALIFICAZIONE DEI CONTRATTI DI LAVORO
Sommario: 1. Cenni sui profili di incidenza della certificazione - 2. Alle “origini” dell’istituto: l’idea di Vallebona - 3. La certificazione nello “Statuto dei lavori” - 3.1. La “derogabilità assistita” di norme inderogabili (ed annesse questioni sul drafting normativo) - 3.2. La qualificazione “certificata” dei contratti di lavoro - 4. Dallo “Statuto dei Lavori” al “Libro Bianco” - 5. La certificazione come strumento di qualificazione dei contratti di lavoro nella l. 30/2003 nel d. lgs. 276/2003 - 6. Segue: la non plausibilità di una ipotesi di derogabilità assistita nella riforma del mercato del lavoro - 7. Segue: l’incerta collocazione funzionale delle altre ipotesi di certificazione (artt. 82, 83 ed 84 del d. lgs. 276/2003)
1. Cenni sui profili di incidenza della certificazione
Un’analisi della disciplina che regola l’istituto della certificazione, introdotta con la l. 14 febbraio 2003, n. 30 e con il successivo d. lgs. di attuazione 10 settembre 2003, n. 276, può a nostro avviso dirsi completa ed esaustiva solo se si pone preliminarmente l’attenzione sui meccanismi che ne hanno costituito in qualche modo un antecedente. Xxxxxxxxx, non si intende sic et simpliciter passare in rassegna le varie proposte o iniziative progettuali varate sul tema a partire dai primi anni Novanta. Un simile approccio, infatti, non apporterebbe nulla di rilevante alla nostra ricerca e si risolverebbe in un’asettica ricostruzione del percorso politico e culturale che ha visto la certificazione di recente formalizzata in una disciplina legislativa.
Si vuole invece più utilmente trattare del contenuto di tali proposte sottolineandone gli aspetti critici, non ultimi quelli inerenti la tecnica normativa utilizzata per allestirle. In tal modo sarà possibile rilevare se e come l’attuale disciplina sulla certificazione è tributaria delle precedenti elaborazioni, con difetti e contraddizioni da queste ereditati, per meglio evidenziare così l’impatto che essa determina sul sistema del diritto del lavoro, via via che la trattazione si dipana.
Esaurite le premesse sull’approccio che ci si propone di seguire, per risalire alla scaturigine dei meccanismi di certificazione, e pertanto comprenderne la ratio, è necessario comunque avere presente il contesto in cui le relative proposte si inseriscono, nonché gli aspetti cui essa si riconnette e sulle quali è destinata ad incidere.
Un primo aspetto, su cui si dibatte particolarmente a cavallo fra gli anni Ottanta e gli anni Novanta – e le giornate di studio Aidlass di Udine del 1991 ne sono la riprova – concerne l’ambito di estensione per così dire oggettivo della disciplina eteronoma, id est il ruolo e gli spazi che l’autonomia individuale può occupare nella scelta e nella regolazione del rapporto di lavoro in confronto con la normativa inderogabile di origine legale o collettiva1.
Secondo l’impostazione tradizionale, nel diritto del lavoro l’autonomia individuale è compressa a vantaggio delle fonti normative eteronome perché non si tratta tanto di regolare gli interessi individuali che derivano dal contratto, quanto interessi di natura superindividuale nascenti dal conflitto industriale e dalle esigenze di governo della produzione. Per usare una nota espressione, nel diritto del lavoro diversamente che nel diritto civile il contratto fa nascere il rapporto ma non lo governa2: esso concorre a disciplinarlo ma nel quadro di un processo unitario in cui riveste un ruolo complementare e strumentale e dove la legge ed il contratto collettivo operano indipendentemente dall’accordo delle parti, attraverso la tecnica della inderogabilità peggiorativa della fonte eteronoma da parte del contratto individuale3.
In contrappunto alla tesi tradizionale, una parte della dottrina sostiene la rivalutazione dell’autonomia negoziale delle parti, per un diritto del lavoro meno intriso della logica eteronoma e più vicino al principio consensualistico del diritto comune. In tal senso, in un mercato in cui il lavoratore subordinato non è più monoliticamente rappresentato dal soggetto in stato di bisogno bensì si accresce la presenza di lavoratori che hanno acquisito un forte potere contrattuale, la limitazione dell’autonomia negoziale tramite la norma
1 Si tratta del X° Congresso Nazionale AIDLASS tenutosi ad Udine il 10, 11 e 12 maggio 1991, i cui atti sono pubblicati in AA.VV., Autonomia individuale e rapporto di lavoro, Xxxxxxx, Milano, 1994, con relazioni di M. D’ANTONA, L’autonomia individuale e le fonti del diritto del lavoro e X. XXXXXXXX, Autonomia individuale e sistema del diritto del lavoro, già pubblicate in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1991, rispettivamente 455 ss. e 489 ss.
2 X. XXXXXXX, L’influenza del diritto del lavoro sul diritto civile, in X. XXXXXXX, A. PROTO PISANI, X. XXXX XXXXXXXXXX, L’influenza del diritto del lavoro sul diritto civile, processuale civile, diritto ammnistrativo, in Giorn. dir. lav., rel. ind., 1990, 7.
3 M. D’XXXXXX, op. cit., 464 ss.
inderogabile non può essere l’unica tecnica di tutela nel diritto del lavoro; per cui accanto a questa è necessario rafforzare il potere effettivo di negoziazione del singolo lavoratore delle condizioni di lavoro e quindi, in ultima analisi, rivalutarne il consenso e la volontà nella creazione delle regole che disciplinano il rapporto4.
Un secondo aspetto di rilievo riguarda anche l’ambito per così dire
soggettivo di estensione della disciplina eteronoma.
Sullo sfondo c’è il noto dibattito sulla “crisi” della nozione di subordinazione quale criterio di legittimazione del diritto del lavoro come settore autonomo dell’ordinamento; la subordinazione, cioè, quale dato che riconduce solo a certi lavori, e non ad altri, una disciplina garantistica. Con le trasformazioni dei processi produttivi e delle modalità di organizzazione del lavoro, si sono infatti affermate nella realtà sociale forme di erogazione della prestazione che denotano una permeabilità tra lavoro subordinato e lavoro autonomo; talché la fattispecie di cui all’art. 2094 c.c., che “visualizza” la figura di lavoratore subordinato dell’impresa taylorista-fordista, si mostra non più in grado di rifletterle e sintetizzarle, determinando notevoli distorsioni nell’applicazione dei trattamenti economici e normativi5.
4 Si vedano in particolare gli scritti sul tema di X. XXXXXX (Subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, Xxxxxxx, Milano, 1989; Norma inderogabile e valorizzazione dell’autonomia individuale nel diritto del lavoro, in Riv. giur. lav., 1990, I, 77 ss., nonché l’intervento alla giornate di studio Aidlass di Udine: vedilo, in contrappunto alla replica di D’Antona, in Riv. giur. lav., 1992, I, 81 ss.) nonché X. XXXXX, Contributo alla studio della fattispecie lavoro subordinato, Xxxxxxx, Milano, 1989. Si tratta di un opzione che fa da pendant al più vasto movimento culturale che invoca la “riscoperta” dell’individuo, attraverso il recupero di spazi di autodeterminazione che consentano al lavoratore di esprimere i propri bisogni e le proprie aspirazioni rispetto alla figura massificata che il diritto del lavoro avrebbe determinato, per le sue caratteristiche di disciplina eteronoma ed uniformatrice: cfr. in proposito i saggi di X. XXXXXXX, Il diritto del lavoro e la riscoperta dell’individuo, in Giorn. dir. lav., rel. ind., 1990, 87 ss. e di X. XXXX XXXXXXXXXX, Diritto amministrativo, in X. XXXXXXX, A. PROTO PISANI, A. ORSI XXXXXXXXXX, L’influenza del diritto del lavoro sul diritto civile, processuale civile, diritto ammnistrativo, cit., 39 ss.
5 Non è ovviamente possibile in tale sede ripercorrere il dibattito sulla nozione di subordinazione e sulla sua disfunzione nella selezione della disciplina protettiva in confronto ai mutamenti di ordine economico, sociale ed organizzativo (su cui i noti rilievi a partire da X. XXXXXXXXX VIGORITA, Subordinazione e diritto del lavoro: problemi storico-critici, Xxxxxx, Xxxxxx, 0000: l’argomento verrà in parte ripreso nel secondo capitolo sub § 2). Per averne una dimensione, si vedano gli scritti raccolti in X. XXXXXXXXXX (a cura di), Lavoro subordinato e dintorni. Comparazioni e prospettive, Il Mulino, Bologna, 1989 e gli interventi di vari autori sul tema Il lavoro e i lavori pubblicati in Lav. dir., 1988 e 1989, nonché, con riferimento alle proposte di riforma degli anni Novanta (v. infra nel testo e nella nota seguente), X. XX XXXX XXXXXX, Per una revisione delle categorie qualificatorie del diritto del lavoro: l’emersione del lavoro coordinato, in Arg. dir. lav., 1997, 41 ss.; X. XXXXXXXXXX, Forme giuridiche del lavoro e mutamento della struttura sociale, in AA VV., Il diritto dei disoccupati, Studi in onore di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxxx, Milano, 1996, 293 ss.; ID., Lavoro sans phrase e ordinamento dei lavori. Ipotesi sul lavoro autonomo, in AA. VV., Studi in onore di Xxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxx, Milano, 1998, I, 397 ss.; ID., Dai lavori autonomi ai lavori subordinati, in Giorn. Dir. lav. rel. ind., 1998, 509 ss.; X. XXXXXXX, Il diritto del lavoro tra crisi della subordinazione e rinascita del lavoro autonomo, in Lav. dir., 1997, 173 ss.; X. XXXXX,
Nella constatata infruttuosità dei tentativi dottrinali di pervenire ad una più razionale distribuzione delle tutele operando sul piano meramente interpretativo della fattispecie6, si fa spazio da più parti la convinzione che sia necessario un intervento ad hoc del legislatore, ed a metà degli anni Novanta fioriscono diverse proposte di riforma accomunate dalla finalità di ridefinire il novero dei soggetti da proteggere7.
A ben vedere le istanze per una ridefinizione dell’ambito oggettivo e dell’ambito soggettivo di estensione della disciplina eteronoma si saldano in un certo senso nella proposta di chi ritiene che, garantito un nucleo minimo di tutele comune al lavoro autonomo ed al lavoro subordinato, la disciplina eteronoma debba ritrarsi, lasciando il singolo libero di determinare il proprio assetto di interessi. In altri termini, si propone di “non far più coincidere la linea di confine tra l’area della tutela inderogabile e quella della libertà formale degli individui con la linea di confine tra i diversi tipi di contratto di lavoro, ma di farla passare all’interno delle due aree del lavoro subordinato e del lavoro autonomo, per assicurare a tutti i lavoratori la tutela inderogabile minima indispensabile e lasciare tutti i lavoratori liberi nella negoziazione dei rispettivi assetti di interessi con la controparte al di sopra di quel livello minimo”8.
Un terzo aspetto di rilievo ai fini della trattazione concerne, infine, la situazione di crisi che investe, in quegli anni come ora, il funzionamento della
X. XXXXXXXXXX, Le proposte legislative in materia di lavoro parasubordinato: tipizzazione di un tertium genus o codificazione di uno “Statuto dei lavori”, in Lav. dir., 1999, 571 ss.
6 X. XXXXXXX, op. cit., 182 s.; X. XXXXX, X. XXXXXXXXXX, op. cit., 572 ss.
7 Si tratta non solo di formali iniziative legislative ma anche di proposte dottrinali, talvolta aventi i crismi di un vero articolato normativo, apparse tra il 1997 ed il 1998: fra le prime v. il d.d.l. n. 2049 a firma dei senatori Xxxxxxxxx, Xx Xxxx e altri su Norme per la tutela dei lavori atipici presentato al Senato il 29 gennaio 1997; il d.d.l. n. 3423 a firma dei deputati Mussi, Xxxxxxxxx e altri su Norme per l’inquadramento giuridico e per la tutela della parasubordinazione e del lavoro autonomo non regolamentato, presentato alla Camera dei deputati il 13 marzo 1997; il d.d.l. 3972 a firma dei deputati Lombardi, Xxxxxxx e altri su Disciplina del contratto di lavoro coordinato, presentato alla Camera dei Deputati il 9 luglio 1997; il progetto di legge per uno “Statuto dei lavori”, elaborato in sede ministeriale nel 1998 (su cui infra §§ 3 e 4); fra le seconde cfr. X. XX XXXX XXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, La crisi della nozione di subordinazione e della sua idoneità selettiva dei trattamenti garantistici. Prime proposte per un nuovo approccio sistematico in una prospettiva di valorizzazione di un tertium genus: il lavoro coordinato, in AA. VV., Autonomia e subordinazione: vecchi e nuovi modelli, in Quad. dir. lav. rel. ind., 1998, 331 ss.; le proposte di X. XXXXXX e X. X’XXXXXX (entrambe in X. XXXXXX [a cura di], La disciplina del mercato del lavoro, Ediesse, Roma, 1996, rispettivamente 191 ss. e 195 ss.) nonché quanto sostenuto da X. XXXXXX, Il lavoro e il mercato. Per un diritto del lavoro maggiorenne, Mondadori, Milano, 1996, passim (ma vedi già ID., Subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, cit., 241 ss.) e da X. XXXXXXXXXX, Lavoro sans phrase e ordinamento dei lavori. Ipotesi sul lavoro autonomo, cit.
8 X. XXXXXX, Il lavoro e il mercato, cit., 56.
giustizia del lavoro. Come noto essa sconta, per una molteplicità di ragioni già altrove ampiamente investigate, un perdurante deficit di effettività nel soddisfare le istanze di tutela sottese al caso concreto9, testimoniato dall’elevato numero di controversie pendenti e dalla loro eccessiva durata, in aperta violazione dell’art. 111 Cost. sulla ragionevole durata del processo e al di sotto degli standard degli altri Paesi dell’Unione europea10.
Al riguardo le proposte relative alla certificazione si inseriscono nel quadro degli interventi legislativi varati in quegli anni al fine di deflazionare il contenzioso giudiziario attraverso il potenziamento o l’introduzione di strumenti di risoluzione alternativa delle controversie: dalla previsione della obbligatorietà del tentativo di conciliazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle controversie, sia nel settore pubblico che nel settore privato, alla riduzione dei motivi di impugnazione del lodo arbitrale (artt. 410 ss. c.p.c novellati dagli artt. 32 ss. del d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e 19 del d. lgs. 29 ottobre 1998, n. 387); fino, più di recente, agli strumenti di natura conciliativa introdotti con la disciplina di riordino dell’attività ispettiva
– la conciliazione monocratica e la diffida accertativa per i crediti patrimoniali (artt. 11-12 del d. lgs. 23 aprile 2004, n. 124) – nonché all’accertamento in via incidentale sulla validità, efficacia o interpretazione di una clausola del contratto collettivo, previsto ora anche nel settore privato (art. 412 bis c.p.c introdotto dall’art. 18 del d. lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) oltre che in quello pubblico (artt. 63-64 del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165).
2. Alle “origini” dell’istituto: l’idea di Vallebona
In un siffatto contesto la certificazione trova la sua primogenitura in uno scritto di Xxxxxxx Xxxxxxxxx dei primi anni Novanta11.
9 Per uno schizzo sulle ragioni della crisi del processo del lavoro v., più di recente, X. XXXXXX,
Domanda di giustizia e processo del lavoro, in Giur. it., 2001, VI, 1289 ss.
10 Dalla relazione pronunciata in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2005 dal procuratore generale della Corte di Cassazione Xxxxxxxxx Xxxxxx (in xxx.xxxxxxxxx.xx/xxxxxx/xxxxx_xx/xxxx0000xxxxx.xxx), risulta che nel 2004 erano pendenti innanzi ai tribunali 975.268 processi, seppure in leggera flessione rispetto all’anno precedente, e 118.872 processi in appello, con un incremento rispetto al 2003. Spicca inoltre il dato relativo alla durata media delle controversie in materia di previdenza sociale, di 938 e 936 giorni rispettivamente per il primo e per il secondo grado di giudizio.
11 X. XXXXXXXXX, Norme individuali e certezza del diritto: prospettive per la volontà assistita, in
Dir. lav., 1992, I, 479 ss.
L’idea dell’Autore si muove nella medesima direzione di chi rivendica a favore del lavoratore una “personalizzazione” del regolamento contrattuale12, ma parte da una premessa diversa.
La riflessione si incentra sul fatto che la tecnica della norma inderogabile in peius dalle pattuizioni individuali determinerebbe un forte costo in termini di certezza del diritto quando contiene un precetto generico (come, ad esempio, per la giustificazione nel licenziamento o nel trasferimento del lavoratore o semplicemente per la nozione di lavoratore subordinato) piuttosto che un precetto specifico (ad esempio, quelli in materia di retribuzione minima, di misura minima del preavviso, di durata massima dell’orario di lavoro, ecc.). In questi casi la legittimità della pattuizione individuale non sarebbe conoscibile ex ante ma solo in seguito all’intervento del giudice la cui valutazione, proprio per la genericità del precetto, è influenzata da un determinato giudizio di valore nella mediazione dei contrapposti interessi ed è perciò poco prevedibile13.
“Si può discutere – sostiene l’Autore – se l’indispensabile protezione degli interessi della parte debole debba continuare ad essere affidata al controllo successivo da parte del giudice circa il rispetto delle normative inderogabili legali e collettive, con i conseguenti costi in termini di certezza, oppure se sia prospettabile l’introduzione di una qualche forma di controllo preventivo sulle pattuizioni individuali, con eliminazione ab origine di ogni dubbio sulla validità delle stesse”14.
Ciò che Vallebona ha in mente è un modello di disciplina, ricalcato sull’art. 2113 c.c. in materia di rinunzie e transazioni, che si estenda “dalla fase di disposizione dei diritti alla fase della regolazione del rapporto, al fine di consentire, almeno per certi istituti, una disciplina individualizzata e certa, sottratta al controllo successivo del giudice circa il rispetto delle norme inderogabili proprio in quanto valutata ed approvata preventivamente dal soggetto garante indicato dalla legge”15. L’idea è quella di mutuare le soluzioni
c.d. di “autonomia individuale assistita” o “derogabilità assistita”, dal diritto
12 Non a caso lo spunto di Vallebona matura in un intervento alle giornate di studio Aidlass del 1991, pur non venendo discussa nel successivo dibattito, come ricorda X. XX XXXXXXX, Le certificazioni all’interno della riforma del mercato del lavoro, in Riv. it. dir. lav., 2004, I, 236.
13 Si tratta di considerazioni che compaiono in scritti successivi dell’Autore, nel contesto del più generale tema dell’incertezza nel diritto del lavoro e delle tecniche atte a ridurla: si veda da ultimo
X. XXXXXXXXX, Tecniche normative e contenzioso lavoristico, in Arg. dir. lav., 2005, 253 ss.
14 X. XXXXXXXXX, Norme individuali e certezza del diritto, cit., 480.
15 X. XXXXXXXXX, op. loc. ult. cit.
agrario e dal diritto delle locazioni, dove la disciplina eteronoma può essere derogata con l’assistenza di determinati soggetti sindacali16.
Ma nelle intenzioni dell’Autore il meccanismo potrebbe andare oltre questa prospettiva ed essere funzionale alla qualificazione del rapporto di lavoro così “personalizzato”. In tal senso, si afferma che “il modello della volontà assistita potrebbe essere utilizzato non solo per fissare la disciplina del rapporto di lavoro, ma anche per la preliminare scelta del tipo negoziale con particolare riferimento all’alternativa lavoro autonomo-lavoro subordinato ora regolata dalla norma inderogabile dell’art. 2094 c.c. […]. In questa ipotesi il soggetto terzo dovrebbe fornire ex ante una valutazione inoppugnabile circa la rispondenza dell’accordo proposto dalle parti al tipo negoziale prescelto, eventualmente avvalendosi di schemi predisposti in sede collettiva”; in tal modo si “sdrammatizzerebbe il problema della qualificazione del rapporto, comunque sottoposto alla regolamentazione specifica e certa approvata in xxx xxxxxxxxxx”, xxxxx restando “l’eventualità di controversie fondate sull’affermazione di uno scostamento di fatto nella fase esecutiva del regolamento concordato”17.
Per quanto detto, il meccanismo prefigurato da Vallebona si differenzierebbe dagli altri strumenti di composizione stragiudiziale delle controversie i quali presuppongono di norma che sia emersa la questione oggetto di una potenziale lite in giudizio. Operando una riduzione del tasso di incertezza connaturato a taluni precetti inderogabili, esso mirerebbe infatti a prevenire il contenzioso giudiziario che questi contribuiscono ad innescare prima ed indipendentemente dal fatto che si creino le condizioni della lite.
Anche grazie alle suggestioni provenienti dai Paesi di common law, tale meccanismo può essere comunque considerato, al pari degli altri, un c.d.
16 Si allude rispettivamente all’art. 45 della l. 3 maggio 1982, n. 203 ed all’art. 11, 2° co., della l. 8
agosto 1992, n. 359, norma poi abrogata dall’art. 14. 3° co., della l. 9 dicembre 1998, n. 431: su tali meccanismi, in un’ottica di confronto con la disciplina giuslavoristica, v. per tutti X. XXXX, Norma inderogabile e autonomia individuale assistita, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1998, 603 ss.
17 X. XXXXXXXXX, op. ult. cit., 480 s. Negli scritti successivi alla riforma del mercato del lavoro del 2003, Vallebona ha sempre protestato la “abissale differenza” tra la sua proposta e la certificazione regolata nel d. lgs. 276/2003 rilevando che nel “sistema della volontà assistita, non viene qualificata una fattispecie, ma viene convenuta dalle parti la disciplina del rapporto, anche in deroga alla normativa legale e collettiva in virtù dell’assistenza di un soggetto imparziale considerata dal legislatore sufficiente ed insindacabile garanzia di equità” (X. XXXXXXXXX, Tecniche normative e contenzioso lavoristico, cit., 268); è vero però che nel suo scritto si rinviene “se non la posizione stessa dell’equivoco, una sorta di prima esemplificazione della sua latenza”:
X. XXXXX, La certificazione dei contratti lavoro, in X. XXXXXXX, P.A. VARESI (a cura di), Organizzazione del mercato del lavoro e tipologie contrattuali. Commentario ai decreti legislativi n. 276/2003 e n. 251/2004, Giappichelli, Torino, 2005, 599.
alternative dispute resolution, accomunato ad essi dall’elemento negativo di essere estranei all’esercizio della potestà giurisdizionale dello Stato18.
3. La certificazione nello “Statuto dei lavori”
3.1. La “derogabilità assistita” di norme inderogabili (ed annesse questioni sul drafting normativo)
Per la prima volta con il termine “certificazione”, l’idea viene raccolta e sviluppata qualche anno più tardi da Xxxxx Xxxxx e da Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, nel
c.d. “Statuto dei lavori”; dapprima, nella Ipotesi di lavoro per la predisposizione di uno Statuto dei lavori del 1997 (d’ora in avanti Ipotesi), quindi nel Progetto per la predisposizione di uno Statuto dei lavori del 1998 (d’ora in avanti Progetto), elaborato nell’ambito del Ministero del Lavoro del Governo di centro-sinistra, benché mai tradotto in un formale disegno di legge, e nel quale sono trasfuse le linee programmatiche del primo documento19.
Ad una prima analisi della Ipotesi si ha però l’impressione di un cambio di prospettiva rispetto a quanto immaginato da Vallebona. Scorrendo le pagine iniziali del documento si apprende che l’obiettivo sotteso all’idea riformatrice non deve consistere nel ripensare il diritto del lavoro nelle sue strutture portanti, in particolare attraverso una rimodulazione delle tutele verso il lavoro non subordinato, ma in quello “meno ambizioso e, allo stesso tempo, più pragmatico” di realizzare uno “strumento diretto a garantire una maggiore certezza del diritto in materia di rapporti di lavoro”, e in proposito “sostanzialmente preordinato alla riduzione del contenzioso in materia di qualificazione dei rapporti di lavoro”20. Ecco, allora, che la certificazione appare delineata esclusivamente a misura della individuazione e qualificazione del rapporto di lavoro sulla base di una valutazione di un organo amministrativo, nella relativa sezione in cui viene tratteggiata21.
Quando si passa ad esaminare la sezione relativa alla rimodulazione delle tutele si comprende, tuttavia, che con la Ipotesi si ha in mente anche
18 Sui modelli di alternative dispute resolution diffusi negli Stati Uniti v. X. XXXXXXXXX, Nuovi modelli processuali, in Riv. dir. civ., 1993, I, 278 ss. ed ivi ultt. riff. dottrinali.
19 Vedili rispettivamente in AA. VV., Autonomia e subordinazione: vecchi e nuovi modelli, cit., 347 ss. ed in Dir. rel. ind., 1999, 275 ss.
20 Cfr. la Posizione del problema della Ipotesi, specialmente i punti 4 e 5.
21 Cfr. Sezione I, “Certificazione” dei rapporti di lavoro.
l’altro “corno” del meccanismo pensato da Vallebona e che anzi dalla sua contestuale operatività dipende in qualche modo l’attività qualificatoria in sede di certificazione22.
Al riguardo si precisa che “il meccanismo di certificazione […] può ragionevolmente funzionare solo se, al contempo, viene reso meno squilibrato il ‘gioco’ delle convenienze (per entrambe le parti) circa la riconduzione del rapporto di lavoro in uno schema negoziale piuttosto che in un altro. In questa prospettiva – continua l’Ipotesi – uno Statuto dei lavori potrebbe consentire di modulare e graduare (in via tipologica) le tutele applicabili ad ogni fattispecie contrattuale a seconda degli istituti da applicare”.
Più specificamente si intende, con interventi contestuali o successivi di sostegno23, riequilibrare le tutele tra lavoro subordinato e lavoro autonomo affrontando la questione dalla parte delle “tutele”, e non dalla parte della “fattispecie” come altre iniziative animate dai medesimi propositi di riforma24, e la certificazione diviene in un certo senso il perno di tale rimodulazione:25 si intende individuare per tutti i rapporti di lavoro “un nucleo di diritti fondamentali, indisponibile in sede di negoziazione amministrativa dei contenuti del contratto” quali la tutela della dignità, della libertà ed attività sindacale, della salute e sicurezza, retribuzione minima, stabilità minima dei rapporti di lavoro ecc. “Al di sopra di questo nucleo minimo di norme inderogabili – continua il documento – sembra opportuno lasciare spazio all’autonomia collettiva e individuale, ipotizzando una gamma di diritti inderogabili relativi, disponibili a livello collettivo o anche individuale se concordati nell’apposita sede amministrativa”26
22 Cfr. Sezione II, Rimodulazione delle tutele.
23 E cioè: riassetto normativo delle prestazioni previdenziali; riallineamento verso il basso delle tutele “forti” del lavoro subordinato, specialmente di quelle sul licenziamento individuale; introduzione di nuove forme di lavoro flessibile e revisione delle discipline relative alle figure già esistenti; riordino dei contratti con finalità formative; riforma dei servizi per l’impiego e delle strutture informative nel mercato del lavoro; riordino dei servizi ispettivi: cfr. Sezione II, Rimodulazione delle tutele punto 9.
24 Mentre infatti con i d.d.l. Smuraglia, Xxxxx, Lombardi, e con le proposte di De Xxxx Xxxxxx, Xxxxxxx, Persiani, si intende enucleare ex novo definizioni giuridiche dei lavori che si intendono regolare per poi ricollegarvi nuclei diversificati di tutela, con la Ipotesi si propone di graduare le discipline protettive senza intervenire sul piano definitorio, avvalendosi di schemi normativi già esistenti che, pur con i dovuti aggiustamenti, vengono piegati alle realtà sociali da regolare (sulla medesima lunghezza d’onda le proposte di Xxxxxx, D’Xxxxxx, Xxxxxx e Xxxxxxxxxx): su tale contrapposizione, v. X. XXXXXXXXXX, Consensi e dissensi sui recenti progetti di ridefinizione dei rapporti di lavoro, in AA.VV., Autonomia e subordinazione: vecchi e nuovi modelli, cit., 11 ss.
25 Cfr. X. XXXXX, X. XXXXXXXXXX, op. cit., 571 ss.
26 Xxxxxx, come lucidamente rilevato (X. XXXXXX, Statuto dei lavori e certificazione, in Dir. rel. ind., 2004, 239 ss.), vi sono incertezze e contraddizioni sul ruolo della certificazione nel contesto dello Statuto dei lavori che fanno pensare ad una “duplicità di orientamenti”, per cui “quando il
Si intuisce peraltro come alla base della proposta vi sia un certo determinismo tra rimodulazione delle tutele e rimozione delle ragioni del contenzioso sulla qualificazione. Nella Ipotesi, infatti, l’effettività di un meccanismo volto a decongestionare il contenzioso qualificatorio è tale solo se al contempo si attenua sul piano degli effetti l’alternativa tra autonomia e subordinazione, realizzando una rimodulazione delle tutele consistente nell’individuazione, accanto ad uno zoccolo minimo di tutele previste da norme inderogabili, di una griglia di tutele previste da norme derogabili dall’autonomia collettiva oppure dall’autonomia individuale in sede di stipulazione del contratto tramite validazione dell’apposito organo27.
Considerata in questi termini la proposta persegue una flessibilizzazione delle fonti del diritto del lavoro28, sia con l’adozione di soluzioni non nuove per l’esperienza giuslavoristica, come consentire al contratto collettivo di attenuare talune garanzie previste dalla legge: si tratta infatti di una soluzione non dissimile da quanto sperimentato durante il periodo del c.d. diritto del lavoro dell’emergenza, o da quanto previsto dagli artt. 4 e 24 della l. 23 luglio 1991, n. 223 sui licenziamenti collettivi, dove si consente che, tramite un accordo sindacale, i lavoratori in esubero possano essere adibiti a mansioni non equivalenti a quelle svolte in precedenza, in deroga all’art. 2103 c.c.
Sia con modalità in parte inedite per il diritto del lavoro che incidono sensibilmente sul rapporto tra legge ed autonomia contrattuale individuale e in qualche modo sullo stesso valore sistematico di norma inderogabile29. In questo caso infatti l’assistenza di determinati soggetti, che ai sensi dell’art.
ragionamento prende le mosse dalla certificazione quest’ultima ha ad oggetto la qualificazione del contratto e allo Statuto dei lavori viene assegnata la funzione di rafforzare l’effettività dell’istituto che viene misurata in termini di riduzione del contenzioso, appunto, qualificatorio […] Quando il ragionamento […] prende le mosse dallo Statuto dei lavori, la prospettiva […] viene implicitamente rimossa nel momento stesso in cui si afferma […] che lo Statuto stesso intende affrontare la questione dei nuovi lavori dalla parte delle tutele piuttosto che dal punto di vista della qualificazione del rapporto”.
27 X. XXXXX, X. XXXXXXXXXX, op. cit., 586 ss., le cui medesime valutazioni sono riprese in X. XXXXXXXXXX, La certificazione dei lavori “atipici” e la sua tenuta giudiziaria, in Lav. dir., 2003, 107 ss.
28 Come rileverà in seguito, alludendo però al “Libro Bianco” del 2001, X. XXXXXXXX, A proposito del “libro bianco sul mercato del lavoro in Italia”, in Diritto del Lavoro on Line - xxx.xxxxx.xx/xxxxxx/xxxxxx.xxx, 2002, 13 s.
29 Non differisce molto, a riguardo, quanto proposto da X. XXXXXX, Il lavoro e il mercato, cit., 59, per il quale, ferma restando una disciplina inderogabile che assicuri ai lavoratori autonomi ed ai lavoratori subordinati un livello minimo di tutela, sopra quella soglia, “legge e contratto collettivo potrebbero prevedere […] la possibilità di pattuizioni in deroga, la cui validità sia vincolata, a seconda dei casi, alla stipulazione con l’assistenza di un rappresentate sindacale, o alla stipulazione in forma scritta”.
2113, 4° co., c.c. conferisce l’inoppugnabilità degli atti di disposizione dei diritti del lavoratore, rende possibile derogare in peius alla norma legale inderogabile; con la conseguenza che questa degrada a norma per così dire “semimperativa”30, o costituisce una sorta di tertium genus di norme che si colloca sulla tradizionale linea di confine fra norme inderogabili-imperative e norme derogabili-dispositive nel diritto privato31.
Pur essendo una bozza programmatica non si può fare a meno di rilevare però che la Ipotesi si segnali per un certo atecnicismo data la confusione in cui incorre tra negozi in deroga e negozi dispositivi, la cui distinzione può dirsi invece pacificamente acquisita in dottrina ed in giurisprudenza.
Ora, mentre i primi sono negozi che, derogando a norme inderogabili, impediscono al lavoratore l’acquisizione della titolarità di un diritto e sono nulli per contrasto con una norma imperativa ai sensi dell’art. 1418 c.c., i secondi hanno ad oggetto un diritto già entrato nel patrimonio del lavoratore di cui questi può liberamente disporre, eventualmente invocandone l’annullabilità secondo la disciplina dell’art. 2113 c.c.32. Solo nel secondo caso si può
30 In tal senso, a proposito degli accordi in deroga alla disciplina sui contratti agrari e sulle locazioni, v. rispettivamente X. XXXXX, Accordi collettivi in agricoltura e contrattazione collettiva nei rapporti di lavoro, in AA.VV., Autonomia privata assistita e autonomia collettiva nei contratti agrari, Xxxxxxx, Milano, 1992, 226, e, in via adesiva, X. XXXXXXX, Autonomia privata, onere della “assistenza” delle associazioni, accordi “in deroga” a norme imperative (rilievi sistematici sulla nuova disciplina delle locazioni), in Riv. dir. civ., 1993, 340. Per X. XXXXXXX, Autonomia e poteri nel diritto del lavoro, Cedam, Padova, 1992, 38 si può parlare allo stesso modo di norme seminiderogabili anche quando la legge attribuisce alla contrattazione collettiva il potere di derogare in senso peggiorativo alcuni precetti legali. Contra, X. XXXX, op. cit., 646 ss. per il quale mentre nelle ipotesi in cui il la norma legale ha lasciato che l’autonomia privata derogasse in peius ad alcuni suoi precetti norme, lo ha fatto affidando all’organizzazione sindacale il compito di flessibilizzare l’apparato di tutele, come soggetto istituzionalmente portatore di interessi collettivi, nel modello dei patti in deroga, l’assistenza del sindacato è funzionale alla realizzazione di un interesse individuale del singolo operatore.
31 X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, ESI, Napoli, 2003, 18.
32 Si tratta grosso modo dell’enunciato che deriva dalla tesi secondo la quale dalla inderogabilità della norma lavoristica non discende per il lavoratore la indisponibilità dei diritti che da essa derivano; tesi sostenuta sin dalla originaria formulazione dell’art. 2113 x.x. (xxx xxxxx, xx X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, L’invalidità delle rinunzie e transazioni del prestatore di lavoro, in Giur. compl. Corte Cass., 1948, II, 53 ss. ma vedi anche X. XXXXXX, I limiti legali dell’arbitrato nelle controversie di lavoro, in Riv. dir. lav., 1958, 65 ss.; X. XXXXXXX, Sull’art. 2113 c.c., in Mass. Giur. Lav., 1960, 381 ss.; X. XXXXXX, L’arbitrato irrituale nel diritto del lavoro, Xxxxxxx, Milano, 1963, 369 ss.), oggi assolutamente dominante “tanto che può ormai considerarsi patrimonio acquisito dai giuslavoristi l’impossibilità di fondare l’equazione: norma inderogabile = indisponibilità del diritto” (X. XXXXXXX, voce Disposizione dei diritti, in Dig. Disc. Priv., sez. Comm., vol. V, Utet, Torino, 1990, 58): v., tra gli altri, X. XXXXXX, voce Rinunzie e transazioni (diritto del lavoro), in Enc. Dir., vol. XL, Xxxxxxx, Milano, 1989, 984 ss.; X. XXXX, Le rinunce e le transazioni del lavoratore (art. 2113 c.c.), in X. XXXXXXXXXXX (a cura di), Commentario al codice civile, Xxxxxxx, Milano, 1990, 34 ss.; X. XXXXXXX, voce Rinunzie e transazioni del lavoratore, in Enc. Giur. Treccani, vol. XXVII, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1990, 5; M.
tecnicamente parlare di esercizio di un potere dispositivo33 poiché nel primo caso il negozio, intervenendo in un momento anteriore alla maturazione del diritto, esprime l’esercizio di un potere in un certo senso “normativo”, in quanto modifica per il futuro il regolamento del rapporto: in altre parole “ciò che assume rilievo ai fini della distinzione tra negozio in deroga e negozio dispositivo” è “il momento dell’acquisto, in senso tecnico giuridico, del diritto”34. Per tal ragione si nega generalmente la possibilità di configurare una rinuncia a diritti futuri, pur avanzata da una parte della dottrina sia civilistica che lavoristica35. E quand’anche la si ammettesse in generale, nel diritto del lavoro la configurabilità della rinuncia in futuro incontrerebbe gli insuperabili limiti derivanti dall’essere il rapporto governato da una disciplina imperativa36, per cui “rinunciare per il futuro significherebbe regolamentare diversamente, in contrarietà alla normativa inderogabile, lo svolgimento per l’avvenire del rapporto”37.
Sulla scorta di tali premesse è pertanto improprio il riferimento a “diritti indisponibili in sede di negoziazione amministrativa dei contenuti del contratto”, poiché trattasi non di un negozio dispositivo (non essendo infatti ancora sorto alcun diritto) bensì di un negozio in deroga a norme non derogabili dalle parti neanche con l’assistenza dell’organo amministrativo. Così come è improprio, per ragioni simmetricamente inverse, il riferimento a
D’ANTONA, L’autonomia individuale, cit., 469 ss.; in giurisprudenza più di recente v., ex plurimis, Cass. 13 luglio 1998, n. 6857, in Riv. it dir. lav., 1999, II, 439 ss.; Cass. 14 dicembre 1998, n.
12548, in Not. Giur. Lav., 1999, 248 ss.; Cass. 5 agosto 2000, n. 10349, in Giust civ. Mass., 2000,
1731; Cass. 8 novembre 2001, n. 13834, in Giust civ. Mass., 2001, 1880. Per la tesi minoritaria v.
X. XX XXXX XXXXXX, La norma inderogabile nel diritto del lavoro, Jovene, Napoli, 1976, 241 ss., secondo cui i concetti di inderogabilità e di indisponibilità sarebbero fenomeni inscindibili in vista della realizzazione dello scopo protettivo sotteso alla norma inderogabile, rendendo così radicalmente nulli ex art 1418 c.c. anche gli atti di disposizione dei diritti da essa derivanti, mentre l’art. 2113 c.c. si applicherebbe agli atti di disposizione di diritti di natura patrimoniale conseguenti alla violazione del precetto inderogabile, secondo la nota distinzione tra “diritti primari” e “diritti secondari” (qui 271 ss.).
33 Cfr. X. XXXXX, voce Rinunzia (diritto pubblico e privato), in Noviss. Dig. it., vol. XV, 1968, 1142.
34 X. XXXXXXX, op. cit., 60.
35 Fra i primi, M.V. MOSCARINI, voce Rinunzia, in Enc. giur. Treccani, vol. XXVII, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1991, 5; X. XXXXXXXXX, voce Rinuncia, in Dig. disc. Priv., sez. civ., vol. XVII, Utet, Torino, 1998, 659. Nel diritto del lavoro ammettono la configurabilità di rinunce a diritti futuri, purché l’oggetto sia determinato o determinabile, X. XXXXXXXXXXX, L’invalidità delle rinunzie e transazioni del prestatore di lavoro, Xxxxxxx, Milano, 1955, 126 ss.; X. XXXXXXXXX, Indisponibilità e inderogabilità dei diritti del lavoratore, in X. XXXX XXXXXXXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), Nuovo trattato di diritto del lavoro, Cedam, Padova, 1971, vol. II, 760; X. XXXXXXXXX, La tutela dei diritti dei lavoratori, Cedam, Padova, 1981, 50. In termini consimili, v. anche X. XXXXXX, op. cit., 996.
36 X. XXXXXX, Xxxxxxxx e qualifica nel rapporto di lavoro, Xxxxxx, Napoli, 1963, 222 ss.
37 X. XXXX, op. cit., 34 s. e similmente X. XXXXXXX, op. cit., 60 s.
“diritti inderogabili relativi disponibili a livello collettivo o anche individuale se concordati nell’apposita sede amministrativa”, poiché sono le norme (e non i diritti) ad essere derogate con le garanzie prescritte.
Le incertezze aumentano nel Progetto in cui vengono trasfuse le linee programmatiche della Ipotesi. Basta osservare come viene tradotta l’idea che il meccanismo di certificazione sia strumentale alla individuazione di “un’area di inderogabilità relativa (affiancata ad un area di inderogabilità assoluta e come tale intangibile) gestibile dalle parti collettive in sede di contrattazione collettiva e/o dalle parti individuali in sede di costituzione del rapporto di lavoro […] davanti all’organo amministrativo”38.
Nei titoli che dovrebbero rappresentare il nucleo di disciplina non derogabile in via assistita – tutela della libertà e dignità dei lavoratori, libertà sindacale, licenziamenti individuali – le norme che individuano i rispettivi campi di applicazione affermano che “i diritti derivanti dalle disposizioni contenute nel presente titolo non possono essere oggetto di rinunzie o transazioni tra le parti neppure in sede di certificazione del rapporto di lavoro di cui al titolo VII”39.
Xxx, i proponenti hanno in mente il negozio in deroga ma di fatto alludono ad un negozio dispositivo, evocando quasi letteralmente l’art. 2113
c.c. L’infelice formulazione della norma è tale che addirittura sembrerebbe escludere l’applicazione della disposizione codicistica a tali diritti, considerato che essi non possono essere oggetto di rinunzie e transazioni tra le parti neppure con l’assistenza dei soggetti certificatori, e a fortiori quindi neanche presso le sedi individuate ex artt. 2113 x.x. x 000 - 000 x.x.x., xx xxxxx xxxx senza alcuna assistenza.
La norma ha una formulazione simmetrica ma inversa, quando si tratta di individuare il campo di applicazione della disciplina derogabile in via assistita, quella sul trattamento economico, normativo, previdenziale e fiscale: i relativi diritti possono essere oggetto di rinunzie e transazioni con l’assistenza dei soggetti certificatori, salvo alcune eccezioni, specificando che ciò può avvenire “anche in deroga alle disposizioni di cui all’articolo 2113 Codice civile”40. In questo caso, intendendo che con la certificazione si può disporre di (rectius: derogare a norme che prevedono dei) diritti non ancora maturati, diversamente da quanto previsto dall’art. 2113 c.c., si finisce per far dire alla
38 Sezione I “Certificazione” dei rapporti di lavoro, punto 5.
39 Cfr artt. 1, 13 e 36 del Progetto.
40 Cfr. art. 16 del Progetto che esclude la disponibilità dei diritti derivanti dalla (rectius: la derogabilità della) disciplina di cui ai successivi artt. 17 e 18.
norma che si può disporre di diritti già maturati con modalità diverse da quelle indicate nella disciplina del codice civile.
Le cose non migliorano se queste disposizioni vengono lette in coordinamento con la disciplina della certificazione cui rinviano. Si scopre infatti che questa è pensata esclusivamente per la qualificazione del rapporto, mentre alla derogabilità assistita si accenna appena, con altre imprecisioni, quando si afferma che dovranno individuarsi, in base a determinati codici di buone pratiche di origine ministeriale, “clausole indisponibili e clausole disponibili in sede di certificazione” con riferimento ai diritti e ai trattamenti economici e normativi previsti nei titoli precedenti del Progetto.
Si ha dunque come la sensazione che il drafting normativo finisca per vanificare la portata innovativa della proposta, creando taluni problemi di coordinamento con la disciplina previgente in materia di disposizione dei diritti.
3.2. La qualificazione “certificata” dei contratti di lavoro
Per quanto riguarda la certificazione come strumento con finalità di deflazione del contenzioso qualificatorio, si ha in mente una procedura attivata volontariamente dalle parti innanzi ad un organo amministrativo (ricalcato sull’allora commissione provinciale di conciliazione) che determina la qualificazione del contratto di lavoro in base ad appositi formulari ed a griglie contenenti indici e criteri di qualificazione per ogni figura professionale, desunti in via interpretativa da una serie di precedenti giudiziari.41
Per rimuoverne gli effetti si immagina un sistema di impugnazioni per così dire a “doppio canale”. Le parti possono, cioè, adire direttamente il giudice solo nel caso lamentino dei vizi del consenso nella stipulazione del contratto certificato, mentre nel caso insorga una controversia sulla sua esatta qualificazione in seguito allo svolgimento del rapporto, si prevede un meccanismo simile a quello contemplato dagli artt. 411 ss. c.p.c. e dall’art. 5 della l. 11 maggio 1990, n. 108 sui licenziamenti individuali: le parti debbono esperire un tentativo di conciliazione presso la medesima commissione di certificazione, come condizione di procedibilità di una successiva azione giudiziaria, la quale può avere corso solo se il tentativo fallisce e le parti non
41 Cfr. in proposito il “modello” esemplificativo di griglia indicato al punto 11 della Ipotesi e gli allegati modelli di formulari per talune figure di lavoro autonomo.
intendano promuovere il deferimento della controversia al collegio arbitrale previsto dal contratto collettivo nazionale applicabile o, in mancanza ad un collegio arbitrale costituito mediante compromesso individuale.
Per lo svolgimento del tentativo di conciliazione i proponenti hanno in mente qualcosa di simile alla procedura che regola il processo del lavoro davanti ai Tribunali industriali nel Regno Unito; nello specifico, che la commissione possa informalmente svolgere un’istruttoria al termine della quale, se risulta che il rapporto sia svolto in conformità alla qualificazione del contratto certificata ex ante, rende edotto l’attore circa il rischio di subire il pagamento delle spese processuali in caso di prosecuzione dell’azione42.
Oltre a questo si pensa ad un altro, ma non meglio precisato, potere di “sbarramento” alla prosecuzione della controversia in sede giurisdizionale di natura probatoria, poi successivamente esplicitato nel Progetto nella norma che disciplina la procedura di certificazione: all’art. 38, 1° comma, lett. g, si prevede infatti che “la certificazione del rapporto di lavoro potrà in ogni caso avere valore sul piano probatorio, anche verso i terzi, solo in caso di corrispondenza tra quanto dichiarato e sottoscritto nella sede amministrativa e quanto di fatto realizzato nello svolgimento della prestazione lavorativa”.
Come è stato rilevato in sede di commento al d. lgs. 276/2003, la previsione ha in sé un vizio di fondo43: essa, infatti, muove dall’erroneo presupposto che la certificazione abbia ad oggetto la volontà negoziale delle parti – di qui l’idea di approntare degli sbarramenti che rendano più difficile provare una volontà diversa da quella certificata44 – mentre con essa si qualifica il rapporto fissando le conseguenze giuridiche del comportamento
42 I Tribunali industriali sono organi giurisdizionali indipendenti dalla magistratura ordinaria, istituti nel 1964 con la competenza a decidere un numero circoscritto di controversie poi estesa nei primi anni Novanta a quasi tutti i profili inerenti il rapporto di lavoro, e sono composti da un presidente, nominato dal Lord Xxxxxxxxxx, il quale a sua volta designa due giudici espressione, rispettivamente, delle organizzazioni dei datori di lavoro e di quelle dei lavoratori. Nel testo si allude al pre-hearing assessment, una procedura introdotta nel 1980 ma sostituita nel 1993 dal pre- hearing reviews, che prevede la possibilità per il Tribunale di svolgere un’indagine preliminare circa lo svolgimento dei fatti e la fondatezza del ricorso presentato dall’attore il quale, se il ricorso risulti prima facie infondato, viene informato del rischio di poter incorrere nel pagamento delle spese processuali nel caso intenda proseguire il giudizio; il pre-hearing reviews concerne ora la possibilità per il Tribunale, valutata l’irragionevolezza o la temerarietà della lite, di richiedere all’attore il pagamento di una certa somma di denaro a titolo di cauzione come condizione per il proseguimento dell’azione: v. X. XXXXXXXXXX, Tribunali Industriali e tecniche di tutela dei diritti dei lavoratori: il caso inglese, in Dir. rel. ind., 1995, 161 ss. e ivi ultt. riff. dottirnali.
43 X. XXXXXX, Certificazione dei contratti di lavoro, in X. XXXXXXXXXX (coordinato da), Il nuovo mercato del lavoro. D. lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Zanichelli, Bologna, 2004, 874 s.; X. XXXXX, op. cit., 661 s.
44 X. XXXXX, X. XXXXXXXXXX, op. cit., 587 s.; X. XXXXXXXXXX, La certificazione dei lavori “atipici” e la sua tenuta giudiziaria, cit., 118 ss.
delle parti; per cui “l’accertamento giudiziale che si instaura a seguito dell’impugnazione della certificazione non riguarda il contenuto della volontà negoziale certificata, e quindi la prova di tale contenuto, ma consiste nella riconduzione di quella volontà (o di un’altra volontà che è sfuggita ai certificatori, o si è manifestata successivamente), a una fattispecie legale”45.
Per il resto le idee tratteggiate nella Ipotesi vengono tradotte più o meno fedelmente, con aggiustamenti e completamenti in sede progettuale del meccanismo concernenti in particolare la esclusione dall’applicazione della disciplina di determinate categorie di rapporti di lavoro in ragione della loro particolare natura (rapporti di lavoro instaurati con la pubblica amministrazione; rapporti di lavoro del personale della navigazione marittima, aerea e interna; rapporti di collaborazione familiare di cui all’art. 230 bis c.c.; i rapporti di lavoro occasionali)46; l’indicazione degli enti bilaterali fra gli organi competenti a certificare, oltre alle commissioni appositamente costituite presso la Direzione provinciale del lavoro; la possibilità anche per i soggetti di terzi di agire in giudizio per far valere la difformità tra la qualificazione del rapporto definita in sede di certificazione ed il suo successivo svolgimento, sia pure con la sorprendente previsione circa la necessità della preventiva acquisizione, da parte del giudice, di “un parere obbligatorio (sic!), ma non vincolante della Commissione di certificazione”. Una novità di significativo rilievo rispetto ai contenuti della Ipotesi si ha con l’estensione della procedura di certificazione al regolamento interno delle società cooperative, mentre è frattanto operativa la
c.d. Commissione Xxxxxxx, impegnata nel delineare la disciplina sulla posizione del socio-lavoratore, poi realizzata con la l. 3 aprile 2001, n. 14247.
Pur nell’incompletezza e nella perfettibilità della proposta in diversi aspetti48, essa suscita più che altro reazioni negative nella dottrina che inizia ad interessarsene, anche se non manca comunque chi si mostra complessivamente fiducioso sul funzionamento del meccanismo49.
45 X. XXXXX, op. cit., 662.
46 I rapporti di lavoro occasionali, similmente a quanto previsto ora dall’art. 61, 2° co., del d. lgs. 276/2003, sono ritenuti tali qualora la loro durata complessiva non sia superiore a un determinato numero di giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivo per lo svolgimento della prestazione non sia superiore ad un certo importo.
47 Va ricordato che il Progetto viene presentato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 25 marzo 1998, nell’ambito dei lavori della Commissione Zamagni, che annovera fra i suoi membri proprio Xxxxx Xxxxx.
48 Mancando una vera e propria disciplina che regoli, ad esempio, la competenza delle commissioni e che scandisca le fasi del procedimento come nel d.lgs. 276/2003.
49 X. XXXXXXXXXX, Consensi e dissensi sui recenti progetti di ridefinizione dei rapporti di lavoro, cit., 24 s.; più tiepido pare invece X. XXXX, La distinzione tra subordinazione e autonomia, in AA.VV., Autonomia e subordinazione: vecchi e nuovi modelli, cit., 45.
Vengono sollevati dubbi sulla incapacità della certificazione di incidere sulla parte più rilevante delle controversie inerenti la qualificazione dei rapporti di lavoro, dato dalle variazioni che il rapporto di lavoro qualificato ex ante incontra nel suo concreto atteggiarsi; sulla scelta di assegnare l’attività di qualificazione dei rapporti di lavoro ad organi amministrativi, ritenuti non adeguati allo scopo e tali da perpetuare l’idea che la certezza dei rapporti di lavoro passi necessariamente attraverso un intervento preventivo o autorizzativo dell’autorità pubblica; sulla rigidità del meccanismo, che pretenderebbe di fissare ed immobilizzare i criteri distintivi della subordinazione per ogni figura professionale, i quali hanno invece un valore sintomatico ed indiziario per cui solo se dosati equilibratamente consentono di rinvenire i caratteri della subordinazione in una prestazione lavorativa, attraverso un giudizio di sintesi50.
Ma il meccanismo porrebbe anche problemi per così dire di “sistema”, per la sospetta incompatibilità con i principi enunciati alcuni anni prima dalla Corte Costituzionale a proposito della c.d. indisponibilità del tipo lavoro subordinato51; in particolare, laddove afferma che “non sarebbe consentito al legislatore di autorizzare le parti ad escludere direttamente o indirettamente, con la loro dichiarazione contrattuale, l’applicabilità della disciplina inderogabile prevista a tutela dei lavoratori a rapporti che abbiano contenuto e modalità di esecuzione propri del rapporto di lavoro subordinato. I principi, le garanzie e i diritti stabiliti dalla Costituzione in questa materia, infatti, sono e debbono essere sottratti alla disponibilità delle parti”52.
Si tratta in un certo senso del liet motiv che contrassegna, nei vari passaggi e fino all’emanazione del d. lgs. 276/2003, i giudizi sulla certificazione assieme a quelli sulla sua efficacia, su cui verranno compiuti più in avanti gli opportuni approfondimenti (Cap. II, § 1).
50 X. XXXXXXX, Dal lavoro subordinato al lavoro autonomo, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1998, 439
s. nota 17; X. XXXX, Sulle prospettive di estensione delle tutele al lavoro parasubordinato, in Riv. it. dir. lav., 1998, I, 379 nonché, seppur con riferimento alla certificazione prevista nel d.d.l. Xxxxxxxxx, X. XXXXXXXXX, Un “nuovo” lavoro da regolare, in Arg. dir. lav., 1998, 696.
51 X. XXXXXXX, Verso uno “Statuto dei lavori”?, in Dir. rel. ind., 1998, 314 s.
52 Corte Cost. 31 marzo 1994, n. 115: vedila in Arg. dir. lav., 1995, 297 ss., con il noto commento di M. D’ANTONA, Limiti costituzionali alla disponibilità del tipo contrattuale nel diritto del lavoro, 63 ss.
4. Dallo “Statuto dei Lavori” al “Libro Bianco”
Come ricordato in precedenza lo Statuto dei lavori non verrà mai formalizzato in un disegno di legge, tant’è che esce definitivamente dall’agenda riformatrice degli esecutivi di centro-sinistra che si susseguono alla caduta del Governo Xxxxx.
La certificazione però continua il suo percorso e fa il suo ingresso in Parlamento all’interno di altri progetti di legge, seppure in essi compaia esclusivamente come certificazione a rilevanza “qualificatoria”. In tal senso approda in Senato con il d.d.l. S n. 3512, redatto sulla base dei lavori della Commissione Zamagni, il cui art. 6 prevede la certificazione del regolamento interno come meccanismo di prevenzione del contenzioso sulla natura autonoma o subordinata del rapporto di lavoro del socio-lavoratore. La disposizione viene però successivamente stralciata in Commissione lavoro e previdenza del Senato, tra le critiche di chi la considera un tassello importante nella futura legislazione sul lavoro in cooperativa53, sulla base del rilievo per cui la certificazione concerne in questo caso un atto tipicamente unilaterale, mentre la qualificazione riguarda il contratto di lavoro che è un atto bilaterale54.
Ancora al Senato, nel febbraio del 1999, viene approvato il d.d.l. S 2049 (c.d. d.d.l. Smuraglia), il cui art. 17 disciplina la certificazione che riveste una finalità deflattiva delle controversie qualificatorie, ma ristretta ai rapporti di collaborazione coordinata e personale. Esso suscita le critiche degli estensori della bozza dello Statuto dei lavori, secondo i quali la certificazione può rivestire una reale utilità non in una proposta di riforma che persegue una sostanziale omogeneizzazione, sul piano protettivo, tra subordinazione e collaborazioni coordinate e continuative, ma solo se è connessa ad una rimodulazione di tutele che riduca sul piano delle convenienze le ragioni sostanziali del contenzioso qualificatorio55.
Ma ancora una volta il percorso della certificazione si interrompe in sede parlamentare non avendo il suddetto d.d.l. un sufficiente “respiro”
53 Cfr. X. XXXXX, La “flessibilità certificata” del socio di cooperativa, in Guida lav., 1998, 38, 12 ss e ID., Progettare per modernizzare, in X. XXXX, Le politiche del lavoro. Insegnamenti di un decennio, Il Mulino, Bologna, 2001, 277.
54 Si veda al riguardo la relazione del sen. Gruosso alla seduta n. 1005 del 24 gennaio 2001. Su tale questione si tornerà più analiticamente nel § 7.
55 X. XXXXX, X. XXXXXXXXXX, op. cit., 588 s.; X. XXXXXXXXXX, La certificazione dei lavori “atipici” e la sua tenuta giudiziaria, cit., 111 ss.
politico che ne consenta l’approvazione anche alla Camera prima dello spirare della legislatura.
La certificazione riprende il suo percorso due anni più tardi, questa volta sotto le insegne del Governo Xxxxxxxxxx, con il Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia del 200156.
Come noto, il documento – redatto a più mani ma prevalentemente ed ancora con la regia di Xxxxx Xxxxx – traccia le basi programmatiche di un percorso di riforma ad ampio raggio, solo in parte realizzato con la l. 30 e con il d. lgs. 276 del 2003, che va dalla riorganizzazione del mercato del lavoro alla diversificazione dei tipi contrattuali, dalla riforma degli ammortizzatori sociali e degli incentivi all’occupazione alla revisione del sistema di relazioni industriali, della disciplina sull’arbitrato come di quella sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali57.
Si riscoprono lo “spirito” e le proposte dello Statuto dei lavori e si torna espressamente a parlare (con le medesime imprecisioni della Ipotesi) di una certificazione intesa come strumento di rimodulazione e articolazione di tutele oltre che di qualificazione con finalità deflattiva del contenzioso, muovendo dalle medesime premesse in termini di politica del diritto: la necessità di “rivalutare convenientemente il ruolo del contratto individuale [...] quantomeno con riferimento a singoli istituti o laddove […] esistano condizioni di sostanziale parità contrattuale tra le parti ovvero anche in caso di specifici rinvii da parte della fonte collettiva”; l’opportunità di “modificare l’attuale contesto normativo che inibisce al datore e prestatore di lavoro di concordare condizioni in deroga non solo alla legge ma anche al contratto collettivo, se non entro il limite, sempre più ambiguo, delle condizioni di miglior favore”, attraverso l’individuazione di “un nucleo essenziale di norme e principi inderogabili […] comuni a tutti i rapporti negoziali”. Mentre “al di sopra di questo nucleo minimo di norme inderogabili sembra opportuno lasciare ampio spazio all’autonomia collettiva e individuale, ipotizzando una
56 In xxx.xxxxxxx.xxx.xx/XxxxxxxXxxxx/Xxxxxxxx/Xxxxxxxxx/xxxxxxx.xxx.
57 Sull’ampio dibattito seguito alla pubblicazione del Libro Bianco ed alla presentazione al Senato del d.d.l. delega 848 v., fra gli altri, AA.VV., Il “Libro Bianco del Ministero del lavoro”, Atti del seminario di Roma del 21 novembre 2001, in Riv. giur. lav., 2002, I, 141 ss.; X. XXXXX, X. XXXX, Il Governo Xxxxxxxxxx e il diritto del lavoro: dal Libro Bianco al disegno di legge delega, ibidem, 453 ss.; X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX (a cura di), Il diritto del lavoro dal “Libro bianco” al disegno di legge delega 2002, Ipsoa, Milano, 2002; AA. VV., Lavoro: ritorno al passato. Critica del libro bianco e della legge delega al governo Xxxxxxxxxx sul mercato del lavoro, Ediesse, Roma, 2002;
X. XXXXXXXX, La forza di un pensiero debole. Una critica del “Libro bianco del lavoro”, in Lav. dir., 2002, 3 ss.
gamma di diritti inderogabili relativi, disponibili a livello collettivo o individuale”58.
A tal fine si propone di “sperimentare una procedura di certificazione, cioè di validazione anticipata della volontà delle parti interessate all’utilizzazione di una certa tipologia contrattuale […] utile a prevenire controversie giudiziali sul piano qualificatorio, la quale potrebbe essere esercitata da strutture pubbliche (in sede amministrativa) od anche sindacali (gli enti bilaterali, ad esempio)”; e nel contempo si accenna alla prospettabilità di “percorsi a garanzia della effettiva volontà del lavoratore (per realizzare una sorta di ‘derogabilità assistita’, secondo meccanismi di certificazione o validazione della volontà individuale)”, ad opera delle medesime sedi pubbliche o sindacali.
Se, per dirla con la dottrina critica sulla linea di politica del diritto che esso rappresenta, il Libro Bianco propone una rilettura in chiave “individual- volontaristica” dell’impianto regolativo del diritto del lavoro, preludendo ad un sostanziale depotenziamento del ruolo della legge e della contrattazione collettiva più che ad una proclamata flessibilizzazione del sistema delle fonti59, non sorprende allora che le obiezioni rivolte alla certificazione riguardino specialmente le proposte di derogabilità assistita.
In un siffatto disegno, la partecipazione del sindacato alla gestione del meccanismo certificatorio non può intendersi, secondo tale dottrina, in linea di continuità con il ruolo rivestito dalle parti sociali nel modello di “flessibilità contrattata” sperimentato nella legislazione dell’emergenza ma rappresenta un segno di rottura con questo xxxxxxx00: qui il sindacato si fa promotore di una soluzione nella quale la rimozione di un vincolo inderogabile viene valutata alla luce di un interesse collettivo; mentre con la tecnica dell’accordo in deroga alla norma imperativa esso ha “un ruolo ancillare dell’autonomia individuale”61, considerato che la sua presenza è funzionale alla realizzazione di un mero interesse individuale, tutelando la genuinità del consenso del lavoratore ovvero orientando il contenuto dell’accordo verso un obiettivo a questi favorevole.
58 Cfr. I. 3.2. (Xxxxx e contratti) e I. 3.5. (“Statuto dei lavori”) del Libro Bianco.
59 X. XXXXXXXXXX, Il Libro bianco e il disegno di legge delega in tema di mercato del lavoro, in
Lav. giur., 2002, 9.
00 X. XXXXX, X. XXXX, op. cit., 483 ss.
61 P.G. XXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXXX, Un disegno autoritario nel
metodo, eversivo nei contenuti, in AA. VV., Lavoro: ritorno al passato, cit., 81 e, in termini consimili, X. XXXXXXX, Introduzione, in AA. VV., Il “Libro Bianco del Ministero del lavoro”, cit., 145 secondo cui i sindacati fungono in tal caso come mere “agenzie di servizio dell’individuo”.
In tal senso, l’introduzione di meccanismi per la validazione di accordi in deroga a norme inderogabili costituirebbe un ulteriore tassello nell’ambito del supposto processo di “destrutturazione” del diritto del lavoro, già in atto con gli interventi legislativi che hanno rimosso i divieti di intermediazione e di interposizione di manodopera e con quelli che hanno realizzato una maggiore flessibilizzazione del rapporto di lavoro, ed ulteriormente alimentato dalle proposte di riforma enunciate nel Libro Bianco62.
Invero si tratta di critiche destinate a durare l’espace d’un matin: a meno di due mesi dalla pubblicazione del Libro Bianco viene infatti approvato in Consiglio dei ministri il d.d.l. di “delega al governo in materia di mercato del lavoro”, poi presentato al Senato con il numero 848 in cui non si parla più di percorsi di derogabilità assistita, in quanto si assegna all’esecutivo la delega ad emanare disposizioni in materia di certificazione dei contratti di lavoro intesa esclusivamente come attività di qualificazione.
5. La certificazione come strumento di qualificazione dei contratti di lavoro nella l. 30/2003 nel d. lgs. 276/2003
L’art. 9 del d.d.l 848 viene modificato in modo rilevante nei vari passaggi che conducono alla definitiva versione dell’art. 5 della l. 30/2003 – considerata la carente definizione della procedura, degli effetti e del controllo giudiziario sulla certificazione63 – ma non si ricompattano le due “anime” del meccanismo, destinate ad essere definitivamente disgiunte nel d. lgs. 276/2003: i principi e criteri cui il legislatore delegato deve uniformarsi nel dettare disposizioni in materia di certificazione sono infatti funzionali alla delineazione di un meccanismo che ha il solo “fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei rapporti di lavoro” (art. 5, 1° co., lett. a-f ).
La procedura di certificazione è richiamata dall’art. 5 e da altre disposizioni della legge delega pure in relazione a determinate evenienze,
62 “Il tradizionale sistema del diritto del lavoro ha sempre offerto una blindatura totale che ora si vorrebbe dismettere nel solco di una rivisitata concezione marcatamente privatistica, la quale – lo si dichiari apertis verbis – non può trovare libero ingresso. Desta forti perplessità la sperimentazione di nuovi percorsi affidati alla volontà delle parti, sia pure con la formale ratifica della prescritta validazione, attesa la fragilità del terreno riguardante il piano delle tutele individuali: X. XXXXX, La nuova fase del diritto del lavoro tra crisi dell’inderogabilità e destrutturazione, in ID. (a cura di), Il futuro del diritto del lavoro: dall’inderogabilità alla destrutturazione, Fondazione di diritto del lavoro L.A. Miglioranzi, Roma, 2003, 59.
00 Xxx. X. XXXXX, Nuove tipologie contrattuali e certificazione dei rapporti di lavoro, in Dir. prat. lav., 2002, 531 che parla in proposito di una vera e propria “delega in bianco”.
nessuna che alluda però alla derogabilità assistita, e cioè: quando si riconosce agli enti bilaterali la competenza esclusiva “a certificare non solo la qualificazione del contratto di lavoro e il programma negoziale concordato dalle parti, ma anche le rinunzie e transazioni di cui all’art. 2113 del codice civile a conferma della volontà abdicativa o transattiva delle parti stesse” (art. 5, 1° co. lett. g); quando si stabilisce la “estensione della procedura di certificazione “all’atto di deposito del regolamento interno riguardante la tipologia dei rapporti attuati da una cooperativa ai sensi dell’articolo 6 della legge 3 aprile 2001, n. 142, e successive modificazioni” (art. 5, 1° co. lett. h); quando al precedente art 2. 2° co. lett. l si prevede “l’utilizzazione del meccanismo certificatorio di cui all’art. 5 ai fini della distinzione concreta tra interposizione illecita e appalto genuino”; infine, quando l’art. 4 richiama i “meccanismi di certificazione”, con riferimento alle collaborazioni coordinate e continuative (1° co. lett. c, n. 6) ed inoltre alle prestazioni di lavoro occasionale e accessorio (1° co. lett. d).
Né, tanto meno, l’assetto muta con il d. lgs. 276 del 2003, seppure vengano omesse talune delle ipotesi di certificazione testé indicate64.
Nel Titolo VIII, il Capo I concerne la sola certificazione “al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro intermittente, ripartito, a tempo parziale e a progetto […], nonché dei contratti di associazione in partecipazione di cui agli artt. 2549-2554 del codice civile”, secondo la formulazione originaria dell’art. 75 che, con le modifiche apportate dall’art. 18 del d. lgs. 6 ottobre 2004, n. 251, estende ora l’applicabilità del meccanismo a tutti i contratti di lavoro.
E nella disciplina c’è molto delle idee contenute nelle proposte di riforma dello Statuto dei Lavori: l’individuazione degli enti bilaterali e delle direzioni provinciali del lavoro fra i soggetti competenti, oltre a novità assolute come Province, Università e Fondazioni universitarie65 nonché, da ultimo, la
64 Vale a dire la mancata indicazione nell’ambito di applicazione dell’art. 75 del d. lgs. 276, nella sua versione originaria, non solo delle prestazioni di lavoro occasionale e accessorio ma anche delle collaborazioni coordinate e continuative non ricondotte a progetto cui, secondo una parte della dottrina, l’art. 4, 1° co. lett c n. 6 ha fatto riferimento: in tal senso, X. XXXXXX, Altre ipotesi di certificazione, in X. XXXXXXXXXX (coordinato da), Il nuovo mercato del lavoro, cit., 915. Contra
X. XXXXXXXX, Le finalità e gli effetti della nuova disciplina e le ipotesi nelle quali è possibile utilizzare la procedura di certificazione, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX (a cura di), Tipologie contrattuali a progetto e occasionali. Certificazione dei rapporti di lavoro, in X. XXXXXXX (coordinato da), Commentario al D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Ipsoa, Milano, 2004, vol. IV, 156.
65 Sulle vicende politiche le quali hanno portato all’inserimento di questi soggetti nel d. lgs. 276, v.
X. XXXXXX, Certificazione dei contratti di lavoro, cit., 898 ss.
Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro del Ministero del lavoro ed i consigli provinciali dei consulenti del lavoro (artt. 76-77)66; la prevista emanazione con decreto ministeriale di codici di buone pratiche “per l’individuazione di clausole indisponibili in sede di certificazione dei rapporti di lavoro, con specifico riferimento ai diritti e ai trattamenti economici e normativi”, i quali recepiscono, ove esistenti, “le indicazioni contenute negli accordi interconfederali stipulati da associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” (art. 78, 4° co.); sempre con decreto ministeriale, la definizione di “appositi moduli e formulari per la certificazione del contratto o del relativo programma negoziale, che tengano conto degli orientamenti giurisprudenziali prevalenti in materia di qualificazione del contratto di lavoro, come autonomo o subordinato, in relazione alle diverse tipologie di lavoro” (art. 78, 5° co.); lo svolgimento da parte delle sedi di certificazione di “funzioni di consulenza e assistenza effettiva alle parti contrattuali, sia in relazione alla stipulazione del contratto di lavoro e del relativo programma negoziale, sia in relazione alle modifiche del programma negoziale medesimo concordate in sede di attuazione del rapporto di lavoro” (art. 81).
Accanto al modello cui fa riferimento il Capo I del Titolo VIII, vengono previste le altre figure di certificazione rispetto ad esso “eccentriche”, poiché non caratterizzate da una funzione qualificatoria con finalità deflattive del contenzioso67 (v. infra § 7). Si tratta delle “altre ipotesi” di certificazione indicate nel Capo II, che costituiscono in parte soluzioni inedite rispetto alle precedenti elaborazioni progettuali, come la certificazione per la distinzione tra interposizione illecita e appalto “genuino” di cui all’art. 84; in parte un retaggio dello Statuto dei Lavori, come per la certificazione delle rinunzie e transazioni o del regolamento delle società cooperative prevista rispettivamente agli artt. 82 ed 83.
Pure eccentrica, in tale ordine di idee, è l’ipotesi di certificazione disciplinata all’art. 68 del d. lgs. 276 con cui, secondo taluni, il legislatore ha inteso recuperare in extremis la derogabilità assistita prevedendo che “i diritti derivanti dalle disposizioni contenute nel presente capo [cioè il capo I sul lavoro a progetto e lavoro occasionale, contenuto nel titolo VII del decreto] possono essere oggetto di rinunzie e transazioni tra le parti in sede di
66 V. l’art. 1, comma 256, della l. 23 dicembre 2005, n. 266 (Legge Finanziaria per il 2006) che ha aggiunto al comma 1 dell’art. 76 le lett. c)-bis e c)-ter.
67 Cfr. X. XXXXX, op. cit., 606.
certificazione del rapporto di lavoro”; soluzione da escludere per effetto delle modifiche apportate dall’art. 18 del d. lgs. 251/2004, benché non plausibile, come si dirà, neanche vigente l’art. 68 così come introdotto dal d. lgs. 276/2003 (infra § 6).
Per dirla con uno dei padri della riforma del mercato del lavoro e delle proposte sullo Statuto dei lavori, in tale contesto la certificazione sarebbe un minus rispetto al modello precedentemente immaginato, poiché si risolverebbe in “un mero strumento, per forza di cose assai modesto, di ausilio alle operazioni di qualificazione dei rapporti di lavoro ad opera dell’autonomia negoziale privata […] là dove la modulazione delle tutele viene surrogata […] attraverso una operazione di pura e semplice moltiplicazione delle tipologie contrattuali flessibili”68.
Ciò al tempo stesso non impedisce all’Autore di rilevare che la certificazione possa giocare un ruolo importante nell’ottica di un futuro rilancio dello Statuto dei Lavori. Ammesso cioè che la riforma costituisca una prima tappa verso la creazione di un continuum di tipi contrattuali tra i poli dell’autonomia e della subordinazione, con una conseguente rimodulazione delle tutele, la certificazione accompagnerebbe la forte diversificazione tipologica nel presupposto che questa sia fonte di incertezza e di litigiosità in sede di qualificazione del rapporto di lavoro69. In tal senso, andrebbe intesa la iniziale restrizione dei contratti certificabili al solo lavoro intermittente, ripartito, a tempo parziale, a progetto, e dei contratti di associazione in partecipazione a tempo parziale, quali figure di lavoro autonomo o subordinato contestualmente introdotte o rivisitate dal d. lgs. 276/2003.
Una siffatta delimitazione non ha mancato di suscitare perplessità considerato che da un lato, quelli individuati sono figure di lavoro subordinato, mentre il contenzioso qualificatorio investe prevalentemente i confini esterni della subordinazione – la c.d. “zona grigia” tra autonomia e subordinazione – e non quelli “interni”; dall’altro lato, l’idea retrostante a tale delimitazione indulge su di “un sillogismo un po’ scolastico, apparentemente coerente con
68 Cfr. X. XXXXXXXXXX, op. ult. cit., 115, sia pure nel commento al citato d.d.l. 848.
69 X. XXXXXXXXXX, op. ult. cit., 115 s. Per X. XXXXX, op. cit., 605, la certificazione servirebbe pure ad assistere ed integrare la volontà negoziale delle parti nel quadro di una tendenziale revisione della tutela inderogabile realizzata dal d. lgs. 276 sia nelle disposizioni in cui si lascia spazio all’autonomia individuale (cfr. ad esempio l’art. 46 lett s del d.lgs. 276/2003 che ha inserito il nuovo comma 2-ter dell’art. 8 del d. lgs. 61/2000 sul lavoro a tempo parziale; le numerose possibilità di “diverse intese” previste agli artt. 41 ss. in materia di lavoro ripartito; sul lavoro a progetto, il “diverso accordo” di cui all’art. 64 e la possibile pattuizione individuale in tema di recesso ante tempus ex art. 67, 2° co.); sia all’art. 68 che rappresenta una ipotesi di “disponibilità assistita”.
l’idea della modulazione e ridistribuzione delle tutele lungo un continuum che va dall’autonomia piena alla subordinazione piena: il sillogismo, cioè, secondo il quale se si hanno ‘più tipi contrattuali’, vi saranno più ‘problemi qualificatori’, e dunque più ‘contenzioso giudiziale’”70.
Alla luce di tali considerazioni, più che opportuna deve intendersi la novella del 2004 che ha generalizzato il ricorso alla certificazione a tutti i contratti di lavoro.
6. Segue: la non plausibilità di una ipotesi di derogabilità assistita nella riforma del mercato del lavoro
Come si è accennato, l’art. 15 del d. lgs. 251/2004 ha sostituito la versione originaria dell’art. 68 del d. lgs. 276/2003, il quale prevede ora che “nella riconduzione a un progetto, programma di lavoro o fase di esso dei contratti di cui all’art. 61, comma 1, i diritti derivanti da un rapporto di lavoro già in essere possono essere oggetto di rinunzie e transazioni tra le parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro di cui al Titolo VIII secondo lo schema dell’articolo 2113 del codice civile”.
In proposito la novella ha messo fine alla querelle interpretativa del testo originario (“I diritti derivanti dalle disposizioni contenute nel presente capo possono essere oggetto di rinunzie e transazioni tra le parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro […]”), accogliendo la posizione della dottrina maggioritaria secondo cui la norma ha alluso sin dall’inizio alla possibilità di disporre di diritti già entrati nel patrimonio del collaboratore a progetto71, e respingendo quindi la tesi di chi ha ritenuto si trattasse invece di
70 X. XXXXX, op. cit., 619 ss., qui 623 s.
71 Cfr., fa gli altri, X. XX XXXX XXXXXX, Dal lavoro parasubordinato al lavoro “a progetto”, in Working Papers CSDLE Xxxxxxx X’Xxxxxx, 2003, n. 25, 23; X. XXXXXX, Ricerca e analisi dei punti critici del decreto legislativo 276/2003 sul mercato del lavoro, in Riv. giur. lav., 2003, I, 919; X. XXXXXXXXXXXX, Il lavoro a progetto tra finalità antielusive ed esigenze di rimodulazione delle tutele, in AA. VV., Scritti in memoria di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, in Dir. lav., 2003, II, 637 ss.;
X. XXXXX, Le collaborazioni coordinate e continuative e il lavoro a progetto, in P. XXXXXX (a cura di), Lavoro e diritti dopo il decreto legislativo n. 276/2003, Xxxxxxx, Bari, 334; M.G. XXXXXXXX, La certificazione dei rapporti di lavoro, ibidem, 426; X. XXXXXXXX, Le commissioni di certificazione e le rinunzie e transazioni, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX (a cura di), Tipologie contrattuali a progetto e occasionali. Certificazione dei rapporti di lavoro, cit., 229 ss.;
X. XXXXX, La certificazione dei contratti di lavoro, in X. XX XXXX XXXXXX X., X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema. Dalla legge 14 febbraio 2003 n. 30 al decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276, Esi, Napoli, 2004, 288; X. XXXXXXXXXX, Sub art. 68. Rinunzie e transazioni, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), La riforma del marcato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali. Commentario al decreto legislativo
un’ipotesi di derogabilità assistita72. Ed il legislatore del 2004 lo ha fatto non senza la consueta dose di atecnicismo cui ci ha abituato il d. lgs. 276/2003, laddove, per dissipare ogni dubbio che la norma concerna la validazione di semplici negozi dispositivi con l’effetto renderli inoppugnabili in giudizio, si è richiamato lo “schema” (sic!) dell’art. 2113 c.c.73
Ciò non esime tuttavia dal rievocare il dibattito sul significato della norma nella sua versione originaria, partendo proprio dalle ragioni della tesi “derogatoria”.
Le argomentazioni dei suoi sostenitori muovono più o meno tutte dal medesimo presupposto, e cioè che si superi il contrasto tra il nomen juris di “rinunzie e transazioni”, prescelto dal legislatore per individuare gli atti negoziali certificabili (che alluderebbe quindi alla disposizione di diritti già entrati nel patrimonio del lavoratore), e la fase del rapporto in cui tali negozi vengono collocati: fase che, considerata la loro esperibilità “in sede di certificazione del rapporto di lavoro di cui al Titolo VIII del d. lgs. 276/2003”, dovrebbe essere, di regola, quella genetica74. In tal senso, tenendo ferma la distinzione tra negozio in deroga e negozio dispositivo, si è sostenuta un interpretazione della norma che valorizzasse il secondo inciso, e cioè che il legislatore avesse inteso consentire la derogabilità assistita della disciplina protettiva del lavoro a progetto, invocando impropriamente le figurae juris delle rinunce e delle transazioni in luogo della formula “deroga a disposizioni” o di espressioni simili. Un interpretazione quindi fondata sull’errore tecnico
10 settembre 2003, n. 276, Cedam, Padova, 2004, 779 ss.; X. XXXXXXXX, Sub art. 82. Rinunzie e transazioni, ibidem, 862 ss.; X. XXXX, Contratto e rapporto tra potere e autonomia nelle recenti riforme del diritto del lavoro, in Aa. Vv., Autonomia individuale e autonomia collettiva alla luce delle più recenti riforme. Atti delle giornate di studio Aidlass di Abano Terme-Padova, 21 22 maggio 2004, Xxxxxxx, Milano, 2005, 100 ss.
72 X. XX XXXXXXX, La morte apparente delle collaborazioni coordinate e continuative, in Lav. giur., 2004, 247 ss.; X. XXXXXX, Rinunzie e transazioni, in X. XXXXXXXXXX (coordinato da), Il nuovo mercato del lavoro, cit., 835 ss.; X. XXXXX, La “volontà assistita” nel decreto legislativo n.
276 del 2003, in Dir. rel. ind., 2004, 255 ss.; M. NOVELLA, Note sulle tecniche limitative dell’autonomia individuale nella disciplina del lavoro a progetto, in Lav. dir., 2004, 127 ss., spec. 131 ss.; X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, Il lavoro a progetto, in Working Paper CSDLE Xxxxxxx X’Xxxxxx, 2004, n. 27, 12; In termini più dubitativi, invece, X. XXXXXXXX, Il collaboratore a progetto, in Lav. giur., 2003, 823; X. XXXXXXX, La nuova disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative, in AA.VV., Riforma Biagi. Le nuove collaborazioni, in Speciali Guida lav., n. 1, 2004, 12.
73 Per alcune considerazioni critiche sulla tecnica legislativa con cui sono stati allestiti la l. 30, il d. lgs. 276 del 2003 ed il d. lgs. 251 del 2004 v. X. XXXXXXXXXX, Presentazione, in ID. (coordinato da), Il nuovo mercato del lavoro, cit., XXI ss. nonché l’introduzione dello stesso Autore all’Inserto sulla correzione della c.d. riforma Biagi, Zanichelli, Bologna, 2004, VII ss.
74 Per ulteriori e più approfondite considerazioni al riguardo si rinvia al terzo capitolo, segnatamente al § 2.3.
del legislatore, tale però da non influire “sul significato operativo della disposizione e cioè (sul)le regulae juris ricavate dall’interprete”75.
Del resto, si è detto, non accedendo a questa interpretazione l’art. 68 sarebbe stato una mera duplicazione dell’art. 82, nella convinzione che fosse quest’ultima e non la prima ad individuare nelle sedi di certificazione un altro soggetto che potesse rendere inoppugnabili le rinunzie e le transazioni certificate, prevedendo l’art. 82 che gli enti bilaterali sono competenti a certificare “le rinunzie e transazioni di cui all’art. 2113 del codice civile a conferma della volontà abdicativa o transattiva delle parti stesse”76. In tal senso “l’espressa menzione dell’art. 2113 c.c. dall’articolo 82, raffrontata con l’omessa menzione di tale articolo nell’articolo 68, non può che rafforzare la tesi che identifica nelle rinunzie e transazioni di cui all’art. 68 delle fattispecie negoziali diverse da quelle ‘di cui all’articolo 2113 del codice civile’: delle fattispecie, cioè, solo tecnicamente definibili come ‘rinunzie’ o ‘transazioni’, ma in effetti riconducili alla regolazione del rapporto in chiave di deroga a norma imperative”77.
Ad ulteriore conferma della tesi della derogabilità assistita si è fatto rilevare che la versione originaria dello schema dell’art. 68 includeva un inciso, poi espunto dal testo finale, secondo cui le rinunzie e transazioni ai diritti dei lavoratori a progetto potevano effettuarsi “anche in deroga all’art. 2113 del codice civile”: tale inciso, lungi dal dover essere inteso nel senso di conferire piena validità alle rinunzie e transazioni certificate indipendentemente dall’esperimento delle procedure conciliative di cui al 4° comma dell’art. 2113 c.c., poiché sarebbe equivalso a prevedere quanto già disposto dall’art. 82, avrebbe dovuto allora interpretarsi nel senso di rendere possibile negozi dispositivi di diritti futuri, (rectius: di rinunciare alla applicazione della disciplina protettiva che li prevede). Cosicché la sua eliminazione si sarebbe potuta spiegare con la sua superfluità ed equivocità considerato che è l’art. 1418 c.c., e non l’art. 2113 c.c., che vieta la disposizione di (rectius: la deroga a norme che prevedono dei) diritti non ancora maturati78.
La tesi “derogatoria” ha incontrato tuttavia numerose critiche che in linea di principio appaiono tuttora condivisibili.
75 X. XXXXXX, op. ult. cit., 836.
76 X. XXXXXX, op. loc. ult. cit.; X. XXXXX, op. ult. cit., 253 ss.
77 X. XXXXX, op. ult. cit., 257.
78 X. XXXXX, op. ult. cit.., 257 s. e nel medesimo senso X. XXXXXX, op. loc. ult. cit.
Invero, non quella secondo cui della derogabilità assistita non vi sarebbe alcuna traccia nella legge delega, considerato che l’art. 5 indica il solo fine di “ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei rapporti di lavoro”, e quindi interpretare in tal senso l’art. 68 avrebbe rappresentato un eccesso di delega da parte del decreto delegato in violazione dell’art. 76 Cost.79. La Corte costituzionale, infatti, tende ormai a dilatare ed in un certo senso svalutare i limiti previsti dall’art. 76 Cost.80, e più di recente ha affermato che per valutare di volta in volta se il legislatore abbia ecceduto i limiti della delega è necessario tener conto delle finalità che, attraverso i principi ed i criteri enunciati, la legge delega si prefigge con il complessivo contesto delle norme da essa poste; con la conseguenza che la delega legislativa non fa venir meno ogni discrezionalità del legislatore delegato, la quale risulta più o meno ampia a seconda del grado di specificità dei principi e criteri fissati nella legge delega81. Per cui ben si sarebbe potuto rinvenire il fondamento costituzionale della derogabilità assistita nell’ art. 4, n. 4 della legge 30 ove l’espressione “tutele fondamentali a presidio della dignità e della sicurezza dei lavoratori”, come si è rilevato, “non indica necessariamente la via dell’inderogabilità assoluta, ma semmai […] quella dell’effettività delle tutele stesse”82.
La debolezza della tesi a favore della derogabilità assistita, come pure non ha mancato di sottolineare uno dei suoi sostenitori, è a ben vedere nell’averne posto a fondamento l’errore di tecnica legislativa83, dando così buon gioco alle critiche di quella parte della dottrina secondo la quale nulla avrebbe vietato di mantenere l’interpretazione dell’espressione “rinunzie e transazioni” nel senso tradizionale, e quindi che il legislatore avesse inteso regolare una fattispecie di disposizione di diritti già maturati84; in ciò, in modo
79 Cfr., fra gli altri, X. XXXXX, op. cit., 335 e M.G. XXXXXXXX, op. cit., 427.
00 X. XXXXXXXX, Certificazione: introduzione, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX (a cura di), Tipologie contrattuali a progetto e occasionali. Certificazione dei rapporti di lavoro, cit.,148 ss.
81 Cfr. Corte Cost. 5 febbraio 1999, n. 15, in Giust. civ., 1999, I, 936 ss.; Xxxxx Xxxx. 00 luglio 2000, n. 276, in Foro it., 2000, I, c. 2752; Xxxxx Xxxx. 00 novembre 2000, n. 503, in Xxxx xx., 0000, X, x. 00; Xxxxx Xxxx. 0 giugno 2003, n. 199, in Foro it., 2003, I, 2232 ss.
82 X. XXXXXX, op. ult. cit., 838 cui adde X. XXXXX, op. ult. cit., 259 s. con più ampie considerazioni in proposito. Si veda anche X. XXXXXXX, op.cit., 147, il quale però fonda il suo convincimento che la certificazione non abbia nella legge delega solo una funzione qualificatoria in base a quanto si ricava dalle lett. d ed e dell’ articolo 5, 1° co.
83 M. NOVELLA, op.cit., 132.
84 X. XX XXXX XXXXXX, op. ult. cit., 23; X. XXXXXXXXXXXX, op. cit., 638; X. XXXXX, op. cit., 334;
M.G. XXXXXXXX, op. cit., 426; X. XXXXXXXX, Le commissioni di certificazione e le rinunzie e transazioni, cit., 229 s.
simmetricamente opposto all’impostazione criticata, imputando al legislatore un’imprecisione lessicale relativamente all’espressione “in sede di certificazione”, da doversi intendere come se il legislatore avesse scritto “nelle sedi di certificazione”85.
Se non si vogliono stravolgere i consueti canoni ermeneutici di cui all’art. 12 delle preleggi, l’argomentazione dell’errore tecnico non può d’altronde essere usata per far dire al legislatore qualcosa di simile a ciò che ha detto in altri contesti usando espressioni totalmente differenti ed inequivoche, come “deroga a disposizioni” ed altre simili86.
È appena il caso di sottolineare, tra l’altro, che l’eliminazione dell’inciso “anche in deroga all’art. 2113 c.c.” dalla versione dell’art. 68 (prima dell’intervento della novella del 2004), si sarebbe similmente potuto interpretare nel senso che si voleva fugare ogni dubbio sul fatto che la norma riguardasse semplici negozi dispositivi87.
Inoltre, se si aderisce all’opinione dominante sulla distinzione “scolastica”88 tra inderogabilità della disciplina protettiva e indisponibilità dei diritti, non può neanche accogliersi la tesi di chi, sulla scia di quella dottrina per la quale non vi sarebbero ostacoli dogmatici nell’ammettere la rinuncia a diritti futuri89, ha sostenuto che nell’art. 68 il termine “rinunzie” potesse essere utilizzato per indicare anche fattispecie derogatorie della disciplina attributiva di quei diritti90.
Va detto infine che, a nostro avviso, il mancato accoglimento della tesi derogatoria non avrebbe comunque determinato nessuna sovrapposizione tra l’art. 68 e l’art. 82, considerato che in base a quest’ultimo, come si vedrà (infra
§ 7), le rinunzie e transazioni non divengono inoppugnabili, potendo infatti gli
85 M.G. XXXXXXXX, op. cit., 426 s.
86 In proposito cfr., l’art. 45, 1° co, della l. 203/1982 sulla validità degli accordi conclusi “anche in deroga alle norme vigenti in materia di contratti agrari”; ma anche la l. 431/1998 in materia di locazioni ove la possibilità di derogare alla disciplina di base è formulata con l’uso dell’espressione “in alternativa” (lo rileva X. XXXXXXXXXX, op. cit., 784).
87 In tal senso cfr. X. XXXXXXXX, Le commissioni di certificazione e le rinunzie e transazioni, cit., 230.
88 X. XXXXXX, op. ult. cit., 836.
89 Vedi supra nota 35.
90 M. NOVELLA, op. cit., 135 ss., la cui posizione invero è piuttosto cauta e non priva di dubbi per la infelice formulazione della norma, tant’è che è costretto ad ammettere che “se alla rinuncia pare ammissibile attribuire […] la duplice valenza derogatoria e dispositiva, altrettanto non pare possibile fare per quanto attiene invece alla transazione: non v’è dubbio che quest’ultima non possa servire alla configurazione di deroghe convenzionali alla disciplina” (p. 137).
enti bilaterali solo accertare la volontà delle parti di porre in essere un negozio dispositivo e non una semplice quietanza a saldo91.
Come detto all’inizio, il legislatore con la novella del 2004 sembra però sposare la tesi opposta a quella derogatoria, precisando che l’ambito oggettivo di applicazione della norma sono i “diritti derivanti da un rapporto di lavoro già in essere”, da intendersi come diritti che sono già parte del patrimonio del lavoratore, per cui l’espressione rinunzie e transazioni sarebbe da intendersi in modo conforme alla tradizione interpretativa giuslavoristica92.
Secondo i primi commentatori, peraltro, se si guarda la prima parte della norma novellata (“Nella riconduzione a un progetto, programma di lavoro o fase di esso dei contratti di cui all’art. 61 comma 1”) non parrebbero esserci dubbi sul fatto che “l’art. 68 […] riguardi solo il momento dinamico della transizione dalle xx.xx.xx. alla nuova fattispecie del lavoro a progetto”93; e perciò “conceda alle parti che intendono farsi certificare un lavoro a progetto la possibilità di ‘chiudere’ con il passato, evitando quindi problemi connessi a possibili contestazioni per il periodo anteriore all’emanazione dell’atto
91 In tal senso, quindi, non può condividersi neanche quanto sostenuto dalla dottrina contraria alla tesi derogatoria che, per superare l’impasse della presunta duplicazione tra le norme, ha cercato di individuare l’autonomo significato dell’art. 68 sostenendo o che, con riferimento ai soli rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, venisse espanso a tutti i soggetti indicati nell’art. 76 del decreto quel potere conciliativo che l’art. 82 limita alle sole commissioni di certificazione istituite presso gli enti bilaterali (in tal senso A. PIZZOFERRATO, op. cit., 639); o che l’art. 68 si limitasse a prevere la possibilità delle rinunzie e transazioni nelle sedi di certificazione, con l’art. 82 esclusivamente funzionale alla individuazione dell’organo al riguardo competente (X. XXXXXXXXXX, Il lavoro a progetto. Profili teorico ricostruttivi, in AA.VV., Riforma Biagi. Le nuove collaborazioni, cit., 26 cui adde X. XXXXXXXXXX, op. cit., 783. Nel medesimo senso, ci pare, anche
X. XXXXX, xx. xxx. xxx.).
00 Xx mostra invece cauto sulla interpretazione della norma novellata nel senso che questa escluda un’ipotesi di derogabilità assistita, X. XXXXXXXX, L’attività sindacale e la derogabilità assistita, in Riv. it. dir. lav., 2005, I, 88 s.
93 X. XXXXXXXX, Rinunzie e transazioni, in AA.VV. Il correttivo alla legge di riforma del mercato del lavoro. D.lgs. 276/2003 come modificato dal D. lgs. 251/2004, in X. XXXXXXX (coordinato da), Commentario al d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Ipsoa, Milano, 2005, V, 146 s.; X. XXXXXXXX, Le commissioni di certificazione e le rinunzie e transazioni, ibidem, 150 ss.; X. XXXXXXXX, op. ult. cit., 88; X. XXXXXXX, Strumenti di qualificazione del rapporto e deflazione del contenzioso, in Riv. giur. lav., I, 2005, 705. Una posizione parzialmente difforme è quella di X. XXXXX, La certificazione dei contratti lavoro, cit., 615, secondo cui “il nuovo testo […] si riferisce ai ‘diritti derivanti da un rapporto di lavoro già in essere’, e dunque a un rapporto che può non essere di collaborazione coordinata e continuativa, e che certamente non può essere di lavoro a progetto: […] potrà trattarsi di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ‘senza progetto’ che vengono trasformati in rapporti di lavoro a progetto nei termini e alle condizioni stabilite dal 1 comma dell’art. 86 […]; o più spesso di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa senza progetto che vengono trasformati in rapporti di lavoro a progetto al di là di detti limiti temporali e condizioni, e dunque dopo avere vissuto una fase più o meno lunga di ‘illegittimità’, che sarà governata dall’art. 69 del decreto”.
amministrativo”94. Quanto all’individuazione dei diritti oggetto di disposizione, nel nuovo art. 68 le rinunzie e transazioni non sono più circoscritte ai diritti derivanti dalle disposizioni che regolano il lavoro a progetto95, ed il riferimento ai “diritti derivanti da un rapporto già in essere” consentirebbe in linea teorica di includere tutti i diritti riferibili alle collaborazioni coordinate e continuative a prescindere sia dalla fonte, legale o contrattuale, sia dalla distinzione tra vecchia e nuova disciplina96.
Alcune parole vanno spese, inoltre, su altre norme del d. lgs. 276 le quali, secondo alcuni, consentirebbero di rinvenire nel corpo della riforma un’ipotesi di derogabilità assistita.
Per una parte della dottrina la base normativa è nell’art. 78, 4° co., del
d. lgs. 276 secondo il quale “il Ministro del lavoro e delle politiche sociali adotta con proprio decreto codici di buone pratiche per l’individuazione delle clausole indisponibili in sede di certificazione dei rapporti di lavoro, con specifico riferimento ai diritti e ai trattamenti economici e normativi. Tali codici recepiscono, ove esistano, le indicazioni contenute negli accordi interconfederali stipulati da associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”. Al riguardo, l’espressione “clausole indisponibili” dovrebbe essere interpretata come se il legislatore si riferisca alle norme di legge che disciplinano i contratti oggetto di certificazione, cosicché il decreto definirebbe per sottrazione le clausole disponibili, determinando quindi l’area di derogabilità assistita della suddette norme di legge97.
La mancanza, all’interno del d. lgs. 276/2003, di una disposizione che consenta, in modo esplicito ed inequivoco, la derogabilità assistita della
00 X. XXXXXXXX, Xx commissioni di certificazione e le rinunzie e transazioni, in AA.VV. Il correttivo alla legge di riforma del mercato del lavoro. D.lgs. 276/2003 come modificato dal D. lgs.
251/2004, cit., 151.
95 Nella versione originaria della norma la dottrina prevalente aveva ritenuto che dovessero essere esclusi i diritti derivanti dalla disciplina preesistente, anche da quella richiamata all’art. 66, 4° co. (processo del lavoro, tutela previdenziale e contro gli infortuni sul lavoro, tutela in caso di maternità e di degenza ospedaliera, possibilità di usufruire di assegni familiari): cfr. X. XXXXXX, op. ult. cit., 839; X. XXXXX, La “volontà assistita” nel decreto legislativo n. 276 del 2003, cit., 260 ss.; M. NOVELLA, op. loc. cit., 138; Contra X. XXXXXXXX, Le commissioni di certificazione e le rinunzie e transazioni, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX (a cura di), Tipologie contrattuali a progetto e occasionali. Certificazione dei rapporti di lavoro, cit., 233.
96 X. XXXXXXXX, op. cit., 147 e in adesione X. XXXXXXXX, Le commissioni di certificazione e le rinunzie e transazioni, in AA.VV. Il correttivo alla legge di riforma del mercato del lavoro. D.lgs. 276/2003 come modificato dal D. lgs. 251/2004, cit., 152 s.
97 In tal senso X. XXXXX, op cit., 335, per il quale invece l’art. 78, 4° co., non potrebbe consentire la disapplicazione dei contratti collettivi in sede di certificazione, se non ponendosi in contrasto con il principio di libertà sindacale ex art. 39, 1° co., Cost.
disciplina protettiva è già motivo sufficiente per escluderla. Invero, e pur sorvolando sulla confusione tra diritti indisponibili e norme inderogabili (retaggio delle imprecisioni contenute nel Progetto)98, se si ammettesse una simile lettura si arriverebbe ad affermare che un decreto ministeriale possa stabilire la deroga delle norme di legge o di contratto collettivo, sovvertendo così la gerarchia tra le fonti del diritto99.
In realtà i “codici di buone pratiche” hanno una funzione meramente ricognitiva e non derogatoria della disciplina di origine legale o collettiva100, e si limiteranno (se e quando verranno emanati) a “codificare” quanto già previsto – e se previsto – dalla normativa vigente, in modo non dissimile dai codes of practice tipici del Regno Unito, i quali sono emanati dal Secretary of State for Employment o da altri organismi di natura governativa come l’Employment Opportunity Commission101.
Altra parte della dottrina102, infine, ritiene che il fondamento normativo della derogabilità assistita sarebbe da rinvenirsi nell’art. 81, secondo cui i soggetti certificatori “svolgono anche – indicando quindi un’attività ulteriore alla qualificazione del contratto – funzioni di consulenza e assistenza effettiva alle parti, sia in relazione alla stipulazione del relativo programma negoziale sia in relazione alle modifiche del programma negoziale medesimo concordate in sede di attuazione del rapporto di lavoro, con particolare riferimento alla disponibilità dei diritti e alla esatta qualificazione dei contratti di lavoro”.
In proposito si sostiene che i compiti di assistenza e consulenza assegnati dalla norma alle commissioni di certificazione sarebbero previsti
98 Cfr. supra § 3.1. A costo di apparire pedanti, vale la pena di ricordare ancora una volta che sono i diritti ad essere indisponibili e non le clausole, e che sono le clausole ad essere inderogabili e non i diritti.
99 Cfr. M.G. XXXXXXXX, op. cit., 425; M. NOVELLA, op. cit., 139 ss., secondo cui il sovvertimento della gerarchia delle fonti tra legge e decreto ministeriale si verificherebbe anche nel caso in cui questo stabilisca la derogabilità della disciplina del contratto collettivo considerato che, secondo l’opinione dominante in dottrina ed in giurisprudenza, l’inderogabilità del contratto collettivo deriva dalla legge, e segnatamente dagli artt. 2077 e 2113 c.c.
100 M.G. XXXXXXXX, op. cit., 433; M. NOVELLA, op. cit., 140; X. XXXXX, La certificazione dei contratti lavoro, cit., 618. Per X. XXXXXX, Certificazione dei contratti di lavoro, cit., 910 e nt. 138, secondo cui affinché il codice di buone pratiche possa derogare alle norme di origine legale sarebbe necessaria “per lo meno una legittimazione esplicita”, si tratta esclusivamente di “un segnale dato alle parti sociali secondo cui le stesse, ove intendano adottare, in relazione alle sole clausole collettive, la tecnica della derogabilità relativa, possono far riferimento alle commissioni di certificazione”.
101 Tali codici hanno lo scopo sia di codificare le consuetudini già esistenti sia di promuovere le buone pratiche considerate auspicabili: cfr. sul punto A. D’XXXXXX, Il procedimento di certificazione, in X. XXXXXX, X. XXXXXXXXX, La certificazione dei contratti di lavoro, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2004, 318.
102 X. XXXXX, op. ult. cit., 285 s.
“per la formazione e la modificazione del regolamento contrattuale nel suo divenire”: per cui, interpretando l’espressione “programma negoziale” come “regolamento contrattuale”, si arriva a riconoscere che le parti, in sede di certificazione, potrebbero introdurre nel contratto individuale clausole anche peggiorative della disciplina eteronoma103.
Una siffatta lettura non può però essere accolta poiché è quanto meno eccessivo affidarsi all’indicazione, appena accennata, sull’attività di assistenza, laddove tale indicazione potrebbe al limite rilevare come conferma della regola della derogabilità assistita solo in presenza di disposizioni che prevedano esplicitamente un simile meccanismo in sede di certificazione104. In mancanza di tali norme i termini “assistenza” e “consulenza” stanno a significare semplicemente un’attività di informazione e supporto delle parti, specialmente di quella debole, di aiuto nella stipulazione del contratto di lavoro nonché nella definizione del programma negoziale o nella sua modifica quando le parti, per l’effettivo svolgimento del rapporto, decidano per una novazione oggettiva del contratto di lavoro105.
7. Segue: L’incerta collocazione funzionale delle altre ipotesi di certificazione (artt. 82, 83 ed 84 del d. lgs. 276/2003)
Ancora aperto invece è il dibattito sulla natura e sulla funzione delle “altre ipotesi” di certificazione individuate dagli artt. 82, 83 ed 84 del d. lgs. 276.
Per quanto riguarda l’art. 82, per il quale gli enti bilaterali possono certificare “le rinunzie e transazioni di cui all’articolo 2113 c.c. a conferma della volontà abdicativa o transattiva delle parti stesse”, in dottrina sono rinvenibili sostanzialmente due posizioni.
Per alcuni, se è in funzione della “conferma” della volontà abdicativa o transattiva delle parti, la certificazione servirebbe ad accertare che il lavoratore effettua non una dichiarazione di scienza ma una dismissione di diritti. Il legislatore cioè, avendo in mente le note difficoltà di distinguere talvolta gli
103 X. XXXXX, La certificazione dei contratti di lavoro, cit., secondo cui la possibilità per le parti di determinare in sede di certificazione il regolamento contrattuale troverebbe conferma dall’art. 78, 5° co. sui moduli e formulari per la certificazione del contratto da adottarsi con decreto ministeriale, da cui ad avviso dell’Autore si ricaverebbe in modo chiaro che “oggetto dell’attività di certificazione è il programma negoziale e cioè il contenuto del contratto” (p. 286)
104 Cfr. in tal senso, M. NOVELLA, op. cit., 130.
105 M. NOVELLA, op. loc. cit.
atti dismissivi dalle c.d. quietanze liberatorie106, avrebbe semplicemente inteso assegnare agli enti bilaterali la competenza a certificare la reale natura dispositiva del negozio posto in essere dalle parti. La funzione della commissione di certificazione non sarebbe pertanto quella di convalidare la volontà dispositiva delle parti, rendendo le rinunzie e transazioni inoppugnabili, come quelle effettuate innanzi alle commissioni di conciliazione stragiudiziale ex artt. 2113, comma 4, c.c. e 410 e ss. c.p.c.107, bensì di qualificare come dismissivo il negozio posto in essere. Si tratterebbe, in sostanza, di una certificazione avente una finalità non dissimile da quella regolata dagli art. 75 ss., e cioè “una certificazione con finalità di riduzione del contenzioso in materia di qualificazione dei negozi dismissivi in materia lavoristico”108.
Per altra dottrina se la norma venisse interpretata in questo senso sarebbe inutile, poiché non si capisce quale datore di lavoro potrebbe essere realisticamente interessato al mero accertamento dell’atto di dismissione, comunque revocabile, quando avrebbe l’opportunità di ottenerne l’inoppugnabilità rivolgendosi alle commissioni di conciliazione109.
Secondo alcuni il confronto con il modello di cui all’art. 75 non reggerebbe peraltro sul piano funzionale e sistematico110: nella stipulazione del contratto di lavoro è la questione della sua esatta qualificazione ad avere un ruolo di primo piano, mentre i problemi di legittimità sostanziale sono di regola resi irrilevanti dalla sostituzione automatica di clausole nulle ex artt. 1419, 2° co, e 2077 c.c.; al contrario, i problemi sulla qualificazione dei negozi dispositivi restano assorbiti da quelli inerente la legittimità sostanziale delle rinunzie e transazioni medesime.
Tale interpretazione permetterebbe di comprendere tra l’altro il perché dell’attribuzione della competenza ai soli enti bilaterali che, vale la pena di
106 Su cui v., tra gli altri, X. XXXXXX, Le rinunzie e le transazioni del lavoratore: riesame critico, in Dir. lav., 1970, I, 8 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Considerazioni sulla funzione regolatrice della quietanza a saldo, in Mass. giur. lav., 1976, 377 ss.
107 Cfr. X. XXXXXXXX, Le commissioni di certificazione e le rinunzie e transazioni, in X. XXXXXXXX,
X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX (a cura di), Tipologie contrattuali a progetto e occasionali. Certificazione dei rapporti di lavoro, cit., 234; X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXX, Sulle procedure di certificazione, in X. XXXXXX (a cura di), Il lavoro tra progresso e mercificazione. Commento critico al decreto legislativo n. 276/2003, Ediesse, Roma, 2004, 376.
108 X. XXXXX, La “volontà assistita” nel decreto legislativo n. 276 del 2003, cit., 254.
109 Cfr. X. XXXXXX, Altre ipotesi di certificazione, in X. XXXXXXXXXX (coordinato da), Il nuovo mercato del lavoro. cit., 917, la cui interpretazione rovescia quanto precedentemente sostenuto, commentando la l. n. 30/2003 (ID., Il nuovo istituto della “certificazione” dei contratti di lavoro, in Mass. giur. lav., 2003, 123); X. XXXXX, op. loc. ult. cit.; M. XXXXXXX, op. cit., 144.
110 X. XXXXX, op. loc. ult. cit.
precisarlo, sono, secondo lo stesso d. lgs. 276, “organismi costituiti ad iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative”111. La scelta, infatti, sarebbe in linea di continuità con la competenza riconosciuta alle commissioni di conciliazione di natura sindacale ex art. 2113 c.c. e 411, 3° co., c.p.c., mentre se si trattasse di una certificazione “qualificatoria”, sarebbe irragionevole l’esclusione degli altri soggetti competenti a certificare ai sensi dell’art. 76 del decreto112.
Questa è una interpretazione senz’altro ragionevole poiché tende a preservare l’utilità della norma, ma ne corregge il testo obliterando le indicazioni letterali le quali sono in realtà chiare nell’attribuire agli enti bilaterali solo la verifica che la volontà del lavoratore sia effettivamente quella di concludere un negozio dispositivo113. Secondo quanto affermato dalla Cassazione, all’interprete invece non è consentito correggere la norma nel significato tecnico giuridico proprio delle espressioni che la compongono, qualora ritenga che l’effetto giuridico che ne deriva sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica cui la norma è intesa114.
In base a ciò può concludersi che la certificazione di cui all’art. 82 non vale a convalidare i negozi dispositivi ma solo ad accertare che non si tratti di mere dichiarazioni di scienza115, con tutti i dubbi sull’utilità delle norma e sulla scelta di attribuire tale funzione esclusivamente agli enti bilaterali, escludendo le Dpl che sono in generale abilitate a rendere inoppugnabili le rinunzie e transazioni, o tutti gli altri soggetti certificatori in grado di rendere incontestabili le rinunzie e transazioni dei diritti del lavoratore a progetto116. Può comunque condividersi la soluzione avanzata in dottrina per evitare
111 Cfr. art. 2, 1° co., lett. h del d. lgs. 276/2003.
112 X. XXXXX, op. ult. cit., 255.
113 In tal senso anche X. XXXXXXXX, Sub art. 82. Rinunzie e transazioni, cit., 859.
114 Cfr. Cass. 13 aprile 1996 n. 3495, in Mass. Foro it., 1996.
115 Secondo X. XXXXXXXX, in AA.VV. Il correttivo alla legge di riforma del mercato del lavoro. D.lgs. 276/2003 come modificato dal D. lgs. 251/2004, cit., 156, costituirebbe un elemento sistematico a favore dell’interpretazione accolta il rilievo che “quando il legislatore ha voluto dire che era possibile effettuare rinunzie e transazioni valide in coerenza con l’art. 2113 c.c. lo ha espresso in modo assai più chiaro, come dimostra la riforma dell’art. 68 […]. Pertanto, aver modificato l’art. 68 e non aver innovato il contenuto dell’art. 82 dimostra a maggior ragione, che si è voluta differenziare la funzione delle due norme”. Contra X. XXXXXXXX, op. cit., 146 s. per la quale, anche a seguito del d. lgs. 251/2004, l’art. 68 conserverebbe la sua autonomia funzionale, riguardando questo le sole rinunzie e transazioni dei diritti derivanti da un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa in attesa di essere trasformato in un rapporto a progetto, come tale “norma temporalmente specifica rispetto all’art. 82”.
000 X. XXXXXXXX, Xx commissioni di certificazione e le rinunzie e transazioni, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX (a cura di), Tipologie contrattuali a progetto e occasionali. Certificazione dei rapporti di lavoro, loc. cit.
l’abrogazione di fatto della norma senza torsioni interpretative117, e cioè che siano gli accordi istitutivi degli enti bilaterali a riconoscere alle commissioni di certificazione quei poteri di cui dispongono gli organi di conciliazione, istituiti da accordi e contratti collettivi, in base agli articoli 2113, comma 4, c.c. e 410 e ss. c.p.c.
Un’altra ipotesi è quella prevista dal successivo art. 83 secondo il quale “la procedura di certificazione di cui al capo I è estesa all’atto di deposito del regolamento interno delle cooperative riguardante la tipologia dei rapporti di lavoro attuati o che si intendono attuare, in forma alternativa, con i soci lavoratori, ai sensi della legge 3 aprile 2001, n. 142 e successive modificazioni. La procedura di certificazione attiene al contenuto del regolamento depositato”. La norma richiama l’art. 6 della l. 142/2001 sulla disciplina del regolamento interno delle società cooperative, il quale deve regolare, tra l’altro le “modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative da parte dei soci, in relazione all’organizzazione aziendale della cooperativa e ai profili professionali dei soci stessi, anche nei casi di tipologie diverse da quelle del lavoratore subordinato” (art. 6, 1° comma, lett. a)
Dalla lettura congiunta delle norme una dottrina fa rilevare che anche la certificazione di cui all’art. 83 avrebbe una finalità deflattiva del contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro, considerato che “l’individuazione, da parte del regolamento, del rapporto di lavoro diverso da quello societario con la specificazione delle modalità attuative della prestazione si traduce in un operazione di qualificazione giuridica del tipo contrattuale”118.
Altra parte della dottrina, pur provando a rinvenire una qualche utilità della norma nel perseguimento della finalità deflattiva del contenzioso, si mostra più cauta facendo rilevare che tale finalità “non potrebbe qui dispiegarsi, essendo il regolamento un prius rispetto alla stipula dei contratti di lavoro”119 o che comunque sarebbe ridotta al minimo in quanto ad essere certificato è il regolamento cioè “un atto tipicamente unilaterale (anche se approvato dall’assemblea), mentre la qualificazione riguarda un atto bilaterale
117 X. XXXXXXXX, op. ult. cit., 859 ss.
000 X. XXXXXXXX, Xx certificazione relativa al regolamento delle cooperative, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX (a cura di), Tipologie contrattuali a progetto e occasionali. Certificazione dei rapporti di lavoro, cit., 238. Sulla finalità di deflazione del contenzioso sulla qualificazione dei contratti di lavoro, v. anche X. XX XXXXXXX, Le certificazioni all’interno della riforma del mercato del lavoro, cit., 260.
119 X. XXXXX, Sull’istituto della certificazione nel d. lgs. 276 del 2003, in AA. VV.. Scritti in memoria di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, in Dir. lav., 2004, III, 1085.
ossia il contratto di lavoro effettivamente concluso tra il socio e la cooperativa”120.
Non può sfuggire infatti che l’oggetto della procedura di certificazione è esclusivamente il regolamento, rectius il suo contenuto. Va precisato però che il compito della commissione di certificazione competente – che, lo si ricordi, è esclusivamente quella costituita presso le Dpl – non è quello di qualificare il regolamento, visto che la qualificazione del regolamento non è mai dubbia, né quello di qualificare le indicazioni sulla “tipologia dei rapporti di lavoro attuati o che si intendono attuare con i soci lavoratori”, le quali fanno parte del contenuto del regolamento stesso e, pertanto, non sono suscettibili di qualificazione121. Il compito dei certificatori è solo quello di valutare la coerenza organizzativa delle soluzioni in esso previste ed in particolare la legittimità delle prescrizioni relative alla possibile articolazione dei contratti da concludere o già conclusi122.
Se questo è l’oggetto dell’attività dei certificatori, l’espressione “tipologia dei rapporti attuati o che si intendono attuare” non deve trarre in inganno: essa non permette di estendere la valutazione della commissione ai singoli accordi, come pure potrebbe far pensare il riferimento ai “rapporti attuati”, poiché sarebbe stato necessario esplicitare l’estensione dell’esame a quest’ultimi con la preventiva adesione volontaria alla certificazione123. L’esame della commissione riguarderà quindi la “tipologia dei rapporti” nel senso di valutare le clausole a taglio generale del regolamento, a prescindere dalla loro attuazione124.
Per cui se il provvedimento di certificazione riguarda il solo regolamento ed attiene ad un vaglio di legittimità del suo contenuto, l’attestazione della commissione, che rilevi talune incongruità ed incoerenze nelle soluzioni organizzative prescelte dalla società cooperativa, non potrà che determinare un effetto deflattivo solo indiretto delle controversie sull’esatta qualificazione del rapporto intercorrente tra società e socio lavoratore125.
120 X. XXXXXX, op. ult. cit., 917, e già ID., Il principio del doppio rapporto e le tipologie lavorative, in X. XXXXXX, X. XXXXXXXXX, X. XXXX (a cura di), La riforma della posizione giuridica del socio lavoratore di cooperativa, in Nuove leggi civ. comm., 2002, 361.
121 X. XXXXXXXX, Sub art. 83. Deposito del regolamento interno delle cooperative, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), La riforma del marcato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, cit., 871
122 X. XXXXXXXX, op. ult. cit., 871 s.
123 X. XXXXX, La disciplina della posizione del socio di cooperativa dopo la c.d. legge Biagi, in AA. VV., Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxxx, Cedam, Padova, 2005, vol. I, 684.
124 X. XXXXXXXX, op. ult. cit., 869.
125 Cfr. X. XXXXX, Sull’istituto della certificazione nel d. lgs. 276 del 2003, cit., 1085 s.
Peraltro, nonostante l’esplicito rinvio alla procedura di cui al capo I, il carattere unilaterale dell’istanza di certificazione voluta dall’art. 83 fa venir meno il requisito della concorde richiesta delle parti del contratto ai sensi dell’art. 78, che è il presupposto del prodursi degli effetti dell’art. 79. Per cui la certificazione del regolamento potrebbe essere invocata dalla sola società cooperativa ma senza produrre alcun effetto né nei suoi confronti né nei confronti dei terzi estranei al procedimento126.
L’ultima delle “altre ipotesi” di certificazione disciplinate dal capo II del Titolo VIII è quella dell’art. 84 secondo il quale “le procedure di certificazione di cui al capo I possono essere utilizzate, sia in sede di stipulazione di appalto di cui all’art. 1655 del codice civile sia nelle fasi di attuazione del relativo programma negoziale, anche ai fini della distinzione tra somministrazione di lavoro e appalto […]”. Al secondo comma si stabilisce che vengano adottati dal Ministro del lavoro, in modo simile rispetto a quanto previsto dall’art. 78, co. 4° e 5°, “codici di buone pratiche e indici presuntivi in materia di interposizione illecita e appalto genuino, che tengano conto della rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e della assunzione effettiva del rischio tipico di impresa da parte dell’appaltatore”, recependo, se esistenti, “le indicazioni contenute negli accordi interconfederali o di categoria stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
Uno dei primi commentatori della norma ha rilevato che la certificazione “deve riguardare la distinzione tra somministrazione ed appalto”, in un ottica di deflazione del contenzioso qualificatorio. Tuttavia si afferma poco dopo che “difficilmente potranno porsi problemi di qualificazione”, non avendo il contratto di somministrazione “caratteri tali da impedire qualsiasi confusione”, dato che esso “presuppone un’autorizzazione ministeriale espressa concessa ad agenzie dotate di specifici requisiti giuridici e finanziari ed una forma scritta ad substantiam”127.
Quanto affermato dall’Autore in apparente contraddizione permette di capire che l’oggetto della procedura di certificazione disciplinata dall’art. 83 è altro dalla distinzione a fini qualificatori tra appalto e somministrazione, come
126 X. XXXXXXXX, op. ult. cit., 872, per il quale l’inizio del procedimento non deve essere comunicato ad alcun soggetto pubblico ai sensi dell’art. 78, 2° co. lett a, non producendo l’atto di certificazione alcun effetto, e comunque, non essendoci contraddittorio, esso si svolgerebbe in forme semplificate. Contra X. XXXXXX, Altre ipotesi di certificazione, cit., 918.
000 X. XXXXXXXX, Xx certificazione della somministrazione e dell’appalto di opere e di servizi, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX (a cura di), Tipologie contrattuali a progetto e occasionali. Certificazione dei rapporti di lavoro, cit., 243.
sembrerebbe indicare il primo comma. La questione infatti neanche si porrebbe dato che i contratti di somministrazione possono essere conclusi lecitamente solo da operatori che abbiano ricevuto l’abilitazione del Ministero del Lavoro.
Semmai questa ipotesi di certificazione, come si desume anche dalla rubrica e dal secondo comma dell’art. 84, riguarda la distinzione tra appalti validi ed appalti difformi dal modello dell’art. 29 del decreto ovvero tra appalto lecito e somministrazione irregolare o fraudolenta di cui ai successivi agli artt. 27 e 28, se è vero che nella somministrazione irregolare o in quella fraudolenta rientrano tutte le ipotesi di appalti stipulati in violazione dell’art. 29: la procedura avrebbe ad oggetto allora la validità del contratto di appalto non la sua qualificazione128.
Una volta promossa la procedura dal committente e dall’appaltante questa non produrrà effetti nei confronti dei dipendenti dell’appaltatore, essendo infatti necessario a tal fine il volontario ricorso alla certificazione ai sensi dell’art. 78, 1° co., a meno che questi non prestino il loro assenso nel richiedere la certificazione, in tal caso potrebbero anche essi rientrare fra le “parti del contratto di lavoro” cui l’art. 78 si riferisce nell’apertura del procedimento; inoltre, anche in considerazione del richiamo alle disposizioni del capo I, sarebbero coinvolti i soggetti pubblici interessati giusta l’art. 78, 1° co., lett a129.
128 “Non è esatto dire che si deve discernere fra il contratto di appalto e quello di somministrazione ‘irregolare’. La somministrazione irregolare è un’ipotesi vietata e, quindi, non esiste un valido negozio di somministrazione difforme dall’unico modello lecito, la somministrazione ‘regolare’. Pertanto, l’alternativa al valido contratto di appalto dello stesso art. 29 è un contratto nullo per violazione dell’art. 29 e per carenza dei requisiti della somministrazione ‘regolare’, così che l’accordo è difforme da norme inderogabili”: X. XXXXXXXX, Sub art. 84. Interposizione illecita e appalto genuino, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), La riforma del marcato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali cit., 875 s. Contrappone invece la somministrazione irregolare al negozio di appalto stipulato in contrasto con l’art. 00, X. XXXXXXXX, Xx certificazione della somministrazione e dell’appalto di opere e di servizi, cit., 244. Questi ragionamenti devono comunque leggersi alla luce del comma 3 bis dell’art. 29, aggiunto dall’art. 6 del d. lgs. 251/2004, secondo il quale “quando il contratto di appalto sia stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell'articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo. In tale ipotesi si applica il disposto dell'articolo 27, comma 2”.
129 X. XXXXXXXX, op. ult. cit., 874 s.
CAPITOLO SECONDO
LA CERTIFICAZIONE DI FRONTE ALL’ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE DI QUALIFICAZIONE DEI CONTRATTI
Sommario: 1. Sulla specificità della qualificazione nel diritto del lavoro rispetto al diritto dei contratti - 2. L’idoneità qualificatoria del concetto di subordinazione e gli indici di qualificazione nella giurisprudenza - 3. La qualificazione dei contratti di lavoro tra metodo sussuntivo e metodo tipologico - 4. La compatibilità della certificazione con la funzione giurisdizionale di qualificazione dei contratti: l’imputazione della qualificazione alla commissione di certificazione e non alle parti
- 5. Segue: sulla legittimità di una qualificazione “certificata” alla luce degli artt. 24 e 102 Cost. - 6. La natura giuridica della certificazione
1. Sulla specificità della qualificazione nel diritto del lavoro rispetto al diritto dei contratti
Come rilevato nel corso del primo capitolo, nella l. 30 e nel d. lgs. 276 del 2003 la certificazione è essenzialmente volta alla qualificazione dei contratti di lavoro, sia pure con le “varianti” funzionali degli artt. 68, 82, 83 ed 84, ed è pertanto su di essa che si intende concentrare l’attenzione nel prosieguo del lavoro.
In questo capitolo si intende trattare della certificazione di fronte all’attività giurisdizionale di qualificazione dei contratti di lavoro, per valutarne la compatibilità con le garanzie costituzionali sul diritto alla difesa e sulla riserva di giurisdizione ex artt. 24 e 102 Cost., e per evidenziare – nel terzo capitolo – l’attività degli organi di certificazione sulla base delle prime risultanze empiriche.
È pertanto necessario muovere dall’analisi dei profili essenziali relativi all’attività di qualificazione per così dire “tradizionale”, appunto l’attività giurisdizionale di qualificazione dei contratti di lavoro, e ciò richiede di affrontare preliminarmente una questione con cui, come si vedrà, la
certificazione deve confrontarsi dal punto di vista sistematico, cioè quella relativa alla c.d. indisponibilità del tipo legale di cui all’art. 2094 c.c.1
Nell’affrontare tale questione il pensiero corre immediatamente alle sentenze della Xxxxx Xxxxxxxxxxxxxx 00 marzo 1993, n. 121, e 31 marzo 1994,
n. 115 in cui si afferma che “non sarebbe comunque consentito al legislatore negare la qualificazione giuridica di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura, ove da ciò derivi l’inapplicabilità delle norme inderogabili previste dall’ordinamento per dare attuazione ai principi, alle garanzie e ai diritti dettati dalla Costituzione a tutela del lavoro subordinato. A maggior ragione non sarebbe consentito al legislatore di autorizzare le parti ad escludere direttamente o indirettamente, con la loro dichiarazione contrattuale, l’applicabilità della disciplina inderogabile prevista a tutela dei lavori a rapporti che abbiano contenuti e modalità di esecuzione propri del rapporto di lavoro subordinato”2.
Invero per qualsiasi contratto, nel diritto del lavoro come nel diritto civile, le parti non hanno la facoltà di scegliere, sulla base di una propria autoqualificazione (c.d. nomen juris), il tipo legale cui ascrivere il contratto posto in essere poiché è solo il giudice che “afferma o nega la riconducibilità” di un contratto “a un determinato tipo contrattuale”, stabilendo di conseguenza “se al contratto sia applicabile la disciplina di qualche tipo, e se sì, di quale tipo”3.
Se nel diritto civile le parti possono liberamente determinare il contenuto e perciò gli effetti del contratto idonei a realizzare la concreta
1 In questa sede non è possibile tuttavia dare il sufficiente spazio ai rapporti tra il tipo ex art. 2094 c.c., che identifica nel lavoratore subordinato a tempo pieno ed indeterminato la figura socialtipica prevalente di imputazione della disciplina protettiva, e le altre figure contrattuali che da esso si differenziano e si caratterizzano per la temporaneità o discontinuità dell’occupazione, per l’elasticità della obbligazione di lavoro o della durata della prestazione, per la dissociazione tra titolarità formale e concreto utilizzo del rapporto, per il perseguimento di finalità formative e di ingresso nel mercato del lavoro, ecc. Sia sufficiente ricordare che in dottrina si seguono di massima due indirizzi: uno adotta lo schema rapporto generale-rapporto speciale, definendosi speciali tutti quelli per i quali è prevista una disciplina particolare che si distacca per difetto dal livello massimo di tutela (in tal senso, ad esempio, X. XXXXXXXXXXXX, Diritto del lavoro, Jovene, Napoli, 2000, 123 ss.); l’altro indirizzo utilizza invece lo schema tipo-sottotipo, per cui i sottotipi si caratterizzano per una deviazione funzionale della causa del tipo di cui all’art. 2094 c.c., (in tal senso si veda X. XXXXXXXXXX, Spunti della tipologia dei rapporti di lavoro, in Dir. lav., 1983, I,
77 ss., ed in termini consimili X. XXX, Riflessioni su specialità, tipo e sottotipo nel lavoro subordinato, in X. XXXXXXXXXX [a cura di], Lavoro subordinato e dintorni, cit., 51 ss.)
2 Vedile, rispettivamente, in Foro it., 1993, I, c. 2432 ss. ed in Arg. dir. lav., 1995, 297 ss.
3 In tal senso, definendo la qualificazione, X. XXXXX, Xx xxxxxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 429. “In questo (e solo in questo) consiste la regola della ‘indisponibilità del tipo legale’”, secondo X. XXXXXX, Il contratto di lavoro, in X. XXXX, X. XXXXXXXX (già diretto da) e X. XXXXXXX (continuato da), Trattato di diritto civile e commerciale, Xxxxxxx, Milano, I, 2000, 290.
operazione economica (nei limiti segnati dalle norme imperative, dall’ordine pubblico e dal buon costume: arg. artt. 1322, 1° co. e 1345 c.c.), eventualmente costruendo ex art. 1322, 2° co. c.c. contratti diversi dai tipi regolati, ciò non è però possibile nel diritto del lavoro dove opera la tecnica del “tipo imposto”; ossia “dell’intervento dirigistico sul contratto attraverso la imputazione di effetti inderogabili e la sostituzione legale delle clausole difformi”4.
Nel diritto del lavoro, all’accordo delle parti è inibito disporre del contenuto del contratto, separando la subordinazione dallo statuto protettivo del lavoratore subordinato, per cui si tratta di impedire che esse scelgano o modellino a loro piacimento la disciplina applicabile al rapporto, con operazioni di “ingegneria negoziale”5; in ogni caso, si tratta di impedire che, (auto)qualificando il contratto in modo tale da ricondurlo ad un tipo diverso da quello al quale sono legalmente imputati effetti inderogabili, deroghino alla disciplina imperativa dei rapporti di lavoro in via surrettizia ed indiretta6.
Addirittura, secondo il pensiero della Corte, neanche al legislatore sarebbe consentito negare la qualificazione giuridica di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che “oggettivamente abbiano tale natura, ove da ciò derivi l’inapplicabilità delle norme inderogabili”.
Questo non vuol dire però, come pure è stato sostenuto guardando alle vicende scrutinate nelle pronunce7, che la Corte abbia elevato una nozione
4 M. D’ANTONA, Contrattazione collettiva e autonomia individuale nei rapporti di lavoro atipici, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1990, 534.
5 X. XXXXXXXXX, Il contratto di lavoro fra pregiudizio e orgoglio giuslavoristico, in Lav. dir., 1993, 30.
6 Cfr., fra gli altri, M.V. XXXXXXXXXXX, L’ambigua nozione di lavoro parasubordinato, in Lav. dir., 1987, 56; M. D’ANTONA, op. ult. cit., 534 ss.; ID., L’autonomia individuale e le fonti del diritto del lavoro, cit., 474 ss.; X. XXXXXXXX, Autonomia individuale e sistema del diritto del lavoro, cit., 494 ss.; X. XXXXX, Subordinazione, statuto protettivo e qualificazione del rapporto di lavoro, in Xxxxx. dir. lav. rel. ind., 2006, 17 ss.
7 Con la sentenza 121/1993 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 1 e 36 Cost., dell’art. 11 l. 23 giugno 1961, n. 520, che nega il diritto al trattamento di previdenza e quiescenza alla indennità di licenziamento dei dipendenti ammessi ad espletare prestazioni saltuarie secondo quanto previsto dalla legge medesima, nella parte in cui si applica anche ad incarichi aventi ad oggetto prestazioni di lavoro subordinato. Oggetto del giudizio di costituzionalità nella sentenza 115/1994 è l’art. 6 bis d.l. 18 gennaio 1993, n. 9 convertito nella l. 18 marzo 1993, n. 67, il quale stabilisce che i comuni, le province, le comunità montane, le istituzioni pubbliche e gli enti non commerciali senza scopo di lucro che svolgono attività socio- assistenziali e le istituzioni sanitarie e le istituzioni sanitarie operanti nel Servizio Sanitario Nazionale non siano soggetti, relativamente ai contratti d’opera e per prestazioni professionali di carattere individuale, all’adempimento degli obblighi di legge in materia previdenziale e assistenziale, in quanto non pongono in essere rapporti di lavoro subordinato. La Corte ha ritenuto infondata la questione di illegittimità costituzionale della norma, in riferimento agli artt. 3, 35, 36 e 38, 101 e 104 Cost, riproponendo i principi enunciati nella sentenza 121/1993 a proposito dei limiti alla discrezionalità legislativa.
effettuale di subordinazione, a nozione presupposta dal sistema dei diritti costituzionali del lavoratore8, ma che al legislatore sia precluso disporre che ad un rapporto da tempo in atto e qualificabile di lavoro subordinato, non venga imputata la relativa disciplina protettiva9: il legislatore non potrebbe, cioè, “facere de albo nigrum, pretendendo di disapplicare la disciplina inderogabile non già introducendo (come certamente può fare) una nuova e diversa fattispecie normativa, bensì imponendo ex auctoritate un giudizio qualificatorio difforme da quello cui condurrebbero i dati di fattispecie”10.
Ora se la questione della qualificazione non è in discussione quanto all’esito finale – indisponibilità del tipo e della disciplina protettiva, cioè – è dibattuto invece il rilievo della volontà delle parti ai fini qualificatori.
L’orientamento maggioritario, in dottrina ed in giurisprudenza, sarebbe orientato nel senso di una svalutazione del contenuto negoziale del contratto di lavoro, a sentire la corrente che ne sostiene invece la decisività. L’impostazione dominante si fonderebbe sul seguente ragionamento: se al lavoratore è inibito rinunciare con un atto di autonomia individuale a singoli benefici, a fortiori deve essergli inibito rinunciare in blocco al complesso delle tutele, scegliendo di svolgere le proprie prestazioni in forma autonoma piuttosto che subordinata11. In tal senso si spiegherebbero affermazioni secondo le quali la qualificazione opera “senza tener conto del diverso assetto di interessi e del nomen juris assegnato dalle parti all’accordo stipulato”, poiché nel diritto del lavoro rispetto al diritto dei contratti “non è l’interpretazione degli elementi costitutivi del contratto a guidarci al regolamento del rapporto, ma è la qualificazione del rapporto a darci il regolamento legale del contratto”12.
In sostanza, ciò che si rimprovera all’opinione dominante è di accreditare l’idea che la volontà negoziale rappresenti nel contratto di lavoro
8 M. D’ANTONA, Limiti costituzionali alla disponibilità del tipo contrattuale nel diritto del lavoro, cit., 67.
9 X. XXXXXXXXXX, Consensi e dissensi sui recenti progetti di ridefinizione dei rapporti di lavoro, cit., 27 ed anche, ci pare, X. XXXXXXXXXXXX, La disponibilità del rapporto di lavoro subordinato, in Riv. it. dir. lav., 2001, I, 95 ss., spec. 105 ss.
10 X. XXXXX, La certificazione dei contratti lavoro, cit., 648.
11 Cfr. le critiche di X. XXXXXX, Subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, cit., 13 ss.; ID., Il contratto di lavoro, cit., 269 ss.; X. XXXXXXXXX, Autonomia individuale e rapporto di lavoro. La divergenza fra il programma contrattuale ed il concreto atteggiarsi del rapporto, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2002, 14 ss., 121 ss. Cfr. anche X. XXXXX, Contributo alla studio della fattispecie lavoro subordinato, cit., 169 ss. ed X. XXXXX, Il lavoro autonomo visto dal “nord est”, in Lav. dir., 1999, 693 ss.
12 M. D’ANTONA, Contrattazione collettiva e autonomia individuale nei rapporti di lavoro atipici, cit., 535, 537.
un minus rispetto al ruolo che svolge nel diritto dei contratti. Di accreditare cioè “l’idea che l’autonomia del lavoratore sia limitata alla scelta binaria circa la costituzione del rapporto contrattuale avente per oggetto una determinata attività lavorativa, dovendosi determinare la natura del rapporto stesso […] prescindendo dall’assetto di interessi voluto in proposito dalle parti”; per cui a fini qualificatori non sarebbe determinante “la struttura dell’obbligazione”, come “direttamente desumibile dal contenuto del consenso contrattuale”, bensì “il rapporto così come si manifesta in rerum natura”13.
Si obietta che anche nel contratto di lavoro è decisiva la volontà negoziale circa gli elementi essenziali del tipo legale14, ovvero dei suoi effetti essenziali15, ed in tal senso si sostiene che l’art. 2094 c.c. indica espressamente quale elemento essenziale del tipo legale l’“obbligarsi” del lavoratore. La norma farebbe, cioè, riferimento al contenuto della volontà contrattuale – il vincolarsi contrattualmente il lavoratore all’esecuzione di una prestazione lavorativa assoggettata al potere direttivo del datore di lavoro – e non al mero rapporto di fatto tra le parti16.
La prestazione in sé considerata – si precisa – se non viene ricondotta al profilo causale del contratto in cui è dedotta, diventa priva di significato e quindi di rilievo giuridico, riducendosi ad un mero susseguirsi di comportamenti dei quali si ignora la doverosità ai fini qualificatori17. Perciò, quando si parla di prevalenza dell’effettivo svolgimento della prestazione sul
c.d. “dato formale”, non ci si riferisce ad altro se non al fatto che la volontà contrattuale non va desunta dalle dichiarazioni sole iniziali delle parti, ma l’interprete deve verificare la volontà negoziale effettiva circa gli elementi essenziali di quel determinato tipo legale, avendo riguardo al “comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto” (art. 1362, 2° co. c.c.)18.
13 Così X. XXXXXX, Subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, cit., 14 s. Pare riflettere l’impostazione criticata anche la giurisprudenza meno recente: v., ad esempio, Xxxx. 7 dicembre 1981, n. 6492, in Rep. Foro it., 1981, voce Lavoro (rapporto), n. 253; Xxxx. 12 ottobre 1993, n. 5946, ibidem, 1983, voce cit., n. 391; Cass. 28 gennaio 1984, n. 711, ibidem, 1984, voce cit., n. 401.
14 Cfr. X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, in X. XXXXXXXX (diretto da), Trattato di diritto civile italiano, Utet, Torino, 1960, 102.
15 X. XXXXXXXXX, Diritto civile: metodo, teorica, pratica. Xxxxx, Xxxxxxx, Milano, 1951, 119.
16 X. XXXXXX, Subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, cit., 39 ss.; ID., Il contratto di lavoro, cit., 270.
17 X. XXXXX, op. ult. cit.., 694. In giurisprudenza v., tra le tante, Xxxx. 11 settembre 2003, n. 13375, in Foro it, 2003, I, 3321 ss.
18 X. XXXXXX, Subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, cit., 176 ss.; ID., Il contratto di lavoro, cit., 292 ss.; X. XXXXX, op. ult. cit., 694 s.
Secondo quella dottrina che guarda più da vicino le sistemazioni dogmatiche del diritto civile, non può neanche condividersi con l’orientamento dominante il presunto collegamento tra inderogabilità delle tutele, indisponibilità del tipo legale e della disciplina protettiva da un lato, e svalutazione della volontà negoziale delle parti a fini qualificatori, dall’altro lato. Secondo tale dottrina, se bisogna tenere distinto dall’accordo il regolamento contrattuale, e se si conviene che l’accordo è oggetto di qualificazione ed il regolamento è oggetto di integrazione ex art. 1374 c.c., e che questa interviene in un momento logicamente e cronologicamente successivo alla prima, allora la limitazione dell’autonomia individuale può essere assunta come conseguenza ma non come premessa della qualificazione19.
Va senz’altro riconosciuto a questa parte della dottrina il merito di aver chiarito ciò che è spesso equivocato o induce a non infrequenti atecnicismi, e cioè che anche nel contratto di lavoro la volontà delle parti, sia essa emergente nella fase genetica del rapporto sia essa rilevabile in base al comportamento successivo xx xxx. 0000, 0x xx. x.x., x xxxxxxx nella determinazione dell’assetto di interessi programmato ai fini della qualificazione del contratto.
Tuttavia ciò non esclude che nel contratto di lavoro la volontà negoziale delle parti risenta della caratteristica strutturale nel diritto del lavoro, id est l’ integrazione eteronoma della disciplina attraverso norme inderogabili, per cui è vero che le parti “sono libere di ‘volere’ un certo assetto di interessi”, ma al tempo stesso “non sono libere di ‘volere’ un qualsiasi modello di disciplina”20. Per altro verso, se si considera che i contratti aventi ad oggetto l’erogazione di attività umana danno vita ad un rapporto di durata, e che quindi tra l’accordo e la sua esecuzione si colloca una sequenza temporale di comportamenti attuativi, il canone ermeneutico di cui all’art. 1362, 2° co., c.c. diviene determinante, sia perché consente di rilevare la volontà iniziale delle parti, formalizzata o meno che sia in un documento cartolare; sia perché se il comportamento contrasti con le dichiarazioni iniziali, potrà rappresentare un indizio che la volontà è mutata rispetto a quella originaria, configurandosi – se ne ricorrono i presupposti – una novazione oggettiva del contratto, o
addirittura una simulazione21.
19 X. XXXXXXXXX, op. cit., 16 ss.
20 M. D’ANTONA, L’autonomia individuale e le fonti del diritto del lavoro, cit., 475.
21 Si rinvia in proposito agli approfondimenti compiuti nel quarto capitolo, ai §§ 2.2.1 e 2.2.2.
Quanto detto è sinteticamente espresso, seppur in modo meno rigoroso22, nelle pronunce giurisprudenziali che assegnano un rilievo probatorio alle dichiarazioni delle parti. In esse si afferma da un lato, che se le parti, nel regolare i loro reciproci interessi, abbiano dimostrato di voler includere la subordinazione, non si può pervenire ad una diversa qualificazione del rapporto se non si accerta che in concreto la subordinazione di fatto è rimasta irrealizzata nello svolgimento del rapporto23; dall’altro lato, che se le parti abbiano dichiarato di voler escludere la subordinazione, non è possibile pervenire ad una diversa qualificazione se non si dimostra che in concreto l’elemento della subordinazione si è di fatto realizzato nello svolgimento del rapporto24.
2. L’idoneità qualificatoria del concetto di subordinazione e gli indici di qualificazione nella giurisprudenza
L’attività qualificatoria dei contratti di lavoro è, come noto, costretta a confrontarsi con la scarsa pregnanza qualificatoria della nozione di lavoratore subordinato contenuta nell’art. 2094 c.c. che, con una vera e propria tautologia, definisce lavoro subordinato quello svolto “alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”, senza che una qualche sponda venga dalla nozione di lavoro autonomo, che è quello svolto “senza vincolo di subordinazione” (art. 2222 c.c.)25.
Altrettanto note ne sono le ragioni, illustrate ormai quarant’anni or sono da Xxxxxxx Xxxxxxxxx Vigorita26. Il legislatore – e ciò non solo per il contratto di lavoro27 – non avrebbe costruito un vero e proprio tipo legale, ma avrebbe
22 X. XXXXX, op. ult. cit., 695.
23 Cfr., ad esempio, Cass. 15 maggio 1991, n. 5409, in Rep. Foro it., 1991, voce Lavoro (rapporto), n. 787; Cass. 19 agosto 1991, n. 8893, in Dir. prat. lav., 1991, 2864; Cass. 10 febbraio 1992, n. 1502, ibidem, 1152.
24 Cfr., più di recente, Cass. 28 luglio 1999, n. 8187, in Riv. it. dir. lav., 2000, II, 280 ss.; Trib. Torino 16 novembre 2001, in Lav. giur., 2002, 685 ss.; Trib. Torino 6 giugno 2002, ibidem, 1212.
25 Per richiamare una battuta di Xxxxxxx Xxxxxxxxx, il legislatore “si esibisce in questa performance di stile oracolare: è lavoratore subordinato chi si obbliga a prestare lavoro subordinato […] ed è autonomo chi si obbliga a prestare lavoro ‘senza vincolo di subordinazione’ […]”: X. XXXXXXXXX, È arrivato un bastimento carico di “A”, in M. D’ANTONA (a cura) di, Politiche di flessibilità e mutamenti del diritto del lavoro: Italia e Spagna, Esi, Napoli, 1990, 36.
26 X. XXXXXXXXX VIGORITA, Subordinazione e diritto del lavoro: problemi storico-critici, cit., 142.
27 Anche per gli altri contratti speciali disciplinati nel codice civile il legislatore non avrebbe recepito i tipi contrattuali offerti dalla prassi degli affari bensì li avrebbe cristallizzati in concetti, operando una selezione fra i tratti individuanti il tipo scelto dal legislatore come modello della
richiamato un determinato “tipo normativo”, id est il referente empirico del lavoro dipendente nella impresa industriale.
Di qui la “sfasatura tra la fattispecie e gli effetti”28, con le conseguenti distorsioni legate alla tassatività della disciplina lavoristica: una volta cioè qualificato come subordinato un rapporto di lavoro gli debbono essere ricondotti tutti gli effetti legislativamente correlati alla fattispecie tipica, applicando l’intero apparato protettivo indipendentemente dai bisogni di tutela, talché il diritto del lavoro finisce paradossalmente per proteggere solo i contraenti di un rapporto caratterizzato dall’oggetto dell’obbligazione dedotta29.
Rivelatisi vani i vari tentativi dottrinali di integrare la nozione codicistica per farle acquisire una maggiore idoneità qualificatoria30 ed in mancanza di un intervento del legislatore, l’individuazione dei connotati tipici della subordinazione è stato rimesso alla giurisprudenza attraverso la ricognizione di una serie di indici empirici31; indici che, se prima facie appaiono “variamente combinati tra loro, e utilizzati senza una regola costante”32, ad una più attenta analisi si rivelano aggregabili in insiemi sostanzialmente definiti e ordinati gerarchicamente, potendosi distinguere tra indici c.d. fondamentali ed indici c.d. sussidiari o residuali ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato.
L’orientamento giurisprudenziale più datato e che grosso modo si protrae fino alla metà degli anni Ottanta individua quattro indici fondamentali
disciplina ed organizzandoli in una definizione: G. DE NOVA, Il tipo contrattuale, Cedam, Padova, 1974, 136 s.
28 “Tutta l’impostazione del lavoro nell’impresa sembra presupporre già qualificata la situazione cui il diritto del lavoro viene ricondotto: […] la finalità è soltanto l’introduzione di una disciplina e non già l’individuazione della fattispecie che è presupposta”: X. XXXXXXXXX VIGORITA, op. cit., 137 s.
29 X. XXXXXXXX, Rapporti interpositori e contratto di lavoro, Xxxxxxx, Milano, 1979, 298.
30 Non è ovviamente possibile in tale sede ripercorrere le diverse posizioni dottrinali al riguardo: si veda sul punto la ricostruzione di X. XXXXX, Teorie e metodologie della subordinazione, in X. XXXXX, X. XXXXXXX, Il rapporto di lavoro: subordinazione e costituzione. La subordinazione, Utet, Torino, 1993, vol. I, 45 ss.
31 In proposito si vedano (oltre ai fondamentali contributi di X. XXXXXXXX, Riflessioni sulla giurisprudenza in tema di individuazione della fattispecie lavoro subordinato, in AA. VV., Studi in onore di Xxxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Jovene, Napoli, vol. X., x. 0, 0000, 000 xx. x xx X. XXXXXXXXX VIGORITA, Riflessioni in tema di continuità, impresa, rapporto di lavoro, ibidem, 1025 ss.): X. XXXXXXXX, L’uso giurisprudenziale degli indici di subordinazione, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1990, 406 ss.; X. XXXXXX, Orientamenti giurisprudenziali in tema di lavoro subordinato, in Riv. it. dir. lav., 1989, II, 234 ss.; X. XXXXXXX, I criteri distintivi nella giurisprudenza, in in X. XXXXX, X. XXXXXXX, Il rapporto di lavoro: subordinazione e costituzione, cit. 81 ss.; X. XXXXXXXX, Subordinazione e dintorni: itinerari della giurisprudenza, in Aa. Vv., Autonomia e subordinazione: vecchi e nuovi modelli, cit., 143 ss.
32 X. XXXXXXXX, op. cit., 853.
nella distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato: l’eterodirezione; l’inserzione del prestatore di lavoro subordinato nell’organizzazione aziendale; l’oggetto della prestazione; l’organizzazione e il rischio del lavoro33 e pure, talora, la continuità delle prestazioni, quale persistenza nel tempo dell’obbligo giuridico del lavoratore subordinato di compiere determinate attività e di mantenere a disposizione del datore di lavoro la propria energia lavorativa34. Nel valutare i singoli contratti i giudici non richiedono che tutti i criteri depongano nel senso dell’autonomia o della subordinazione, ritenendo che per la particolarità dei casi uno od alcuni di essi possano presentarsi in forma attenuata o non risultare affatto, importando solo che dall’insieme di essi risulti prevalente il carattere dell’autonomia o della subordinazione35.
Al riguardo, gli indici sussidiari (quali, ad esempio, le modalità della retribuzione, il vincolo di osservanza di un orario rigido e predeterminato, la saltuarietà delle prestazioni ecc.)36 non possono smentire il risultato cui conduce l’impiego degli indici fondamentali ma hanno la sola funzione di rafforzarli, anche se non mancano le decisioni in cui i giudici si basano esclusivamente sugli elementi secondari37, le quali sono di difficile armonizzazione con l’orientamento maggioritario38.
Nella giurisprudenza più recente si assiste ad un radicale mutamento di indirizzo poiché solo l’eterodirezione viene in considerazione come criterio fondamentale, mentre l’inserzione della prestazione nell’organizzazione datoriale, la continuità delle prestazioni e della ripartizione del rischio vengono
33 Cfr., fra le tante, Xxxx. 11 ottobre 1956, n. 3250, in Orient giur. Lav., 1957, 43 ss.; Cass. 4 agosto 1967, n. 2075, in Riv. dir. lav., 1968, II, 108; Cass. 5 aprile 1971, n. 995, in Mass giust. civ., 1971, 534; Cass. 3 novembre 1981, n. 5807, in Riv. it. dir. lav., 1982, II, 290 ss.; Cass. 29 aprile 1983, n. 2979, in Rep. Xxxx xx., xxxx Xxxxxx (xxxxxxxx), x. 000.
34 X. Xxxx. 00 settembre 1968, n. 2962, in Mass. giust. civ., 1968, 1550; Cass. 12 aprile 1979, n. 2187, in Rep. Foro it., 1979, voce Lavoro (rapporto), n. 244; Cass. 20 settembre 1979, n. 4855, ibidem, 1983, voce cit., n. 236; Cass. 13 aprile 1981, n. 2208, ibidem, 1983, voce cit., n. 304.
35 Cfr., ad esempio, Cass. 11 maggio 1979, n. 2714, in Rep. Foro it., 1979, voce Lavoro (rapporto), n. 294; Xxxx. 22 gennaio 0000, x. 000, xxxxxx, 0000, xxxx xxx., x. 000; Cass. 8 novembre 1980, n. 5980, ibidem, 1980, voce cit., n. 292; Cass. 11 aprile 1981, n. 2146, ibidem, 1981, voce cit., n. 270; Cass. 26 luglio 1984, n. 4422, ibidem, voce cit., n. 393.
36 Cfr., fra le tante, Xxxx. 10 luglio 1969, n. 2537, in Mass Giust. civ., 1969, 1308; Cass. 30 maggio
1974, n. 1548, in Mass. Giust. civ., 1974, 702; Cass. 12 aprile 1979, n. 2187, in Rep. Foro it.,
1979, voce Lavoro (rapporto), n. 244; Cass. 13 gennaio 1981, n. 303, ibidem, 1981, voce cit., n.
281.
37 Sulla decisività delle modalità di retribuzione x. Xxxx. 29 luglio 1963, n. 2154, in Mass. Giur. it., 1963, 726; Cass. 5 dicembre 1967, n. 2894, in Riv. giur. lav., 1968, II, 175 ss.; Cass. 10 febbraio
1970, n. 324, in Riv. dir. lav., 1971, II, 160 ss.; Cass. 14 dicembre 1981, n. 6606, in Rep. Foro it., 1981, voce Lavoro (rapporto), n. 251. Più in generale, sulla decisività di un determinato insieme di elementi sussidiari, x. Xxxx. 2 aprile 1969, 1082, in Mass. Giust. civ., 1969, 550; App. Firenze 18
maggio 1964, in Giur. Toscana, 1965, 89 ss.
38 Si vedano in proposito le considerazioni critiche di X. XXXXXXXX, op. cit., 155 s.
relegati tra gli indici secondari39. Come è stato osservato40, questa evoluzione è probabilmente dovuta anche ai rilievi di quella dottrina critica sull’utilizzabilità dei suddetti criteri se posti sullo stesso piano dell’eterodirezione, in quanto sarebbero estranei allo schema causale del contratto di lavoro per esserne un mero effetto (come per il criterio dell’inserzione), oppure un elemento esterno (come per il criterio della ripartizione del rischio)41.
Sebbene in questo periodo la giurisprudenza afferma che l’unico elemento distintivo fondamentale è costituito dalla eterodirezione42, non mancano anche più di recente quelle pronunce in cui la giurisprudenza riconosce una nozione attenuata di subordinazione, in ragione della particolare organizzazione del lavoro e della peculiarità delle mansioni43; e, in questi casi, i giudici ritengono che non occorre che il potere direttivo si estrinsechi in ordini dettagliati e vincolanti e mediante controlli continui e stringenti sull’attività lavorativa, essendo sufficienti direttive generali e
39 O, per usare un’altra classificazione, tra gli indici “esterni” rispetto al contenuto dell’obbligazione, che verrebbero in rilevo quando il criterio dell’eterodirezione sia mancante o affievolito, e come tali tenuti distinti dagli indici secondari, definiti qui come “assolutamente residuali”: cfr. X. XXXXXXXX, op. ult. cit., 406 ss. ed in modo analogo X. XXXXXXX, op. cit., 82 ss. 40 X. XXXXXXXX, op. cit., 157.
41 Cfr. X. XXXXXXX, Il contratto di lavoro nel diritto italiano, in AA. VV., Il contratto di lavoro nel diritto dei paesi membri della Ceca, Xxxxxxx, Milano, 1965, 439 ss.; X. XXXXXXXXX VIGORITA, Subordinazione e diritto del lavoro, cit., 17; ID., Riflessioni in tema di continuità, impresa, rapporto di lavoro, cit., 1040; X. XXXXXXX, voce Lavoro (contratto individuale), in Enc. dir., vol. XXIII, Xxxxxxx, Milano, 1973, 382 ss. In senso diverso, per quanto riguarda la valorizzazione del criterio dell’inserzione dell’attività lavorativa nell’organizzazione datoriale, v. X. XXXXXXXX, op. cit., spec. 869 ss., in linea con la tesi già espressa in ID. Contratto di lavoro e organizzazione, Cedam, Padova, 1966, passim, secondo cui la funzione del contratto di lavoro sarebbe quella di creare un’organizzazione di lavoro.
42 Orientamento ormai dominante a partire da Xxxx. 13 dicembre 1982, n. 6857, in Rep. Foro it., 1982, voce Lavoro (rapporto), n. 263. Più di recente x. Xxxx. 6 luglio 2002, n. 9853, in Mass. Giust civ., 2002, 1180; Cass. 19 novembre 2003, n. 17549, ibidem, 2003, 2600; Cass. 13 febbraio 2004, n. 2842, ibidem, 2004, 269; Cass. 21 maggio 2004, n. 9764, ibidem, 1164; Cass. 25 maggio 2004, n. 10043, ibidem, 1189. Secondo X. XXXXXXXX, op. cit., 170 s., in quest’orientamento possono farsi rientrare anche quelle pronunce che individuano la subordinazione sia nella soggezione ai poteri datoriali che nel contestuale inserimento delle prestazioni di lavoro nell’organizzazione imprenditoriale, considerato che da esse risulta chiara l’indefettibilità della soggezione ai poteri datoriali per qualificare il rapporto di lavoro come subordinato: cfr., da ultimo, Xxxx. 5 aprile 2003, n. 4889, in Mass. Giust. civ., 2003, 592; Cass. 9 maggio 2003, n. 7139, in Mass. Giust civ., 2003, 1033; Cass. 20 giugno 2003, n. 9900, ibidem, 2003, 1486; Cass. 17 luglio 2003, n. 11203, ibidem, 2003, 1712 s.; Cass. 25 ottobre 2004, n. 20669, in Dir. e giustizia, 2004, fasc. 45, 118.
43 Cass. 27 novembre 2002, n. 16805, in Mass. giur. lav., 2003, 127 ss. Cass. 18 marzo 2004, n. 5580, cit.; Cass. 9 marzo 2004, n. 4797, in Mass. Giust. civ., 2004, 517; Cass. 9 aprile 2004, n. 6983, ibidem, 860 s.
programmatiche44. Tuttavia la giurisprudenza dominante ribadisce la necessità che la prestazione di lavoro sia regolata in base alle esigenze di tempo e di luogo dell’organizzazione imprenditoriale, attraverso direttive che ineriscano all’intrinseco svolgimento dell’attività lavorativa, ovvero attraverso ordini specifici e dettagliati ed un’assidua attività di vigilanza e di controllo sull’esecuzione della prestazione45.
Ancora va sottolineato che la giurisprudenza pare oggi più aperta a revisionare la nozione di subordinazione, come conseguenza dell’evoluzione dell’organizzazione di lavoro e per effetto dei processi di esternalizzazione delle attività produttive. Accanto, infatti, alla subordinazione-eterodirezione, che rimanda al modello organizzativo taylorista-fordista imperniato sulla divisione gerarchica e parcellizzata del lavoro, si avverte l’importanza di un modello organizzativo caratterizzato dalla “subordinazione-coordinamento”; cioè “caratterizzato dalla sottoposizione del lavoratore al mero controllo sul risultato finale, quantitativo o qualitativo, della prestazione (e non, invece, sul modo di eseguire un determinato compito); e, in definitiva, compatibile con un livello elevato di autoregolazione o, […] di autonomia nella subordinazione”46. Per quanto riguarda l’utilizzo degli elementi sussidiari sembra registrarsi una maggiore chiarezza da parte dei xxxxxxx00, nonostante l’apparente contrasto fra due gruppi di pronunce, il primo sostenendone
44 Cass. 16 febbraio 1990, n. 1159, in Mass. Giust. civ., 1990, 252; Cass. 3 aprile 1990, n. 2680, ibidem, 621 s.; Cass. 29 gennaio 1993, n. 1094, in Rep. Foro it., 1993, voce Lavoro (rapporto), n. 468.
45 Cass. 26 ottobre 1994, n. 8804, in Giur. it., 1995, I, 1, 1708 ss.; Cass. 16 gennaio 1996, n. 326, in Rep. Foro it., 1996, voce Lavoro (rapporto), n. 416 e, più di recente, Cass. 22 agosto 2003, n. 12364, in Mass. Giust. civ., 2003, 1991; Cass. 19 novembre 2003, n. 17549, ibidem, 2599 s.; Cass.
7 ottobre 2004, n. 20002, ibidem, 2004, 2550.
46 X. XXXXX, Subordinazione, statuto protettivo e qualificazione del rapporto di lavoro, cit., 8. In proposito si rinvengono di recente pronunce secondo le quali “ai fini della distinzione tra rapporto di lavoro subordinato e rapporto di lavoro autonomo, il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo […] diviene, con l’evolversi dei sistemi di organizzazione del lavoro verso una sempre più diffusa esteriorizzazione di interi settori del ciclo produttivo o di una serie di professionalità specifiche, sempre meno significativo della subordinazione, mentre, in riferimento a tali nuove realtà, assume valore di indice determinante della subordinazione l’assunzione per contratto dell’obbligazione di porre a disposizione del datore di lavoro le proprie energie lavorative e di impiegarle con continuità, fedeltà e diligenza, secondo le direttive di ordine generale impartite dal datore di lavoro e in funzione dei programmi cui è destinata la prestazione, per il perseguimento dei fini propri dell’impresa datrice di lavoro”: così Cass. 6 luglio 2001, n. 9167, in Riv. it. dir. lav., 2001, II, 272 ss. e, nel medesimo senso, anche Cass. 26 febbraio 2002, n. 2842, in Mass. giur. lav., 2002, 423 ss.
47 X. XXXXXXXX, op. cit., 174 ss. Altri ritengono, al contrario, un uso meno sicuro di tali indici da parte dei giudici (M.V. BALLESTRERO, Intervento, in AA. VV., Il lavoro e i lavori, in Lav. dir., 1989, 209 ss.) e comunque se ne ravvisa una riduzione quantitativa (X. XXXXXX, op. cit., 234 ss.; X. XXXXXXXX, op. ult. cit., 422)
l’assoluta irrilevanza in mancanza della subordinazione48, anche se ricorrano tutti contemporaneamente49; il secondo sostenendo la possibilità di qualificare il rapporto in base ad essi, se la subordinazione non è apprezzabile per il concreto atteggiarsi del rapporto50. L’apparente contrasto può probabilmente superarsi51 se si considera quel filone di pronunce secondo le quali gli elementi sussidiari, privi di valore decisivo se considerati ad uno ad uno in quanto singolarmente compatibili sia con il lavoro autonomo che con quello subordinato, possono essere valutati globalmente o sinteticamente come indizi probatori della subordinazione52.
3. La qualificazione dei contratti di lavoro tra metodo sussuntivo e metodo tipologico
Una volta individuati gli indici della subordinazione ritenuti funzionali alla costruzione del tipo legale definito dall’art. 2094 c.c., il giudice provvede alla qualificazione della singola fattispecie contrattuale sottoposta alla sua cognizione.
Va premesso che qui non interessa tanto approfondire se la qualificazione rappresenti un’operazione ontologicamente distinta dalla interpretazione, perché questa è diretta ad individuare sul piano conoscitivo la portata dell’accordo delle parti, mentre la qualificazione atterrebbe alla determinazione delle conseguenze giuridiche rispetto all’intento delle parti accertato attraverso il processo ermeneutico53; oppure se la qualificazione debba considerarsi la fase finale dell’interpretazione, senza che vi sia spazio
48 Fra le altre, Cass. 8 gennaio 1993, n. 84, in Riv. giur. lav., 1993, II, 552 ss.; Cass. 11 agosto 1994, n. 7374, in Rep. Foro it., 1994, voce Lavoro (rapporto), n. 447.
49 V., ad esempio, Cass. 11 maggio 1991, n. 6086, in Rep. Foro it., 1991, voce Lavoro (rapporto), n. 819.
50 Fra le altre x. Xxxx. 0 xxxxxx 0000, x. 0000, xx Xxx. xx. dir. lav., 1993, II, 258 ss.; Cass. 17 dicembre 1994, n. 10829, in Rep. Foro it., 1994, voce Lavoro (rapporto), n. 445.
51 X. XXXXXXXX, op. cit., 175 s.
52 Cfr. Cass. 14 dicembre 1996, n. 11178, in Dir. prat. lav., 1997, 1116; Cass. 18 dicembre 1996,
n. 11329, ibidem, 1117, nonché, più di recente, Cass. 18 marzo 2004, n. 5580, Orient. giur. lav., 2004, 72 ss. e Cass. 29 marzo 2004, n. 6224, Mass.. Giust. civ., 2004, fasc. 3.
53 In tal senso, X. XXXXXXX, Il contratto, in X. XXXX, X. XXXXXXXX (già diretto da) e X. XXXXXXX (continuato da), Trattato di diritto civile e commerciale, Xxxxxxx, Milano, I, 1987, 505 ss. e nel medesimo senso v., già, X. XXXXX, Interpretazione delle leggi e degli atti giuridici. Teoria generale e dogmatica, Xxxxxxx, Milano, 1949, 245 ss.; X. XXXXXXXXXX, Sul contenuto del contratto, Xxxxxxx, Milano, 1966, 90 ss.; X. XXXX, Forma solenne e interpretazione del negozio, Cedam, Padova, 1969, 44 ss. Sul punto si veda, di recente, anche C.M. BIANCA, Diritto civile. III. Il contratto, Xxxxxxx, Milano, 2000, 410 s.
per una scansione logica e cronologica tra le due operazioni, trattandosi di una semplice scomposizione verbale di un unico procedimento di determinazione della disciplina normativa del rapporto contrattuale oggetto di indagine54.
Si vuole invece trattare del metodo seguito per qualificare i singoli contratti nella nota contrapposizione tra i sostenitori del metodo c.d. sussuntivo ed i sostenitori del metodo c.d. tipologico.
Per i primi, la qualificazione del singolo contratto deve avvenire secondo un giudizio di identità con la fattispecie di cui all’art. 2094 c.c.55. Secondo qualcuno, peraltro, non avrebbe valore preclusivo l’impossibilità di rinvenire nell’ordinamento una nozione unitaria di lavoro subordinato, ma una pluralità di fattispecie astratte, via via legate dalla comunanza di alcuni tratti distintivi essenziali ma caratterizzate dall’assenza di altri, perché ciascuna di queste è capace di costituire termine di sussunzione di fattispecie concrete56.
Per i secondi, mancando una nozione generale ed onnicomprensiva di subordinazione, la qualificazione deve avvenire sulla base di un raffronto con il tipo normativo57, riconducendo all’art. 2094 c.c. quelle situazioni concrete in cui è presente la parte prevalente o più significativa degli indici che inverano il modello socialmente prevalente di lavoro subordinato58; con la conseguenza di
54 In tal senso X. XXXXXXXXX, L’interpretazione del negozio giuridico con particolare riguardo ai contratti, Cedam, Padova, 1938, 103 s.; X. XXXXXXX, Il contratto e l’interpretazione, Xxxxxxx, Milano, 1961, 55 ss.; X. XXXXXX, La qualificazione dei contratti nell’interpretazione, IEC, Milano, 1962, 138; X. XXXXXXXXXXX, Interpretazione e qualificazione: profili dell’individuazione normativa, in Dir. giur., 1975, 826 ss.; X. XXXXXXXXX XXXX, L’interpretazione del contratto, in X. XXXXXXXXXXX (a cura di), Commentario al codice civile, Xxxxxxx, Milano, 1991, 22 s.
55 X. XXXXXXXXXX, Spunti della tipologia dei rapporti di lavoro, cit.; M.V. XXXXXXXXXXX, L’ambigua nozione di lavoro parasubordinato, cit., 49 ss.; X. XXXXX, La questione della subordinazione tra modelli tradizionali e nuove proposte, in Giorn. Dir. lav., rel. ind., 1988, 621 ss.; X. XXXXXX, Subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, cit., 54 ss.; X. XXXXX, Contributo alla studio della fattispecie lavoro subordinato, cit., 18 ss.; X. XXXXX, Rapporto di lavoro e tipo (considerazioni critiche), Xxxxxxx, Milano, 1997, spec. 43 ss.; ID. Metodo tipologico, contratto di lavoro subordinato e categorie definitorie, in Arg. Dir. lav., 2002, 87 ss.
56 X. XXXXXX, Subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, cit.
57 Sulla scorta delle intuizioni di Xxxxxxxxx Vigorita (X. XXXXXXXXX VIGORITA, Subordinazione e diritto del lavoro: problemi storico-critici, cit., 142) e delle teorizzazioni di De Nova circa l’applicazione, nel diritto italiano, del metodo tipologico (G. DE NOVA, op. cit, 121 ss.), v., fra gli altri, X. XXXX, Il dirigente d’azienda, Xxxxxx Xxxxxx, Milano, 1974, 172 ss.; X. XXXXXXXX, Rapporti interpositori e contratto di lavoro, cit., 330 s.; X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Il lavoro “parasubordinato”, Xxxxxx Xxxxxx, Milano, 1979; ID., La parasubordinazione dieci anni dopo, in
X. XXXXXXXX (a cura di), Autonomia negoziale e prestazioni di lavoro, Xxxxxxx, Milano, 1993, 77 ss.; X. XXXXXXXXXX, Democrazia industriale e subordinazione. Poteri e fattispecie nel sistema giuridico del lavoro, Xxxxxxx, Milano, 1985, 307 ss.; M. D’ANTONA, Limiti costituzionali alla disponibilità del tipo contrattuale nel diritto del lavoro, cit., 78 ss.; X. XXXXXXX, R. DE XXXX XXXXXX, X. XXXX, X. XXXX, Il rapporto di lavoro subordinato, Utet, Torino, 2005, 21 ss.
58 X. XXXXXXX, R. DE XXXX XXXXXX, X. XXXX, X. XXXX, op cit.
una maggiore o minore applicazione della disciplina a seconda del grado di approssimazione e affinità al tipo normativo59.
Altrettanto note, poi, sono le critiche che i sostenitori del metodo tipologico muovono ai sostenitori del metodo sussuntivo e viceversa. Per i primi il metodo tipologico consente di aggiornare la nozione di subordinazione all’evoluzione dei modelli sociali, ciò che il metodo sussuntivo non consente di fare, per la sua rigidità, se non per mezzo di manipolazioni più o meno esplicite della nozione astratta60. I sostenitori del metodo sussuntivo, invece, rimproverano agli altri l’eccessiva arbitrarietà del criterio adottato, sia perché con esso si vuole sostituire ad un concetto legislativo un altro concetto di elaborazione dottrinale – il tipo normativo – privo di riscontro nel linguaggio comune; sia perché l’applicazione selettiva della disciplina lavoristica dilata oltre misura i poteri del giudice, chiamato a decidere non solo sull’an ma anche sul quantum della disciplina applicabile61.
Ancora, con il metodo tipologico così concepito non si uscirebbe dallo schema della sussunzione e della tradizionale contrapposizione tra fattispecie astratta e fattispecie concreta, poiché esso opera pur sempre attraverso la rilevazione degli elementi caratteristici presenti nel singolo caso scrutinato, con la sola differenza che questi non devono risultare tutti contenuti nella definizione62.
Di qui la proposta di una lettura “funzionale”, sulla scia di taluni studi compiuti in ambito civilistico63: ciò che deve rilevare ai fini della qualificazione non è la presenza dei singoli elementi nel caso concreto, ma lo “specifico ruolo che essi svolgono rispetto al contesto, sottolineando che anche elementi diversi possono svolgere la medesima funzione, o viceversa, che elementi identici possono svolgere funzioni diverse, a seconda del modo in cui
59 Cfr. G. DE NOVA, op. cit., 142 ss. e, con specifico riferimento al contratto di lavoro, 146 s.; X. XXXX, op. ult. cit., 172 ss.; X. XXXXXXXXXX, op. ult. cit., 318.
60 Così M. D’XXXXXX, op. ult. cit., 81.
61 M.V. XXXXXXXXXXX, op. ult. cit., 52, esplicitamente sulla scia di X. XXXXXXX, La questione della subordinazione in due trattazioni recenti, in Riv. it. dir. lav., 1986, I, 16 s. Secondo questa corrente dottrinale, peraltro, un’applicazione selettiva delle tutele non potrebbe trovare neanche un’utile realizzazione, se si considera che l’apparato garantistico del diritto del lavoro non ammette applicazioni gradualistiche o parziali, se non quando sia espressamente stabilito da esplicite disposizioni di legge, come ad esempio l’art. 2239 c.c. o le disposizioni sul rapporto di lavoro dirigenziale: cfr. X. XXXXX, Metodo tipologico, contratto di lavoro subordinato e categorie definitorie, cit., 95 s.
62 X. XXXXXX, Metodo tipologico e qualificazione dei rapporti di lavoro subordinato, in Riv. it. dir. lav., I, 1990, 182 ss.; e, più di recente, ID., Ancora su “tipo” e rapporto di lavoro subordinato nell’impresa, in Arg. dir. lav., 2002, 109 ss.
63 X. XXXXXXXX, Tipicità e diritto: contributo allo studio del razionalismo giuridico, Patron, Bologna, 1984.
sono correlati tra loro”; così facendo “il procedimento di qualificazione viene emancipato dal ‘meccanicistico’ giudizio d’identità e si svolge attraverso la valutazione ponderata della incidenza che ciascun elemento presenta rispetto agli altri, e della sua idoneità o meno a realizzare congiuntamente agli altri, la funzione considerata”64.
La querelle sul metodo qualificatorio porta inoltre i rispettivi sostenitori a dare letture antitetiche del medesimo materiale giurisprudenziale censito, sicché nelle operazioni di qualificazione dei giudici viene rilevato, a seconda dell’opzione che si predilige, ora un giudizio di maggiore o minore approssimazione al tipo normativo ora un’applicazione del tradizionale metodo sussuntivo65. Tuttavia, se si guarda al giudizio qualificatorio nel suo complesso, può condividersi l’affermazione di chi ritiene che tale controversia non dovrebbe essere sopravvalutata, perché è mal posta66.
Ora è vero che la qualificazione ha la struttura del giudizio di sussunzione, con cui il giudice trova e formula la premessa minore e la premessa maggiore del sillogismo che dà forma deduttiva alla motivazione della sentenza. Tuttavia, quando la sussunzione viene adoperata dall’interprete per individuare la disciplina da applicare al caso concreto, essa implica un momento valutativo: essa è, cioè, “un tipico procedimento tipologico, essendo basata sulla induzione imperfetta (tale è quella per cui ‘dalla conoscenza di alcune ma non di tutte le qualità comuni ad un individuo e ad un genere se ne induca l’appartenenza dell’individuo al genere’)”67.
In proposito, ci paiono illuminanti le pagine scritte da Xxxxx Xxxxxxx nei suoi studi sul metodo giuridico: a proposito della partecipazione del giudice al processo di formazione del diritto con un’argomentazione giuridica vincolata alla legge, questo vincolo – scriveva Xxxxxxx – “non può essere garantito dallo schema positivistico della sussunzione, improntato alla tecnica del sillogismo dimostrativo e quindi all’ideale di controllo delle decisione applicative del diritto con mezzi puramente logici. Una deduzione logica è vincolante solo se le premesse sono vere, e la logica non è in grado di
64 X. XXXXXX, Ancora su “tipo” e rapporto di lavoro subordinato nell’impresa, cit., 145. Invero anche il metodo tipologico funzionale non è esente da critiche da parte di chi difende l’applicazione del metodo sussuntivo nella qualificazione dei contratti di lavoro: v., al riguardo, X. XXXXX, Metodo tipologico, contratto di lavoro subordinato e categorie definitorie, cit., 91 ss.
65 Cfr., sul punto, X. XXXXXXXXXX, Premesse per uno studio della giurisprudenza in tema di individuazione della fattispecie lavoro subordinato, in X. XXXXXXXX (a cura di), Autonomia negoziale e prestazioni di lavoro, cit., 35 ed ivi ultt. riff.
66 X. XXXXX, Subordinazione, statuto protettivo e qualificazione del rapporto di lavoro, cit., 12 s.
67 X. XXXXX, op. ult. cit., 12, citando di X. XXXXXXXXX, Studi di diritto comparato e in tema di interpretazione, Xxxxxxx, Milano, 1952, XIX.
controllare la verità delle premesse. La determinazione della premessa minore, ossia degli elementi di fatto giuridicamente rilevanti del caso da decidere, e della premessa maggiore, ossia della norma o del principio normativo cui la fattispecie concreta deve essere ricollegata, dipende […] da una scelta del giudice, e dunque non è materia di attività logica, bensì di attività valutativa”68.
4. La compatibilità della certificazione con la funzione giurisdizionale di qualificazione dei contratti: l’imputazione della qualificazione alla commissione di certificazione e non alle parti
Analizzati i profili essenziali relativi alla attività giurisdizionale di qualificazione dei contratti di lavoro, bisogna verificare se ed in che termini l’attribuzione della funzione qualificatoria ad un organo non giurisdizionale, come la commissione di certificazione, sia rispettosa dei principi costituzionali sulla tutela giurisdizionale di cui all’art. 102 Cost., e sul diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost.
In proposito è opportuno chiarire che la qualificazione del contratto è non solo operata ma anche interamente ascrivibile alla commissione, spettando alle parti esclusivamente di concordare un determinato assetto di interessi definito nel programma negoziale oggetto di certificazione69.
Ciò, oltre che discendere dai principi enunciati dalla Corte costituzionale relativamente alla indisponibilità per le parti della qualificazione del contratto (v. supra § 1), si ricava con sufficiente chiarezza dall’art. 5, 1° co., lett e della l. 30/2003, laddove si conferisce “piena forza legale al contratto certificato […], con esclusione della possibilità di ricorso in giudizio se non in caso di erronea qualificazione del programma negoziale da parte dell’organo preposto alla certificazione e di difformità tra il programma negoziale effettivamente realizzato dalle parti e il programma negoziale concordato dalle parti in sede di certificazione”.
68 X. XXXXXXX, Problema e sistema nella controversia sul metodo giuridico, in Jus, 1976, 3 ss., ora in ID., Diritto e valori, Il Mulino, Bologna, 1985, 11 ss., qui 26; pensiero che traspare anche in ID., La questione della subordinazione in due trattazioni recenti, cit., 15, sebbene quest’ultimo sia stato spesso interpretato in favore di un giudizio puramente sussuntivo.
69 Cfr. X. XXXXXX, Il nuovo istituto della “certificazione” dei contratti di lavoro, cit., 120; ID.,
Certificazione dei contratti di lavoro, cit., 876 ss.
Tale lettura trova, inoltre, conferma negli art. 75 ss. del d. lgs. 276/2003 che in più punti assegnano alle commissioni di certificazione il potere qualificatorio.
Ciò si evince dall’art. 79 secondo cui, fino al momento in cui sia stato accolto, anche in via cautelare, uno dei ricorsi giurisdizionali di cui all’art. 80, permangono “gli effetti dell’accertamento dell’organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro”; nonché, dall’art. 78, 2° co. lett. d, per il quale l’atto di certificazione fissa gli effetti giuridici “in relazione ai quali le parti richiedono la certificazione”. Per cui solo in senso atecnico si può affermare che la qualificazione sia da imputare alle parti70, quando si afferma che esse, nell’ effettuare una certa operazione economica, scelgono un modello contrattuale ed effettuano, quindi, un’operazione di qualificazione giuridica71.
Va detto peraltro che, stando alla lettera dell’art. 79, la commissione di certificazione non adotta un atto discrezionale bensì realizza un “accertamento”: in tal senso, “la certificata rilevanza giuridica del programma negoziale prescelto dalle parti prescinde dall’apprezzamento svolto dall’organo di certificazione. Almeno formalmente, la rilevanza stessa non è, insomma, stabilita dall’organo ma discende direttamente dalle disposizioni normative che devono essere poste alla base della qualificazione del programma stesso sebbene essa presupponga sempre un giudizio che consiste nel leggere quest’ultimo sub specie juris”.
Può dunque sostenersi – come pure è stato sostenuto72 – che gli enti bilaterali sarebbero, per caratteristiche e vicinanza ai luoghi di lavoro, i soggetti più idonei a registrare l’affermarsi di nuove figure di lavoro nella realtà socio-economica ed a definire i casi dubbi sulla qualificazione del contratto?
Secondo una parte della dottrina, la risposta deve essere negativa: “gli enti – si è detto – non possono creare nuove ipotesi (attirandole nell’ambito dell’autonomia o della subordinazione o nelle varie tipologie di rapporto oggi
70 X. XXXXXX, Certificazione dei contratti di lavoro, cit., 877 S.
71 Così X. XXXXXXXX, Le finalità e gli effetti della nuova disciplina, cit., 154, il quale poi implicitamente conferma di riferirsi alla qualificazione operata dalle parti non nel senso che a queste spetti stabilire le conseguenze giuridiche del contratto, quando afferma che “tale scelta, ovviamente, non ha carattere vincolante, perché le parti non possono ‘disporre’ del tipo negoziale […] ed il giudice è chiamato a verificare se la scelta del contratto è coerente con la disciplina giuridica prevista dalla legge”.
72 X. XXXXXXXXXX, Nuove tutele sul mercato: le procedure di certificazione, in ID. (a cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro, Xxxxxxx, Milano, 2004, 243 ss. In termini consimili, v. X. XXXXXXXX, Il ruolo degli organismi bilaterali nel decreto attuativo della legge 14 febbraio 2003, n. 30: problemi e prospettive, ibidem, 668.
esistenti) ma debbono svolgere la tradizionale attività di sussunzione di un caso concreto in una fattispecie astratta, nei limiti, quindi, delle definizioni adottate dal legislatore e con una classica metodologia giuridica”73. Devono, cioè, applicare delle fattispecie normative con dei precisi limiti alla loro valutazione, costituiti dagli “orientamenti giurisprudenziali prevalenti in materia di qualificazione dei contratti di lavoro”, sulla base dei quali il Ministero del lavoro dovrebbe predisporre gli appositi moduli e formulari per la certificazione (art. 78, 5° co. d. lgs. 276/2003)74. In definitiva, secondo tale dottrina, gli enti bilaterali dovranno applicare schemi già predisposti contenenti i principi enucleati dalla giurisprudenza, e la standardizzazione dei rapporti di lavoro verrà effettuata dai giudici e non dalle commissioni di certificazione75.
A noi pare di poter convenire con tale dottrina sull’insussistenza di una presunta attività creativa degli enti bilaterali nel qualificare i contratti sottoposti alla loro valutazione. Solo al giudice è infatti consentito convalidare gli atti di autonomia privata non riconducibili ai modelli di disciplina previsti dal codice civile, se diretti a realizzare interessi meritevoli di protezione secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322, 2° co. c.c.), fermo restando che, per i rilievi già svolti, tale non sarebbe l’assetto di interessi con cui le parti intendessero separare la subordinazione dallo statuto protettivo del lavoratore subordinato (supra § 1). Solo al giudice è in ipotesi consentito ritenere meritevole di protezione e, quindi, conferire tipicità xxxxxxx00 ad un contratto di lavoro di natura autonoma che non sia riconducibile ai tipi regolati (rectius: contratto di lavoro autonomo atipico), e non agli enti bilaterali in mancanza di una disposizione che lo preveda77; e, se tra l’altro ciò fosse previsto, ci si
73 X. XXXXXXXX, Gli organi abilitati alla certificazione, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX (a cura di), Tipologie contrattuali a progetto e occasionali. Certificazione dei rapporti di lavoro, cit., 164.
00 X. XXXXXXXX, op. ult. cit., anche se poi successivamente afferma che “le linee guida contenute nei codici e nei formulari non hanno alcun valore giuridico, nel senso che non vincolano gli organi di certificazione nella loro attività”: ID., La procedura di certificazione ed i codici di buone pratiche, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX (a cura di), Tipologie contrattuali a progetto e occasionali. Certificazione dei rapporti di lavoro, cit., 181 (v. supra Cap. III, § 2.4.)
00 X. XXXXXXXX, Gli organi abilitati alla certificazione, loc. cit.
76 X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, ESI, Napoli, 2003, 789.
77 Altro discorso è che i giudici finiscano per ricondurre il contratto da qualificare ad uno dei tipi regolati tramite il ricorso all’analogia ovvero, se non è facilmente inquadrabile in un tipo, lo qualificano come contratto che realizza la commistione di due tipi contrattuali (c.d. contratto misto), applicando poi la disciplina legale corrispondente al tipo prevalente; talché si dice che “il contratto atipico, cui applicare le sole regole generali contenute negli artt. 1321-1469 del codice civile, non ha mai fatto apparizione in ufficio giudiziario!”: X. XXXXX La qualificazione (i tipi contrattuali), in X. XXXXX, G. DE NOVA (a cura di), Il contratto, in Trattato di diritto civile, Utet, Torino, vol. II, 1993, 425.
dovrebbe interrogare sulla legittimità costituzionale di una simile disposizione, specialmente della compatibilità con l’art. 102 Cost.
Ciò chiarito, è probabilmente vero che, nelle intenzioni del legislatore, la certificazione non mira a sostituire l’attività di interpretazione e qualificazione dei giudici con quella dei certificatori, bensì ad influenzare tale attività con la rilevazione di nuovi indici interpretativi in vista di un’applicazione tipologica delle norme78. Ed infatti il legislatore delegato del 2003 insiste sulla prassi degli indici rivelatori del tipo negoziale anche nel quinto comma dell’art. 78 sui “codici di buone pratiche per l’individuazione delle clausole indisponibili”, nonché all’art. 84, 2° co., in relazione ai “codici di buone pratiche e indici presuntivi” cui si affida la formalizzazione di criteri utili per operare la “distinzione tra appalto genuino e interposizione illecita”.
Va precisato, infine, che se l’oggetto della certificazione è il “contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro”, allora l’istituto vale solo ad individuare la natura e le caratteristiche del singolo contratto e non anche il concreto assetto di interessi definito dai contraenti nel programma negoziale79. Ciò si ricava, inoltre, sia dall’art. 80 che, a parte il ricorso per i vizi del consenso, limita le impugnazioni dinanzi al giudice ordinario alla erronea qualificazione del contratto oppure alla difformità tra programma negoziale e la sua successiva attuazione, cioè ad aspetti che attengono alla natura del contratto certificato o alla sua successiva dinamica, senza che ne sia coinvolto il contenuto o altri elementi della sua disciplina; sia dall’art. 81 il quale, affermando che il certificatore svolge anche attività di assistenza e consulenza alle parti sul contenuto del contratto, sul programma negoziale, le sue modifiche e la sua esatta qualificazione, lascia intendere che quanto attiene ad elementi diversi dalla qualificazione consiste in una semplice consulenza e non acquista “piena forza legale” ai sensi dell’art. 5, 1° co., lett a80.
Per cui, la certificazione non può avere ad oggetto né questioni “a valle” della qualificazione del rapporto, come ad esempio l’esattezza dell’inquadramento contrattuale, la corretta applicazione della disciplina
78 Cfr., in proposito, X. XXXXX, La certificazione dei contratti lavoro, cit., 669 ss.
79 M.G. XXXXXXXX, La legge delega sul mercato del lavoro: prime osservazioni, in Riv. giur. lav., 2003, I, 377; ID., La certificazione dei rapporti di lavoro, cit., 424; X. XXXXXXXX, La certificazione dei rapporti di lavoro nella legge delega sul mercato del lavoro, in Riv. giur. lav., 2003, I, 286; ID., Certificazione dei rapporti di lavoro, cit., 152 ss.; X. XXXXXXX, Sub art. 75. Certificazione dei contratti di lavoro, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), La riforma del marcato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali cit., 824.
00 X. XXXXXXXX, Xx finalità e gli effetti della nuova disciplina, cit.,153.
sull’orario di lavoro, la legittimità di un licenziamento ecc.; né questioni attinenti al momento genetico del contratto diversi dalla qualificazione81.
5. Segue: sulla legittimità di una qualificazione “certificata” alla luce degli artt. 24 e 102 Cost.
Chiarito che la qualificazione “certificata” è interamente da ascrivere alla commissione e non alle parti, sia pure nel rispetto di taluni limiti, bisogna verificarne la legittimità alla stregua degli artt. 24 e 102 Cost.
La legittimità costituzionale della disciplina che regola la certificazione può in via generale desumersi dal carattere volontario e non obbligatorio della relativa procedura, la cui attivazione richiede il comune accordo delle parti secondo quanto previsto dagli artt. 5, 1° co., lett. a, l. 30/2003 e 78, 1° co., d. lgs. 276/2003.
A tale riguardo possono in linea di principio ritenersi ad essa applicabili, come agli altri strumenti di risoluzione alternativa delle controversie, i principi delineati dalla giurisprudenza costituzionale in relazione alla legittimità di quelle norme che introducono delle forme di arbitrato obbligatorio.
In proposito la Corte costituzionale afferma costantemente che l’arbitrato trova il suo legittimo fondamento nella concorde volontà delle parti, con la conseguenza che l’eventuale previsione di una ipotesi di arbitrato obbligatorio ex lege si traduce in un’illegittima compressione del diritto di azione e di difesa ex art. 24, 1° co., Cost. ed una negazione della tutela giurisdizionale ex art. 102, 1° co., Cost.82 Alla luce di tali principi dovrebbe, quindi, ritenersi affetta da illegittimità costituzionale la norma che prevedesse il ricorso obbligatorio alle procedure di certificazione per qualificare i contratti di lavoro, in mancanza di una chiara deroga al principio secondo cui la giurisdizione statale sulle controversie costituisce la regola fissata nel nostro ordinamento83.
Ai nostri fini occorre però soffermarsi su quanto prevede l’art. 5, 1° co., lett. e, l. 30/2003 secondo cui il contratto certificato ha “piena forza legale”,
81 M.G. XXXXXXXX, La legge delega sul mercato del lavoro: prime osservazioni, loc. cit.
82 Cfr. Corte Cost. 14 luglio 1977, n. 127, in Orient. giur. lav., 1978, 304 ss.; Xxxxx Xxxx. 0 marzo
1992, n. 82, in Riv. it. dir. lav., 1993, II, 20 ss.; Xxxxx Xxxx. 00 febbraio 1996, n. 54, in Giur. cost.,
1996, 379 ss.; Xxxxx Xxxx. 00 aprile 2000, n. 115, in Foro it., 2002, I, 668 ss.
83 In tal senso, riferendosi però all’arbitrato, Corte Cost. 21 aprile 2000, n. 115, cit.
verso cui è esclusa la possibilità di ricorso in giudizio “se non in caso di erronea qualificazione del programma negoziale […] e di difformità tra il programma negoziale effettivamente realizzato dalle parti e il programma negoziale concordato dalle parti in sede di certificazione”.
Secondo la dottrina maggioritaria la disposizione in commento, al di là dell’artificio linguistico (“se non in caso di”), non viola i summenzionati principi costituzionali, in quanto la certificazione può sostituire il giudizio qualificatorio in una determinata quantità di casi, ma non preclude lo svolgimento della medesima attività in sede giurisdizionale; per cui non viene limitata né impedita la possibilità di tutela giurisdizionale dei diritti delle parti o dei terzi84. Diversamente – si argomenta – se si ammettesse che la certificazione preclude l’azione in giudizio, dovrebbe concludersi che la qualificazione compiuta in tale sede ha il medesimo valore della qualificazione compiuta in sede giurisdizionale, con conseguente violazione dell’art. 102, 1° co., Cost. Se poi si affermasse che la qualificazione operata in sede di certificazione non può essere considerata equivalente a quella giudiziale, e sempre supponendo che l’art. 5, 1° co., lett e precluda la qualificazione giurisdizionale del singolo contratto una volta intervenuta la certificazione, questo sarebbe in contrasto con l’art. 24, 1° co., Cost., in quanto un punto essenziale della controversia giuridica verrebbe privato del suo giudice naturale85.
Altra dottrina ha ventilato la possibile violazione dell’art. 24 Cost. da parte della disposizione in commento, limitando questa il ricorso in giudizio ai due casi previsti senza il dovuto spazio per denunciare vizi della volontà, diversi dall’errore, nella formazione del convincimento del soggetto certificatore o per contestare eventuali violazioni della procedura di certificazione; sicché, si è detto, verrebbe completamente negata la possibilità di “agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”86. A ciò si è replicato che, da un lato, i vizi della volontà diversi dall’errore sono
84 M.G. XXXXXXXX, La legge delega sul mercato del lavoro: prime osservazioni, cit., 377 s.; X. XX XXXXXXX, La certificazione dei rapporti di lavoro, in M.T. CARINCI (a cura di), La legge delega in materia di occupazione e mercato del lavoro: l. n. 30/2003, Ipsoa, Milano, 2003, 238 ss.; X. XXXXXX, Il nuovo istituto della “certificazione” dei contratti di lavoro, cit., 113 ss.
85 M.G. XXXXXXXX, op. ult. cit., 377 s.
00 X. XXXXXXXX, Xx certificazione dei rapporti di lavoro nella legge delega sul mercato del lavoro, cit., 288 s. cui adde A. AVONDOLA, Certificazione e legittimità costituzionale, in R. DE XXXX XXXXXX R., X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema, cit., 307. In termini consimili v. anche X. XXXXXXXXX, Le alternative alla giurisdizione: la certificazione e il giudizio arbitrale di equità, in Diritto del Lavoro on Line - xxx.xxxxx.xx/xxxxxx/XXXXXXXXXXXXXXXXXX.xxx, 7.
piuttosto rari e che le possibilità di ricorso in giudizio previste dall’art. 5, 1° co., lett. e della legge 30 “garantiscono un’ampia possibilità di tutela giurisdizionale”; dall’altro lato, le questioni relative alla procedura, comprese le conseguenze in caso di violazione della stessa, vanno ricondotte alla lett. d dell’art. 5, che rimette al legislatore delegato la “indicazione del contenuto e della procedura di certificazione”87.
La questione può dirsi almeno in parte risolta con l’emanazione del d. lgs. 276 il quale, oltre ad accordare, sia alle parti che ai terzi interessati, il ricorso in giudizio in caso di erronea qualificazione del programma negoziale certificato e di difformità tra questo ed il concreto atteggiarsi del rapporto, riconosce alle parti la possibilità di agire in giudizio per i vizi del consenso (art. 80, 1° co.). Inoltre, sia le parti che i terzi interessati possono proporre ricorso contro l’atto di certificazione, per violazione del procedimento e per eccesso di potere, davanti al TAR competente (art. 80, 5° co.).
Bisogna ancora soffermare l’attenzione sull’art. 5 della l. 30/2003 il quale alla lett. f afferma che “gli effetti dell’accertamento svolto dall’organo preposto alla certificazione permangano fino al momento in cui venga provata l’erronea qualificazione del programma negoziale o la difformità tra il programma negoziale concordato dalle parti in sede di certificazione ed il programma attuato”.
Una parte della dottrina ha sostenuto che, stando a quanto letteralmente previsto, quest’ultima disposizione debba interpretarsi nel senso che l’eventuale accertamento giudiziale di una natura del rapporto difforme da quella in origine certificata abbia effetto solo dal momento dell’accertamento stesso, e cioè una efficacia ex nunc e non già un efficacia ex tunc secondo i principi generali del diritto. Ne consegue che il meccanismo conferirebbe definitivamente efficacia giuridica all’accertamento compiuto dalla commissione di certificazione per il periodo del rapporto compreso fino alla pronuncia giudiziale88.
Deve innanzitutto osservarsi che è improprio affermare che la erronea qualificazione possa essere provata89. La qualificazione, infatti, attiene alla individuazione della disciplina giuridica cui ricondurre l’accordo contrattuale e
87 X. XXXXXX, Il nuovo istituto della “certificazione” dei contratti di lavoro, cit., 122.
00 X. XXXXXXXX, Xx certificazione dei rapporti di lavoro: funzioni ispettive e controversie di lavoro, Relazione al convegno organizzato da Cesri-Luiss, “La nuova legge sul mercato del lavoro”, Roma, 5 febbraio 2003; X. XXXXXXXX, op. cit., 308.
89 Cfr. X. XXXXXX, op. ult. cit., 115; M.G. XXXXXXXX, op. ult. cit., 379, che parla di “marchiano errore di tecnica giuridica”.
non può essere oggetto di prova: essa presuppone l’ultimazione dell’accertamento dei fatti in forza dei quali il giudice esprime il giudizio, questi sì governati dall’onere della prova. Sicché “solo in seguito all’ultimazione dell’accertamento giudiziale potrà, infine, dirsi (impropriamente) provata l’erronea qualificazione del contratto e ciò nel senso che sarà stata individuata una soluzione idonea a vincolare le parti”90.
Peraltro, che l’efficacia della certificazione permanga fino al momento in cui non vengano provate (rectius: accertate) l’erronea qualificazione o la difformità predette, non vuol dire che in tale momento l’efficacia non venga meno ab origine91. Se così fosse un medesimo contratto sarebbe, ad esempio, qualificato di lavoro subordinato fino all’accertamento giudiziale e poi di lavoro autonomo. Ciò, oltre ad essere contrario alla logica giuridica perché la qualificazione investe i fatti storicamente dati nella loro interezza temporale, significherebbe che la qualificazione operata dal certificatore prevale sulla qualificazione giudiziale, seppur per il periodo antecedente l’accertamento del giudice, violandosi l’art. 102 Cost. o l’art. 24 Cost., a seconda che le due qualificazioni vengano considerate equivalenti oppure non equivalenti (v. supra)92.
Per cui, se non si vogliono violare le norme costituzionali e stravolgere i principi generali del diritto, la disposizione va interpretata nel senso che la certificazione possiede “piena forza legale”, e cioè che la qualificazione certificata impone alle parti ed ai terzi di attenersi ad essa se non superata da una difforme pronuncia giurisprudenziale e da quando sia stata superata93.
Una qualificazione, cioè, che non può che essere interinale e succedanea, destinata a fornire certezze fino alla qualificazione giudiziale che, in un ordinamento di diritto, è l’unica qualificazione certa94. La quale, in caso di erroneità della qualificazione del contratto qualificato, non può che operare fin dal momento della conclusione dell’accordo contrattuale, e lo stesso deve avvenire se la difformità tra il programma negoziale concordato dalle parti e quello effettivamente realizzato si sostanzia nella simulazione del contratto certificato; mentre, se la difformità viene affermata in relazione ad un momento successivo all’inizio del contratto certificato, viene fatta valere una novazione oggettiva del contratto stesso che, in quanto tale, non può che
90 X. XXXXXX, op. ult. cit., 115 s.
91 X. XX XXXXXXX, op. ult. cit., 241.
92 Così M.G. XXXXXXXX, op. ult. cit., 380.
93 X. XX XXXXXXX, op. loc. ult. cit.
94 X. XXXXX, op. ult. cit., 640.
assumere rilevanza dal momento in cui risulti accertato che le parti hanno operato la novazione medesima95.
Nel senso prospettato si è mosso il d. lgs. 276/2003 che all’art. 79 prevede che gli effetti della certificazione “permangono, anche verso i terzi, fino al momento in cui sia stato accolto con sentenza di merito, uno dei ricorsi esperibili ai sensi dell’articolo 80, fatti i salvi i provvedimenti cautelari”96; il quale, per quel che qui interessa, richiama il comma 2 dell’art. 80 secondo cui “l’accertamento giurisdizionale dell’erroneità della qualificazione ha effetto fin dal momento della conclusione dell’accordo contrattuale. L’accertamento giurisdizionale della difformità tra il programma negoziale e quello effettivamente realizzato ha effetto a partire dal momento in cui la sentenza accerta che ha avuto inizio la difformità stessa”.
A tale riguardo giova precisare che varranno i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), senza che alla certificazione possa riconoscersi valore probatorio in giudizio, poiché essa non accerta uno stato di fatto ma stabilisce che il rapporto di lavoro vada giuridicamente qualificato in un modo piuttosto che in un altro e, quindi, che al comportamento contrattuale delle parti vadano ricondotte certe, e non altre, conseguenze giuridiche97.
Al limite, si è sostenuto che l’atto di certificazione potrebbe essere utilizzato dal giudice come elemento di prova nella formazione del suo libero convincimento ex art. 116 c.p.c.98, potendo rivelarsi utile la certificazione che intervenga prima dell’attuazione del rapporto di lavoro, quando la dinamica concreta di questo si riveli di difficile e non sicuro apprezzamento99. Lo stesso si è detto riguardo al comportamento tenuto dalle parti in sede di certificazione, che per l’art. 80 assume rilievo ai fini del pagamento delle spese processuali100. Ma è chiaro che nessuna rilevanza potranno avere tali comportamenti quando sin dall’inizio le parti hanno voluto un contratto diverso da quello certificato ma meramente simulato, poiché si tratterà di
95 In tal senso cfr. X. XXXXXX, op. ult. cit., 116.
96 Contra X. XXXXXXXX, op. cit., 310, secondo cui, pur avendo il legislatore delegato opportunamente escluso il riferimento alla “piena forza legale” del contratto certificato, rimane irrisolto il problema della efficacia della certificazione e quindi insuperati i rischi di incostituzionalità della disciplina.
97 Così X. XXXXXX, op. ult. cit., 120.
98 X. XXXXX, La certificazione dei contratti di lavoro, cit., 294.
99 In tal senso, X. XXXXXX, Certificazione dei contratti di lavoro, cit., 885 s. e nel medesimo senso
X. XXXXX, Sull’istituto della certificazione nel d. lgs. 276 del 2003, cit.
100 X. XXXXX, op. loc. ult. cit., ma in tal senso, nel commentare l’art. 5, 1° co. lett. f, della legge delega, v. già X. XXXXXXXX, La certificazione dei rapporti di lavoro nella legge delega sul mercato del lavoro, cit., 282.
qualificare il contratto sulla base delle dichiarazioni e dei comportamenti effettivi e non a quelli simulati; così come, nessuna rilevanza avranno se quanto dichiarato dalle parti abbia tradito la loro reale intenzione o in caso di intervenuta novazione del contratto certificato, poiché in tali casi si tratterà di interpretare e qualificare il contratto dando preminenza al comportamento successivo delle parti ex art. 1362, 2° co. c.c. o di individuare il contenuto dell’accordo novativo (v. infra Cap. IV, §§ 2.2., 2.2.1., 2.2.2) 101.
6. La natura giuridica della certificazione
Resta da verificare a questo punto quale sia la natura giuridica della certificazione, o meglio dell’atto di certificazione che fissa le conseguenze giuridiche dell’operazione economica realizzata dalle parti e segnatamente gli effetti civili, amministrativi, previdenziali e fiscali rispetto ai quali si richiede la certificazione (art. 78, 2° co. lett. d, d. lgs. 276/2003).
In proposito va osservato che se è vero che la qualificazione è non solo operata ma interamente ascrivibile alla commissione di certificazione, va escluso che l’atto di certificazione abbia natura negoziale. Più specificamente, come è stato rilevato, “la qualificazione certificata non può essere considerata una parte integrante del negozio privato che instaura il rapporto di lavoro e non si risolve in un meccanismo che tende semplicemente ad assistere le parti nel formulare, con maggior cognizione di causa, il nomen juris del loro accordo contrattuale”102.
Ciò comporta, come prima conseguenza, che l’atto di certificazione non può essere qualificato come lodo di un arbitrato irrituale103, che secondo l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale dominante costituisce un negozio per relationem104: costituisce cioè un figura negoziale atipica ex art. 1322, 2° co., c.c., disciplinata in via generale dall’art. 1349 c.c., che si risolve in un mandato conferito ad uno o più arbitri per la composizione di una controversia mediante la creazione di un nuovo assetto di interessi che le parti si impegnano
101 In termini consimili X. XXXXX, op. ult. cit., 662.
102 X. XXXXXX, op. ult. cit., 120.
103 X. XXXXXX, op. loc. ult. cit.
104 Cfr., più di recente, X. XXXXXXXXX, La natura dell’arbitrato irrituale. Profili comparatistici e processuali, Giappichelli, Torino, 2002, spec. 103 ss. ed ivi ultt. riff. dottrinali e giurisprudenziali.
a considerare come espressione della loro volontà, ed a tal titolo è per esse vincolante105.
Peraltro l’atto di certificazione non potrebbe essere qualificato come lodo arbitrale, in quanto la competenza regolativa dell’arbitrato irrituale è appositamente demandata dall’art. 412 ter c.p.c. ai contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro, ed una deroga a questa disciplina di base avrebbe richiesto un espressa previsione106.
Inoltre, in considerazione della natura non negoziale della certificazione, è improprio richiamarsi anche alla figura dell’arbitraggio107, regolata anch’essa dall’art. 1349 c.c., che ricorre quando le parti affidano ad un terzo arbitratore non l’incarico di risolvere una controversia nascente da un rapporto giuridico preesistente e già perfetto, ma di determinare, in un negozio giuridico in via di perfezionamento, la prestazione dedotta o comunque l’integrazione di un elemento negoziale; sicché l’arbitratore concorre con le parti alla formazione del contenuto del negozio108.
In tal senso non può essere condivisa neppure l’opzione ricostruttiva di una giovane dottrina civilistica che, muovendo dalla volontarietà della procedura di certificazione e sul presupposto della comune istanza scritta delle parti ex art. art. 78 del d. lgs. 276, ritiene di attribuirle una natura negoziale109. Più specificamente, la comune istanza scritta delle parti opererebbe come una sorta di negozio autorizzativo ad influire nella sfera giuridica delle parti le quali, contestualmente, affidano ai certificatori il riesame dell’intero programma negoziale, in virtù di quanto disposto dall’art. 1349 c.c. Secondo
105 In tal senso l’arbitrato irrituale viene tradizionalmente distinto dall’arbitrato rituale che ha non solo la funzione ma anche la struttura di un giudizio, che le parti affidano ad uno o più arbitri per la risoluzione di proprie controversie attraverso un negozio giuridico (compromesso o clausola compromissoria), con cui indicano le modalità di svolgimento del procedimento arbitrale, la cui pronuncia – il lodo – è destinato a ricevere i caratteri tipici della sentenza giurisdizionale civile (cfr., per tutti, X. XXXXXXXXX, Diritto processuale civile. I procedimenti speciali di cognizione e i giudizi arbitrali, Giappichelli, Torino, 2005, vol. III, 381 ss.). Invero, di recente, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha ritenuto che anche l’arbitrato rituale ha natura negoziale: si tratta di Xxxx. Sez. Un. 3 agosto 2000, n. 527, in Giur. it, 2001, 1107 ss.; in senso analogo, Xxxx. Sez. Un. 22 luglio 2002, n. 10723, in Corr. giur., 2003, 630 ss. Va detto, però, che la figura del negozio per relationem, quale criterio distintivo tra arbitrato irrituale ed arbitrato rituale, sembra non essere stato abbandonato dalla giurisprudenza successiva: cfr. la rassegna di X. XXXXXXX e X. XXXXXXXXX, La Cassazione e il “duplice volto” dell’arbitrato in Italia (I e II), in Corr. giur., 2003, 678 ss., 827 ss.
106 X. XXXXXX, op. ult. cit., 121.
107 X. XXXXXX, op. ult. cit., 120.
108 Cfr., ancora, X. XXXXXXXXX, op. cit., 376 s.
109 X. XXXXXXXX, Certificazione dei contratti di lavoro e teoria del negozio giuridico, in X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX (a cura di), La certificazione dei contratti di lavoro. Prime esperienze applicative, problemi, soluzioni, prospettive, in Speciali Guida lav., 2005, 24 ss., spec. 28 ss.
tale dottrina, una simile ricostruzione avrebbe per giunta il suo fondamento normativo nell’art. 81 del d. lgs. 276/2003, che espressamente affida alle commissioni di certificazione funzioni di consulenza e assistenza “sia in relazione alla stipulazione del contratto di lavoro e del relativo programma negoziale, sia in relazione alle modifiche del programma negoziale medesimo concordate […]”110.
A parte quanto già rilevato rispetto alla natura non negoziale della certificazione, una simile ricostruzione non convince innanzitutto perché si fonda unicamente sull’attività di consulenza e assistenza alle parti e non sulla qualificazione del contratto, che è la funzione principale, se non unica, della certificazione (v. supra Cap. I, §§ 5, 6, 7).
Va ricordato inoltre che le funzioni di assistenza e consulenza stanno a significare una mera attività di supporto ed informazione alle parti, e specialmente del lavoratore. Peraltro, questa ricostruzione non si fa carico della questione fondamentale, e cioè che nella disciplina del rapporto di lavoro, il contratto svolge un ruolo complementare e strumentale rispetto alla legge ed al contratto collettivo, per cui le modifiche al programma negoziale sono possibili solo nei limiti dell’inderogabilità peggiorativa delle fonti eteronome da parte del contratto individuale. E quand’anche si volesse fondare sull’art. 81 un’ipotesi di derogabilità assistita di norme inderogabili111, il certificatore avrebbe solo la funzione di convalidare le pattuizioni individuali, garantendo in particolare la genuinità del consenso del lavoratore.
In realtà i dati normativi rinvenibili negli art. 75 ss. del d. lgs. 276/2003 non sembrano lasciare adito a dubbi sul fatto che l’atto di certificazione costituisca un atto amministrativo112.
Ciò si evince, in particolare, dall’art. 80, 5° co. in base al quale l’atto di certificazione può essere impugnato per violazione del procedimento o per eccesso di potere innanzi al TAR nella cui giurisdizione ha sede la commissione che ha certificato il contratto. Inoltre, se si guarda alla disciplina della procedura di cui all’art. 78, si comprende come il legislatore abbia fissato
110 X. XXXXXXXX, op. cit., 33.
111 Che, come si è detto, va esclusa in mancanza di norme che la prevedano espressamente: v.
supra Cap. I, § 6.
112 In tal senso, già in sede di commento del d.d.l. 848, X. XXXXX, Nuove tipologie contrattuali e certificazione dei rapporti di lavoro, cit., 533 s. e ID., La certificazione dei contratti di lavoro, cit., 282 ss. Nel medesimo senso, v. X. XXXXXX, op. ult. cit., 121; ID., Certificazione dei contratti di lavoro, cit., 879; X. XXXXXXXX, La certificazione dei rapporti di lavoro nella legge delega sul mercato del lavoro, cit., 282; ID., Certificazione dei rapporti di lavoro, cit., 209 s.; X. XXXXXXX, Sub Art. 79. Efficacia giuridica della certificazione, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), La riforma del marcato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, cit., 841.
gli elementi ed il contenuto essenziale della certificazione in coerenza con i principi generali dell’atto amministrativo, nello specifico prevedendo al 2° co. lett. c, l’obbligo di motivazione per l’atto di certificazione113. Del resto l’atto di certificazione costituisce un atto amministrativo anche se rilasciato da un soggetto privato, come ad esempio l’ente bilaterale, poiché è un principio ormai acquisito che la natura privata del soggetto che lo emana non fa venir meno la natura amministrativa dell’atto114.
Semmai non è pacifico in dottrina a quale categoria di atti amministrativi sia riconducibile la certificazione dei contratti di lavoro.
Una parte della dottrina sostiene che l’atto di certificazione sia da inquadrarsi fra gli atti di certazione. Esso possiederebbe, cioè, la forza giuridica della certezza pubblica sul rapporto di lavoro e la relativa qualificazione e deve essere da tutti assunto come conforme all’ordinamento, cioè dalle parti e dai terzi interessati che non possono metterla in discussione se non in forza dei ricorsi in giudizio di cui all’art. 80 del d. lgs. 276/2003115.
Tale dottrina si rifà più o meno esplicitamente alla sistematica adottata da Xxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxx, secondo il quale gli atti di certazione costituiscono una sottospecie di atti di certezza pubblica, vale a dire quella categoria di atti amministrativi consistenti in “dichiarazioni di rappresentazione poste in essere dalle pubbliche autorità non per fondare una verità, ma per fornire una utilità che possa essere accettata in quanto è plausibile che sia rispondente alla realtà”116. Nell’ambito degli atti di certezza pubblica, le certazioni non comportano di per se stesse né effetti dichiarativi, né costitutivi né preclusivi, ma effetti “qualificatori”, ossia creativi di nuove situazioni giuridiche oggettive117: più precisamente, “le certazioni sono atti che creano direttamente e immediatamente qualificazioni giuridiche di cose o di persone, prima di esse giuridicamente inqualificate, cioè non aventi rilevanza giuridica”118. In ciò esse differirebbero dai semplici accertamenti in quanto non si limitano ad attribuire una qualità giuridica ad altra già esistente119, bensì
113 X. XXXXXXX, op. loc. ult. cit.
114 Cfr., fra gli altri, X. XXXXXX, Diritto delle amministrazioni pubbliche: una introduzione, Il Mulino, Bologna, 2000, 230 s.
115 In tal senso X. XXXXXX, Certificazione dei contratti di lavoro, cit., 879; X. XXXXX, La certificazione dei contratti di lavoro, cit., 283 s.
116 M.S. XXXXXXXX, voce Certezza pubblica, in Enc. dir., vol. VI, Xxxxxxx, Milano, 1960, 769 ss.
117 M.S. XXXXXXXX, op. cit., 782.
118 M.S. XXXXXXXX, op. loc. cit.
119 Come ad esempio gli esami, con i quali si attribuiscono qualità giuridiche alle persone; le classificazioni o anche le collaudazioni con le quali si attribuiscono qualità giuridiche alle cose: cfr. M.S. XXXXXXXX, Diritto amministrativo, II, Xxxxxxx, Milano, 1988, 918.
“creano esse stesse delle qualificazioni giuridiche”120, talché “immettono nel mondo giuridico delle realtà giuridicamente definitive […] imponendone l’uso a tutti”121.
Secondo altra parte della dottrina giuslavoristica, tuttavia, la riconduzione alla categoria degli atti di certazione parrebbe il frutto di un equivoco accostamento tra l’efficacia qualificatoria della certazione e la qualificazione del contratto che si realizza nella certificazione dei contratti di lavoro122.
In tal senso è vero che questa è munita di una certezza pubblica che possiede un effetto preclusivo, talché “non è possibile far circolare una diversa certezza”, se non fino alla diversa pronuncia giudiziale, che ne costituisce una “verificazione” la quale “serve a render reversibile l’effetto preclusivo”123. Ciò nondimeno, nella certificazione dei contratti di lavoro tale certezza non si riferisce all’accertamento di una qualità già esistente, né alla creazione di un realtà giuridica prima inesistente, bensì alla qualificazione intesa come riconduzione di una fattispecie concreta a quella astratta prevista da una norma e, quindi, come individuazione del diritto ad essa applicabile124; la quale, se considerata sotto l’angolazione delle operazioni logico-giuridiche in cui si espleta, è identica all’accertamento giurisdizionale125. In altre parole, l’oggetto della certificazione disciplinata dagli artt. 75 ss. del d. lgs. 276 è una qualificazione giuridica di una fattispecie negoziale, mentre la qualificazione di cui si discute con riferimento agli atti di certazione è un effetto e non l’oggetto di essi126.
Non è naturalmente possibile in questa sede affrontare con i dovuti approfondimenti un tema tanto complesso come quello degli atti di certezza pubblica, su cui persistono opinioni diverse in dottrina anche per le difficoltà definitorie connesse a questa tematica127.
120 Come ad esempio le dichiarazioni di acquisto, di riacquisto o di perdita di cittadinanza con cui si acquista, si riacquista o perde, lo status di cittadino; o la notifica di particolare interesse artistico e storico, che fa acquistare alla cosa la qualificazione di bene culturale d’arte: cfr., ancora, M.S. XXXXXXXX, op. ult. cit., 918 s.
121 M.S. XXXXXXXX, op. loc. ult. cit.
122 X. XXXXX, La certificazione dei contratti lavoro, cit., 638 ss.
123 M.S. XXXXXXXX, op. ult. cit., 973.
124 X. XXXXX, op. ult. cit., 638.
125 X. XXXXX, op. loc. ult. cit., ma già, in termini analoghi, X. XXXXX, La certificazione dei contratti di lavoro, cit., 293.
126 X. XXXXX, op. ult. cit., 639.
127 Per averne una dimensione e per rimanere alla sole opere di xxxxxx trattatistico cfr., oltre al saggio di M.S. XXXXXXXX, voce Certezza pubblica, cit., X. XXXXXX, voce Accertamento (teoria generale), in Enc. dir., vol. I, Xxxxxxx, Milano, 1958, 205 ss.; X. XXXXXXXX, Certificazione
Tuttavia a noi pare cogliere nel segno la dottrina critica nell’attribuire alla certificazione dei contratti di lavoro la natura di atto di certazione, e può condividersene l’affermazione secondo cui, in definitiva, con essa “non si attribuisce al contratto alcuna qualità che esso non abbia già, per così dire, ‘in sé’, ma semplicemente ci si limita ad attribuire certezza legale (reversibile) alla qualificazione giuridica (ossia all’operazione di riconduzione di un fatto concreto ad una fattispecie astratta) provvisoriamente operata da un organo non giurisdizionale”128.
In tale ordine di idee, l’atto di certificazione potrebbe, allora, ritenersi un atto di valutazione o una dichiarazione di giudizio129, oppure, secondo altra classificazione, un “atto amministrativo complesso, comprensivo di una dichiarazione di scienza riferita alla ‘dichiarazione delle parti di porre in essere un rapporto di lavoro con determinate caratteristiche’ e di una ‘manifestazione di giudizio’ circa la qualificazione giuridica del rapporto”130.
amministrativa, ibidem, vol. VI, 1968, 793 ss.; X. XXXXXXXXXX, voce Certificazione I) Diritto amministrativo, in Enc. Giur Treccani, vol. VI, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1988, 1 ss.
128 X. XXXXX, op. loc. ult. cit.
129 In tal senso X. XXXXXXXXX, Tecniche normative e contenzioso lavoristico, cit., secondo cui “l’atto di certificazione è una dichiarazione valutativa (parere) sulla ‘qualificazione’ del contratto”; ma, analogamente, vedi già X. XXXXX, Nuove tipologie contrattuali e certificazione dei rapporti di lavoro, cit., 533.
130 Così X. XXXXX, op. ult. cit., 640 riferendosi a X. XXXXX, op. ult. cit., 533 s.
CAPITOLO TERZO
IL RISCONTRO EMPIRICO DELL’ATTIVITÀ DI CERTIFICAZIONE
Sommario: 1. I soggetti abilitati alla certificazione: in particolare sull’opportunità delle scelte del legislatore e sulla idoneità di tali soggetti nel qualificare i contratti di lavoro - 2. L’esperienza delle commissioni di certificazione costituite presso le Direzioni provinciali del lavoro dell’Xxxxxx Xxxxxxx - 2.1 Premesse minime sull’ambito della ricerca ed indicazione dei dati statistici - 2.2. Costituzione e funzionamento delle commissioni - 2.3. La certificazione di soli contratti non ancora eseguiti nell’operato delle commissioni: una implicita esclusione della possibilità di certificare contratti in xxxxx xx xxxxxxxxxx? - 0.0. Sul valore discretivo delle “linee guida” ministeriali per la certificazione e sull’attività valutativa e decisionale delle commissioni
1. I soggetti abilitati alla certificazione: in particolare sull’opportunità delle scelte del legislatore e sulla idoneità di tali soggetti nel qualificare i contratti di lavoro
L’art. 76, 1° co., del d. lgs. 276/2003 indica i soggetti presso cui possono essere costituite le commissioni di certificazione, specificando per taluni anche i requisiti che abilitano allo svolgimento dell’attività.
Si tratta, nell’ordine: degli enti bilaterali, definiti dall’art. 2, 1° co. lett. h del d. lgs. 276 come “organismi costituiti ad iniziativa di una o più associazioni di datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative”, nello specifico quelli presenti nell’ambito territoriale di riferimento o a livello nazionale se la commissione è costituita presso enti bilaterali nazionali; delle Direzioni provinciali del lavoro e nelle province; delle università pubbliche e private, incluse le fondazioni universitarie, previa registrazione in un apposito albo ministeriale, per ottenere la quale sono tenute ad inviare, con cadenza semestrale, “studi ed elaborati contenenti indici e criteri giurisprudenziali di qualificazione dei contratti di lavoro” riferiti alle figure di lavoro indicate dal Ministero del lavoro (art. 76, 2° co.). A questi soggetti l’art. 1, comma 256, della l. 23 dicembre 2005, n. 266 (legge
finanziaria per il 2006), ha aggiunto anche le commissione istituite presso i Consigli provinciali dei consulenti del lavoro, nonché la Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro presso il Ministero del Lavoro.
Il legislatore delegato ha optato per una competenza concorrente in materia1, in mancanza di chiare ed univoche indicazione al riguardo da parte dell’art. 5, 1° co., lett. b della l. 30/2003 (“individuazione dell’organo preposto alla certificazione del rapporto di lavoro in enti bilaterali […] ovvero presso strutture pubbliche aventi competenze in materia, o anche università)2, talché è stata pure ventilata la possibile opzione, in sede di attuazione, per una competenza alternativa tra i soggetti indicati dalla legge delega3.
Nell’economia della riforma, l’attenzione del legislatore pare essersi appuntata sugli enti bilaterali, le università e, ora, anche sui consulenti del lavoro, se si considera che l’art. 6 del d. lgs. 276 li abilita anche all’esercizio dell’attività di intermediazione di manodopera in base a “regimi autorizzatori particolari”, modulati, cioè, sulle caratteristiche di ognuno e comunque con un alleggerimento dei requisiti richiesti alle agenzie per il lavoro, in base al regime autorizzatorio ordinario (art. 5)4. Gli enti bilaterali ed i consulenti del lavoro, inoltre, possono esercitare anche ricerca e selezione del personale e supporto alla ricollocazione professionale in forza dell’art. 4, 6° co., che abilita automaticamente le agenzie di intermediazione autorizzate a svolgere le predette attività5.
1 Con le eccezioni dell’art. 82, per la certificazione delle rinunzie e transazioni, e dell’art. 83, per la certificazione del regolamento interno delle cooperative, che sono rimesse alla competenza esclusiva, rispettivamente, degli enti bilaterali e delle direzioni provinciali del lavoro.
2 Cfr. X. XXXXXX, Il nuovo istituto della “certificazione” dei contratti di lavoro, cit., 112. Nel senso di una chiara opzione della legge delega per la competenza concorrente dei soggetti certificatori, v., invece, X. XXXXXXXX, La certificazione dei rapporti di lavoro nella legge delega sul mercato del lavoro, cit., 280 e già, in sede di commento del d.d.l. 848, X. XXXXX, Nuove tipologie contrattuali e certificazione dei rapporti di lavoro, cit., 530.
3 X. XX XXXXXXX, La certificazione dei rapporti di lavoro, cit., 237.
4 Cfr. rispettivamente i commi 1, 3, 4 e 5 dell’articolo 6. Va precisato che l’abilitazione dei consulenti del lavoro riguarda l’Ordine nazionale, il quale deve operare attraverso “un’apposita fondazione o altro soggetto giuridico dotato di personalità giuridica costituito nell’ambito del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro (art. 6. 4° co.), mentre è fatto divieto ai consulenti di esercitare attività di intermediazione “individualmente o in altra forma diversa da quella individuata dal regime autorizzatorio ordinario di cui agli artt. 4 e 5 del decreto. Tuttavia, l’art. 13, 1° co, del d.m. 23 dicembre 2003 di attuazione dei regimi autorizzatori ha introdotto la possibilità di esercizio dell’attività di intermediazione per mezzo di singoli consulenti del lavoro se delegati dalla fondazione abilitata a svolgere la predetta attività in nome e per conto della fondazione medesima, nel rispetto di taluni requisiti e comunque sotto la vigilanza del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro. Ma ciò, a ben vedere, non è che un aggiramento del divieto posto dall’art. 6, 5° co. del d. lgs. 276: sul punto, cfr. X. XXXXXXX, Regimi particolari di autorizzazione, in X. XXXXXXXXXX (coordinato da), Il nuovo mercato del lavoro, cit., 114.
5 In tal senso, secondo la formulazione del primo comma dell’art. 6 (“Sono autorizzate”), le università e le fondazioni universitarie sono abilitate ope legis all’esercizio di intermediazione di
All’origine della scelta legislativa di assegnare a tali soggetti sia compiti di promozione dell’occupazione che di certificazione dei contratti di lavoro vi è, quanto meno per gli enti bilaterali e per le università, una valutazione di meritevolezza, per essere questi portatori di valori sociali e solidaristici6: sono ritenuti tali da tutelare adeguatamente il lavoratore dalle attività di inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro fino alla fase negoziale della instaurazione e regolamentazione del rapporto di lavoro, con assistenza e consulenza effettiva, nella stipulazione del contratto di lavoro e nelle relative modifiche, al fine di una sua esatta qualificazione, secondo quanto previsto dall’art. 81 del decreto7. D’altronde, per quanto riguarda gli enti bilaterali, è lo stesso art. 2, 1° co. lett. h del d. lgs. 276 e, ancor prima, la Relazione di accompagnamento, che li definiscono sedi negoziali “privilegiate” per coniugare esigenze di giustizia sociale ed esigenze di competitività delle imprese, la cui valorizzazione può contribuire a rendere le relazioni industriali più collaborative e perciò più utili nel promuovere un’occupazione regolare e di qualità8.
Tuttavia le scelte del legislatore non hanno mancato di sollevare, oltre ai consensi, soprattutto delle critiche, a partire dalla scelta di attribuire tali compiti agli enti bilaterali.
Pur non mancando chi ha giudicato complessivamente positivo l’intervento del legislatore in vista di un innalzamento delle tutele del
manodopera, senza la necessità, cioè, di richiedere e ottenere uno specifico provvedimento per l’iscrizione all’Albo unico nazionale delle agenzie per il lavoro, come conferma l’art. 12, 1° co., del citato d.m. del 2003. Esso chiarisce che tale autorizzazione, non comportando l'iscrizione all'Albo delle agenzie di lavoro, non si estende alle attività di ricerca e selezione e di ricollocamento professionale. In proposito va detto che, mentre il quarto comma dell’art. 6 richiede espressamente all’Ordine dei consulenti del lavoro l’iscrizione all’albo, qualche dubbio potrebbe sorgere con riferimento agli enti bilaterali, considerato che la formulazione del terzo comma dell’art. 6 (Sono altresì autorizzat(i) allo svolgimento delle attività di intermediazione […] gli enti bilaterali”) parrebbe anch’essa alludere ad un autorizzazione ope legis. Tuttavia, il comma 3 dell’art. 6 del d. lgs. 276, deve leggersi alla luce del nuovo comma 8 , sostituito dall’art. 2, comma 2 del d.lgs. n. 251/2004: “in attesa delle normative regionali […] i soggetti di cui al comma 3, che non intendono richiedere l’autorizzazione a livello nazionale possono continuare a svolgere, in via provvisoria e previa comunicazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali dell’ambito regionale, le attività oggetto di autorizzazione con esclusivo riferimento ad una singola regione”.
6 Per il resto potrebbe dirsi, non senza una punta di malizia, che abbiano preso corpo i “desiderata della lobby […] dei consulenti del lavoro”: cfr. X. XXXXXX, Certificazione dei contratti di lavoro, cit., 884.
7 In tal senso, seppur con specifico riferimento alle università, v. X. XXXXX, L’università e la certificazione dei contratti di lavoro, Intervento al convegno organizzato da Adapt e Fondazione “Xxxxx Xxxxx”, “Scuola, Università, lavoro dopo la Riforma Biagi”, Modena, 27-30 giugno 2005, 2 s., che però in altra sede non aveva esitato a definire “bizzarra” l’abilitazione alla certificazione delle università e degli enti bilaterali: ID., La certificazione dei contratti di lavoro, cit., 279.
8 Cfr. in tal senso la Relazione di accompagnamento al d. lgs. 276/2003.
lavoratore nel mercato e nel rapporto9, l’opinione prevalente è che la certificazione e l’intermediazione siano funzioni pubbliche o para-pubbliche che, se vengono esercitate dal sindacato, ne snaturano l’identità e ne determinano l’attrazione nel sistema politico-amministrativo dello Stato; con la conseguenza che gli enti bilaterali risulterebbero per così dire “istituzionalizzati”10. Con specifico riferimento ai compiti di certificazione, parte della dottrina si è detta fiduciosa sulla idoneità di tali organismi nell’assolvere a compiti di certificazione11, benché si ritenga per lo più che essi non siano in grado di risolvere un conflitto di natura giuridica, il quale presuppone il ricorso a strumenti tecnici rispetto ai quali gli enti bilaterali non possiederebbero le necessarie competenze12.
Anche per quanto riguarda l’assegnazione di compiti di certificazione alle università ed alle fondazioni universitarie, non si sono risparmiate critiche. In tal senso, si sostiene, anche le università non possiederebbero un’adeguata
9 In dottrina v. R. DEL PUNTA, Enti bilaterali e modelli di regolazione sindacale, in Lav. dir., 2003, 219 ss.; X. XXXXX, Enti bilaterali e riforma del mercato del lavoro, in Scritti in memoria di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, in Dir. lav., 2003, II, 647 ss.; M. NAPOLI, Gli enti bilaterali nella prospettiva di riforma del mercato del lavoro, in Jus, 2003, 235 ss., e ID., Riflessioni sul ruolo degli enti bilaterali nel decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, in Jus, 2005, 309 ss. Fra le parti sociali v. X. XXXXXXX, Il giudizio della Cisl sulla riforma Biagi e le proposte per la sua attuazione, in X. XXXXXXXXXX (a cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro, cit., 827 ss., e
C.F. XXXXXX, Il giudizio della Uil sulla riforma Xxxxx e le proposte per la sua attuazione, ibidem, 847 ss.
10 X. XXXXXXXX, Interrogativi sugli enti bilaterali, in Lav. dir, 2003, 167; ID., Commento all’art. 2, lett. h), in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, cit., 70; X. XXXXXXXXXX, Enti bilaterali: appunti per la discussione, in Lav. dir., 2003, 182; X. XXXXX GRANDI, Enti bilaterali e problemi di rappresentanza sindacale nella legge delega n. 30/2003, e nel d. lgs. n. 276/2003, in X. XXXXXXX (a cura di), Impiego flessibile e mercato del lavoro, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2004, 314 ss.; X. XXXXXXX, Enti bilaterali e riforma del mercato del lavoro, in X. XX XXXX XXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema, cit., 311 ss., parla di enti bilaterali di “seconda generazione”. Molto critico è X. XXXXXXXX, Gli enti bilaterali tra autonomia e sostegno normativo, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2004, 491, secondo cui l’intento del legislatore è di annullare la dialettica sociale e minare l’autonomia e la capacità di rappresentanza del sindacato, offrendogli quote di potere in cambio di un arretramento sul piano delle tutele dei propri rappresentati. Una posizione più attenuata è quella di X. XXXXXX, Il futuro degli enti bilaterali: collaborazione e antagonismo alla prova della riforma del mercato del lavoro, in Lav. dir., 2003, 212 ss., per il quale la riforma comporta una “moderata” istituzionalizzazione degli enti bilaterali. Non ritiene invece che siano state attribuite agli enti bilaterali delle funzioni pubbliche X. XXXXXXX, Il casus belli degli Enti bilaterali, in Lav. dir., 2003, 208, cui xxxx X. XXXXX, op. cit., 654. Sulle critiche dei sindacati si veda X. XXXXXX, Xxxxx considerazioni e prime indicazioni operative della Cgil sul decreto legislativo n. 276/2003, in X. XXXXXXXXXX (a cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro, cit., 794 ss.
11 Contra invece, X. XXXXXXXXXX, Nuove tutele sul mercato: le procedure di certificazione, cit., 243 ss. e X. XXXXXXXX, op. cit., 668, su cui v. già supra Cap. II, § 4.
12 X. XXXXXX, Certificazione dei contratti di lavoro, cit., 896 s.; X. XXXXXXXX, Gli organi abilitati alla certificazione, cit., 164, e in senso analogo, X. XXXXX, Sull’istituto della certificazione, cit., 1076.
competenza tecnico-giuridica, per la mancanza di esperienza e sensibilità necessarie a valutare la situazione specifica ed i reali interessi coinvolti13. A ciò si è replicato che, al contrario, la scelta del legislatore favorisce “un processo di maggiore integrazione tra Università e territorio circostante” e al tempo stesso fornisce “assistenza di elevata professionalità al Ministero del lavoro e delle politiche sociali nella elaborazione degli strumenti che dovrebbero facilitare il lavoro delle altre sedi di certificazione abilitate dall’ordinamento”14.
Del resto, le critiche non hanno risparmiato neanche gli altri soggetti individuati dall’art. 76 del d. lgs. 276, a dimostrazione del fatto che sulle opzioni del legislative tendano in realtà a scaricarsi le perplessità che accompagnano la concreta gestione dell’istituto15.
Per quanto fosse immaginabile che, in sede di attuazione della legge 30/2003, la individuazione delle “strutture pubbliche aventi competenze in materia” ricadesse sulle Direzioni provinciali del lavoro, questa scelta è stata criticata in considerazione del fatto che questi organismi “sono ormai sovraccarichi di lavoro”16. Pure criticata è la scelta delle province, anch’esse ritenute prive delle competenza tecniche per la qualificazione dei contratti di lavoro17; scelta che, oltretutto, determina uno sdoppiamento delle strutture pubbliche abilitate a costituire commissioni di certificazione18.
A taluni è apparso, quindi, più che auspicabile dare attuazione all’ultimo comma dell’art. 76 del decreto, che prefigura la possibilità, per le commissioni costituite dai vari soggetti, di concludere “convenzioni con le quali prevedano la costituzione di una commissione unitaria di certificazione”, con ciò potendosi evitare la sovrapposizione di più organi nel medesimo ambito territoriale. Ciò, inoltre, potrebbe contribuire a superare in parte i dubbi sull’idoneità tecnica dei singoli soggetti abilitati, potendosi coniugare, ad esempio, le cognizioni specialistiche del docente con l’esperienza delle Dpl e/o con la conoscenza delle realtà territoriali delle parti sociali19.
00 X. XXXXXXXX, op. ult. cit., 165 s. e nel medesimo senso M.G. XXXXXXXX, La certificazione dei rapporti di lavoro, cit., 429; critiche definite “ingenerose” da X. XXXXXX, op. ult. cit., 897, nota 99.
14 X. XXXXXXXXXX, op. ult. cit., 242.
15 X. XXXXXXX, Sub Art. 76. Organi di certificazione, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), La riforma del marcato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, cit., 831.
16 In tal senso X. XXXXXX, op. ult. cit., 898, nota 104; X. XXXXXXXX, op. ult. cit., 164.
00 X. XXXXXXXX, op. ult. cit., 165.
18 X. XXXXXX, op. ult. cit., 899.
19 X. XXXXXX, op. ult. cit., 901 s.; X. XXXXXXXX, op. ult. cit., 166.
Sia le critiche che le opinioni positive sulla scelta dei soggetti abilitati ai compiti di certificazione vanno comunque ridimensionate alla luce dei primi riscontri empirici, i quali consegnano un bilancio deludente che, almeno per il momento, conferma le previsioni sulla modestia o scarsa utilità dell’istituto formulate sin dall’emanazione della l. 30/200320.
Infatti, nessun ente bilaterale esercita compiti di certificazione, anche se una qualche apertura viene dai contratti collettivi del settore edile, in cui si è prevista l’istituzione di “una Commissione paritetica tecnica finalizzata allo studio e approfondimento di requisiti, regole, modalità operative degli enti bilaterali di settore ai fini dell’affidamento dei compiti di certificazione dell’appalto genuino”21. Le cose vanno appena meglio per le università e le fondazioni universitarie, solo tre delle quali hanno chiesto ed ottenuto l’abilitazione alla certificazione e cioè l’Università di Modena e Reggio Xxxxxx, l’Università di Genova e l’Università di Venezia22, mentre un discorso a parte meritano i consulenti del lavoro per i quali, data la recente abilitazione, è in corso di definizione la disciplina di dettaglio sul funzionamento delle costituende commissioni presso gli Ordini provinciali23.
Allo stato attuale i primi riscontri empirici minimamente apprezzabili vengono dalle soli commissioni di certificazione costituite presso le Direzioni provinciali del lavoro.
Alla fine del 2005 risultavano costituite circa 90 commissioni di certificazione presso altrettante Dpl distribuite sull’intero territorio nazionale. Da una rilevazione compiuta dalla Direzione generale per la tutela delle condizioni di lavoro del Ministero del lavoro24, al 31 maggio 2005 risultavano
20 In tal senso v., per tutti, X. XXXXXXXX, La certificazione dei rapporti di lavoro nella legge delega sul mercato del lavoro, cit.
21 Cfr. gli allegati da 26 a 29 del Ccnl 20 maggio 2004 per i lavoratori dipendenti delle imprese industriali edili ed affini e gli allegati 33 e 34 del Ccnl 24 maggio 2004 per i lavoratori delle cooperative di produzione e lavoro dell’edilizia ed attività affini.
22 Autorizzate dal Ministero del Lavoro, rispettivamente, il 22 febbraio, il 1 giugno ed il 16 novembre 2005.
23 Solo il 24 marzo 2006, infatti, il Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro e la Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro hanno siglato un protocollo di intesa, che individua i requisiti essenziali per la costituzione ed il funzionamento della commissione operante presso gli Ordini provinciali, in cui si prevede, tra l’altro, che le costituende commissioni potranno certificare anche contratti di appalto, che l’attività venga svolta senza fine di lucro e che il Consiglio nazionale rediga i codici di buone pratiche ed i formulari necessari. Per il momento la Commissione dei principi interpretativi delle leggi in materia di lavoro della Fondazione studi del Consiglio nazionale ha stilato le linee guida cui dovranno attenersi le singole commissioni ed il modello di regolamento che dovranno adottare le costituende commissioni di certificazione: le si vedano sul supplemento di Guida lav., 2006, n. 3.
00 X. X. XXXXXXX, Xx certificazione dei contratti di lavoro presso le Dpl e le Province, in X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX (a cura di), La certificazione dei contratti di lavoro, cit., 58 ss.
presentate presso tali commissioni circa 370 istanze di certificazione, il 75% delle quali aventi ad oggetto contratti a progetto mentre un altro 5% riguardava contratti di collaborazione coordinata e continuativa escluse dall’ambito di applicazione degli art. 61 ss. del d. lgs. 276/2003. Da tale rilevazione risulta, inoltre, che l’80% circa delle istanze presentate riguardava il settore del terziario e del commercio, mentre quello con riferimento al quale erano state presentate meno istanze di certificazione risultava essere il settore industriale (circa il 10%).
2. L’esperienza delle commissioni di certificazione costituite presso le Direzioni provinciali del lavoro dell’Xxxxxx Xxxxxxx
2.1. Premesse minime sull’ambito della ricerca ed indicazione dei dati statistici
In considerazione di ciò é sulle risultanze empiriche delle commissioni di certificazione istituite presso le Direzioni provinciali del lavoro che si vuole concentrare l’attenzione nel corso del presente capitolo, segnatamente dell’attività di certificazione svolta dalle commissioni istituite presso le Dpl dell’Xxxxxx Xxxxxxx.
Invero, nel territorio della regione si riscontra anche la significativa esperienza della commissione di certificazione costituita presso il Centro Studi Internazionali e Comparati “Xxxxx Xxxxx” dell’Università di Modena e Reggio Emilia la cui attività, fra l’altro, rappresenta una sorta di certificazione ante litteram, essendo stata avviata in via sperimentale dal 2001, sia pure limitatamente al lavoro autonomo ed al lavoro coordinato e continuativo e con specifico riferimento ai servizi domiciliari di assistenza della persona25. Tuttavia non è stato possibile accedere alla documentazione relativa all’attività espletata, indispensabile ai fini della ricerca ed in mancanza della quale non è realisticamente possibile illustrare e comprendere il modus operandi dei certificatori, disponendosi solo dei “numeri” della certificazione relativa all’ateneo modenese.
25 Sull’esperienza dell’ateneo modenese cfr., ad esempio, X. XXXXXXXXXX, L’esperienza del Centro Studi Internazionali e Comparati “Xxxxx Xxxxx”, in X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX (a cura di), La certificazione dei contratti di lavoro, cit., 75 ss.
Dai dati rilasciati dalla Segreteria della Commissione risulta che, al 30 novembre 2006, sono state ricevute 135 istanze di cui: 125 relative alla certificazione di contratti di lavoro a progetto, delle quali 120 sono state accolte mentre per il resto le parti hanno rinunciato agli atti del procedimento di certificazione; 8, tutte accolte, relative alla certificazione della distinzione tra appalto ed interposizione illecita ai sensi dell’art. 84 del d. lgs. 276/2003; una, relativa alla certificazione di un distacco, rigettata in quanto mero atto di organizzazione dell’impresa distaccante; una, relativa alla certificazione del regolamento interno di una società cooperativa, rigettata per incompetenza, come noto essendo nello specifico competente proprio la sola commissione incardinata presso le Direzioni provinciali del lavoro ai sensi dell’art. 83 del d. lgs. 276/2003.
Esaurite tali premesse sull’ambito della ricerca è possibile entrare in medias res, dando conto dei dati statistici dell’attività svolta presso le nove Direzioni provinciali dell’Xxxxxx Xxxxxxx, le quali hanno tutte provveduto ad istituire le relative commissioni26.
La ricerca è stata compiuta acquisendo, ove possibile, copia degli atti di certificazione, dei verbali della audizione delle parti redatti nel corso del procedimento, nonché dei contratti certificati fino alla data del 15 dicembre 2006. A tale data sono state inoltrate nel territorio della regione circa 117 istanze e risultano certificati 75 contratti di lavoro, di cui 48 contratti di lavoro a progetto, 8 contratti di apprendistato, 7 contratti di lavoro intermittente, 6 contratti di appalto di servizi, 6 contratti di associazione in partecipazione. Sono stati invece 21 gli atti di rigetto delle istanze di certificazione, ed in altrettanti casi le parti hanno chiesto la rinuncia agli atti del procedimento di certificazione oppure le istanze sono state dichiarate improcedibili per l’assenza di una delle parti al momento dell’audizione, ex art. 5 d.m. 21 luglio 2004 sulla disciplina relativa alla composizione ed al funzionamento delle commissioni di certificazione costituite presso le Dpl e le province (v. infra § 2.2).
Nel commentare questi dati non sorprende l’assoluta prevalenza di contratti di lavoro a progetto, che costituiscono il 64% del totale dei contratti certificati, ed in ciò l’Xxxxxx Xxxxxxx si conforma sostanzialmente alla tendenza espressa dal dato nazionale. È curioso constatare invece che
26 In proposito la prima commissione è stata istituita presso la Dpl di Bologna, il 10 settembre 2004. Sono seguite nell’ordine: Ferrara, il 6 ottobre 2004; Modena, il 5 novembre 2004; Forlì, il 19 novembre 2004; Parma, il 22 novembre 2004; Rimini, il 1 dicembre 2004; Ravenna, il 6 dicembre 2004; Reggio Emilia, il 10 dicembre 2004 ed, infine, Piacenza, il 3 febbraio 2005.
l’esigenza di chiarezza sulla qualificazione del contratto sia avvertita di più per il contratto di lavoro intermittente che non per il contratto di associazione in partecipazione, considerato che è questo uno dei casi in cui la prestazione di lavoro può collocarsi in limine tra autonomia e subordinazione mentre il contratto di lavoro intermittente non pone particolare problemi di qualificazione considerato che si colloca, per così dire, sui confini “interni” della subordinazione27.
Se si passa, poi, a valutare i dati disaggregati per singola commissione emerge, ad esempio, che la Dpl di Bologna ha certificato il maggior numero di contratti nella regione (23), oltre a potere vantare di aver certificato il maggior numero di contratti di lavoro a progetto (13), di contratti di associazione in partecipazione (4) e di contratti di appalto (4); mentre il maggior numero di contratti di apprendistato (4) si registra nella Dpl di Modena, e Parma è quella che ha certificato più contratti di lavoro intermittente (5).
Ma il dato forse più significativo, almeno per il rapporto tra contratti certificati, atti di rigetto e/o rinuncia delle parti agli atti del procedimento, è quello relativo alla Dpl di Reggio Xxxxxx presso la quale, oltre ad essere stato certificato il minor numero di contratti (3 contratti e tutti di lavoro a progetto), ma sono stati emanati 9 atti di rigetto delle istanze presentate ed in ben 11 casi queste sono state dichiarate improcedibili per assenza delle parti al momento dell’audizione. Ciò, a maggior ragione, se si considera che la quasi totalità delle decisioni di rigetto e delle dichiarazioni di improcedibilità concernevano istanze per la certificazione di contratti di lavoro a progetto i quali, secondo la valutazione della commissione, celavano dei veri e propri contratti di lavoro subordinato.
2.2. Costituzione e funzionamento delle commissioni
Prima di prendere in considerazione più da vicino l’esperienza delle commissioni costituite presso le Dpl, è opportuno soffermarsi sulla disciplina che ne regola la composizione ed il funzionamento.
Per quanto riguarda la composizione, essa trova essenzialmente la sua regolazione nel già citato d.m. 21 luglio 2004 e nei singoli regolamenti interni che individuano i soggetti componenti della commissione secondo quanto
27 X. xxxxx Xxx X, § 0 e nota 70.
specificato dal suddetto decreto. Secondo l’art. 1 di tale decreto, per la validità di ogni seduta la commissione deve essere composta da tutti i membri con diritto di voto, e cioè dal dirigente preposto, che presiede la commissione, da due funzionari addetti al servizio politiche del lavoro della direzione, nonché da un rappresentante dell’Inps e da un rappresentante dell’Inail. Alle riunioni della commissioni possono inoltre partecipare, con funzioni meramente consultive, un rappresentante dell’Agenzia delle entrate ed un rappresentante del Consilio provinciale degli Ordini professionali di appartenenza dei soggetti di cui all’art. 1 l. 11 gennaio 1979, n. 12.
Va detto che nessuna delle commissioni operanti presso le Dpl dell’Xxxxxx Xxxxxxx ha dato attuazione all’art. 83, 2° co. del d. lgs. 276/2003 il quale richiede, per la certificazione del regolamento interno delle società cooperative, che la commissione sia presieduta da un presidente indicato dalla provincia e siano composte pariteticamente da esponenti delle associazioni del movimento cooperativo e organizzazioni sindacali dei lavoratori, comparativamente più rappresentative. In un caso è stata data attuazione invece all’ultimo comma dell’art. 76 del d. lgs. 276, in quanto il 28 settembre 2006 è stata siglato a Rimini un protocollo di intesa tra la Dpl e l’Ordine provinciale dei consulenti del lavoro per la costituzione di una commissione che riunisce le commissioni precedentemente costituite dai due soggetti28.
Il funzionamento delle commissioni costituite presso le Dpl trova la sua regolazione, in generale, agli artt. 77 e 78 del d. lgs. 276/2003.
Il primo individua la commissione competente a cui dovranno rivolgersi le parti che intendano certificare il contratto, cioè quella “nella cui circoscrizione si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale sarà addetto il lavoratore”, utilizzandosi al riguardo uno dei criteri previsti dall’art. 413 c.p.c. per individuare la competenza territoriale del giudice del lavoro29. Come è stato opportunamente precisato per azienda o sua dipendenza “alla quale sarà
28 Secondo il protocollo ed il regolamento interno che ne recepisce le indicazioni, i membri di diritto della commissione unitaria sono: per la Dpl, il direttore che presiede peraltro la commissione, il responsabile dei servizi ispettivi con funzione di vicepresidente, il responsabile del servizio politiche del lavoro; per l’Ordine provinciale dei consulenti del lavoro, il presidente ed altri due membri del consiglio. Inoltre, vi sono, quali membri di diritto, un rappresentante dell’Inps ed uno dell’Inail e, quali membri consultivi, un rappresentante per l’Agenzia delle entrate, uno per l’Ordine provinciale degli avvocati, uno per l’Ordine provinciale dei dottori commercialisti, ed uno per il Xxxxxxxx xxxxxxxxxxx xxx xxxxxxxxxx.
00 Come rileva X. XXXXXXXX, La competenza territoriale degli organi certificatori, in X. XXXXXXXX,
X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX (a cura di), Tipologie contrattuali a progetto e occasionali. Certificazione dei rapporti di lavoro, cit., 168.
addetto il lavoratore”, deve intendersi quella alla quale il datore di lavoro o il committente dichiara di voler adibire il lavoratore30.
L’art. 78 regola invece gli aspetti procedurali specificando, come più volte si è ricordato, che la procedura di certificazione è volontaria e che essa “consegue obbligatoriamente a una istanza scritta comune delle parti del contratto di lavoro”. Ciò significa, da un lato, che è lo svolgimento del procedimento ad essere obbligatorio, se richiesto da entrambe le parti, e non il suo esito, il quale potrebbe essere negativo qualora si ritenga che non sussistano i presupposti per certificare quanto richiesto31; dall’altro lato, che è comunque necessario il consenso esplicito del lavoratore, per quanto la sua genuinità potrebbe essere condizionata dalla necessità di ottenere un’occupazione oppure di conservarla32.
Per il resto l’art. 78 detta solo alcuni principi inderogabili, nel cui rispetto devono svolgersi le procedure di certificazione determinate in sede di costituzione delle commissioni di certificazione (art. 78, 2° co.), lasciando quindi aperta la possibilità di una eventuale applicazione della l. 7 agosto 1990, n. 241 sulla disciplina del procedimento amministrativo (su cui v. infra). A parte la previsione che impone alla Dpl di comunicare l’inizio di ogni procedimento di certificazione di cui abbia notizia alle autorità pubbliche interessate perché presentino le proprie osservazioni alla commissione certificante (2° co. lett. a), la quale si riferisce a ben vedere al solo caso in cui l’inizio del procedimento avvenga presso gli altri organi abilitati33, il 2° co. lett. b stabilisce che tale procedimento debba concludersi entro trenta giorni dal ricevimento dell’istanza. In proposito deve rilevarsi da un lato, che tale termine è da intendersi come perentorio in mancanza di sanzioni per il ritardo34, ciò trovando del resto conferma nell’art 2 della l. 241/1990 secondo cui il termine per concludere il procedimento amministrativo è di regola ordinatorio35; dall’altro lato, che tale termine decorre nuovamente dal
30 X. XXXXXX, Certificazione dei contratti di lavoro, cit., 900.
00 X. XXXXXXXX, Xx procedura di certificazione ed i codici di buone pratiche, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX (a cura di), Tipologie contrattuali a progetto e occasionali. Certificazione dei rapporti di lavoro, cit., 175.
32 Sul punto v., fra gli altri, le preoccupazioni espresse già in sede di commento al d.d.l. 848 da
P.G. XXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXXX, Un disegno autoritario nel metodo, eversivo nei contenuti, cit., 82.
33 Nel caso in cui la procedura sia attivata presso la Dpl questa non è di fatto onerata da comunicazioni se si considera che, fra i soggetti che compongono la commissione di certificazione, figurano un rappresentante dell’Agenzia delle entrate, uno dell’Inps ed uno dell’Inail.
34 X. XXXXX, op. ult. cit., 1078.
00 X. XXXXXXXX, op. ult. cit., 177.
ricevimento della documentazione che venga richiesta in via integrativa dalla commissione certificante, secondo quanto specificato dall’art. 3 del d.m. 21 luglio 2004.
L’atto di certificazione deve, inoltre, essere motivato (2° co. lett. c): dovrebbe, cioè, in teoria contenere l’indicazione degli indici o criteri sulla base dei quali la commissione ha accolto o respinto la richiesta di certificazione di quel dato contratto36. Ciò, come è naturale, in vista del possibile controllo in sede giurisdizionale o anche per promuovere un ricorso amministrativo37, ed infatti si specifica che l’atto indichi anche l’autorità e il termine entro cui è possibile ricorrere.
Ancora, l’atto di certificazione deve contenere “esplicita menzione degli effetti civili, amministrativi, previdenziali o fiscali”, in relazione ai quali le parti richiedono la certificazione (2° co. lett. d): una disposizione discutibile, anzitutto, perché le parti non stipulano un contratto in relazione ad uno specifico effetto bensì in relazione al complesso degli effetti che derivano dal tipo contrattuale cui esso è riconducibile38. Del resto, se essa venisse interpretata alla lettera sarebbe impossibile indicare tutti gli effetti del contratto certificato, considerato il numero imprecisato di disposizioni che possono trovare applicazione nel caso di specie; ed infatti si è sostenuto sin dai primi commenti, che tale previsione si sarebbe ridotta nell’indicazione di formule sommarie e tralaticie, anche considerato che la certificazione deve svolgersi sui moduli e formulari predisposti in sede ministeriale39. Ciò, in sostanza, è quello che si è verificato se si da un’occhiata agli atti di certificazione emanati presso le Dpl. Salvo qualche caso appena diverso40, l’atto contiene infatti un generico riferimento agli effetti indicati dalle parti nell’istanza di
36 X. XXXXX, op. loc. ult. cit. In senso critico v. M.G. XXXXXXXX, op. ult. cit., 431 s., secondo cui “una motivazione ha senso quando si deve dar conto delle ragioni per cui un problema viene risolto in un modo o nell’altro; l’obiettivo dell’attività del certificatore è, invece, quello di indirizzare l’autonomia delle parti alla conclusione di un contratto che sia effettivamente conforme al modello legale (o contrattuale)”.
37 X. xxxxx Xxx. XX, §§ 0 e 3.
38 Così M.G. XXXXXXXX, op. ult. cit., 432.
39 M.G. XXXXXXXX, op. loc. ult. cit.. Al più, si è ipotizzato, sarebbero state fornite al lavoratore schede riassuntive delle principali conseguenze giuridiche, sia privatistiche che pubblicistiche, dei contratti certificati: X. XXXXXX, La certificazione dei contratti di lavoro, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2004, 231.
40 Ad esempio la commissione presso la Dpl di Bologna provvede ad accludere ad ogni atto di certificazione un allegato in cui si riepilogano alcuni ma non tutti gli effetti riconducibili al contratto certificato.
certificazione, in cui esse devono indicare se richiedono la certificazione agli effetti civili e/o amministrativi e/o previdenziali e/o fiscali (!)41.
L’ultima regola strettamente procedurale dettata dall’art. 78 è contenuta nel 3° comma il quale, oltre alla possibilità per i Centri per l’impiego e per le altre autorità interessate di chiedere copia del contratto certificato, prevede che “i contratti di lavoro certificati, e la relativa pratica di documentazione” siano conservati “per un periodo di almeno cinque anni a far data dalla loro scadenza”: qui la scadenza è da intendersi riferita non all’atto di certificazione, perché le certificazioni non hanno un termine finale di validità se non espressamente previsto dalla legge (ed il d. lgs. 276 nulla dice al riguardo)42, ma ai soli contratti e necessariamente ai contratti a tempo determinato43.
Come accennato l’art. 78 lascia aperta la possibilità della applicazione della disciplina generale sul procedimento amministrativo di cui alla l. 241/1990, anche se non vi è concordia in dottrina sulle disposizioni che possano in concreto trovare applicazione.
Secondo una parte della dottrina, infatti, si avrebbe un’applicazione tendenzialmente integrale della l. 241/1990, considerato che la procedura di certificazione costituirebbe un vero e proprio procedimento amministrativo44 e che l’atto di certificazione sia da ritenersi un provvedimento amministrativo45, come afferma anche l’art. 6 del d.m. 21 luglio 2004. Per altra dottrina, che esclude invece la natura provvedimentale dell’atto di certificazione46, non sarebbe quindi applicabile quella disciplina della l. 241/1990 che presuppone la natura provvedimentale dell’atto come pure quelle disposizioni che siano riprodotte dai primi tre commi dell’art. 78 del d. lgs. 27647. Anche in questo
41 Non c’è da stupirsi in quanto le commissioni di certificazione non hanno fatto altro che recepire in sostanza il modello per la presentazione dell’istanza proposto dal Ministero del Lavoro nella circolare 15 dicembre 2004, n. 48, in attesa della predisposizione dei moduli di cui all’art. 78, 5° co.
42 Sul punto X. XXXXXXXX, op. ult. cit., 178 s. xx xxx riff alla dottrina amministrativistica.
00 X. XXXXXXXX, op. ult. cit., 179.
44 In tal senso G.C. SALERNO, Certificazione dei contratti di lavoro e profili di diritto amministrativo, in X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX (a cura di), La certificazione dei contratti di lavoro, cit., 36 che, invero, pare incorrere in una petizione di principio quando afferma che se si ammette l’applicazione dell’art. 25 l. 241/1990 sull’accesso agli atti amministrativi, questo vuol dire che ci si trova di fronte ad un procedimento amministrativo; di qui l’applicazione integrale della disciplina.
45 X. XXXXX, La certificazione dei contratti di lavoro, cit., 283.
46 X. XXXXX, La certificazione dei contratti lavoro, cit., 642, secondo cui l’atto di certificazione “non costituisce una manifestazione di volontà dell’amministrazione (‘provvedimento’), e dunque non riveste carattere discrezionale, ma è semmai caratterizzata da ‘discrezionalità tecnica’, in considerazione della sua natura valutativa”.
47 Per cui, in tale ordine di idee, l’obbligo di motivazione non discenderebbe dall’art. 3 l. 241/1990 ma dal 2° co. lett c dell’art. 78 del d. lgs. 276/2003 così come discenderebbe dal solo 2° co. lett a
caso, come per la corretta qualificazione dell’atto di certificazione quale atto di certazione ovvero quale atto valutativo (v. supra Cap. II, § 6), la questione é da rimettere in via definitiva agli amministrativisti.
Nel disciplinare il procedimento di certificazione presso le Dpl concorre anche la normativa di dettaglio, rappresentata dal d.m. 21 luglio 2004 (d’ora in avanti d.m.), nonché la circolare 15 dicembre 2004, n. 48, la quale detta alcuni chiarimenti operativi sulle disposizioni in esso contenute. Tale disciplina si conforma, come non potrebbe altrimenti, ai principi stabiliti dall’art. 78 del d. lgs. 276/2003, dettando una disciplina peculiare per quella parte del procedimento non coperta da riserva di legge.
Il d.m. detta una disciplina puntuale per la forma dell’istanza di certificazione, da redigersi su apposito modulo a cui va allegato l’originale del contratto da certificare, nella quale le parti devono indicare, oltre ai dati anagrafici, gli effetti rispetto ai quali chiedono la certificazione (art. 3, 1°, 2° e 3° d.m.). Nell’istanza le parti devono inoltre dichiarare, a pena di improcedibilità, di non aver presentato una contestuale istanza di certificazione presso altra commissione o che non siano stati emessi provvedimenti di diniego sulla medesima istanza; in quest’ultimo caso, ne deve essere allegata una copia (art. 12, 4° co., d.m.).
All’istanza segue l’attività istruttoria della commissione, che avviene sulla base dei documenti e degli atti presentati e/o della ulteriore documentazione che venga richiesta ad integrazione (art. 3, 4° e 5° co., d.m.). In seguito viene effettuata l’ audizione delle parti che ha ad oggetto l'assunzione di informazioni sui fatti e sugli elementi dedotti o da dedurre nel contratto di lavoro di cui si chiede la certificazione: esse presenziano personalmente o a mezzo di propri delegati autorizzati, ed eventualmente possono farsi assistere dalle rispettive organizzazioni sindacali o da professionisti del settore abilitati. In caso di mancato espletamento della audizione nelle forme indicate ed alla data e all’ora prefissate, l’istanza viene dichiarata improcedibile. Dell’audizione delle parti deve essere redatto apposito verbale, che forma parte integrante dell’atto di certificazione (art. 5 d.m.).
di tale norma – e non dall’art. 7 l. 241/1990 – l’obbligo di comunicare l’inizio del procedimento alla Dpl che provvede ad inoltrare la comunicazione alle autorità interessate. Come pure, in tal senso, non troverebbero applicazione gli artt. 9 e 10 di tale legge sul diritto di intervento e di accesso agli atti del procedimento da parte dei terzi, venendo in rilievo la previsione dell’art. 78, 2° co. lett a sulle osservazioni che possono essere presentate dalle autorità interessate: X. XXXXX, op. ult. cit., 642 s.
Fermo restando che la valida costituzione della commissione deve essere garantita in ogni fase dell’attività della stessa, il d.m. 21 luglio 2004 dispone che il presidente della commissione, qualora risulti necessario e valutati i carichi di lavoro, possa costituire eventuali sottocommissioni per rendere più tempestiva ed efficace l’azione, purché tale eventualità sia prevista nel regolamento interno (art. 2, 4° co.); eventualità invero prevista da tutti i regolamenti stilati dalle commissioni operanti presso le Dpl dell’Xxxxxx Xxxxxxx.
Quanto alla deliberazione finale, quand’anche nelle fasi precedenti si sia proceduto – ove consentito – in sede di sottocommissione, essa deve essere adottata con il concorso di tutti i membri con diritto di voto, con un quorum dato dalla maggioranza di essi, secondo quanto precisato dalla circolare 48/2004; talché, se tale soglia non viene raggiunta, il provvedimento finale va inteso come provvedimento di diniego48. In caso di diniego, peraltro, una successiva istanza può essere proposta davanti allo stesso organo, solo se fondata su presupposti e motivi diversi (art. 12, 3° co., d.m.).
In ogni caso, si prevede che, perché abbia validità, l’atto finale debba essere sottoscritto da tutti i componenti con diritto di voto (art. 6, 4° co., d.m.). Per il resto la regolazione del procedimento di certificazione presso le commissioni costituite in seno alle Dpl dell’Xxxxxx Xxxxxxx è lasciata ai regolamenti da esse adottati i quali, per la verità, riproducono grosso modo le disposizioni del d.m. ed in più parti richiamano gli artt. 75 e ss. del d. lgs. 276/2003. Un elemento che va comunque ad arricchire la disciplina del procedimento può essere ravvisato nella disposizione, contemplata da tutti i suddetti regolamenti, secondo la quale la commissione nomina un relatore per una o più istanze, ed illustra alla stessa la documentazione presentata a supporto di ogni istanza, con particolare riguardo alla sussistenza o meno dei
caratteri essenziali del tipo contrattuale di riferimento.
48 In tal senso X. XXXXXX, Le direzioni provinciali del lavoro, in X. XXXXXXXXXX, C. XXXXXX,
Compendio critico per la certificazione dei contratti di lavoro, Xxxxxxx, Milano, 2005, 103.
2.3. La certificazione di soli contratti non ancora eseguiti nell’operato delle commissioni: una implicita esclusione della possibilità di certificare contratti in corso di esecuzione?
Una delle questioni che ha diviso la dottrina attiene al momento in cui è possibile certificare il contratto di lavoro, cioè se la certificazione possa solo precedere l’avvio dell’esecuzione del contratto oppure se possa ricorrersi al relativo procedimento anche in un momento successivo (su cui v. infra). Ed è questo un aspetto che può trovare alcune indicazioni dall’analisi dell’attività delle commissioni di certificazione oggetto della ricerca.
Sulla base della documentazione a nostra disposizione risulta che, nella maggior parte dei casi, erano trascorsi appena 3 mesi tra la data di stipulazione e/o di decorso dell’esecuzione del contratto e quella in cui è stato formato l’atto di certificazione, pari al 35% del totale. Solo in un numero esiguo dei casi il contratto ha avuto esecuzione per un periodo di poco superiore prima di essere certificato, vale a dire per circa 4 mesi nel 10% dei casi, o circa 5 mesi nel 7% dei casi, così come per il medesimo numero di casi risulta che il contratto, prima di essere certificato, era stato stipulato da meno di un mese. Per il resto, tra la stipulazione del contratto e la sua certificazione erano trascorsi appena 2 mesi nel 24% dei casi, mentre circa il 17% dei contratti sono stati certificati quando dalla data di stipulazione era passato circa 1 mese.
A ciò va aggiunto che nel 38% dei casi risultano essere trascorsi solo 2 mesi tra la data di stipulazione e/o di decorso dell’esecuzione del contratto e quella in cui viene espletata la audizione delle parti, cioè nel lasso di tempo in cui la commissione valuta la documentazione prodotta e acquisisce dalle parti o da chi le rappresenta le informazioni necessarie in proposito, per poi formare l’atto di certificazione; e in una percentuale di casi di poco inferiore – il 32% – risulta che era trascorso circa 1 mese. Nel 10% dei casi il contratto era stato stipulato circa 3 mesi prima della fase istruttoria e dell’audizione delle parti, mentre nel 7% dei casi il contratto è stato valutato dalla commissione trascorsi 4 o 5 mesi dalla stipulazione o, al contrario, quando era addirittura trascorso meno di un mese.
In definitiva, da questi dati si ricava che presso le Dpl dell’Xxxxxx Xxxxxxx sono stati certificati contratti stipulati e/o in corso di esecuzione da meno di 5 mesi nel 93% dei casi, e che nell’86% dei casi tra la data di stipulazione del contratto e la fase istruttoria e quella di audizione delle parti erano trascorsi meno di 4 mesi.
Ciò pare implicitamente confermare l’opinione di quella dottrina secondo la quale la certificazione non riguarda lo svolgimento del rapporto di lavoro, a cominciare da chi ritiene che proprio nella l. 30 e nel d. lgs. 276 si ravvisano taluni elementi da cui dedurre che la certificazione debba essere effettuata nel momento iniziale di costituzione di un rapporto di lavoro, o quando si debba procedere all’affidamento di appalti o subito dopo il deposito del regolamento interno delle società cooperative49.
Secondo tale dottrina, le indicazioni verrebbero non già dall’art. 81 del
d. lgs. 276/2003 che assegna agli organi di certificazione i compiti di assistenza e consulenza alle parti anche nello svolgimento del rapporto, considerato che tali funzioni sono distinte dalla attività qualificatoria e, a differenza di questa, non hanno “piena forza legale” secondo quanto previsto dall’art. 5, 1° co. lett. e l. 30/200350 (v. cap. II, § 4). Una prima indicazione si ricaverebbe, invece, dall’art. 77 del d. lgs. 276 quando prevede che se le parti intendano certificare il contratto presso la Dpl, devono rivolgersi alla commissione “nella cui circoscrizione si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale sarà addetto il lavoratore”; laddove, dall’utilizzo del tempo futuro può desumersi che, nelle intenzioni del legislatore, la certificazione sia richiesta quando il rapporto di lavoro non sia ancora di fatto iniziato.
Inoltre, la difformità tra le dichiarazioni contenute nel contratto e la sua realtà fattuale deve sussistere “tra il programma negoziale effettivamente realizzato dalle parti e il programma negoziale concordato dalle parti in sede di certificazione” secondo l’art. 5, 1° co. lett. e della l. 30; o, per usare le equivalenti espressioni contenute nell’ dall’art. 80, 1° co., del d. lgs. 276, tra “il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione”: di qui l’idea che “l’accertamento venga realizzato nella fase iniziale del contratto e che la dinamica del rapporto, contrastante con la qualificazione data e da prendere in considerazione, sia quella successiva alla certificazione stessa”51.
49 In tal senso X. XXXXXXXX, La certificazione dei rapporti di lavoro nella legge delega sul mercato del lavoro, cit., 291; ID., L’impugnazione giurisdizionale della certificazione, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX (a cura di), Tipologie contrattuali a progetto e occasionali. Certificazione dei rapporti di lavoro, cit., 202 s.
50 X. XXXXXXXX, L’impugnazione giurisdizionale della certificazione, cit., 203. M.G. XXXXXXXX, La certificazione dei rapporti di lavoro, cit., 428, ritiene, invece, che il riferimento al carattere effettivo che deve caratterizzare l’attività di assistenza e consulenza di cui parla la norma consenta di escludere la certificazione in corso di svolgimento del rapporto, poiché “se fosse, invece, consentito chiedere la certificazione di un contratto già stipulato questa attività non avrebbe senso, né tanto meno potrebbe essere effettiva”.
00 X. XXXXXXXX, Xx certificazione dei rapporti di lavoro nella legge delega sul mercato del lavoro, loc. cit.; ID., L’impugnazione giurisdizionale della certificazione, cit, 203.
In favore di tale soluzione militerebbe anche un argomento di carattere sistematico, e cioè che se la certificazione potesse intervenire nel corso del rapporto, gli organi abilitati alla certificazione dovrebbero poter disporre di poteri istruttori per stabilire quale sia stata la condotta effettiva delle parti (come ad esempio interrogare le parti, escutere testimonianze, acquisire documentazione ecc.), mentre nessuna disposizione della l. 30 o del d. lgs 276 attribuisce loro simili poteri52.
A parte la previsione dell’art. 84 del d. lgs. 276/2003 relativo all’appalto che contempla espressamente un’ipotesi di certificazione che interviene successivamente all’inizio dell’attuazione del rapporto53, altra parte della dottrina ha sostenuto che la certificazione possa adattarsi anche alla soluzione dei conflitti qualificatori incentrati sulle modalità di svolgimento del rapporto54.
In tal senso, nessuna preclusione verrebbe dalla legge delega, il cui art. 5 afferma che le parti richiedono la qualificazione del contratto di lavoro, con la precisazione “che non si tratta del documento contrattuale sottoscritto dalle parti, ma del contratto effettivamente instaurato dalle stesse”; né si potrebbe argomentare che alle parti sarebbe poi preclusa la possibilità di richiedere la riqualificazione giudiziale del rapporto già realizzato per il fatto che la disciplina sulla certificazione richiama il ricorso in giudizio per la sola difformità tra il contratto certificato ed il comportamento successivo alla certificazione, potendo ben rientrare il caso considerato nell’altra ipotesi del ricorso per erronea qualificazione del programma negoziale (artt. 5, 1° co. lett. e e 80, 1° co., d. lgs. 276/2003)55.
52 M.G. XXXXXXXX, La certificazione dei rapporti di lavoro, loc. cit. (ma v., per una diversa e non condivisibile argomentazione, ID., La legge delega sul mercato del lavoro: prime osservazioni, cit., 378, secondo cui “se nel procedimento di certificazione si potesse esaminare lo svolgimento del rapporto, non di certificazione si tratterebbe ma di arbitrato e l’istituto non avrebbe la funzione preventiva delle controversie che la legge gli attribuisce, ma sarebbe uno strumento per la soluzione delle stesse alternative al processo; il che contrasta con quanto altrove da noi sostenuto, e cioè che a fare della certificazione uno strumento di risoluzione alternativa al processo non è tanto la sua funzione di prevenire le controversie qualificatorie, quanto di essere estranea all’esercizio della potestà giurisdizionale dello Stato: v. supra Cap. I, § 2). Per un’argomentazione analoga a quella riportata nel testo v. X. XXXXXXXX, L’interpretazione e la certificazione tra autonomia e subordinazione, in Riv. giur. lav., 2004, I, 554.
53 Per quanto detto, infatti, l’oggetto della procedura di certificazione disciplinata dall’art. 84 non è dato dalla distinzione a fini qualificatori tra appalto e somministrazione bensì dalla distinzione tra appalti leciti e illeciti: v. supra Cap. I, § 7.
54 X. XXXXXX, Il nuovo istituto della “certificazione” dei contratti di lavoro, cit., 118; ID.,
Certificazione dei contratti di lavoro, cit., 886 s.
55 X. XXXXXX, Il nuovo istituto della “certificazione” dei contratti di lavoro, loc. cit.; ID.,
Certificazione dei contratti di lavoro, cit., 886 e nota 61 secondo il quale è fuori discussione la
A ciò si è replicato che una simile soluzione andrebbe esclusa, in primo luogo, perché nel caso considerato il certificatore non effettuerebbe un’erronea valutazione della volontà delle parti ma prenderebbe atto della concreta dinamica del rapporto contrattuale; in secondo luogo, il ricorso per erronea qualificazione non sarebbe prospettabile dal momento che, nell’ipotesi di certificazione per così dire “successiva”, questa non avrebbe avuto ad oggetto il programma negoziale ma la concreta dinamica del rapporto già svolto56.
A nostro avviso tuttavia non sussistono argomenti insuperabili, né di ordine letterale né di ordine sistematico, in forza dei quali escludere il ricorso alla certificazione per qualificare un rapporto già in corso di svolgimento.
Sotto il primo profilo, non è infatti possibile ravvisare, in nessuna norma della legge delega o del relativo decreto di attuazione, delle indicazioni chiare ed univoche da cui ricavare che la certificazione debba limitarsi a registrare la qualificazione del rapporto di lavoro nel suo momento di costituzione iniziale. Ed infatti proprio quella dottrina che ritiene di poter ricavare tali indicazioni dalle previsioni della l. 30 e del d. lgs. 276/2003 è costretta alla fine ad ammettere che “è la mancanza di una disposizione che espressamente preveda qualsiasi limite preclusivo che consente di affermare che la certificazione potrà essere effettuata anche in una fase successiva all’instaurazione del rapporto”.
Sotto il secondo profilo, è la normativa di implementazione del d. lgs. 276/2003 che assegna alle commissioni costituite presso le Dpl sia il potere di acquisire documentazione integrativa di quella già presentata dalle parti, sia il potere di assumere informazioni rilevanti ai fini dell’emanazione dell’atto di certificazione attraverso la audizione delle parti stesse (artt. 3 e 5 d.m. 21 luglio 2004).
Del resto in ogni procedimento amministrativo è prevista una fase istruttoria al termine della quale l’amministrazione, una volta ponderati gli interessi in gioco, perviene alla deliberazione finale. A tal fine l’istruttoria è
possibilità di certificare un accordo novativo di un precedente contratto, come del resto sostiene anche M.G. XXXXXXXX, La certificazione dei rapporti di lavoro, loc. cit.
00 X. XXXXXXXX, Xx certificazione dei rapporti di lavoro nella legge delega sul mercato del lavoro, cit., 292., su cui la contro-replica di in X. XXXXXX, Certificazione dei contratti di lavoro, cit., 887, il quale osserva, riguardo al primo rilievo, che si incorre nell’errore dogmatico di ritenere che il giudice “registri” la qualificazione adottata dalle parti, quando in realtà spetta proprio al giudice determinare le conseguenza giuridiche del comportamento delle parti; quanto al secondo rilievo, se ne denuncia la estrema debolezza in considerazione del fatto che l’analisi del comportamento attuativo delle parti è sempre strumentale alla ricostruzione dell’effettivo programma negoziale delle parti, secondo quanto previsto dall’art. 1362, 2° co. c.c. Ma vedi ancora le ulteriori critiche di Speziale in ID., L’impugnazione giurisdizionale della certificazione, cit, 204.
indirizzata, da un lato, al conseguimento di un’adeguata informazione storica e valutativa (la c.d. verificazione dei fatti) che si esplica, tra l’altro, proprio acquisendo i reperti documentali esibiti dalle parti o dai terzi; dall’altro lato, all’acquisizione degli interessi coinvolti, che scaturisce dalla elaborazione dei fatti compiuta dagli interessati (ad esempio, attraverso memorie, chiarimenti, scritti illustrativi, opposizioni, reclami e anche audizioni) e la quale si esplica attraverso l’intervento degli interessati nel procedimento amministrativo57.
In base a quanto detto, ed almeno per quanto riguarda le Dpl, non pare che sussistano impedimenti ad ammettere che la certificazione possa riguardare anche un momento successivo alla fase iniziale di costituzione del rapporto di lavoro, benché dai primi dati a disposizione risulti il contrario.
2.4. Sul valore discretivo delle “linee guida” ministeriali per la certificazione e sulla attività valutativa e decisionale delle commissioni
Secondo quanto previsto dall’art. 78, 5° co. del d. lgs. 276/2003 l’attività delle commissioni di certificazione si basa su “appositi moduli e formulari per la certificazione del contratto o del relativo programma negoziale – definiti con decreto del Ministro del Lavoro – “che tengano conto degli orientamenti giurisprudenziali prevalenti in materia di qualificazione del contratto di lavoro, come autonomo o subordinato, in relazione alle diverse tipologie di lavoro”. Con una disposizione analoga il successivo art. 84, 2° co. prevede che, sempre con d.m., si adottino “codici di buone pratiche e indici presuntivi in materia di interposizione illecita e appalto genuino, che tengano conto della rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e della assunzione del rischio tipico di impresa da parte dell’appaltatore”; e che essi recepiscano, ove esistenti, le indicazioni della contrattazione collettiva.
Tali documenti dovrebbero costituire per i certificatori un ausilio nello svolgimento nell’attività di qualificazione, fornendo un supporto tecnico che assicuri fra l’altro una maggiore uniformità delle certificazioni realizzate sull’intero territorio nazionale58. Ma si tratta di documenti che hanno una funzione meramente ricognitiva del diritto esistente (v. supra cap. I, § 6). Per
57 Cfr. X. XXXXXXXX, Il procedimento, in X. XXXXXXX (a cura di), Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo generale, Xxxxxxx, Milano, II, 2003, 1125 s.
00 X. XXXXXXXX, Xx procedura di certificazione ed i codici di buone pratiche, cit., 181.
cui, non devono ritenersi vincolanti né per gli stessi certificatori né tanto meno per il giudice in caso di ricorsi giurisdizionali avverso la certificazione59.
A maggior ragione non hanno alcun valore vincolante le linee guida per l’attività di certificazione presso le Dpl, allegate alla circolare 48 del 2004, che sono state stilate dal Ministero del lavoro nelle more dell’adozione della documentazione indicata nel d. lgs. 276/2003 e che sono poi state recepite pressoché fedelmente nei regolamenti interni delle singole commissioni.
Esse però, nell’indicare gli elementi distintivi di ciascuna delle figure di lavoro cui fanno riferimento60, non paiono tener in alcun conto gli “orientamenti giurisprudenziali in materia di qualificazione del contratto di lavoro”, e in altro non consistono se non in una schematizzazione della disciplina che regola tali figure.
Un esempio paradigmatico può trarsi dalle linee guida per la certificazione del contratto di lavoro intermittente, che dovrebbe fondarsi sul riscontro dei seguenti elementi: indicazione della durata e delle ipotesi, sia oggettive che soggettive, le quali consentono la stipulazione del contratto; luogo e modalità della disponibilità, eventualmente garantita dal lavoratore e indicazioni sul preavviso di chiamata del lavoratore; trattamento economico e normativo spettante al lavoratore e relativa indennità di disponibilità; indicazione delle forme e modalità con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere l'esecuzione della prestazione di lavoro, nonché delle modalità di rilevazione della prestazione; tempi e modalità di pagamento della retribuzione e della indennità di disponibilità; eventuali misure di sicurezza specifiche necessarie in relazione al tipo di attività dedotta in contratto. Che si riproducano in sostanza le disposizioni degli artt. 33-40 del d. lgs. 276/2003 emerge in modo palese, infine, quando si richiede al datore di lavoro il rispetto di taluni divieti, che altro non sono che quelli indicati nell’art. 34, 3° co.
Proprio quest’ultimo “criterio” la dice lunga sull’inidoneità, prima che sull’inutilità, di queste linee guida. È qui sufficiente ricordare che gli elementi che rilevano nella qualificazione del singolo contratto di lavoro intermittente vanno ricavati, come per qualsiasi altra figura contrattuale, esclusivamente dalla norma che definisce in astratto questa determinata figura, non già dalla
00 X. XXXXXXXX, op. loc. ult. cit. Nel medesimo senso, X. XXXXXX, Certificazione dei contratti di lavoro, cit., 940 nota 120; X. XXXXXXX, Sub Art. 78. Procedimento di certificazione e codici di buone pratiche, in E. GRAGNOLI, A. PERULLI (a cura di), La riforma del marcato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, cit., 839 s.
60 E cioè: lavoro a progetto; collaborazioni coordinate e continuative non ricondotte a progetto ex art. 61 del d. lgs. 276/2003; lavoro part time; lavoro intermittente; lavoro associato; contratto di inserimento.
disciplina che la regola, la cui applicazione é non il presupposto bensì l’effetto della qualificazione. Per cui, nel nostro caso, solo una volta qualificato il contratto come di lavoro intermittente si potrà verificarne il rispetto dei divieti stabiliti dal legislatore61. Tuttavia, le linee guida nulla specificano riguardo alla già tautologica nozione di contratto di lavoro intermittente, quello cioè in cui “un lavoratore si pone ad disposizione di un datore di lavoro” (art. 33) e che può essere concluso, oltre che per le prestazioni rese da determinati soggetti (art. 34, 2° co.), “per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente” (art. 34, 1° co.).
L’inidoneità e l’inutilità delle indicazioni ministeriali è ancora più evidente se si considerano le linee guida per la certificazione delle collaborazioni coordinate e continuative, sia quelle che rientrano nell’ambito di applicazione della disciplina sul lavoro a progetto sia quelle che ne sono escluse, ed anche quelle redatte per la certificazione del lavoro associato. Se può al limite essere comprensibile una situazione di stand-by nella individuazione di elementi sufficientemente discretivi per il lavoro intermittente e per le nuove figure introdotte dal legislatore del 2003, data pressoché la mancanza di pronunce giurisprudenziali in proposito62, non si capisce perché in questi casi non siano stati indicati i consolidati indici giurisprudenziali nella distinzione tra lavoro autonomo e subordinato (v. supra cap. II, § 3). Tutto è rimesso invece ad elementi privi di valore discretivo, come quello della “autonomia del collaboratore nello svolgimento dell’attività lavorativa dedotta nel contratto e funzionalizzata alla realizzazione del progetto, programma di lavoro o fase di esso” o della “adeguata professionalità del collaboratore”63.
61 In ogni caso, la commissione non potrebbe comunque rigettare l’istanza di certificazione se è vero che la certificazione non può avere ad oggetto questioni a valle della qualificazione del rapporto: v. supra Cap. II, § 4.
62 Se si escludono quelle pronunce della Cassazione che hanno affrontato la questione della qualificazione delle prestazioni di lavoro a carattere discontinuo prima della riforma del mercato del lavoro, negandone la natura subordinata in assenza della garanzia di disponibilità da parte del lavoratore: cfr. Cass. 26 febbraio 2002, n. 2842, in Mass giur. lav., 2002, 423 ss.; Cass. 4 settembre 2003, n. 12926, in Riv. it dir. lav., 2004, 295 ss.
63 Criteri non dissimili sono previsti per quanto riguarda le collaborazioni coordinate e continuative non ricondotte a progetto, e neanche per quanto riguarda il lavoro associato per il quale si chiede di verificare la “autonomia dell’associato nello svolgimento dell’attività dedotta nel contratto per la verifica della subordinazione, intesa come un vincolo più ampio rispetto al generico potere dell’associante di impartire direttive ed istruzioni al cointeressato all’impresa o all’affare”.
La situazione non sembra decisamente migliorare nell’indicazione di quei criteri che dovrebbero in teoria essere funzionali alla verifica della liceità degli appalti ex art. 84 del d. lgs. 276/2003, in cui gli indici rivelatori della sussistenza del rischio di impresa in capo all’appaltatore sarebbero da rinvenirsi nel fatto che “l’appaltatore ha già in essere un’attività imprenditoriale” o che “l’appaltatore svolge propria attività produttiva od opera per conto di diverse imprese”: ben altro, quindi, che indici utili ad una “rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e della assunzione del rischio tipico di impresa da parte dell’appaltatore”.
Dal momento che le commissioni operanti presso le Dpl hanno recepito e tradotto nei propri regolamenti interni le suddette linee guida, la loro attività sconta pertanto il limite originario dei criteri in base ai quali accolgono o respingono le istanze di certificazione.
Pare comunque interessante analizzare, per quanto possibile, il modus operandi di alcune delle commissioni costituite presso le Dpl dell’Emilia Romagna nell’applicazione dei suddetti criteri, sulla scorta di quanto emerge, in particolare, dai verbali di audizione delle parti e dalla motivazione su cui si fonda l’atto di certificazione, limitando tale analisi ai contratti di lavoro a progetto, che rappresentano il core della qualificazione certificata.
In particolare, pare interessante mettere a confronto l’operato delle commissioni presso le Dpl di Bologna e di Ferrara, che esprimono esemplarmente il diverso spirito con cui è stata “interpretata” l’attività di certificazione.
Per quanto riguarda la prima, dai verbali di audizione, che riportano fedelmente le domande rivolte alle parti e le relative risposte, risulta che l’attività di acquisizione delle informazioni rilevanti ai fini della deliberazione è stata condotta verificando essenzialmente sia l’autonomia del collaboratore nello svolgimento della prestazione dedotta in contratto, riscontrando in particolare la sussistenza del coordinamento con l’attività del committente; sia l’identificabilità del progetto indicato che la sua congruità per il raggiungimento del risultato indicato, rendendosi a tal fine necessario acquisire in alcuni casi delle informazioni aggiuntive. Inoltre l’attività conoscitivo- valutativa della commissione si è appuntata nell’indagare, coerentemente con quanto indicato nelle linee guida ministeriali, anche il possesso da parte del collaboratore di un’adeguata professionalità per lo svolgimento della prestazione dedotta in contratto.
Tuttavia, le risultanze dell’espletata audizione non emergono in modo fedele dalla motivazione espressa dalla commissione nella deliberazione finale in quanto questa è, per così dire, “standardizzata”. La commissione, cioè, quando accoglie l’istanza di certificazione di un contratto di lavoro a progetto ricorre a clausole di stile nel motivare l’atto e nello specifico afferma che: il progetto è relativo ad un’attività ben identificabile e funzionalmente collegata al risultato programmato; nella descrizione del progetto si riscontra l’autonomia del collaboratore nello svolgimento della propria attività, la quale appare finalizzata e funzionale alla realizzazione del progetto stesso; la definizione dei tempi e delle modalità di svolgimento dell’attività stessa è rimessa al collaboratore il quale possiede professionalità corrispondenti al contenuto della prestazione lavorativa dedotta nel contratto; risultano espressi chiaramente i criteri per la determinazione del compenso al collaboratore.
Viene pertanto da chiedersi se in questi casi possa dirsi realmente rispettato l’obbligo di motivazione dell’atto di certificazione secondo quanto richiede l’art. 78, 2° co., lett. c del d. lgs. 276.
Tali dubbi non paiono invece essere sollevati per quanto riguarda l’operato della commissione di certificazione presso la Dpl di Ferrara.
Ora ciò non tanto per quanto riguarda l’audizione delle parti: queste vengono sentite separatamente e ad esse sono illustrati i criteri essenziali per la certificazione del lavoro a progetto64, rispetto ai quali la commissione formula quesiti con specifico riferimento al caso di specie e verbalizza poi le dichiarazioni ed osservazioni delle parti. Ciò che appare radicalmente diverso e
– a nostro avviso – decisamente più appropriato, è il modo in cui la commissione provvede a motivare sia i provvedimenti di accoglimento che quelli di rigetto grazie alle risultanze dell’istruttoria e dell’audizione delle parti.
64 E cioè, nello specifico, si provvede ad accertare: l’autonomia del collaboratore nello svolgimento dell’attività dedotta nel contratto e funzionale alla realizzazione del progetto del programma di lavoro o di una fase di esso, con particolare riguardo al fatto che venga rimessa in capo al collaboratore stesso la definizione delle modalità e dei tempi di lavoro; l’esistenza di un progetto funzionalmente collegato ad un determinato risultato finale, o di un programma di lavoro, o fase di esso, connesso ad un risultato parziale; la durata, determinata o determinabile, del contratto, e la relativa funzionalità all’esecuzione del risultato; le modalità con cui si attua in concreto il coordinamento del collaboratore con l’organizzazione del committente; l’esistenza di un precedente rapporto di lavoro del collaboratore con lo stesso committente ed eventuale esistenza di una situazione di pluricommittenza; il possesso di una specifica professionalità da parte del collaboratore; i criteri per la determinazione del compenso del collaboratore e la sua congruità e proporzionalità rispetto alla qualità ed alla quantità del lavoro eseguito, tenendo conto dei compensi normalmente corrisposti per prestazioni analoghe nella provincia di Ferrara.
La motivazione, infatti, non si risolve in formule stereotipate o in clausole di stile bensì nella puntuale indicazione delle ragioni in base alle quali l’istanza delle parti è stata accolta o rigettata. Questo può constatarsi specialmente nelle motivazioni dei provvedimenti di rigetto, dalle quali traspare l’esigenza che esse vengano esplicate in modo il più possibile completo ed esaustivo, e ciò probabilmente anche al fine di sottrarsi a censure di insussistenza o incompletezza delle ragioni poste alla base dell’atto di certificazione65.
In alcuni casi, peraltro, la motivazione del provvedimento di accoglimento dell’istanza delle parti si basa anche sulle prime pronunce giurisprudenziali in materia di lavoro a progetto66, così supplendo in parte alla mancata ricognizione, in sede ministeriale, degli orientamenti giurisprudenziali prevalenti in materia di qualificazione dei contratti di lavoro ex art. 78, 5° co., d. lgs. 276/2003.
65 Un caso esemplare è rappresentato dal provvedimento in cui la commissione ha rigettato l’istanza di certificazione di un contratto di lavoro a progetto avente ad oggetto l’aumento del portafoglio clienti di una compagnia assicurativa mediante lo svolgimento, da parte della presunta collaboratrice, di un’attività di promozione pubblicitaria. Dall’esame della documentazione e dall’audizione delle parti la commissione ha ritenuto che il contratto stipulato non potesse essere certificato come contratto a progetto sia per la riscontrata mancanza di autonomia decisionale in capo alla collaboratrice, sia per la impossibilità nel caso di specie di individuare concretamente il progetto, oltre ad essere stata riscontrata anche la mancanza della necessaria professionalità da parte della collaboratrice medesima.
66 Si allude al provvedimento con cui la commissione ha certificato un contratto di lavoro a progetto, richiamandosi a quanto affermato da Tribunale di Ravenna e cioè che la specificità del risultato atteso e le modalità di implementazione dell’attività progettuale, insieme alla elevata professionalità del collaboratore e della delimitazione temporale dell’attività, costituiscono elementi peculiari del lavoro a progetto e ne evidenziano i caratteri di innovatività e creatività che sono propri di tale figura: cfr. Trib. Ravenna 24 novembre 2005, in Lav. giur., 2006, 273 ss.
CAPITOLO QUARTO CERTIFICAZIONE E TECNICHE DI TUTELA
Sommario: 1. Efficacia della certificazione ed autotutela delle autorità amministrative 2. La tutela giurisdizionale nel d. lgs. 276/2003 - 2.1. L’impugnazione per erronea qualificazione del contratto - 2.2. L’impugnazione per difformità tra il programma negoziale certificato e la successiva attuazione - 2.2.1. Possibili situazioni di difformità tra programma negoziale certificato e la successiva attuazione: la simulazione - 2.2.2. Segue: la novazione oggettiva - 2.3. L’impugnazione per i vizi del consenso: in particolare sull’errore di diritto indotto dall’erronea qualificazione - 2.4. L’impugnazione per eccesso di potere o per i vizi del procedimento - 3. Sulla plausibilità dei ricorsi amministrativi verso l’atto di certificazione
1. Efficacia della certificazione ed autotutela delle autorità amministrative
Come si è già avuto modo di precisare1, l’efficacia della certificazione si dispiega nei limiti indicati dall’art. 79 del d. lgs. 276/2003: questo stabilisce che gli effetti prodotti dall’atto di certificazione “permangono, anche verso i terzi, fino al momento in cui sia stato accolto con sentenza di merito” uno dei ricorsi esperibili davanti al giudice ordinario o amministrativo ai sensi del successivo art. 80 (v. infra §§ seguenti), e “fatti salvi i provvedimenti cautelari”.
Sul punto viene fatta doverosamente chiarezza rispetto alla sibillina formulazione dell’art. 5, 1° co. lett. f della l. 30/20032, anche se nel delimitare l’efficacia della certificazione non ci si è spinti fino a richiedere, come pure sarebbe stato possibile, l’accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato3. Peraltro il riferimento alla sentenza di merito va inteso non in senso
1 V. supra Cap. II, § 5.
2 Secondo cui, si ricordi, “gli effetti dell’accertamento […] permangono fino al momento in cui venga provata – rectius: accertata – l’erronea qualificazione del programma negoziale o la difformità tra il programma negoziale concordato dalle parti in sede di certificazione e il programma attuato”.
3 In tal senso L. NOGLER, Il nuovo istituto della “certificazione” dei contratti di lavoro, cit., 116, per il quale residua comunque qualche dubbio sulla conformità dell’art. 79 alle previsioni della