CONTRATTO E ATTRIBUTI IMMATERIALI DELLA PERSONA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO
Scuola di Dottorato in Scienze Giuridiche Dipartimento di Diritto Privato e Storia del Diritto Curriculum di Diritto Civile – XXVIII ciclo
CONTRATTO E ATTRIBUTI IMMATERIALI DELLA PERSONA
IUS 01
Xxxxxx Xxxxxxx
Tutor:
Xxxxx.xx Prof.ssa Xxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxx
Coordinatore del dottorato:
Xxxxx.xx Prof.ssa Xxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxx
A.A. 2015/2016
Indice
Introduzione 4
Capitolo I
L'ammissibilità dei contratti aventi ad oggetto gli attributi immateriali della persona
1. L'impossibilità giuridica dell'oggetto del contratto: indisponibilità e logiche di appartenenza 6
2. La patrimonialità del rapporto contrattuale 17
3. La liceità del rapporto contrattuale. 27
4. (segue) La commercializzazione degli attributi immateriali della persona 33
5. Vincolo contrattuale e coartazione della persona 44
5.1. Contenuto e ratio dell'obiezione fondata sulla libertà di sviluppo della personalità 44
5.2. Rapporto tra contratto e assenza di vincolo 47
5.3. Fondatezza della tesi che esclude il vincolo 51
Capitolo II
Le fattispecie
1. Le fattispecie concrete 58
2. L'oggetto del contratto 71
2.1 Le prestazioni 71
2.2 I diritti della personalità 78
3. I requisiti del consenso. 85
3.1 Il consenso espresso 86
3.2 Il consenso libero 92
3.3 Il consenso informato (rinvio) 102
Capitolo III
La disciplina
1. Oggetto e interpretazione del contratto. 104
1.1 Il consenso specifico: requisito asimmetrico 106
1.2 La specificità del consenso 107
1.3 L'interpretazione 112
2. Effetti del contratto. 116
2.1 La circolazione degli attributi immateriali della persona 117
2.2 L'opponibilità ai terzi 121
3. La revoca del consenso e le sue conseguenze 125
3.1 Il recesso con funzione determinativa 126
3.2 La revoca del consenso: i presupposti 127
3.3 (segue) La revoca del consenso: le conseguenze 132
4. L'invalidità del consenso al trattamento. 139
Bibliografia 149
Introduzione
Si è efficacemente evidenziato come, parlandosi di contratto e diritti della personalità, si possa fare riferimento a problemi diversi. Una prima questione evocata è quella relativa alla garanzia costituzionale dell'autonomia privata. In secondo luogo, può essere richiamato il problema della tutela della persona nell'ambito dei rapporti contrattuali. Infine, si può fare riferimento ai “diritti della personalità come riferimento oggettivo del contratto”1. È quest'ultima l'accezione in cui il presente lavoro prende in considerazione il rapporto tra il contratto e i diritti della personalità, restringendo il campo dell'indagine agli attributi immateriali della persona fisica (con esclusione, pertanto, dei diritti sul corpo e dei diritti della personalità delle persone giuridiche).
Il tema affrontato riguarda dunque la deduzione in contratto degli attributi immateriali della persona, intesi quali oggetto di “disposizione”. Le fattispecie tramite le quali si realizza lo sfruttamento dei diritti della personalità sono numerose ed eterogenee, oltre che prevalentemente atipiche: dagli accordi di merchandinsing e sponsorizzazione alla scritturazione artistica, dai contratti di partecipazione a programmi televisivi agli accordi tramite i quali si autorizza il trattamento dei dati personali.
La prima questione affrontata riguarda l'ammissibilità stessa di tali contratti. Come noto, è tradizionale l'affermazione della indisponibilità dei diritti della personalità, la quale ne impedirebbe la “disposizione” tramite atti di autonomia. È dunque innanzitutto necessario analizzare il concetto dell'indisponibilità – la quale non sempre assume un significato suo proprio, ma talvolta rimanda ad altre categorie, quale quella, ad esempio, della non patrimonialità dei diritti in questione – al fine di valutare la fondatezza della tesi tradizionale. In realtà, una volta destrutturato il significato dell'indisponibilità, non paiono residuare seri impedimenti alla deduzione in contratto degli attributi immateriali della persona, salvo costruire una disciplina di tali negozi idonea a tutelare adeguatamente gli interessi della persona.
Una volta riconosciuta la deducibilità in contratto dei diritti della personalità, si tratta di esaminare le fattispecie concrete coinvolte e verificare quale sia effettivamente l'oggetto della “disposizione”.
Infine, si tratterà di esaminare la disciplina che regola gli accordi in questione, senza trascurare l'eterogeneità delle varie tipologie contrattuali coinvolte. La dottrina che ammette la
1 Così X. XXXXX, Contratto e persona, in X. XXXXX, Xxxxxxxx xxx xxxxxxxxx, XX, Xxxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 3 ss.
contrattualizzazione dei diritti della personalità è concorde nel sottoporre tali contratti a una disciplina che consenta alla persona di mantenere un maggiore controllo sui propri attributi immateriali. Questa esigenza si manifesta, in particolare, nel circoscrivere l'oggetto del contratto e nel consentire alla persona di liberarsi dal vincolo contrattuale in talune ipotesi qualificate. Nel disegnare una disciplina per i contratti che hanno ad oggetto gli attributi immateriali della persona, sembra tuttavia necessario valutare l'impatto della normativa in materia di dati personali. Tale normativa – anche se pensata prevalentemente, in realtà, per lo sfruttamento in massa dei dati personali – ha un notevole impatto sulla nostra materia, in quanto, data l'ampia definizione di “dato personale” e di “trattamento”, parrebbe applicarsi anche alle altre ipotesi di deduzione in contratto degli attributi immateriali della persona.
L'indagine si concentra, allora, sull'esame di tale disciplina e delle sue conseguenze, con specifico riferimento alle questioni della determinazione e interpretazione del contenuto dell'accordo, della revoca del consenso e degli effetti del contratto. Una particolare attenzione è dedicata al rapporto, sinora relativamente poco studiato, tra i requisiti di validità del consenso al trattamento dei dati e la validità del contratto nel cui ambito gli attributi immateriali della persona sono oggetto di disposizione.
CAPITOLO I
L'ammissibilità dei contratti aventi ad oggetto gli attributi immateriali della persona
1. Sull'impossibilità giuridica dell'oggetto del contratto: indisponibilità e logiche di appartenenza
I diritti della personalità sono diritti indisponibili e, pertanto, il consenso del relativo titolare al loro utilizzo non può avere natura contrattuale. Questa è la principale obiezione sollevata contro l'ingresso del contratto nell'ambito dei diritti della personalità.
Occorre chiarire il significato del termine “indisponibilità”.
In primo luogo, l'indisponibilità di un dato diritto può essere una mera conseguenza di altri attributi ad esso ascritti: se si ritiene che la disposizione di tale diritto tramite contratto dia luogo ad un rapporto giuridico di natura non patrimoniale o sia, in ogni caso, illecita, si dirà che il diritto è indisponibile. In tale ottica, è chiaro come l'affermazione secondo cui non è possibile disporre tramite contratto dei diritti della personalità in quanto trattasi di diritti indisponibili sia tautologica. La categoria dell'indisponibilità deve essere riempita da altri concetti, come infatti si è premurata di fare la dottrina contraria alla contrattualizzazione degli atti aventi ad oggetto i diritti della personalità. L'indisponibilità viene dunque giustificata e motivata, come si vedrà più avanti, dalla non patrimonialità della prestazione o del diritto scambiati e dall'illiceità dei negozi in questione: l'indisponibilità è una mera conseguenza di tali attributi. Questi ultimi, se effettivamente ravvisabili, sono in realtà già di per sé sufficienti ad escludere la natura di contratto degli atti aventi ad oggetto i diritti della personalità, senza che sia necessario a tal fine utilizzare la categoria della indisponibilità; questa viene tuttavia costantemente richiamata. Tale richiamo, seppur privo di una reale portata pratica, assume tuttavia importanza in quando rivelatore delle logiche (di appartenenza) che stanno alla base della costruzione della categoria dei diritti immateriali della personalità, come nel prosieguo meglio precisato.
In una diversa ottica, il termine “indisponibilità” può invece assumere un significato suo proprio e, in tal senso, la qualificazione di un diritto quale “indisponibile” è idonea a determinare direttamente l'impossibilità di disporre di tale diritto tramite contratto, senza necessità di ricorrere ad altre attributi. Dire che un diritto è indisponibile di per sé significa che tale diritto “non è oggetto idoneo di disposizione, o perché strettamente inerente per sua natura alla persona del
titolare, o perché una norma di legge lo dichiara intrasmissibile”2. Sotto il secondo profilo, si deve osservare che tale divieto sussiste espressamente solo con riguardo ai diritti sul corpo (art. 5 c.c.), e non, invece, con riguardo agli attributi immateriali della persona3. Il carattere di indisponibilità di questi ultimi è invece ravvisato nella loro stretta inerenza alla persona, con conseguente impossibilità di configurare un oggetto del diritto separato dal suo soggetto, come meglio spiegato più avanti. In tal senso, l'indisponibilità dei diritti della personalità dà luogo ad un'impossibilità giuridica dell'oggetto di un eventuale contratto in materia4.
Com'è noto, la nozione di disposizione comprende “ogni atto giuridico che importi diminuzione del patrimonio – inteso questo come il complesso delle posizioni giuridiche attive facenti capo ad un soggetto – ossia importi perdita, limitazione o destinazione mortis causa di diritti patrimoniali”5. Il potere di disposizione, pur riferendosi a qualunque situazione soggettiva attiva, assume principale rilevanza nell'ambito dei diritti reali, in cui la facoltà di disposizione si traduce, principalmente, nella facoltà di trasferire il diritto.
L'utilizzo del termine “indisponibilità” con riferimento ai diritti della personalità evoca non a caso la disciplina dei diritti reali e, particolare, quella del diritto di proprietà: l'accostamento tra diritti della persona e modello dominicale è storico. La matrice culturale di tale impostazione risiede nelle teorie giusnaturalistiche inglesi del settecento, le quali, in un'ottica di garanzia della persona contro il potere sovrano, legarono indissolubilmente la nozione di libertà a quella di appartenenza di una sfera personale in cui nessuno – in primo luogo lo Stato – poteva ingerirsi. Presupposto per la titolarità, prima ancora che per l'esercizio, dei diritti di libertà era
2 Così CHIOVENDA come riportato da X. XXXXXXXXX, L'atto di disposizione e il trasferimento dei diritti, ora in Diritto civile. Metodo-Teoria-Pratica. Saggi, Milano, 1951, 13. Si tralascia qui la nozione di indisponibilità cd. soggettiva, basata, cioè, sulla carenza o limitazione della capacità di agire, della legittimazione o del potere di disposizione. A tal proposito si veda X. XXXXXXXXX - X. XXXXX, voce Indisponibilità, in Enc. Dir., Agg., III, Milano, 1999, 685 ss., 686-689.
3 Sulla necessità di differenziare il discorso sui diritti sul corpo rispetto a quello sugli attributi immateriali della personalità si vedano le riflessioni svolte da G. RESTA, Autonomia privata e diritti della personalità, Napoli, 2005, 4-8; ID., La disponibilità dei diritti fondamentali e i limiti alla dignità (note a margine della Carta dei Diritti), in Riv. dir. civ., 2002, II, 808.
4 In tal senso, cfr. X. XXXXXXXXX - X. XXXXX, voce Indisponibilità, cit., 688 s., il quale afferma che in caso di “indisponibilità oggettiva 'totale'”, come quella riguardante i diritti attinenti alla persona, “il negozio compiuto in violazione del limite posto dalla legge al contenuto del diritto è affetto da nullità assoluta per impossibilità dell'oggetto”.
5 Così X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, rist. 2ª ed., Napoli, 1994, 292. Cfr. X. XXXXXXX - X. XXXXXXXXX, voce Disposizione: I) Atto di disposizione, in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 189-192, secondo cui i negozi di disposizione sono solo quelli “immediatamente traslativi (o costitutivi), cioè i contratti con efficacia reale nel senso dell'art. 1376 e in contratti traslativi (o costitutivi) reali”. Sulla nozione di indisponibilità, riferita in particolare ai diritti della persona, si veda X. XXXXXXX, L'indisponibilità dei diritti: analisi di una categoria, Torino, 2008, 29 ss.
l'affermazione di un diritto di proprietà sulla propria persona6.
Tale accostamento tra persona e proprietà, portato avanti in Italia sulla scorta, oltre che dell'influsso delle teorie giusnaturalistiche, anche (e soprattutto) della impostazione francese che tradizionalmente configurava i diritti della personalità quali diritti assoluti di carattere dominicale7, venne successivamente superato con l'affermarsi di una nozione tecnica di proprietà e con l'emersione della categoria, di importazione tedesca, dei diritti della personalità. Il modello dominicale dello ius in se ipsum venne così sostituito da quello del diritto soggettivo della personalità8.
Il passaggio da un modello all'altro, tuttavia, non determinò un abbandono dell'applicazione di logiche proprietarie, in quanto i diritti della personalità furono modellati sulla base dei diritti reali e, in particolare, sul diritto di proprietà, il quale continuava ad offrire maggiori garanzie contro le interferenze esterne9. Da questo i diritti della personalità mutuarono infatti alcune fondamentali
6 Sulla matrice liberale e giusnaturalistica dell'esaltazione del ruolo della proprietà in ambito di diritti della persona cfr. G.B. XXXXX, Persona e privacy, ora in ID. Persona e formalismo giuridico, Rimini, 1985, p. 253 s. e 262 s.; G. RESTA, Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 76 ss. (ed ivi, in particolare, nota 120), il quale sottolinea come nell'ordinamento tedesco non potè affermarsi lo schema proprietario a causa della prevalenza di una nozione tecnico-giuridica di proprietà più ristretta rispetto nozione più ampia, di matrice giusnaturalistica, emersa all'interno della sub-tradizione politico-filosofica. Si vedano anche le considerazioni svolte da X. XXXXXXXXXX, voce Personalità (diritti della), in Enc. dir., XXIII, Milano, 1983, 357 ss., il quale individua alla base della dominanza dello modello proprietario, oltre che le concezioni giusnaturalistiche, anche quelle della Interessenjurisprudenz. In tema si veda anche X. XXXXXXX, Proprietà e libertà, in Riv. crit. dir. priv., 1988, 428 s.
7 A tale proposito si veda X. XXXXX, Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 33 ss. Tale impostazione venne in Italia messa in discussione in particolare con l'opera di X. XXXX, I diritti sulla propria persona nella scienza e nella filosofia del diritto, Torino, 1901.
8 Per una ricostruzione della riflessione italiana in materia, si veda X. XXXXXXXXXXXX, Il diritto all'utilizzazione del nome e dell'immagine delle persone celebri, in Dir. inf., 1988, 20 ss.
9 Cfr. X. XXXXXXXXXX, voce Personalità (diritti della), cit., 356 s., che mette in luce come, nel campo dei diritti della personalità, “il modello proprietario, attraverso il concetto di diritto soggettivo, [sia diventato] lo schema fondamentale e unificante di tutte le possibili manifestazioni del «privato»” a causa della tendenza “a ridurre tutte le categorie privatistiche a quella dell'«avere»” e dell'”aderenza degli strumenti di tipo proprietario a talune finalità generali e caratteristiche essenziali su cui la garanzia giuridica, nell'àmbito privatistico, trova il suo fondamento razionale e pratico. Prima, fra queste, la reazione contro ogni forma di invasione della sfera individuale”. Difatti, prosegue l'Autore, “[u]tilizzando la distinzione, familiare ai giuristi moderni, tra proprietà formale e proprietà sostanziale, nell'àmbito della quale mentre il secondo termine appare legato al contenuto reale ed effettivo della situazione di interesse, il primo invece esprime il valore ideale e generico insito nel riconoscimento di ogni relazione di appartenenza, si capisce come, viste nella loro accezione formale, le tecniche della tutela proprietaria si dimostrino capaci di un'astratta generalizzazione: sia in funzione del carattere assoluto (erga omnes) della tutela da assicurare, sia per la complessità e varietà dei mezzi di reazione che esse consentono contro le offese arrecate all'interesse protetto. Visto nel suo lato esterno e formale, quello dell'esclusività è un valore neutro rispetto alle situazioni sostanziali protette. In sintesi: una relazione di appartenenza, idealmente e genericamente considerata, cioè prescindendo da ogni contenuto reale e specifico, si manifesta in funzione della garanzia di una sfera individuale. L'assolutezza è la forma giuridica di tale garanzia. In questo senso, la proprietà, che nel suo aspetto esteriore non solo si traduce in una relazione di appartenenza, ma che tra tutti i possibili schemi in cui una simile relazione si può manifestare rappresenta certamente lo schema tipico per eccellenza, contiene in sé i caratteri formali comuni alla tutela di una sfera individuale. Fatto, questo, che si spiega, in sede
caratteristiche, come quelle dell'assolutezza e dell'imprescrittibilità.
Oltre a tali caratteristiche tecniche, i diritti della personalità condividono con i diritti reali la stessa logica di base: entrambi sono manifestazione di una logica di appartenenza, nel senso che entrambe tali tecniche di tutela rappresentano un mezzo di allocazione di risorse, le quali vengono destinate ad un soggetto con esclusione degli altri10. Lo schema del diritto soggettivo presuppone infatti una relazione di appartenenza, in senso lato, tra titolare e oggetto del diritto.
Proprio l'individuazione di tale oggetto costituisce il punto critico della ricostruzione del contenuto dei diritti della personalità. Difatti, il passaggio dallo ius in se ipsum ad un diritto soggettivo modellato sullo schema proprietario non ha sopito i dibattiti circa la possibilità di configurare i vari attributi della personalità quali oggetti separati dal loro titolare e sui quali quest'ultimo esercita il proprio diritto. La dottrina contraria alla riconduzione dei diritti della personalità entro logiche di appartenenza mette in evidenza come in tale ambito non sia possibile individuare un oggetto (la persona) esterno al titolare del diritto (sempre la persona) e, conseguentemente, come sia necessario abbandonare la logica dell'”avere” e passare invece ad
tecnica, perché il concetto di diritto soggettivo si sia conformato sul modello proprietario; e perché tale modello, a sua volta, attraverso la formalizzazione del carattere dell'esclusività in quello dell'assolutezza, sia divenuto il canone metodologico comune per la configurazione concettuale della sfera «individuale»”. L'Autore contrasta tale impostazione, sostenendo invece che “il valore giuridico della persona è attuato direttamente dalla norma che lo riconosce”, senza bisogno di attribuire al soggetto alcun potere di azione (p. 3600). Coerentemente con tale impostazione, lo stesso Autore, nella voce Oggetto. I. - Oggetto dei diritti, in Enc. dir., Milano, 1979, XXIX, 826, afferma che “la 'non disponibilità' dell'interesse tutelato ben poco ha in comune con il corrispondente fenomeno riguardante i diritti sui beni. Non siamo di fronte, infatti, ad una limitazione che concerne la scelta di un particolare meccanismo di utilizzabilità del 'potere', ma ad un fenomeno che tocca l'intero sistema giuridico di cui la 'soggettività' esprime un valore essenziale. Tutto ciò, in ultima analisi, vuol dire che ciò non è 'indisponibile' è lo stesso sistema giuridico in una delle sue espressioni caratterizzanti”. Per una critica del modello proprietario quale “prototipo” del diritto soggettivo, cfr. X. XXXXXXXX, Disciplina dei beni e situazioni della persona, in Quad. xxxxxxxxxx, 1976/77, t. II, 866 ss.
10 Così G. RESTA, Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 118, il quale, in un'ottica storico-comparatistica, sottolinea come droit de propriété e Persönlichkeitsrecht siano “concetti in larga parte fungibili”, mentre “[i]l vero elemento di discrimine è costituito dal diverso regime di circolazione: nella sua applicazione più coerente lo schema proprietario presuppone l'alienabilità della relativa posizione d'interesse; i diritti della personalità, per contro, si definiscono come categoria unitaria proprio in ragione dell'assunto dell'inalienabilità”. Si vedano anche
G.B. FERRI, Persona e privacy, cit., 279 ss., laddove chiarisce il significato del rapporto tra logiche di appartenenza e diritti della personalità specificando che, in tale ambito, lo schema dell'appartenenza – o, meglio, dell'autoappartenenza – non è “riducibile a quello dei diritti reali, ma [è] pur sempre sussumibile a quello dei diritti assoluti”; ID., Privacy, libertà di stampa e dintorni, in X. XXXXXXX - X. XXXXXXXX - X. XXXX-XXXXXXXXX (a cura di) Trattamento dei dati e tutela della persona, Milano, 1998, 51-53, che, con riferimento al passaggio dallo schema libertà-proprietà a quello libertà-personalità, mette in luce che “ogni forma di tutela che attiene ad aspetti fondamentali della persona […] si manifesta sempre nell'attribuzione al singolo, in quanto tale, del valore tutelato”. Più in generale sul tema cfr. X. XXXXXXXXXX, Attribuzioni normative e mercato nella teoria dei beni giuridici, in Quadrimestre, 1987, 672 ss., il quale rileva che “[l]a regola di libertà è produttiva di una reificazione dell'uomo che consente a questi di cedere come «cosa», attraverso il contratto, le proprie energie, le proprie capacità, il proprio potere creativo, la propria attitudine al comando, senza formalmente alienare sé stesso come uomo”.
una logica dell'”essere”11. In questo senso la nozione di indisponibilità assume un significato suo proprio, nel senso di impossibilità di trasferire un oggetto separato dal soggetto12. In questa prospettiva, l'indisponibilità sembra dunque tradursi nell'impossibilità giuridica dell'oggetto di un eventuale contratto volto a disciplinare la circolazione degli attributi della persona.
Proprio tale impossibilità costituisce, secondo alcuni, un ostacolo all'ingresso del contratto nell'ambito dei diritti della personalità. Posto che non è possibile trasferire il diritto, il suo titolare non potrà disporne ma unicamente consentire una ingerenza nella propria sfera personale determinando in tal modo la liceità di tale interferenza. Tale manifestazione di volontà è tradizionalmente ricondotta al consenso dell'avente diritto, inteso come rimozione del dovere generale di astensione e pertanto come scriminante di un comportamento (del terzo) altrimenti illecito13. Si discute sulla natura negoziale o meno di tale consenso, ma pare certo che, qualunque
11 In tal senso X. XXXXXXXXXXX, La tutela giuridica della persona umana e il c.d. diritto alla riservatezza, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1958, 467, il quale, con riferimento all'oggetto dei diritti della personalità, mette in luce la “duplice rilevanza formale dello stesso elemento, in relazione al diverso angolo visuale dal quale volta a volta può procedere l'analisi: a parte subiecti, a parte obiecti”, senza necessità di individuare un'utilità esterna alla persona quale oggetto di tutela. Aderiscono a tale impostazione X. XXXXXXXXXX, La tutela civile della vita privata, Milano, 1972, 78 s.; G.B. XXXXX, Oggetto del diritto della personalità e danno non patrimoniale, ora in ID., Persona e formalismo giuridico, cit., 348 s. Per una ricostruzione delle varie posizioni, cfr. X. XXXXXXXX, voce Personalità (diritti della), in Enc. giur. Treccani, XXVI, 2; X. XXXXXXX XXXXX XXXXX, voce Prestazione (negoziabilità della), in Enc. giur. Treccani, XXVII, 8. Un'ampia ed articolata critica all'applicazione del modello proprietario ai diritti della personalità viene svolta da X. XXXXXXXXXX, voce Personalità (diritti della), cit., passim, il quale sostiene che, rappresentando il valore giuridico della persona un principio generale dell'ordinamento, si deve ravvisare solo un dovere generale di astensione e non, invece, un potere di azione. Sulla necessità di abbandonare lo schema proprietario cfr. O.T. XXXXXXXXXX, I beni e le forme giuridiche di appartenenza, Milano, 1982, 543 ss.; X. XXXXXXXXX, voce Autonomia privata e diritti della personalità, in Enc. dir. Xxxxxx XX, Milano, 2011, 135-137 e i riferimenti ivi contenuti.
12 Cfr. A. XXXXXXXXX, voce Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 136, che, infatti, partendo dalla constatata impossibilità di separare soggetto ed oggetto con riferimento ai diritti della personalità, afferma che “[l]'idea del potere di disposizione, in quanto mutuato tout court dall'ambito dei diritti reali, suggerisce invece una facoltà di separazione dell'oggetto del diritto dal soggetto che ne è titolare (semanticamente dis-porre indica porre qualcosa, dal compendio in cui si trova, in un altro compendio), la quale sembra incompatibile già sul piano logico col concetto dei diritti della persona”. Per una critica a tale impostazione si veda, ad es., X. XXXX- ZENCOVICH, voce Personalità (diritti della), in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, 1995, vol. XIII, 437 s., il quale, in assenza di dati normativi che dispongano l'indisponibilità degli attributi immateriali della persona, sottolinea come “gli imperativi della indisponibilità e della intrasmissibilità si fondino essenzialmente su valutazioni fattuali in ordine alla natura ed al modo di estrinsecarsi del diritto, piuttosto che su precetti normativi, e che dunque il mutamento della realtà fattuale non può non incidere anche sulle conseguenze giuridiche”. Per un breve riepilogo delle posizioni assunte in merito all'oggetto dei diritti della personalità, cfr. X. XXXXXXXXXX, voce Personalità (diritti della), in Noviss. Dig. It., Torino, 1965, vol. XII, 1083-1084.
13 Così DE CUPIS, I diritti della personalità, in Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da X. Xxxx - X. Xxxxxxxx e continuato da X. Xxxxxxx, 2ª ed., Milano, 1982, 93-96, secondo cui l'indisponibilità deriva dalla impossibilità di tali diritti di mutare soggetto, “per la natura del proprio oggetto” (p. 91). Nello stesso senso X. XXXXXXX, Diritto civile e commerciale, Padova, 2004, vol. I, 181, il quale giustifica l'indisponibilità sostenendo che, in ambito di diritti della persona, l'oggetto di un eventuale contratto sarebbe giuridicamente impossibile; tale impossibilità parrebbe derivare dalla non patrimonialità di tali diritti (si veda infra, cap. I, par 2). Cfr. anche X. XXXXX, Il consenso dell'interessato al trattamento dei dati personali, in Riv. dir. civ., 1999, 466 s.
risposta sia data a tale quesito, la manifestazione di volontà se intesa come consenso dell'avente diritto non può essere inserita in un contratto vero e proprio ma resta un atto unilaterale.
Per uscire da tale impasse, una parte della dottrina ha concentrato i propri sforzi sul tentativo di enucleare un qualche oggetto separabile dalla persona, di cui quest'ultima possa dunque disporre, e ha individuato in tale ragionamento il presupposto per poter ammettere la sussistenza di un vero e proprio contratto in ambito di diritti della personalità. A tal fine si è attinto alla teoria dei beni, con lo scopo di individuare alcuni beni giuridici attinenti alla persona ma esterni ad essa e di superare in tal modo l'ostacolo della coincidenza tra soggetto ed oggetto nei diritti della personalità.
Tale operazione è stata invero preceduta e facilitata dalla nozione di bene immateriale emersa nella dottrina industrialista14. Come noto, la nozione di bene immateriale così come elaborata dalla dottrina ricomprende quelle entità incorporali dotate dei requisiti di creatività e riproducibilità15; secondo tale definizione, beni immateriali per eccellenza sono le opere dell'ingegno, le invenzioni industriali e i segni distintivi. A tal proposito occorre distinguere il corpus mechanicum in cui viene materialmente realizzata l'opera dalla sua forma ideale e non ancora concretizzata in un oggetto materiale: solo quest'ultima forma ideale costituisce il bene immateriale in questione. Su tale bene il creatore dell'opera esercita, secondo la teoria maggioritaria dualista, un duplice diritto: da un lato un diritto morale alla paternità dell'opera, indisponibile, dall'altro un diritto patrimoniale al suo sfruttamento economico, disponibile.
Anche con riferimento ai diritti della personalità si è dunque tentato di individuare un qualche bene immateriale oggetto degli stessi, diverso a seconda del diritto (o del volto del diritto) di volta in volta considerato: l'immagine16, il nome17, la notorietà18 e, da ultimo, i dati personali19. Si
14 Sul tema si veda X. XXXXXXX, I diritti della personalità nel diritto industriale, Padova, 1959, in particolare 5 ss. ove l'Autore accenna accenna alla possibilità di considerare quale oggetto dei diritti della personalità dei veri e propri beni immateriali; sul rapporto e sulle interferenze tra beni immateriali e diritti della personalità cfr. F. VOLTAGGIO LUCCHESI, I beni immateriali, Milano, 1962, 235 ss. In particolare sul diritto d'autore, cfr. M.F. XXXXXXXXXX, voce Persona (diritti della), in Nuovo Dig. It., Torino, 1939, vol. IX, 918 s. Critico nei confronti della teoria dei beni immateriali è O.T. XXXXXXXXXX, I beni e le forme giuridiche di appartenenza, cit., 458 ss.
15 Così X. XXXXXXXXXX, voce Beni immateriali, in Enc. giur. Treccani, V, 1 ss. Sulla nozione di bene immateriale cfr. altresì M. ARE, voce Beni. IV. - Beni immateriali. a) Diritto privato, in Enc. dir., V, Milano, 1959, 244 ss.; X. XXXXXXXX, Dalle “res incorporales” del diritto romano ai beni immateriali di alcuni sistemi giuridici odierni, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1982, passim.
16 Sul ritratto come bene immateriale si veda X. XXXXXXXXXX, Il diritto sul proprio ritratto, Torino, 1959, 37 ss., il quale qualifica il diritto sul proprio ritratto come un diritto assoluto patrimoniale.
17 In tal senso, ad esempio, X. XXXXXXX, Professione: testimonial pubblicitario, in Dir. aut., 2000, 528 s.
18 Sul tema cfr. X. XXXXXXXX, La notorietà della persona da interesse protetto a bene giuridico, Padova, 2000,
passim.
è così parlato di reificazione20 o commodification degli attributi immateriali della personalità, con ciò legittimando l'ingresso sul mercato degli stessi e l'utilizzo del mezzo contrattuale per la loro circolazione.
A prescindere dalla fondatezza teorica di tale impostazione (criticata da buona parte della dottrina21), ciò che qui interessa evidenziare è il legame instauratosi tra applicazione di logiche di appartenenza e reificazione degli attributi immateriali della personalità, da un lato, e possibilità di ammettere l'ingresso del contratto in tale ambito, dall'altro22. Si è cioè affermata più o meno
19 Ex multis, cfr. X. XXXXXXXXXXXX, Sub art. 1, in X. XXXXXXXXXXXX - M.G. XXXXXX - X. XXXX-ZENCOVICH (a cura
di), La tutela dei dati personali. Commentario alla legge 675/1996, Padova, 1999, 6. Sul tema si veda anche X. XXXXX, Dati personali e situazioni giuridiche soggettive, in Giust. civ., 2002, 4, 175 ss.
20 Così X. XXXXXXX, A proposito del ruolo del consenso, in X. XXXXXXX - X. XXXXXXXX - X. XXXX-ZENCOVICH, Trattamento dei dati e tutela della persona, cit., 121, secondo cui “il consenso, più che costituire una sorta di rinuncia dell'avente diritto alla propria privacy, esprime invece la condizione soggettiva per la reificazione dei dati personali, che per suo tramite entrano per così dire sul mercato in quanto beni suscettibili di autonoma considerazione giuridica”
21 Cfr., ad esempio, X. XXXXXXX, voce Cose, in Enc. giur. Treccani, XI, 3; X. XXXXX, voce Beni immateriali, in
Noviss. Dig., II, Torino, 1958, 357 s. Più recentemente, con riferimento alla tematica dei dati personali, si vedano
X. XXXXX, Diritti dell'interessato e obblighi di sicurezza, X. XXXXXXX - X. XXXXXXXX (a cura di), La disciplina del trattamento dei dati personali, Torino, 1997, 231 ss.; X. XXXXX, Il contenuto dell'attività di trattamento di dati personali, ivi, 86 ss.; X. XXXXXXXXXX, Circolazione dei dati personali e dispositivi di regolazione dei poteri individuali, in Riv. crit. dir. priv., 1998, 339-347; A. ORESTANO, La circolazione dei dati personali, in X. XXXXXXXXX (a cura di), Diritto alla riservatezza e circolazione dei dati personali, Milano, 2003, vol. II, 161 ss. In tema di dati personali, si evidenzia per lo più come la nuova disciplina al riguardo abbia escluso una logica proprietaria in quanto prevede numerosi ipotesi in cui i dati circolano a prescindere dal consenso dell'interessato. Per una critica del modello proprietario applicato ai dati personali cfr. X. XX XXXX, Il trattamento dei dati personali tra diritto sostanziale e modelli di tutela, in X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXX-XXXXXXXXX (a cura di), Trattamento dei dati e tutela della persona, cit., 228 ss.
22 Ex multis, X. XXXX-XXXXXXXXX, voce Personalità (diritti della), cit., 436 s., il quale, partendo dalla nozione codicistica di “bene” contenuta nell'art. 810 c.c., afferma che se “l'oggetto del diritto non necessariamente deve consistere in una entità materiale e, d'altra parte, queste entità devono costituire dei beni, l'oggetto del diritto della personalità è rappresentato dall'insieme dei beni che su di essa insistono”. In merito a tale aspetto la dottrina più recente si è concentrata soprattutto sul tema dei dati personali, l'esame della cui disciplina ha finito per assorbire il discorso più ampio sugli attributi immateriali della personalità: cfr. X. XXXX-XXXXXXXXX, Il “consenso informato” e la “autodeterminazione informativa” nella prima decisione del Garante, in Corr. Xxxx., 1997, 919;
X. XXXX, Sul consenso dell'interessato, in X. XXXXXXX - X. XXXXXXXX - X. XXXX-ZENCOVICH (a cura di), Trattamento dei dati e tutela della persona, cit., 124; X. XXXX-ZENCOVICH, Una lettura comparatistica della L. 675/96 sul trattamento dei dati personali, ivi, 168 s.; X. XXXXXXX, Art. 11 e Art. 12, in X. XXXXXXXXXXXX - M.G. XXXXXX - X. XXXX-ZENCOVICH (a cura di), La tutela dei dati personali. Commentario alla L. 675/1996, cit., 149, il quale parla di “aspetto negoziale-proprietario delle informazioni viste esclusivamente alla stregua di merce”; X. XXXXXXXX, La notorietà della persona da interesse protetto a bene giuridico, cit., 309, in cui l'autrice, partendo dalla considerazione che “l'art. 810 c.c. qualifica oggetto di diritti tutte quelle entità (beni) rispetto a cui l'ordinamento garantisce ai privati un diritto (soggettivo)”, sostiene che “rispetto a quest'assunto emerge il significato e si evidenziano le conseguenze della qualificazione della notorietà quale bene giuridico: in particolare, la possibilità di considerarla come oggetto di obbligazione o di contratto e di valutarla quale voce di danno risarcibile”; X. XXXXX, Il consenso al trattamento dei dati personali, Padova, 2001, 30-49, in particolare là dove afferma che “[p]er quanto attiene agli attributi patrimoniali dei diritti della personalità, una via per superare le difficoltà poste dall'impossibilità giuridica dell'oggetto dell'attività dispositiva, è considerare che questa abbia per oggetto un bene in senso giuridico diverso e distinto dalla persona in quanto tale: l'attività dispositiva crea un diritto ad un risultato economico prodotto dall'attività dei terzi” (p. 37); A. ORESTANO, La circolazione dei dati
esplicitamente l'idea per cui l'unico modo per superare l'ostacolo dell'indisponibilità dei diritti della personalità sia quello di individuare un qualche legame di appartenenza tra la persona e i propri attributi immateriali, qualificabili come beni esterni al soggetto stesso, il quale solo in tal modo può disporne tramite contratto. L'individuazione di tale legame di appartenenza è condizione, se non sufficiente, perlomeno necessaria alla configurabilità di un contratto.
Tale affermazione è basata su due postulati di base: in primo luogo, che i diritti della personalità siano indisponibili perché non è possibile individuarne un oggetto separabile dal soggetto titolare del diritto; in secondo luogo, che l'unico modo per poter ammettere una qualche forma di manifestazione di volontà contrattuale in tale ambito sia tramite la disposizione, ossia il trasferimento del diritto. La configurazione degli attributi immateriali della personalità quali beni giuridici si presta bene a superare tali declamati ostacoli, in quanto in tal modo si crea una forma di appartenenza (riconducibile ad un modello proprietario inteso in senso lato con conseguente facoltà di disposizione) su un bene esterno alla persona che può essere trasferito. Si riconosce, tuttavia, che il bene trasferibile non può essere costituito dall'intero diritto della personalità, in quanto tale disposizione sarebbe contraria al limite dell'indisponibilità, affermandosi dunque – ispirandosi alle teorie dualiste sorte in ambito industrialistico – che oggetto del trasferimento è solo la componente patrimoniale dei diritti in questione23 o comunque singole esplicazioni degli
personali, cit., 142 ss., il quale illustra, pur senza condividerlo, tale nesso; G. RESTA [e X. XXXX], Le persone fisiche e i diritti della personalità, in Trattato di diritto civile diretto da X. Xxxxx, Torino, 2006, 571, il quale, nell'illustrare le diverse possibili configurazioni del diritto alla protezione dei dati personali, osserva che “uno dei corollari più rilevanti dell'impostazione dominicale è rappresentato dall'affermazione dell'alienabilità del diritto: soluzione conforme alla funzione economica dell'istituto, oltre che in linea con una consolidata tradizione teorico-dogmatica”; X. XXXXXXX, Lo statuto giuridico dei dati personali, in X. XXXXXXX (a cura di), Libera circolazione e protezione dei dati personali, Milano, 2006, t. I, 563 ss., il quale afferma che “è l'ambivalenza del dato, o meglio la sua duplice 'natura', la sua attitudine a rilevare quale estrinsecazione dei diritti della personalità e al contempo quale bene autonomamente negoziabile a far sì che in concreto il consenso possa rivestire sia la veste di una dichiarazione di natura non negoziale, sia quella di negozio giuridico” (p. 570) e che, pertanto, “per quanto attiene ai dati la cui circolazione è subordinata al consenso, questi rispondono pienamente alla logica proprietaria, di guisa che l'interessato sarà libero di farne oggetto di autonomo negozio giuridico. Ciò conduce alla conclusione che là dove la circolazione del dato è subordinata alla regola del consenso, esso è qualificabile certamente in termini di 'bene giuridico'” (p. 574).
23 Cfr. X. XXXXXXXXXXXX, Il diritto all'utilizzazione del nome e dell'immagine delle persone celebri, cit., 38; X. XXXX-ZENCOVICH, voce Personalità (diritti della), cit., 441. Con riferimento ai dati personali tale tesi è chiaramente espressa da X. XXXXX, Il consenso al trattamento dei dati personali, cit., 44, la quale afferma la sussistenza di “due beni giuridici immateriali diversi, l'informazione in senso stretto o soggettivamente intesa, cioè la notizia relativa ai profili più intimi della persona, parte integrante della sua personalità e segno identificativo dell'individuo, e il dato personale come entità suscettibile di valutazione ed utilizzazione economica, oggetti di distinti diritti immateriali, l'uno morale, l'altro patrimoniale; e che solo il secondo possa essere trasferito attraverso il contratto, mentre il primo, quale diritto della personalità, rimanga sempre in capo all'originario titolare”.
stessi24.
Senonché, le obiezioni che tale ragionare intende superare sono in realtà finti ostacoli25. Far discendere l'indisponibilità degli attributi immateriali della persona dalla impossibilità di “disporne” tramite contratto è ingannevole in quanto comporta, per l'appunto, che per aversi contratto si debba necessariamente “disporre” del (nel senso di trasferire il) proprio diritto della personalità. Tale terminologia costituisce un retaggio della concezione proprietaria dei diritti della personalità che non ha necessariamente ragion d'essere.
Difatti, oggetto del contratto in ambito di diritti della personalità non è necessariamente il trasferimento del diritto, ma ben può essere l'assunzione di un'obbligazione avente ad oggetto una determinata prestazione26.
Tale prestazione potrà consistere anche in un mero pati, con cui il titolare autorizza un'ingerenza nella propria sfera privata: anzi, questa costituisce in ogni caso l'obbligazione principale dei contratti in questione. Nel momento in cui si afferma che è ammissibile un contratto, quel pati, oggetto di un mero consenso dell'avente diritto nella contraria ipotesi, diventa invece oggetto di una vera e propria obbligazione27. Xxxxxxxxx, non si esclude che tale manifestazione di volontà se
24 Sull'oggetto dei contratti relativi agli attributi della personalità cfr. X. XXXX-XXXXXXXXX, Profili negoziali degli attributi della personalità, in Dir. inf., 1993, 556 ss.
25 Cfr. G.B. FERRI, Xxxxxxx del diritto della personalità e danno non patrimoniale, cit., 350, il quale, partendo dall'osservazione che “[i]l diritto della personalità (a differenza degli altri diritti soggettivi assoluti, che abbiano per oggetto beni di natura patrimoniale) vede caratterizzato il proprio contenuto non già dall'esclusività del godimento e della disposizione (intesa, quest'ultima, come potere di rinunciare al diritto, potere di trasferirlo o alienarlo), ma soprattutto dall'esclusività del godimento, perché appare tecnicamente o materialmente improponibile il trasferimento dell'oggetto (persona) o la rinuncia al diritto (e cioè all'interesse tutelato) data la inerenza alla stessa persona in quanto soggetto”, afferma che “il titolare del diritto della personalità, può in qualche modo e in taluni casi, disporre dell'esclusività del godimento, limitatamente a particolari aspetti del potere di cui è titolare ciò nel senso che egli, in tutto o in parte, può, a volte, rinunciare a tale esclusività (o non farne valere la tutela) nei confronti di una o più persone”.
26 A tal proposito si vedano le considerazioni volte da X. XXXX-XXXXXXXXX, Profili negoziali degli attributi della personalità, cit., 592 ss., il quale distingue tre diverse prospettive in cui collocare i negozi in questione: “una prima, «realista» che assuma a modello i negozi attributivi, traslativi o concessivi di situazioni reali; una secondo
«obbligatoria» che consideri tali negozi meramente costitutivi, modificativi i estintivi di situazioni obbligatorie; una terzo, infine, «industrialista» che attinga alla ricca esperienza negoziale in temi di c.d. beni immateriali”. Cfr. anche X. XXXXXXXXX, voce Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 137, il quale, pur escludendo la natura contrattuale del consenso all'utilizzo degli attributi della propria persona, sottolinea come “[d]al punto di vista del contenuto, l'atto può presentarsi astrattamente secondo diverse tipologie, come atto di disposizione nel significato di alienazione di un diritto o di rinunzia ad esso, ma anche come pura manifestazione di consenso a una invasione non permanente della sfera personale senza abdicazione dal diritto”.
27 Cfr. X. XXXXXXX, Atto autorizzato, atto materiale lecito, atto tollerato. Contributo alla teoria dell'atto giuridico, in AA. VV., Scritti giuridici in onore di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx, III, Padova, 1950, 484 s., il quale mette in luce come l'area del consenso dell'avente diritto sia limitata ai “contegni meramente materiali”, in particolare “l'atto di tolleranza” e “l'atto di disposizione passiva che ha la struttura estrinseca di un negozio ma difetta di uno dei suoi elementi costitutivi”: in questo ultimo caso, si avrebbe un “fenomeno analogo a quello della conversione negoziale”.
espressa unilateralmente possa costituire un mero consenso dell'avente diritto privo di natura negoziale. Se invece tale manifestazione di volontà viene inserita in uno schema contrattuale, non si vede per quale motivo non possa avere essa stessa natura contrattuale. O meglio, l'affermazione della indisponibilità del diritto intesa come impossibilità di separare soggetto ed oggetto non osta ad una tale natura contrattuale, in quanto tramite tale manifestazione di volontà non si trasferisce alcunchè. È dunque evidente come non sia necessario tentare di individuare un bene esterno al soggetto da poter trasferire. Piuttosto, al fine di valutare l'ammissibilità e la validità di un eventuale contratto, occorre valutare se vengono rispettati i requisiti di patrimonialità e liceità del rapporto. Se si verifica che tali requisiti non sono rispettati, si potrà eventualmente parlare di indisponibilità come conseguenza di tali attributi.
Non necessariamente la prestazione del titolare del diritto consisterà in un mero pati, ma il soggetto ben potrà obbligarsi anche ad un facere (ad esempio, comunicare i propri dati, recarsi in un dato luogo per farsi fotografare). Anche in questo caso, occorre valutare se il rapporto giuridico che si crea rispetta i requisiti di patrimonialità e liceità, ma non è sufficiente affermare che si tratta di situazioni giuridiche indisponibili per escludere il contratto.
Quanto appena affermato trova un riscontro ed un parallelo nei dibattiti sorti in merito all'oggetto del contratto di lavoro subordinato. Anche in quest'ambito sono state applicate logiche proprietarie alla circolazione del lavoro inteso quale bene giuridico e, in particolare, quale energia lavorativa separabile dalla persona del lavoratore, come tale cedibile ed utilizzabile da terzi28. Tali logiche proprietarie, tuttavia, sono state in quest'ambito utilizzate non tanto per giustificare la natura contrattuale del consenso a prestare la propria attività lavorativa e l'applicabilità di una logica negoziale – possibilità, com'è ovvio, mai messa in discussione – quanto per evitare che oggetto del contratto di lavoro fosse la persona stessa, considerata irriducibile ad oggetto contrattuale29. In ogni caso, in quest'ambito l'abbandono indiscusso della logica improntata al trasferimento di un bene e l'individuazione dell'oggetto del contratto di lavoro nella prestazione di facere del lavoratore, dimostra come non sia necessario creare un bene esterno alla persona al fine di ammettere un certo coinvolgimento della stessa in ambito contrattuale.
28 Così, inizialmente, X. XXXXXXXXXX, Studi sulle energie come oggetto di rapporti giuridici, in Xxx. xxx. xxxx., 0000, 000 xx.
00 Xx xxxx xx veda X. XXXXXXX, Il contratto di lavoro, a cura di X. Xxxxxx, Milano, 2004, 123 ss. Per una ricostruzione dell'evoluzione dell'oggetto del contratto di lavoro, cfr. anche X. XXXXXX, Persona e contratto di lavoro. Riflessioni storico-critiche sul lavoro come oggetto del contratto di lavoro, in Arg. dir. lav., 1999, 309 ss. Per un collegamento tra tale questione e quella dei diritti della personalità, cfr. G. RESTA [e X. XXXX], Le persone fisiche e i diritti della personalità, cit., 446 ss.
Con questo non si intende prendere una posizione circa l'applicabilità o meno di modelli di appartenenza ai diritti della personalità, né sulla questione della configurabilità quali beni giuridici degli attributi immateriali della persona. Ciò che si intende evidenziare è che, quali che siano le soluzioni fornite a tali questioni, queste non influenzano l'ammissibilità o meno del contratto nell'ambito dei diritti della personalità30.
Se si ritiene sussistere un rapporto in senso lato di appartenenza tra la persona e i propri attributi, allora non si avrà particolare difficoltà ad ammettere una circolazione degli stessi tramite contratto dal punto di vista dell'oggetto dello stesso. A tal fine sono percorribili almeno due strade31. In primo luogo si può adottare la teoria degli attributi immateriali della personalità quali beni giuridici e ammettere un vero e proprio trasferimento della loro componente patrimoniale32. Nel caso invece in cui non si ritenga ammissibile la configurazione degli attributi della persona come beni giuridici in senso tecnico, né si reputi opportuno seguire la bipartizione di matrice industrialistica dei diritti della personalità in diritti morali e diritti patrimoniali, è stata avanzata l'ipotesi di considerare i contratti in questione come ad effetti non derivativo-traslativi ma derivativo-costitutivi, con l'acquisto da parte dell'avente causa di un diritto nuovo che limita il contenuto di quello del disponente33.
Se, al contrario, non si ritiene ammissibile applicare un modello di appartenenza ai diritti della personalità, con conseguente impossibilità di disporre, in senso tecnico, degli stessi, non si può tuttavia escludere, per tale solo motivo, la sussistenza di un contratto, in quanto l'oggetto dello
30 In tal senso cfr. X. XXXXX, Dati personali e situazioni giuridiche soggettive, cit., 128, che rileva (nota 124) come “sia che il consenso si qualifichi come atto negoziale, sia che esso si qualifichi come atto non negoziale il dato personale potrebbe qualificarsi come bene giuridico (in senso stretto) e soprattutto come bene disponibile”; cfr. anche A. FICI - E. PELLECCHIA, Il consenso al trattamento, in X. XXXXXXXXX, Diritto alla riservatezza e circolazione dei dati personali, cit., 505 ss., che, pur rimarcando la natura meramente autorizzatoria del consenso dell'avente diritto, sottolineano che “non è necessario sostenere l'avvenuta reificazione dei dati personali […] per
«legittimare» il mercato delle informazioni”.
31 Per una breve ricostruzione delle due tesi, si veda X. XXXXXXX, Le «nuove proprietà» nella trasmissione ereditaria della ricchezza (note a margine della teoria dei beni), in Riv. dir. civ., 2000, I, 235-237.
32 V., per tutti, X. XXXXXXXXXXXX, Il diritto all'utilizzazione del nome e dell'immagine delle persone celebri, cit., 27 ss.
33 Questa è la tesi espressa da G. RESTA, Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 334 ss., secondo cui “l'acquisto in capo all'avente causa di un diritto nuovo, qualitativamente differente, che non estingue ma limita quello del disponente” è quello che meglio si adatta alla circolazione dei diritti della personalità, in quanto, da un lato, si attribuisce “alla controparte una posizione stabile, di durata ed estensione variabile a seconda del concreto contenuto del regolamento pattizio, ma pur sempre – almeno là dove ricorra la clausola di esclusiva – dotata di una tutela erga omnes”, mentre dall'altro “si garantisce la persistenza, a salvaguardia degli interessi del disponente, di un nucleo intangibile di prerogative, idonee ad assicurare che l'utilizzazione degli attributi in discorso si svolga nel quadro dei limiti prefissati dal negozio e nel rispetto dei valori della persona”.
stesso è rappresentato dalla prestazione dedotta in contratto, senza alcun trasferimento di diritti34. In entrambi i casi, l'indisponibilità (intesa come impossibilità di configurare un oggetto distinto dal soggetto) non osta dunque alla possibile natura contrattuale del consenso dell'avente diritto, che deve invece essere vagliata sotto i differenti profili della patrimonialità e della liceità.
Xxxxxxxxx, l'applicazione o meno di un modello di appartenenza alla circolazione dei diritti della personalità, se non influisce sulla configurabilità o meno di un contratto, costituisce invece aspetto dirimente rispetto alla efficacia reale o obbligatoria ex art. 1376 c.c. di tali contratti, con rilevanti conseguenze (apparentemente) a livello pratico35. È dunque importante riconoscere il giusto peso della questione in tale ultimo ambito, ridimensionandone invece la rilevanza nel dibattito circa la natura contrattuale o meno del consenso dell'avente diritto.
2. Sulla patrimonialità del rapporto contrattuale
Come la persona si oppone al patrimonio, così i diritti della personalità si oppongono ai diritti di tipo patrimoniale36 e rimangono irrimediabilmente fuori dalla disciplina del diritto delle obbligazioni e dei contratti37. In particolare, lo sbarramento alla deducibilità in contratto degli
34 Cfr. X. XXXXXXX, Consenso e condizioni generali di contratto, in X. XXXXXXX - X. XXXXXXXX (a cura di), Il trattamento dei dati personali, Torino, 1999, vol. II, 89, secondo cui “[l]'atto di disposizione che colora di negozialità il consenso è quello di ammettere altri nella sfera giuridica del disponente e non certo quello di trasferire consensualmente al titolare del trattamento diritti sul dato raccolto, in ossequio ad un modello rigidamente proprietario”.
35 Su tale aspetto si veda G. RESTA, in Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 320 ss. Interessante a tal proposito è la prospettiva assunta da X. XXXXXXX, Qualche appunto su circolazione, appartenenza e riappropriazione nella disciplina dei dati personali, in Danno resp., 1998, 7, 613 ss., il quale inverte l'ordine delle questioni partendo dall'esame delle regole di circolazione dei dati personali per ricavarne le regole di appartenenza. Con riferimento al ritratto, cfr. X. XXXXXXXXXX, Il diritto sul proprio ritratto, cit., 149-174, il quale ritiene possibile ravvisare sia “un rapporto obbligatorio avente ad oggetto un pati”, sia la “costituzione di un diritto assoluto in capo all'altro contraente” (in particolare, secondo l'Autore, un diritto di usufrutto), con evidenti conseguenze a livello di effetti del contratto: stabilire se il contratto ha efficacia obbligatoria o reale è questione di interpretazione; l'Autore, pur con qualche riserva, neppure nega a priori la possibilità di trasferire integralmente il diritto di esclusiva sul proprio ritratto. Nello stesso senso cfr. anche X. XXXXXXX, Il contratto di merchandising nel diritto dei segni distintivi, Milano, 1991, 433 ss. Favorevole all'ammissibilità sia di un contratto ad effetti puramente obbligatori (“con cui la persona si vincolerà essenzialmente ad un pati”), sia di un trasferimento di un “diritto assoluto su un bene immateriale”, a seconda che sia stata o meno concessa l'esclusiva dello sfruttamento degli attributi immateriali della persona, è X. XXXXXXXXXXXX, Il diritto all'utilizzazione del nome e dell'immagine delle persone celebri, cit., 39. In ogni caso v. infra, cap. III, par. 2.
36 Su come le situazioni attinenti alla persona si siano venute a contrapporre ai diritti patrimoniali cfr. G. RESTA, Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 125-128, nonché i riferimenti contenuti alla nota 7, p. 125. Sulla contrapposizione “personalità e indisponibilità, patrimonialità e disponibilità” cfr. X. XXXXXXX, L'indisponibilità dei diritti: analisi di una categoria, cit., 50 ss.
37 In tal senso si veda, per tutti, X. XXXXXXX, Diritto civile e commerciale, cit., vol. II, t. I, 7; in particolare, la non patrimonialità darebbe luogo ad impossibilità giuridica dell'oggetto del contratto (pag. 254). Cfr. anche DE CUPIS, I diritti della personalità, cit., 53, secondo cui “ciò che è interiore alla persona, proprio per questa interiorità, sfugge ai rapporti, e ai diritti, patrimoniali: non può considerarsi bene economico, patrimoniale, perché la sua
attributi della persona è posto dagli artt. 1174 e 1321 c.c., i quali fanno espresso riferimento al requisito della patrimonialità della prestazione oggetto dell'obbligazione, l'uno, e del rapporto regolato dal contratto, l'altro. Peraltro, posto che “il rapporto è patrimoniale quando è suscettibile di valutazione economica la prestazione”38, è sempre quest'ultima l'elemento cui si applica il requisito della patrimonialità. O meglio, nel caso in cui il contratto trasferisca un diritto, tale diritto deve avere contenuto patrimoniale; nel caso in cui il contratto sia fonte di obbligazione, patrimoniale deve essere la prestazione. In entrambi i casi gli attributi della persona non possono formare oggetto di un contratto: non è possibile trasferire un diritto della personalità in quanto tale diritto non ha natura patrimoniale e neppure è possibile assumere un'obbligazione che abbia in qualche modo ad oggetto un attributo della persona, in quanto tali attributi non sono suscettibili di valutazione economica.
Dalla non patrimonialità dei diritti in questione si fa discendere l'indisponibilità dei medesimi. In questo senso la carenza di patrimonialità è uno degli attributi con cui si riempie di significato la categoria dell'indisponibilità (laddove non se ne dia un significato autonomo). A tal fine occorre però definire in maniera precisa che cosa si intenda per “patrimonialità” quando la si esclude in rapporto ai diritti della personalità.
L'esatto significato del requisito della patrimonialità della prestazione, definita dal codice come suscettibilità di una valutazione economica, è discusso. Sintetizzando i risultati cui sono pervenuti gli interpreti, si distingue tra una concezione soggettiva ed una oggettiva di patrimonialità.
Secondo la prima interpretazione, la valutazione economica della prestazione è quella svolta (anche) dalle parti, nel senso che la prestazione è valutabile in termini economici alla luce della volontà delle parti. La valutazione in termini economici compiuta dalle parti vale a rendere patrimoniale la prestazione anche se la stessa non lo sarebbe alla stregua di un criterio meramente oggettivo: in particolare, gli strumenti di cui le parti si possono avvalere per rendere patrimoniale una prestazione di natura dubbia sono la previsione di un corrispettivo di tipo economico o la stipulazione di una clausola penale39.
stessa personalità lo colloca al di fuori di quella destinazione cui sono sottoposti gli oggetti del mondo esteriore”. Sul nesso che sussiste tra indisponibilità, intesa quale impossibilità di individuare un oggetto esteriore rispetto al soggetto, e carenza di patrimonialità si veda X. XXXXXXXX, La patrimonialità della prestazione, in Contr. impr., 2001, II, 905.
38 Così X. XXXXX [e G. DE NOVA], Il contratto, Torino, 2004, II, 27.
39 A favore di una nozione soggettiva di patrimonialità si cita la Relazione del Ministro Guardasigilli al Libro
Tale definizione svuota il requisito della patrimonialità di qualsivoglia contenuto di tipo precettivo volto a regolare e limitare l'autonomia privata. La valutazione circa la sussistenza o meno della patrimonialità viene infatti lasciata alla volontà delle parti e il requisito in esame assume una mera valenza descrittiva: una prestazione è patrimoniale se parti vogliono sia tale, non lo è se le parti così non vogliono. In realtà, si è osservato che una nozione di patrimonialità così intesa vale piuttosto a distinguere i rapporti giuridici da quelli che giuridici non sono40. In tal caso, tuttavia, si esce dal campo della patrimonialità e si entra in quello della giuridicità, la cui sussistenza dipende effettivamente anche dalla volontà delle parti di vincolarsi in un rapporto giuridico e non di mera cortesia.
Alla nozione soggettiva di patrimonialità si contrappone quella oggettiva, che definisce la patrimonialità prendendo come riferimento l'ambiente giuridico-sociale in cui sorge l'obbligazione: “[l]a valutabilità pecuniaria di una prestazione sta infatti ad indicare che, in un dato ambiente giuridico-sociale, i soggetti siano disposti ad un sacrificio economico per godere i vantaggi di quella prestazione, e che ciò possa avvenire senza offendere i principi della morale e del costume sociale, oltre, beninteso, la legge”41. Si precisa poi che tale valutazione, seppur
“Delle Obbligazioni” del Codice Civile, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia del 5 febbraio 1941, n. 557, secondo cui “ha valore patrimoniale anche la prestazione che lo riceva dalla natura della controprestazione ovvero dalla valutazione fatta dalle parti, come nel caso in cui si conviene la clausola penale”. La pur scarsa giurisprudenza in proposito sembra adottare anch'essa una nozione soggettiva di patrimonialità.
40 La dottrina che critica la concezione soggettiva di patrimonialità ritiene infatti che “[l]a nota della patrimonialità, inserita od aggiunta in rapporti che nella comune esperienza si svolgono fuori della sfera del diritto, affidati alla cortesia, alla morale, all'amicizia, alle convenienze sociali, può quindi valere come indice della giuridicità del vincolo voluto dai soggetti e (attraverso una successiva operazione logica) della configurazione dello stesso come obbligazione in senso tecnico”, X. XXXXXXXX, voce Obbligazioni (nozioni), in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, 185 s.; in altre parole, “il corrispettivo o la clausola penale non trasformano la prestazione non patrimoniale in patrimoniale, ma trasformano piuttosto l'obbligo (patrimoniale) non giuridico in giuridico”, X. XXXXXXXXXX, L'obbligazione, I, Catania, 1945, 38.
41 Così X. XXXXXXXXXX, L'obbligazione, I, cit., 38. Nello stesso senso la dottrina forse maggioritaria: cfr. X. XXXXXXXX, voce Obbligazioni (nozioni), cit., 185 s.; M. BARCELLONA, Attribuzioni normative e mercato nella teoria dei beni giuridici, cit., 676 ss., secondo cui “il potere di obbligarsi è giuridicamente limitato a quanto può assumere rilevanza economica, ma l'assunzione di rilevanza economica è dl sistema fatta dipendere non dalla mera idoneità della prestazione a soddisfare un qualche bisogno bensì unicamente dalla circostanza che essa si presenti attualmente come «offerta» e si giustapponga ad una potenziale «domanda»”; X. XXXXXXX, Il contratto, in Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da X. Xxxx - X. Xxxxxxxx e continuato da X. Xxxxxxx, XXI, t. 1, Milano, 1987, 17 nota 51; A. DI MAJO, Delle obbligazioni in generale (artt. 1173-1176), in Commentario al codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988, 92, 250 ss.; U. BRECCIA, Le obbligazioni, in Trattato di diritto privato, a cura di X. Xxxxxx - X. Xxxxx, Xxxxxx, 0000, 46 ss.; C.A. XXXXXXX, (a cura di), Obbligazioni e contratti, t. I, Torino, 1999, in Trattato di diritto privato, diretto da X. Xxxxxxxx, XX, 00; X. XXXXXXXX, La patrimonialità della prestazione, in Contr. impr., 2001, II, 895 ss.; X. XXXXX - P. CISIANO, Il fatto, l'atto, il negozio, in Trattato di diritto civile, diretto da X. Xxxxx, Torino, 2005, 380. Una posizione intermedia è assunta da X. XXXXX, Il contratto, 2ª ed., Milano, 2011, 4-10, il quale pare ritenere possibile distinguere ciò che è naturalmente patrimoniale da ciò che non lo è – secondo un criterio, dunque, oggettivo –, ma al contempo ammette la possibilità per le parti, nei casi in cui ciò sia lecito, di patrimonializzare accordi che riguardano materie di per sé
astratta, deve essere calata nel concreto dello specifico affare42 e non si deve limitare ad una mera registrazione di cosa è già o meno inserito nei circuiti di mercato43. Può dunque rivestire carattere patrimoniale una prestazione che, seppure al momento non presente sul mercato, potrebbe esserlo senza urtare la comune sensibilità.
Tale definizione di patrimonialità si pone a cavallo tra una concezione per così dire fattuale ed una normativa del requisito in esame. Difatti, la definizione oggettiva di patrimonialità contiene, a ben vedere, due elementi: uno fattuale e uno normativo. Il primo è rappresentato da ciò che viene abitualmente messo in commercio sul mercato. Il secondo consiste invece nella “comune sensibilità”, nei “principi della morale e del costume sociale”, che non devono essere urtati dallo scambio economico di volta in volta considerato. Questo elemento normativo non pare costituisca qualcosa di diverso dal “buon costume”, così come inteso in ambito di liceità.
L'elemento normativo della “comune sensibilità” può rivestire due diversi ruoli nel definire la nozione di patrimonialità: può conformarla dall'interno oppure costituire un limite esterno alla stessa.
Nel caso in cui “i principi della morale e del costume sociale” vengano intesi quale limite esterno alla nozione di patrimonialità, allora quest'ultima categoria assume una portata meramente fattuale e descrittiva, nel senso di limitarsi a registrare cosa avviene nella media delle transazioni presenti sul mercato. Il risultato di tale registrazione dovrà poi essere sottoposto al vaglio della liceità, al fine di verificare se gli scambi presenti sul mercato – che già sono, di per sé, patrimoniali – rispettino il consueto limite dell'osservanza del buon costume, dell'ordine pubblico e delle norme imperative44.
Se invece il limite normativo della comune sensibilità conforma dall'interno, e non dall'esterno, il requisito della patrimonialità, allora tale categoria assume un significato normativo e precettivo,
non patrimoniali.
42 In tal senso C.A. XXXXXXX, (a cura di), Obbligazioni e contratti, t. I, cit., 14.
43 Cfr. X. XXXX, Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione, in Riv. dir. civ., 1968, I, 242 s.
44 In proposito cfr. A. DI MAJO, Delle obbligazioni in generale (artt. 1173-1176), cit., 258, il quale afferma che mentre “la negoziabilità della prestazione rappresenta effettivamente un limite all'autonomia dei privati, limite che può trovare la sua fonte in norme espresse di legge o nei principi dell'ordine pubblico o del buon costume”, la patrimonialità è invece una “regola di conformazione delle obbligazioni giuridiche” che non limita l'autonomia dei privati ma ha la “funzione di instaurare una connessione tra il diritto delle obbligazioni (e le regole relative) e quelli che rappresentano i valori di scambio così come definiti dal mercato oppure dalla volontà delle parti (in mancanza di indicazioni di mercato). Pertanto, “una volta accertato che quella prestazione ha carattere patrimoniale, perché tale carattere è ad essa assegnato dalle regole del mercato o dalla volontà delle parti, occorre chiedersi se essa sia anche in concreto liberamente negoziabile tra privati. È questo evidentemente un problema di «limiti» e non anche di intrinseca «conformazione» dell'obbligo”.
nel senso di considerare patrimoniali solo le transazioni che siano anche lecite e, in particolare, conformi al buon costume.
Conviene forse allora riformulare la distinzione tra le diverse nozioni di patrimonialità e prendere come criterio discretivo non la riconducibilità della stessa alla volontà delle parti, bensì il carattere precettivo di tale categoria. Mentre alla stregua del primo criterio la patrimonialità si distingue in soggettiva o oggettiva, seguendo il secondo avremo una patrimonialità fattuale o normativa. Per distinguere tra queste ultime due occorre chiedersi se patrimoniale è ciò che di fatto viene scambiato sul mercato, oppure ciò che l'ordinamento ammette che sia scambiato sul mercato in termini economici45.
Una nozione fattuale di patrimonialità comporta che sia patrimoniale la prestazione o il diritto che vengono scambiati sul mercato. In seno a tale nozione si potrà poi ancora distinguere tra una patrimonialità soggettiva ed una oggettiva, nel senso di considerare patrimoniale qualsiasi
45 Si vedano in proposito le riflessioni svolte da X. XXXXX [e X. XX XXXX], Il contratto, II, cit., 37 s.: “Orbene, normalmente dove c'è contratto c'è scambio: dunque la prestazione dedotta in contratto ha, in concreto, formato oggetto di una valutazione economica. Per colpirla con una declaratoria di incommerciabilità, il giudice dovrebbe dire che le parti l'hanno valutata economicamente, e che però questa valutazione economica non è concepibile. E che significa questa impensabilità di una valutazione che però è una realtà, cioè è di fatto avvenuta? Può significare soltanto che gli altri membri della comunità giuridica non avrebbero effettuato la valutazione. Il giudice sa che gli altri non avrebbero effettuato la valutazione solo quando questi «altri» disapprovano il commercio di quella prestazione, ossia lo trovano repugnante; il che equivale a dire che quello scambio è giudicato contrario a regole di convenienza. Ne segue che l'interpretazione semiabrogativa della regola di patrimonialità nel campo dei contratti ad effetto obbligatorio appare perfettamente spiegabile: essa è uno dei possibili sbocchi del circolo vizioso aperto dalla combinazione fra gli artt. 1174 e 1321, e dalla ridondanza che deriva dall'inserimento cumulativo della patrimonialità e della liceità fra i requisiti del contratto. […] Noi potremmo parlare di prestazioni «non patrimoniali» per indicare quelle che non trovano un mercato ove venir negoziate. […] Ma queste prestazioni sono senza mercato perché non corrispondono all'interesse di nessuno stipulatore. L'art. 1174 prevede la non patrimonialità come requisito ulteriore rispetto al requisito della corrispondenza all'interesse del creditore. Non appena noi entriamo nell'area delle prestazioni che possono soddisfare un qualche interesse di una seconda persona, troviamo subito che la seconda persona è disposta a pagare la prestazione; si trova chi paga la prestazione sessuale, chi paga la promozione all'esame, chi paga l'irrogazione di benefici di tipo soprannaturale (e ciò talora si chiama simonia), chi paga il voto politico, e così via; troviamo cioè che, in via di puro fatto, la prestazione interessante e tuttavia non patrimoniale non è pensabile. La non patrimonialità, ossia la non commercialità, della prestazione, sta a significare che non è opportuno (non già: non si può) negoziare la prestazione. Una regola deontica, fissata da uno standard sociale si oppone a ciò che potrebbe avvenire di fatto (e, secondo noi, assomiglia tanto al buon costume)”. Cfr. anche X. XXXXXXXX, Sponsorizzazione, in Contr. impr., 1985, 253 s., il quale accredita la tesi per cui l suscettibilità di valutazione economica della prestazione dipende “dal fatto che per quella prestazione sia stato pattuito un corrispettivo e che una tale pattuizione non risulti almeno estranea alla sensibilità economica generalmente avvertita nell'ambiente in cui l'obbligazione è sorta”; R. DI XXXXX, Poteri della maggioranza, diritti individuali e modifiche statutarie nelle associazioni non riconosciute, in X. XXXXXXXXXXX (a cura di), Partecipazione associativa e partito politico, Napoli, 1993, 158-164, il quale definisce il requisito della patrimonialità come “ascrivibilità al patrimonio di un soggetto di un vantaggio, socialmente o giuridicamente riconosciuto come tale, e liceità della relativa negoziazione” (p. 162); X. XXXXXXXXX, Istituzioni di diritto privato, 20ª ed., Milano, 2014, 94, secondo cui l'art. 1774 c.c. richiede che “si tratti di prestazioni che possano essere oggetto di scambio economico senza offendere i princìpi della morale e del costume sociale”.
prestazione scambiata anche solo in una singola transazione, oppure di far riferimento a ciò che avviene nella media degli scambi.
In ogni caso, la nozione fattuale di patrimonialità ha un contenuto meramente descrittivo, senza porre un limite invalicabile all'autonomia delle parti. Intesa in tale senso, dunque, la nozione di patrimonialità preclude qualsiasi serio tentativo di ricavarne l'indisponibilità dei diritti della personalità, in quanto si limita a registrare che cosa avviene sul mercato. Se sul mercato sono effettivamente presenti scambi in termini economici di attributi della persona, allora si tratta di prestazioni suscettibili di una valutazione economica e, pertanto, sicuramente patrimoniali. In altre parole, intesa in senso fattuale, la non patrimonialità non può mai giustificare l'indisponibilità dei diritti della persona.
Difatti, chi adotta una nozione fattuale di patrimonialità e vuole comunque escludere i diritti della persona dall'ambito del contratto è costretto a motivare tale scelta su basi diverse dalla non patrimonialità della prestazione o del diritto scambiati. Vengono dunque chiamate in causa altre categorie, quali l'indisponibilità o l'incommerciabilità degli attributi della persona. Indisponibilità, nel senso che l'ordinamento non tollera alcun tipo di lesione di tali attributi; incommerciabilità, nel senso che l'ordinamento disapprova la previsione di un corrispettivo economico in cambio della prestazione avente ad oggetto tali attributi46.
Indisponibilità e incommerciabilità attengono, in questo contesto, al campo della liceità e non a quello della patrimonialità. In particolare, l'incommerciabilità comporta che non sia lecito uno scambio di tipo economico di una data prestazione o di un dato diritto. Posto che lo scambio è patrimoniale, esso tuttavia non è lecito ed è, dunque, inammissibile. L'impossibilità di dedurre in contratto gli attributi della persona è conseguenza non della non patrimonialità degli stessi ma dell'illiceità del loro scambio47. In questo caso la categoria dell'indisponibilità viene riempita e giustificata non con la non patrimonialità ma con l'illiceità.
46 Così X. XXXXX, Il contratto, cit., 9 s., il quale, dopo aver ammesso la possibilità di patrimonializzare alcuni accordi su materie di per sé non patrimoniali, portando ad esempio le utilizzazioni commerciali dei diritti della personalità per fini di marketing, nega invece tale possibilità qualora l'accordo pregiudichi “valori non disponibili”, oppure qualora l'accordo verta su “valori non commerciabili”; in tale ultimo ultimo caso “la disapprovazione deriva dalla previsione di un corrispettivo economico in cambio della prestazione non patrimoniale”. In entrambi i casi, si tratta di accordi che l'Autore definisce “illeciti”.
47 Così infatti fa X. XXXXX, Il contratto, cit., 9 s., laddove parla di “accordi illeciti su materie non patrimoniali”. Occorre aggiungere che le parti non possono rendere patrimoniali tali accordi proprio perchè l'ordinamento preclude una valutazione patrimoniale degli attributi in questione. Gli esempi portati dall'Autore con riguardo a tali accordi illeciti vertono tutti sui diritti sul corpo, mentre l'utilizzazione commerciale degli attributi immateriali della persona è considerata una prestazione di per sé non patrimoniale ma che le parti possono rendere tale attraverso la previsione di un corrispettivo economico.
Chi invece, pur adottando una nozione fattuale di patrimonialità, sostiene che gli scambi aventi ad oggetto attributi della persona sono inammissibili in quanto non patrimoniali, cade in un'evidente contraddizione logica48. Infatti, come si è visto, la patrimonialità fattuale ha funzione meramente descrittiva e non preclude la deducibilità in contratto di alcunché.
Emergono in questo caso le tensioni insite nel concetto di indisponibilità. Se non si attribuisce un significato autonomo a tale categoria, occorre allora riempirla di altri contenuti. Se la si vuole giustificare con la non patrimonialità della prestazione o del diritto scambiati, si dirà allora che l'attributo della persona in questione è indisponibile perché non ha carattere patrimoniale. Questa affermazione ha senso se si ritiene che il requisito della patrimonialità abbia carattere precettivo. Se invece la patrimonialità assume una connotazione meramente descrittiva e fattuale, non la si può chiamare in causa per giustificare un'indisponibilità. Si dovrà allora giustificare la non patrimonialità con qualcosa di diverso rispetto all'impossibilità fattuale di valutazione economica, e spesso si dirà che gli attributi della personalità sono non patrimoniali in quanto indisponibili.
È evidente che tale ultima affermazione, se unita alla prima, completa un ragionamento di tipo circolare: i diritti della persona sono indisponibili perché non hanno carattere patrimoniale e non hanno carattere patrimoniale perché sono indisponibili. Per uscire da tale circolarità si precisa allora che l'indisponibilità della seconda proposizione significa in realtà illiceità e, in particolare, illiceità dello scambio economico.
Una volta chiarito che chi adotta una nozione fattuale di patrimonialità è costretto a motivare l'indeducibilità in contratto degli attributi della persona con l'illiceità di una loro lesione o di un loro scambio (chiamata anche indisponibilità), occorre verificare quali siano invece le conseguenze se si intende il requisito della patrimonialità in senso normativo.
La definizione normativa di patrimonialità comporta che è patrimoniale solo quella prestazione o
48 Così parrebbe X. XXXXXXX, Diritto civile e commerciale, cit., vol. II, t. I, 6 s., 254, il quale, pur escludendo il contratto dall'ambito dei diritti della personalità a causa del loro carattere non patrimoniale (passando attraverso l'impossibilità giuridica dell'oggetto del contratto), pare poi adottare una nozione fattuale del concetto di patrimonialità: secondo l'Autore, infatti, la prestazione “deve consistere o nel pagamento di una somma di danaro o di un doveroso comportamento del debitore che sia, tuttavia, traducibile in una somma di denaro che ne rappresenti il valore economico. Se per la prestazione è previsto un corrispettivo in danaro (ad esempio, la retribuzione della prestazione di lavoro), è questo corrispettivo in danaro il suo valore economico; ma un corrispettivo in danaro può mancare, come nel caso in cui ci si obblighi a titolo gratuito ad una prestazione di fare (mandato gratuito, deposito gratuito ecc.): la valutazione economica della prestazione è qui resa possibile alla stregua del costo che essa comporta. Quando poi una prestazione di fare trova corrispettivo in un'altra prestazione di fare, oppure una prestazione di non fare trova corrispettivo in un'altra prestazione di non fare, sarà l'interesse patrimoniale di ciascuna delle parti alla prestazione dell'altra ad attribuire carattere patrimoniale alla propria prestazione” (pagg. 5-6).
quel diritto il cui scambio in termini economici è ammesso dall'ordinamento. In particolare, tale scambio non deve essere contrario a norme imperative, ordine pubblico e buon costume: lo scambio deve essere lecito. In tale ottica il requisito della patrimonialità è dunque un requisito di liceità dello scambio economico. La patrimonialità intesa in senso normativo viene anche chiamata “commerciabilità” e si dice, dunque, che ciò che non è patrimoniale è incommerciabile. La non patrimonialità, così intesa, del diritto o della prestazione scambiati ben può essere d'ostacolo alla possibilità di far nascere un'obbligazione e di configurare un contratto. Posto che la nozione normativa di patrimonialità ha un contenuto precettivo, essa è idonea a determinare una indisponibilità (nel senso di incommerciabilità) degli attributi della persona senza dover ricorrere a categorie esterne alla patrimonialità stessa. Se gli attributi della persona sono considerati non patrimoniali (nel senso di non commerciabili), ne consegue che gli stessi non possono essere dedotti in contratto.
In questo modo si arriva in realtà allo stesso risultato cui perviene chi, adottando una nozione fattuale di patrimonialità, sottopone poi lo scambio al vaglio del requisito della liceità. In entrambi i casi si afferma che la prestazione o il diritto devono poter essere lecitamente scambiati in termini economici: che ciò derivi dal requisito della patrimonialità o da quello della liceità ha, a fini pratici, poca importanza. In entrambi in casi ciò che rileva è che la prestazione o il diritto siano commerciabili, nel senso sopra descritto.
Si è dunque chiarito che la non patrimonialità, quando usata per escludere gli attributi della persona dall'ambito del contratto, significa incommerciabilità. Occorre a questo punto precisare meglio quali siano le conseguenze dell'asserita incommerciabilità degli attributi della persona.
Innanzitutto, non possono sorgere obbligazioni che abbiano ad oggetto prestazioni incommerciabili, in quanto l'oggetto dell'obbligazione deve, per definizione legislativa, avere contenuto patrimoniale e, in ogni caso, lecito. Se si ritiene che il nome di una persona sia incommerciabile, allora tale persona non può obbligarsi a permettere l'uso che terzi ne facciano, ma potrà solo con il suo consenso escludere l'illiceità di tale utilizzo secondo lo schema del consenso dell'avente diritto.
Sicuramente la persona non può obbligarsi a titolo oneroso, dato che l'incommerciabilità implica proprio l'inammissibilità di uno scambio di tipo economico da cui la parte derivi un arricchimento. Ma neppure può la persona obbligarsi a titolo gratuito: difatti, se la prestazione è incommerciabile, la stessa non può mai essere oggetto di obbligazione, sia che tale obbligazione
sia assunta a titolo gratuito, sia che sia assunta a titolo oneroso.
Passando dal piano delle obbligazioni e quello del contratto, non possono dunque essere conclusi contratti (né a titolo gratuito né a titolo oneroso) da cui sorgano obbligazioni che abbiano ad oggetto prestazioni incommerciabili. Né può il contratto trasferire o limitare diritti incommerciabili.
Da queste limitazioni rimane però fuori l'ipotesi in cui la prestazione incommerciabile sia dedotta in contratto non quale oggetto dell'obbligazione (che, si è visto, non sarebbe ammissibile), ma quale oggetto della condizione49. È questo il caso delle promesse condizionate ad una prestazione, che possono dar luogo ad un contratto con obbligazioni del solo proponente ex art. 1333 c.c.50.
Si prenda ad esempio il caso in cui A prometta a B di erogargli una cospicua somma qualora B doni il proprio rene ad A. La “donazione” del rene è sicuramente una prestazione incommerciabile e non può dunque costituire oggetto di un'obbligazione. In questo caso, infatti, B non si obbliga a donare un rene ad A, ma A si obbliga a erogare una certa somma a favore di B nel caso in cui questo avvenga. Si tratta dunque di chiarire se la promessa di A dia luogo ad un'obbligazione (e ad un contratto) validi. La risposta non può che essere negativa. Difatti, la circostanza che la donazione del rene sia dedotta in condicione e non in obligatione non vale ad
49 Si veda X. XXXXX, Promesse «condizionate» a una prestazione, in Riv. dir. comm., 1968, I, 440, il quale afferma che in alcuni casi in cui “l'obbligazione di tenere una certa condotta sarebbe nulla e renderebbe nullo il negozio” è invece “lecito mettere tale condotta in condicione”. In tema cfr. anche A. DI MAJO, Le promesse unilaterali, Milano, 1989, 8-12; X. XXXXXX, Contratto illecito e soluti retentio. L'art. 2035 cod. civ. tra vecchie e nuove
«immoralità», Napoli, 1995, 153 ss.; G.F. BASINI, La “promessa condizionata ad una prestazione”. Individuazione e ammissibilità della figura, Obbligazioni e contratti, 2008, 3, 200 ss. Si veda inoltre X. XXXXXXX, Promesse «condizionate» a una prestazione, in Rass. dir. civ., 1987, 347, il quale afferma che la promessa condizionata ad una prestazione da parte del promissario favorevole al promittente dà luogo ad un contratto con prestazioni corrispettive solo qualora il comportamento dell'oblato sia “suscettibile di valutazione economica”, altrimenti “saremo in presenza di un vero e proprio negozio unilaterale, obbligatorio o ad effetti reali, sottoposto ad una condizione in senso tecnico, che potrà essere, a seconda dei casi, potestativa o mista”.
50 La dottrina è divisa sulla possibilità di considerare le promesse condizionate ad una prestazione favorevole al promittente come contratti con obbligazioni del solo proponente. Per la tesi negativa si vedano X. XXXXX, Promesse «condizionate» a una prestazione, cit., 442; X. XXXXX, La promessa al pubblico, Milano, 1974, 236 (ma quest'ultimo solo con riferimento alle promesse al pubblico); X. XXXXXXXXX, Promesse unilaterali atipiche, in Riv. dir. comm., 1983, I, 378; X. XXXXXXX, Promesse «condizionate» a una prestazione, cit., 339, secondo cui l'art. 1333 non può applicarsi in caso di corrispettività delle prestazioni e, dunque, nel caso di promesse condizionate ad una prestazione si ha un'ipotesi di formazione del contratto ex art. 1326 c.c. (341); C. M. XXXXXX, Il contratto, in Diritto civile, III, 2ª ed., Milano, 2000, 261, il quale identifica tali fattispecie con l'offerta di un contratto a titolo oneroso. Per la tesi positiva si vedano X. XXXXXX, La condizione di inadempimento, Padova, 1996, 260 ss.;
C.A. XXXXXXXX, Le promesse unilaterali, in in AA. VV., Obbligazioni e contratti, t. 1, in Trattato di diritto privato, diretto da X. Xxxxxxxx, XX, Xxxxxx, 0000, 806 s.; X. XXXXX [e X. XX XXXX], Il contratto, I, cit., 268 ss.; X. XXXXX, Il contratto, cit., 582. In tema cfr. anche A. DI MAJO, Le promesse unilaterali, cit., 52; G.F. BASINI, Le promesse condizionate ad una prestazione e l'art. 1333, in Obbligazioni e contratti, 2008, 7, 584 ss.
evitare l'illiceità del contratto. L'ordinamento disapprova non solo il sorgere di un'obbligazione (a titolo gratuito o oneroso) che abbia ad oggetto una prestazione incommerciabile, ma anche, ed a maggior ragione, uno scambio tra la prestazione non commerciabile e un corrispettivo di tipo economico. E tale scambio si realizza non solo tramite il sorgere di reciproche obbligazioni, ma anche attraverso il meccanismo della promessa condizionata ad una prestazione favorevole per il promittente, in cui tale prestazione viene di fatto scambiata con la prestazione oggetto della promessa51. Pertanto, uno scambio economico che coinvolga una prestazione incommerciabile non è mai ammesso, a prescindere dallo schema negoziale attraverso il quale avvenga tale scambio.
Si consideri ora il diverso caso in cui la clinica presso cui si organizza una sperimentazione clinica promette a coloro che si sottopongano a tale sperimentazione di corrispondere loro un indennizzo volto a coprire le spese sostenute per la partecipazione. Anche in questo caso, la sottoposizione alla sperimentazione non è oggetto di obbligazione, ma costituisce l'evento dedotto in condizione. Qui tuttavia, a differenza che nel caso precedente, non vi è uno scambio tra la prestazione incommerciabile e un corrispettivo, ma si prevede soltanto un indennizzo per le spese sostenute per realizzare tale prestazione. I partecipanti alla sperimentazione non percepiscono un lucro per tale loro partecipazione, ma un mero rimborso delle spese sostenute. Qui la legge espressamente ammette lo corresponsione di un indennizzo52 e, dunque, si può dedurre che la promessa della clinica è valida e vincolante.
Da quanto sopra esposto emerge che le prestazioni incommerciabili, che non possono essere oggetto di obbligazione, possono invece entrare in un contratto con obbligazioni del solo proponente quale evento dedotto in condizione53, purché ciò non realizzi un illecito scambio tra la prestazione (incommerciabile) dedotta in condizione e quella dedotta in obbligazione e purché, ovviamente, tale ultima prestazione abbia invece carattere patrimoniale (dato che la prestazione oggetto dell'obbligazione deve essere commerciabile).
51 Sulla nozione e sul contenuto della “corrispettività condizionale” cfr. X. XXXXXX, La condizione di inadempimento, 239 ss. e la bibliografia ivi menzionata; X. XXXXXXX XXXXX XXXXX, Gratuità, liberalità e solidarietà. Contributo allo studio della prestazione non onerosa, Milano, 1998, 7 ss.
52 Il d. lgs. 24 giugno 2003, n. 211 all'art. 1 comma 5 vieta “di offrire, elargire o richiedere incentivi o benefici finanziari per la partecipazione dei soggetti alla sperimentazione clinica, ad eccezione delle eventuali indennità per il volontario sano. Ove il promotore della sperimentazione sia un soggetto pubblico, le indennità potranno essere concesse solo nei limiti degli stanziamenti di bilancio ad essi assegnati”. Sulla logica indennitaria in tema di sperimentazione clinica si veda X. XXXXXXXX, Aspetti civilistici della sperimentazione umana, Padova, 1983, 100 s.
53 In proposito cfr. X. XXXXXX, voce Prestazione (immoralità della), in Enc. giur. Treccani, XXVII, 9-10.
Così, ritornando all'ambito degli attributi immateriali della persona, se si ritiene che l'immagine sia un attributo incommerciabile e che, dunque, un soggetto non possa obbligarsi a consentire l'esposizione del proprio ritratto, non si potrà invece negare validità alla promessa di colui che si impegni a rimborsare al ritrattato le spese sostenute per recarsi dal fotografo.
Dunque, l'incommerciabilità (o non patrimonialità) della prestazione non comporta che ad essa non possano applicarsi logiche indennitarie, purché la stessa non formi oggetto di obbligazione54. La prestazione incommerciabile non potrà invece costituire oggetto di obbligazione, neppure se tale obbligazione è assunta a titolo gratuito.
Fin qui si è tentato di chiarire quale sia la nozione di patrimonialità utilizzata per escludere il contratto dall'ambito dei diritti della personalità e quali siano i contorni precisi di tale esclusione. Rimane ora da esaminare la fondatezza della tesi che esclude la patrimonialità, da intendersi quale commerciabilità, degli attributi immateriali della persona.
Tuttavia, come si è visto, la patrimonialità scolora in realtà in un requisito di liceità: in particolare, un rapporto può considerarsi patrimoniale se è lecito lo scambio economico della prestazione oggetto di tale rapporto. La categoria della patrimonialità non ha dunque un suo autonomo ruolo ai fini di escludere il contratto dall'ambito dei diritti della personalità, ma rimanda ad una valutazione sulla liceità dello scambio. Occorre dunque esaminare se l'ordinamento considera lecito un contratto attraverso il quale le parti commercializzano gli attributi immateriali della persona.
3. Sulla liceità del rapporto contrattuale
L'obiezione di fondo all'ingresso del contratto nell'ambito dei diritti della personalità – cui xxxxxx sostanzialmente riconducibili anche le altre obiezioni – attiene alla supposta illiceità di tutti i contratti che abbiano in qualche modo ad oggetto gli attributi della persona. In tale ottica, l'ordinamento disapprova la deduzione in contratto di tali attributi, il quale sarebbe dunque illecito.
È chiaro che tali contratti, se contrari a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume, sono nulli come qualunque altro contratto; diverso, tuttavia, è generalizzare una aprioristica
54 Beninteso, questo non esclude che in taluni casi l'ordinamento disapprovi anche uno scambio di tipo meramente indennitario. Tale disapprovazione non può però derivare dall'incommerciabilità della prestazione, ma da considerazioni attinenti la liceità (intesa in senso più ampio e di cui l'incommerciabilità è solo un aspetto) dell'operazione.
valutazione di illiceità a qualunque contratto che abbia in qualche modo ad oggetto i diritti della personalità.
La categoria dell'illiceità viene utilizzata in questo contesto al solo fine di escludere la validità di un contratto che abbia in qualche modo ad oggetto un diritto della personalità. L'illiceità è dunque riferita al contratto. L'illiceità non è invece riferita al comportamento di colui che lede il diritto della personalità con il consenso dell'avente diritto: anche se il contratto è illecito, il mero consenso del titolare del diritto può essere tuttavia idoneo a escludere l'antigiuridicità della condotta della controparte o, comunque, il dovere di quest'ultimo di risarcire i danni arrecati.
Sotto questo profilo, peraltro, si ravvisa uno scarto rispetto al diritto penale. In quest'ultimo ambito il consenso dell'avente diritto vale ad escludere la sanzione penale solo nel caso in cui il diritto sia disponibile, se invece si tratta di un diritto indisponibile l'antigiuridicità della condotta non è esclusa dal consenso della parte lesa55: ad esempio, è punito colui che uccide il consenziente, come anche colui che cagiona lesioni permanenti dell'integrità fisica seppure con il consenso dell'avente diritto. In altre parole, nel diritto penale l'indisponibilità di un diritto ha come effetto quello di escludere l'operare della scriminante del consenso dell'avente diritto. Nel diritto civile l'indisponibilità ha in generale come effetto quello di escludere la validità di un contratto (salvo le precisazioni svolte più avanti); non è invece sicuro se l'indisponibilità di un diritto sia o meno idonea a rendere illecita, con conseguente obbligo di risarcire i danni, la condotta di colui che lede tale diritto con il consenso del titolare dello stesso56. In altre parole, mentre l'indisponibilità di un diritto rende penalmente illecita la sua lesione pur se effettuata con il consenso del titolare, in ambito civile non è detto che il consenso dell'avente diritto non possa invece escludere il risarcimento dei danni.
Rimane da verificare (ma non è oggetto di quest’opera) se lo stesso ambito dei diritti indisponibili coincida dal punto di vista del diritto penale e di quello civile. Sembra infatti sicuro che alcuni diritti della cui disponibilità (nel senso di possibilità di farne oggetto di valido contratto) si discute nel diritto civile siano da considerare sicuramente come disponibili (nel senso che il consenso del titolare vale come scriminante) nel diritto penale.
55 Sul ruolo del consenso dell'avente diritto in ambito penale si veda X. XXXXXXX CAGLI, Principio di autodeterminazione e consenso dell'avente diritto, Bologna, 2008, passim e, in particolare sulla nozione di indisponibilità, 213 ss.
56 Cfr., ad esempio, Trib. Roma, 7 ottobre 1988, in Giust. civ., 1989, I, 1243-1245, che richiede un consenso esplicito per “discriminare” gli atti lesivi dell'onore della persona. In dottrina si veda X. XXXXXXXXX, voce Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 137-139, il quale pare ritenere che il consenso del titolare di un diritto indisponibile non sia idoneo a scriminare la condotta della controparte neppure in ambito civile.
Occorre chiarire l'affermazione secondo cui i contratti aventi ad oggetto i diritti della personalità sono illeciti, la quale risulta generica in quanto l'illiceità può riguardare diversi aspetti. È infatti necessario specificare che cosa esattamente sia illecito in un contratto avente ad oggetto un attributo della persona.
Sono possibili diversi piani di distinzione. Da un primo punto di vista, per così dire quantitativo, occorre specificare quale sia il grado di utilizzo contrattuale degli attributi immateriali della persona considerato illecito57. Da un punto di vista qualitativo, bisogna invece chiarire quale sia l'aspetto illecito di tale contrattualizzazione.
Per quanto riguarda il primo profilo, si suole dire che i diritti della personalità sono indisponibili. Si è già accennato alla ambiguità di tale termine. In senso più ristretto, indisponibilità significa impossibilità di trasferire a terzi e, come visto nel primo paragrafo, viene ricollegata all'impossibilità, nel caso dei diritti della personalità, di individuare un oggetto da poter alienare che sia esterno alla persona. Il termine indisponibilità è anche impiegato in maniera più generica, per indicare l'impossibilità di un qualunque tipo di deduzione in contratto – non solo nella forma di una vera e propria alienazione ma anche in quella di una mera limitazione di singole facoltà – del diritto qualificato come indisponibile.
Il termine indisponibilità può quindi assumere un duplice significato: innanzitutto, può indicare il divieto di trasferire il diritto a terzi in via definitiva; in secondo luogo, può invece riferirsi al divieto di dedurre in qualunque modo in via contrattuale l'attributo della persona. È chiaro che tale seconda accezione del termine indisponibilità pone un limite molto più stringente alla contrattualizzazione dei diritti della personalità, la quale viene del tutto impedita; adottando il primo significato residuano invece ampi spazi alla deduzione in contratto di tali diritti.
Pertanto, tutte le volte che si qualifica un diritto come indisponibile occorre indagare quale sia il significato cui ci si riferisce. Tale indagine è necessaria anche nel caso in cui sia lo stesso legislatore a prescrivere l'indisponibilità di un dato diritto. Talvolta è sufficientemente chiaro quale sia l'utilizzo vietato: ad esempio, nel caso del diritto all'integrità fisica, disciplinato dall'art. 5 c.c., l'ordinamento – salvo verificare quanto questa norma sia attuale e quanto vada riletta alla luce del principio di autodeterminazione58 – vieta qualunque tipo di utilizzo in via contrattuale
57 Per alcune riflessioni sui diversi gradi di disponibilità dei diritti considerati inviolabili, cfr. T. A. AULETTA, Riservatezza e tutela della personalità, Milano, 1978, 169 s. Cfr. anche X. XXXX-XXXXXXXXX, Profili negoziali degli attributi della personalità, cit., 559.
58 V., per tutti, X. XXXXX [e X. XXXX], Le persone fisiche e i diritti della personalità, cit., 120.
del proprio corpo che comporti direttamente una diminuzione permanente dell'integrità fisica. Altre volte, la portata del divieto non è univoca: si considerino, ad esempio, le norme che escludono l'alienabilità del diritto dell'autore (art. 22 l. 22 aprile 1941, n. 633) e dell'inventore (art. 63 d. lgs. 10 febbraio 2005, n. 30) al riconoscimento della paternità dell'opera o dell'invenzione. In tal caso si possono seguire due strade. Si può ritenere che i contratti con i quali si autorizza un terzo a dichiararsi padre dell'opera siano illeciti e conseguentemente ammettere la revocabilità in qualunque momento del consenso prestato dall'autore senza che il terzo possa lamentare alcunchè. Oppure si può sostenere che tali contratti siano validi ma che l'autore possa recedere ad nutum salvo l'obbligo di risarcire la controparte a titolo di inadempimento contrattuale59.
L'affermazione secondo cui i diritti della personalità sono indisponibili può dunque assumere gradazioni ben diverse l'una dall'altra e non esclude necessariamente la loro deduzione in contratto.
Al fine di valutare la fondatezza della valutazione di illiceità riferita alla disposizione (in qualunque accezione intesa) degli attributi della persona in via contrattuale, occorre individuare quali siano le norme imperative, i principi di ordine pubblico o quelli del buon costume che ostano a tale utilizzo. Non sembra invece corretto individuare la ragione dell'illiceità nella indisponibilità stessa dei diritti della persona: in caso contrario si cadrebbe nel ragionamento circolare secondo cui i contratti in ambito di diritti della personalità sono illeciti in quanto si tratta di diritti indisponibili e si tratta di diritti indisponibili in quanto una loro disposizione è illecita60. Xxxxx dunque esplicitate le ragioni poste alla base dell'illiceità della disposizione contrattuale degli attributi della persona. A tal fine pare utile effettuare un secondo tipo di distinzione, di tipo qualitativo, in merito a tale illiceità. Difatti, oltre a individuare quale sia il grado di disposizione illecito, occorre specificare quale sia l'aspetto vietato della contrattualizzazione dei diritti della
59 In tal senso, in merito agli accordi cd. di ghost writing, pare esprimersi X. XXXXXXX, Arbitrabilità delle controversie di diritto d'autore, in AIDA, 2006, 46-52. In tema si veda in senso difforme X. XXXXX, Rivendicazione della paternità, tutela della reputazione e ritiro dal commercio nel diritto di autore, in Dir. ind., 2012, 1, 60-62.
60 Cfr. V. METAFORA, Xxxxx revocabilità del consenso alla divulgazione del ritratto, in Dir. e giur., 1993, 623, il quale sottolinea come costituisca “una petizione di principio, indimostrata ed indimostrabile, che il diritto sul ritratto sarebbe, in quanto rientrante nella categoria dei diritti della personalità, indisponibili”; difatti, secondo l'Autore, la circostanza che la divulgazione del ritratto sia lecita se è presente il consenso dell'interessato dimostra in primo luogo che “l'ordinamento non considera la violazione del diritto sul ritratto al pari di una lesione che non può essere tollerata nemmeno se compiuta con il consenso del titolare”, in secondo luogo che “non può escludersi a priori che si creino rapporti obbligatori aventi ad oggetto il ritratto stesso” e, infine, che “l'ordinamento ritiene meritevoli di tutela le convenzioni ad esso relative”.
personalità.
È possibile individuare almeno due aspetti di illiceità: la commercializzazione dei diritti della personalità e l'assunzione di un vincolo obbligatorio che abbia ad oggetto gli stessi61.
In primo luogo, l'illiceità può essere riferita alla commercializzazione degli attributi della persona, cioè alla loro disposizione a titolo oneroso. In tal caso, l'ordinamento non disapprova una qualunque disposizione dei diritti della personalità, ma solo quella onerosa, da cui il disponente tragga un arricchimento: la disposizione gratuita è dunque lecita. Questo tuttavia non significa che la disposizione gratuita possa formare oggetto di contratto in quanto, come si è visto, a quest'ultimo fine è necessario che la prestazione possa essere lecitamente scambiata in termini economici e inserita nei circuiti di mercato. Ad esempio, l'ordinamento ammette entro certi limiti il trapianto di organi tra vivi, ma solo in via gratuita: la c.d. donazione di organi non può dunque costituire oggetto di contratto. Pertanto, affinché si possa parlare di contratto (lecito), è necessario che l'ordinamento ammetta la circolazione in via onerosa dell'attributo della persona considerato. È possibile che sia lecita la disposizione (in via gratuita) e non la commercializzazione, ma in tal caso non c'è contratto.
In altre parole: il divieto di commercializzazione è cosa diversa dalla indisponibilità, in quanto riguarda soltanto la disposizione a titolo oneroso. In via diretta, in presenza di un divieto di commercializzazione è illecito soltanto il contratto a titolo oneroso; tuttavia, tale divieto, facendo venir meno il requisito della patrimonialità, rende invalido qualunque contratto, seppure a titolo gratuito.
In secondo luogo, l'illiceità può essere riferita alla creazione del vincolo nascente dal contratto. Ad essere illecito, in questo caso, è il fatto in sé di vincolarsi, in quanto la persona non può coartare per il futuro l'esplicazione della propria personalità. Tale aspetto investe la più ampia questione della revocabilità del consenso prestato: è chiaro che quanto più ampia è la facoltà di revoca del consenso contrattuale, tanto minori sono le preoccupazioni circa la coartazione dello sviluppo della persona. In proposito occorre tuttavia chiedersi sino a che punto la facoltà di revoca sia compatibile con la sussistenza di un contratto; in via speculare, ci si può altresì
61 Cfr. F. FERRARA, Teoria del negozio illecito nel diritto civile italiano, Milano, 1914, 36, il quale osserva che “[u]n'azione può essere immorale in sé, in modo assoluto, e può diventare immorale, cioè originariamente lecita, assumere carattere riprovato, per speciali circostanze che vengono a modificarne la natura. Abbiamo allora un'azione immorale in senso relativo, in quanto essa non è intrinsecamente tale, ma fa svolgere una immoralità di relazione. La prestazione diventa immorale: o quando è soggetta ad una coazione giuridica incompatibile con la sua natura, o quando è posta in un rapporto causale con un compenso economicamente vantaggioso, che viene secondo i casi a deturpare o rendere sospetta e sfruttatoria la prestazione”.
domandare se vi siano limiti alla facoltà di revoca pur se si considera il consenso prestato come mero consenso dell'avente diritto. Tale questione sarà trattata più avanti. Basti solo qui anticipare che le preoccupazioni in ordine ad una possibile coartazione della personalità non necessariamente sono idonee, pur se fondate, a escludere il contratto dall'ambito del diritti della persona; in maniera più proficua, possono invece portare ad individuare una disciplina contrattuale che prenda in considerazione e tuteli tali istanze.
La valutazione di liceità riferita a tali due aspetti (la commercializzazione e l'assunzione del vincolo contrattuale) incide diversamente sulla possibilità di configurare un contratto: mentre a tal fine è necessario che gli attributi della persona possano essere lecitamente commerciati, non pare essere altrettanto necessario che sia lecito vincolarsi per il futuro con riferimento all'utilizzo di tali attributi. In altri termini, se effettivamente fosse illecita una qualunque commercializzazione degli attributi della persona, non potrebbe operare alcun contratto; se invece fosse illecito vincolarsi per il futuro circa lo sviluppo di un attributo della propria persona, la contrattualizzazione dei diritti della personalità non sarebbe necessariamente esclusa. L'ordinamento conosce bene figure di contratto in cui a uno o a entrambi i contraenti è consentito recedere dal vincolo precedentemente assunto: sulla questione, comunque, torneremo.
I due piani di distinzione, quantitativo e qualitativo, non escludono che divieti diversi possano incrociarsi. Ad esempio, nel caso del diritto all'integrità fisica, l'ordinamento ne disapprova una qualunque disposizione in via contrattuale, intesa in senso allargato, sia con riguardo alla commercializzazione – gli atti di disposizione eccezionalmente ammessi dalle leggi speciali devono essere a titolo gratuito –, sia con riguardo all'assunzione del vincolo – nel caso di atti di disposizione esplicitamente ammessi dalla legge, il consenso a tale disposizione è revocabile in qualunque momento.
Si può dire, in via approssimativa, che entrambe le ragioni di illiceità attinenti l'una al divieto di commercializzazione e l'altra a quello di assunzione di un vincolo obbligatorio, hanno lo scopo di proteggere la persona da se stessa, in un'ottica paternalistica62. In tale prospettiva, l'ordinamento non vuole che la persona possa “vendersi”. Vi sono tuttavia alcuni casi in cui la valutazione di illiceità è invece motivata dall'esigenza di proteggere interessi di terzi e della collettività in generale. Ad esempio, nel caso del divieto di disposizione del diritto alla paternità dell'opera,
62 In tema cfr. X. XXXXXXXXX, Il paternalismo del legislatore nelle norme di limitazione dell'autonomia dei privati, in Quadrimestre, 1993, 1, 119 ss.; X. XXXXXXXX, Paternalismo e antipaternalismo, in Riv. dir. civ., 2005, 6, passim e in particolare 777 s.
oltre all'esigenza di proteggere la persona da atti lesivi nei confronti di se stessa, è possibile ravvisare anche l'ulteriore necessità di tutelare la fede pubblica (si considerino, ad esempio, i casi di concorsi pubblici in cui viene valutata la produttività scientifica di un autore e la lesione che deriverebbe all'integrità di tali concorsi se fosse lecito disporre, in maniera più o meno ampia, del proprio diritto alla paternità dell'opera)63.
4. (segue) La commercializzazione degli attributi immateriali della persona
Tanto premesso in via generale sulla illiceità della contrattualizzazione dei diritti della personalità e tralasciando temporaneamente il profilo relativo alla revocabilità del consenso e alla coartazione dello sviluppo della persona, occorre ora individuare quali siano le norme imperative, i principi di ordine pubblico e quelli del buon costume che ostano alla disposizione degli attributi della persona e alla loro commercializzazione.
Per quanto riguarda le norme imperative, si è già accennato alla differenza che intercorre tra gli attributi immateriali della persona e quelli attinenti al corpo. Con riferimento a questi ultimi, l'art. 5 c.c. pone alcuni significativi limiti alla possibilità di disporre del proprio corpo. Inoltre, tutte le leggi speciali che hanno apportato una deroga a tale norma, nonché le fonti internazionali in materia, prescrivono la gratuità degli atti di disposizione del corpo. Senza soffermarsi sul contenuto e sulla ratio di tali disposizioni, è sufficiente sottolineare come, con riferimento al corpo, sussistono in effetti norme imperative che non solo ne limitano la disposizione ma che, soprattutto, ne escludono la commercializzazione. In tal modo si verifica un'esclusione di tali diritti dai circuiti di circolazione e disposizione in via contrattuale.
Non paiono invece sussistere norme imperative che pongono un divieto generalizzato alla disposizione o alla commercializzazione degli attributi immateriali della persona. Al contrario, vi sono indici normativi che presuppongono la liceità della deduzione in contratto e della commercializzazione di tali attributi: si considerino, ad esempio, le norme che ammettono la registrazione di un nome o di un ritratto come marchio (art. 8 d. lgs. 10 febbraio 2005, n. 30) e la sua successiva circolazione64, nonché le norme fiscali che sottopongono a tassazione i proventi
63 In tal senso v. X. XXXXXXXX, La tutela dell'affidamento tra accordi illeciti e contratti invalidi, in Riv. trim. dir. civ., 2014, 4, 1276.
64 In tema cfr. X. XXXXX, «Così è (se vi ap-pare)»: identificabilità della persona celebre e sfruttamento economico della notorietà, in Dir. Inf., 1997, 552-558; X. XXXXXXXXX, Lo sfruttamento commerciale della notorietà civile di nomi e di segni, Milano, 2004, passim. La registrazione di un nome o di un'immagine come marchio dà luogo al fenomeno del merchandising, su cui si veda X. XXXXXXX, Il contratto di merchandising nel diritto dei segni
derivanti da taluni sfruttamenti di attributi immateriali della persona65. Fondamentale è inoltre la disciplina industriale in tema di diritto d'autore e di invenzioni, la quale testimonia chiaramente che con riferimento ad una stessa situazione possono convivere aspetti sia economici che morali. Occorre effettuare alcune precisazioni sulla impostazione industrialista e sull'influenza che questa ha esercitato sullo sviluppo della riflessione dottrinaria in tema di diritti della personalità66. Come noto, in campo industriale il legislatore distingue in maniera apparentemente netta i diritti di tipo economico che sorgono dalla creazione di un'opera o di un'invenzione da quelli c.d. morali. Mentre i primi sono liberamente disponibili, la circolazione dei secondi subisce alcuni limiti, sino alla sopra menzionata inalienabilità del diritto alla paternità dell'opera e dell'invenzione. Vi sono tuttavia aree di interferenza tra le due tipologie di diritti e in alcuni casi è lo stesso legislatore a disciplinare le modalità di bilanciamento dei contrastanti interessi di tipo economico e di tipo morale: si consideri, ad esempio, la disciplina della facoltà di ritiro dal commercio dell'opera da parte dell'autore per gravi ragioni morali.
In ogni caso – ed in via approssimativa –, tale disciplina pare sufficientemente chiara nel distinguere ciò che può essere alienato e ciò che invece è indisponibile, delimitando in tal modo i limiti entro cui può operare l'autonomia contrattuale. D'altronde, l'ambito industriale è quello dove si sono sviluppate le prime consapevoli tensioni tra la circolazione economica di beni immateriali (le opere d'ingegno e le invenzioni) e la tutela di diritti della personalità (i diritti morali dell'autore e dell'inventore)67.
distintivi, cit., 270 ss. con riferimento al nome e 350 ss. con riguardo all'immagine.
65 Si vedano, ad esempio, l'art. 54, comma 1-quater, d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo unico delle imposte sui redditi), introdotto nel 2006, il quale stabilisce che “[c]oncorrono a formare il reddito i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all'attività artistica o professionale”; l'art. 43, comma 3, l. 27 dicembre 2002, n. 289 (Legge finanziaria per il 2003) il quale sottopone a contribuzione previdenziale parte dei compensi corrisposti a determinate categorie di lavoratori dello spettacolo “a titolo di cessione dello sfruttamento economico del diritto d'autore, d'immagine e di replica”. In tema cfr. X. XXXXX - X. XXXXXXXX, Dubbi sulla tassazione dei redditi da sfruttamento d'immagine dei calciatori professionisti, in Corr. Trib., 2010, 48, 3993 ss.; X. XXXXXXXX, L'Agenzia delle entrate interviene sulla cessione dei diritti di immagine, in Corr. Trib., 2009, 43, 3533 ss.; X. XXXXXXX, L'assoggettabilità a contribuzione previdenziale dei diritti d'autore, d'immagine e di replica: a proposito del terzo comma dell'art. 43 della legge finanziaria del 2003, in ADL, 2004, 1, 121 ss.
66 Si veda X. XXXXX, Diritti della personalità: problemi e prospettive, in Dir. inf., 2007, 6, 1046 s., laddove descrive come l'elaborazione dottrinale dei diritti della personalità ebbe origine dalla necessità di creare situazioni di esclusiva sui nuovi beni immateriali emersi a seguito della rivoluzione industriale, la cui disciplina andò a formare l'oggetto, per l'appunto, del diritto industriale.
67 Sul contributo fondamentale della dottrina tedesca alla distinzione tra beni immateriali e diritti della personalità si veda G. RESTA, Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 104 ss., laddove illustra e commenta il pensiero di Xxxxx Xxxxxx il quale “contrappone ai diritti che hanno ad oggetto i beni della personalità, fisici e incorporali, quelli che insistono sui beni immateriali esterni alla persona e suscettibili di oggettivizzazione” (p. 105); tale distinzione è alla base dei diversi modelli di circolazione delle due tipologie di diritti: “[m]entre i diritti su beni
Proprio l'evoluzione intervenuta in ambito industriale dimostra che lo sfruttamento commerciale degli attributi immateriali della persona è un fenomeno risalente. Come autorevolmente osservato, lo sfruttamento commerciale dei diritti della personalità ha preceduto le istanze di tutela di tali diritti, i quali nascono dunque come situazioni soggettive a contenuto patrimoniale68. Le tensioni tra sfruttamento economico della personalità e sua tutela si sono risolte attraverso l'individuazione di un ambito irriducibile di protezione della persona all'interno di situazioni precedentemente connotate in senso patrimoniale. In altre parole, l'emersione della tutela dei diritti della personalità ha limitato le possibilità di sfruttamento economico di tali beni individuando delle aree di illiceità.
Non deve dunque sorprendere che il paradigma industrialista – che distingue più o meno nettamente un contenuto economico da uno morale del diritto dell'autore e dell'inventore sulla propria creazione – sia stato da alcuni preso a modello per conformare l'intera disciplina dei diritti della personalità69. È stata così avanzata la proposta di individuare con riferimento a tutti i diritti della personalità di tipo immateriale un contenuto economico, liberamente alienabile, ed
immateriali, proprio perché insistono su beni esterni alla persona, sono perfettamente suscettibili di alienazione o trasferimento, gli Individualrechte si caratterizzano, al contrario, come diritti strettamente inerenti al soggetto ed a questi inscindibilmente correlati” (p. 109), con la precisazione che il “principio di inalienabilità dei diritti della personalità non implica, tuttavia, la loro completa sottrazione alla circolazione giuridica. […] Piuttosto, il rapporto di inerenza con la persona determina una restrizione dei limiti della disponibilità nonché, in molti casi, l'applicazione di una disciplina 'di garanzia' in funzione della particolare natura dei beni coinvolti” (pp. 110 s.).
68 In tal senso si veda la ricostruzione della nascita e dell'evoluzione della categoria dei diritti della personalità svolta da X. XXXXX, Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 41 ss. Secondo l'Autore, pp. 124-128, “[una delle caratteristiche salienti del processo di formazione della categoria dei diritti della personalità è costituita […] dalla costante interrelazione tra le istanze di natura ideale e gli interessi di tipo economico. Tutela della personalità e protezione del patrimonio non sono percepiti nel contesto culturale ottocentesco come obiettivi antitetici, ma svolgono, al contrario, una reciproca funzione legittimante: nell'agire economico viene ravvisata un'autentica forma di espressione della soggettività”. Rispetto a tale modello, “l'esperienza contemporanea appare connotata da una profonda ed insanabile discontinuità” in quanto è intervenuta una “sensibili accentuazione del profilo ideale di tali situazioni soggettive, ora assurte ad esempio paradigmatico delle c.d. situazioni esistenziali e contrapposte all'insieme dei diritti patrimoniali”; tale enfasi ha però “finito per eliminare dall'orizzonte teorico del giurista tutti i fenomeni di commistione tra persona e patrimonio, che pure sono al centro della vicenda genetica dell'istituto e rappresentano da sempre il metro della sua complessità. Oscuratasi la consapevolezza dell'intima 'ambiguità' della categoria, l'interprete si è trovato disarmato di fronte alla constatazione che quella visione
«eterea e quasi disincarnata» della soggettività assunta a fondamento del paradigma dominante dei diritti della persona, veniva battuta in breccia, giorno dopo giorno, dal processo di commodification degli attributi individuali, sia corporei, sia immateriali”. Per alcune riflessioni simili con particolare riferimento al contenuto patrimoniale del diritto all'immagine nell'ordinamento italiano cfr. X. XXXXXXXX, Il mito di Xxxxxxx e la giurisprudenza: a proposito del diritto sul proprio ritratto, in Riv. crit. dir. priv., 1990, 867 ss.
69 Per la tesi favorevole alla possibilità di scorporare un contenuto economico dai diritti della personalità cfr. X. XXXXX, Il «diritto» all'utilizzazione economica della propria popolarità, in Riv. dir. comm., 1988, I, 36; X. XXXXXXXXXXXX, Il diritto all'utilizzazione del nome e dell'immagine delle persone celebri, cit., 32 ss.; X. XXXX- ZENCOVICH, Profili negoziali degli attributi della personalità, cit., 595-597, il quale ritiene preferibile, seppure con talune riserve, l'impostazione industrialista rispetto a quelle reale e obbligatoria; X. XXXXXXXXXX, Diritti della personalità e «rights of publicity», in Riv. trim. dir e proc. civ., 1995, 1167.
uno morale, indisponibile. In quest'ottica il contratto avente ad oggetto il contenuto economico del diritto sarebbe lecito, mentre quello avente ad oggetto il contenuto morale sarebbe illecito.
A prescindere dalle critiche a tale impostazione c.d. dualista, interessa qui sottolineare che i diritti immateriali della personalità presentano sicuramente anche un contenuto economico e commercializzabile70. Le tradizionali affermazioni secondo cui lo sfruttamento economico di elementi della propria persona sarebbe di per sé lesivo dell'onore e del decoro – e pertanto contrario all'ordine pubblico – oppure comunque contrario al buon costume – in quanto sarebbe disdicevole e immorale trarre un arricchimento dall'utilizzo commerciale della propria personalità
– sono ormai superate e sconfessate sia dalla prassi sociale che dagli orientamenti della giurisprudenza.
È nota la diffusione di contratti che hanno ad oggetto l'utilizzo oneroso dell'immagine, del nome o di altri elementi evocativi dell'identità personale di individui più o meno noti. Tale diffusione ha portato alla tipizzazione sociale di questi contratti: a titolo esemplificativo si considerino i contratti di sponsorizzazione, di merchandising e di pubblicità71. A questi tipi contrattuali si
70 Sulla doppia natura dei diritti della personalità con particolare riferimento al paragone con l'impostazione industrialista cfr. G. RESTA, Il c.d. diritto all'utilizzazione economica dell'immagine tra autonomia negoziale e diritto alla concorrenza. Nota a Autorità garante della concorrenza e del mercato, 31 ottobre 1996, in Nuova giur. civ. comm., 1997, I, 721 ss. Sull'evoluzione dottrinale che ha portato al riconoscimento di un contenuto patrimoniale dei diritti della personalità cfr. T. M. UBERTAZZI, Il diritto alla privacy. Natura e funzioni giuridiche, Padova, 2004, 86 ss.
71 Su tali figure contrattuali si vedano, ad esempio, X. XXXXXXXX, Sponsorizzazione, in Contr. impr., cit., 251 ss.; M.
X. XX XXXXXXX, Xxxxxxxxxxxxxxxx x xxxxxxxxxxx, X, Xxxxxx, 0000, in particolare 155 ss. sul rapporto tra contratto di sponsorizzazione e tutela del diritto all'immagine; X. XXXXXXXX - X. XXXXX - X. XXXXXXXXXX, Sponsorizzazione, merchandising, pubblicità, Torino, 1993, in particolare pp. 71-75 sugli obblighi, qualificati come contrattuali, assunti dallo sponsee e dallo sponsor nel contratto di sponsorizzazione con riferimento all'utilizzazione dell'immagine e pp. 132-134 sull'atteggiamento della giurisprudenza italiana sulla sussistenza del right of publicity negli accordi di merchandising. Sulle varie tipologie di contratti di pubblicità cfr. X. XXXX, I contratti della pubblicità, Torino, 1999, 123 ss.; sul contratto di merchandising cfr. X. XXXXXXX, Il contratto di merchandising nel diritto dei segni distintivi, cit., passim; X. XXXXXXXX, La notorietà della persona da interesse protetto a bene giuridico, cit., 201 ss. Per una raccolta di clausole contrattuali aventi ad oggetto attributi immateriali della personal cfr. P. TESTA, Pubblicità, diritto d'autore, diritto all'immagine: una ricerca sul materiale contrattuale, in AIDA, 1994, 98 ss. Interessante è il caso dello sfruttamento dell'immagine degli atleti professionisti, sui cui cfr. X. XXXXXXX, Contratto di lavoro e «beni immateriali», Padova, 2002, 213 ss. In giurisprudenza x. Xxxx. xxx. xxx. X, 00 ottobre 1997, n. 9880, in Resp. civ. e prev., 1998, II, 1063-1067, con nota di
A. DASSI, La natura atipica del contratto di sponsorizzazione, 1067-1070, in cui la Corte, riconoscendo la validità di un contratto di sponsorizzazione, afferma la “piena patrimonialità ai sensi dell'art. 1174 c.c. di una tale obbligazione, rectius dell'oggetto di siffatta obbligazione, perché una tale commercializzazione del nome e dell'immagine personale si è affermata nel costume sociale, fino a divenire una possibilità del tutto normale. Tant'è che, come questa Suprema Corte ha avuto modo di precisare, i compensi di tali attività di sponsorizzazione compongono l'imponibile di una società sportiva”; Cass. 21 maggio 0000, x. 0000, xx Xxxxx. xxx., 0000, XX, 0000- 0000; Cass., 28 marzo 2006, n. 7083, reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx; Cass., 29 maggio 2006, n. 12801, in Resp. civ. e prev., 2007, III, 554-558, con nota di X. XXXXXXXX, Un leading case della Cassazione in materia di sponsorizzazione: l'importanza della correttezza dello sponsee.
aggiungono quelli di scritturazione artistica (teatrale, cinematografica, televisiva)72: qui potrebbe invocarsi la natura artistica della prestazione contrattuale per escluderne l'illiceità ma non si può negare che anche in questi casi si ha un vero e proprio sfruttamento commerciale degli attributi della persona.
La stessa giurisprudenza – che a livello declamatorio nega solitamente la natura contrattuale del consenso allo sfruttamento degli attributi immateriali della propria persona – riconosce esplicitamente che i diritti della personalità hanno un contenuto anche patrimoniale. Proprio le pronunce giurisprudenziali sono testimoni dell'evoluzione del costume e della sensibilità sociale in materia73.
In un primo momento, la giurisprudenza pareva ritenere – per lo meno a livello declamatorio – in sé lesiva dell'onore, del decoro e della reputazione la commercializzazione degli attributi immateriali della persona74. Tuttavia, tale affermazione era esclusivamente strumentale a giustificare l'inibitoria o il risarcimento in casi in cui lo sfruttamento non era autorizzato o comunque fuoriusciva dai limiti dell'autorizzazione.
Tali motivazioni, spesso riguardanti casi che coinvolgevano personaggi famosi, erano anche in parte dovute alla particolare disciplina del diritto all'immagine delle persone notorie, i cui ritratti possono, entro i limiti posti dall'art. 97 l. 22 aprile 1941, n. 633, essere utilizzati da terzi anche senza il consenso del ritrattato, purché, per l'appunto, non vi sia una lesione del decoro, della
72 In tema cfr. X. XXXXXXXXX, voce Lavoro artistico, in Enc. giur., XVIII, Roma, 1990, 1-6; X. XXXXXXXX, La notorietà della persona da interesse protetto a bene giuridico, cit., 158-161.
73 Per un'efficace sintesi di tale evoluzione giurisprudenziale si veda X. XXXXXXX, Questioni in tema di regime giuridico dello sfruttamento commerciale dell'immagine, nota a Cass. civ. sez. I, 16 aprile 1991, n. 4031, in Nuova giur. civ comm., 1992, I, 54 ss.
74 Cfr. Trib. Torino, 7 aprile 1954, in Riv. dir. comm., 1955, II, 187, con nota di X. XXXXXXXXXX, In tema di diritto all'immagine, in cui la Corte afferma che in certi casi la riproduzione non autorizzata di un'immagine a scopo pubblicitario può comportare “una menomazione della considerazione o della stima o del decoro della persona ritrattata sia per il fatto stesso dell'adattamento della sua immagine a servizio di speculazione commerciale, sia per la probabile supposizione altrui che il ritrattato abbia accondisceso a fare commercio delle proprie sembianze a fine di lucro, il che potrebbe, in alcune ipotesi, apparire poco dignitoso o decoroso od addirittura ingiurioso”, con la precisazione, tuttavia, che lesione non ricorre sempre e automaticamente in tutti i casi di sfruttamento pubblicitario; App. Milano, 30 novembre 1954, in Foro it., 1955, I, 559-564, con nota di A. DE CUPIS; Trib. Milano, 12 aprile 1956, in Giur it., 1956, I, 2, 572-576, che affronta un caso di utilizzo pubblicitario non autorizzato del ritratto di un soggetto non noto, affermando che “l'asservimento dell'immagine alla speculazione pubblicitaria, ingenerando inevitabilmente nei lettori l'opinione che la persona ritratta abbia accondisceso a lucroso commercio delle proprie sembianze, involg[e] per ciò stesso una menomazione del decoro. La potenzialità pregiudiziale di tale opinione va ovviamente commisurata ad un concetto di «decoro» inteso alla stregua della mentalità dominante, e variabile in funzione della peculiarità dell'interessato”; App. Roma, 22 giugno 1957, in Dir. aut., 1958, 420-428. In dottrina si veda X. XXXXXXX, I diritti della personalità nel diritto industriale, cit., 162.
reputazione o dell'onore di quest'ultimo75. La giurisprudenza, pertanto, trovava inizialmente più agevole tutelare i soggetti famosi facendo leva sulla lesione dell'onore, della reputazione e del decoro degli stessi, più che sul loro diritto alla riservatezza76.
Tale ragionamento poteva tuttavia essere sostenuto solo fintantoché lo sfruttamento commerciale degli attributi immateriali della persona costituiva un fenomeno eccezionale. Il crescente utilizzo a scopi di lucro degli attributi della persona da parte degli stessi personaggi famosi, che acconsentivano a tale uso e ne traevano profitti, dimostrava che la commercializzazione di elementi evocativi dell'identità personale non era di per sé sola lesiva né dell'onore né del decoro degli interessati.
Una volta esclusa tale intrinseca potenzialità lesiva, la giurisprudenza ha seguito un duplice percorso che ha condotto al riconoscimento di un vero e proprio diritto allo sfruttamento economico degli attributi immateriali della persona.
Da un lato, le corti, che non potevano ignorare la crescente diffusione dello sfruttamento commerciale della personalità, si sono premurate di chiarire che titolare del diritto a tale sfruttamento, di tipo chiaramente patrimoniale, è solo il diretto interessato77. Ogni individuo,
75 Sulla “riscrittura” dell'art. 97 l. 22 aprile 1941, n. 633 da parte della giurisprudenza si veda X. XXXXX, Diritti della personalità e diritti patrimoniali sull'identità della persona, in X. XXXX (a cura di), I precedenti – La formazione giurisprudenziale del diritto civile, Torino, 2000, 179 ss.
76 Cfr. Trib. Roma, 14 settembre 1953, in Foro it., 1954, I, 115-133, con nota di X. XXXXXXXX, Il preteso diritto alla riservatezza e le indiscrezioni cinematografiche. Sui rapporti tra diritto all'immagine, diritto alla riservatezza e diritto all'onore cfr. X. XXXXX, Revocabilità del consenso alla divulgazione del ritratto?, nota a Xxxx. Roma, 13 novembre 1967, in Giust. civ., 1968, I, 162 s.
77 App. Milano, 11 luglio 1936, in Dir. aut., 1937, 64-70; Trib. Torino, 7 aprile 1954 cit., in cui i giudici affermano che “[s]e il diritto all'immagine ha, invero, un contenuto non solo morale, ma altresì patrimoniale, dato questo ultimo dalla possibilità di sfruttamento economico dell'immagine stessa, è logico e naturale che di tale possibilità di sfruttamento abbia a beneficiare il titolare del diritto”; Trib. Torino, 2 gennaio 1956, in Riv. dir. ind., 1956, II, 261-266, con nota di X. XXXXXXXX Diritto all'immagine e notorietà dell'effigiato; Cass. civ. s.u., 31 gennaio 1959,
n. 295, in Foro it., 1959, I, 200, con nota di A. DE CUPIS, in cui la Corte non parla espressamente di diritto allo sfruttamento patrimoniale dei diritti della personalità ma, censurando l'utilizzo non autorizzato dell'immagine di un personaggio politico a scopi pubblicitari, ritiene sussistente un “diritto di ciascuno alla libera ed esclusiva disposizione della propria immagine”, senza fare invece alcun riferimento alla lesione dell'onore, del decoro o della reputazione del ritrattato; Cass. civ. sez. I, 10 novembre 1979, n. 5790, in Giust. civ., 1980, I, 1372-1378, con nota di X. XXXXXXXX, In tema di utilizzazione dell'immagine di persone note, in cui la Corte afferma che “Se anche deve convenirsi che il diritto alla tutela della propria immagine è un diritto della personalità e non un diritto patrimoniale su di essa (come pure è stato classificato da una parte della dottrina) e può farsi rientrare, quindi, nel più onnicomprensivo diritto alla riservatezza, ciò non toglie che un siffatto diritto sia pur sempre
«disponibile» - e quindi commerciabile – da parte del suo titolare, quando il disporne non costituisca atto illecito per contrarietà al buon costume, in quanto libertà di disposizione implica anche libertà di commercio, salvo che la legge non lo vieti espressamente. [...] Xxxxxx, se si considera che – come già accennato – il senso morale della società contemporanea non biasima colui che, in base ad una valutazione d'ordine personale, s'induce al parziale sacrificio del suo riserbo per un corrispettivo economico – (tale soggetto, come è stato giustamente rilevato da uno studioso in materia, non raccoglie un tributo d'ammirazione, ma non è nemmeno colpito oggi da un giudizio d'immoralità_ - deve necessariamente concludersi che il diritto di esclusiva sulla propria immagine sia tutelato
secondo tale interpretazione, ha il diritto, da un lato, di tenere riservati gli attributi della propria persona, dall'altro, di commercializzarli al fine di trarne un'utilità economica. Tale ragionamento è stato dunque utilizzato in via primaria per escludere che altri soggetti oltre al titolare del diritto della personalità possano trarre vantaggi economici dallo sfruttamento di tale diritto. Di riflesso, questa interpretazione ha avuto l'ulteriore effetto di ammettere la liceità di tale sfruttamento. Tale ragionamento presenta evidenti analogie con l'impostazione degli ordinamenti di common law, che distinguono i privacy rights dai publicity rights78.
Dall'altro lato, la giurisprudenza si è occupata del risarcimento dei danni patiti dai soggetti i cui attributi erano stati illecitamente utilizzati da terzi non autorizzati e ha qualificato tali danni come patrimoniali. In particolare, la giurisprudenza ha utilizzato la tecnica del c.d. prezzo del consenso per quantificare il risarcimento, che viene fatto coincidere con il corrispettivo che il soggetto leso avrebbe ottenuto nel caso in cui avesse autorizzato lo sfruttamento degli attributi della propria persona79. Il danno patito dal soggetto viene talvolta esplicitamente identificato con il ridursi del
nel nostro ordinamento in tutti i suoi possibili riflessi, non soltanto morali ma anche patrimoniali, siano essi de damno vitando ovvero de lucro captando, consistano, cioè, in una perdita ovvero semplicemente in un mancato guadagno e, quindi, non soltanto quando l'interesse pratico contingente del titolare sia quello che la sua immagine non sia riprodotta in nessun caso, ma anche quando, come nella specie, tale interesse sia, invece, quello di ricevere un compenso in moneta come corrispettivo per il consenso che «si offre di prestare», cioè per l'atto di disposizione del proprio diritto personale”; Trib. Monza, 29 marzo 1990, in Foro it., 1991, I, 2862-2863, 2875- 2884, che tratta la questione sotto la particolare lente della protezione della prestazione artistico-professionale del ritrattato, affermando che ciascuno ha il diritto di “disporre dei risultati della propria attività lavorativa e delle proprie prestazioni in generale”; Cass. civ. sez. I, 2 maggio 1991, n. 4785, in Giust. civ., 1992, I, 2831-2836, in cui la Corte giunge ad affermare che il consenso allo sfruttamento della propria immagine “si concreta assai spesso in una manifestazione di volontà contrattuale, ove alla obbligazione di pati che sorge in capo al ritrattato da riscontro una obbligazione a contenuto patrimoniale in capo alla controparte”; Cass., 10 giugno 1997, n. 5175, in Foro it., 1997, I, 2920-2926, con nota di X. XXXXXXXXX; Cass., 1 dicembre 2004, n. 22513, in Danno e resp., 2005, 969-970, con nota di X. XXXXXX; Cass. civ. sez. I II, 16 maggio 2008, n. 12433, in Giust. civ., 2009, III, 706- 709, con nota di X. XXXXXXX; Trib. Roma sez. I, 27 aprile 2012, n. 8521, reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx.
78 Sui publicity rights si vedano, ad esempio X. XXXXXXXXXX, La povertà dei «sosia » e la ricchezza delle
«celebrità»: il «right of publicity» nell'esperienza italiana, in Dir. inf., 1988, 129 ss.; A. M. XXXX, Il Right of publicity nell'esperienza nordamericana, in Contr. impr., 1996, 82 ss.; X. XXXXX, Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 203 ss.
79 Trib. Roma, 14 settembre 1953, cit., il quale riconosce il diritto al risarcimento dei danni patiti a causa dell'impossibilità di cedere ad altri dietro compenso il diritto di sfruttamento degli attributi immateriali della persona, seppure contrastando in tal modo con le premesse posta nelle stessa sentenza; Trib. Torino, 7 aprile 1954 cit.; Trib. Torino, 2 gennaio 1956, cit.; App. Milano, 16 maggio 1989, in Foro it., 1991, I, 2861-2862, 2864-2875;
Cass. civ. sez. I, 2 maggio 1991, n. 4785, cit.; Trib. Roma, 20 luglio 1991, in Dir. inf., 1992, 88-96; Cass. civ. sez. I, 6 febbraio 1993, n. 1503, in Giust. civ., 1994, I, 229-231, con nota di X. XXXXXXX, Ma non «gli è tutto da rifare», secondo cui in caso di utilizzazione non autorizzata di un immagine di un personaggio notorio può “presumersi un danno di natura patrimoniale, ricollegabile alla impossibilità di offrire il proprio ritratto per la pubblicità, una volta che a tal fine sia stato da altro utilizzato, ovvero al ridursi del valore commerciale (che è di norma proporzionale alla rarità d'uso) dell'immagine”; Cass., 11 ottobre 1997, n. 9880, cit.; Trib. Milano, 15 aprile 2000, in Giur. milanese, 2000, 316; Cass. civ. sez. I II, 16 maggio 2008, n. 12433, cit.; Cass. civ. sez. III, 6 maggio 2010, n. 10957, reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx; Cass. civ. sez. III, 11 maggio 2010, n. 11353,
valore commerciale della propria immagine, che è di norma proporzionale alla rarità dell'uso80. È pur vero che tale tecnica risarcitoria è stata utilizzata, secondo molti, non tanto per riconoscere ai diritti della personalità un contenuto patrimoniale, quanto per superare le tradizionali strettoie al risarcimento del danno non patrimoniale81. Resta tuttavia il fatto che in tal modo la giurisprudenza ha riconosciuto la liceità della commercializzazione della personalità: difatti è chiaro che non sarebbe possibile risarcire i danni dovuti alla mancata possibilità per l'interessato di commerciare egli stesso i propri attributi personali se tale utilizzo fosse illecito. In ogni caso, la giurisprudenza ha continuato a riconoscere il diritto al risarcimento di danni di tipo patrimoniale anche successivamente alla caduta dei tradizionali limiti al risarcimento dei danni non patrimoniali. Accanto al risarcimento dei danni non patrimoniali viene dunque ammesso anche quello dei danni patrimoniali, a ulteriore dimostrazione di come la liceità della commercializzazione degli attributi immateriali della persona non sia ormai più messa in discussione82.
Non è dunque possibile sostenere che l'utilizzo e la commercializzazione degli attributi immateriali della persona siano di per sé illeciti, né è stato fatto alcun serio tentativo in proposito. Questo tuttavia non significa che ogni utilizzo di tali attributi sia lecito: è chiaro che anche in questo campo operano i consueti limiti di liceità. In altri termini, dire che non è illecita la
reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx; Trib. Trieste, 25 gennaio 2011, in Dir. aut., 2011, 119-121. In dottrina cfr.
X. XXXXXXXX, Il prezzo del consenso (mancato): il danno da sfruttamento dell'immagine e la sua liquidazione, in Dir. inf., 1992, 575 ss. Per un'analisi delle strade alternative alla tecnica del prezzo del consenso per risarcire i danni patrimoniali patiti a seguito dell'uso non autorizzato di attributi immateriali della persona cfr. X. XXXXXXXXXX, Diritti della personalità e «rights of publicity», cit., 1171 ss.; in ottica comparatistica, X. XXXXXXX, L'utilizzazione economica della celebrità: right of publicity e dintorni, in Quadr., 1991,764-772.
80 Così, ex multis, Cass. civ. sez. I, 6 febbraio 1993, n. 1503, cit.
81 In tal senso, cfr. X. XXXXXXXXXX, voce Personalità (diritti della), cit., 394. Sulle varie tecniche di risarcimento dei danni patiti a seguito di violazione dei diritti della personalità si vedano T. A. AULETTA, Riservatezza e tutela della personalità, cit., 156 ss.; X. XXXXXXXXXXXX, Appunti sul danno da illecita utilizzazione economica dell'immagine altrui, in Dir. inf., 1991, 589 ss; X. XXXXXXXX, Il prezzo del consenso (mancato): il danno da sfruttamento dell'immagine e la sua liquidazione, in Dir. inf., 1992, 575 ss; P.G. MONATERI, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile diretto da X. Xxxxx, III, Torino, 1998, 431 ss.; X. XXXXXXXX, Le persone fisiche, Torino, 2012, 154 ss.
82 Tale riconoscimento viene fatto in maniera esplicita esplicita dalla giurisprudenza: cfr. Cass. civ. sez. I, 10 novembre 1979, n. 5790, cit.; Cass. civ. sez. I, 16 aprile 1991, n. 4031, cit., secondo cui “[i]l consenso alla divulgazione del proprio ritratto, almeno per quanto riguarda una certa categoria di persone, si concreta, normalmente, in un vero e proprio negozio avente per oggetto un pati in funzione di una controprestazione a carattere patrimoniale. Codesti negozi sono diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico. Salve le ipotesi di pubblicazione del ritratto in circostanze tali per cui possa profilarsi una lesione al decoro o alla reputazione (si tratta in questi casi di beni non patrimoniali del tutto indisponibili sì che relativamente ad essi si potrebbe parlare solo di consenso dell'avente diritto, sempre revocabile), non è più in discussione la compatibilità di negozi aventi per oggetto l'utilizzazione altrui di un proprio ritratto con i principi del buon costume”; Cass., 11 ottobre 1997, n. 9880, cit.
deduzione in contratto dei diritti della personalità non significa escludere tali contratti dal vaglio di liceità. Si tratta allora di approfondire quale sia il limite all'autonomia privata oltre il quale tali contratti sono illeciti83.
L'impostazione dualista, che separa un contenuto economico da uno morale all'interno dei diritti della personalità, non aiuta in realtà a individuare i contratti leciti e quelli illeciti. Non viene infatti specificato come distinguere il contenuto patrimoniale, liberamente disponibile, da quello morale, inalienabile. Peraltro, si dubita che tale distinzione sia possibile, data la continua interferenza tra i vari profili, oltre che opportuna, in quanto si rischierebbe di perdere di vista tali interferenze84. Tuttavia, proprio il modello industrialista consente di rilevare come i diritti della personalità abbiano un contenuto complesso e composito, in cui convivono aspetti sia morali che patrimoniali. Di conseguenza, se non si può ravvisare un divieto generalizzato alla contrattualizzazione dei diritti della personalità dato il contenuto anche patrimoniale degli stessi, occorre tuttavia misurare il limite a tale contrattualizzazione, a tutela del contenuto morale di tali diritti.
Tale limite presenta diversi gradi di intensità. Talvolta, il contenuto anche morale dei diritti della personalità impone l'applicazione di una disciplina contrattuale consona all'oggetto dei contratti in questione (con conseguente illiceità non del contratto in sé, ma solo di un contratto incompatibile con tale disciplina)85. In altri casi, invece, il limite dovuto al contenuto morale di tali diritti vieta tout court la loro deduzione in contratto.
La giurisprudenza, laddove apertamente ammette la contrattualizzazione dei diritti della personalità, esclude tuttavia tali negozi nel caso in cui l'utilizzo dell'attributo immateriale della persona sia lesivo dell'onore, della reputazione o del decoro dell'interessato86. In tal caso il
83 In tema si veda X. XXXX-XXXXXXXXX, Profili negoziali degli attributi della personalità, cit., 568-570.
84 In tal senso si veda G. RESTA, Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 239-247, che esclude “l'idea di una netta divaricazione tra la dimensione 'ideale' e la dimensione 'patrimoniale'” e propone invece di ricostruire il diritto della personalità come “diritto a struttura duplice e contenuto complesso”, con un nucleo personale ed uno patrimoniale. Cfr. anche M. A. XXXXXXXX, Autonomia negoziale e diritto all'immagine, Napoli, 2000, 161-166, la quale ritiene “opportuno evitare di far riferimento tout court alla normativa in tema di contratti o alla prospettiva industrialista onde conferire adeguato rilievo ai profili esistenziali pur sempre in gioco, senza peraltro ignorare o sacrificare del tutto quelli di carattere economico”; A. ORESTANO, Immagine, persona e relazioni di mercato, in Riv. crit. dir. priv., 1991, 920 ss. Nello stesso senso, con riferimento al diritto d'autore, v. X. XXXXX, Evoluzione storica del diritto di ritiro dell'opera dal commercio, in Dir. aut., 2002, 3, 232 s.
85 Si allude, in particolare, alle regole di interpretazione e di recesso da applicarsi ai contratti aventi ad oggetto attributi immateriali della persona, esaminate da G. RESTA, Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 276 ss., e su cui torneremo.
86 In tal senso Cass. civ. sez. I, 16 aprile 1991, n. 4031, cit., in cui tale affermazione non costituisce, tuttavia, la
ratio decidendi. In dottrina v. A. DE VITA, Delle persone fisiche. Sub art. 10, in Commentario del codice civile
consenso del titolare del diritto può solo essere qualificato quale consenso dell'avente diritto, sempre revocabile. Lo stesso interessato non può dunque utilizzare e commercializzare gli attributi immateriali della propria persona in una maniera tale che ne gliene derivi una lesione dell'onore, del decoro o della reputazione87.
Occorre tuttavia sottolineare che la giurisprudenza nostrana ha raramente richiamato tale limite al fine di escludere la sussistenza di un contratto avente ad oggetto gli attributi della persona. Ciò non deve stupire, e si spiega con la resistenza ad ammettere espressamente la sussistenza di un contratto nella nostra materia. Ciò porta a parlare in tutti i casi – che siano o meno lesi l'onore, il decoro o la reputazione – di mero consenso dell'avente diritto.
Mentre la giurisprudenza parla di decoro, onore e reputazione, la dottrina fa riferimento al concetto di dignità come principio di ordine pubblico che non può essere derogato dall'autonomia privata88. Qualunque utilizzo si faccia degli attributi immateriali della propria personalità, non è in ogni caso lecito acconsentire alla lesione della propria dignità. Talvolta non si fa direttamente riferimento al concetto di dignità, ma si parla di integrità morale89 o di “valore morale, etico e sociale della persona”90. Si precisa che con gli accordi che hanno ad oggetto gli attributi della persona non si dispone della persona ma semplicemente di singoli aspetti patrimoniali afferenti alla stessa; anche la giurisprudenza afferma che si dispone non del diritto della personalità ma del
Scialoja-Branca, Roma-Bologna, 1988, 596 ss.
87 In tale ottica, dunque, è possibile ritenere che il diritto all'onore, al decoro e alla reputazione sia l'unico tra i diritti immateriali della personalità ad essere indisponibile, oppure considerare l'onore, il decoro e la limitazione come espressione del limite dell'ordine pubblico nell'ambito dei diritti della personalità. Sul diritto all'onore, al decoro e alla reputazione si veda, ad esempio, X. XXXX-ZENCOVICH, Onore e reputazione nel sistema del diritto civile, Napoli, 1988, in particolare 97 ss. e 364 ss.
88 Cfr. X. XXXXXX, Persona, riservatezza, identità. Prime note sistematiche sulla protezione dei dati personali, in Riv. crit. dir. priv., 1997, 595; G. RESTA, La disponibilità dei diritti fondamentali e i limiti alla dignità (note a margine della Carta dei Diritti), cit., 817 ss.; X. XXXXX, Dati personali e situazioni giuridiche soggettive, cit., 174 s.; X. XXXXXXX, Dignità e autonomia privata, in Pol. Dir., 2003, 1, 59; X. XXXXXXXXX, voce Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 146; X. XXXXXXX XXXXX XXXXX, xxxx Xxxxxxxxxxx (xxxxxxxxxxxxx xxxxx), xxx., 00-00;
X. XXXXXX, Identità personale e 'atti di disposizione della persona', in Nuova giur. civ. comm., 2008, 7-8, 211 ss. In generale sul concetto di dignità si veda X. XXXXXXXXXX, La dignità umana come concetto e valore costituzionale, Torino, 1987, passim; X. XXXXX, Dati personali e situazioni giuridiche soggettive, cit., 174 s. Di dignità come limite all'autonomia contrattuale parla anche l'Autorità garante per la protezione dei dati personali: si veda il comunicato stampa del 27 luglio 2006, reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx, relativo al progetto di un reality show da realizzarsi tramite riprese televisive all'interno delle carceri, in cui il Garante afferma che “consenso degli interessati è importante, ma non è di per sé sufficiente”.
89 Così X. XXXXXXXXX, voce Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 147, che considera equivalenti l'integrità morale, da un lato, e l'onore e la reputazione, dall'altro.
90 Così, ad esempio, X. XXXXXXX, Strategie contrattuali del consenso al trattamento dei dati personali, in Riv. crit. dir. priv., 1999, 174.
suo esercizio91.
Senza approfondirne il contenuto, al solo e limitato fine di indicare quale sia il limite di liceità dei contratti aventi ad oggetto gli attributi immateriali della persona, le nozioni di onore, reputazione e decoro, da un lato, e di dignità, dall'altro, sembrano largamente coincidenti. Esse evocano un limite elastico ed ambiguo92, il cui contenuto è di carattere incerto. Non è questa la sede per approfondirne i contorni. Basti solo dire che tale limite corrisponde alla principale applicazione del principio di ordine pubblico nella nostra materia, il cui rispetto deve essere verificato caso per caso.
Oltre al limite dell'ordine pubblico, opera chiaramente anche quello del buon costume. Anche il rispetto di quest'ultimo deve essere verificato volta per volta. Come noto i confini tra ordine pubblico e buon costume non sono netti: questo si percepisce chiaramente nel campo dei diritti della personalità. La dignità e il decoro sono infatti concetti che rientrano anche nell'area del buon costume93, senza tuttavia esaurirla94.
Non si vuole qui indagare sull'esatto contenuto dei limiti all'autonomia privata in sede di contrattualizzazione degli attributi immateriali della persona, bensì solo evidenziare che tutti tali limiti attengono al campo della liceità95. Tutte le obiezioni mosse contro l'ingresso del contratto
91 Secondo la massima ricorrente a partire da Cass. civ. sez. I, 17 febbraio 2004, n. 3014, reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx. Nello stesso senso in dottrina si vedano, ad esempio, X. XXXX-XXXXXXXXX, Profili negoziali degli attributi della personalità, cit., 574, che individua “l'oggetto del negozio nella prestazione più che nell'attributo”; X. XXXXXXXXX, voce Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 139.
92 Sul contenuto ambiguo del concetto di dignità si veda G. RESTA, La disponibilità dei diritti fondamentali e i limiti alla dignità (note a margine della Carta dei Diritti), cit., 825-829, 833, il quale sottolinea che la “[d]ignità è nozione che può avere una forte carica emancipatoria, anche e soprattutto nel senso del rafforzamento dei diritti sociali degli individui, ma che nello stesso tempo può essere impiegata, con argomentazioni apodittiche, per determinare una pesante restrizione dei diritti di libertà altrui”. Difatti, “[s]e la dignità viene ricostruita come uno degli attributi della libertà […], la persona potrà invocare il rispetto della propria dignità nei confronti di tutte le violazioni apportate dai terzi, mentre il principio di dignità non potrà a sua volta esserle opposto al fine di circoscrivere la sua sfera di libertà. […] Viceversa, se è la libertà ad essere concepita come uno degli attributi della dignità […], l'invocazione del rispetto della dignità umana sarà di per sé idonea a giustificare la limitazione della libertà medesima”. V anche X. XXXX, Dignità. Usi giurisprudenziali e confini concettuali, in Nuova giur. civ. comm., 1997, II, 415 ss.; X. XXXXXXX XXXXX XXXXX, Il principio di dignità della persona umana nella società globalizzata, in Dem. Dir., 2004, 2, 195 ss.
93 In tema cfr. X. XXXXXXX XXXXX XXXXX, xxxx Xxxxxxxxxxx (xxxxxxxxxxxxx xxxxx),xxx, 00; X. XXXXXXXX, Dal buon costume alla dignità della persona: percorsi di una clausola generale, Napoli, 2013, 144.
94 Si considerino, infatti, i principi del buon costume che attengono alla morale sessuale e l'importanza che questi assumono nel valutare la liceità di numerosi contratti aventi ad oggetto attributi immateriali della persona, come nell'ambito della pornografia. In tema si veda X. XXXX-ZENCOVICH, «Sex and the contract»: dal mercimonio al mercato, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2007, IV, 1191 ss.
95 Cfr. X. XXXXXXXXXX, voce Personalità (diritti della), cit., 382-384, laddove afferma che “il valore costituito dalla persona rivela la sua capacità a divenire criterio ordinante di una normativa di ordine pubblico (o di buon costume” e che, pertanto, “il valore normativo della persona può essere chiamato ad integrare i criteri secondo cui si giudica della liceità di comportamenti posti in funzione nel conseguimento di un determinato risultato. Ne
nell'ambito dei diritti della personalità si basano in realtà sulla supposta illiceità di tali negozi: che si parli di impossibilità giuridica dell'oggetto, di non patrimonialità della prestazione o di indisponibilità non meglio qualificata del diritto, ciò che si intende dire è che l'ordinamento esprime un giudizio di illiceità con riferimento a tali contratti. Come si è visto, tuttavia, per lo meno con riferimento alla commercializzazione degli attributi immateriali della persona, tale giudizio negativo non pare sussistere in via generalizzata, ma occorre svolgere una verifica caso per caso.
5. Vincolo contrattuale e coartazione della persona
5.1 Contenuto e ratio dell'obiezione fondata sulla libertà di sviluppo della personalità
Come sopra accennato, accanto al divieto di commercializzazione viene individuata una seconda ragione di illiceità che osta alla deduzione in contratto dei diritti della personalità, la quale attiene all'assunzione, in sé considerata, del vincolo contrattuale. Difatti, posto che la persona deve essere sempre libera di sviluppare e mutare la propria personalità senza dover rispettare vincoli precedentemente assunti, l'assunzione di un vincolo che abbia ad oggetto un attributo della personalità è considerata illecita in quanto determina un'inammissibile coartazione dello sviluppo della persona in contrasto con il principio di libera autodeterminazione.
Il termine “vincolo” deve essere inteso nella maniera più ampia. Esso indica sia l'assunzione di un'obbligazione (di pati e anche eventualmente di fare) che abbia ad oggetto l'attributo della persona, sia il trasferimento di parte del diritto della personalità o la costituzione a favore di terzi di diritti che limitano il diritto della personalità dell'interessato, a seconda dell'applicazione o meno di logiche di appartenenza96. Elemento caratterizzante il vincolo è l'impossibilità per il soggetto di impedire l'utilizzo degli attributi della propria persona in un momento futuro rispetto a quello in cui ha prestato il consenso.
Ad essere illecita sarebbe dunque l'assunzione di un vincolo che abbia ad oggetto un attributo della persona. Dall'illiceità del vincolo deriva l'illiceità del contratto fonte di tale vincolo. Non solo: se ne deriva l'illiceità, in generale, di tutti i contratti che hanno ad oggetto i diritti della personalità.
Tale assunto si fonda sull'idea che l'impossibilità di vincolarsi determina automaticamente
consegue che la qualificazione di liceità, in tale prospettiva, più che al valore rappresentato dalla persona, attiene direttamente alla considerazione e valutazione dell'attività concretamente posta in essere”.
96 V. supra par. 1.
l'impossibilità di configurare un valido contratto. Il soggetto che ha prestato il consenso all'utilizzo di un attributo della propria persona deve sempre poterlo revocare al fine di esplicare liberamente la propria personalità e tale libera revocabilità non è compatibile con l'istituto del contratto97. Il principio pacta sunt servanda, espresso nel nostro ordinamento in via generale all'art. 1372 c.c., esclude che possa configurarsi un contratto laddove una parte sia sempre libera di revocare il consenso prestato senza subire conseguenze pregiudizievoli e senza che la controparte abbia preventivamente acconsentito a tale facoltà di revoca98. La libera revocabilità del consenso prestato è invece pienamente compatibile con lo schema del consenso dell'avente diritto, il quale, anche sotto questo profilo, sarebbe dunque meglio atto a descrivere il fenomeno in questione.
Questa è, dunque, l'obiezione mossa contro la contrattualizzazione dei diritti della personalità. Occorre in prima battuta notare che si deve quanto meno dubitare che il contratto avente ad oggetto gli attributi della persona attenti in ogni caso al libero sviluppo della personalità del soggetto. Come sopra accennato, la tesi per cui è inammissibile l'assunzione di un vincolo avente ad oggetto i diritti della personalità poggia sull'esigenza di garantire il libero sviluppo della persona. Tale libero sviluppo non può prescindere dalla possibilità, per l'interessato, di conformare verso l'esterno la propria personalità secondo il mutare delle proprie idee e
97 Spesso, infatti, il riconoscimento della facoltà di revoca si accompagna alla qualificazione della fattispecie come mero consenso dell'avente diritto, mentre la negazione di tale facoltà presuppone la qualifica contrattuale: in proposito si veda la ricostruzione fatta da G. RESTA, Revoca del consenso ed interesse al trattamento nella legge sulla protezione dei dati personali, in Riv. crit. dir. priv., 2000, 317 ss., il quale distingue un “'modello extracontrattuale', che muove dall'affermazione di una regola di constante ed assoluta revocabilità, attenuata da effetti di natura risarcitoria a tutela degli affidamenti della controparte” da un “approccio contrattualista puro” che invece non consente la revoca come ius poenitendi a seguito dell'evoluzione della personalità dell'interessato; l'Autore propone poi di adottare un modello intermedio, riconoscendo la natura contrattuale della fattispecie e ammettendo una facoltà di recesso per giustificati motivi da ricostruirsi in analogia con quanto previsto dall'art. 142 l. 22 aprile 1941, n. 633. Sul rapporto tra vincolo contrattuale e persona cfr. anche X. XXXXXXX XXXXX XXXXX, voce Prestazione (negoziabilità della), cit., 9. Sul rapporto tra indisponibilità e revocabilità si veda anche
T. M. UBERTAZZI, Il diritto alla privacy. Natura e funzioni giuridiche, cit., 162 ss.
98 Cfr. X. XXXXXXXXX, Vincolo contrattuale e recesso unilaterale, Milano, 1985, 65 s., secondo cui quando “il recesso permetta di consumare un vero e proprio ius se poenitendi, il suo riconoscimento sembra contraddire lo stesso principio fondamentale dell'autonomia: che la regola posta nell'esercizio di quest'ultima ha forza di legge per le parti. Contraddizione naturalmente non sussiste, se il diritto di pentirsi ha fonte convenzionale […]. Ma la legge stessa non può viceversa, senza contraddizione, proclamare, da un lato, che il contratto ha forza di legge tra le parti e ammettere, dall'altro, che certi vincoli, qualificati contrattuali, possano venire senz'altro rimossi unilateralmente. Una giustificazione del fenomeno, tale da configurare l'apparente contraddizione come semplice eccezione a una regola, ovviamente esiste; ma profondamente diversa da gruppo a gruppo di casi”. In generale sull'argomento cfr. X. XXXXXXXXX, L'atto non negoziale nel diritto privato italiano, Napoli, 1955, 60, con riferimento all'impegno che sorge dagli atti negoziali; X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., 76.
convinzioni, mantenendo un controllo costante sugli attributi della propria persona99. L'identità personale è in costante divenire e perciò non tollera una cristallizzazione attraverso la previsione di obblighi contrattuali che la riguardino100. L'assunzione di un vincolo pare dunque essere contraria ai principi di ordine pubblico posti a salvaguardia della libertà di autodeterminazione della persona.
Se queste sono le istanze di tutela che conducono a escludere l'assumibilità di un vincolo, bisogna allora innanzitutto delimitarne il campo di applicazione ai casi in cui effettivamente tali esigenze di protezione sono presenti: ai casi, dunque, in cui l'assunzione di un vincolo sia idonea a coartare lo sviluppo della persona. Questo accade quando il nome, l'immagine o altri elementi evocativi dell'identità personale sono utilizzati per mostrare all'esterno in un determinato modo la persona cui si riferiscono oppure per instaurare un collegamento tra tale persona e determinate idee o convinzioni. È il caso, ad esempio, della riproduzione di un'immagine all'interno di un film o dell'utilizzo di un nome in una campagna pubblicitaria. In questi casi l'assunzione di un vincolo dal quale l'interessato non ha facoltà di recedere comporta una limitazione della conformazione verso l'esterno della propria personalità. In altre parole, il vincolo è idoneo a coartare l'evoluzione della personalità solo laddove intervenga una cristallizzazione dell'identità personale ed una sua esposizione verso l'esterno.
Il libero sviluppo della persona non è invece messo in pericolo nei casi in cui non opera alcuna cristallizzazione degli attributi immateriali della personalità e questi sono utilizzati dalla controparte per svolgere un'attività che ha come destinatario l'interessato stesso. È il caso, ad esempio, del trattamento dei dati personali per invio di materiale pubblicitario: tale utilizzo non
99 In tal senso X. XXXXXXXXXX, Circolazione dei dati personali e dispositivi di regolazione dei poteri individuali, cit., 352-357, secondo cui la “garanzia [della persona], in forza della libera determinazione del soggetto in cui si ritrova il fondamento del consenso autorizzativo, tende ad appoggiarsi sulle esigenze di un potere determinativo che gestisce la vita nello specifico profilo dell'identità personale ed a finalizzarsi a ciò che queste esigenze domandano quali istanze esistenziali. […] Pertanto, la manifestazione del consenso attributivo si traduce in un atto a struttura unilaterale. In quanto il fine che l'esercizio del potere tende a realizzare è costituito dalla costruzione della propria sfera personale di identità, si dovrà convenire che, dal punto di vista degli effetti che esso esplica, l'atto non ha natura negoziale. Il soggetto è arbitro degli effetti che interessano e conformano il modo di essere della propria persona in se stessa e, di riflesso, nelle relazioni sociali”; l'Autore rileva poi come accanto a tale consenso autorizzativo possono individuarsi dei “dispositivi di alleanza”, da intendersi come “momenti di negozialità (transazioni, accordi) che vengono a sovrapporsi alla radice essenziale e costitutiva del consenso” (p. 364). nello stesso senso X. XXXXXXX, Strategie contrattuali del consenso al trattamento dei dati personali, 161 s., la quale considera il consenso dell'interessato come “il mezzo tecnico per esprimere quella libertà di autodeterminazione che è insita nel riconoscimento del valore giuridico della persona”.
100 Cfr. X. XXXXXX, Persona, riservatezza, identità. Prime note sistematiche sulla protezione dei dati personali, cit., 607 ss.; G. RESTA, Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 298-300.
pare infatti limitare l'evoluzione della personalità dell'interessato101. Quest'ultimo rimane libero di sviluppare la propria personalità come crede e la controparte ha anzi interesse a conoscere tali mutamenti.
Rimangono dunque al di fuori dell'obiezione alla contrattualizzazione dei diritti della personalità che attiene alla tutela del libero sviluppo della persona quegli accordi che prevedono un utilizzo degli attributi della persona in modo tale da non coartarne lo sviluppo.
Tanto premesso sul contenuto e sulla ratio dell'obiezione esposta, occorre in primo luogo verificare se sussiste incompatibilità tra contratto e assenza di vincolo: se, cioè, l'asserita impossibilità di assumere un vincolo comporti l'impossibilità di configurare un contratto. Come si vedrà, anche laddove si condivida la tesi per cui gli attributi della persona non possono essere oggetto di vincolo, questo non esclude la sussistenza di un contratto.
Dopo aver dunque così circoscritto l’ambito e le conseguenze delle obiezioni alla contrattualizzazione fondate sulla esigenza di tutela il libero sviluppo della persona, esamineremo finalmente l'assunto stesso che ne è alla base, cioè quello in base al quale i diritti della personalità non possono essere oggetto di vincolo, per registrare come esso in quanto principio generale abbia un dubbio fondamento nel nostro ordinamento.
5.2 Rapporto tra contratto e assenza di vincolo
Prima ancora di chiedersi se l'assunzione di un vincolo avente ad oggetto gli attributi della persona sia o meno illecita, occorre verificare se effettivamente sussista incompatibilità tra contratto e assenza di vincolo.
A ben vedere, la locuzione “assenza di vincolo” può assumere due distinti significati. In primo luogo, significa che il vincolo non sorge. In secondo luogo, significa che il vincolo nasce ma l'interessato può liberarsene quando vuole. L'istituto contrattuale pare essere compatibile con entrambi tali modelli, entro i limiti qui di seguito illustrati.
Con riguardo al primo significato, si può concepire uno schema contrattuale che, analogamente a quanto succede nei contratti reali, si perfeziona con l'esecuzione della prestazione principale. In tal caso il contratto non è fonte di vincolo – il quale sorge infatti solo con l'esecuzione della prestazione – e, dunque (con riferimento ai contratti aventi ad oggetto i diritti della personalità), la conclusione del contratto non obbliga il soggetto a tollerare in futuro ingerenze nella propria
101 In questo caso la legge espressamente prevede per l'interessato la facoltà di opporsi in qualunque momento al trattamento dei propri dati ma non pare che la ratio di tale norma abbia a che vedere con le istanze di tutela dello sviluppo della personalità dell'interessato. Su questo si veda infra cap. III, par. 3.3.
persona.
È chiaro però che, affinché si possa escludere il sorgere di un vincolo, il contratto si deve concludere quando l'esecuzione della prestazione sia non solo iniziata, ma anche terminata. Se invece il contratto si perfeziona con l'inizio dell'esecuzione e si tratta di una prestazione continuata o periodica, la parte sarà obbligata ad eseguire in futuro la parte mancante della prestazione. Si può dunque affermare che questo schema è compatibile con l'assenza di vincolo solo se l'esecuzione della prestazione principale è di carattere istantaneo102.
Un modello simile a quello del contratto reale è stato utilizzato per dare veste contrattuale agli accordi aventi ad oggetto il diritto all'integrità fisica103. In tale ambito, infatti, è facilmente immaginabile una prestazione di tipo istantaneo. Si prenda l'esempio del paziente che acconsente ad un singolo intervento di sperimentazione clinica, salvo il diritto ad un rimborso spese: in tal caso si potrebbe configurare un contratto che si conclude solo nel momento in cui l'intervento viene eseguito e dal quale nasce l'obbligo in capo alla struttura sanitaria di indennizzare il paziente. Tale modello è qui analogo a quello del contratto con obbligazioni del solo proponente nella particolare figura della promessa condizionata all'esecuzione di una prestazione favorevole al promittente104. In entrambi i casi la prestazione che ha ad oggetto il diritto della personalità non è dedotta in obbligazione (non c'è dunque alcun vincolo), mentre la controparte è tenuta a corrispondere l'indennizzo una volta che tale prestazione sia stata eseguita.
102 Cfr. C. D'XXXXXX, Autonomia privata e integrità fisica, Milano, 1999, 295-296, nota n. 286, in cui l'Autore sottolinea che “il rimando alla categoria dei contratti reali non è utile a spiegare la facoltà di recesso dai rapporti contrattuali la cui esecuzione è prolungata nel tempo. Ad esempio, nel rapporto contrattuale di prestazioni mediche il paziente è certamente libero di interrompere il trattamento anche dopo l'inizio delle cure. Pertanto – salvo che non si voglia affermare che in queste ipotesi il contratto si perfeziona solamente dopo l'ultimazione della esecuzione di tutte le prestazioni anche di durata – occorre riconoscere autonomia logico-giuridica all'atto di esecuzione rispetto al contratto con il quale si dispone della propria integrità fisica”.
103 Si vedano X. XXXXXX, voce Atti di disposizione del corpo, in Enc. giur. Treccani, IV, 7-8, il quale illustra due diversi modelli per garantire la revocabilità del consenso prestato senza conseguenze risarcitorie: “si potrebbe, in primo luogo, configurare il contratto, conformemente alla regole generali, come perfetto fin dal momento dello scambio dei consensi, e riconoscere tuttavia a chi ha «indirettamente disposto» del proprio corpo un diritto di recesso fino al momento dell'effettiva esecuzione della sua promessa; o si può affermare che si diano prestazioni riguardanti il corpo non illecite e nemmeno incommerciabili e tuttavia nemmeno idonee, per un principio di incoercibilità della persona, ad essere dedotte in obbligazione: e che si diano correlativamente contratti leciti rispetto ai quali la prestazione di utilità fornita dal corpo, non potendo essere assunta ad oggetto di un impegno, possa fungere esclusivamente da momento perfezionativo del vincolo, in modo simile a come la consegna di una cosa segna il perfezionamento del contratto reale”; C. D'XXXXXX, Autonomia privata e integrità fisica, Milano, 1999, 294. Cfr. anche X. XXXXXXXXXXX, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 1991, 370, laddove afferma che “[c]onnaturale alle situazioni esistenziali, conseguentemente irrinunziabile, è lo ius poenitendi come espressione di una revocabilità senza limiti. Particolare è il rapporto tra consenso e adempimento, là dove quest'ultimo più che normale atto esecutivo assume il ruolo di elemento perfezionativo del rapporto negoziale”.
104 Vedi supra par. 2.
Con riferimento agli attributi immateriali della personalità pare invece arduo ipotizzare la sussistenza di contratti che si concludono con l'esecuzione della prestazione e che non generano vincolo, in quanto le prestazioni che hanno ad oggetto tali attributi difficilmente sono di carattere istantaneo. Solitamente, infatti, in tale ambito la prestazione consiste nell'autorizzare la divulgazione, il trattamento o lo sfruttamento di attributi della propria persona: le attività autorizzate sono svolte in maniera continuata nel tempo e si protraggono, dunque, anche in un momento successivo rispetto a quello in cui è stato prestato il consenso.
Nell'ambito degli attributi immateriali della persona pare dunque fortemente limitata la possibilità di configurare contratti che si perfezionano con l'esecuzione della prestazione compatibili con l'assenza di un vincolo105.
Se invece intendiamo l'assenza di vincolo non come mancato sorgere dello stesso ma quale facoltà della parte di liberarsene quando vuole, allora il campo di operatività della figura del contratto è maggiore. Al fine di verificarne l'estensione occorre chiedersi se sia possibile configurare un contratto laddove una parte possa recedere dallo stesso ad nutum.
Si precisa che il problema si pone solo per la facoltà di recesso che sia espressione dello ius poenitendi a favore della parte i cui diritti della personalità sono oggetto di contratto. Non è invece in discussione la facoltà di recesso con funzione determinativa del contenuto del contratto, né di quello con funzione impugnatoria106, in quanto tali due tipi di recesso non contrastano il principio secondo cui il contratto ha forza di legge tra le parti. Al contrario, il recesso come espressione dello ius poenitendi – cioè della libertà della parte di pentirsi della conclusione del contratto e dunque di sciogliersene – è tradizionalmente considerato in contrasto con l'art. 1372
c.c. Se questo fosse vero – se, cioè, il recesso come ius poenitendi fosse incompatibile con l'istituto del contratto – l'impossibilità di assumere un vincolo avente ad oggetto gli attributi della persona determinerebbe l'impossibilità di dedurli validamente in contratto. Tuttavia così non è. Innanzitutto le stesse parti possono prevedere all'interno del contratto una facoltà di recesso ad nutum. La giurisprudenza e buona parte della dottrina ritengono che tale facoltà possa essere
105 Pare invece ammetterne la sussistenza X. XXXXXXX, Strategie contrattuali del consenso al trattamento dei dati personali, cit., 180, secondo cui, con riferimento al consenso al trattamento dei dati personali, “il raggiungimento del rapporto contrattuale, e la conseguente formazione del vincolo, coincidono con l'attuazione della prestazione”; si pone così però il problema di determinare i criteri per individuare l'inadempimento.
106 Ci si riferisce alla nota tripartizione delle funzioni del recesso svolta da X. XXXXXXXXX, Vincolo contrattuale e recesso unilaterale, cit., passim.
prevista anche al di fuori dei limiti posti dall'art. 1373, commi 1 e 2 c.c.107. La possibilità di stabilire un potere di recesso così ampio è peraltro coerente con l'apponibilità al contratto di condizioni risolutive meramente potestative108. Solitamente si afferma che la facoltà di recesso pattiziamente prevista non contrasta con il principio secondo cui il contratto ha forza di legge, in quanto tale forza è limitata a quanto le parti hanno stabilito109. Questo tuttavia significa che non si pone al di fuori dell'istituto del contratto l'accordo dal quale una parte può sciogliersi quando vuole.
Se le parti possono limitare in tal modo la forza di legge del contratto, a maggior ragione può farlo la legge, prevedendo poteri di recesso senza in tal modo alterare la qualifica contrattuale della fattispecie (come peraltro sancito dal I comma dell'art. 1372 c.c.). È stato in proposito sottolineato come il principio contenuto all'art. 1372 c.c. abbia in realtà una portata più enfatica che effettiva: esso è infatti contraddetto da gran parte della disciplina dettata per i contratti tipici, la quale prevede numerosi casi di ius poenitendi110.
I poteri di recesso positivamente previsti trovano ciascuno una giustificazione diversa in base alle peculiarità dei singoli tipi contrattuali cui afferiscono. Ciò che interessa sottolineare è che la sussistenza di ragioni che rendono inopportuna l'assunzione di un vincolo non esclude la possibilità di concludere un valido contratto; semplicemente, rende necessaria la previsione di adeguati poteri di recesso o, comunque, di revoca del consenso. Pertanto, l'illiceità del vincolo avente ad oggetto gli attributi della persona non comporta l'impossibilità di configurare un valido
107 Cfr. C.M. XXXXXX, Il contratto, cit., 739; [X. XXXXX e] X. XX XXXX, Xx xxxxxxxxx, xxx., XX, 000; X. XXXXX, Il contratto, cit., 513 ss.; X. XXXXXXXX, Efficacia del contratto e recesso unilaterale: artt. 1372-1373, in X. XXXXXXXXXXX (fondato e già diretto da), F. D. BUSNELLI (continuato da), Il codice civile. Commentario, 2ª ed., Milano, 2013, 349.
108 La condizione risolutiva meramente potestativa viene infatti spesso assimilata alla figura del recesso. La validità di tale tipologia di condizione è riconosciuta dalla giurisprudenza; la dottrina è divisa. In realtà, posto il riconoscimento di una libera facoltà di recesso, i dubbi sembrano riguardare non tanto la possibilità per le parti di prevedere la possibilità per una di loro di far venire meno gli effetti del contratto con l'espressione di una volontà in tal senso (che si chiami tale facoltà recesso o condizione risolutiva meramente potestativa), quanto la retroattività degli effetti nei confronti dei terzi (ammessa per la condizione e non per il recesso). Sul tema cfr. X. XXXXXXXXX, Vincolo contrattuale e recesso unilaterale, cit., 92 ss.; C.M. XXXXXX, Il contratto, cit., 549 s.; X. XXXXXXXX, La condizione «elemento essenziale» del negozio giuridico, Milano, 2000, 406 ss.; X. XXXXX [e G. DE NOVA], Il contratto, cit., II, 150 s.; X. Xxxxxxxxx, La condizione potestativa e meramente potestativa. Confronto con le figure del recesso e dell'opzione, in X. XXXXXX (a cura di), La condizione nel contratto: tra 'atto' e 'attività', Padova, 2008, 84 ss.; X. XXXXX, Il contratto, cit., 580 s.
109 X. XXXXXXXXX, Vincolo contrattuale e recesso unilaterale, cit., 66.
110 Sul ridimensionamento della portata dell'art. 1372 c.c. si veda, per tutti, X. XX XXXX, Il contratto ha forza di legge tra le parti, Milano, 1993, 27 ss. Per un'analisi delle varie fattispecie contrattuali in cui è prevista a favore di una parte una facoltà di recesso ad nutum si vedano gli scritti contenuti in G. DE NOVA (a cura di), Recesso e risoluzione nei contratti, Milano, 1994.
contratto, bensì la necessità di consentire alla parte di recedere da tale contratto quando è in gioco il libero sviluppo della propria personalità.
L'istituto del contratto non è dunque incompatibile con la facoltà di recesso ad nutum dagli obblighi pattuiti. È chiaro tuttavia che più ampi sono i poteri di recesso, più il vincolo contrattuale risulta allentato e indebolito. Resta da analizzare quali concrete conseguenze si ritraggano dalla qualificazione come contrattuale dell'accordo dal quale una parte può recedere quando vuole.
Si è dunque accertato che l'istituto contrattuale è in astratto compatibile con l'assenza di vincolo intesa quale possibilità per la parte di recedere dagli impegni assunti, ben potendosi configurare un potere di recesso dal contratto in capo alla parte la cui libertà di autodeterminazione occorre tutelare.
Si può dunque sostenere che, pur ammettendo l'impossibilità di assumere un vincolo avente ad oggetto i diritti della personalità, questa non determina l'invalidità del contratto purché sia prevista un'adeguata facoltà di recesso.
5.3 Fondatezza della tesi che esclude il vincolo
Tanto premesso, occorre ora verificare la fondatezza dell'assunto in base al quale è illecita l'assunzione di un vincolo avente ad oggetto i diritti della personalità che coarti lo sviluppo della persona.
Prendiamo le mosse dal dettato normativo. Anche in questo ambito è di fondamentale importanza la disciplina industrialista, in particolare quella in tema di segni distintivi. Innanzitutto la legge prevede la possibilità di registrare come ditta il nome di una persona, senza prevedere alcuna possibilità per il titolare del nome di chiedere la cancellazione della registrazione. La dottrina – anche quella che nega la contrattualizzazione dei diritti della personalità111 – è concorde nel negare tale facoltà. La legge prevede inoltre la facoltà di registrare come marchio il nome o l'immagine di una persona: anche in questo caso non è prevista alcuna facoltà di revoca. In materia di diritto d'autore, la norma che prevede il potere di ritiro dell'opera dal commercio da parte dell'autore limita tale potere ai casi di gravi ragioni morali, lasciando intendere che quando le ragioni morali (le quali possono anche attenere allo sviluppo della personalità dell'autore) non sono gravi l'autore rimane vincolato ai contratti di cessione dei diritti patrimoniali sull'opera precedentemente stipulati. Le norme citate dimostrano dunque che l'ordinamento ammette la
111 Si veda X. XXXXXXX, Diritto civile e commerciale, cit., vol. III, t. 1, 210.
nascita di vincoli (senza facoltà di recesso o con poteri di recesso limitati) aventi ad oggetto gli attributi immateriali della persona.
Meno chiara è la disciplina in materia di trattamento dei dati personali. Tralasciando la norma che prevede un incondizionato potere di opposizione al trattamento di dati raccolti per finalità pubblicitarie (su cui torneremo), l'art. 7, comma IV, lett. a) del d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196 prevede una facoltà di opposizione al trattamento per “motivi legittimi”. Tale disposizione è oggetto di contrastanti interpretazioni112. Stando a quello che più pianamente si evince dalla lettera della legge, la facoltà di revoca non è incondizionata ma è limitata alla sussistenza di motivi legittimi. Xxxx allora un'altra norma che dimostra l'inesistenza di un generale divieto di assumere vincoli in ambito di diritti della personalità113.
Si consideri, infine, che sussistono alcuni tipi contrattuali, di cui nessuno contesta la liceità, che prevedono una certa coartazione della libertà e dell'identità personali: si pensi, ad esempio, al contratto di lavoro subordinato e ad alcuni contratti di prestazione d'opera intellettuale come quella giornalistica114.
I dati normativi non depongono, dunque, a favore della tesi secondo cui la persona non può assumere vincoli che coartino lo sviluppo della propria persona. Vi sono invece disposizioni legislative in senso contrario115.
Una buona parte della dottrina e della giurisprudenza sostiene l'impossibilità di vincolarsi con riferimento agli attributi della persona; occorre tuttavia esaminare più da vicino tali posizioni.
L'atteggiamento della giurisprudenza è poco chiaro. A livello declamatorio essa afferma, tranne in pronunce minoritarie116, che il consenso prestato all'utilizzo di attributi della persona, pur se inserito in un contratto, rimane da questo separato ed è sempre revocabile117. Tale affermazione
112 V. infra cap. III, par. 3.2.
113 Cfr. T. M. UBERTAZZI, Il diritto alla privacy. Natura e funzioni giuridiche, cit., 168 ss., secondo cui la disciplina in materia di dati personali “milita a favore della non revocabilità del consenso prestato”.
114 In tema si veda X. XXXX-XXXXXXXXX, Limitazioni contrattuali alla manifestazione del pensiero, in Dir. inf., 1995, 995 ss.
115 Per un esame delle disposizioni normative il quale porta ad escludere la tesi della revocabilità del consenso, si veda X. XXXXX, Revocabilità del consenso alla divulgazione del ritratto?, cit., 160 ss.
116 Cass. civ. sez. I, 2 maggio 1991, n. 4785, cit.; Cass. civ. sez. I, 16 aprile 1991, n. 4031, cit.
117 Trib. Roma, 7 ottobre 1988, cit., in cui la Corte giustifica la revocabilità del consenso sulla base della considerazione che “le situazioni soggettive attinenti alla persona nel suo complesso possono mutare anche rapidamente e che quell'estrinsecazione diffusiva dell'immagine, la quale ancorché in tempi lontani possa essere sembrata consona a sé stessi, può, in seguito, non trovare più rispondenza nelle mutate esigenze e connotazioni della propria personalità”; Xxxx., 17 febbraio 2004, n. 3014, cit., la quale ha dato inizio alla massima per cui “il consenso di cui si tratta costituisce un negozio unilaterale (come è pacifico in giurisprudenza e in dottrina), che non ha ad oggetto il diritto - personalissimo ed inalienabile - all'immagine, ma solo il suo esercizio; dal che
costituisce tuttavia un obiter dictum, in quanto in realtà tutte le sentenze note sul tema ragionano in concreto sul piano dell'interpretazione del consenso prestato e non su quello della revoca dello stesso, nel senso di escludere la legittimità del trattamento non perché la controparte abbia revocato il consenso, ma perché la condotta oggetto di lite fuoriesce dall'ambito di quanto era stato consentito.
Peraltro, talvolta la Suprema Corte enuncia con riferimento a tale potere di recesso norme peculiari, affermando che il consenso “non può essere di norma revocato fin tanto che resti possibile e non si realizzi l'utilizzazione del ritratto nei modi e nei limiti fissati dal contratto”118. Altre volte si fa invece riferimento all'obbligo in capo a colui che revoca il consenso di risarcire i danni derivanti da tale revoca qualora il consenso sia inserito in un contratto; non è chiaro tuttavia se tale risarcimento copra solo l'interesse negativo o anche quello positivo119: come vedremo, qualora si ammetta il risarcimento anche dell'interesse positivo, è discutibile che si possa parlare in senso rigoroso di impossibilità di assumere un vincolo. Non si comprende, dunque, fino a che punto la giurisprudenza prenda sul serio il principio, seppur declamato, della libera revocabilità del consenso in ambito di diritti della personalità.
Per quanto riguarda la dottrina favorevole alla libera revocabilità del consenso avente ad oggetto i diritti della personalità, in un primo momento essa affermava che, laddove il consenso fosse inserito in un rapporto contrattuale, allora tale facoltà di revoca – sempre sussistente trattandosi di diritti inalienabili – era necessariamente accompagnata dall'obbligo del recedente di risarcire pienamente i danni alla controparte120. Si parlava di indisponibilità, ma si ammetteva un
deriva che il consenso, sebbene possa essere occasionalmente inserito in un contratto, da esso resta tuttavia distinto ed autonomo (ciò che rileva anche ai fini della sua revocabilità, quale che sia il termine eventualmente indicato per la pubblicazione consentita), e che la pattuizione del compenso non costituisce un elemento del negozio autorizzativo in questione”; Trib. Torino, 26 gennaio 2006, in Riv. dir. ind., 2006, II, 356-360, in cui la Corte utilizza l'argomento della revocabilità del consenso ad abundatiam dopo aver già escluso che un consenso era stato prestato; Cass. civ. sez. I, 19 novembre 2008, n. 27506, in Foro it., 2009, 10, 2728-2736, con nota critica di T. M. UBERTAZZI, Dubbi sulla revocabilità del consenso all'utilizzazione dell'immagine, 2729-2733; Cass., 6 maggio 2010, n. 10957, cit.
118 Così Cass., 6 maggio 2010, n. 10957, cit.
119 Cass. civ. sez. I, 19 novembre 2008, n. 27506, cit.
120 Così F. FERRARA, Il diritto sulla propria immagine nel nuovo codice civile e nella nuova legge sul diritto d'autore, Roma, 1942, 220 ss.; X. XXXXXXX, voce Immagine (diritto alla), in Enc. dir., XX, Milano, 1970, 148. Meno chiara è la posizione di DE CUPIS, I diritti della personalità, cit., 299, il quale, dopo aver affermato che il consenso avente ad oggetto un diritto della personalità può solo configurarsi come consenso dell'avente diritto, sostiene che “[l]'inesistenza del potere di revoca può ammettersi, peraltro, qualora il consenso alla pubblicazione dell'immagine, anziché essere un negozio puramente unilaterale, si inserisca in un contratto colla cui efficacia vincolante (art. 1372, I comma, cod. civ.) lo stesso potere è incompatibile: nell'ambito contrattuale, il soggetto non può sottrarsi al vincolo che lo astringe verso l'altra parte, e quindi la revoca del prestato consenso è inefficace”.
risarcimento integrale: ciò non è in contrasto con la possibilità di configurare un contratto, che infatti era ammessa, ma attiene piuttosto alla tutela concessa in caso di inadempimento. In quest'ottica, i contratti aventi ad oggetto diritti della personalità sono trattati come i contratti in cui non è ammessa una tutela in forma specifica. Così, ad esempio, chi ha nella propria disponibilità materiale il ritratto di una persona che successivamente revoca il consenso non potrebbe più utilizzarlo secondo le modalità pattuite, ma avrebbe il diritto di chiedere alla controparte il risarcimento dei danni (ivi compreso l'interesse positivo) ex art. 1218 c.c.
In altre parole, tale dottrina non intendeva escludere il contratto, ma semplicemente negare una tutela in forma specifica. Pertanto, in caso di recesso il vincolo permane, seppur degradato all'obbligo di risarcimento dei danni. Peraltro è chiaro che la persona, se obbligata ad un risarcimento integrale dei danni (che si estenda all'interesse contrattuale positivo), non è di fatto del tutto libera nell'esercizio del proprio potere di revoca121. L'impostazione dottrinale in esame non esclude dunque l'ammissibilità di un vincolo avente ad oggetto gli attributi immateriali della persona.
Più attenta, invece, alla necessità di non coartare l'evolversi della personalità è la dottrina successiva, che limita l'obbligo di risarcimento ai casi in cui la revoca “appaia affatto ingiustificata e capricciosa, integrando gli estremi di un abuso del diritto della personalità”122. Sulla nozione di abuso dei diritti della personalità occorre intendersi123. Se si considera illecita
121 X. XXXXX, Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 305, il quale sostiene che ammettere il risarcimento integrale dei danni in caso di esercizio del potere di recesso rischia di “minare in radice l'effettività dell'istituto”. Sul rapporto tra revoca del consenso e risarcimento dei danni cfr. X. XXXXXXXXXX, Il diritto sul proprio ritratto, cit., 119 ss.
122 Così X. XXXXXXX, Diritto civile e commerciale, cit., vol. I, 177. Si vedano anche X. XXXXXXXXXX, Circolazione dei dati personali e dispositivi di regolazione dei poteri individuali, cit., 360-364, il quale, al fine di stabile se vi sia una qualche responsabilità di colui che revoca il consenso, propone di applicare la disciplina della responsabilità extracontrattuale coordinando la nozione di ingiustizia del danno con quella di abuso del diritto; S. PATTI, Il consenso dell'interessato al trattamento dei dati personali, cit., 465 s., il quale esclude il potere di revoca, riconoscendo alla controparte il diritto al risarcimento del danno, in caso di mala fede e, in maniera più sfumata, qualora l'attività di trattamento dei dati sia già iniziata; X. XXXXXX, Il diritto alla tranquillità individuale. Dalla rete internet al 'door to door', Napoli, 2001, 248 ss., il quale dubita, tuttavia, della possibilità di configurare un abuso del potere di revoca; C. LO SURDO, Gli strumenti di tutela del soggetto «interessato» nella legge e nella sua concreta applicazione, in X. XXXXXXXXX (a cura di), Diritto alla riservatezza e circolazione dei dati personali, cit., I, 671 s., la quale, al fine di valutare la legittimità del diritto di opposizione al trattamento dei dati per motivi legittimi, espressione del “c.d. diritto all'autodeterminazione informativa”, suggerisce di “sottrarre, dall'insieme delle ragioni personali dell'interessato che si opponga al trattamento, quelle riconducibili al mero 'capriccio', per farvi rientrare soltanto quelle che risultino degne di adeguata protezione nonostante la liceità del trattamento. In definitiva, si darà preminenza solo a quelle ragioni dell'interessato che siano 'portatrici' dei valori di cui all'art. 1 della legge”.
123 Xxxxx figura dell'abuso del diritto si veda, per tutti, X. XXXXX, voce Abuso del diritto, in Dig. disc. priv. sez. civ., agg., Milano, 2012, 1 ss.
l'assunzione di un vincolo che abbia ad oggetto un attributo della persona – in quanto quest'ultima deve poter sempre essere libera di sviluppare la sua personalità secondo le proprie idiosincrasie –, allora un abuso si potrà verificare in casi molto limitati. In particolare, l'esercizio del potere di revoca può considerarsi abusivo solo se non sorretto da ragioni che attengono allo sviluppo della personalità dell'interessato. Posto che la sussistenza di queste ragioni è nota solo all'interessato e che i terzi non possono essere chiamati a sindacare su tale sussistenza (pena un controllo sullo sviluppo della personalità, che deve essere libero), può configurarsi un abuso solo laddove si provi che la revoca è stata esercitata con l'intento di danneggiare la controparte oppure che tale esercizio contrasta con un comportamento tenuto dall'interessato al momento stesso della revoca. Al di fuori di tali casi ogni limitazione al potere di revoca contrasta in realtà con la necessità di garantire il libero sviluppo della persona. In altre parole, se si si prendono sul serio le istanze di tutela dello sviluppo della persona poste alla base della negazione della contrattualizzazione dei diritti della personalità, allora non si può restringere la facoltà di revoca – richiamandosi ai generali principi di buona fede e correttezza124 e passando attraverso l'istituto dell'abuso del diritto – oltre i limiti sopra enunciati. Oltre tali ipotesi non può esservi tutela dell'affidamento della controparte. In caso contrario si deve allora ammettere che una certa limitazione dello sviluppo della persona è lecita.
Non paiono dunque emergere indizi forti a favore di un'assoluta impossibilità di vincolare l'evoluzione della propria personalità tramite lo strumento contrattuale. Questo non significa, chiaramente, ammettere la liceità di qualunque vincolo a prescindere dal contenuto e dall'intensità dello stesso.
Innanzitutto, qualora si ritenga che la permanenza del vincolo sia effettivamente lesiva di valori fondamentali della persona – da non potersi bilanciare con l'interesse della controparte – può
124 A tali principi si richiama X. XXXXXXX, Strategie contrattuali del consenso al trattamento dei dati personali, cit., 182, la quale, pur considerando il consenso al trattamento dei dati personali quale espressione della libertà di autodeterminazione del soggetto e dunque incoercibile, ammette poi la sussistenza di un contratto laddove le parti prevedano un “corrispettivo oneroso per la prestazione del consenso” (p. 176); in tale ultimo caso, “l'inadempimento [di colui che ha prestato il consenso] consiste non tanto nel non prestare l'autorizzazione (fatto che risulta improponibile dato, il peculiare procedimento di attuazione del rapporto contrattuale, secondo il quale la vincolatività insorge solo in occasione dell'esecuzione della prestazione). A tale fine, risulta decisivo, invece, il non aver prestato la correttezza necessaria per il buon svolgimento del contratto. In questo caso, infatti, la correttezza diviene il contenuto stesso dell'obbligazione: per effetto del contratto, sorgono, quindi, specifici obblighi di esecuzione, che si estrinsecano nell'obbligo di continuazione della prestazione, inadempiuti i quali sorge la responsabilità in capo al soggetto inadempiente”. Si vedano anche X. XXXX - X. XXXXXXXXXX, Il consenso al trattamento, cit., 538-540, i quali, dopo aver definito la revoca del consenso come “un atto di costruzione dell'identità personale”, propongono di valutare tale revoca “alla luce della regola generale della responsabilità extracontrattuale, opportunamente coordinata, nel caso di specie, con la regola della buona fede”.
allora ammettersi un diritto di recesso a favore dell'interessato125, senza che questo escluda, come si è visto prima, la natura contrattuale della fattispecie. La previsione di tale facoltà di recesso non è invece necessaria nei casi in cui il contratto, pur avendo ad oggetto attributi della persona, non attenta al libero sviluppo della personalità del soggetto in questione.
Oltre al diritto di recesso si deve ammettere un altro limite alla contrattualizzazione dei diritti della personalità, necessario per garantire la libertà di autodeterminazione. Alcune voci, esplicitando una diffusa preoccupazione in tema, specificano che a destare allarme non è tanto l'assunzione di vincoli delimitati nel contenuto e nel tempo, ma la generica e onnicomprensiva disposizione della libertà di definire la propria personalità126. Proprio questa notazione consente di individuare come segue il limite di liceità della contrattualizzazione dei diritti della personalità con riferimento alla tutela del libero sviluppo della persona: è lecita l'assunzione di un vincolo avente ad oggetto un attributo immateriale della persona purché tale vincolo riguardi una determinata e specifica modalità di utilizzo dell'attributo in questione127.
Si è parlato, in proposito, di limiti soggettivi e oggetti dell'ambito di operatività del consenso128: i primi riguardano i soggetti, che devono essere specificatamente indicati, autorizzati allo sfruttamento degli attributi della persona; i secondi attengono invece alle modalità di sfruttamento, che devono riguardare singoli atti di esercizio dei diritti della personalità. Per quanto riguarda l'estensione temporale dell'utilizzo, la stessa deve essere posta in relazione con la specificità degli atti di esercizio oggetto di contratto. Così, più ristretto è lo sfruttamento autorizzato, più questo potrà durare nel tempo senza essere illecito e viceversa. Si tratta comunque di una valutazione da svolgersi caso per caso, in considerazione dei termini contrattuali in concreto pattuiti.
L'esigenza di una precisa determinazione dei limiti del consenso, come si vedrà meglio più avanti, deve essere rispettata anche nel caso dei contratti che non coartino lo sviluppo della
125 Come si vedrà meglio più avanti, più che di un recesso dal contratto si tratta di una revoca del consenso. V.
infra cap. III, par. 3.
126 In questo senso cfr. T. A. AULETTA, Riservatezza e tutela della personalità, cit., 170; X. XXXXXXXXXXXXX, Il diritto alla riservatezza, Napoli, 1969, 53, 76; X. XXXX - X. XXXXXXXXXX, Il consenso al trattamento, cit., 541; X. XXXXXXXXX, voce Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 144.
127 In tal senso si veda G. RESTA, Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 286 ss., il quale afferma che “nel nostro ordinamento, l'efficacia di un negozio relativo a diritti della personalità è subordinata al rispetto di precisi requisiti di natura contenutistica. Tale manifestazione di volontà deve cioè assumere carattere puntuale e deve essere espressa non già in maniera generica ed onnicomprensiva, ma con riferimento a ben determinate prestazioni o attività incidenti sulla sfera della persona”.
128 Così, con riferimento ai limiti del consenso dell'avente diritto, X. XXXXXXX, voce Immagine (diritto alla), cit., 148.
personalità del soggetto129.
Si può dunque affermare che la contrattualizzazione dei diritti della personalità non contrasta in maniera illecita con la libertà di autodeterminazione, salvo prevedere, quando necessario, adeguati poteri di revoca del consenso e purché la prestazione avente ad oggetto tali diritti sia sufficientemente delimitata e specificata.
129 Infra cap. III, par. 1.
CAPITOLO II
Le fattispecie
1. Le fattispecie concrete
Si sono finora analizzate le principali obiezioni mosse contro la contrattualizzazione dei diritti della personalità, giungendo alla conclusione che tali argomentazioni non sono idonee ad escludere tout court la possibilità di dedurre in contratto gli attributi immateriali della persona, mentre possono valere a fondare una particolare disciplina di questi contratti e a segnare i limiti all'autonomia contrattuale in materia. Prima di esaminare tali aspetti, occorre offrire una breve panoramica su quali siano i contratti, diffusi nella prassi, aventi ad oggetto gli attributi immateriali della persona.
Con il mero scopo di descrivere la prassi in materia, possono individuarsi almeno tre diverse finalità per cui le parti deducono in contratto i diritti della personalità.
Innanzitutto, gli attributi immateriali della persona, in quanto evocativi dell'identità di un determinato soggetto, possono essere utilizzati per pubblicizzare e promuovere un soggetto terzo o i beni e servizi prodotti da quest'ultimo. A tal fine viene instaurato agli occhi del pubblico, destinatario del messaggio in senso lato pubblicitario, un collegamento tra la persona dei cui attributi immateriali si tratta e il soggetto terzo, in modo che la notorietà e la reputazione del primo si riflettano sul secondo. I contratti con cui si persegue tale finalità sono, ad esempio, quelli di sponsorizzazione, merchandising, testimonial ed endorsement. Questi contratti sono conclusi da soggetti famosi, in quanto è chiaro che maggiore è la notorietà della persona, maggiore è l'effetto pubblicitario o promozionale che questa è idonea a generare.
In secondo luogo, gli attributi immateriali della persona possono essere utilizzati per la creazione di un prodotto legato al mondo dello spettacolo. Tale categoria comprende sia fattispecie tradizionali – come i contratti per l'organizzazione di film, spettacoli teatrali, concerti o partite sportive, in cui gli attributi immateriali dedotti in contratto si riferiscono a professionisti del settore –, sia tipologie contrattuali più recenti, in cui sono coinvolte persone comuni; quest'ultimo fenomeno ha assunto una crescente importanza con la recente diffusione, ad esempio, di reality shows e programmi simili.
In entrambe le tipologie contrattuali sopra menzionate, la deduzione in contratto degli attributi immateriali della persona comporta, seppure per scopi diversi, l'esposizione della persona al pubblico. Vi è invece una terza tipologia di contratti che ha come scopo non di mostrare la persona all'esterno, ma di consentire ad un soggetto terzo di utilizzare gli attributi immateriali della controparte per finalità sue interne. Ci si riferisce ai contratti con cui la persona “cede” i (nel senso di acconsente al trattamento dei) propri dati personali in favore della controparte, eventualmente in cambio di una controprestazione. In questo caso la controparte è interessata ad acquisire i dati personali non per diffonderli presso il pubblico, ma per ricavarne informazioni che le possano essere utili. È il caso, ad esempio, dei contratti per la fruizione di servizi (specialmente online), in cui l'utente acconsente al trattamento dei propri dati al fine di accedere al servizio, mentre il fornitore di quest'ultimo utilizza i dati fornitigli al fine di inviare pubblicità mirata.
Per quanto riguarda il primo gruppo di contratti, in cui gli attributi immateriali della persona sono utilizzati come strumento promo-pubblicitario, le fattispecie sono molteplici130: le più usuali e meglio socialmente tipizzate sono i contratti di sponsorizzazione131, merchandising, endorsement e testimonial. Trattandosi di contratti non disciplinati dal legislatore (se non per qualche sporadica menzione), i confini tra una fattispecie e l'altra sono labili e spesso le prestazioni pattuite nella prassi sono riconducibili a più figure contrattuali. Non sempre, peraltro, i contratti in esame coinvolgono diritti della personalità di persone fisiche: si prendano ad esempio le sponsorizzazioni culturali di eventi132 o l'utilizzo a fini di merchandising di personaggi di fantasia o di marchi non riconducibili a una persona fisica133. Qui si prenderanno in considerazione solo i casi in cui tali contratti hanno in qualche modo ad oggetto gli attributi immateriali della persona
130 Su queste fattispecie si veda, in generale, X. XXXXXXX, Professione: testimonial pubblicitario, cit., 520 ss.;
X. XXXXXXXX, La notorietà della persona da interesse protetto a bene giuridico, cit., 201 ss.; I. NASTI, Clausole vessatorie e standardizzazione dei contratti di sponsorizzazione: le nuove tendenze giurisprudenziali, in Danno resp., 2003, 92 s.
131 Sulla atipicità del contratto di sponsorizzazione v. X. XXXXXXXX, Atipicità del contratto e sponsorizzazione, in Riv. dir. civ., 1991, II, 399 ss.
132 Sui vari tipi di sponsorizzazione si vedano, ad esempio, M. X. XX XXXXXX, Xxxxxxxxxxxxxxxx x xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 27 ss.; M. BIANCA, I contratti di sponsorizzazione, Rimini, 1990, 46 ss.
133 Sulle varie tipologie di merchandising, cfr. S. D'INNOCENZO, Il merchandising come contratto sportivo, Padova, 2010, 40 ss.
(fisica).
Il contratto di sponsorizzazione134 ha lo scopo, di carattere in senso lato pubblicitario, di collegare l'immagine dello sponsor a quella dello sponsee e di utilizzare, dunque, l'immagine e il nome dello sponsee per promuovere lo sponsor. A tal fine, lo sponsee viene utilizzato come mezzo di veicolazione dei segni distintivi dello sponsor.
Gli obblighi previsti in capo allo sponsee sono di vario tipo135. Innanzitutto, lo sponsee si impegna a utilizzare beni che riportano i segni distintivi dello sponsor: è il caso, ad esempio, del calciatore che si impegna a indossare le scarpe di una determinata marca, o del musicista che si obbliga a utilizzare determinati strumenti musicali. I segni distintivi in oggetto possono riguardare sia beni attinenti all'attività svolta dallo sponsorizzato, sia beni che nulla hanno a che vedere con questa. La portata concreta di tale obbligo è assai varia136. Entro il termine di durata del contratto, le parti specificano le attività e le occasioni durante le quali lo sponsee è tenuto a utilizzare beni recanti i segni distintivi dello sponsor; il contenuto di tali obbligazioni cambia a seconda che la sponsorizzazione sia riferita ad un particolare evento, a un singolo personaggio
134 Sul contratto di sponsorizzazione vedi X. XXXXXXXX, Sponsorizzazione, cit., 249 ss.; X. XXXXXXXXXXXXX, I contratti di sponsorizzazione, in Giur. comm., 1987, I, 288 ss.; M. V. XX XXXXXX, Sponsorizzazione e mecenatismo, cit., passim; M. BIANCA, I contratti di sponsorizzazione, cit., passim; V. XXXXXXX XXXXXX - X. XXXXXXXX, Il fenomeno “sponsorizzazione” nella dottrina, nella giurisprudenza e nella contrattualistica, in Dir. inf., 1990, 2, 639 ss.; X. XXXXX, Sponsorizzazione, in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, 509 ss.; X. XXXXXXXX - X. XXXXX - X. XXXXXXXXXX, Sponsorizzazione, merchandising, pubblicità, cit., 9 ss. e 71-75 con particolare riferimento all'utilizzo dell'immagine a scopi pubblicitari; D. ANICETI, Lo sfruttamento pubblicitario della notorietà tra concessione di vendita e contratto di sponsorizzazione, in Giust. civ., 1998, 4, 1062-1066; M. BIANCA, voce Sponsorizzazione, in Dig. disc. priv., sez. comm., Torino, 1998, 134 ss.; X. XXXXX, La natura atipica del contratto di sponsorizzazione, cit., 1067 ss.; X. XXXXXX, Il contratto di sponsorizzazione: natura e disciplina, in Giust. civ., 2001, II, 3 ss.; X. XXXXXXXXXXXXX, Il contratto di sponsorizzazione, in X. XXXXXXXX - A. M. XXXXXXX (a cura di), I contratti di somministrazione e di distribuzione, in Trattato dei contratti diretto da X. Xxxxxxxx ed X. Xxxxxxxxx, vol. XVII, Milano, 2011, 499 ss.; V. FALCE, I contratti di sponsorizzazione, in A. M. XXXXXXX (a cura di), I contratti di pubblicità e di sponsorizzazione, Torino, 2012, 47 ss. In giurisprudenza, x. Xxxx., 00 ottobre 1997, n. 9880, cit., in cui la sponsorizzazione viene definito come quel contratto in cui il soggetto sponsorizzato “si obbliga a consentire ad altri l'uso della propria immagine pubblica ed il proprio nome per promuovere un marchio o un prodotto specificamente marcato, dietro corrispettivo. L'uso di tale immagine pubblica può prevedere che lo sponsee tenga anche determinati comportamenti di testimonianza in favore del marchio o del prodotto oggetto della veicolazione commerciale”.
135 V., ad esempio, X. XXXXXXXX, Sponsorizzazione, cit., 253-256; M. V. DE GIORGI, Sponsorizzazione e mecenatismo, cit., 110 ss.; X. XXXXXXXXXX, La sponsorizzazione sportiva, in I contr., 2006, 1013 ss.; X. XXXXX, I contratti di sponsorizzazione, cit., 73-81.
136 Cfr. X. XXXXXX, Il contratto di sponsorizzazione: natura e disciplina, cit., 12, il quale rileva come spesso gli obblighi dello sponsee siano identificati in maniera generica, riportando l'esempio di clausole del tipo “lo sponsee si impegna a fare quanto necessario per divulgare il marchio dello sponsor”.
oppure a una società o associazione sportiva137. Accanto a queste previsioni, le parti solitamente stabiliscono anche il diritto dello sponsor di rendere nota al pubblico la circostanza che lo sponsee utilizza beni recanti i propri segni distintivi; a tal fine lo sponsor viene autorizzato a utilizzare il nome e le immagini dello sponsee a limitati fini, come, ad esempio, allo scopo di proclamarsi suo sponsor ufficiale. Tale previsione può accompagnarsi, ma non necessariamente, ad accordi di merchandising. Può infine essere previsto l'obbligo in capo allo sponsee di rendersi disponibile ad effettuare egli stesso attività in senso lato promozionale in favore dello sponsor, ad esempio partecipando a determinati eventi o menzionando lo sponsor nei comunicati stampa. Talvolta tali obblighi sfociano in contratti di endorsement. Con riferimento a tutte tali prestazioni, possono essere previsti obblighi di esclusiva, talvolta limitati territorialmente.
Dato il collegamento che si instaura tra l'immagine dello sponsor e quella dello sponsee, sono frequenti le clausole che obbligano le parti a non tenere alcun comportamento o a non rilasciare alcuna dichiarazione che possa ledere la reputazione della controparte. Chiaramente rientra in tale tipologia di clausole (e viene comunque fatto discendere dai doveri di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto) l'obbligo di non tenere alcun comportamento idoneo unicamente a screditare la controparte138. Il discorso si fa più delicato ove la parte tenga un comportamento idoneo a compromettere la propria reputazione e non direttamente quella della controparte, che risulta dunque lesa solo in maniera indiretta139; è il caso, ad esempio, in cui una delle parti venga coinvolta in scandali. Tali eventualità possono essere prese in considerazione direttamente dal contratto tramite le cd. moral clauses, che prevedono la risoluzione del contratto o la facoltà di
137 In tema cfr. X. XXXXXX, I contratti di sponsorizzazione, cit., 65 ss., 134-140; X. XXXXXXXXXXXXX, Il contratto di sponsorizzazione, cit., 506-509.
138 In tema cfr. Cass. Civ. sez. III, 29 maggio 2006, n. 12801, in Resp. civ. prev., 2007, 554-558; Trib. Rieti, 19 marzo 1994, in Dir. inf., 1994, 1013-1016, con nota di M. V. DE GIORGI, Contratti di sponsorizzazione e doveri di correttezza, 1017 ss.
139 La reputazione dello sponsee può risultare compromessa sia a seguito di insuccessi legati alla sua attività professionale nell'ambito della quale è stato stipulato il contratto di sponsorizzazione (ad esempio, nel caso in cui il giocatore sponsorizzato venga squalificato), sia per avvenimenti che riguardano la sua vita privata. In tema v.
M. V. DE GIORGI, Sponsorizzazione e mecenatismo, cit., 114 ss.; M. BIANCA, I contratti di sponsorizzazione, cit., 196 ss.; X. XXXX-ZENCOVICH, Profili negoziali degli attributi della personalità, cit., 563, 571 s.; M. V. DE GIORGI, Contratti di sponsorizzazione e doveri di correttezza, cit., 1019 ss.; M. BIANCA, voce Sponsorizzazione, cit., 150 s.; G. FACCI, La sponsorizzazione sportiva e la violazione della buona fede: questioni vecchie e nuove, in Resp. civ. prev., 2011, 3, 527 ss. e la giurisprudenza ivi richiamata; A. M. XXXXXXX - X. XXXXXX, Il contratto di endorsement, in X. XXXXXXXX - A. M. XXXXXXX (a cura di), I contratti di somministrazione e di distribuzione, cit., 485 ss.
recesso nel caso in cui la reputazione di una delle parti risulti compromessa140. Si tenga inoltre presente che le parti spesso indicano esplicitamente nelle premesse del contratto che questo è stipulato proprio sulla base della notorietà e della buona reputazione dello sponsee in un determinato campo.
Simile al contratto di sponsorizzazione, e a volte difficilmente distinguibile da questo nella prassi, è quello di endorsement141. Anche qui la persona si fa veicolo dei segni distintivi della controparte; tuttavia, mentre nella sponsorizzazione il legame che si instaura tra l'immagine dello sponsor e quella dello sponsee è solitamente limitato ad un determinato evento o a una determinata serie di eventi a cui partecipa lo sponsee, nell'endorsement l'endorser si obbliga a promuovere l'endorsee nell'ambito di tutta la propria attività professionale142. Pertanto, mentre nella sponsorizzazione il collegamento tra le immagini delle parti si realizza mostrando al pubblico che lo sponsor è presente e ha contributo a determinati eventi o attività, nell'endorsement tale scopo è perseguito manifestando al pubblico che l'endorser ha scelto come propria marca di fiducia quella dell'endorsee, facendosi in tal modo garante, in senso lato, della qualità dei prodotti di quest'ultimo143. Proprio per tale ragione, la durata dei contratti di endorsement può non essere determinata in un preciso periodo di tempo ma può essere correlata all'intera durata della carriera dell'endorsee (e può estendersi anche oltre)144.
Gli obblighi a carico dell'endorser sono molto simili a quelli dello sponsee, ma hanno solitamente portata più ampia. Così, l'obbligo di utilizzare i prodotti dell'endorsee riguarda spesso tutte le
140 In proposito, con riferimento ai contratti per la realizzazione di materiale pubblicitario, la Raccolta degli usi della provincia di Milano del 2010, pubblicata dalla Camera di Commercio di Milano, 515, all'art. 24 statuisce che “[i]l committente può risolvere il contratto ove, per qualsiasi motivo anche non dipendente da fatto o colpa del modello o interprete, l'immagine di questi venga a compromettersi nei confronti del pubblico”.
141 Sul contratto di endorsement v. S. DELL'ARTE, Il contratto di endorsement, in I contr., 2007, 1, 89 ss.; A. M. XXXXXXX - X. XXXXXX, Il contratto di endorsement, cit., 467 ss.; X. XXXXXX, I contratti per lo sfruttamento del nome e dell'immagine. Parte speciale: il contratti di endorsement, in A. M. XXXXXXX (a cura di), I contratti di pubblicità e di sponsorizzazione, cit., 127 ss.; X. XXXXXX, False endorsement e disgorgement, in Contr., 2013, 5, 493-495.
142 La differenza tra endorsement e sponsorizzazione è in realtà molto sfumata quando la sponsorizzazione riguarda non un evento o un club, ma la singola persona.
143 Sulle differenze tra sponsorizzazione ed endorsement v. A. M. XXXXXXX, X. XXXXXX, Il contratto di endorsement, cit., 474 s., i quali sottolineano che, contrariamente a quanto accade nella sponsorizzazione dove l'effetto pubblicitario si realizza in maniera indiretta, l'endorsement è “volto a pubblicizzare in modo diretto e immediato i prodotti di un'impresa”.
144 A. M. XXXXXXX, X. XXXXXX, Il contratto di endorsement, cit., 488.
occasioni in cui l'endorser si mostra al pubblico nell'ambito della propria attività professionale, mentre viene solitamente escluso con riguardo alla vita privata. Inoltre, nei contratti di endorsement è molto frequente la previsione in capo all'endorser di obblighi di partecipazione a eventi indicati dalla controparte, durante i quali l'endorser può impegnarsi ad ulteriori prestazioni, come quella di rilasciare interviste in cui declama le qualità dei prodotti dell'endorsee. È anche previsto l'obbligo dell'endorser di partecipare a campagne pubblicitarie organizzate dalla controparte o comunque di acconsentire all'utilizzo di elementi evocativi della propria identità nell'ambito di attività promozionali. Ancora, l'endorser può obbligarsi a promuovere i prodotti della controparte su diversi mezzi di comunicazione, come ad esempio sul proprio sito internet, blog, account Facebook o Twitter.
Caratteristica del contratto di endorsement è la previsione di un'esclusiva a favore dell'endorsee; l'utilizzo da parte dell'endorser di prodotti concorrenti determinerebbe infatti una perdita di efficacia del messaggio pubblicitario veicolato con l'endorsement145.
Un'altra tipologia di contratto finalizzato alla promozione pubblicitaria attraverso l'utilizzo di attributi immateriali della persona è quello di testimonial146. Anche in questo caso, come nell'endorsement, il testimonial “garantisce” la qualità di determinati prodotti; tuttavia, mentre nell'endorsement tali prodotti sono utilizzati dall'endorser nell'ambito della propria attività professionale, il testimonial declama la bontà di prodotti che fuoriescono dal campo della sua attività professionale e che afferma di aver utilizzato quale semplice consumatore147. Il testimonial si obbliga infatti a promuovere in maniera diretta i prodotti della controparte, solitamente nel contesto di una campagna pubblicitaria e, dunque, prestandosi alla ripresa di spot pubblicitari o recandosi ad eventi promozionali.
Mentre nella sponsorizzazione e nell'endorsement i segni distintivi dello sponsor o dell'endorsee
145 Cfr. A. M. XXXXXXX, X. XXXXXX, Il contratto di endorsement, cit., 483.
146 Sul contratto di testimonial v. X. XXXXXXXX, La notorietà della persona da interesse protetto a bene giuridico, cit., 212 s. Mentre nella sponsorizzazione l'effetto pubblicitario viene conseguito in maniera indiretta, il contratto di testimonial è diretto a reclamizzare direttamente i prodotti della controparte: in tema v. X. XXXXXXXXXXXXX, Il contratto di sponsorizzazione, cit., 540-542. Sull'effetto pubblicitario indiretto della sponsorizzazione cfr. M. V. DE GIORGI, Sponsorizzazione e mecenatismo, cit., 9 ss.; M. BIANCA, I contratti di sponsorizzazione, cit., 25 ss.; X. XXXXX, I contratti di sponsorizzazione, cit., 55-58, 104 ss.
147 Sulle differenze tra endorsement e testimonial v. A. M. XXXXXXX - X. XXXXXX, Il contratto di endorsement, cit., 475.
sono in vario modo apposti sulla persona della controparte, che diventa dunque veicolo materiale di diffusione di tali segni, nel merchandising148 sono il nome o l'immagine della persona notoria ad essere apposti sui prodotti, solitamente destinati alla vendita, della controparte. Nel merchandising il licenziante concede infatti al licenziatario il diritto di apporre il proprio nome o la propria immagine su beni o servizi prodotti da quest'ultimo. Tale concessione può essere accompagnata dalla previsione di ulteriori obblighi in capo al licenziante, come ad esempio quello di prestazioni di posa o recitazione per campagne pubblicitarie o di partecipazione ad eventi a fini promozionali. Per delimitare l'ambito di operatività dell'autorizzazione concessa dal licenziante, le parti individuano nel contratto gli specifici prodotti sui quali possono essere apposti il nome o l'immagine di questi. In mancanza di una specifica indicazione – o in aggiunta a questa, se si tratta di un'indicazione generica – è solitamente previsto l'obbligo in capo al licenziatario di sottoporre i prodotti in questione all'approvazione della controparte, che a sua volta si impegna a non negare l'autorizzazione senza ragionevoli motivi. Anche in questo caso possono essere previsti obblighi di esclusiva.
Anche nel merchandising, instaurandosi un collegamento tra le immagini di due soggetti, si pongono i problemi, di cui si è accennato sopra, in merito alla reciproca tutela della reputazione delle parti. Possono dunque prevedersi delle clausole in base alla quali il licenziatario si obbliga a mantenere un certo livello qualitativo dei prodotti su cui appone il nome o l'immagine del licenziante, e che stabiliscono il diritto di recesso dal contratto in favore del licenziatario qualora il licenziante ponga in essere atti gravemente lesivi della propria reputazione.
Il nome e l'immagine concessi in merchandising possono anche essere registrati come marchio149. In questo caso, oggetto del contratto è il marchio e si può parlare di merchandising solo qualora tale marchio venga apposto su beni o servizi appartenenti ad un settore merceologico diverso da
148 Sul contratto di merchandising, si vedano X. XXXXX, Il merchandising e la sua disciplina giuridica, in Riv. dir. comm., 1989, I, 121 ss.; X. XXXXXXXX - A. DASSI - X. XXXXXXXXXX, Sponsorizzazione, merchandising, pubblicità, cit., 113 ss. e 129-134 in particolare sul merchandising sul nome o immagine di persone fisiche; M. BIANCA, I contratti di sponsorizzazione, cit., 172 ss; S. D'INNOCENZO, Il merchandising come contratto sportivo, cit., 31 ss.; X. XXXXXXXXXXXXX, Il contratto di sponsorizzazione, cit., 542-544; X. XXXXXX, voce Merchandising, in Enc. giur. Treccani, 2 s. Sulle differenze tra merchandising e sponsorizzazione cfr. S. D'INNOCENZO, Il merchandising come contratto sportivo, cit., 68-72.
149 Cfr. X. XXXXXXXX, Uso come marchio del nome e del ritratto di una persona, in Riv. dir. ind., 1983, 2, 195 ss.; X. XXXXXXXXX, Lo sfruttamento commerciale della notorietà civile di nomi e di segni, cit., 67 ss.
quello per cui il marchio viene utilizzato dal titolare; in caso contrario si parla di licenza di marchio150. Peraltro, anche nel caso in cui oggetto del contratto sia il marchio si pongono tutti i problemi relativi alla contrattualizzazione dei diritti della personalità.
Simili agli accordi di merchandising e di licenza di marchio, e in parte ad essi sovrapponibili, sono i contratti cd. di co-branding, in cui si prevede che su un prodotto vengano apposti segni distintivi appartenenti a soggetti diversi. Tra tali segni distintivi possono infatti rientrare anche il nome o l'immagine (registrati o meno come marchio) di un personaggio notorio; si pensi, ad esempio, ad un personaggio della moda che acconsente alla creazione di una linea di abbigliamento da parte di un soggetto terzo sulla quale verrà apposto anche il proprio nome. Solitamente il co-branding viene utilizzato per la creazione di nuove linee di prodotti.
Anche in questi contratti è normalmente previsto un termine di durata del rapporto.
Occorre infine menzionare quei contratti in cui la persona notoria consente non la mera riproduzione del proprio nome o della propria immagine sui prodotti della controparte, ma la produzione di beni, quali figurine e bambolotti, che la rappresentano. In questo caso l'immagine della persona è utilizzata non tanto per pubblicizzare un prodotto altrui, ma per consentire a un terzo di commercializzare prodotti che consistono nella rappresentazione stessa della persona.
Tutti i contratti sinora illustrati sono solitamente stipulati a titolo oneroso, anche se il corrispettivo può non solo variare nella quantità ma assumere anche diverse forme. Talvolta, questo consiste solo nella fornitura di un determinato quantitativo di beni prodotti dalla controparte. Se invece il potere contrattuale della persona notoria è maggiore, questa potrà ricevere un corrispettivo in denaro, determinato in una somma fissa oppure rapportato agli incassi della controparte relativi ai prodotti rispetto ai quali ha svolto attività promozionale (cd. royalties).
I contratti di sponsorizzazione, merchandising, endorsement e testimonial appartengono al genere dei contratti, in senso lato, pubblicitari, in cui gli attributi immateriali della persona vengono
150 Sui rapporti tra merchandising e licenza di marchio cfr. X. XXXXXXXX - X. XXXXX - X. XXXXXXXXXX, Sponsorizzazione, merchandising, pubblicità, cit., 120 s.; X. XXXXXX, La licenza di marchio e il merchandising, in AA. VV., Xxxxx e forme distintive: la nuova disciplina. Atti del convegno Milano 16-17 giugno 2000, Milano, 2001, 174-176; S. D'INNOCENZO, Il merchandising come contratto sportivo, cit., 66-68. Sulla licenza del marchio celebre v., ad. esempio, X. XXXXXXX, Diritto civile e commerciale, cit., vol. III, t. 1, 206-210.
utilizzati (direttamente o indirettamente) per promuovere beni o servizi della controparte; proprio per tale motivo, questi contratti coinvolgono persone notorie. Obiettivi e struttura diversi hanno invece quegli accordi finalizzati alla creazione di uno spettacolo, inteso in senso ampio151. Anche in tale ambito, tuttavia, vi sono tipologie contrattuali molto diverse tra loro152.
Tradizionalmente per la creazione di spettacoli ci si avvale di professionisti che consentono l'esposizione ed eventualmente la riproduzione in pubblico di attributi immateriali della propria persona153. Così è, ad esempio, per gli attori che recitano in un film, per i cantanti o musicisti che si esibiscono in concerti o in video musicali, per i comici che partecipano a uno spettacolo di cabaret, per i conduttori televisivi e gli speaker radiofonici, per i calciatori che giocano di fronte a un pubblico. In questo caso, gli attributi della persona dedotti in contratto riguardano, per l'appunto, professionisti e le prestazioni in oggetto rientrano nella loro attività lavorativa. Questa può essere di tipo subordinato o autonomo, a seconda delle concrete modalità di svolgimento154: ad esempio, può costituire lavoro subordinato quello di un ballerino di fila scritturato da una
151 Sulla nozione di “spettacolo”, seppure elaborata nel diverso contesto della tutela previdenziale, x. X. XXXXXXX, Xxxxx nozione di lavoratore dello spettacolo ai fini della tutela previdenziale Enpals. La Cassazione cambia orientamento, in Riv. dir. sicurezza sociale, 2007, 3, 673 ss.; in tema cfr. anche X. XXXXXXXX, L'impresa di spettacoli, anche sportivi, in AIDA, 2007, 318.
152 Per una breve descrizione di alcune figure di lavoratori del mondo dello spettacolo v. A. C. LA ROSA, Il rapporto di lavoro nello spettacolo, 5ª ed., Milano, 1998, 38 ss.
153 Cfr. X. XXXXXXXX, L'impresa di spettacoli, anche sportivi, cit., 336, la quale sottolinea che il diritto all'immagine “non ha, nella produzione dello spettacolo, un valore scisso da quello della prestazione dell'atleta o artista al quale spetta, insieme con la quale entra nel processo produttivo. Esso ha, invece, un autonomo valore negoziabile nei confronti di altri prodotti, che non sono veri e propri derivati dello spettacolo, ma che pure, latamente, vi si collegano”.
154 In tema cfr. L. A. MIGLIORANZI, Natura giuridica delle prestazioni dell'artista cinematografico, in Dir. lav., 1955, 375 ss.; X. XXXXXXXX, Il contratto di scrittura dell'attore cinematografico, in Riv. dir. comm., 1958, 1, 220- 222; X. XXXXXXXX, Diritto dello spettacolo, Roma, 1959, 110 ss.; X. XXXXX, L'attore nel rapporto di lavoro, Milano, 1963, 15 ss.; L. D'ALOJA, Sulla natura giuridica della prestazione dell'interprete cinematografico, Padova, 1967, 11 ss.; X. XXXXXXX, Artisti cinematografici e audiovisivi in Italia e in Francia, in Dir. aut., 1987, 483 s.; X. XXXXXXXX, Il diritto dell'artista interprete o esecutore alla prestazione e alla sua utilizzazione nei rapporti con l'impresa di spettacolo, in Dir. aut., 1990, 510 ss.; A. C. LA ROSA, Il rapporto di lavoro nello spettacolo, cit., 105 ss.; X. XXXXX, voce Scritture teatrali, in Dig. disc. priv., sez. civ., agg., Torino, 2010, 891 s. In tal senso si pronuncia anche la giurisprudenza: x. Xxxx. civ. sez. lav., 25 ottobre 2005, n. 20659, in Riv. ital. dir. lav., 2006, 4, 858-863, con nota di F. XX XXXXX, Qualificazione della prestazione artistica dell'attore: la Cassazione ribadisce la nozione unitaria del contratto di lavoro subordinato; Cass. civ. sez. lav., 9 settembre 2003, n. 13185, reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx; Cass. civ. sez. lav., 17 febbraio 1992, n. 1932, in Giust. civ. mass., 1992, II, 2631 s.; Cass. civ. sez. lav., 4 ottobre 1988, n. 5358, in Giust. civ. mass., 1988, II, 2306; Cass. civ. sez. lav., 12 marzo 1982, n. 1592, in Riv. it. dir. lav., 1982, II, 744 ss.; Cass. civ. sez. II, 25 maggio 1962, n. 1233, in Mass. giur. lav., 1962, 309.
compagnia teatrale, mentre può non essere tale la prestazione del comico che viene invitato a partecipare a una puntata di un programma televisivo.
Vi è poi il caso dei contratti per la realizzazione di filmati, registrazioni o fotografie di carattere pubblicitario155. Su un piano di funzione svolta dal contratto, questi contratti sono trasversali rispetto alle prime due categorie di accordi di cui si è finora parlato (contratti in cui gli attributi immateriali della persona sono usati a scopo pubblicitario e contratti finalizzati all'organizzazione di uno spettacolo, inteso in senso lato). Quando coinvolgono una persona non famosa (il che non vuole necessariamente dire non professionista) i contratti per la realizzazione di pubblicità non differiscono in nulla dagli accordi del secondo tipo. Rientrano invece nel primo tipo i contratti di testimonial che coinvolgono una persona famosa. Sono di più difficile inquadramento i contratti per la realizzazione di pubblicità che coinvolgono un personaggio famoso cui sia richiesta una prestazione più complessa rispetto alla mera apparizione. In questi casi è difficile stabilire un confine netto tra i contratti in cui prevale l'obiettivo del mero uso dell'immagine della persona famosa e in cui la prestazione di quest'ultima è usata solo per fare da contesto alla sua apparizione – che sono dunque riconducibili al primo gruppo – e quelli in cui la prestazione in senso lato artistica assume un profilo preponderante e che quindi svolgono una funzione più simile ai contratti del secondo tipo.
Per quanto riguarda la disciplina dei contratti pubblicitari, le parti possono stabilire l'ambito e il termine di durata dell'utilizzazione dei filmati, fotografie e registrazioni effettuati; in caso contrario, gli usi prescrivono che questa sia limitata all'utilizzazione pubblicitaria prevedibile156. Può essere previsto un obbligo di esclusiva in capo all'interprete o modello, che si impegna a non partecipare ad altre iniziative pubblicitarie organizzate nello stesso ambito merceologico.
Un'altra fattispecie in cui non è facile distinguere la finalità pubblicitaria da quella di creazione di uno “spettacolo” è quella in cui una persona famosa si impegna a presenziare a feste, eventi o programmi televisivi, senza invece obbligarsi a dire o fare in tali sedi alcunché di predeterminato.
155 Su tali contratti v. X. XXXXXXXX, X. XXXXX, X. XXXXXXXXXX, Sponsorizzazione, merchandising, pubblicità, cit., 189 s.; X. XXXX, I contratti della pubblicità, cit., 123 ss.
156 Così la Raccolta degli usi della provincia di Milano del 2010, cit., 515, art. 22, comma II, che stabilisce che “[i]n difetto di pattuizione circa modalità e termini di impegno, l'utilizzazione del materiale realizzato con la partecipazione del modello o interprete è estesa ad ogni utilizzazione pubblicitaria prevedibile”.
Anche le persone comuni, che non sono professionisti del settore, vengono coinvolte nei contratti del mondo dello spettacolo. L'esempio più evidente è quello dei programmi televisivi che hanno ad oggetto la vita quotidiana, o singoli episodi di questa, di persone comuni. Le fattispecie sono molto varie e con un diverso grado di intrusione nella vita privata delle persone.
Vi rientrano innanzitutto i programmi di candid camera, in cui gli organizzatori del programma riprendono, con telecamere o registratori, il comportamento di alcune persone, del tutto inconsapevoli di essere riprese, in situazioni più o meno imbarazzanti, solitamente createsi a seguito di scherzi posti in essere dagli stessi organizzatori; dopo che la ripresa è stata effettuata viene chiesto alla vittima dello scherzo il consenso (la cd. liberatoria) alla diffusione dei filmati o delle registrazioni. In questi casi viene dunque richiesta l'espressione di un consenso ex post.
Viene invece richiesto un consenso preventivo, tramite la stipula di appositi accordi, nei cd. reality shows e programmi simili, in cui il partecipante al programma si impegna a prendere parte alle attività indicate dall'organizzatore del programma e acconsente ad essere ripreso durante lo svolgimento di tali attività, nonché alla contestuale o successiva diffusione radiotelevisiva di tali filmati. Le attività cui la persona si impegna a partecipare sono le più varie: ad esempio, vivere in un determinato luogo senza possibilità di uscire per un certo periodo di tempo, partecipare alle puntate di una trasmissione televisiva e ivi raccontare al pubblico alcune vicende della propria vita personale, prendere parte a gare di ballo e canto, partecipare a giochi e sfide di vario tipo. Per quanto riguarda la controprestazione, in alcuni casi è previsto un compenso in denaro (talvolta subordinato alla “vincita” di sfide o giochi), altre volte, in aggiunta a (o in sostituzione di) questo, una prestazione in natura. Queste ultime possono consistere in premi di tipo tradizionale, quali gadgets, viaggi, biglietti per spettacoli; in altri casi la partecipazione a questi programmi si colloca nella prospettiva di ulteriori contratti di collaborazione con gli organizzatori del programma o con terzi. Talvolta la controprestazione rientra nella stessa attività oggetto del programma televisivo cui la persona partecipa: vi sono, ad esempio, programmi in cui l'organizzatore accompagna il partecipante ad acquistare nuovi vestiti al fine di migliorare il proprio aspetto e in cui il corrispettivo consiste, per l'appunto, negli abiti nuovi acquistati; oppure programmi in cui l'organizzatore si occupa, a sue spese, della ristrutturazione della casa o dell'autoveicolo del partecipante, il quale acconsente alla ripresa e diffusione di tutte le fasi di tale
ristrutturazione.
Tutti i contratti visti sinora hanno lo scopo di mostrare la persona al pubblico. In un terzo gruppo di accordi gli attributi immateriali della persona vengono invece dedotti in contratto non per essere esposti in pubblico ma per essere utilizzati internamente dalla controparte. Si tratta, in particolare, del fenomeno della raccolta di dati personali, dalla cui elaborazione vengono tratte informazioni utili a diversi fini. Tra questi, preponderante pare essere la finalità pubblicitaria: i dati personali vengono infatti spesso raccolti per individuare i gusti e le preferenze delle persone cui i dati si riferiscono, al fine di inviare messaggi pubblicitari mirati o personalizzati.
In questa tipologia di contratti, la persona dunque acconsente al trattamento dei propri dati (da parte della controparte e spesso anche da terzi individuati da quest'ultima), al fine di ricevere in cambio un bene o un servizio. La controparte raccoglie i dati e li utilizza al fine di profilare gli utenti e inviare così, tramite diversi mezzi, pubblicità mirata, ovvero li cede a terzi. È il caso, ad esempio, delle tessere fedeltà e, soprattutto, dei servizi offerti online (motori di ricerca, social networks, caselle email, per citarne alcuni), in cui il business model prevalente prevede lo scambio dei servizi non con una remunerazione monetaria ma con la prestazione del consenso al trattamento dei dati157.
Non sembra invece doversi occupare in questa sede dei contratti in cui i dati forniti dall'interessato sono strettamente necessari a ricevere o a erogare una prestazione, come, ad esempio, nel caso in cui cliente debba fornire alla banca alcuni suoi dati identificativi necessari per l'apertura del conto corrente, o qualora il lavoratore debba comunicare al datore il proprio numero di telefono per poter essere reperibile durante l'orario di lavoro. In questi casi, infatti, la disposizioni degli attributi immateriali della persona non assume rilievo di per sé, ma è strettamente strumentale, per l'appunto, ad un'altra prestazione.
Le fattispecie contrattuali brevemente descritte sono quelle che, sinora, si sono maggiormente
157Sulla gratuità o onerosità dei contratti di accesso a servizi online, v. X. XXXXXX, Il diritto alla tranquillità individuale. Dalla rete internet al 'door to door', cit., 234 ss.,; S. F. XXXXXXX, La tutela dei consumatori nei contratti gratuiti di accesso ad internet: i contratti dei consumatori e la privacy tra fattispecie giuridiche e modelli contrattuali italiani e statunitensi, in Dir. inf., 2002, VI, 1093 ss.,; X. XXXXXX, Il rapporto tra gestore e utente: questioni generali, in AIDA, 2011, 114; X. XXXXXXXX, Cyberspazio, social network e teoria generale del contratto, AIDA, 2011, 96; X. XXXXX, Inadempimento di contratto e sanzioni private nei social network, AIDA, 2011, 232.
diffuse nella prassi. Si può ancora menzionare il caso dei contratti che hanno ad oggetto il diritto morale d'autore o d'inventore, con i quali la persona acconsente a che altri si dichiari unico o concorrente padre dell'opera. Si tratta, nel caso di diritto d'autore, dei patti di ghost writing, nei quali l'autore si impegna a scrivere egli stesso una determinata opera (sulla base o meno di indicazioni fornite dalla controparte), oppure a riordinare e ampliare materiali procurati dal committente; in ogni caso, il ghost writer rinuncia a rivendicare la paternità dell'opera e cede alla controparte tutti i diritti morali e patrimoniali ad essa relativi158.
Un fenomeno assai diffuso, in particolare nei primi due gruppi di contratti di cui si è parlato, è quello della presenza di intermediari che a vario titolo gestiscono lo sfruttamento dei diritti della personalità altrui. È il caso, ad esempio, degli agenti dei personaggi dello spettacolo, che si occupano di reperire ingaggi per i loro assistiti e di concludere i relativi contratti159; delle federazioni o squadre sportive, a favore delle quali i giocatori solitamente cedono i diritti di sfruttamento dei propri nome e immagine quando questi sono utilizzati in connessione alla prestazione sportiva160; delle società cui viene concesso il diritto, a titolo di conferimento, di sfruttare taluni attributi immateriali della persona del conferente, talvolta registrati come
158 Sugli accordi di ghost writing cfr. X. XXXXXXX, Arbitrabilità delle controversie di diritto d'autore, cit., 47 ss.; X. XXXXX, Rivendicazione della paternità, tutela della reputazione e ritiro dal commercio nel diritto di autore, cit., 60 ss.
159 In tema v. X. XXXX, I contratti della pubblicità, cit., 139 s., secondo cui tale fenomeno non desta perplessità, a meno che il contratto stipulato dall'agente sia luogo ad un rapporto di lavoro subordinato del rappresentato.
160 In particolare, si segnala la Convenzione stipulata tra la Lega Nazionale Professionisti e l'Associazione Nazionale Calciatori in data 23 luglio 1981, che prevede, all'art. 3, che “la gestione economica di iniziative aventi per oggetto l'utilizzazione dell'immagine dei calciatori in tenuta da gioco, allorché tali immagini siano destinate alla realizzazione di raccolte o collezioni […] spetta in via esclusiva all'AIC”, mentre, secondo l'art. 1, “è riconosciuta ai calciatori la facoltà di utilizzare in qualsiasi forma lecita e decorosa la propria immagine, anche a scopo diretto o indiretto di lucro, purché non associata a nomi, colori, maglie, simboli o contrassegni della società di appartenenza [...]”; in caso di “insanabile conflitto tra i contratti pubblicitari o di sponsorizzazione rispettivamente riguardanti le Società ed i giocatori, le leghe e l'AIC ritengono equo che una maggiore tutela debba essere riservata ai contratti della Società in quanto involgenti interessi collettivi, nonché al fine di prevenire manovre concorrenziali riconosciute come contrastanti con le finalità e lo spirito di ogni attività sportiva” (art. 11). In proposito, v. X. XXXXXX, I contratti di sponsorizzazione, cit., 70 s.; X. XXXXXXXX - X. XXXXX
- X. XXXXXXXXXX, Sponsorizzazione, merchandising, pubblicità, cit., 74-75; X. XXXXXXXX, La notorietà della persona da interesse protetto a bene giuridico, cit., 226, nota 79; X. XXXX, Il diritto all'immagine degli atleti, in AIDA, 2003, 263 s.; G. FACCI, La sponsorizzazione tecnica e lo sfruttamento commerciale del marchio sportivo, in Nuova giur. civ. comm., 2010, II, 653 ss.; X. XXXXX, La sponsorizzazione sportiva e la violazione della buona fede: questioni vecchie e nuove, cit., 539 s.
marchio161.
2. L'oggetto del contratto
2.1 Le prestazioni
Le fattispecie sopra descritte prevedono determinate prestazioni in capo, per quel che qui interessa, a colui che “dispone” degli attributi immateriali della propria persona. Sempre sul piano di descrizione delle fattispecie, senza dunque ancora analizzare la disciplina applicabile, occorre esaminare il contenuto e il carattere di tali prestazioni. Si prescinde, per ora, dalla questione sulla configurabilità di un vero e proprio trasferimento di un diritto oppure del mero sorgere di un'obbligazione162, che attiene più agli effetti del contratto che non all'analisi meramente descrittiva dell'oggetto163.
Le prestazioni in questione possono essere fatte rientrare nelle tradizionali categorie di pati, di
facere e di non facere164.
Per quanto riguarda le prestazioni aventi ad oggetto un pati, questo consiste nel consentire che un altro soggetto sfrutti in qualche modo gli attributi immateriali della propria persona, esponendoli in pubblico (il calciatore che acconsente all'apposizione del proprio nome su una linea di abbigliamento, l'attore che acconsente alla registrazione e riproduzione della propria prestazione artistica), oppure utilizzandoli per fini suoi interni (l'utente che acconsente al trattamento dei propri dati personali per scopi pubblicitari)165. In questo modo la persona autorizza tale sfruttamento e può anche impegnarsi per il futuro a non opporsi ad esso. La previsione di una
161 V. M. XXXXXXXXX, Lo sfruttamento commerciale della notorietà civile di nomi e di segni, cit., 108; G. RESTA, Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 323 nota 185.
162 V. infra cap. III, par. 2.
163 Cfr. X. XXXXXXXXXX, Il diritto sul proprio ritratto, cit., 136 ss., il quale, prima di verificare se dalle fattispecie in questione sorga “o un'obbligazione avente essenzialmente un contenuto di pati, tollerare che altri faccia, eventualmente accompagnato da obblighi accessori […] o la costituzione di un diritto assoluto a contenuto più limitato” (p, 148), esamina il contenuto di tali convenzioni affermando che “l'obbligazione che la persona potrà di volta in volta assumere non potrà essere altro che quella di permettere ad altri la esposizione o la riproduzione o la pubblicazione o la messa in commercio o più di uno di questi modi di divulgazione del ritratto” (p. 136).
164 X. X. XXXXX [x X. XXXX], Xx persone fisiche e i diritti della personalità, cit., 642 s.
165 Cfr. X. XXXX-XXXXXXXXX, Profili negoziali degli attributi della personalità, cit., 574, laddove sottolinea che mentre con riguardo alle prestazioni di fare “l'attenzione di incentra sull'attività svolta dal titolare”, nel casi di pati “occorre invece osservare quanto posto in essere dal terzo”; M. A. XXXXXXXX, Autonomia negoziale e diritto all'immagine, cit., 162.
prestazione di pati è sempre presente nelle fattispecie aventi ad oggetto gli attributi immateriali della persona, accompagnata o meno da un fare.
È possibile che le fattispecie in questione prevedano prestazioni di mero pati. In questi casi vi è un utilizzo degli attributi immateriali della persona senza che questa debba fare alcunché per rendere possibile tale sfruttamento. Vi è solo una prestazione di pati nel caso in cui si autorizza un terzo a utilizzare il proprio nome: il nome della persona già esiste così com'è e non si rende necessaria alcuna attività ulteriore rispetto alla mera prestazione del consenso al suo utilizzo al fine di consentirne lo sfruttamento da parte di terzi. L'autorizzazione a usare il proprio nome è frequente nelle fattispecie che hanno come scopo lo sfruttamento promozionale o pubblicitario della persona: ad esempio, costituiscono prestazioni di mero pati l'autorizzare la controparte ad apporre il proprio nome sui suoi prodotti, a proclamarsi alla stampa suo sponsor ufficiale, a dichiarare in un campagna pubblicitaria che la persona in questione utilizza i suoi prodotti. Un altro caso di prestazione di mero pati è quello in cui la persona consente che le proprie fattezze siano riprodotte attraverso disegni o altre rappresentazioni non fotografiche – la cui realizzazione non richiede, dunque, alcuna sua attività –, come ad esempio nel caso di consenso alla fabbricazione di bambolotti che rappresentano una persona famosa.
Possono esservi prestazioni di mero pati anche laddove queste siano in qualche modo collegate ad un comportamento attivo, purché tuttavia tale fare non sia finalizzato, anche solo secondariamente, alla disposizione degli attributi immateriali della persona attuata tramite il pati in questione.
Questo si verifica, innanzitutto, quando si consente lo sfruttamento di fotografie, filmati o registrazioni già esistenti (e per la realizzazione delle quali, dunque, è stata svolta una certa attività) per fini ulteriori e diversi rispetto a quelli per cui questi erano stati effettuati166. Così, ad esempio, costituisce una prestazione di mero pati l'autorizzare l'apposizione sui prodotti della controparte di una fotografia della persona scattata in precedenza e per diversi fini, per la cui realizzazione non si rende dunque necessaria alcuna ulteriore prestazione di posa; oppure il consentire la riproduzione di una propria canzone, già precedentemente prodotta e
166 In tal senso X. XXXXXXXX, La notorietà della persona da interesse protetto a bene giuridico, cit., 204, nota 8.
commercializzata, durante uno spot pubblicitario. Si noti che le fotografie, i filmati e le registrazioni già esistenti possono anche essere state realizzati con lo scopo di essere sfruttate commercialmente o in altro modo, ma la prestazione è di mero pati laddove vengano poi riutilizzati per un diverso sfruttamento. In questi casi il consenso all'utilizzo degli attributi immateriali della persona viene dunque prestato successivamente rispetto al fare che dà luogo allo sfruttamento. Un'altra ipotesi di consenso prestato ex post è quella delle candid cameras, in cui l'unica prestazione prevista è quella di pati – che consiste nell'autorizzare la diffusione dei filmati o delle registrazioni effettuati –, in quanto il comportamento attivo posto in essere (i comportamenti filmati o registrati ) non è oggetto di prestazione. Questo è infatti stato tenuto per fini diversi dalla realizzazione del filmato o della registrazione, di cui la persona neppure era consapevole.
Altro esempio di prestazione di pati connessa ad un'attività materiale che tuttavia non è oggetto di obbligazione è quello in cui il consenso all'utilizzo degli attributi immateriali della persona viene prestato prima di svolgere l'attività che sarà oggetto di sfruttamento qualora tale attività non sia svolta con il fine, neppure secondario, di disporre degli attributi immateriali della propria persona. Così, ad esempio, se un docente consente che le proprie lezioni impartite in aula siano registrate e i filmati così ottenuti diffusi, la prestazione è di mero pati se lo svolgimento di tali lezioni non è minimamente influenzato dalla circostanza che queste siano registrate. Diverso è il discorso se le lezioni in questione sono impartite, ad esempio, appositamente per un corso online e sono dunque tenute proprio con lo scopo di essere registrate e diffuse. Costituisce altresì una prestazione di mero pati il consenso prestato dall'utente fruitore di un servizio online al trattamento dei propri dati personali generati dalla navigazione in internet: in tal caso, infatti, l'utente non comunica direttamente i propri dati alla controparte, ma acconsente semplicemente a che questa li raccolga monitorando la sua attività su internet. In questi casi, i comportamenti in questione (tenere la lezione, navigare online) non sono oggetto di prestazione.
Come sopra accennato, le fattispecie in questione prevedono spesso anche prestazioni di fare. Queste hanno un contenuto molto vario a seconda delle fattispecie cui ineriscono: posare, recitare, cantare, ballare, presenziare a determinati eventi, declamare le qualità di un prodotto, comunicare i propri dati, scrivere un'opera. Possono anche essere previste prestazioni di non fare,
come nel caso in cui si preveda l'utilizzo in esclusiva dell'immagine di una persona (che dunque si impegna a non autorizzare altri soggetti a sfruttare al propria immagine), o qualora la persona si obblighi a non tenere comportamenti idonei a screditare la controparte. Il facere è sempre affiancato da una prestazione di pati, avente ad oggetto l'utilizzo da parte di un terzo del risultato del fare prestato. L'attività oggetto della prestazione di fare si pone in diversi modi rispetto al successivo pati, in quanto mentre alcune attività hanno un senso e un significato autonomi, altre hanno invece un senso in quanto veicolo di sfruttamento degli attributi immateriali della persona. Vi sono alcuni casi in cui il facere è finalizzato esclusivamente a consentire lo sfruttamento degli attributi immateriali della persona. Così è, ad esempio, per la modella che si reca in un determinato luogo, si veste e si fa truccare come indicato dalla controparte e posa per scatti fotografici destinati a una rivista; in questo caso le prestazioni di fare sono svolte con l'unico fine di creare delle fotografie destinate alla pubblicazione. È anche il caso di xxxxx che recita in uno spot pubblicitario, del personaggio famoso che declama le qualità dei prodotti della controparte, del ghost writer che scrive un libro, dell'atleta che indossa le scarpe di una determinata marca, della persona notoria che partecipa a un evento, dell'attore cinematografico.
Altre volte, invece, il fare non è finalizzato unicamente al successivo pati avente ad oggetto gli attributi immateriali della persona167. È il caso, in particolare, delle prestazioni sportive. Lo
167 Cfr. X. XXXX-ZENCOVICH, Profili negoziali degli attributi della personalità, cit., 557 s., il quale, in merito all'oggetto dei negozi in questione, dopo aver rilevato che “[s]e per oggetto intendiamo l'elemento materiale su cui cade la manifestazione di volontà del titolare o delle parti, in molti di questi esempi riterremo che l'oggetto consiste nel corpus mechanicum la cui utilizzazione è consentita dall'altra parte; ma laddove questo non esista prima del negozio, bensì è il negozio che deve consentire la realizzazione del ritratto, spesso con una materiale e attiva collaborazione del titolare (come nel caso del film), l'oggetto consisterà o nella prestazione o nella licenza a ritrarre e riprodurre le altrui fattezze”, sottolinea che “[l]a contiguità e sovrapposizione di più aspetti si accentua quanto più vi sia una prestazione lavorativa da parte del titolare come nel caso delle c.d. scritture artistiche: indubbiamente il contratto del produttore cinematografico con l'attore è volto a poter impressionare una pellicola con la sua immagine, ma sarebbe riduttivo considerare il contratto come mera cessione della possibilità di sfruttare gli attributi della personalità. La ambivalenza si accresce in talune ipotesi ove più immediato è il rapporto di fruizione dell'immagine come negli spettacoli televisivi, e si attenua laddove la prestazione lavorativa si pone in secondo piano, come per il fotomodello o la fotomodella per il cui rapporto appare intrinseco e connaturato l'indossare abiti o altri accessori”; G. RESTA, Contratto e persona, cit., 74 s., il quale reputa opportuno distinguere i “contratti la cui funzione primaria è quella di programmare lo sfruttamento economico degli attributi della personalità, dalle convenzioni volte a conseguire risultati di altro tipo, nelle quali la disposizione dei diritti della persona si inserisce come elemento secondario ed accessorio del rapporto. È questo il caso, ad esempio, dei contratti di scrittura artistica o dei contratti di lavoro sportivo (l. 91/1981), là dove la regolamentazione delle modalità di utilizzazione del nome, dell'immagine, o della voce del soggetto, pur
sportivo rende la sua prestazione a prescindere dalla circostanza che la partita sia mandata in onda o, addirittura, che sia presente un pubblico e, dunque, a prescindere dallo sfruttamento degli attributi immateriali della propria persona; è chiaro, tuttavia, che lo sportivo svolge la propria prestazione anche perché la sua immagine possa essere oggetto di sfruttamento. Il facere costituisce dunque una prestazione autonoma, che viene svolta di per sé, anche se finalizzata in parte a consentire lo sfruttamento degli attributi immateriali della persona.
La distinzione tra il fare finalizzato unicamente al successivo pati e il fare dotato di propria autonomia anche se anch'esso parzialmente finalizzato al pati è trasversale rispetto alla ulteriore distinzione di prestazioni di fare rese nell'ambito di un'attività di lavoro subordinato e quelle oggetto di lavoro autonomo. È altresì trasversale rispetto alla complessità della prestazione di fare: un conto è indossare un paio di scarpe o posare per una fotografia, un altro è recitare in un film, nonostante in entrambi i casi la prestazione di fare sia finalizzata a consentire lo sfruttamento degli attributi immateriali della persona.
Al fine di valutare se la prestazione sia di mero pati o mista di pati e fare e analizzare i rapporti tra le varie prestazioni, occorre che per ogni facere posto in essere sia correttamente individuato il relativo pati e viceversa. Prendiamo ad esempio il caso del calciatore che gioca una partita indossando la maglia di una determinata marca e che acconsente, nei confronti di soggetti diversi, alla registrazione del gioco, nonché alla pubblicazione in figurine da collezione di una propria immagine in divisa sportiva scattata durante la partita. Mentre il consenso a che la partita sia registrata e diffusa è strettamente collegato alla prestazione sportiva di fare (la quale, anche se autonoma, è parzialmente finalizzata anche a tale pati, come evidenziato sopra), il consenso alla pubblicazione della propria immagine nelle figurine è collegato solo occasionalmente a tale fare. Nel primo caso l'attività sportiva rientra nell'oggetto della prestazione, che è dunque mista di fare e pati; nella seconda ipotesi la prestazione può invece essere considerata di mero pati, come è evidente se si pensa al caso in cui il consenso alla pubblicazione dell'immagine viene prestato
assumendo talvolta un significato patrimoniale preponderante (si pensi soltanto ai conflitti circa la titolarità dei diritti di sfruttamento dell'immagine dei calciatori professionisti), mantiene comunque, nella fisionomia dell'accordo, un rilievo causale minore rispetto a quello della prestazione lavorativa. Di qui l'esigenza, molto concreta, di ricostruire la disciplina applicabile a tali negozi guardando soprattutto al 'microsistema' dei contratti di lavoro, piuttosto che a quelli degli accordi relativi a diritti della personalità”.
dopo che la prestazione sportiva è già stata svolta. Per quanto riguarda il consenso a mostrarsi al pubblico durante la partita con indosso la maglia recante il logo di una determinata marca, la prestazione di fare finalizzata a tale pati non è tanto quella di rendere la prestazione sportiva, ma quella di indossare la maglia, che costituisce (contrariamente alla prestazione sportiva) un'attività esclusivamente finalizzata allo sfruttamento dell'immagine.
All'interno di un'unica fattispecie le diverse prestazioni di fare e di pati possono essere rese nei confronti di soggetti diversi. Qualora, tuttavia, la prestazione di fare sia finalizzata unicamente al successivo pati è più difficile ipotizzare che questo accada: ad esempio, è difficile immaginare che un attore si impegni a recitare in uno spot pubblicitario nei confronti di un'agenzia pubblicitaria e che autorizzi qualcun altro a diffondere lo spot così creato (salvo il caso in cui le due controparti siano in realtà tra loro collegate, come ad esempio se la prestazione di fare viene resa nei confronti della società figlia e quella di pati nei confronti della società madre). Più frequentemente accade invece che la persona acconsente a che la controparte, cui è diretta la prestazione di fare, autorizzi terzi a sfruttare i propri attributi immateriali.
Finora si sono prese in considerazione le ipotesi in cui vi è una circolazione autonoma degli attributi immateriali rispetto alla persona cui afferiscono, come ad esempio nei casi in cui l'immagine è catturata in una foto, in un filmato o in una qualche rappresentazione destinati alla circolazione. Vi sono poi delle attività che per loro natura comportano l'esposizione della persona al pubblico, senza tuttavia che vi sia necessariamente una circolazione autonoma dei suoi attributi immateriali. Così è, ad esempio, per l'attore teatrale: per rendere la propria prestazione, l'attore ha bisogno di un pubblico (mentre non è necessario, come per l'attore cinematografico, che la sua prestazione sia anche filmata e diffusa); la commessa di un negozio, per poter rendere la prestazione lavorativa, deve esporsi al pubblico per un certo numero di ore al giorno. In questi casi, nonostante vi sia un qualche sfruttamento degli attributi immateriali della persona, pare poco proficuo parlare di una “disposizione” dei diritti della personalità: laddove una persona si mostra la pubblico, non rientra nei suoi poteri impedire che il pubblico la veda, mentre rientra nei suoi poteri impedire di essere filmata e che la controparte pubblicizzi la sua prestazione.
Alla luce di quanto detto, emerge che la prestazione caratteristica delle fattispecie volte allo sfruttamento dei diritti della personalità è quella di pati, nel senso che tale prestazione deve
sempre esservi. Le prestazioni di fare, laddove previste, sono solitamente strumentali rispetto alla prestazione negativa di consentire lo sfruttamento degli attributi immateriali della persona, salvi i casi in cui le prestazioni di fare e pati soddisfino ciascuna un autonomo interesse (ad esempio, nel caso dell'attore teatrale, la prestazione di recita, da un lato, e il consenso a che il proprio nome sia pubblicato nei volantini che pubblicizzano lo spettacolo, dall'altro168). Mentre in alcuni casi è importante, nell'economia dell'operazione, determinare dettagliatamente le modalità di svolgimento della prestazione di fare, in altri le parti possono non avere in merito un particolare interesse. Questo accade, ad esempio, quando il facere in questione è in parte autonomo, rispetto al successivo pati e dunque la sua esecuzione risponda a logiche ed esigenze diverse rispetto allo sfruttamento dei diritti della personalità, come nel caso delle prestazioni sportive (quello che interessa è registrare la partita, non tanto quello che i singoli giocatori fanno durante il gioco). Questo può anche accadere quando oggetto del negozio è lo sfruttamento della notorietà della persona, restando parzialmente irrilevante quello che questa faccia: ad esempio, qualora una persona famosa si impegni a presenziare a un determinato evento e autorizzi la controparte a pubblicizzare tale partecipazione, alla controparte può non interessare predeterminare che cosa esattamente la persona farà in tale sede in quanto è sufficiente che il personaggio famoso sia presente.
Quando invece è il pati ad essere strumentale a un'altra prestazione, resa dallo stesso soggetto che presta il consenso oggetto di pati e senza che tale pati soddisfi un autonomo interesse delle parti, lo scopo del del contratto non è quello di sfruttare i diritti della personalità e siamo dunque fuori dal campo del nostro discorso. Ad esempio, come già sopra accennato, il consenso prestato dal lavoratore al trattamento dei propri dati in favore del datore di lavoro, necessario per poter erogare la prestazione lavorativa, non dà luogo a una disposizione dei diritti della personalità.
Neppure è possibile ravvisare una disposizione degli attributi immateriali della persona quando il pati è strumentale a ricevere una prestazione dalla controparte. È il caso, ad esempio, del consenso prestato dal cliente della banca al trattamento dei propri dati al fine di poter aprire un
168 Sulla figura nordamericana del grant of rights, in cui l'attore assegna al produttore il diritto esclusivo di utilizzare la propria identità al fine di pubblicizzare l'opera, v. X. XXXXXXXX, La notorietà della persona da interesse protetto a bene giuridico, cit., 209 s.
conto corrente. La questione non è se il consenso allo sfruttamento degli attributi immateriali della persona sia necessario per ottenere la controprestazione, ma se vi sia un rapporto sinallagmatico tra tale consenso e la controprestazione (rapporto che manca nell'esempio del cliente della banca). I contratti in cui la prestazione di pati sia necessaria a ricevere la controprestazione ma manchi un rapporto di corrispettività tra tali prestazioni non rientrano nel campo dello sfruttamento dei diritti della personalità.
Talvolta non si può che riconoscere che il consenso allo sfruttamento degli attributi immateriali della persona svolge sia un ruolo di mezzo per ottenere la controprestazione che un ruolo esso stesso di controprestazione. Prendiamo ad esempio il caso dell'utente che acconsente al trattamento dei propri dati a fini pubblicitari per usufruire di un servizio online gratuito in cui rientra anche l'invio di pubblicità mirata. In questo caso il consenso al trattamento dei dati svolge una duplice funzione: da un lato è necessario al fine di ricevere parte del servizio (la pubblicità mirata), dall'altro costituisce il “prezzo” per fruire del servizio in quanto il fornitore di quest'ultimo trae il proprio vantaggio economico proprio grazie al trattamento dei dati personali. Il pati e la controprestazione si pongono dunque in un rapporto che è solo in parte di corrispettività. A noi sembra che, dove c'è rapporto sinallagmatico (dove, dunque, il pati non è esclusivamente strumentale a ottenere la controprestazione), tanto basta per accostare questi agli altri casi di sfruttamento dei diritti della personalità.
2.2 I diritti della personalità
Nel paragrafo precedente si è affrontata la questione dell'oggetto del contratto analizzando sotto un profilo meramente fattuale le prestazioni ivi previste. Sotto un altro aspetto – sempre sul terreno di descrizione delle fattispecie e non della disciplina applicabile – è possibile esaminare l'oggetto del contratto dal punto di vista degli attributi immateriali della persona dedotti in negozio. Si discute infatti su quali siano gli specifici aspetti della persona di cui questa dispone nelle fattispecie in esame, indifferentemente, ai fini che qui interessano, che tale disposizione sia attuata tramite la circolazione del diritto o tramite l'assunzione di un'obbligazione.
Al fine di individuare i diritti della personalità di cui si dispone, occorre dunque analizzare quali siano gli attributi immateriali della persona oggetto dell'attività negoziale. È chiaro che, quando si considera la disposizione degli attributi immateriali della persona tramite attività negoziali, non
viene in gioco quel complessivo fascio di situazioni che normalmente viene etichettato sotto i singoli diritti della personalità. A tal proposito, si è chiarito, ad esempio, che oggetto dei contratti con cui si dispone del diritto sull'immagine non è l'immagine considerata quale entità ideale costituita dalle fattezze fisiche dell'individuo, ma il ritratto, ossia una specifica rappresentazione di tali fattezze169. Così, quando si parla di disposizione del diritto alla riservatezza si precisa che oggetto di tale disposizione non è il diritto alla riservatezza, bensì singoli episodi della vita dell'individuo. Più in generale, nello stesso senso si collocano le tesi che individuano come oggetto dei negozi in questione la mera componente economica (e non quella morale) dei diritti della personalità, singoli aspetti patrimoniali dei medesimi oppure singoli atti di esercizio di tali diritti.
Del resto, anche al di fuori di questo contesto, non si può ignorare il fatto che i confini tra i diritti della personalità non sono tracciati in modo esatto, tanto che, come noto, la tesi più accreditata tende a ricondurli tutti a singoli aspetti di un unico generico diritto della personalità170. Innanzitutto, quando ci si riferisce a immagine e nome, è evidente che in realtà ad essere in gioco sono l'identità e la riservatezza della persona. A dimostrazione di ciò, neppure nella casistica è dato rintracciare un confine netto tra i vari diritti della personalità: emblematica è, in proposito, l'evoluzione del diritto all'immagine171, il cui ambito di tutela è stato esteso dalla rappresentazione delle fattezze fisiche dell'individuo a quella di altri elementi evocativi dell'identità172; in tal modo, è emerso che la tutela dell'identità personale passa anche attraverso la tutela dell'immagine, intesa come evocativa dell'intera identità del soggetto173. Allo stesso modo
169 X. XXXXXXXXXX, Il diritto sul proprio ritratto, cit., 34 ss.; X. XXXX-ZENCOVICH, Profili negoziali degli attributi della personalità, cit., 558 s.
170 V., per tutti, X. XXXX - X. XXXXX, Le persone fisiche e i diritti della personalità, cit., 75 ss e 520 ss.
171 Sulle varie tesi in merito alla nozione di immagine v. M. A. XXXXXXXX, Autonomia negoziale e diritto all'immagine, cit., 70 ss., la quale sostiene l'autonomia dell'immagine rispetto agli altri diritti della personalità (89 ss.)
172 Su tale evoluzione anche nella giurisprudenza v. G. RESTA, Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 164-169; X. XXXXX, Diritti della personalità e diritti patrimoniali sull'identità della persona, cit., 190-192;
X. XXXXXXX, Professione: testimonial pubblicitario, cit., 530 s.
173 Cfr., anche se in senso parzialmente diverso X. XXXX-ZENCOVICH, Onore e reputazione nel sistema del diritto civile, cit., 348, secondo cui quando l'immagine è utilizzata come “mezzo per conseguire un'alterazione della personalità” c'è una lesione non del diritto all'immagine ma dell'identità personale, “in quanto l'immagine ha una funzione strumentale nella realizzazione dell'illecito, che ben poteva essere portato a termine con una semplice manifestazione del pensiero”; allo stesso modo, posto che (p. 348 s.) “ogni riferimento ad un altro
il riconoscimento del diritto al nome è funzionale non solo alla esigenza di identificazione, ma anche alla tutela dell'identità personale174. Peraltro, anche i casi di lesione della riservatezza presuppongono necessariamente la lesione dell'immagine o del nome del soggetto, attraverso la pubblicazione non autorizzata di immagini o di notizie. Stessa cosa è da dirsi per il diritto all'onore e alla reputazione175. In altre parole, non solo non è possibile tracciare dei confini netti tra i vari diritti, ma è anzi evidente che le varie tutele si sovrappongono l'una all'altra176.
soggetto, salvo i casi figurativi i perifrastici, comport[a] la sua individuazione attraverso un nome”, qualora vi sia un'alterazione dei connotati del soggetto ad essere lesa è la personalità e non il diritto al nome, in quanto in tali casi “il nome è usato in funzione strumentale ad una lesione della personalità”.
174 In tal senso cfr. X. XXXXXXX, Tutela civile della persona e identità personale, cit., 49. Contra X. XXXXXXX, Il valore della persona nel sistema e i nuovi diritti della personalità, Milano, 1990, 150; M. A. XXXXXXXX, Autonomia negoziale e diritto all'immagine, 131 s., secondo cui “netta appare la distinzione tra la primaria funzione di segno di identificazione giuridica e quella riflessa, mediata di mezzo di significazione della personalità globale del soggetto. Ciò non significa certo negare il nesso strettissimo che, anche da un punto di vista antropologico, sussiste tra persona e nome ma unicamente ribadire la necessità di non confondere quest'ultimo con la identità personale [...]”.
175 Ma sull'autonomia del diritto all'onore e alla reputazione rispetto agli altri diritti della personalità cfr. X. XXXXXXX, Tutela civile della persona e identità personale, cit., 53 s.; X. XXXX-ZENCOVICH, Onore e reputazione nel sistema del diritto civile, cit., 362 ss., 156 s., il quale, pur mostrando una preferenza verso la costruzione di un unitario diritto della personalità, sostiene la necessità di “limitare la portata del diritto al nome al divieto di quegli usi che pregiudichino la sua funzione individualizzante”, in modo da “evitare reciproche invasioni degli ambiti determinati, che potrebbero verificarsi qualora, ad esempio, si sostenesse che ciascuna lesione dell'onore e della reputazione, poiché necessariamente rivolta ad un soggetto individualizzato, costituisce anche un uso pregiudizievole ed illecito del suo nome”; X. XXXXXXX, Il valore della persona nel sistema e i nuovi diritti della personalità, 152 s.
176 Neppure è possibile tracciare un confine netto tra diritto alla riservatezza e diritto all'identità persona. In proposito cfr. X. XXXXXXX, Tutela civile della persona e identità personale, cit., 54 s.; G. B. XXXXX, Privacy e identità personale, ora in ID., Persona e formalismo giuridico, cit., 237; X. XXXXXXX, Il valore della persona nel sistema e i nuovi diritti della personalità, cit., 151 s., il quale, dopo aver evidenziato come “[r]iservatezza e identità va[dano] riferiti dunque a piani diversi del vivere umano: alla vita privata la prima, alla vita sociale o pubblica la seconda”, individua tuttavia taluni punti di convergenza: “se il diritto all'identità personale tutela il soggetto da rappresentazioni non rispondenti al proprio patrimonio 'ideale' è ragionevole pensare che questo diritto abbia anche la funzione di inibire la raccolta di informazioni sul conto di un soggetto e la divulgazione di dati raccolti laddove l'attività di raccolta o di divulgazione sia preordinata a incidere sull'immagine ideologica e culturale del soggetto”. Con riferimento a tale questione successivamente all'entrata in vigore della normativa sui dati personali cfr. X. XXXXXXX, Qualche appunto su circolazione, appartenenza e riappropriazione nella disciplina dei dati personali, cit., 614 s., secondo cui non “appare convincente l'ipotesi di una distinzione tra un diritto alla riservatezza, destinato a definire la ripartizione tra sfera privata e sfera pubblica, e un diritto all'identità personale, quale strumento diretto esclusivamente all'esercizio del controllo sulle modalità di formazione e circolazione dell'identità nella sfera pubblica. È evidente che il diritto all'identità personale, per come è stato definito, consente un controllo sulle modalità di circolazione di informazioni già divenute pubbliche o di dominio pubblico e, tuttavia, una potenziale ragione di sovrapposizione esiste quando si abbia presente l'incidenza della riservatezza sul versante delle modalità di circolazione in relazione al principio di finalità e, dunque, di specificità del consenso. Sembra però di poter affermare anche l'esistenza del fenomeno opposto, in forza del quale il diritto all'identità personale si qualifica come strumento per la definizione di 'appartenenze', nel cui ambito va ricondotta
L'introduzione della normativa sulla protezione dei dati personali ha inciso sul contenuto dei diritti della personalità rendendo ancora più incerti i confini tra l'uno e l'altro. Innanzitutto, la nozione di dato personale – definito come “qualunque informazione relativa a persona fisica” – è talmente ampia da comprendere qualunque elemento evocativo dell'identità personale, tra cui nome e immagine177. Con la protezione dei dati personali si è inoltre estesa la tutela della riservatezza dal diritto a mantenere un'area di riserbo in merito alla propria intimità e vita privata al diritto a controllare la circolazione delle informazioni inerenti alla persona178 (salvo ritenere che tale ultimo diritto debba essere considerato separatamente rispetto al diritto alla riservatezza179). Il controllo delle informazioni comporta sia un controllo sul se della circolazione, sia un controllo sul come della circolazione, senza che sia agevole distinguere
anche quella delle informazioni”; X. XXXXX, Dati personali e situazioni giuridiche soggettive, 162, il quale sottolinea che “[i]l dato personale, in quanto fenomeno rappresentativo di conoscenza su situazioni di vita di un soggetto, entra sempre in relazione con il concetto di identità personale e, spesso, anche con l'esigenza di riservatezza”.
177 Cfr. X. Xxxx, Il diritto all'identità personale ieri e oggi. Informazione, mercato, dati personali, in X. XXXXXXX (a cura di), Libera circolazione e protezione dei dati personali, cit., t. I, 314, il quale afferma che “non è più possibile immaginare una violazione del diritto all'identità personale che non passi attraverso un trattamento illecito o non corretto di dati personali”.
178 X. XXXXXX, Persona, riservatezza, identità. Prime note sistematiche sulla protezione dei dati personali, cit., 589, che sottolinea come si sia passati “dal diritto d'essere lasciato solo al diritto di mantenere il controllo sulle proprie informazioni; dalla privacy al diritto all'autodeterminazione informativa; dalla privacy alla non discriminazione; dalla segretezza al controllo”. Cfr. anche A. ORESTANO, La riservatezza ancora una volta in Cassazione: fondamento, contenuto e limiti all'indomani dell'entrata in vigore della L. n. 675/1996, in Danno resp., 1998, 10, 871 ss., il quale evidenzia che nella normativa sulla protezione dei dati personali “la sfera oggetto di protezione appare ben più ampia rispetto a quella riconducibile all'immagine del domicilio ideale e dei fatti, personali e familiari, che ivi si collocano: essa, almeno potenzialmente, coincide con ogni informazione che, direttamente o indirettamente, sia riconducibile al soggetto e che non riguardi l'attività economica da questi esercitata”; X. XXXXXX, La giuridificazione della persona. Ideologie e tecniche nei diritti della personalità, in Riv. dir. civ., 2006, 3, 364 ss.
179 Cfr. X. XXXX-XXXXXXXXX, I diritti della personalità dopo la legge sulla tutela dei dati personali, in Studium Iuris, 1997, 468 s., secondo cui dalla legge sui dati personali sembra “emergere un profilo che si distingue dai tradizionali o «nuovi» diritti della personalità, e cioè un potere giuridico del soggetto sui dati che lo riguardano”, ma v. anche ID., Una lettura comparatistica della L. 675/96 sul trattamento dei dati personali, cit. 168, in cui afferma che nelle previsioni della legge in questione è facile individuare le situazioni “tipiche della riservatezza, dell'identità personale (espressamente citati dall'art. 1, 1º comma) e dell'oblio”; X. XXXXXXXXXXXX, Trasparenza e riservatezza nella legge sulla tutela dei dati personali, in Studi in onore di Xxxxxx Xxxxxxxx, III, Milano, 1998, 393 ss.; X. XXXXX, Dati personali e situazioni giuridiche soggettive, 172, secondo cui la legge sui dati personali “probabilmente rappresenta una novità rispetto alla nozione di riservatezza […] che tutelava solo i fatti della vita intima e riservata; invece leggendo l'art. 11 sembra che tutti i fatti della vita godano di protezione e non solo quelli connessi alla sfera intima del soggetto. Pertanto o si allarga la qualificazione della riservatezza oppure si deve escludere che la prestazione del consenso tuteli effettivamente la riservatezza, e non celi piuttosto una protezione accordata ad altri tipi di interessi”.
nettamente tali due aspetti e avvicinando la tutela della privacy a quella dell'identità personale. Nel diritto alla protezione dei dati personali sembrano dunque compendiarsi tutti i diritti della personalità tradizionalmente individuati180.
Il problema del contenuto dei diritti della personalità deve tuttavia considerarsi separatamente rispetto a quello dell'oggetto dei contratti sui diritti della personalità: che il diritto all'immagine e al nome comprendano anche il diritto all'identità personale, che quest'ultimo si sovrapponga in parte al diritto alla riservatezza, che questi ultimi due siano assorbiti dal diritto alla protezione dei dati personali costituiscono, ai fini di individuare l'oggetto dei negozi in questione, questioni meramente terminologiche e comunque irrilevanti. Piuttosto, tali riflessioni fanno emergere che, quando si parla di diritti della personalità, ci si riferisce in realtà a situazioni ben diverse l'una dall'altra e che si pongono su piani distinti.
L'immagine è costituita dalla rappresentazione delle sembianze fisiche dell'individuo. Il diritto all'immagine comporta la facoltà di opporsi all'uso non autorizzato che altri faccia della propria immagine (salvo i casi di esclusione della necessità del consenso previsti dalla legge) e di controllarne, dunque, le modalità di esposizione in pubblico e di diffusione. Attraverso la tutela dell'immagine il soggetto definisce la propria personalità e delimita i propri spazi di riservatezza. L'immagine, da un lato, e l'identità personale e la riservatezza, dall'altro, non rappresentano dunque categorie omogenee.
L'immagine può, quando si condensa in un ritratto o comunque in qualcosa di riproducibile (ad esempio, un filmato), staccarsi in un certo qual senso dalla persona cui si riferisce e diventa dunque il referente oggettivo del relativo diritto181. Come l'immagine, anche il nome e, in generale, i dati personali, costituiscono dei referenti oggettivi che possono essere utilizzati e
180 Su tale questione cfr. X. XXXXXXXXXX, Situazioni soggettive e tutela nella legge sul trattamento dei dati personali, in X. XXXXXXX - X. XXXXXXXX - X. XXXX-ZENCOVICH (a cura di) Trattamento dei dati e tutela della persona, cit., 194; X. XXXXXXXX, Protezione dei dati e diritti della personalità, ivi, 275 ss.; X. XXXXXX, Conclusioni, ivi, 301; X. XXXX-ZENCOVICH, Una lettura comparatistica della L. 675/96 sul trattamento dei dati personali, cit., 163 s.; G. RESTA, Il diritto alla protezione dei dati personali, in X. XXXXXXXXXX - X. XXXX - X. XXXX-ZENCOVICH (a cura di), Il codice dei dati personali, cit., 23 ss.; X. XXXXXX, Tra diritti fondamentali ed elasticità della normativa: il nuovo codice sulla privacy, in Eur. dir. priv., 2004, 4 ss.
181 Cfr. X. XXXXXXX, Considerazioni in margine all'esposizione in pubblico di un ritratto-nudo, nota a Pret. Roma, ord. 28 marzo 1956, in Dir. aut., 1956, 387 s.; X. XXXXXXXXXX, Il diritto sul proprio ritratto, cit., 37 ss.; A. DE VITA, Delle persone fisiche. Sub art. 10, cit., 520.
sfruttati da terzi (senza, peraltro, che a tal fine sia necessario configurarli come beni giuridici a sé stanti) e, in tal senso, costituiscono qualcosa che può essere considerato separatamente dalla persona cui si riferiscono182. Solo tali referenti oggettivi possono essere oggetto di contratto: tutti i negozi dispositivi dei diritti della personalità hanno in realtà ad oggetto i dati personali dell'individuo (immagine, nome, voce o qualunque altra informazione riconducibile a un soggetto determinato o determinabile) e le prestazioni di pati ivi previste hanno sempre ad oggetto lo sfruttamento di determinate informazioni relative alla persona. Il personaggio famoso che acconsente alla riproduzione della sua immagine su una linea di prodotti dispone in questo modo di un suo ritratto; lo sportivo che acconsente ad essere menzionato in un comunicato stampa dispone di una informazione che lo riguarda; il partecipante a un reality show dispone della sua immagine oltre che di altri suoi dati personali.
Non possono essere invece essere considerate oggetto di contratto l'identità personale e la riservatezza in quanto queste costituiscono dei valori e rappresentano l'interesse della persona a controllare il flusso delle informazioni che la riguardano183. Piuttosto, si può dire che i negozi in questione incidono su identità e riservatezza. La partecipazione a un programma televisivo, l'esibizione di un artista, la declamazione della qualità dei prodotti della controparte sicuramente
000 Xxx. X. XXXX, Xx diritto alle vicende e la sfera della personalità, nota a App. Milano 21 gennaio 1955, in Foro it., 1955, I, 392 ss., il quale distingue i beni – tra cui annovera l'immagine, il nome e le vicende – dagli interessi, costituiti invece dalla riservatezza (“individualità”) e dall'identità personale (“socialità”); X. XXXXXXXXXXXX, Trasparenza e riservatezza nella legge sulla tutela dei dati personali, cit., 394 s., il quale parla di “oggettivazione” del dato personale e accosta il diritto alla protezione dei dati a quello al nome, all'immagine e a quello morale d'autore, i quali diritti “hanno per oggetto un bene distinto dalla persona, anche se strettamente connesso con essa”; X. XXXX-ZENCOVICH, Una lettura comparatistica della L. 675/96 sul trattamento dei dati personali, cit., 168 s., secondo cui “il dato pare porsi rispetto alla personalità in modo non dissimile della singola immagine rispetto al ritrattato. Il dato costituisce l'oggettivazione della personalità del soggetto, è riproducibile senza limiti, è multiforme”.
183 Cfr. X. XXXX-XXXXXXXXX, Profili negoziali degli attributi della personalità, cit., 562 ss., il quale, pur riconoscendo che “attraverso tali negozi il soggetto compie un atto abdicativo della sua riservatezza”, rileva che “[t]uttavia sorgono perplessità qualora si volesse definire la riservatezza come l'oggetto del negozio”; X. XXXXX, Dati personali e situazioni giuridiche soggettive, cit., 174; X. XXXXXXXXX, voce Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 144 ss., secondo cui “[i] diritti della personalità che non riguardano il corpo ineriscono in generale alla sfera relazionale dell'individuo con suo ambiente sociale o con la dimensione pubblica e si collocano in un orizzonte nel quale i due principali concetti di valore ad essere richiamati sono la libertà e l'identità individuale. […] Tale nucleo di libertà della persona è quindi incomprimibile e come bene presupposto non può essere oggetto di atti di disposizione di carattere abdicativo. In ambiti circostanziati e con convenienti limiti di tempo sono tuttavia ammessi ad esempio atti di disposizione della libertà di circolazione, della libertà di esercizio della professione e anche della libertà di manifestazione del proprio pensiero”, mentre tra “la libertà e l'identità individuale sembra collocarsi la tutela della riservatezza”.
incidono sulla riservatezza e sull'identità della persona, ma non sono queste ultime l'oggetto del contratto. Se acconsento alla pubblicazione di una mia fotografia, si può dire che dispongo in tal modo della mia riservatezza solo in senso atecnico, intendendo in tal modo che con la pubblicazione mi espongo in pubblico e limito il mio spazio privato di intimità; oggetto del contratto è invece il mio ritratto184. Allo stesso modo, se mi impegno a parlar bene della controparte, “dispongo” della mia identità personale nel senso che con tale comportamento genero nel pubblico la convinzione che approvo l'operato della mia controparte, ma oggetto del contratto sono le informazioni relative al fatto che io ho espresso un certo gradimento (oltre che l'obbligo di facere a ciò strumentale). Peraltro, pare arduo configurare una disposizione dell'identità, in quanto questa si forma attraverso ciascun comportamento posto in essere e, dunque, ogni atto di disposizione sarebbe in realtà un atto tramite il quale la persona costruisce la propria identità185.
Riservatezza e identità personale valgono piuttosto a orientare in senso teleologico la prestazione. Ad esempio, se la persona famosa si impegna a parlar bene di un prodotto, è possibile che le parti non predeterminino tutte le occasioni in cui la persona deve adempiere a tale obbligo e, dunque, non stabiliscano esattamente tutti i dati personali di cui questa dispone (l'informazione che la persona ha partecipato a un tale o tal altro evento, che xxx ha detto questo o quest'altro); tuttavia, visto che lo scopo del contratto è quello di instaurare un collegamento tra persona e prodotto, orientando in tal senso l'identità del soggetto, allora la prestazione del consenso allo sfruttamento degli attributi immateriali della persona può considerarsi estesa a tutte le attività necessarie per far sì che la sua identità personale sia configurata nel modo previsto. Così, nel caso di partecipazione a un reality show in cui il partecipante si impegna a rimanere in un determinato posto per un certo periodo di tempo durante il quale viene costantemente filmato, nonostante le parti non indichino tutti i dati di cui la persona acconsente lo sfruttamento, in ogni caso il pati si
184 Cfr. X. XXXXXXXXXX, Il diritto sul proprio ritratto, cit., 30, laddove sottolinea che “è indubbio l'interesse della persona a circondarsi di un certo riserbo, se gli pare, ma è scorretto parlare di un diritto al riserbo o alla riservatezza e del riserbo o riservatezza come bene giuridico”.
185 X. XXXX-XXXXXXXXX, Profili negoziali degli attributi della personalità, cit., 563, il quale, con riferimento al caso di autorizzazione alla divulgazione di vicende private, la quale “involge non solo la riservatezza del soggetto ma anche la sua identità personale”, afferma che quest'ultima “è piuttosto un risultato di fatto del negozio, che un suo contenuto giuridico”.
intende riferito a tutti i comportamenti tenuti durante il tempo e nel luogo in cui il soggetto ha “rinunciato” alla propria riservatezza. In tal modo, come si vedrà più avanti, è possibile ritenere determinate o determinabili alcune prestazioni in cui non è indicato con precisione l'oggetto del pati.
Discorsi analoghi a quelli appena svolti con riguardo alla riservatezza e all'identità personale valgono per onore e reputazione, che costituiscono anch'essi valori e non referenti oggettivi dei diritti della personalità, con la precisazione, tuttavia, che onore e reputazione sono spesso considerati quali limiti all'autonomia negoziale in materia. In tal senso, onore e reputazione sembrano talvolta essere assorbiti nella nozione di dignità, posto che questa, come già accennato e come si vedrà meglio più avanti, rappresenta uno dei limiti alla contrattualizzazione dei diritti della personalità. In ogni caso, prescindendo dai profili di liceità, anche qui, come sopra, è evidente che non si dispone dell'onore o della reputazione, di per sé considerati; piuttosto, la disposizione del ritratto o di altri dati personali può incidere su onore e reputazione del soggetto, così come può contestualmente incidere sull'identità e sulla riservatezza dello stesso.
3. I requisiti del consenso
Si è già accennato all'impatto che ha avuto sulla nostra materia l'introduzione della normativa sulla protezione dei dati personali186. Da un lato, la nozione di dato personale è definita in maniera talmente ampia da ricomprendere tutti gli attributi immateriali della persona tradizionalmente intesi; dall'altro, nella nozione di trattamento rientra anche l'utilizzo dei dati nell'ambito o a seguito di un rapporto contrattuale. Questo comporta l'applicabilità della normativa in questione ai contratti aventi ad oggetto gli attributi immateriali della persona, seppure con alcuni limiti. Innanzitutto, è perlomeno problematica l'applicazione della disciplina in questione a fattispecie che trovano altrove una propria regolamentazione, come ad esempio il diritto d'autore e i segni distintivi. Occorre poi tenere presente che la normativa sui dati personali nasce dalla necessità di affrontare i problemi posti dal trattamento in massa dei dati personali187.
186 V. il paragrafo precedente.
187 In tema, cfr. X. XXXXXXXXX, Le posizioni soggettive nell'elaborazione elettronica dei dati personali, cit., 314 ss.; X. XXXXXX, Persona, riservatezza, identità. Prime note sistematiche sulla protezione dei dati personali, cit.,
Ammesso che tale ratio non ne escluda l'applicazione ai casi di trattamenti singoli o comunque limitati a determinate persone, pare tuttavia necessario – come si vedrà nel prosieguo – adottare i necessari adattamenti interpretativi. Dall'altro, è perlomeno problematica l'applicazione della disciplina in questione a fattispecie che presentano altrove una propria regolamentazione, come ad esempio il diritto d'autore e i segni distintivi.
Particolarmente rilevante, sotto il profilo dei requisiti di validità dei contratti aventi ad oggetto gli attributi immateriali della persona, è l'art. 23 del d. lgs. n. 196 del 2003. Tale norma pone i requisiti del consenso al trattamento dei dati – che deve essere espresso, libero, specifico, informato e documentato per iscritto – ed è dunque applicabile anche al consenso manifestato in sede contrattuale.
3.1 Il consenso espresso
Ai sensi dell'art. 23, comma 1 del d. lgs. n. 196 del 2003, il consenso al trattamento dei dati deve essere espresso188. Questa previsione sembra a sua volta collegarsi all'esigenza, particolarmente sentita nella nostra materia, di garantire una maggiore consapevolezza in merito al consenso prestato da parte di colui che acconsente, esigenza non ignota ad altri campi ma qui prevalente rispetto alle altre esigenze di semplicità della circolazione giuridica e di tutela dell'affidamento dei terzi. Tale esigenza si ricollega alla natura degli interessi in gioco in quanto, nelle fattispecie aventi ad oggetto gli attributi immateriali della persona, il consenso può finire per incidere in maniera significativa sullo sviluppo della personalità del soggetto.
La norma si riferisce, in realtà, solo al consenso al trattamento e non al consenso all'assunzione di
585 ss.
188 Si è parlato, in proposito, di una rivalutazione “della volontà quale salvaguardia del potere di autodeterminarsi”: così X. XXXXXXXX, La notorietà della persona da interesse protetto a bene giuridico, cit., 197
s. Tuttavia, più che di rivalutare dell'elemento volontaristico, mi pare si tratti di porre un maggiore accento sulla consapevolezza della persona in merito ai vincoli assunti. Sull'interpretazione della norma in questione v. X. XXXXXXXXXX, Banche dati e tutela della riservatezza: la privacy nella società dell'informazione, Milano, 1997, 281; X. XXXXX, Il consenso al trattamento dei dati personali, cit., 97 s.; X. XXXXXXXXX, Il principio del consenso e il problema della revoca, in X. XXXXXXX (a cura di), Libera circolazione e protezione dei dati personali, cit., 1014 ss. In generale, sulle nozioni di consenso espresso, esplicito, tacito, presunto e implicito v. X. XXXXXXX, «Dichiarazione espressa», «dichiarazione tacita» e autonomia privata, Torino, 1974, passim; X. XXXXX [e G. DE NOVA], Il contratto, cit., II, 81 ss.; X. XXXXX, Il contratto, cit., 182 ss. Per il caso in cui il trattamento dei dati sia dedotto in condizioni generali di contratto, v. X. XXXXXXX, Xxxxxxxx e condizioni generali di contratto, cit., 97 s., secondo cui “[s]e la finalità del trattamento esula, invece, dall'adempimento del contratto e se, comunque, i dati devono essere comunicati o diffusi a terzi, la necessità di uno specifico consenso comporta non la semplice conoscibilità, ma l'effettiva conoscenza della clausola”.
un vincolo. Posto, dunque, che il consenso deve essere espresso, ci si chiede se debba essere espresso, oltre al consenso, anche il suo carattere vincolante. Ci si chiede, dunque, se debba essere espresso anche il fatto che il consenso è destinato a coprire determinati utilizzi futuri dei dati personali o comunque il trattamento degli stessi per un determinato arco di tempo, senza che tale consenso possa essere liberamente revocato prima del termine stabilito. È bene sottolineare la distinzione tra l'esistenza di un consenso espresso al trattamento dei dati e l'esplicita dichiarazione della vincolatività per il futuro del consenso stesso. Tale differenza emerge, ad esempio, nei casi di consenso prestato con la c.d. liberatoria, come il consenso prestato alla diffusione della propria immagine ripresa nel contesto di una candid camera. In questo caso il consenso legittima il trattamento ma non vincola colui che lo ha prestato (a meno che, ovviamente, tale liberatoria non contenga anche un impegno a consentire la diffusione nel tempo). Neppure vincola, a tali condizioni, il consenso prestato (a titolo gratuito) in sede di rilascio di un'intervista alla sua pubblicazione (fatto salvo il caso, più complesso, in cui su questa sorga il diritto d'autore dell'intervistatore)189.
Considerato che il consenso vincolante ha una capacità maggiore di incisione sulla personalità, si può ritenere che anche la vincolatività debba essere espressa. Posto, tuttavia, che può esservi un valido contratto anche senza la produzione di effetti vincolanti, resta il problema (sul quale ora non ci si sofferma) di verificare che cosa succeda nel caso in cui vi sia un consenso valido ma non vincolante per il futuro, che venga successivamente revocato.
Pertanto, il requisito del consenso espresso si aggiunge ai requisiti normalmente previsti affinché la dichiarazione sia giuridicamente vincolante (così, ad esempio, non si deve trattare di rapporti di cortesia190 e non devono sussistere cause di invalidità). Xxxxxxxxx, esistono casi in cui è la legge stessa ad escludere la vincolatività del consenso; al di fuori di tali ipotesi, il consenso, per
189 Escludono la natura contrattuale delle c.d. liberatorie X. XXXXXXXX, La notorietà della persona da interesse protetto a bene giuridico, cit., 196 s.; G. RESTA, Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 272.
190 Ad esempio, se acconsento che un mio amico pubblichi sulla sua pagina Facebook una foto che mi ritrae durante la sua festa di compleanno, ben si può sostenere che tale consenso non sia vincolante in quanto trattasi di rapporti di cortesia. Cfr. X. XXXX-XXXXXXXXX, Profili negoziali degli attributi della personalità, cit., 555; M. A. XXXXXXXX, Autonomia negoziale e diritto all'immagine, cit., 152 ss., secondo cui, con riguardo al consenso all'utilizzazione dell'immagine, al di fuori dei rapporti di cortesia o tolleranza, “è difficile negare carattere negoziale e struttura bilaterale ad un assetto di interessi destinato ad incidere su almeno due centri di imputazione”.
la sua idoneità a impegnare colui che lo ha prestato anche per il futuro191, deve dunque essere manifestato in maniera espressa.
La disposizione in esame si pone in apparente contrasto con buona parte della giurisprudenza, la quale ha per lungo tempo ammesso la possibilità che il consenso alla diffusione dell'immagine sia manifestato in via implicita, pur restringendo, in tal caso, la possibilità di diffusione a quanto strettamente desumibile dal comportamento dell'interessato o dalle circostanze192. Dopo l'entrata in vigore della norma in questione, tuttavia, alcune pronunce hanno sottolineato il cambiamento rispetto al regime previgente, affermando, con riferimento alla pubblicazione del ritratto, che (dato che l'immagine rientra tra i dati personali) il relativo consenso non può più essere implicito, ma deve essere espresso193.
In realtà, le pronunce giurisprudenziali in materia194 rivelano una più generale incertezza circa l'interpretazione del requisito del consenso espresso, nel senso che esso ora viene identificato
191 Sulle “molteplici vesti” che possono assumere gli atti (negoziali o meno) aventi ad oggetto gli attributi immateriali della persona (dal mero consenso dell'avente diritto al contratto), cfr. X. XXXX-XXXXXXXXX, Profili negoziali degli attributi della personalità, cit., 553-556; X. XXXXXXXX, Xxxxx revocabilità del consenso alla divulgazione del ritratto, cit., 624 s.; X. XXXXXXXX, La notorietà della persona da interesse protetto a bene giuridico, cit., 196; G. RESTA, Autonomia privata e diritti della personalità, cit., 271-274. Sulla natura del consenso dell'avente diritto quale atto unilaterale con contenuto meramente autorizzatorio e non vincolante v. X. XXXXXXXX, Le dichiarazioni non negoziali di volontà, Milano, 1966, 53 ss., il quale che configura il consenso dell'avente diritto come dichiarazione non negoziale di volontà, con la conseguenza che la sfera giuridica di colui che presta il consenso non risulta modificata in quanto il permesso ha carattere non impegnativo.
192 Cass. civ. sez. III, 6 maggio 2010, n. 10957, cit.; App. Roma, 4 settembre 2009, n. 3296, reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx; Cass. civ. sez. I, 1 settembre 2008 n. 21995, in Riv. dir. ind., 2009, II, 463; Trib. Torino, 9 luglio 2008, in Dir. aut., 2009, 324 ss.; Trib. Benevento, 4 luglio 2008, in Riv. giur. Molise e Xxxxxx, 2010, 3, 47; Cass. civ. sez. III, 16 maggio 2006, n. 11491, in Giust. civ., 2007, III, 2785 ss.; Trib. Messina, 8 marzo 2005, reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx; Cass. civ. sez. I, 17 febbraio 2004, n. 3014, cit.; Trib. Roma, 24 gennaio 2002, in Dir. aut., 2002, 352 ss.; Trib. Firenze, 16 marzo 1998, in Dir. aut., 1999, 613 ss.; Cass. civ. sez. III, 10 giugno 1997, n. 5175, cit.; Trib. Verona, 17 marzo 1990, in Foro it., 1991, I, 632 ss. Per una ricognizione di tale giurisprudenza v. M. A. XXXXXXXX, Autonomia negoziale e diritto all'immagine, cit., 179 ss. Sull'ammissibilità di un consenso implicito v. anche, in dottrina, X. XX XXXXX, I diritti della personalità, cit., 297 s.; A. DE VITA, Delle persone fisiche. Sub art. 10, cit., 563; X. XXXXXXXX, Se la partecipazione ad un programma televisivo possa valere come consenso implicito alla diffusione della propria immagine, in Dir. aut., 1996, 399 ss.
193 App. Roma, 4 settembre 2009, cit.; Trib. Roma, 24 maggio 2005, in Giur. merito, 2005, III, 2346 s.; Trib. Roma, 12 marzo 2004, in Danno resp., 2005, 879 s.
194 Xxxx pronunce si riferiscono, senza distinzione, a casi di consenso sia vincolante che non impegnativo. La ragione del decidere non risiede infatti nella questione relativa alla sussistenza o meno di un vincolo ma in quella diversa del campo di operatività del consenso; in altri termini, come sopra illustrato, le decisioni che escludono la legittimità dello sfruttamento degli attributi immateriali della persona affermano che lo sfruttamento contestato fuoriesce da quanto consentito e non, invece, che tale sfruttamento deve cessare in quanto il consenso della controparte non è vincolante.
esclusivamente in una esplicita dichiarazione, ora viene esteso fino a ricomprendere tutti i casi in cui il consenso emerge da circostanze chiare e univoche195.
Secondo l'interpretazione più restrittiva, è espresso solo il consenso prestato attraverso “mezzi semantici qualificati […] destinati tipicamente a esprimere la volontà di cui si tratta”196. Ove si percorra sino in fondo tale interpretazione, per essere vincolante il consenso dovrebbe manifestarsi attraverso una dichiarazione che abbia direttamente ad oggetto l'assunzione di un vincolo. Non è invece necessario che la persona indichi in maniera precisa il contenuto e l'estensione dell'impegno assunto (ma queste indicazioni rilevano per la diversa questione, che verrà affrontata più avanti, della determinatezza dell'oggetto del contratto). È dunque esclusa qualunque ipotesi in cui il consenso si manifesti attraverso comportamenti attuativi e, dunque, anche la possibilità che il contratto possa concludersi con il meccanismo dell'inizio dell'esecuzione previsto dall'art. 1327 c.c.
Questa è sicuramente l'interpretazione più aderente al testo della norma197. Non si ignora, tuttavia, che la questione del consenso espresso si risolve spesso in un problema di prova, nel senso che, qualora un consenso espresso sia manifestato oralmente, il problema consiste nel valutare se possa desumersi dal comportamento delle parti e dalle circostanze che tale manifestazione sia effettivamente intervenuta. Per risolvere tale questione, il comma 3 dell'art. 23 del d. lgs. n. 196 del 2003 prescrive che il consenso al trattamento sia documentato per iscritto198.
195 In tale ultimo senso v. App. Roma, 4 settembre 2009, cit., la quale afferma che, posto che il consenso al trattamenti dei dati deve essere “espresso (intendendosi con tale aggettivo un consenso chiaro ed esplicito all'utilizzazione dell'immagine), è evidente come la prova documentale richiesta dalla legge possa ritenersi superata là dove l'interpretazione del comportamento della persona ritratta non lasci alcun margine di dubbio sulla esistenza di un assenso chiaro, ancorché tacito, all'uso giornalistico delle fotografie che si concreti, pertanto, nell'accettazione della sua pubblicazione”. Anche con riferimento ad altre fattispecie in cui la legge richiede un consenso espresso, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che occorre che la volontà sia manifestata in maniera inequivocabile: v., ex multis, in tema di fideiussione, Cass. civ. sez. III, 18 ottobre 1994, n. 8571, in Giust. civ. mass., 1994, 1235. Non sempre è agevole determinare l'applicazione concreta delle definizioni di consenso espresso: cfr., ad esempio, X. XXXXXXXXX, Il principio del consenso e il problema della revoca, cit., 1015, il quale afferma che “il consenso deve assumere una veste esteriore dalla quale emerga in maniera inequivocabile la volontà autorizzativa dell'interessato”.
196 X. XXXXX [e X. XX XXXX], Il contratto, cit., I, 755. V. anche X. XXXXX, Il contratto, cit., 182.
197 In tal senso x. XXXXXXX, Il consenso dell'interessato, in X. XXXXXXX e X. XXXXXXXX (a cura di), La disciplina del trattamento dei dati personali, Torino, 1997, 219; A. FICI - X. XXXXXXXXXX, Il consenso al trattamento, cit., 511.
198 In proposito cfr. X. XXXXX, Il consenso al trattamento dei dati personali, cit., 98 ss.
Pertanto il consenso, per essere validamente prestato, non solo deve consistere in una dichiarazione, ma deve anche risultare da atto scritto.
Tale soluzione potrebbe tuttavia dar luogo ad abusi in casi in cui, da un lato, non pare possibile ragionevolmente dubitare che la persona sia consapevole di essersi impegnata e, dall'altro, è sorto in capo alla controparte un affidamento qualificato in merito a tale impegno. Al fine di dare una soluzione più soddisfacente a questi ultimi casi, potrebbe adottarsi un'interpretazione più ampia del requisito del consenso espresso, che sarebbe da considerarsi tale tutte le volte in cui viene manifestato (a prescindere dalle modalità) in maniera chiara e univoca199. Si deve ribadire che nel nostro contesto chiara e univoca è una manifestazione che sia tale innanzitutto per il soggetto che la esprime, affinché possa rendersi conto della sua portata.
Secondo il disposto della legge, resta poi certamente l'obbligo di documentazione scritta200; si potrebbe però ritenere che la documentazione scritta possa riguardare le circostanze (qualificate) che accompagnano il consenso e non direttamente quest'ultimo.
Si deve sottolineare come, anche al di fuori della dichiarazione espressa, vi possono essere manifestazioni di volontà chiare e univoche; a tal fine devono sussistere circostanze tali da far ritenere che la persona non potesse non sapere di impegnarsi anche per il futuro. È chiaro che una valutazione di questo genere comporta l'applicazione di criteri di tipo oggettivo, nel senso di attribuire rilevanza a indici esteriori che possano far presumere con ragionevole certezza che la persona sapeva di impegnarsi. Tuttavia, per non frustrare la ratio di tutela della persona sopra delineata, occorre che tali indici esteriori siano interpretati in maniera molto restrittiva e che, nel contempo, sussista la contrapposta esigenza di tutelare un affidamento di tipo qualificato sorto in capo alla controparte, onde evitare abusi dell'interessato.
In tale ottica, occorre distinguere i casi in cui vi sia una dichiarazione della controparte che espliciti il contenuto del contratto, da quelli in cui anche tale dichiarazione manchi. Peraltro, i requisiti qualificati di determinatezza dell'oggetto del contratto che sono propri dei contratti
199 In tal senso cfr. X. XXXXXXX, «Dichiarazione espressa», «dichiarazione tacita» e autonomia privata, cit., 80 ss., secondo cui “la forma espressa non presenta come elemento individuatore altro che la compiutezza dell'espressione e la sufficienza della certezza, a prescindere da qualsiasi intrinseca composizione”.
200 In tema, cfr. X. XXXXX, Il consenso al trattamento dei dati personali, cit., 99 s.; X. XXXXX, sub Art. 23: Consenso, in C. M. BIANCA - F. D. BUSNELLI (a cura di), La protezione dei dati personali. Commentario al D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 («codice della privacy»), t. 1, Padova, 2007, 549 ss.
oggetto di studio rendono improbabile che non vi sia alcuna dichiarazione, proveniente da almeno una delle parti, che ne renda prevedibile il contenuto.
Qualora vi sia una dichiarazione della controparte avente ad oggetto il contenuto del contratto da concludersi (qualificabile dunque come proposta contrattuale), deve innanzitutto ritenersi espresso il consenso manifestato attraverso segni socialmente rilevanti e significativi, anche se non linguistici (si pensi, ad esempio, ad un cenno di assenso)201. Deve anche ritenersi espresso il consenso manifestato attraverso una dichiarazione che, pur senza esplicitare il trattamento consentito, fa proprio il contenuto della dichiarazione della controparte. È chiaro in tal caso che la dichiarazione della controparte deve espressamente prevedere tale vincolatività.
Meno univoca è la soluzione nel caso di comportamenti attuativi del contratto202. Tuttavia, qualora il comportamento attuativo segua una dichiarazione della controparte che puntualizza il contenuto del contratto, pare difficile negare la sussistenza di una manifestazione di volontà chiara e univoca in merito alla conclusione del contratto e all'assunzione delle relative obbligazioni. Così, ad esempio, nel caso in cui l'organizzatore di un programma televisivo inviti un soggetto a parteciparvi, indicando le modalità con le quali il programma sarà trasmesso in onda, parrebbe inaccettabile che chi si presenta nel luogo e negli orari indicati e si presta ad essere filmato, pur senza dichiarare alcunché, si possa poi legittimamente opporre alla messa in onda della trasmissione sostenendo di non aver manifestato il consenso in maniera espressa.
Quando invece manca una dichiarazione della controparte che espliciti il contenuto del contratto, è più difficile desumere una manifestazione di volontà chiara e univoca da comportamenti attuativi. L'ipotesi non è però necessariamente da escludersi203. Ad esempio, la persona è (o deve
201 X. XXXXX [e X. XX XXXX], Il contratto, cit., I, 348.
202 Con riferimento alla disciplina dei dati personali, escludono che possano costituire consenso espresso “il silenzio, la tolleranza, il comportamento concludente” A. FICI - X. XXXXXXXXXX, Il consenso al trattamento, cit., 511; esclude “ogni volontà presunta o tacita” X. XXXXXXXXXX, Banche dati e tutela della riservatezza: la privacy nella società dell'informazione, cit., 281. In tema v. anche l'opinione espressa dal Gruppo di lavoro Articolo 29 sulla protezione dei dati personali, organo consultivo indipendente dell'UE per la protezione dei dati personali e del diritto alla riservatezza, istituito ai sensi dell'art. 29 della direttiva 95/46/CE, nella Opinion 15/2011 on the definition of consent del 13 luglio 2011, 12 e 21 ss., reperibile sul sito xxx.xx.xxxxxx.xx, secondo cui “[t]he requirement that the data subject must 'signify' his consent seems to indicate that simple inaction in insufficient and that some sort of action is required to constitute consent, although different kinds of actions, to be assessed in 'context', are possible”.
203 Sull'ammissibilità di un consenso implicito v. X. XXXXXXXXXX, Il diritto sul proprio ritratto, cit., 140 s.; M.
essere) consapevole di vincolarsi quando riceva in cambio una controprestazione (o accetti una promessa in tal senso)204 che non sia meramente simbolica e, nel contempo, sia prevedibile in base alle circostanze quale sia l'utilizzo che la controparte farà dei suoi attributi immateriali. In questo caso, infatti, da un lato, l'accettazione di una controprestazione pare essere un indice sufficientemente certo in merito alla consapevolezza di vincolarsi; dall'altro, in ogni caso, sembra necessario evitare abusi da parte di chi ha ricevuto una controprestazione. Ad esempio, se una modella acconsente alla pubblicazione della propria immagine da parte di un fotografo che collabora con una certa rivista, senza tuttavia impegnarsi per il futuro, e riceve in cambio un compenso in danaro, può ragionevolmente ritenersi che la manifestazione di volontà sia chiara e univoca205. Anche in questo caso si dovrà poi valutare, sotto il profilo della determinatezza dell'oggetto, se sussistono elementi sufficienti a tal fine.
Si deve ribadire che qui la controprestazione assume rilevanza solo in quanto elemento utile a rendere sufficientemente univoca la manifestazione di volontà della persona206, la quale ben può, invece, impegnarsi a titolo gratuito con la manifestazione di un consenso espresso, fatto salvo, in ogni caso, il rispetto delle norme disciplinanti i singoli tipi contrattuali di volta in volta posti in essere.
Ancor prima, in realtà, si dovrebbe osservare che, in assenza, perlomeno, di un comportamento attivo (e in presenza, dunque, di una mera non opposizione allo sfruttamento dei propri diritti della personalità da parte di un terzo), pare difficile configurare un consenso espresso al trattamento, a prescindere dalla vincolatività dello stesso.
3.2 Il consenso libero
Secondo quanto previsto dall'art. 23, comma 3, d.lg. n. 196 del 2003, il consenso al trattamento
XXXX, I contratti della pubblicità, cit., 129; X. XXXXXX, Il right of publicity, in X. XXXXX (a cura di), Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Milano, 2011, 534 s.
204 Cfr. M. A. XXXXXXXX, Autonomia negoziale e diritto all'immagine, cit., 154 ss., la quale rileva che la mancanza di un corrispettivo non esclude necessariamente l'impegno, in quanto non influisce sulla natura unilaterale o bilaterale della fattispecie.
205 Cfr. Pret. Roma, ord. 28 marzo 1956, in Dir. aut., 1956, 385-399, con nota di X. XXXXXXX, Considerazioni in margine all'esposizione in pubblico di un ritratto-nudo.
206 Per una diversa rilevanza attribuita al criterio onerosità-gratuità v. X. XXXXXXX, Strategie contrattuali del consenso al trattamento dei dati personali, cit., 172. Per un caso in cui la giurisprudenza ha preso in considerazione anche l'elemento relativo all'assenza di una remunerazione per escludere la manifestazione del consenso alla pubblicazione dell'immagine, x. Xxxx. Xxxxxxx, 0 marzo 2005, cit.
dei dati personali deve essere “espresso liberamente”. Il requisito della libertà del consenso attiene al processo di formazione della volontà. Si tratta dunque di chiarire che cosa significhi che il consenso allo sfruttamento degli attributi immateriali della personalità debba essere libero.
In ambito contrattuale, il processo di formazione della volontà è tutelato attraverso le norme che disciplinano i vizi del consenso, nonché da quelle previste per l'ipotesi di contratto concluso in stato di pericolo o di bisogno. In prima battuta si potrebbe dunque ritenere che il requisito della libertà del consenso contenuto nella normativa sui dati personali costituisca un mero richiamo alle norme che disciplinano la validità del consenso in ambito contrattuale. Si tratterebbe, tuttavia, di una lettura davvero minimale del requisito espressamente posto in essere dal legislatore. La dottrina pare infatti concorde nel ritenere che il richiamo alla libertà del consenso non sia qui riducibile alla applicazione delle normali regole del contratto, ma muova dall'esigenza di tenere conto di una più generale posizione di debolezza dell'interessato207, anche nell'ottica di apprestare una maggiore tutela nei confronti del contraente della cui personalità si tratta.
207 V. G. BUTTARELLI, Banche dati e tutela della riservatezza: la privacy nella società dell'informazione, cit., 285, che definisce non libero il consenso che “pur non essendo viziato da errore, violenza e dolo ai sensi degli artt. 1427 s. cod. civ., è indotto da pressioni, situazioni di debolezza contrattuale o da altre circostanze che non lo rendono frutto di una determinazione spontanea o consapevole o che lo piegano al raggiungimento di obiettivi che esulano dalla causa del negozio concluso"; X. XXXXXXX, Il consenso dell'interessato, cit., 221, che richiama la definizione del Garante secondo cui "il consenso può essere ritenuto effettivamente libero solo se si presenta come manifestazione del diritto all'autodeterminazione informativa"; C. LO SURDO, Commento ai provvedimenti adottati dall'autorità garante in merito al problema del consenso informato, in Xxxxx e responsabilità, 1998, 8, 646; S. PATTI, Il consenso dell'interessato al trattamento dei dati personali, in Riv. dir. civ., 1999, 460, secondo cui “è richiesto qualcosa di più e di diverso rispetto a ciò che deve ricorrere per configurare un consenso viziato in base agli articoli 1427 e seguenti c.c.”; M. A. XXXXXXXX, Autonomia negoziale e diritto all'immagine, cit., 187;
X. XXXXX, Il consenso al trattamento dei dati personali, cit., 81 s., la quale propone di integrare la disciplina codicistica dei vizi del consenso con altri quali “la valutazione di posizioni di asimmetria informativa” e “la tutela contro le diverse tecniche commerciali di suggestione della volontà”; A. FICI - X. XXXXXXXXXX, Il consenso al trattamento, cit., 511, secondo cui occorre fare riferimento “a tutti quegli eventi che possano comunque turbare il processo decisionale del soggetto nella scelta relativa all'abbandono della propria identità 'riservata'. E, dunque, non solo alle ipotesi codicistiche dei cc.dd. vizi della volontà, ma altresì alle pressioni derivanti da una posizione di 'debolezza', anche informativa, dell'interessato, che lo 'costringono' a 'cedere' il dato pur di ottenere in cambio un bene o servizio”. Vi è inoltre chi, più drasticamente, dubita che un modello di scambio dei dati personali basato sul consenso possa tutelare in maniera effettiva l'interessato. Sull'insufficienza del consenso a tutelare adeguatamente la privacy, cfr. X. XXXXXXXXX, Le posizioni soggettive nell'elaborazione elettronica dei dati personali, cit., 324; X. XXXXXX, Persona, riservatezza, identità. Prime note sistematiche sulla protezione dei dati personali, cit., 732 s.; X. XXXXXXX, Il contesto giuridico e politico della tutela della privacy, in Riv. crit. dir. priv., 1997, 567; X. XXXXXXX, Mercato delle informazioni e privacy – riflessioni generali sulla L. n. 675/1996, in Eur. dir. priv., 1998, 1061; X. XXXXXXX, Il consenso, anzi i consensi, nel trattamento informatico dei dati personali, in Danno resp., 1998, I, 30.
Oltre la soglia della disciplina generale del contratto, per consenso libero potrebbe innanzitutto intendersi semplicemente consenso informato208. Tale modello non è estraneo all'ambito contrattuale, in cui – in particolare in taluni settori – si è avvertita l'esigenza di tutelare la libertà del consenso attraverso la previsione di obblighi di informazione a carico della parte più forte o comunque più informata. In ambito di trattamento di dati personali la lettura del consenso libero come consenso informato è avvalorata da altre disposizioni contenute nel d.lg. n. 196 del 2003. L'art. 13 elenca le informazioni che devono essere fornite all'interessato prima che questi esprima il suo consenso. L'art. 11, comma 1, lett. b) e d) esprime il principio di finalità, strettamente correlato all'obbligo di informazione preventiva in quanto è possibile utilizzare i dati solo per gli scopi per cui sono stati raccolti e che devono essere comunicati all'interessato prima che questi esprima il suo consenso. L'informazione fornita determina dunque le modalità di trattamento dei dati209 (su tale questione torneremo più avanti). In questo senso consenso libero significa consenso consapevole e specifico. È chiaro però che così si priva il requisito della libertà di ogni autonomia concettuale rispetto a quelli di informatezza e specificità. Non manca, d'altronde, chi sottolinea che la mera necessità che il consenso sia informato non soddisfa pienamente le esigenze di tutela che emergono in ambito di trattamento di dati personali. Da un lato, è stata espressa la preoccupazione che la prestazione di un consenso informato si traduca in una mera “presa d'atto” del trattamento da parte dell'interessato, con conseguente lesione del diritto all'autodeterminazione informativa210. Dall'altro, si pone in dubbio che gli interessati, anche se
208 In tal senso cfr. X. XXXX-XXXXXXXXX, Il “consenso informato” e la “autodeterminazione informativa” nella prima decisione del garante, in Corr. Xxxx., 1997, 8, 919; X. XXXXXXX, Il trattamento dei dati personali nel settore bancario. Brevi note, in Contr. impr. Europa, 1998, 293. Sulla mancanza di trasparenza nelle operazioni di raccolta di dati su Internet cfr. X. XXXXXXXX, «Navigazione» in internet e acquisizione occulta di dati personali, in Dir. inf., 2007, II, 388; sulla mancanza di consapevolezza dell'interessato circa il valore dei propri dati cfr. X. XXXXXX, La tutela dei dati personali in internet: la questione dei logs e dei cookies alla luce delle dinamiche economiche dei dati personali, in Dir. inf., 2001, IV-V, 768 ss. Rileva il rapporto tra informatezza e libertà del consenso X. XXXXX, Il consenso al trattamento dei dati personali, cit., 89 S.
209 Cfr. C. LO SURDO, Il ruolo dell'obbligo di informativa, in X. XXXXXXXXX (a cura di), Diritto alla riservatezza e circolazione dei dati personali, cit., I, 700 ss., la quale sottolinea che “l'informativa indirettamente determina non solo l'an ma anche il quomodo del consenso (e quindi del trattamento)”.
210 A. ORESTANO, La circolazione dei dati personali, cit., 172 ss., secondo cui le decisioni del Garante in materia sono volte a contrastare la circostanza che “la frequenza con la quale l'interessato è chiamato a prestare il proprio consenso al trattamento dei dati [rischi] di far scadere la determinazione volitiva, da atto di esercizio del potere di autodeterminazione informativa, a mera 'presa d'atto' circa l'esistenza del trattamento; e ciò appare tanto più probabile quanto più l'assenso sia strumentale alla fruizione di servizi essenziali o, quanto meno,
informati, possano rendersi pienamente conto delle potenzialità lesive dell'impiego dei dati211. Secondo un'altra interpretazione del requisito in esame, il consenso è libero se l'interessato ha potuto esprimerlo in una situazione di serenità e ponderatezza. Tale situazione è da escludersi qualora l'interessato abbia subito pressioni psicologiche legate alla particolare importanza della controprestazione fornita in cambio del consenso, oppure alle particolari modalità (urgenti e pressanti) di captazione del consenso, in un'ottica non dissimile da quella che ispira la disciplina delle pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori.
Per quanto riguarda la particolare importanza della controprestazione fornita in cambio del consenso, non è agevole definire quando la medesima sia importante in una misura tale da coartare in maniera impropria il consenso dell'interessato. Si è in proposito fatto riferimento a servizi corrispondenti “ad un bisogno anelastico ed insopprimibile dell'interessato”212; occorrerebbe tuttavia chiarire in quale misura debbano essere tenuti in conto le esigenze e i desideri dell'interessato nel valutare tali bisogni213, e quanto invece si debba far riferimento a criteri di tipo oggettivo.
Peraltro, qualora la controprestazione sia costituita da un corrispettivo in denaro, pare difficile – ammesso il contenuto patrimoniale dei diritti della personalità e il carattere fungibile del denaro – che questa sia, di per sé, idonea a inficiare la libertà del consenso al di fuori dello stato di bisogno rilevante ex art. 1448 c.c. Ci si può interrogare, tuttavia, se nella valutazione della prestazione al fine di determinare la misura della lesione possano entrare anche parametri soggettivi (e così, ad
dall'interessato ritenuti utili in relazione alle proprie finalità personali”
211 X. XXXXXX, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, 82; C. LO SURDO, Commento ai provvedimenti adottati dall'autorità garante in merito al problema del consenso informato, cit., 646.
212 C. LO SURDO, Il ruolo dell'obbligo di informativa, cit., 736, la quale esamina l'ipotesi in cui “[q]uale conseguenza di un rifiuto di 'rispondere', [sia] prospettata l'impossibilità per il titolare di iniziare o proseguire un'attività rispetto alla quale il trattamento sia condizione imprescindibile” e sottolinea che “[q]uando tale attività sia oggetto di un rapporto contrattuale fra titolare ed interessato, il diniego di essa potrebbe tradursi nel diniego di un servizio corrispondente ad un bisogno anelastico ed insopprimibile dell'interessato. La 'minaccia' della mancata esecuzione di un'operazione, della mancata instaurazione o prosecuzione del rapporto contrattuale, ovvero di una sua immediata risoluzione, potrebbe quindi, in concreto, menomare la libertà nella adesione all'informativa (ossia nel conferimento), nonché, conseguentemente, nella scelta in merito al rilascio del consenso”.
213 Cfr. X. XXXXXXXX, La circolazione dei dati personali, cit., 172, il quale sottolinea come il rischio che il consenso non costituisca un effettivo esercizio del potere di autodeterminazione informativa “appa[ia] tanto più probabile quanto più l'assenso sia strumentale alla fruizione di servizi essenziali o, quanto meno, dall'interessato ritenuti utili in relazione alle proprie finalità personali”.
esempio, ritenere che il consenso alla pubblicazione della propria immagine in una pubblicità di sigarette sia più oneroso per una persona contraria al fumo che non non per un fumatore accanito).
Nel valutare le condizioni di serenità e ponderatezza nella manifestazione del consenso, occorre anche tenere in considerazione l'eventuale qualifica professionale di colui che presta il consenso: il consenso prestato da un attore cinematografico di professione alla pubblicazione della propria immagine in un film è probabilmente più ponderato rispetto al consenso prestato dal passante oggetto di ripresa di una candid camera.
Seguendo tale lettura, occorre tuttavia chiedersi se, pur ammettendosi un campo di applicazione più ampio, la mancata libertà del consenso possa in qualche modo ricondursi ai tradizionali vizi del volere e all'incapacità di intendere e volere, tramite un'interpretazione estensiva di questi ultimi. Una soluzione di segno positivo avrebbe il pregio di ancorare a un significato più certo e preciso la nozione di libertà del consenso.
Si può infine citare una terza possibile lettura del requisito di libertà del consenso, che parrebbe emergere da alcune pronunce del Garante per la protezione dei dati personali in materia214.
In una serie di casi in cui, in sede di accesso ad un servizio, il fornitore dello stesso chiedeva all'interessato di prestare il consenso al trattamento dei dati per finalità (solitamente pubblicitarie) estranee rispetto al servizio offerto, senza dare all'interessato la possibilità di prestare consensi separati e facoltativi per ciascuna finalità di trattamento, il Garante ha affermato che il consenso deve intendersi libero quando “non risulta – anche solo implicitamente in via di fatto – obbligatorio per poter fruire del prodotto o servizio fornito dal titolare del trattamento”215.
214 Sulle decisioni del Garante in tema di consenso v. X. XXXXX, Il consenso al trattamento dei dati personali, cit., 136 ss.
215 V., ad esempio, provv. del 28 maggio 1997, reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx, doc. web n. 40425 e pubblicato in Corr. giur., 1997, VIII, 915-917, riguardante il caso del consenso prestato a fini ulteriori per la conclusione di un contratto bancario; provv. del 28 luglio 1997, reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx, doc. web n. 40057, in cui un comitato promotore di un referendum richiedeva ai sottoscrittori, quale condizione per poter firmare la richiesta referendaria, di consentire il trattamento dei propri dati ai fini di invio di materiale pubblicitario e scientifico e di svolgimento di sondaggi di opinione; provv. del 12 ottobre 2005, reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx, doc. web n. 1179604, riguardante il caso in cui, in sede di acquisto di biglietti per gli eventi dei giochi olimpici Torino 2006 (gestiti da Toroc) attraverso la piattaforma TicketOne, veniva richiesto un unico consenso che comprendeva anche il trattamento dei dati a fini pubblicitari da parte di Toroc; provv. del 3 novembre 2005, reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx, doc. web n. 1195215, riguardante il trattamento dei dati nell'ambito della
Secondo tale interpretazione non è dunque libero il consenso prestato quale condizione per accedere a un bene o servizio.
fornitura del servizio Telepass, in cui il Garante, dopo aver rilevato che la "capacità di autodeterminazione non è assicurata quando si assoggetta in blocco l'accesso ai servizi alla previa autorizzazione a trattare i dati conferiti per i medesimi servizi allo scopo di perseguire una finalità diversa ed ulteriore, qual è l'invio di comunicazioni commerciali", conclude che "[n]on è quindi conforme alla disciplina di protezione dei dati personali la scelta di Aspi di raccogliere il consenso per la finalità di marketing all'interno delle condizioni generali di contratto, non potendosi definire detto consenso 'libero' (art. 23 del Codice); al contrario, il medesimo consenso deve essere manifestato specificamente rispetto a ciascuna distinta finalità perseguita"; provv. del 9 marzo 2006, reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx, doc. web n. 1252220, in cui il Garante afferma che "non può definirsi libero, e risulta indebitamente necessitato, il consenso al trattamento dei dati personali che l'interessato deve prestare, accettando (nel caso di specie quale condizione per conseguire i vantaggi dell'operazione a premi) l'utilizzo di propri dati personali conferiti ad altri scopi per l'invio di comunicazioni pubblicitarie. Gli interessati debbono essere invece messi in grado di esprimere (consapevolmente e) liberamente le proprie scelte in ordine al trattamento dei dati che li riguardano […], manifestando il proprio consenso (per così dire, 'modulare') per ciascuna distinta finalità perseguita dal titolare […]. Tale capacità di autodeterminazione non è assicurata quando si raccoglie il consenso in modo indifferenziato per perseguire distinte finalità quali sono [...] la definizione dei profili della clientela e l'invio alla medesima di comunicazioni commerciali (marketing), ben potendo essere ciascuna di essa perseguita singolarmente in presenza di un'autonoma valutazione e determinazione dell'interessato"; provv. del 22 febbraio 2007, reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx, doc. web n. 1388590, in cui il Garante censura la condotta di Enel S.p.A. che, quale controprestazione per i servizi forniti online, si riservava la facoltà di inviare messaggi pubblicitari; provv. del 5 marzo 2009, reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx, doc. web n. 1615731, in cui il Garante conclude che "non risulta quindi conforme ai criteri di liceità e correttezza nel trattamento dei dati personali, nonché al principio di finalità la scelta di TicketOne S.p.A. di raccogliere un consenso per eseguire ordinarie obbligazioni contrattuali (art. 24, comma 1, lett. b), cit.) e collegarlo, altresì, a finalità ulteriori, quali quelle di profilazione della clientela e di marketing"; provv. del 15 luglio 2010, reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx, doc. web n. 1741998, in cui il Garante censura le modalità di registrazione sul sito xxx.xxxx.xx che richiedevano un unico consenso anche per il trattamento a fini pubblicitari; provv. del 22 luglio 2010, reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx, doc. web n. 1741988, in cui il Garante afferma che "l'unico consenso richiesto non può neanche definirsi liberamente prestato dall'utente, dal momento che la registrazione al sito web o la partecipazione ad un concorso sono subordinati all'autorizzazione dell'interessato di trattare i propri dati personali per finalità diverse, quali sono quelle promozionali, di profilazione e di cessione dei dati ad altre società per ulteriori scopi"; provv. 7 ottobre 2010, reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx, doc. web n. 1763037, in cui il Garante ribadisce, con riferimento al trattamento dei dati raccolti tramite la registrazione al sito xxx.xxxxxxxx.xx, che "non può definirsi 'libero' il consenso ad un ulteriore trattamento dei dati personali che l'interessato 'debba' prestare quale condizione per conseguire una prestazione richiesta"; provv. n. 200 del 19 maggio 2011, reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx, doc. web n. 1823148, in cui il Garante prescrive, con riferimento alla registrazione a una newsletter, di fare richiesta "agli interessati di un preventivo consenso distinto e facoltativo per ciascuna delle finalità indicate nell'informativa"; provv. n. 105 del 7 marzo 2013, reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx, doc. web n. 2406175, in cui il Garante, con riferimento al consenso prestato anche per fini pubblicitari in sede di attivazione del servizio Aruba Free Internet, censura la circostanza che non sia consentito "agli interessati di esprimere uno specifico consenso per la ricezione di messaggi promozionali essendo, come detto, obbligatoria l'integrale accettazione dell'informativa per effettuare la registrazione"; provv. n. 519 del 21 novembre 2013, reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx, doc. web n. 2830611, in cui il Garante, con riferimento al consenso al trattamenti dei dati a fini anche pubblicitari prestato in sede di download di un software add-on gratuito, rileva "che – all'atto della richiesta del servizio – non era prevista la possibilità per il contraente di rifiutare inizialmente l'invio di comunicazioni promozionali e che il consenso così raccolto non può dirsi liberamente prestato"; provv. n. 3 del 9 gennaio 2014, reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx, doc. web n. 2904350, in cui il consenso al trattamento dei dati a fini pubblicitari era richiesto in sede di conclusione di un contratto di garanzia; provv. n. 427 del 25 settembre 2014, reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx, doc. web n. 3457687.
La posizione del Garante sembra voler escludere che il consenso possa costituire una controprestazione per ottenere in cambio beni o servizi216. Presa nella sua interpretazione più estensiva, tale affermazione renderebbe incerta la stessa liceità della commercializzazione del consenso, in quanto la remunerazione costituisce pur sempre una controprestazione rispetto al consenso stesso. La posizione del Garante sembrerebbe dunque volta ad evitare che l'individuo possa "vendere" i dati che lo riguardano e a impedire, dunque, la commodification della persona. In tale ottica, il consenso potrebbe dunque considerarsi libero solo se gratuito.
Il requisito di libertà del consenso così interpretato esclude che gli attributi immateriali della persona possano essere dedotti in contratto. Tale lettura, infatti, negando che le prestazioni aventi ad oggetto i diritti della personalità possano entrare nei circuiti di scambio di tipo patrimoniale, ne esclude la possibilità di essere oggetto di obbligazione e di contratto. Così, non sarebbe libero
216 Vi è chi apre a tale modello e poi ne stempera l'applicazione, affermando che il consenso non sarebbe libero se condizione per ottenere beni o servizi a meno che esso non rientri in qualche modo nella causa o nell'economia negoziale del contratto: cfr. X. XXXXXXXXXX, Banche dati e tutela della riservatezza: la privacy nella società dell'informazione, cit., 285, per cui un'ipotesi di consenso non libero è costituita dal consenso piegato “al raggiungimento di obiettivi che esulano dalla causa del negozio concluso”. Più restrittiva pare la posizione di X. XXXXX, Il consenso dell'interessato al trattamento dei dati personali, cit., 461: "il problema pratico più rilevante [...] riguarda le ipotesi in cui alla prestazione del consenso venga subordinata dalla controparte la conclusione del contratto o la prosecuzione del rapporto. Da un lato, infatti, sarebbe agevole affermare che non può considerarsi libero il consenso prestato da chi non poteva fare a meno del bene o del servizio offerto dalla controparte. Dall'altro, non sembra ipotizzabile un obbligo a contrarre in capo a chi ritiene indispensabile per lo svolgimento della propria attività il trattamento dei dati dei partner contrattuali. Una soluzione equilibrata potrebbe consistere nel distinguere le ipotesi in cui il trattamento dei dati risulta strettamente connesso e funzionale all'attività svolta da chi richiede il consenso (ad es. i concessionari di una casa automobilistica che richiedono il consenso al trattamenti dei dati degli acquirenti affinché la casa stessa possa eventualmente effettuare un 'richiamo' degli autoveicoli). Soltanto in tali ipotesi potrebbe considerarsi legittimo il rifiuto di concludere il contratto in caso di mancata prestazione del consenso. Esse peraltro potrebbero farsi rientrare nella previsione del l'art. 12 b e quindi potrebbe prescindersi dal consenso"; X. XXXXX, Il consenso al trattamento dei dati personali, cit., 147 s., secondo cui il contratto in cui si inserisce il consenso al trattamento dei dati “ben può essere a prestazioni corrispettive, ma a condizione che consenso e corrispettivo, in qualsiasi forma si manifestino, abbiano ad oggetto lo stesso contratto, incidano cioè, sulle prestazioni caratterizzanti un tipo contrattuale e non si estendano anche a prestazioni del tutto estranee ed inusuali, ad attività meramente incidentali rispetto alla prestazione tipica”. Anche uno dei primi provvedimenti in tema del Garante per la protezione dei dati personali (provv. del 28 maggio 1997, cit., pubblicato in Corr. giur., 1997, VIII, 915-917, con commento di X. XXXX-ZENCOVICH, Il “consenso informato” e la “autodeterminazione informativa” nella prima decisione del garante, cit.) contiene un passaggio che adombra tale interpretazione, laddove afferma che non si può prospettare la rottura del rapporto contrattuale in caso di mancato consenso al trattamento dei dati per "situazioni non dipendenti dall'economia negoziale”. In realtà, tuttavia, il problema è proprio quello di verificare se il consenso al trattamento dei dati personali possa o meno rientrare nella causa del contratto: se può entrarvi, allora, tutte le volte in cui la controparte che fornisce il bene o servizio richiede come necessario il consenso al trattamento, tale consenso rientra nell'economia negoziale; se invece non può entrarvi, il problema di stabilire che cosa rientra nell'economia negoziale non si pone.
il consenso prestato dall'atleta professionista alla pubblicazione della propria immagine su determinati prodotti per ottenere in cambio un compenso in denaro, in quanto il consenso è condizione per ottenere una controprestazione. In quest'ottica la gratuità viene intesa come mezzo per garantire (non solo217, ma anche) la spontaneità e l'integrità del consenso218. Questo modello comporta un rovesciamento della normale logica contrattuale, in cui le nozioni stesse di autonomia e libertà comportano proprio che la persona possa disporre dei propri beni o comunque limitare la propria libertà al fine di ottenerne benefici e vantaggi (di tipo economico o meno) e dove la gratuità comporta anzi l'applicazione di particolare cautele219. Il consenso al trattamento dei dati viene così escluso dai circuiti di scambio e commercializzazione e, conseguentemente, anche dalla possibilità di essere dedotto in contratto, così come avviene con riferimento ai diritti sul corpo220.
Questa lettura contrasta tuttavia con la posizione maggioritaria degli interpreti, che riconoscono ampiamente il contenuto anche patrimoniale dei diritti in questione. Infatti, anche laddove viene negata la deducibilità in contratto degli attributi immateriali della persona, tale posizione è fondata non tanto sul contenuto non patrimoniale dei diritti della personalità (richiamato per lo più a livello declamatorio), quanto sulla necessità di non coartare lo sviluppo della personalità attraverso vincoli contrattuali221.
È però possibile un'altra lettura della posizione del Garante, legata alla specificità dei casi
217 Perlomeno con riferimento al corpo, la gratuità garantisce infatti anche il principio di solidarietà. Cfr., ad es., C. M. XXXXXXX, Etica del dono e donazione di organi, in Studi in onore di Xxxxxx Xxxxxxxx, I, Milano, 1998, 563 ss.; X. XXXXXXXX, Gli atti di disposizione del corpo, in X. XXXXXXX, X. XXXXXXXXX (a cura di), Il principio di gratuità, Milano, 2008, 329 ss.
218 Sul rapporto tra gratuità e libertà v., ad es., M. C. VENUTI, Atti di disposizione del corpo e principio di gratuità, in X. XXXXXXX, X. XXXXXXXXX (a cura di), Il principio di gratuità, cit., 307 s., la quale sottolinea che, mentre “[n]el diritto dei contratti la gratuità esprime (esclusivamente) il modo in cui le parti dispongono il proprio assetto di interessi in ordine a rapporti di natura patrimoniale, […] [e]ssa non esprime anche, come nei negozi relativi al corpo, una garanzia di integrità e libertà del consenso. In altri termini, sul terreno di scelte fondamentali di carattere personale l'ordinamento richiede il rispetto di un principio di gratuità che da una parte indica la non commerciabilità del corpo e dall'altra garantisce che l'atto di disposizione del corpo sia frutto di una scelta libera, consapevole e spontanea del suo autore”.
219 Cfr. X. XXXXXX, Gratuità e solidarietà tra impianti codicistici e ordinamenti costituzionali, in X. XXXXXXX,
X. XXXXXXXXX (a cura di), Il principio di gratuità, cit., 103 s., il quale propone di valorizzare la gratuità come “area-chiave di tutte le relazioni interpersonali, sociali ed economiche non mediate dalla logica di mercato”.
220 Cfr. le osservazioni in merito al binomio “mercato/non mercato” e al ruolo della gratuità svolte da X. XXXXXXX, La proprietà intellettuale tra “mercato” e “non mercato”, in Riv. crit. dir. priv., 2004, 518 s.
221 V. supra cap. I.