UNIVERSITA’ DI PISA
UNIVERSITA’ DI PISA
Dipartimento di Giurisprudenza Corso di laurea in Giurisprudenza
L’articolo 8 del decreto legge 13 agosto 2011, numero 138.
Il Candidato Xxxxx Xxxxxxxxxx
Il Relatore Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxx Xxxxxxxx
A.A. 2013/ 2014
Indice.
Capitolo I: Il contratto collettivo 8
1. Il Contratto Collettivo Aziendale e le evoluzioni storiche del periodo Repubblicano; differenze con il periodo corporativo. 8
2. Il contratto collettivo e i suoi rapporti con le fonti
dell’ordinamento italiano. Breve definizione. 18
3. L'inizio dei grandi cambiamenti 25
3.1.Protocollo d'intesa sulla politica dei redditi e sugli assetti contrattuali, c.d. “Protocollo Ciampi-Giugni” del 1993: ridefinizione degli assetti contrattuali del sistema sindacale e prospettive di stabilità. 26
3.2. Referendum 1995 sull’art. 19 l. 300/1970: come incide
sulle rappresentanze sindacali aziendali. 30
3.3. Un nuovo modello di rappresentanza: Le rappresentanze sindacali unitarie. 36
3.4. La crisi economica: lo spostamento del baricentro della produzione normativa al livello del micro ordinamento
3.5. Il caso Fiat: Mirafiori e Pomigliano. Come modificano le modalità e il mondo della contrattazione aziendale: un modello decentralizzato di assetto delle relazioni industriali
incentrato sul modello del competitive federalism 41
3.6.Accordo Interconfederale 2011: novità introdotte,
continuità e differenze con gli accordi precedenti 49
Capitolo II: articolo 8 l. 148/2011 55
1. L’articolo 8: introduzione. 55
2. L’ esegesi dell’articolo 8. 60
3. Il comma 1: i soggetti, calcolo della rappresentatività e il ruolo delle intese, l’efficacia erga omnes 63
3.1 Il problema della efficacia erga omnes: i rapporti tra articolo 8 del d.l. 138/2011 e articolo 39 della Costituzione.
Probabile incostituzionalità? 74
4. Il comma 2. Quali materie disciplina? 83
5. Il comma 2-bis: i limiti di livello costituzionale, europeo ed internazionale. 109
6. Il comma 3: il c.d. “Comma Fiat”. 119
7. Analisi critica dell’articolo 124
8. La Postilla del 21 settembre 2011 130
9. Applicazioni concrete dell’articolo 8. 131
Capitolo III: La Risposta delle parti sociali. 139
1. Il testo Unico sulla rappresentanza. Confindustria- Cgil- Cisl e Uil. 139
2. Misura e certificazione della rappresentanza ai fini della contrattazione collettiva nazionale di categoria. 141
3. Regolamentazione delle rappresentanze in azienda. 145
4. Titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva nazionale
di categoria ed aziendale 151
5. Disposizioni relative alle clausole e alle procedure di raffreddamento e alle clausole sulle conseguenze
dell’inadempimento. 154
6. Le sanzioni. 158
6.1 Gli organismi individuati per la composizione del
conflitto. 159
7. Valutazioni critiche. 161
Bibliografia. 165
Introduzione
L’argomento della tesi: l’articolo 8 del d.l. 138/2011, permette di svolgere una accurata analisi circa il mondo del diritto del lavoro e delle evoluzioni socio economiche dell’Italia.
E’ stato tema di molte relazioni effettuate da rinomati Autori che nello scritto vengono citati, i quali hanno permesso una disamina più completa e approfondita della questione.
Nella trattazione viene riportato, al primo capitolo, un breve accenno alla storia e lo sviluppo del contratto collettivo nazionale e del contratto aziendale, ritenendolo essenziale al fine di una
migliore comprensione dell’articolo 8.
Nel primo capitolo, ci si sofferma, circa la collocazione del
contratto collettivo nazionale e quello aziendale all’interno delle fonti del diritto, per poi prestare attenzione al difficile argomento relativo alla attribuzione di efficacia erga omnes del contratto collettivo nazionale e aziendale.
Appare doveroso fare riferimento anche, e soprattutto, ai vari Protocolli e Accordi prodromici alla emanazione del più volte ricordato articolo 8; facendo particolare riferimento al Protocollo d’Intesa, c.d. “Ciampi- Giugni” del 1993 e all’ Accordo Interconfederale del 2011.
Un riferimento, è sembrato del tutto necessario, alle vicende Fiat di Mirafiori e Xxxxxxxxxx, essendo state, a parere di molti Autori,
un momento topico di tutta la difficile storia del contratto collettivo nazionale ed aziendale.
Passando al secondo capitolo, inizia qui la disamina puntuale di tutto l’articolo 8.
L’analisi dell’articolo viene effettuata comma per comma, ritenendo questo modo di procedere maggiormente esemplificativo ed esaustivo.
Partendo dal primo comma, il quale permette un’analisi puntuale dei soggetti abilitati alla stipula dei contratti aziendali, delle intese necessarie al fine della suddetta, delle modalità di calcolo della rappresentatività e, infine, dell’annoso problema circa
l’attribuzione della efficacia erga omnes.
Il secondo comma consente di soffermarsi sulla disamina delle singole materie disciplinabili dalla autonomia collettiva in forza del potere attribuito alle stesse dall’articolo 8.
Il comma 2-bis introduce i limiti oltre i quali l’autonomia collettiva non può derogare al contratto nazionale di lavoro e la legge.
Passando all’analisi del terzo comma, c.d. “Comma Fiat” che ha permesso di analizzare in modo più compiuto l’affaire Fiat.
E’ stato possibile a, questo punto, scrivere un breve paragrafo in cui inserire le critiche mosse e le posizioni a favore all’articolo 8 di validissimi autori, le cui opere hanno permesso la redazione di questa tesi.
In ultimo si ritiene necessario portare degli esempi di attuazioni concrete dell’articolo 8, permettendo così al lettore di
comprendere a pieno quale reale portata ha avuto l’articolo in commento.
Il terzo, ed ultimo capitolo, è interamente dedicato al recentissimo Testo Unico sulla rappresentanza di Confindustria- Cgil, Cisl e Uil del 10 gennaio 2014.
Partendo da una breve analisi della situazione socio economica, si passa, paragrafo dopo paragrafo, alla spiegazione dell’intero Testo Unico.
Il tema che sembra destare maggiore apprensione circa
l’applicazione del Testo Unico, è quello relativo alle clausole di raffreddamento e di tregua sindacali imponenti un controllo circa le modalità di sciopero andando a condizionarlo e a controllarlo allo scopo di far ottenere ai lavoratori, come contropartita, la tutela degli standard minimi di trattamento.
La tesi si conclude con una breve analisi critica del Testo Unico, poiché, essendo recente l’emanazione dello stesso e scarsa ad oggi la letteratura ad esso riferibile, non permette di dare un giudizio o di fare previsioni circa il peso che tale Testo Unico potrà svolgere sul mondo delle relazioni industriali
Capitolo I: Il contratto collettivo
(1- Il contratto Collettivo Aziendale e le evoluzioni storiche del periodo Repubblicano; differenze con il periodo corporativo. 2- Il Contratto collettivo e i suoi rapporti con le fonti dell’ordinamento italiano. Breve definizione. 3- L’inizio dei grandi cambiamenti. 3.1- Il Protocollo d’Intesa sulla politica dei redditi e sugli assetti contrattuali, cd. “Protocollo Ciampi- Giugni” del 1993: ridefinizione degli assetti contrattuali del sistema sindacale e prospettive di stabilità. 3.2- Il Referendum del 1995 sull’articolo 19 l. 300/1970: come incide sulla rappresentanza sindacale aziendale. 3.3- Un nuovo modello di rappresentanza: le rappresentanze sindacali unitarie. 3.4- La crisi economica: lo spostamento del baricentro della produzione normativa al livello del micro ordinamento giuridico d’impresa. 3.5- Caso Fiat: Mirafiori e Pomigliano. Come modificano le modalità e il mondo della contrattazione aziendale: un modello decentralizzato di assetto delle relazioni industriali incentrato sul modello del competitive federalism. 3.6- Accordo Interconfederale del 2011: novità introdotte, continuità e differenze con gli accordi precedenti.)
1. Il Contratto Collettivo Aziendale e le evoluzioni storiche del periodo Repubblicano; differenze con il periodo corporativo.
Il contratto collettivo di lavoro nasce come regolatore degli interessi all'interno delle fabbriche tramite una elaborazione fatta dalle stesse parti sociali in conflitto attraverso patti negoziali ad efficacia tendenzialmente generalizzata stipulati dai rappresentanti dei lavoratori per garantire minimi di tutela economica e normativa delle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori.
Nonostante la sua origine risalga al secolo diciottesimo, il legislatore si è occupato della regolamentazione dello stesso a partire dalla fine del secolo diciannovesimo.
I primi conflitti lavorativi vengono risolti da una speciale magistratura arbitrale: i cd. Collegi dei probiviri industriali istituiti con l. 15 giugno 1893, n. 295, aventi l'incarico di dirimere le controversie tramite un giudizio di xxxxxx.
A partire dalle ultime due decadi dell'ottocento il diritto del lavoro diviene oggetto di giuridificazione ad opera della legislazione dello Stato e l'equità cede il passo alla inderogabilità che verrà poi integrata con gli usi, le consuetudini locali e l'equità.
Si seguono le teorie del Xxxxxx che affermano la inderogabilità del contratto collettivo spiegando il rapporto tra aderente e soggetto collettivo stipulante in termini di rappresentanza1 .
Tale tesi ha però un grande limite e cioè che le associazioni sindacali e datoriali che agiscono per nome e per conto dei soci, in realtà, potrebbero modificare quanto pattuito tra le parti collettive nello stipulare il singolo contratto di lavoro.
Un grande giurista italiano, Messina, cerca di superare tale problema ritenendo che in base al diritto comune non si possa affermare la prevalenza automatica delle clausole del contratto collettivo su quelle difformi del contratto individuale, ma è tuttavia possibile assicurare al contratto collettivo una sanzione di natura obbligatoria,
1 LOTMAR, 1902
perché la sua deroga costituisce una violazione di un obbligo al quale è possibile reagire con un’azione risarcitoria2.
L'inderogabilità della norma lavoristica a cui si collega l'indisponibilità dei diritti verrà infatti sancita all'art. 17 della l. del 1924 sull'impiego privato e poi riaffermata dall'art. 2077 cod. civ. e successivamente anche dall'art. 40 dello statuto dei lavoratori.
I tempi però cambiano e il fascismo diviene una realtà che avvolge tutto il Paese e tocca inevitabilmente anche il contratto collettivo.
Con l'attuazione della l. 3 aprile 1926, n. 563, la c.d. “fascistissima”, si realizza un corporativismo autoritario che bandisce la libertà sindacale ed attribuisce ad un solo sindacato di diritto pubblico e “di sicura fede nazionale” la rappresentanza legale di ciascuna categoria produttiva.
La materia trova poi un assetto sicuro e definito nel cod. civ. del 1942, sancendo il contratto collettivo corporativo come fonte del diritto all'art. 1 delle preleggi, facendogli assumere il ruolo di vera e propria fonte dell'ordinamento avente natura pubblicistica, in quanto le associazioni sindacali vengono considerate enti pubblici con supremazia speciale e perché al contratto collettivo viene attribuita efficacia normativa nei confronti di tutti i lavoratori ed i datori di lavoro a prescindere dal vincolo di affiliazione sindacale.3
Caduto il fascismo, vengono soppresse le istituzioni corporative con il R.d.l. 9 agosto 1943 che lascia comunque in vita le organizzazioni sindacali di diritto pubblico, successivamente sanate dalla
2 X. XXXXXX, Diritto Sindacale, Cacucci Editore 2010, pag. 127
3 X. XXXXXXXX, Diritto Sindacale, G. Giappichelli Editore 2012, pagg.9 e ss.
connotazione fascista con il d.l.lgt. n. 369 del 1944, il quale dispone l'ultrattività normativa relativa alla tutela e alla garanzia delle condizioni minime di regolazione dei rapporti di lavoro in attesa dell'intervento del legislatore.
L'intervento legislativo tarda però ad arrivare determinando un sistema schizofrenico che vede: da una parte i contratti collettivi corporativi dotati dell'ultrattività e immediatamente efficaci ex lege essendo fonti proprie di diritto, dell'altra i nuovi contratti collettivi che vengono via via stipulati dalle nuove organizzazioni sindacali efficaci esclusivamente nei confronti degli affiliati secondo le regole privatistiche della rappresentanza negoziale.4
Il Primo gennaio 1948 entra in vigore la Costituzione Repubblicana che all'articolo 39 sancisce il diritto di libertà sindacale e attribuisce ai contratti collettivi efficacia obbligatoria
<<L'organizzazione sindacale è libera
Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.
E` condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica.
I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.>>
Come incide questo articolo nell'assetto del diritto del lavoro?
4 X. XXXXXXXX, op. cit.
Primo fra tutti, l'articolo 39, sancisce il principio del pluralismo sindacale rendendo libera la creazione e la affiliazione alle organizzazioni sindacali. Al tempo stesso però, si concretizza il problema fondamentale del diritto sindacale: l'efficacia generale dei contratti collettivi.
Sappiamo infatti che, per rendere effettivo il pluralismo sindacale, lo Stato non può attuare alcun mezzo di controllo circa la libertà di affiliazione dei lavoratori e dei datori di lavoro, ma per rendere efficace erga omnes il contratto collettivo è necessario avere un controllo circa i soggetti nei confronti dei quali il contratto collettivo si applica.
Affermare uno significa negare l'altro.
Nasce allora l'idea di affidare alle sole organizzazioni registrate e riconosciute dallo Stato il potere di stipulare contratti collettivi efficaci erga omnes.
<<Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.
E` condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica.
I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.>>
Tale assetto non ha mai trovato attuazione a causa della rottura dell'unità sindacale avvenuta nel 1948.
Ciò che unisce le tre organizzazioni è il rifiuto circa l’applicazione del meccanismo della registrazione in quanto implica un controllo sugli interna corporis del sindacato; ciò che divide è la prefigurazione di una rappresentanza unitaria che andrebbe a favorire la sola Cgil, penalizzando invece le associazioni sindacali più piccole.5
L'impasse viene per così dire superata con l.14 luglio 1959 n. 741, cd. Legge Vigorelli.
Lo scopo della legge è quello di dare una soluzione transitoria al problema cercando “di garantire minimi di trattamento economico e normativo ai lavoratori” e per fare questo delinea una tecnica particolare: la legge delega il governo ad emanare norme giuridiche aventi forza di legge al fine di assicurare minimi di trattamento economico e normativo nei confronti di tutti gli appartenenti ad una medesima categoria, prevedendo inoltre che i decreti legislativi debbano uniformarsi alle clausole dei contratti collettivi stipulati anteriormente all'entrata in vigore della legge.
I problemi che la legge fa nascere sono quantitativamente numerosi, citandone solo alcuni: rapporti fra i vari livelli contrattuali, rapporti fra i contratti recepiti in decreti legislativi e la preesistente normativa inderogabile.
Con Sent. 106/1962 la Corte Costituzionale dichiara che il meccanismo previsto dalla legge del '59 è in palese violazione all'art. 39 Cost. qualificandolo come “frode costituzionale”, ma, chiarisce poi la Corte che, avendo carattere transitorio e cercando di porre rimedio ad una impasse legislativa, si può salvare dall'accusa di
5 Cfr. X. XXXXXXXX, Op. Cit., pagg. 98 e ss.
incostituzionalità solo per la sua transitorietà. Dichiara in ogni caso incostituzionale la l. n. 1027 del 1960 che proroga di quindici mesi il termine annuale di scadenza della Vigorelli.
La Corte sancisce, inoltre, importanti principi estraibili dall’art. 39: esso non pone una riserva in favore della contrattazione collettiva per la regolazione dei rapporti di lavoro, inoltre conferisce automaticamente efficacia erga omnes ai contratti collettivi quando gli stessi siano stipulati dai soggetti forniti dei requisiti ivi specificati e in base alla procedura prevista.
Non è però sufficiente fare riferimento al solo contratto collettivo nazionale di lavoro, essendo invece necessario soffermarsi sul contratto collettivo aziendale.
Il contratto collettivo aziendale è il contratto stipulato all’interno di una singola impresa ed ha come parti stipulanti il datore di lavoro e o le rappresentanze sindacali aziendali o le rappresentanze a livello territoriale.
Esso viene applicato nel campo circostanziato dell’impresa stipulante e di conseguenza ai lavoratori che da essa dipendono.
Viene stipulato nell’arco di vigenza del contratto nazionale di categoria, a livello territoriale ovvero a livello aziendale andando così a coincidere con la singola impresa o gruppi di imprese o filiali o reparti.
Il contratto decentrato ha la funzione di integrare e completare la disciplina dettata dal contratto nazionale e determinare quindi gli standard di trattamento.
Fin dalla caduta del sistema corporativo è stato utilizzato il contratto nazionale a discapito di quello aziendale, essendo il sistema contrattuale fortemente centralizzato e statico tendente a soddisfare pienamente l’interesse degli imprenditori ad evitare qualsiasi attività sindacale in azienda, avendo il contratto aziendale lo scopo precipuo di migliorare le condizioni dei lavoratori rafforzando la presenza e il potere dei sindacati nei luoghi di lavoro.
La centralizzazione è stata massima fino agli anni ’50, successivamente, grazie allo sviluppo economico e all’aumento occupazionale, i sindacati acquistano più forza e iniziano ad operare unitariamente facendo sì che i contratti di categoria divengano il fulcro della struttura contrattuale e la fonte principale della disciplina dei rapporti di lavoro, mentre la contrattazione aziendale, non essendo formalmente riconosciuta, continua ad essere svolta dalle commissioni interne.
Nel 1962 la contrattazione aziendale viene finalmente riconosciuta e il 5 luglio dello stesso anno le federazioni di categoria dei metalmeccanici firmano un Protocollo con l’Intersind e l’Asap attraverso il quale vengono fissati i principi generali del nuovo sistema contrattuale, detto di contrattazione articolata, introducendo una struttura contrattuale articolata su tre livelli: nazionale di categoria, di settore e aziendale collegati da un criterio rigidamente gerarchico.
Nonostante la firma del Protocollo e il cambiamento della situazione politico economica, rimane dominante il contratto nazionale di
categoria recludendo il contratto aziendale a svolgere una funzione meramente integrativa ed applicativa del contratto di categoria.
Nel 1967 si realizza un nuovo ciclo contrattuale caratterizzato da un altissimo livello di conflittualità e di una diffusione quasi capillare della contrattazione nei luoghi di lavoro che altera gli equilibri di potere fra le parti sociali, ciò avviene perché vi è una rigidità nel mercato del lavoro caratterizzato da una tendenziale situazione di piena occupazione e le forti esigenze di recupero salariale e di miglioramento delle condizioni di lavoro.
Nascono nuove rivendicazioni contrattuali (aumenti salariali uguali per tutti, riduzione orario di lavoro…) escluse dalla competenza della contrattazione aziendale.
Il nuovo sistema che va delineandosi viene informalmente sancito dal contratto nazionale dei metalmeccanici del 1969.
Esso prevede un nuovo ed alternativo sistema denominato di contrattazione non vincolata, nel quale ciascuno dei due livelli, nazionale e aziendale, siano formalmente autonomi e dove la contrattazione aziendale sia aperta a qualsiasi sede e per qualsiasi materia pur in vigenza del contratto nazionale.
Si raggiunse così il massimo del decentramento: i contratti aziendali hanno un ruolo trainante rendendo i contratti nazionali meri strumenti di generalizzazione.
La contrattazione decentrata assume una funzione specializzata rispetto al contratto di categoria che consiste nell’integrare ed adeguare la disciplina in esso dettata agli interessi delle parti legati
alle specifiche caratteristiche dei luoghi nei quali viene resa la prestazione lavorativa.
La crisi economica degli anni ‘70 e lo sfavorevole andamento del mercato del lavoro, inducono un procedimento di ricentralizzazione della struttura contrattuale che tocca l’apice negli anni ’80, dove i processi di ristrutturazione dell’economia mondiale e la necessità di reggere la concorrenza internazionale, impongono alle imprese italiane di perseguire l’obiettivo di una forte flessibilità organizzativa, realizzabile anche attraverso la diversificazione dei trattamenti di lavoro e la riduzione delle rigidità nella regolazione dei rapporti di lavoro (la cd. Deregulation) andando a favorire nuovamente il decentramento contrattuale.
Il problema relativo all’attribuzione di efficacia soggettiva si concretizza anche nel contratto aziendale.
La giurisprudenza ha sempre ritenuto applicabile tale efficacia ai contratti aziendali cd. acquisitivi sulla base di varie argomentazioni quali l’indivisibilità del trattamento assicurato dal datore, l’obbligo del datore di assicurare l’uniformità del trattamento; mentre per i contratti cd. xxxxxxxx non è prevedibile l’attribuzione di efficacia soggettiva perché derogatori di posizioni di diritto dei lavoratori e dotati dal legislatore della forza di disporre dei diritti dei lavoratori dell’impresa anche in senso peggiorativo, trovando il disaccordo dei lavoratori non iscritti o dissenzienti.
2. Il contratto collettivo e i suoi rapporti con le fonti dell’ordinamento italiano. Breve definizione.
Il contratto collettivo, fin dalla sua nascita ha subito grandissime modifiche.
Pur non essendo previsto come fonte del diritto dall'art. 1 delle preleggi del codice civile, è comunque possibile, gettando uno sguardo ai rapporti fra sottosistemi giuridici e facendo riferimento alle regole che promanano dal corpo sociale, tramite una interpretazione più ampia del concetto di fonte, ritenere il contratto collettivo come fonte di regolamentazione del mondo del diritto del lavoro soprattutto se si segue l'accezione della cd. formazione extra- legislativa delle regole.6
Perché il contratto collettivo non può essere considerato fonte del diritto?
Il contratto collettivo è, per definizione, espressione della c.d. autonomia collettiva, che di per sé, non è riconducibile né all’autonomia dei privati uti singuli, né ad una potestà pubblica.
Xxxxxxx già detto che non viene ripreso nell’elenco delle fonti dall’art.1 delle preleggi e questo basterebbe per pensare che non possa essere ricondotto alle fonti del diritto, ma una tale interpretazione è restrittiva. Infatti la Corte cost. combinando l’interpretazione degli articoli 2 e 39 Cost, ha dato rilievo non solo agli interessi individuali, ma anche a quelli collettivi.
6 X. Xxxxxxxx, Op. Cit., pagg. 41 e ss.
Ha rilevato però che, mancando l’attuazione del primo comma art. 39 non è possibile poter inserire il contratto collettivo come fonte dell’ordinamento in quanto questo principio esige non solo che ai sindacati sia attribuita natura di soggetti privati, ma anche che l’attività dei sindacati rivesta la qualificazione di attività di diritto privato essendo svolta a tutela di interessi privati contrapposti ancorché collettivi.7
Seguendo una delle migliori dottrine è possibile individuare degli aspetti che permettono di determinare un fatto giuridico come fonte:
- L’antigiuridicità: soltanto la violazione, diretta o indiretta, di norme del diritto oggettivo (…) può integrare l’elemento formale (“antigiuridicità”) dell’illecito, nella sua più larga accezione di “fatto contrario al diritto” 8
- La possibilità di ricorrere ex art. 360, n.3 cod. proc. civ9. in cassazione per “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”
- Onere della prova/iura novit cura10
7 X. Xxxxxxx, Le fonti normative nel diritto del lavoro, in Nuovi assetti delle fonti del diritto del lavoro, in atti del convegno nazionale Capsur-Ciber Publishing, xxxx://xxxxxx-xxxxxxxxxxxxxxx.xx pag. 103-106
8 CRISAFULLi, Lezioni di diritto costituzionale, vol.2, CEDAM, 1993, pag. 12
9 Articolo 360 cod. proc. civ. “le sentenze pronunziate in grado di appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione: […] c) per violazione o falsa applicazione di norme di diritto dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro. […]
10 Antico brocardo traducibile come “il giudice conosce le leggi”, esprimente il principio secondo cui il giudice è libero di applicare le norme di diritto che
- Analogia e tecniche di interpretazione.
Seguendo tale impostazione alcuni autori sono giunti ad affermare che “può senz’altro qualificarsi il contratto collettivo come fonte di diritto operante su un piano di parità con la norma di legge e dotato della medesima forza sostanziale” per cui “la norma collettiva si presenta come una fonte tipica nel sistema formale delle fonti del diritto oggettivo assimilabile più alle fonti fatto che alle fonti atto”11
Vediamo di proporre degli esempi che ci permettano di portare la teoria nella pratica:
Innanzi tutto l’articolo 2106 c.c.12 relativo alle sanzioni disciplinari per violazione degli obblighi imposti dagli articoli 2014 e 2015 c.c.13 letto in combinato disposto con l’art. 7 dello Stat. Lav.14 giustifica le
meglio ritiene adattabile al caso concreto dandogli la qualificazione giuridica che ritiene corretta, prescindendo eventualmente da quelle richiamate dalle parti a fondamento delle rispettive richieste non comportando, conseguentemente, un onere a carico delle parti di indicare la norma posta a fondamento della loro pretesa.
11 XXXXXX, 2004, 289, in Op. Cit. MODUGNO pag. 107-109
12 Articolo 2106 cod. civ. Sanzioni disciplinari “L’inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti [2014 e 2105] può dare luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell’infrazione.”
13 Articolo 2014 cod. civ. Diligenza del prestatore di lavoro “Il prestatore di lavoro deve utilizzare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, nell’interesse dell’impresa da quello superiore della produzione nazionale. Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende. “; art. 2015 cod. civ. Obbligo di fedeltà “Il prestatore di lavoro non deve trattare affari per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o di farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.”.
14 Articolo 7 Stat. Lav. “Sanzioni disciplinari: Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere
norme dettate per i lavoratori come vincolanti la cui violazione comporta delle sanzioni.
Tutto ciò ci rimanda all’interpretazione del contratto collettivo e delle norme ad esso combinato come vincolanti e per questo assimilabili alla legge.
In base all'art. 39 Cost. il contratto collettivo avrebbe dovuto riferirsi a tutti i soggetti iscritti ad un determinato sindacato, ma essendo stato inattuato ciò non è possibile e quindi dobbiamo necessariamente riferirci al mondo del diritto privato prendendo come riferimento l'istituto della rappresentanza negoziale regolato
applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissioni in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano. Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa. Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. Fermo restando quanto disposto dalla l. 15 luglio 1996, n.604, non possono essere disposte sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro; inoltre la multa non può essere disposta per un importo superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per più di dieci ore giorni. In ogni caso i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano passati cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa. Salvo analoghe procedure previste dai contratti collettivi di lavoro e ferma restando la facoltà di adire all’autorità giudiziaria, il lavoratore al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni successivi, anche per mezzo dell’associazione alla quale sia iscritto ovvero conferisca mandato, la costituzione, tramite l’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore dell’ufficio del lavoro. La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del collegio. Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall’invito rivoltogli dall’ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui al comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro adisce l’autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio. Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione”.
dall'art. 1387 del cod. civ.: “Il potere di rappresentanza è conferito dalla legge, ovvero dall'interessato”. In forza del quale gli effetti giuridici degli atti realizzati dal rappresentante ricadono nella sfera giuridica del rappresentato, venendogli imputati direttamente, in ragione del vincolo rappresentativo15.
Ed è quindi il cd. vincolo associativo a determinare l'efficacia del contratto collettivo nei confronti di tutti i soggetti (lavoratori e datori di lavoro) che siano iscritti alle associazioni sindacali che lo abbiano stipulato.
Consideriamo poi l'art. 36 Stat. Lav.16 che fa sì che per ottenere determinate agevolazioni il datore di lavoro debba dare applicazione al contratto collettivo, sancendo che è fatto obbligo agli imprenditori che siano appaltatori di opere pubbliche o destinatari di agevolazioni
15 X. XXXXXXXX, Op. Cit. pag. 103
16 Articolo 36 Stat. Lav. Obblighi dei titolari di benefici accordati dallo Stato e degli appaltatori di opere pubbliche. “Nei provvedimenti di concessione di benefici accordati ai sensi delle vigenti leggi dallo Stato a favore di imprenditori che esercitano professionalmente un'attività economica organizzata e nei capitolati di appalto attinenti all'esecuzione di opere pubbliche, deve essere inserita la clausola esplicita determinante l'obbligo per il beneficiario o appaltatore di applicare o di far applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona. Tale obbligo deve essere osservato sia nella fase di realizzazione degli impianti o delle opere che in quella successiva, per tutto il tempo in cui l'imprenditore beneficia delle agevolazioni finanziarie e creditizie concesse dallo Stato ai sensi delle vigenti disposizioni di legge. Ogni infrazione al suddetto obbligo che sia accertata dall'Ispettorato del lavoro viene comunicata immediatamente ai Ministri nella cui amministrazione sia stata disposta la concessione del beneficio o dell'appalto. Questi adotteranno le opportune determinazioni, fino alla revoca del beneficio, e nei casi più gravi o nel caso di recidiva potranno decidere l'esclusione del responsabile, per un tempo fino a cinque anni, da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero da qualsiasi appalto. Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche quando si tratti di agevolazioni finanziarie e creditizie ovvero di appalti concessi da enti pubblici, ai quali l'Ispettorato del lavoro comunica direttamente le infrazioni per l'adozione delle sanzioni. “
finanziarie e creditizie concesse dallo stato di applicare o far applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi della categoria e della zona.
Abbiamo poi l’articolo 360 c.p.c17 che al n.3 individua come motivo di ricorso in Cassazione la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti collettivi. Determinando la parificazione dei contratti collettivi dell’impiego privato a quelli del pubblico, e quindi facendo ritenere il contratto collettivo come fonte del diritto, sebbene con qualche remora e sospetto per il fatto che la Corte di cassazione non può prenderne visione diretta non essendo il contratto sottoposto al processo di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Infatti il contratto collettivo produce effetti e ha efficacia nei confronti di determinati soggetti e modifica i rapporti tra questi che entrano in relazione tra di loro.
Il contratto collettivo deve essere quindi letto alla luce della regolamentazione privatistica senza però applicare ad esso gli articoli 2067 e ss., libro V del c.c. perché disciplinanti i contratti collettivi corporativi.
I contratti collettivi di diritto comune realizzano la composizione di interessi in conflitto attraverso l’accordo delle parti utilizzando l’autonomia che l’ordinamento riconosce ai soggetti privati.18
17 Per articolo intero cfr. nota numero 8
18 X. XXXXXX, Op. Cit. pag. 133
Il contratto collettivo trae fondamento dal potere dei soggetti privati di regolamentare autonomamente i propri rapporti e non dal potere eteronomo di soggetti pubblici che siano posti in una posizione di autorità.19
Avendo dunque analizzato l’appartenenza o meno del contratto collettivo all’interno delle fonti del diritto, possiamo, anche se sommariamente, definirlo: è sicuramente un istituto dell'ordinamento da inquadrarsi però nella sfera del diritto delle obbligazioni anche se gli interessi che vengono perseguiti dalle organizzazioni sindacali non sono particolari, ma collettivi e indistinti.
Potremmo definirlo come contratto sottoscritto dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro con lo scopo di dettare le regole che troveranno applicazione nei confronti dei rapporti di lavoro di dipendenti che operano nell'ambito del settore produttivo rappresentato dai soggetti stipulanti.
Il tratto più saliente è che esso è definito come contratto “normativo”, cioè come un patto diretto a regolare i futuri rapporti di lavoro secondo una attitudine che è caratteristica più della legge che dell'attività negoziale e per questa ragione è ancora oggi attuale la definizione data da Xxxxxxxxxx secondo cui il contratto collettivo è un contratto con l'anima della legge. 20
Nonostante il diritto sindacale post statutario resti extra costituzionale, nel momento in cui assegna ai sindacati e ai contratti
19 XXXXX, 2002 in Op. Cit. X. XXXXXX pag. 133
20 X. XXXXXXXX, Op. Cit.
collettivi una pluralità di funzioni organizzative e normative, si presenta come un processo caratterizzato da una interazione costante tra poteri sindacali e poteri pubblici riconoscendo all’autonomia collettiva la capacità di produrre norme in concorrenza con le norme poste dall’ordinamento generale dello stato.
Solo se si supera la prospettiva meramente interna all’ordinamento statale è possibile riconoscere la natura bivalente, di fonte intersindacale e statale allo stesso tempo, del contratto collettivo.21
3. L'inizio dei grandi cambiamenti
Ciò che ci interessa al fine di questa tesi è l’analisi dei contratti collettivi relativa agli ultimi anni in quanto gli assetti politico- sociali hanno influito in vario modo su di essi.
Nei paragrafi precedenti abbiamo visto come il contratto collettivo sia stato modificato dal periodo fascista e come sia difficile darne una definizione precisa e puntuale.
Analizziamo in modo dettagliato i momenti che più hanno influito sulla disciplina dei contratti collettivi.
21 MODUGNO, Op. Cit. pag. 119 e 120
3.1.Protocollo d'intesa sulla politica dei redditi e sugli assetti contrattuali, c.d. “Protocollo Ciampi-Giugni” del 1993: ridefinizione degli assetti contrattuali del sistema sindacale e prospettive di stabilità.
Il protocollo sulla politica dei redditi, l’occupazione, gli assetti contrattuali e le politiche del lavoro del 23 luglio 1993 c.d. Protocollo Ciampi-Giugni rappresenta uno dei momenti più salienti ed importanti per la nostra analisi in quanto inizia a modificare l’assetto realizzatosi fino a quegli anni. Maturato sulla necessità di avviare con le parti sociali un negoziato triangolare che porta, appunto, alla stipulazione del suddetto.
Questo ha lo scopo di realizzare una disciplina di razionalizzazione delle relazioni industriali ed un nuovo e più razionale assetto della struttura contrattuale in quanto l’Italia vive un periodo particolare: è in procinto di entrare nell’Europa e di conseguenza le viene richiesto di adeguarsi agli standard europei e di contrastare il graduale peggioramento delle condizioni economiche.
Il Protocollo prevede due livelli di contrattazione: uno, il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria della durata di quattro anni per quello relativo alla parte normativa, biennale per la parte retributiva affidata in modo specifico alla contrattazione decentrata
; il secondo livello territoriale o aziendale dove il periodo di durata e l’ambito di competenza vengono decisi dal contratto collettivo
nazionale di lavoro avendo riguardo “al principio di autonomia dei cicli negoziali, le materie e le voci nelle quali essa si articola”.
Carattere saliente del protocollo è quello di aver affidato la disciplina della retribuzione al contratto di secondo livello: riconoscendogli in via esclusiva di determinare i c.d. premi di risultato.
Inoltre è previsto che nel periodo di vigenza del contratto di secondo livello vengano svolte procedure di informazione, consultazione verifica e contrattazione per la gestione degli effetti sociali connessi alla trasformazione aziendale come le innovazioni tecnologiche, organizzative ed i processi di ristrutturazione.
Il Protocollo individua come area di interesse del contratto di secondo livello “le materie e istituti diversi e non ripetitivi rispetto a quelli retributivi propri del contratto nazionale di categoria.” (C.d. clausola di non ripetitività).
Inoltre il Protocollo definisce in modo puntuale il procedimento circa il rinnovo dei contratti collettivi prevedendo che nei tre mesi antecedenti e per il mese successivo alla scadenza, le parti non possano assumere iniziative unilaterali né procedere ad azioni dirette determinando quindi un periodo durante il quale deve essere garantito il raffreddamento del conflitto collettivo, eliminando la possibilità di indire scioperi; la violazione di questo periodo di tregua comporta l’anticipazione o lo slittamento di tre mesi del termine a partire dal quale decorre l’indennità di vacanza contrattuale.
Si prevede che sia il contratto collettivo nazionale a determinare e gestire tutti i rapporti di lavoro delegando al contratto di categoria, con specifici rinvii, determinate materie.
Il coordinamento della struttura contrattuale è però affidato ad ulteriori due clausole: una che riserva ai sindacati stipulanti il contratto di categoria un terzo dei componenti della rappresentanze sindacali unitarie, la seconda che riconosce la legittimazione a contrarre a livello aziendale congiuntamente alle rappresentanze sindacali unitarie e alle strutture territoriali dei sindacati stipulanti il contratto collettivo nazionale.
Cosa realizza il Protocollo?
Sicuramente uno dei più grandi tentativi di dare un quadro generale di regole apprezzabilmente certe e condivise, in quanto fissa le caratteristiche principali del modello di struttura contrattuale prevedendo che il contratto di categoria venga rafforzato soprattutto per la funzione che svolge sia in materia di retribuzione sia nella definizione delle competenze della contrattazione decentrata, e per quanto riguarda il contratto di secondo livello esso ricopre il ruolo di integrare e applicare il contratto collettivo nazionale di lavoro aggiungendo funzioni specializzate e largamente autonome. Andando quindi a creare un rapporto di gerarchia- funzionalità tra primo e secondo livello di contrattazione.22
Ma il suo limite più grande è lo strumento che viene utilizzato (un semplice contratto di diritto privato che pone le conseguenze solo sul piano dei rapporti interni alle associazioni) per attingerne gli scopi.
22 X. XXXXXX, Op. Cit. pag. 165 e ss.
Infatti mutando il quadro politico-sindacale anche il protocollo non ha più prodotto i frutti che stava maturando.23 Soprattutto perché non vi è stato un grande utilizzo del sistema creato da parte della contrattazione decentrata, vuoi per motivi di debolezza sindacale, vuoi dal fatto che il titolo III dello Statuto dei Lavoratori non si applica alle imprese di piccole dimensioni. Andando quindi a determinare una centralizzazione di fatto del sistema contrattuale e una crescita delle retribuzioni inferiore rispetto alla produttività.24
Così il Protocollo del 1993 si inserisce in un periodo che vede la necessità di un intervento nella riorganizzazione organica e funzionale del contratto collettivo specie per quanto riguarda i livelli di contrattazione poiché nel periodo precedente al Protocollo la situazione italiana della contrattazione collettiva era prevalentemente centralizzata, con l’avvento degli anni ‘90 si è sentita la necessità di rafforzare la concertazione fra le principali forze del sistema economico-politico, per stabilire regole nei rapporti tra livelli contrattuali per perseguire una più efficace politica dei redditi attraverso un contenimento dell’inflazione.
Il protocollo dà il via alla decentralizzazione che è per noi il tema principale di questa ricerca e che verrà analizzato in modo più ampio e completo nel capitolo sul caso Fiat.25
23 X. Xxxxxxxx, Op. Cit. pag. 151 e 152
24 X. XXXXXX, Op. Cit. pag. 167 e 168
25 X. XXXXXXX, in Contrattazione in deroga, X. Xxxxxxx (a cura di) pag. 105 e 106, IPSOA 2012
3.2. Referendum 1995 sull’art. 19 l. 300/1970: come incide sulle rappresentanze sindacali aziendali.
Le modalità di rappresentanza hanno subito, anch’esse, grandi cambiamenti poiché come abbiamo già sottolineato più volte il diritto sindacale in genere è una materia facilmente modificabile in base alle situazioni socio-politiche ed economiche.
Il motivo basilare della modifica della rappresentatività è legato principalmente al mutamento dell’unità sindacale.
Come già riportato sopra il mondo del diritto sindacale si apre con una forte unità nazionale che inizia a vacillare.
E’, infatti, a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70 che nascono forme di rappresentanza di radice assembleare che vanno ad aprire un delicato conflitto con le tre grandi confederazioni. A questo punto il sindacato cerca di instaurare un dialogo con i delegati giungendo a riconoscere, con il patto federativo del 3 luglio 1972, i “consigli di fabbrica come istanza sindacale di base con poteri di contrattazione sul posto di lavoro”. Si realizza così una sovrapposizione tra lo schema legale delle rappresentanze sindacali aziendale di cui all’art.
19 Stat. Lav. e gli organismi di eterogenea derivazione nati nell’autunno caldo.
“L’azienda- o la sua articolazione “unità produttiva” - colta nella dimensione spaziale-organizzativa, sarà vista e vissuta come sede di una fisiologica dialettica fra potere datoriale, da un lato, e
controparte sindacale e potere giudiziario, dall’altro. Da qui il diritto del lavoro ne uscirà cambiato”. 26
La rappresentanza sindacale aziendale svolge un ruolo di intermediario tra lavoratori e sindacati tra pluralismo e unitarietà. Il nuovo assetto di rappresentanza nelle fabbriche viene riconosciuto e disciplinato all’interno dello statuto dei lavorati, che come sappiamo è l’atto attraverso il quale lo Stato italiano riconosce diritti e doveri in capo al lavoratore, promulgato con l. 330/1970.
L’articolo che si occupa di ciò è il 19:
<<Costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali.
Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell'ambito:
a) (...) (1);
b) delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell'unità produttiva (2)
Nell'ambito di aziende con più unità produttive le rappresentanze sindacali possono istituire organi di coordinamento.
(1) La lettera che recitava: "a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale;" è stata abrogata dall'art. 1, D.P.R. 28 luglio 1995, n. 312.
(2) Lettera così modificata dall'art. 1, D.P.R. 28 luglio 1995, n. 312.>>
26 X. Xxxxxxx, Diritto privato e diritto del lavoro, in articolo X. XXXXXXXX, Il contratto COLLETTIVO aziendale: soggetti ed efficacia, pag. 13
Secondo la dottrina tale articolo segue una linea promozionale e riveste il ruolo di norma-chiave della legislazione promozionale, espressione di una politica di intervento dello Stato nei rapporti sindacali finalizzata non tanto a regolare l’attività sindacale, ma a garantire un sostegno legislativo alla stessa.27
La previsione, però, di un doppio canale di selezione degli agenti sindacali a) più b) genera subito del malcontento in quanto viene letto come ostativo alla creazione libera di associazioni sindacali e quindi in diretto contrasto con l’art. 39, 1 comma Cost.
La giustificazione addotta per liberare l’art. 19 dalle ombre di incostituzionalità è quella di interpretarlo come se definisse un criterio accertativo dei presupposti conseguibili da ogni organizzazione sindacale al solo fine di accedere ai diritti previsti dal titolo III dello statuto, e con la Sent. n. 54 del 6 marzo 197428, permette di evitare la proliferazione incontrollata di organismi sindacali di scarsa e di dubbia rappresentatività mediante criteri selettivi razionali ed oggettivi, ossia idonei a fotografare l’effettiva capacità rappresentativa dei soggetti collettivi, e ad assicurare solo ad essi i diritti aggiunti previsti dal titolo III dello statuto.
I problemi maggiori riguardano la definizione di “sindacato maggiormente rappresentativo”.
27 GIUGNI-CURZIO, in Commentario Giugni pag. 303 e 304; XXXXXXX, Lo statuto dei lavoratori dopo le lotte operaie del 1969, pag. 70-75
28 In Foro Italiano, 1974, I, 963
Inizialmente viene individuato come aggettivo riferibile alle sole confederazioni storiche, ma essendo troppo restrittivo si enuclea in dottrina e in giurisprudenza una definizione più amplia: la maggiore rappresentatività viene individuata alla stregua di una formula di sintesi. Così da indicare un sufficiente livello di rappresentatività idoneo ad accedere ai diritti e alle prerogative previste dal titolo III dello Statuto, con l’ulteriore conseguenza che anche soggetti collettivi privi del requisito posto dalla norma avrebbero potuto, nel loro sviluppo, conseguire questo stesso livello di rappresentatività.
La giurisprudenza ha individuato degli indici rivelatori della maggiore rappresentatività quali: l’adeguata ed omogenea estensione sia in senso territoriale che settoriale dell’organizzazione sindacale; il numero degli iscritti; la prova di un’attività di autotutela condotta con continuità; sistematicità ed equilibrata diffusione verticale ed orizzontale consistente in particolare nella sottoscrizione di contratti collettivi.
E’ stato dunque attribuito alla maggiore rappresentatività un ruolo centrale e fondativo del sistema attorno al quale ruotano sia la definizione del sindacato come soggetto anche politico, sia l’equiparazione del contratto collettivo alla legge poiché si ritiene che dal concetto di maggiore rappresentatività, intesa come idoneità a rappresentare globalmente la base, possa farsi derivare una sorta di “presunzione generale di rappresentanza”29. Teoria questa che sottostà a critiche.30
29 M. DELL’OLIO, L’organizzazione sindacale e l’azione sindacale, CEDAM- PADOVA 1980 pag. 172 e ss., in X. XXXXXXXX, articolo citato.
30 E precisamente due tipi di critiche:
Si giunge quindi ad un periodo di pace, dove la formula di maggiore rappresentatività viene per così dire accettata e giustificata e dove le organizzazioni sindacali aderiscono alla creazione di rappresentanze sindacali aziendali.
Con gli anni ‘80 si interrompe questo periodo di pace in quanto entra in crisi il criterio della rappresentatività e urge quindi un ritocco del sistema.31
Si arriva al referendum dell’11 giugno 1995.
Viene richiesto agli italiani di rispondere al quesito abrogativo dell’intera lettera a) e all’eliminazione delle parole “non affiliate alle predette confederazioni” e “nazionali o provinciali” della lettera b) dell’articolo 19 Stat. Lav.
Il risultato è un “sì” deciso per l’amputazione di questa norma che sempre è stata ritenuta poco conforme a Costituzione.
La norma non viene cancellata dal mondo del diritto creando un vuoto normativo impossibile da realizzare attraverso referendum, ma permette di dare valore all’ effettività dell’azione sindacale.
- di ordine sostanzialistico che riguarda la non proporzionalità logico-giuridica esistente tra la nozione di rappresentatività ed il problema degli effetti del contratto collettivo e della loro destinazione soggettiva
- di ordine formalistico in quanto poggia sull’argomento della eterogeneità ed asistematicità dell’intervento legislativo.
Tali da non ammettere la possibilità di giustificare l’attribuzione di efficacia erga omnes dall’indice dato dalla maggiore rappresentatività.
31 Nonostante questo periodo di crisi vi è comunque una grande difesa della rappresentanza storica soprattutto da parte della Corte costituzionale, basti prendere in considerazione la Sent. 334 del 1988, ma già dal 1990 i giudici costituzionali iniziano a rimarcare come, a causa delle obiettive trasformazioni del sistema produttivo e della conseguente diversificazione degli interessi, restando legittimo l’art.19, stia comunque andando attenuandosi l’idoneità del modello disegnato dallo stesso articolo.
Eliminato il criterio della maggiore rappresentatività, mette in risalto l’unico criterio a cui potersi riferire: la “sottoscrizione da parte delle associazioni sindacali di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva”. Ma non basta, è necessario che il contratto sottoscritto sia effettivamente applicato all’interno della unità produttiva. Inoltre il sindacato deve prendere parte a tutti i negoziati precedenti alla stipula del contratto per ottenere la qualifica di controparte contrattuale.
Il presupposto su cui si fonda la proposta referendaria di abrogazione della lettera a) dell’articolo 19 è costituito dalla critica al modello fondato sul criterio della maggiore rappresentatività confederale. Questo perché non idoneo a fronteggiare i rischi derivanti sia dall’autoreferenzialità propria del riferimento alla maggiore rappresentatività confederale priva di strumenti efficaci di verifica, sia dalla c.d. rappresentatività irradiata per cui è sufficiente ad una organizzazione sindacale aderire ad una confederazione maggiormente rappresentativa sul piano nazionale per avere automaticamente diritto alla titolarità dei diritti di organizzazione nei luoghi di lavoro. 32
Il punto dolente dell’articolo 19 sembra tutt’oggi consistere nelle potenzialità distorsive della norma nei confronti di associazioni
32 SCARPONI, La rappresentatività sindacale nel settore pubblico e nel settore privato fra autonomia e convergenze, in Riv. Giur. Lav. Prev. Soc., v. 2000, n. 3, pag.4
realmente rappresentative ma dissenzienti e dunque non firmatarie di una data ipotesi contrattuale33.
3.3. Un nuovo modello di rappresentanza: Le rappresentanze sindacali unitarie.
Prima del referendum abrogativo del 1995 si affaccia sul mondo del diritto sindacale un’altra tipologia di rappresentanza, le rappresentanze sindacali unitarie, c.d. r.s.u.
Sorte grazie al protocollo del 1993 come alternativa alle rappresentanze sindacali aziendali.
Le rappresentanze sindacali unitarie sono un modello di rappresentanza elettivo ed unitario alternativo a quello previsto dall’art. 19 Stat. Lav.
Si prevede che la scelta tra le due tipologie di rappresentanza sia libera ma, che una volta scelta una delle due, non sia possibile per il sindacato poter costituire l’altra.
Le rappresentanze sindacali unitarie possono essere costituite liberamente dalle organizzazioni sindacali che siano firmatarie del protocollo del 1993; che abbiano sottoscritto il contratto collettivo di lavoro applicato all’unità produttiva; che siano in grado di raccogliere l’adesione alla propria lista di un numero di lavoratori
33 Il dibattito non si è ancora concluso, ma anzi risulta essere un punto ancora oggi caldo. Basti vedere la Sentenza n.231 del 2013 per accorgersi dell’importanza che tale problema riveste nel mondo del diritto del lavoro.
pari almeno al 5% degli aventi diritto al voto e purché accetti espressamente la regolamentazione della stessa ivi compreso il regolamento elettorale previsto dall’Accordo interconfederale del 1993.
Il punto 5 dell’accordo interconfederale del 1993 individua i poteri e le funzioni delle rappresentanze sindacali unitarie.34
Il punto 7 prevede che le rappresentanze sindacali unitarie si adeguino “ai criteri previsti da intese definite dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori stipulanti il presente accordo”.
La complicata disciplina di elezione e della sua legittimazione spuria: in parte elettiva( due terzi) e in parte associativa( il terzo riservato), ha fatto sì che non venga sovvertita la natura sindacale della rappresentanza, trattandosi pur sempre di “organi sindacali aziendali rappresentativi della generalità dei lavoratori a carattere prevalentemente elettivo”35 dando luogo, sostanzialmente ad una manutenzione straordinaria dei principi che reggono la rappresentanza associativa nei luoghi di lavoro36.
Il modello della rappresentanza sindacale unitarie è sicuramente il più democratico, soprattutto oggi, data la eliminazione della previsione del terzo riservato.
Le caratteristiche sopraelencate vengono poi riprese dagli accordi successivi quali quello del 1998 e del 2009.
34 Punto 5: “le r.s.u. subentrano alle r.s.a. e ai loro dirigenti nella titolarità dei poteri e nell’esercizio delle funzioni ad essi spettanti per effetto di disposizioni di legge”.
35 X. XXXXXXX, in R. G. Lav.1995, I, pag. 221 e ss.
36 FONTANA, Profili della rappresentanza sindacale. Quale modello di democrazia per il sindacato? Giappichelli Editore, 2004
Ma perché è necessario cambiare e prevedere una rappresentanza alternativa rispetto a quella data dalle rappresentanza sindacale aziendale?
Ce lo dice brevemente la giurisprudenza costituzionale.
Essa ha sempre sollecitato più volte le parti sociali all’ “apprestamento di nuove regole ispirate alla valorizzazione dell’effettivo consenso come metro di democrazia anche nell’ambito dei rapporti tra lavoratori e sindacato, ormai necessario per garantire una più piena attuazione, in materia dei principi costituzionali”37 e perché si ricerca una investitura dal basso che permetterebbe di confermare e di rafforzare la rappresentatività.
In conclusione riporto un passaggio di Xxxxxxx X’Xxxxxx secondo cui “le disposizioni dell’articolo 39 Cost. sul riconoscimento giuridico dei sindacati, sull’esercizio unitario della rappresentanza contrattuale e sulla formazione della volontà collettiva ai fini della sottoscrizione dei contratti collettivi riflettono principi costituzionali di organizzazione del pluralismo sociale.38” Principi che “esprimono, infatti, al di là della loro inerenza al modello costituzionale, scelte di valore della Costituzione, dalle quali il legislatore non si può discostare quando opera sul terreno della seconda parte dell’art. 39 e, sia pure allo scopo di realizzare meccanismi alternativi al disposto costituzionale, influenza il funzionamento del pluralismo sindacale”.
37 Cfr. Co. Cost. 6 marzo 1974 n. 54 in Mass. Giur. Lav. 1974, 3; Co. Cost. 24 marzo 1988, n. 334 in Foro It. 1988, I, 1774 e infine Co. Cost. 26 gennaio 1990,
n. 30 in Mass. Giur. Lav. 1990, I, in Le rappresentanze sindacali unitarie, struttura e funzioni di X. XXXXXXX, X. Giappichelli editore Torino 2012
38 M. D’ANTONA, Il quarto comma dell’articolo 39 della costituzione, oggi in A. XXXXXXXX (a cura di) Nuove regole per la rappresentanza sindacale, Roma 2010, pag. 46
E più avanti aggiunge che “è essenziale, nella prospettiva dei rapporti tra i sindacati, il criterio proporzionalistico”, in forza de quale i sindacati “debbono contare in proporzione al loro seguito effettivo e, dunque, secondo la regola della maggioranza”, con l’ulteriore avvertenza che, “in presenza di procedure elettorali aperte ai non iscritti (come accade per le r.s.u.), ai fini della proporzione si dovrà tenere conto anche del consenso espresso dai non iscritti attraverso il voto”.
Il problema della rappresentatività non è però un problema risolto, anzi risulta essere ancora oggi uno degli aspetti più complessi e complicati del diritto sindacale. Tratteremo l’argomento ancora nel capitolo riguardante l’articolo 8 della l. 148/2011 poiché essa ha influito molto sulla rappresentatività, specificatamente al comma 1.
3.4. La crisi economica: lo spostamento del baricentro della produzione normativa al livello del micro ordinamento giuridico d’impresa.
Come detto, il diritto del lavoro è una materia fortemente legata alle mutazioni di ordine socio politico dell’ordinamento italiano necessitanti una maggiore disamina al fine di comprendere al meglio i cambiamenti del sistema.
Consideriamo, in primis, il fenomeno della globalizzazione che determina uno spostamento del riferimento dalla comunità
tradizionale (impresa nazionale) ad una comunità internazionale (impresa transnazionale) facendo sì che si produca un arretramento degli standard di protezione sociale previsti dagli Stati nazionali a seguito della libertà di movimento delle imprese.
Tutto ciò crea il fenomeno della delegificazione: un indebolimento della funzione propria della legge come normativa generale parallelo al depauperamento dell’interesse pubblico e del ruolo dello stato nazionale; che viene sostituita dal contratto, particolare mutevole concreto e privato.
Il passaggio è dunque rivoluzionario per i rapporti sociali: la Legge è strumento di coesione sociale, invece la libertà contrattuale non sortisce alcun effetto di aggregazione sociale.
Il sistema delle fonti entra dunque in crisi.
Questa “neo-contrattualizzazione” del diritto contemporaneo rievoca caratteri del diritto pre-moderno (diritto pattizio) in quanto capovolge la gerarchia delle fonti e di conseguenza la gerarchia dei soggetti produttori di norme giuridiche.
E’ questa la questione teorica e dogmatica che la globalizzazione impone alle scienze sociali e al diritto del lavoro dove “la neutralizzazione del pubblico è uno degli effetti della inversione di marcia della tarda modernità che privatizza il ruolo pubblico e conferisce spessore pubblico regolativo al privato e all’infinita capacità normativa dei soggetti che contrattano. Con l’auto-
normazione raggiunta dai soggetti privati viene soppiantata l’etero regolazione affidata allo spazio pubblico”.39
Inoltre si inseriscono in questo periodo gli Accordi separati del 2009 che hanno inaugurato la prassi della esclusione di quei sindacati che non hanno adottato una politica non rivendicativa ed ostruzionistica.
La mancata sottoscrizione degli stessi da parte della Cgil ha sancito la caduta della Grundnorm dell’ordinamento intersindacale che come da sempre Xxxxxx definisce: “fondato sul reciproco riconoscimento come agenti negoziali delle organizzazioni sindacali rappresentative dei contrapposti interessi”.
3.5. Il caso Fiat: Mirafiori e Pomigliano. Come modificano le modalità e il mondo della contrattazione aziendale: un modello decentralizzato di assetto delle relazioni industriali incentrato sul modello del competitive federalism.
L’accordo Fiat assume valore emblematico fino ad assurgere ad archetipo o epifania di nuove relazioni industriali.
39 X. XXXXXXXX, Filosofia del diritto di proprietà, vol. II X. XXXXXX, Milano 2009, pag. 672.
Esso ha un valore esemplare che trascende il piano politico-sindacale e investe il sistema delle relazioni industriali italiano evocando un mutamento del paradigma fondativo del diritto del lavoro.
Il modello decentralizzato di assetto delle relazioni industriali che dà il via al caso Fiat è ispirato al modello del competitive federalism grazie al quale si può ottenere “maggiore flessibilità e capacità di adattamento del sistema giuridico a nuove necessità” maggiore capacità “di soddisfazione simultanea di più preferenze, di opportunità di limitare gli effetti negativi di errori regolativi centralistici, nonché di scoperta e di sperimentazione di nuovi strumenti regolativi”.40
Per comprendere meglio la vicenda è bene tener presente la situazione socio economica del momento.
Siamo in pieno periodo di crisi, che come sopra detto, vede una forte centralizzazione della contrattazione aziendale, soprattutto di quella aziende che senza eccessivi costi sono in grado di allocare capitali e impianti nei punti di massima convenienza sullo scenario mondiale. Inoltre abbiamo la pressione della globalizzazione che tende a delocalizzare ed esternalizzare la produzione.41
L’azienda Fiat in questo periodo va controcorrente prevedendo la protezione della delocalizzazione con poderosi investimenti, accentrando la produzione a livello nazionale, offrendo opportunità
40 X. XXXXXXXX, La concorrenza tre ordinamenti nella prospettiva dell’analisi economica del diritto, in A. ZOPPINI (a cura di) La concorrenza tra ordinamenti giuridici, La Terza Roma-Bari 2004 pag. 202
41 Cfr. paragrafo 3.4
di maggiore xxxxxxxx e riportando nello stabilimento produzioni prima appaltate a terzi.
In cambio di ciò l’azienda richiede l’intensificazione, la regolarizzazione e la prevedibilità delle prestazioni lavorative con un innalzamento della produttività del fattore lavoro, mediante la saturazione dell’utilizzo degli impianti.
Il nuovo modello di organizzazione viene descritto puntualmente da
M. Brollo, che individua nell’agire dell’azienda Fiat l’obiettivo di ricomprendere due aspetti innovativi dei modelli globalizzati di modalità di produzione: il Word class Manufacturing, di derivazione giapponese, mirato a debellare gli sprechi aziendali, e il metodo Ergo UAS che migliora gli aspetti ergonomici della prestazione prevedendo dei tempi di gestione rigorosi, cioè il metodo lavorativo deve essere “capitalisticamente profittevole”.
Si prevedono inoltre delle clausole, apposte al contratto collettivo nazionale, volte a scoraggiare l’interruzione fraudolenta della produzione, come l’assenteismo fisiologico, e per realizzare l’intensificazione della produzione. Ma per l’effettività di tali clausole è necessario superare alcuni principi del diritto sindacale, primo tra tutti l’inderogabilità in peius al contratto collettivo nazionale da parte di clausole del contratto aziendale e la loro opponibilità agli iscritti al sindacato, ma soprattutto ai non iscritti.
Come fare per rendere efficaci tali clausole?
E’ andata sviluppandosi una possibilità nata dall’idea della stessa Fiat, dissociatasi in Federmeccanica e Confindustria, secondo cui, una volta scaduto nel 2012 il contratto collettivo nazionale di lavoro
applicato in azienda, le clausole dell’accordo di Pomigliano non sarebbero più derogatorie.
Nel mentre viene accettato il percorso previsto dall’accordo quadro del 22 gennaio 2009 e del successivo per il settore industriale del 15 aprile 2009. In tale prospettiva si è dunque giunti alla stipula di un accordo in data 29 settembre 2010 tra Federmeccanica, Fim , Uilm, Ugl e Fismic, che inserisce l’articolo 4-bis all’accordo del 2009 che delinea le situazioni in presenza delle quali si può addivenire, anche in via temporanea, a intese modificative di uno o più istituti disciplinati dal contratto collettivo nazionale di lavoro “al fine di favorire lo sviluppo economico ed occupazionale mediante la creazione di condizioni utili a nuovi investimenti ovvero per contenere gli effetti economici e occupazionali derivanti da situazioni di crisi aziendale individua inoltre la legittimazione derogatoria al livello aziendali assistito dalle strutture territoriali; individua le materie sottratte alle intese modificative del contratto collettivo nazionale di lavoro “minimi tabellari, aumenti periodici di anzianità, elemento perequativo oltre ai diritti individuali derivanti da norme inderogabili di legge”; vincola le intese modificative alla formale indicazione degli obiettivi che si intendono conseguire, della durata; degli articoli del contratto collettivo nazionale di lavoro oggetto di modifica; porta le pattuizioni a garanzia dell’esigibilità dell’accordo in deroga con provvedimento di entrambe le parti.” Previsione, quest’ultima, che evidenzia come la materia sensibile sia quella della effettività della contrattazione in deroga che è diretta conseguenza della soluzione del problema a monte, che è quello dell’ambito di efficacia da riconoscersi alla contrattazione collettiva
in deroga; e ciò, tanto con riguardo ai rapporti tra i contratti di differenti livelli, quanto all’efficacia c.d. “soggettiva”.
In questo modo le deroghe saranno subito efficaci e non dovranno attendere, per essere effettive, che il contratto collettivo nazionale di lavoro termini nel 2012, inoltre i lavoratori non potranno invocare clausole più favorevoli alla loro posizione di quelle previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro.
Tale meccanismo complesso e articolato è il segnale che in Italia occorrerebbe una decentralizzazione dei rapporti sindacali, poiché l’azienda è maggiormente capace di rispondere ai problemi singoli e individuali, molto più di una contrattazione centralizzata che non conosce le peculiarità di ogni singola azienda o territorio.
Il problema che si concretizza è quello dell’iniquità di trattamento che si prospetta nei confronti dei lavoratori non iscritti alla Fiom ai quali si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro e quelli invece iscritti, ai quali il contratto collettivo nazionale di lavoro non si applica, restando operativo quello del 2008.
E’ stato dunque necessario prevedere il disinnesco del contratto collettivo nazionale di lavoro del 2008: la Federmeccanica recede il 22 settembre 2012 da quel contratto in cui, operando la ultrattività, il contratto collettivo nazionale di lavoro diviene a tempo indeterminato e come tale risolvibile unilateralmente.
Dal 1 gennaio 2012 le clausole dell’accordo di Pomigliano non saranno più derogatorie di un contratto collettivo nazionale di lavoro operante per gli iscritti alla Fiom, ma costituirà l’unica disciplina collettiva cui questi potranno eventualmente fare riferimento.
Vengono inserite due clausole molto discusse; punti 14 e 15:
a) Clausola numero 14: c.d. “di responsabilità” che introduce una sorta di tregua sindacale “relativa” con sanzione circa gli impegni di continuità e modalità di lavoro sanciti nell’accordo.
b) La seconda parte della clausola numero 14 in cui si penalizzano le organizzazioni sindacali o le r.s.u. per comportamenti assunti dai singoli lavoratori idonei a “rendere inesigibili i diritti o l’esercizio dei poteri riconosciuti (dall’accordo) all’azienda” così da “far venire meno l’interesse aziendale alla permanenza dello scambio contrattuale”
Nella prima si impone un obbligo direttamente alle organizzazioni sindacali, nel secondo invece di riflesso alle stesse essendo i lavoratori i soggetti obbligati a tenere determinati comportamenti non ostativi alla realizzazione delle clausole contrattuali.
c) Clausola numero 15: la violazione da parte del singolo di una delle clausole dell’intesa costituisce infrazione disciplinare sanzionabile ai sensi dell’articolo 7 Statuto lavoratori42 e del codice disciplinare contrattualmente convenuto.
d) Il problema che comunque rimane è quello di poter rendere effettive tali clausole proprio a quei sindacati maggiormente ostruzionistici quale è proprio la Fiom. Ma grazie al recesso di Federmeccanica non
42 Cfr. nota numero 13 per testo articolo 17 Stat. Lav.
sarà più possibile per la Fiom poter ricorrere al contratto collettivo del 2008.
Altro tema importante che si determina soprattutto dal punto d) sopracitato è il problema del dissenso che promana soprattutto dalla contrattazione ablativa.43
Dottrina e giurisprudenza si sono interrogate circa l’efficacia soggettiva del contratto aziendale di Pomigliano e della contrattazione in deroga in generale: questo accordo, dicono, come del resto gli altri accordi ablativi, non potrebbe essere esteso a lavoratori esplicitamente dissenzienti in ragione del connotato privatistico dell’autonomia collettiva, con riferimento quindi alla teoria del mandato e della rappresentanza negoziale.
Da qui l’opzione, per Pomigliano, di percorrere un iter che permetta di recuperare un ordinamento intersindacale riferito alle sole parti sociali che si danno reciproco riconoscimento e che quindi producono le fonti regolative; ma anche la necessità di verificare in concreto se l’indivisibilità del modulo organizzativo e dell’interesse collettivo ad esso riferibile corrisponda o meno ad un intervento
43 Si definisce contratto ablativo o gestionale quel contratto che non detta regole sui rapporti di lavoro, ma affronta un problema di gestione aziendale. E’ il risultato frequente di clausole contrattuali che obbligano l’imprenditore a dare alle rappresentanze dei lavoratori informazione preventiva su alcune decisioni gestionali che intende assumere a seguito della quale, le rappresentanze, possono richiedere un incontro con il datore di lavoro per poter esaminare il problema. Questo tipo di contratto non fanno assumere in capo ai lavoratori dei benefici, ma dei sacrifici anche, talvolta, in deroga agli standard stabiliti dalla legge o da altri contratti collettivi. Quindi un contratto gestionale si definisce come ablativo in quanto determina una tipologia di contrattazione difensiva e diminutiva delle tutele concesse ai lavoratori.
modificativo delle condizioni di lavoro che rientri nella disponibilità del potere organizzativo dell’imprenditore.
La vicenda Fiat riveste un ruolo fondamentale nello sviluppo del diritto sindacale in quanto sono stati portati alla luce i problemi che investono il diritto stesso.
Si instaura una “lotta” tra il mantenimento dei diritti dei lavoratori, irrinunciabili e inviolabili, sanciti dallo Statuto dei lavoratori e il diritto dell’imprenditore a non vedere intaccato il proprio lavoro da comportamenti ostruzionistici.
E’ impensabile poter chiedere al lavoratore una rinuncia tout court dei propri diritti, ma è altrettanto impensabile poter chiedere solo all’imprenditore di assumersi tutto il rischio derivante dall’investimento in una attività.
Ciò che sembra essere necessario è un punto di incontro tra le due vedute e, soprattutto in un periodo di crisi, un avvicinamento tra le due posizioni. Questo è ciò che il diritto del lavoro si trova ora ad affrontare in conseguenza del caso Fiat, cercando di dare risposta al problema.
Proprio l’accordo di Pomigliano, rivendicando un’ampia autonomia rispetto ai livelli superiori, collocandosi in un sistema contrattuale largamente caratterizzato dall’autonomia dei diversi soggetti che lo abitano; avvalora l’idea della necessaria decentralizzazione.
L’accordo di Pomigliano costituisce uno shock essenzialmente sul piano politico delle relazioni collettive in quanto espressione della forte volontà dei soggetti aziendali di perseguire scelte in autonomia, sfidando, nel contesto dell’economia globalizzata, le incertezze, alla
ricerca di nuovi difficili compromessi, a stregua di ragionevolezza sociale, tra i contrastanti valori in gioco (competitività e tutela del lavoro) pur in condizioni e a costo di conflitti endosindacali, eventualmente ricorrendo al misuratore di rappresentatività offerto dal delicato strumento del referendum. 44
3.6.Accordo Interconfederale 2011: novità introdotte, continuità e differenze con gli accordi precedenti.
Successivamente alla vicenda Fiat il diritto sindacale subisce un forte cambiamento che sfocia con la stipulazione dell’Accordo interconfederale del 2011.
L’Accordo in esame propone di realizzare un sistema di rapporti più coerente con il modello sociale europeo improntato all’aiuto delle imprese in crisi, agevolandone la crescita e lo sviluppo dell’occupazione. L’aspetto più innovativo è comunque individuato nella introduzione pattizia di un meccanismo di misurazione certificata della rappresentanza sindacale prodromica alla stipulazione di accordi validi e vincolanti sia a livello nazionale che decentrato.
Si cerca di superare il criterio della maggiore rappresentatività prevedendo che tale rappresentatività possa essere riconosciuta a
44P. TOSI, Uno sguardo d’assieme, pag. 24, in X. XXXXXXX (a cura di) Xx Xxxxxxxxxx a Mirafiori: la cronaca si fa storia, Leggi e Lavoro IPSOA 2010
tutte quelle organizzazioni sindacali che vantino una percentuale non inferiore al 5%, considerando a tal fine la media tra il dato associativo (iscrizioni certificate) ed il dato elettorale (percentuale dei voti ottenuti sui voti espressi) nelle elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie, determinando una legittimazione a contrarre non più derivante dal principio di effettività (il reciproco riconoscimento), ma condizionato al possesso di un dato oggettivo che è appunto la media tra dato associativo ed elettorale.
La certificazione del dato associativo, stante a ciò che viene scritto nel testo dell’Accordo, avviene tramite una apposita sezione nelle dichiarazione aziendali destinate all’INPS da predisporsi con specifica convenzione tra l’Istituto e le parti stipulanti; la ponderazione con i consensi ottenuti nelle elezioni periodiche delle rappresentanze sindacali unitarie dovrà essere effettuata sulla base dei dati trasmessi dalle confederazioni al CNEL.
Tali modalità erano già state pattuite da Cgil, Cisl, Uil in una intesa dell’8 maggio 2008.
La vera novità introdotta risulta il definitivo superamento dei vecchi schemi della rappresentatività presunta per accogliere una rappresentatività certificata, con lo scopo di realizzare un sistema di relazioni contrattuali non più basato sui rapporti di forza, ma funzionale a rafforzare forme rinnovate di democrazia sindacale.
La legittimazione a contrarre sottostà unicamente alla manifestazione di volontà degli stessi interessati alla contrattazione.
La struttura della contrattazione tende a dare preminenza alla contrattazione di livello nazionale “con la funzione di garantire la
certezza di trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori…ovunque impegnati nel territorio” (punto2), valorizzando al tempo stesso la contrattazione decentrata anche di livello aziendale, la quale “si esercita per le materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto collettivo nazionale” (punto3).
Con l’Accordo Interconfederale del 2011, successivo alle vicende Fiat, inizia il processo di decentramento contrattuale, che, con la previsione del punto 7 offre piena legittimazione ad eventuali pattuizioni modificative dei contenuti dei contratti nazionali.
Risulta impossibile negare “l‘emersione di una più generale tendenza verso l’attribuzione di maggiori competenze riferibili alla contrattazione decentrata con uno spostamento del baricentro regolativo che riconosce più ampie funzioni, anche derogatorie, non solo sulle materie delegate, ma anche su istituti e contenuti di pertinenza esclusiva della contrattazione nazionale.” 45
L’Accordo stabilisce, inoltre che, in quanto contratti aziendali essi “per le parti economiche e normative sono efficaci per tutto il personale in forza e vincolano tutte le associazioni sindacali, espressioni delle confederazioni sindacali firmatarie del presente accordo interconfederale, operanti all’interno dell’azienda se approvati dalla maggioranza dei componenti delle r.s.u. elette secondo le regole interconfederali vigenti” (punto 4).
Per quanto riguarda le rappresentanze sindacale aziendali esplicano pari efficacia solo se approvati “dalle r.s.a. costituite nell’ambito
45 X. XXXXXXX, in Contrattazione in deroga, di X. XXXXXXX (a cura di) Xxxxx e Lavoro IPSOA 2012, pag. 116
delle associazioni sindacali che, singolarmente o insieme ad altre, risultino destinatarie della maggioranza delle deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai lavoratori dell’azienda nell’anno precedente a quello in cui avviene la stipulazione, rilevati e comunicati direttamente all’azienda” (punto 5).
Quali sono le differenze che l’accordo del 2011 inserisce? Vediamolo in paragone con quello del 2009:
a) Innanzitutto la prima distinzione rilevata riguarda il sistema di misurazione della rappresentatività sindacale, come sopra meglio specificato, determinando un passaggio da una maggiore rappresentatività presunta ad una per così dire certificata.
b) L’Accordo del 2011 a differenza di quello del 2009 riconosce l’efficacia generale dei contratti aziendali. E’ una efficacia limitata alle organizzazione sindacali firmatarie del suddetto accordo essendo un atto di autonomia privata.
c) Altra differenza è la possibilità data al 30% dei lavoratori dell’azienda di poter indire un referendum riguardo alla sottoscrizione del contratto. Referendum che permette di dare voce anche ad organizzazioni spontanee di lavoratori non necessariamente iscritti ad una organizzazione sindacale firmataria.
d) La quarta novità, e quindi differenza rispetto alla vecchia disciplina, sta nella previsione delle deleghe da parte della legge e del contratto nazionale al contratto aziendale distinte dalle deroghe di quest’ultimo al contratto nazionale.
Cosa comporta questo?
Certo permane una gerarchia tra le due fonti, però nel caso della delega affida al contratto nazionale e alla legge il compito di indicare l’oggetto, le materie e i principi direttivi; mentre nel caso della deroga l’Accordo abilita il contratto aziendale ad introdurre deroghe solo al contratto nazionale e non anche alla legge secondo le procedure e i limiti stabiliti dal contratto nazionale.
Ciò significa che, ai sensi dell’Accordo, il contratto aziendale può regolare materie ad esso delegate dal contratto nazionale e dalla legge, e può introdurre deroghe alle clausole del contratto nazionale, ma non può derogare alle norme inderogabili di legge.
E’ questo un aspetto importantissimo in quanto sarà profondamente modificato dalla l. 148/2011 dove il contratto aziendale verrà sganciato da eventuali rinvii o forme di controllo, che prenderemo in esame nel prossimo capitolo.
Per concludere, questo Accordo tenta di stabilire un delicato equilibrio tra le organizzazioni sindacali storiche: in quanto vediamo un ribilanciamento del potere negoziale riconosciuto alle rappresentanze sindacali aziendali, poco accolto dalla Cgil, con la previsione del referendum, estraneo invece alla concezione della Cisl.
Inoltre “costituisce un sistema contrattuale fondato su due livelli sotto il controllo delle confederazioni sindacali la cui rappresentatività è certificata e non presunta, sulla base di un principio gerarchico testimoniato dalla delega che, molto più del rinvio, sottolinea la stretta dipendenza del contratto aziendale da quello nazionale”.46
46 X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, in Contrattazione in deroga, di X. XXXXXXX (a cura di) Xxxxx e Lavoro, IPSOA 2012 pag. 159
Capitolo II: articolo 8 l. 148/2011
(1- L’articolo 8: introduzione. 2- L’ esegesi dell’articolo 8. 3- Il comma 1: rappresentatività, ruolo delle imprese ed efficacia generale. 3.1- Il problema della efficacia erga omnes: probabile violazione dell’articolo 39 della Costituzione. 4- Il comma 2: quali materie disciplina? 5- Il comma 2-bis: vincoli costituzionali, europei ed internazionali. 6- Il comma 3: il c.d. “Comma Fiat”. 7- Analisi critica dell’articolo. 8- La Postilla del 21 settembre 2011. 9. Applicazione concreta dell’articolo 8)
1. L’articolo 8: introduzione.
Arriviamo dunque all’Accordo Interconfederale del 2011 che rappresenta una tappa fondamentale nella costruzione di un nuovo diritto sindacale tale da dare l’impressione che tutto l’assetto delle relazioni industriali abbia raggiunto una sua stabilità.
Tuttavia la tenuta delle regole a tal fine adottate era ed è limitata.
Il 15 agosto 2011 viene varata la c.d. “manovra correttiva di Ferragosto”47 che contiene al suo interno l’articolo 8, una norma rubricata come “Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità” per effetto della quale “con i contratti collettivi aziendali o territoriali si potrebbe derogare l’intero diritto del lavoro”.48
A dispetto di ciò che la rubricazione presenta, l’articolo 8 sembra essere del tutto avulso dalla logica di sostegno delle soluzioni adottate dalle parti sociali, anzi pare esercitare una potente forza di
47 Cfr. d.l. 13 agosto 2011, n. 138 convertito con modificazioni nella l. 14 settembre 2011, n. 148
48 Cfr. X. XXXXXXXX, Un accordo e una legge contro l’accordo, in Lav. Dir. 2011, 2, pag. 459
disarticolazione del sistema contrattuale appena ricostruito. 49 La conferma potrebbe derivare dal fatto che le parti sociali stipulano in data 21 settembre 2011 una postilla in cui ammettono di volersi astenere dall’applicazione esclusiva dell’articolo 8; che analizzeremo nei prossimi paragrafi.
E’ necessario, al fine di comprendere al meglio l’articolo tanto discusso, effettuare una attenta analisi di comparazione con l’Accordo del 2011.
Le differenze sono immediate e numerose in quanto l’articolo 8 non si preoccupa di salvaguardare l’articolazione in due livelli contrattuali, come invece fa l’Accordo prevedendo in modo specifico le funzioni e le materie che i due livelli di contrattazione devono trattare, e soprattutto abilita il contratto aziendale a far saltare il principio della inderogabilità delle norme che regolano il rapporto di lavoro subordinato.
Per una buona disamina dei fatti conoscere anche la situazione socio economica in cui l’Italia versa in questo periodo di grandissimi cambiamenti. Il motivo che sta alla base di questa riforma di ferragosto risiede nell’esplosione della crisi connessa al debito sovrano dell’Italia. Il Governo sotto la pressione, della Banca Centrale Europea (abbreviata in BCE), si è visto costretto ad emanare una manovra economica aggiuntiva tradottasi nel d.l. 138/2011 convertito poi con modificazioni nella l. 148/2011.
49 Giudizio largamente diffuso, infatti si possono confrontare: A. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, L’articolo 8 della legge 14 settembre 2011, n. 148 e la “rivoluzione di Agosto” del diritto del lavoro, in WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, 132/2011,
n. 11 e X. XXXXXXX, Al capezzale del sistema contrattuale, pag. 24 e ss. In Contrattazione in deroga, Leggi e Lavoro IPSOA, 2012
Il motivo della riforma sta nel fatto che il differenziale tra la rendita percepita per i titoli italiani e quelli tedeschi assume una rilevanza decisiva per l’ammontare del nostro debito pubblico e che la fiducia nei confronti del debitore sovrano (l’Italia), essendo lo spread alto, non viene data costringendo l’Italia a vendere titoli con interessi crescenti e l’incremento dei tassi va ovviamente ad influenzare l’ammontare del debito sovrano.
Anche da un punto di vista di stabilità governativa, l’Italia sta vivendo un periodo di profonda crisi, vedendo la nascita dei c.d. “governi dei tecnici” inauguratasi con la nomina da parte del Presidente della Repubblica Xxxxxxxxxx, in sostituzione dell’ex Presidente del Consiglio Xxxxxx Xxxxxxxxxx, di Xxxxx Xxxxx per guidare il Paese fuori dalla crisi economica.
Instabilità politica, bassa crescita, assenza di riforme strutturali tali da rendere poco credibile una ripresa economica, sono le principali ragioni di tale negativa dinamica.50
Questa è una visione del tutto pessimistica del nostro paese, non rispondente, secondo alcuni autori51, alla realtà dei fatti in quanto in questo periodo tutto il sistema economico Europeo e Americano entra in crisi determinando un vero e proprio panico circa il fallimento di questi due sistemi rendendo palese come “un mercato monopolizzato da grandi investitori istituzionali ed in cui agiscono milioni di operatori anonimi è in grado, in assenza di regole certe e
50 Una importante sintesi di tutte le vicende sopra riportate la si può trovare nel rapporto redatto da Standard & Poor’s reperibile in xxxx://xxx.xxxxxxxxxx.xx del 20 settembre 2011.
51 In particolare vedere: A. PERULLI- X. XXXXXXXX pag. 165 in Contrattazione in deroga, X. XXXXXXX (a cura di) IPSOA 2012.
di meccanismi che disincentivano operazioni speculative, di dettare l’agenda politica a Stati sovrani.”52
Giungiamo così alla “manovra di Ferragosto”.
Questa è stata giustificata dal governo italiano come manovra “imposta” dalla BCE per poter realizzare una maggiore flessibilizzazione del mercato del lavoro e per ottenere aiuti dalla stessa Europa.53
Tutto ciò sembra essere stato richiesto dalla BCE in una missiva, tra l’altro resa pubblica a giochi ormai fatti, all’interno della quale sono descritte le materie necessitanti una modifica e i vari interventi economici che l’Italia avrebbe dovuto apportare al sistema vigente.
La mancata pubblicazione ha fatto ritenere a molti che la lettera fungesse solo da parafulmine per ogni tipo di modifica peggiorativa del sistema lavorativo italiano.
La pubblicazione della lettera rivela come la BCE richiedesse un rafforzamento della contrattazione aziendale nella definizione dei livelli salariali e delle condizioni di lavoro incrementandone l’importanza rispetto agli altri livelli negoziali, sollecitando una “profonda revisione della disciplina relativa alle assunzioni ed ai licenziamenti dei lavoratori, prevedendo un sistema di assicurazione contro la disoccupazione ed insieme di politiche attive del lavoro tali
52 A. PERULLI- X. XXXXXXXX, op. cit. pag. 169
53 Si vedano le dichiarazioni del MINISTRO XXXXXXX, secondo il quale la BCE ci chiedeva di “aumentare la flessibilità in uscita per favorire ingressi nel mercato del lavoro, sbloccare la nuova occupazione con contratti stabili attraverso la riforma dei licenziamenti” in Il Sole 24 Ore del 16 settembre 2011, pag. 11
da facilitare la ricollocazione dei lavoratori nelle imprese e nei settori più competitivi”. 54
Non evidenzia, però, l’obbligo per l’Italia di elaborare una riforma del lavoro come effettuata con la l. 148/2011.
La lettera è stata utilizzata semplicemente e puramente come giustificazione per poter modificare “legittimamente” il mondo delle relazioni industriali.
Si palesa, aldilà della obbligatorietà presunta o certa della emanazione della manovra da parte dell’Europa, la necessità di un intervento legislativo richiesto dalle parti sociali stesse al momento della stipula dell’Accordo; l’intervento del legislatore arriva, ma egli in ogni caso rinuncia a riformare in prima persona il mondo delle relazioni industriali, lasciando l’arduo compito all’autonomia collettiva.
Ciò si desume dal fatto che il legislatore prevede che sia l’autonomia collettiva, abilitata con efficacia erga omnes, a rivedere i contenuti del diritto del lavoro con riferimento specifico alla sua flessibilizzazione, agli istituti legali e contrattuali rispettosa però dei vincoli costituzionali, europei ed internazionali.
L’articolo 8 si inserisce dunque in un contesto instabile.
La sua vera applicazione dipende dalla volontà delle parti che, come detto, non sembrano volerlo applicare vista la stipula della Postilla nel settembre 2011.
54 La lettera della BCE, in inglese ed italiano, è reperibile in xxx.xxxxxxxx.xx/xxxxxxxx del 30 settembre 2011
L’articolo 8 della legge 148/2011 è dunque il prodotto di un lungo processo di revisione del diritto del lavoro e delle relazioni industriali che trae le sue origini dal Libro bianco del lavoro del 2011.55
2. L’ esegesi dell’articolo 8.
“Titolo III: Misure a Sostegno dell’Occupazione Art. 8
Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità
1. I contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l'accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritti sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla
55 Cfr. A. XXXXXXX, L’articolo 8 della legge n. 148/2011 nel sistema delle relazioni industriali, in WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”. it 139/2012 pagg. 1 e ss.; e X. XXXXXXX E X. XXXXXXXX (a cura di), Il diritto del lavoro dal “Libro Bianco” al Disegno di legge delega 2002, Milano 2002
gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all'avvio di nuove attività.
2. Le specifiche intese di cui al comma 1 possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l'organizzazione del lavoro e della produzione, con riferimento:
a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;
b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;
c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;
d) alla disciplina dell'orario di lavoro;
e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché' fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento.
2-bis. Fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché' i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1
operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro.))
3. Le disposizioni contenute in contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell'accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori.”.
Questo è l’articolo 8 della l. 148/2011, il fulcro della nostra trattazione. Per capire bene come ha inciso sulla disciplina lavoristica risulta essere necessaria la sua disamina comma per comma.
L’articolo 8 sembra essere una norma “piccola piccola”56, ma vedendola nel suo insieme essa ha una forza dirompente per l’intero sistema del diritto sindacale in quanto legifica circa il contratto collettivo nazionale e di prossimità rivoluzionando un collaudato sistema gerarchico tra le fonti.
Di seguito propongo un’analisi comma per comma dell’intero articolo 8 allo scopo di individuare gli aspetti maggiormente critici e forieri di dubbi sia dottrinali che giurisprudenziali, tenendo comunque presente che i primi 3 commi dell’articolo sono tra loro correlati e hanno carattere di disposizioni generali, mentre gli ultimi 2 rispondono ad esigenze contingenti.
56 Citazione di R. PESSI in Contrattazione in deroga, X. XXXXXXX (a cura di) Xxxxx e Lavoro, IPSOA 2012, pag. 317
3. Il comma 1: i soggetti, calcolo della rappresentatività e il ruolo delle intese, l’efficacia erga omnes
L’articolo 8, al suo primo comma, individua immediatamente i soggetti abilitati alla stipula dei contratti collettivi aziendali in deroga:
- Le associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda.
Sembra, ad una prima analisi, che il contratto di livello aziendale o territoriale possa essere firmato indifferentemente da associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali; pare allora che le associazioni siano abilitate a stipulare i territoriali e le rappresentanze gli aziendali, mentre sembra possibile che le associazioni possano sottoscrivere anche gli aziendali. Ma chi ha l’ultima parola è sempre o la rappresentanza sindacale aziendale o unitaria essendo contratto di prossimità dove il contratto territoriale cederà rispetto ad uno aziendale e quello concluso da un sindacato nazionale o territoriale cederà difronte ad uno concluso dalle rappresentanze aziendali.
Ciò che sembra voler realizzare l’articolo 8 è la flessibilizzazione normativa dei rapporti di lavoro, perseguita attraverso l’attribuzione alla contrattazione collettiva aziendale o territoriale, definita di prossimità, la facoltà di derogare in pejus non solo la disciplina contenuta nella contrattazione nazionale di categoria ma anche la disciplina legale, fermi restando i vincoli sanciti dal comma 2-bis di livello costituzionale, europeo ed internazionale (che tratteremo nell’ottavo paragrafo). 57
Stante a ciò che prevede il comma 1, i contratti aziendali possono essere firmati non solo dalle associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, ma anche dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011.
Le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative non possono avere loro rappresentanze aziendali essendo questo in contrasto con le disposizioni legislative e in modo specifico con il discusso articolo 19 lett. b) Stat. Lav. essendo necessario che le associazioni sindacali abbiano partecipato attivamente al negoziato e aver sottoscritto l’accordo.58
I soggetti abilitati alla stipula dei contratti sono le associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e territoriale.
57 Cfr. A. XXXXXXX, L’articolo 8 della legge n. 148/2011 nel sistema delle relazioni industriali, in WP. C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.it pag. 5
58 Cfr. Sent. Co. Cost. 12 luglio 1996 n.244 in Foro It. 96, I, 2968
La disgiuntiva “o” fa chiaramente intendere come siano alternativi tra loro i piani nazionali e territoriali.
Ciò che è certo è che la legge non individua i criteri per la delimitazione del piano territoriale, potendo quindi essere inteso come comunale, provinciale o regionale anche se tale individuazione è a dir poco superflua dato l’esiguo numero di sindacati a livello locale potendo essi stessi definire l’ambito di rilevanza nonostante altra dottrina ritenga essere fonte di perplessità poiché legittimerebbe organizzazioni sindacali con rappresentatività dubbia e circoscritta.59
Di sicuro la normativa potrebbe dare luogo al fenomeno del “localismo sindacale” consentendo il proliferarsi di soggetti di dubbia rappresentatività.
L’articolo richiama in modo esplicito l’Accordo Interconfederale del 2011 per ciò che riguarda il calcolo della rappresentatività, autorizzando l’utilizzo di tale meccanismo al fine di eliminare ogni perplessità o dubbio relativi al calcolo della rappresentatività, potendo giungere ad un calcolo il più realistico possibile della rappresentatività: ponderazione tra dato elettorale e dato associativo con superamento della soglia del 5%.60
L’articolo 8 ha eliminato il riferimento alle rappresentanze sindacali esistenti in azienda, sostituendolo con le “rappresentanze sindacali
59 Cfr. A. GARILLI, Op. Cit., pag. 7 e A. XXXXXXX, La contrattazione collettiva aziendale dopo l’art. 8, d.l. 13 agosto 2011, n. 138, in Cuore&Xxxxxxx.xx
60 Cfr. punto 1 A.I. 28 giugno 2011, ricalcando il meccanismo esistente nel settore pubblico privatizzato, “nel settore o comparato…non inferiore al 5%, considerando a tal fine la media tra dato associativo (iscrizioni certificate) ed il dato elettorale (percentuale di voti ottenuti su voti espressi)”.
aziendali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso quello dl 2011” alternativamente ai sindacati comparativamente più rappresentativi. Questo ha permesso che sindacati di scarsa rappresentatività possano essere legittimati nel costituire rappresentanze sindacali aziendali e stipulare accordi in deroga prevedendo che possano essere legittimati a stipulare intese in deroga soltanto quelle rappresentanze sindacali previste dall’articolo 19 Stat. Lav. e dagli accordi interconfederali vigenti.61
Sembra essere riemersa la tanto contrastata rappresentatività presunta in quanto non si fa riferimento, come nell’Accordo Interconfederale del 2011, alle organizzazioni sindacali che vantino una forza effettiva, rappresentate dalla ben nota percentuale del 5%, bensì si torna a fare riferimento alle associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero alle loro rappresentanze sindacali, determinando, quindi, una modalità di individuazione delle rappresentanze a posteriori continuando a persistere il principio del reciproco riconoscimento.62
Il problema che sorge, analizzando ancora il comma 1 e il ruolo dei soggetti abilitati alla stipula del contratto aziendale, è che il legislatore ha previsto, allo scopo di rendere efficaci nei confronti dei lavoratori le clausole sottoscritte dall’ organizzazione sindacale, il rispetto, in capo alle singole intese, di un criterio maggioritario senza però darne specificazioni ulteriori.
61 Dunque solo Cgil, Cisl, Uil, essendo le uniche che hanno sottoscritto gli accordi in questione.
62 Cfr. A GARILLI, Op. Cit., pag. 7 e ss.
Il problema è molto più complesso di quello che appare: non solo non viene specificato quale sia il criterio maggioritario da seguire, ma apre a forti dubbi di costituzionalità rispetto all’articolo 39, comma 1 e 4, Cost. per quanto concerne l’efficacia generale che tale criterio attribuirebbe alle specifiche intese sottoscritte dalle rappresentanze sindacali.
Infatti il comma 1 dell’articolo 8 individua le modalità per la sottoscrizione dei contratti di livello aziendale o territoriale, realizzandola nella previsione di specifiche intese che assumono efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione che siano sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle rappresentanze sindacali.
L’efficacia menzionata dall’articolo è una efficacia che si estende a tutti i lavoratori solo se segue i criteri ex lege previsti (sottoscrizione in base ad un criterio maggioritario) che gli permette di ottenere una efficacia maggiore di quella propria dei contratti c.d. di diritto comune.
Il problema che nasce è legato alla mancata individuazione della parte datoriale che determina quindi una applicazione di efficacia generale solo nei confronti dei lavoratori e non anche dei datori di lavoro determinando una “efficacia ex lege asimmetrica, cioè relativa non ai datori di lavoro (erga omnes) ma solo ai loro dipendenti (generale): se ed in quanto i primi risultino vincolati ex contractu al rispetto di tale accordo: i secondi, pur non sindacalizzati o dissenzienti sono, comunque, tenuti ex lege a far proprio il contenuto derogatorio.
L’articolo 8, comma 1, non introduce un contratto collettivo territoriale con efficacia erga omnes, nel senso proprio del termine, di obbligatorio anche per i datori di lavoro, rimasti del tutto estranei.” 63
La formula adottata dal legislatore “le specifiche intese acquistano efficacia solo se sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle… rappresentanze sindacali” è molto generica.
Risulta quindi necessario riferirci ai criteri previsti dall’Accordo interconfederale del 2011:
- Le specifiche intese realizzate dai contratti collettivi aziendali acquisiscono efficacia generale se approvate dalle r.s.u. col voto favorevole del 50% più uno dei componenti; ovvero se firmate da r.s.a., che facciano capo ad associazioni sindacali le quali, singolarmente o congiuntamente, abbiano raccolto, nell’anno precedente, il 50% più una delle deleghe relative ai contributi sindacali.
Il problema di base di tale meccanismo risulta essere l’applicabilità al solo a livello aziendale e non anche territoriale essendo necessario prendere in considerazione, per le rappresentanze sindacali unitarie la conta dei voti ottenuti e per le rappresentanze sindacali aziendali la conta delle deleghe.
00 Xxx. X. XXXXXXXX, Xx contratto collettivo aziendale: soggetti ed efficacia,
Legittimate a stipulare i contratti collettivi aziendali o territoriali sono dunque, le “associazioni di lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale” ovvero “le loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011”.
Tali contratti esplicherebbero la loro efficacia “nei confronti di tutti i lavoratori interessati” a condizione di essere sottoscritti “sulla base di un criterio maggioritario”.
E le specifiche intese sembra possano regolare “anche in deroga alle disposizioni di legge” un elenco tanto vasto di materie da abbracciare in sostanza quasi l’intero diritto del lavoro.
Il criterio maggioritario non appare del tutto chiaro, nel senso che risulta discutibile il suo contenuto: in particolar modo non si comprende se dagli accordi interconfederali siano richiamati soltanto i soggetti (r.s.a. e r.s.u.) oppure anche le procedure per l’efficacia generale (il referendum per le r.s.a.).
Si ritiene di dover rispettare le indicazioni date dall’Accordo Interconfederale e che il principio maggioritario possa dirsi rispettato e l’efficacia generale del contratto aziendale riconosciuta.
I soggetti sindacali sopra descritti possono predisporre intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati “a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali”.
Ma l’efficacia generalizzata presuppone l’adozione di un criterio maggioritario che permette di risolvere eventuali problemi o
contrasti tra organizzazioni sindacali o in caso di dissenso espresso tra lavoratori (iscritti o non).
La legge non stabilisce i contenuti e le caratteristiche della regola maggioritaria rimettendole quindi alla competenza esclusiva delle organizzazioni sindacali abilitate alla stipula delle intese.
I criteri si deducono dall’Accordo Interconfederale del 2011 e specificatamente dai punti 4, 5 e 7:
- Punto 4: i contratti collettivi aziendali per le parti economiche e normative sono efficaci per tutto il personale in forza e vincolano tutte le associazioni sindacali, espressione delle Confederazioni sindacali firmatarie del presente Accordo Interconfederale, operanti all'interno dell'azienda se approvati dalla maggioranza dei componenti delle rappresentanze sindacali unitarie elette secondo le regole interconfederali vigenti;
- Punto 5: in caso di presenza delle rappresentanze sindacali aziendali costituite ex art. 19 della legge n. 300/70, i suddetti contratti collettivi aziendali esplicano pari efficacia se approvati dalle rappresentanze sindacali aziendali costituite nell'ambito delle associazioni sindacali che, singolarmente o insieme ad altre, risultino destinatarie della maggioranza delle deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai lavoratori dell'azienda nell'anno precedente a quello in cui avviene la stipulazione, rilevati e comunicati direttamente dall'azienda. Ai
fini di garantire analoga funzionalità alle forme di rappresentanza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, come previsto per le rappresentanze sindacali unitarie anche le rappresentanze sindacali aziendali di cui all'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, quando presenti, durano in carica tre anni. Inoltre, i contratti collettivi aziendali approvati dalle rappresentanze sindacali aziendali con le modalità sopra indicate devono essere sottoposti al voto dei lavoratori promosso dalle rappresentanze sindacali aziendali a seguito di una richiesta avanzata, entro 10 giorni dalla conclusione del contratto, da almeno una organizzazione sindacale espressione di una delle Confederazioni sindacali firmatarie del presente accordo o almeno dal 30% dei lavoratori dell'impresa. Per la validità della consultazione è necessaria la partecipazione del 50% più uno degli aventi diritto al voto. L'intesa è respinta con il voto espresso dalla maggioranza semplice dei votanti;
- Punto 7: i contratti collettivi aziendali possono attivare strumenti di articolazione contrattuale mirati ad assicurare la capacità di aderire alle esigenze degli specifici contesti produttivi. I contratti collettivi aziendali possono pertanto definire, anche in via sperimentale e temporanea, specifiche intese modificative delle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro nei limiti e con le procedure previste dagli stessi contratti collettivi nazionali di lavoro. Xxx non previste ed in attesa che i rinnovi definiscano la materia nel contratto collettivo nazionale di lavoro applicato
nell'azienda, i contratti collettivi aziendali conclusi con le rappresentanze sindacali operanti in azienda d'intesa con le organizzazioni sindacali territoriali di categoria espressione delle Confederazioni sindacali firmatarie del presente Accordo Interconfederale, al fine di gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale dell'impresa, possono definire intese modificative con riferimento agli istituti del contratto collettivo nazionale che disciplinano la prestazione lavorativa, gli orari e l'organizzazione del lavoro. Le intese modificative così definite esplicano l'efficacia generale come disciplinata nel presente Accordo. Il consenso maggioritario deve essere espresso anche nel caso in cui l’intesa aziendale o territoriale venga sottoscritta da associazioni di lavoratori comparativamente più rappresentativa sul piano nazionale o in determinato territorio.
Risulta che l’articolo 8 determini un cambiamento drastico nel sistema del mondo del diritto, vedendo anche come esso incida sul tradizionale rapporto tra la fonte legale e la fonte contrattuale: la legge infatti rinuncia al noto carattere della inderogabilità in pejus e autorizza la fonte contrattuale a modificare il disposto legale in una serie molto ampia di materie (comma 2, art. 8)64.
64 A. GARILLI, Op. Cit., pagg. 7 e ss.
Inoltre, ciò che appare, è che la legge non abbia individuato i criteri per poter stabilire i rapporti e i contenuti dei vari livelli e la gerarchia esistente tra i vari livelli contrattuali.
La giurisprudenza si è espressa eludendo il problema in quanto ha esaminato la questione sotto il diverso profilo della non applicabilità dell’articolo 2077 c.c.65 ai rapporti tra contratti di diverso livello, negando inoltre la possibilità che possa essere rinvenuto un rapporto di gerarchia tra i livelli, asserendo che le ipotesi di concorso-conflitto vadano risolte alla luce del criterio della posteriorità nel tempo. 66
Non mancano comunque sentenze che risolvono in verso opposto il conflitto alla stregua del “collegamento funzionale che le associazioni sindacali pongano tra i vari gradi o livelli della struttura organizzativa o delle corrispondenti attività”67, sulla base del “fondamentale principio della libertà associativa”68.
E’ palese la messa in discussione, da parte della legge, dell’articolo 39 della Costituzione in quanto la legge interviene direttamente sulla struttura contrattuale, consentendo al contratto aziendale dotato di efficacia generale di introdurre deroghe alle disposizioni di legge e alla contrattazione di primo livello.
65 Articolo 2077 cod. civ:” I contratti individuali di lavoro tra gli appartenenti alle categorie alle quali si riferisce il contratto collettivo devono uniformarsi alle disposizioni di questo. Le clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o successivi al contratto collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro”.
66 Cfr. Cass. 11 luglio 2005, n.14511, in Dir. Rel. Ind. ,2006, p. 454 con nota di LAZZATI; Cass. 12 luglio 1986, n. 4517, in Foro It. ,1987, I, c.512
67 Xxx. Xxxx. 00 xxxxxx 0000, x. 00000, Xxxxxx. Giur. Lav. 2009, p. 40 e ss.
68 Cfr. Cass. 4 febbraio 1988, n. 1147, in Notiz. Giur. Lav. 1988, p. 733
3.1 Il problema della efficacia erga omnes: i rapporti tra articolo 8 del d.l. 138/2011 e articolo 39 della Costituzione. Probabile incostituzionalità?
Corre l’obbligo di dedicare un paragrafo circa la problematica relativa alla violazione o meno, da parte dell’articolo 8, dell’articolo 39 della Costituzione essendo questo uno dei motivi principali che hanno fatto maturare dubbi circa l’applicabilità del suddetto articolo.
Riportiamo testualmente l’articolo 39:
<< L'organizzazione sindacale è libera.
Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.
E` condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica.
I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce. >>
L’articolo 39 è un articolo che da sempre ha suscitato dibattiti e difficoltà interpretative69, la dottrina ha sempre sostenuto l’efficacia obbligatoria dei contratti sia a livello aziendale che nazionale, la giurisprudenza ha invece ritenuto valevole una interpretazione del
69 Già dagli anni ’60 la Corte Costituzionale, con la c.d. lectio magistralis, cerca di darne una definizione, cfr. Xxxxx Xxxx. 00 dicembre 1962, in Foro It. 1963, I, col. 17; Xxxxx Xxxx. 00 xxxxxx 0000, x.00, xx Xxxx Xx. I, col. 1103
contratto collettivo di diritto comune, avente efficacia intra e non ultra partes70.
Sarebbe stato, logicamente, più razionale e coerente una sua modifica o la sua abrogazione, ma ciò non è avvenuto e tutt’oggi l’articolo 39 continua ad essere il punto dolente dell’intero diritto del lavoro.
Il problema che crea è quello di attribuire efficacia generale ai solo contratti di categoria, essendo gli unici conosciuti dal costituente al momento della redazione della Carta, ma una interpretazione di tale tipo risulta essere troppo restrittiva e anche del tutto errata in quanto sappiamo che la legge viene interpretata anche in relazione ai cambiamenti sociali e politici.
Perché non è stata intrapresa la linea adottata per il settore pubblico prevedendo per il privato una delegazione sindacale aziendale formata dalla regola proporzionale/associativa?
Tale volontà è stata espressa nell’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011 laddove autorizza le rappresentanze sindacali aziendali, facenti capo ad associazioni comparativamente più rappresentative, che da sole o insieme, abbiano raccolto almeno il 50% più uno delle deleghe per i contributi sindacali, a sottoscrivere contratti con “efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati”.
Una formula questa, riecheggiante da vicino quella costituzionale.71
70 Cass. 28 maggio 2004, n. 10353, in Riv. It. Dir. Lav. 2005, II, 312; Cass. 24 febbraio
1990, n. 1403, in Mass. Giur. Lav. 1990, 171; App. Brescia 7 marzo 2009, in Riv.
Giur. Lav. 2010, I, 188
71 Cfr. X. XXXXXXX, Contrattazione in deroga, IPSOA, Milano 2012, pagg. 41 e ss.
Il problema che sta alla base è che, secondo la maggioranza degli studiosi, il contratto collettivo aziendale non rientrerebbe nell’articolo 39 Costituzione, il quale si interesserebbe solo del contratto collettivo nazionale.72
Ci sono autori che non ritengono contrario l’articolo 8 all’articolo 39 della Costituzione.
Partiamo con le considerazioni date da Xxxxxxxxx Xxxxxxx e Xxxxxxx Speziale73.
Essi non ritengono violato il precetto costituzionale nel momento in cui viene attribuita efficacia generalizzata e derogatoria di legge a contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscritti soltanto da Cgil, Cisl e Uil in quanto tale attribuzione ben può essere giustificata dal fatto che tali soggetti sindacali abbiano un particolare livello di rappresentatività.
Dubbi sorgono quando si cerca di dare legittimazione ai sindacati territoriali in quanto i poteri di deroga ad essi concessi potrebbero non essere considerati ragionevoli in quanto la loro rappresentatività potrebbe essere dubbia se non addirittura scarsa; non può essere presa a giustificazione la tesi secondo cui viene attribuita la possibilità di costituirsi anche a sindacati di dubbia rappresentatività nazionale purché abbiano stipulato anche solo un contratto nazionale. Non può essere presa in considerazione perché un conto è la costituzione di un organismo sindacale, ben altro conto è quello di affidare il potere di
00 Xxx. X. XXXXXX, 0000: anno zero per il diritto sindacale italiano? Newsletter 12 settembre 2011, n. 166 in xxx.xxxxxxxxxxxx.xx, 2011, 2 e A. DA XXXXXXX, Prime interpretazioni del decreto, Il diario del lavoro, 29 agosto 2011, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 2011, 1
73 Cfr. articolo in Contrattazione in deroga, X. XXXXXXX (a cura di) IPSOA, Milano, 2012 pagg. 203 e ss.
derogare alla legge e al contratto collettivo nazionale a un sindacato dubbiamente rappresentativo.74
Altro autore, che non individua una violazione da parte dell’articolo 8 all’articolo 39 della Costituzione, è Xxxxxxxx De Xxxx Xxxxxx, il quale parte dalla considerazione che l’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011, a differenza dell’articolo 8, conferma l’egemonia del contratto collettivo nazionale di lavoro “modificabile solo nei limiti e con le procedure da esso previste”.
L’articolo 8 elimina invece ogni tipo di soggezione dell’accordo aziendale, limitato solo da vincoli finalistici, di materie e di maggioranze, ma non da processi autorizzatori discendenti dall’alto.75
A primo impatto l’articolo 8 non sembra contrastare con l’articolo 39 in quanto si limita a liberalizzare il sistema eliminando vincoli aprioristici. Sappiamo che l’articolo 39 comma 1 preclude interventi legislativi che esprimano in via definitiva le funzioni essenziali della autonomia collettiva, ma non vieta una previsione circa la liberalizzazione della contrattazione di prossimità senza escludere l’autonomo potere regolatorio dell’ordinamento intersindacale e le sue opzioni in tema di rapporti tra livelli contrattuali.
L’articolo 8 al comma 1 sancisce inequivocabilmente l’efficacia nei confronti di tutti i lavoratori occupati nella singola azienda o nei singoli territori (contrattazione di secondo livello) dei contratti stipulati a tale livello (“erga omnes”) e i presupposti condizionanti sono:
74 Cfr. A. PERULLI- X. XXXXXXXX, Op. Cit. pag. 204
75 Cfr. R. DE XXXX XXXXXX, L’articolo 8 del d.l. n. 138/2011: interpretazione e costituzionalità, in Contrattazione in deroga, X. XXXXXXX (a cura di) IPSOA, Milano, 2012, pag. 295
- Un’approvazione su base maggioritaria
- La finalizzazione a obiettivi ritenuti prioritari nell’attuale fase socio-economica (maggiore occupazione, emersione del lavoro irregolare, gestione delle crisi aziendali, ecc.…)
La richiesta di realizzare l’efficacia erga omnes dei contratti aziendali parte già dalla firma del Protocollo Ciampi- Giugni del 1993, le parti sociali già a quel tempo richiedevano “un intervento legislativo, finalizzato ad una generalizzazione dell’efficacia soggettiva dei contratti collettivi aziendali” che fossero “espressione della maggioranza dei lavoratori”.
Auspicio poi tradottosi nell’Accordo interconfederale 28 giugno 2011 dove il vincolo della efficacia erga omnes non ricade nei confronti dei sindacati non firmatari l’Accordo e i lavoratori non iscritti.
L’articolo 8, 1 comma, sembra però necessario per creare una sorta di “blindatura” nei confronti di quei lavoratori che si sarebbero diretti nei confronti dei sindacati non firmatari e delle aziende che sarebbero uscite dalle organizzazioni datoriali per non sottostare al contratto collettivo nazionale di lavoro.
Inoltre non si possono ritenere contrari al comma 8 i commi 2,3, e 4 dell’articolo 39 in quanto tale previsione costituzionale non concerne i
contratti aziendali, non presi in considerazione dallo stesso articolo 39 della Costituzione. 76
Altri autori invece confermano l’incostituzionalità dell’articolo 8 alla luce dell’articolo 39.
Prendendo ad esempio le considerazioni di Xxxxxxxxxx Garilli77, egli afferma che il contratto collettivo aziendale debba far ingresso all’interno dei commi 3 e 4 dell’articolo 39 perché considerando in maniera opposta, si andrebbe a limitare illegittimamente la libertà sindacale imponendo al singolo iscritto al sindacato dissenziente, e a quest’ultimo, di subire gli effetti del contratto collettivo aziendale separato. Tale considerazione nasce dal fatto che il termine “categorie” utilizzato dal costituente può assumere il significato di area di applicazione del contratto collettivo.
A conferma di tale teoria può essere citata la sentenza della Corte di Cassazione del 28 maggio 2004, n. 10353, la quale asserisce: “il contratto aziendale non può essere esteso ai lavoratori che, aderendo ad una organizzazione sindacale diversa da quella che ha stipulato l’accordo aziendale, ne condividano l’esplicito dissenso” pure giustificando la tendenziale efficacia soggettiva generale dei contratti aziendali.
L’ambiguità dell’articolo 39 pare essere chiara, e l’unico modo per non violare il dettato costituzionale è quello di realizzare il principio basilare della democrazia sindacale che è il rispetto del principio maggioritario; infatti si afferma che “il contratto collettivo […] stipulato dai sindacati
76 Cfr. R. DE XXXX XXXXXX, Op. Cit., pagg. 297 e 298
77 Cfr. l’articolo riportato in Contrattazione in deroga, X. XXXXXXX (a cura di) IPSOA, Milano 2012 pagg. 274 ess.
di cui si possa comprovare la maggioranza nel complesso delle forze sindacalmente organizzate” è “generalmente obbligatorio”78, riconoscendo il criterio della maggiore rappresentatività quale espressione della democrazia rappresentativa.
E’ questa però una tesi minoritaria. E’ preferibile seguire la tesi secondo cui la legge ordinaria, in assenza dell’attuazione della seconda parte dell’articolo 39 Costituzione, può dotare di efficacia generale i soli contratti aziendali, i quali incontrano comunque il limite della libertà sindacale.79
Alla luce di ciò possiamo asserire che i contratti collettivi possono avere efficacia erga omnes solo se stipulati nel rispetto della disciplina dell’articolo 39, comma 4, Costituzione.
Saranno dunque costituzionalmente legittimi i contratti che:
- Rispettosi dell’Accordo interconfederale, vincolano solo i lavoratori iscritti alle associazioni sindacali stipulanti il medesimo accordo;
- Si collocano nel solco dell’articolo 8, vincolanti anche i lavoratori dissenzienti, gli iscritti a sindacati contestativi e i non iscritti;
- I contratti aziendali stipulati non dalla maggioranza dei rappresentanti sindacali che, in assenza di contratto erga
78 Cfr. Sent. Tri. Torino 16 luglio 2011 sul caso Fiat
79 Cfr. A. GARILLI, Op. Cit., pag. 274
omnes stipulati nella medesima azienda, conservano l’efficacia di diritto comune estesa ai soli iscritti ai sindacati stipulanti il contratto aziendale;
- I contratti aziendali preesistenti all’Accordo interconfederale, con efficacia erga omnes o meno a seconda dei risultati del referendum previsto dal comma 3 dell’articolo 8.80
Avremo invece incostituzionalità in queste ipotesi:
- Di una legislazione a tappeto che recepisca il contenuto dei contratti collettivi così rendendolo generalmente vincolante (Corte costituzionale n. 106/1962);
- Di un rinvio legale in bianco all’autonomia collettiva, le cui determinazioni andrebbero sistematicamente a riempire il precetto legale contenitore con conseguente efficacia generale (Corte costituzionale n. 10/1957);
- Della attribuzione di efficacia generale ai contratti collettivi stipulati dai sindacati maggiormente o comparativamente più rappresentativi, in contrasto con il ben diverso principio della rappresentanza proporzionale sancito nella Costituzione, che esige una verifica della effettiva consistenza numerica di
80 Cfr. R. DE XXXX XXXXXX, Op. Cit., pag. 298
ciascun sindacato nella categoria alla quale il contratto si riferisce (Corte costituzionale n. 334/1988)81.
L’autore Xxxxxxx Xxxxxxxxx individua alcune tesi che cercano di aggirare il vincolo costituzionale, non riuscendoci:
- Quella per cui avrebbe efficacia generale il contratto collettivo aziendale approvato dalla maggioranza di lavoratori partecipanti all’assemblea perché sconta una volontà del singolo partecipante di vincolarsi al principio maggioritario che andrebbe comprovata in concreto e, comunque, non risolve il problema nei confronti dei non partecipanti;
- Quella per cui avrebbe efficacia generale il contratto collettivo aziendale stipulato da un soggetto eletto dai lavoratori, non solo perché richiede il conferimento espresso di fonte legale o negoziale del potere di stipulare per tutti, ma soprattutto perché contrasta con il dettato costituzionale qualunque riserva di quote a favore di alcuni sindacati come quella prevista per le r.s.u.82
Non sorprende quindi che buona parte della giurisprudenza continui a negare l’efficacia generale del contratto aziendale.
81 Cfr. A. VALLEBONA, Problematica, in Contrattazione in deroga, X. XXXXXXX (a cura di) IPSOA, Milano 2012, pagg. 347 e ss.
82 Cfr. A. VALLEBONA, Op. Cit., pag. 348
L’efficacia generale del contratto aziendale è una efficacia di fonte negoziale che segue le regole privatistiche e si fonda sul rispetto del criterio maggioritario.
4. Il comma 2. Quali materie disciplina?
Il secondo comma dell’articolo 8 comprende una elencazione delle materie oggetto di regolazione da parte delle intese e che acquisiscono efficacia generale nei confronti dei lavoratori interessati, ai sensi del comma 1, oppure in deroga, in base al comma 2-bis che tratteremo nel paragrafo successivo.
L’elencazione ricomprende, a ben vedere, quasi tutte le materie che vengono inserite nel diritto del rapporto individuale di lavoro, precedute da una clausola omnibus per la quale le materie derogabili sono quelle “inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione” con riferimento a:
- Impianti audiovisivi e introduzione di nuove tecnologie; mansioni, classificazioni, inquadramento; contratti a termine, a orario ridotto, modulato e flessibile; solidarietà negli appalti, somministrazione di lavoro; disciplina dell’orario di lavoro; assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, xx.xx.xx a progetto, partite IVA, trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e conseguenze del recesso.
Una elencazione questa non di certo esemplificativa, ma tassativa.
Xxxxxxx, già ad una prima lettura, come l’articolo 8 comma 2 ricomprenda quasi tutta l’intera disciplina del rapporto del lavoro e che sorprenda la scelta tecnica effettuata dal legislatore di lasciare allo strumento contrattual-collettivo la definizione di tali materie avendo un campo limitato di azione.
Viene, inoltre, specificamente detto che i contratti aziendali e territoriali previsti dall’articolo 8 possano derogare la legge e i contratti nazionali solo per le materie espressamente elencate dal comma 2.
Il che, se per la deroga alla legge costituisce una grande apertura, per la deroga al contratto nazionale costituisce una limitazione del principio generale di illimitata derogabilità.
Le specifiche intese possono riguardare la regolazione delle materie, inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione, con riferimento anche alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, ed operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate da questo comma, e alle relative regolamentazioni contenute in contratti collettivi nazionali di lavoro, nel rispetto della Costituzione e dai vincoli derivanti dalla normativa europea ed internazionale. (Comma 2-bis)
Dal combinato disposto delle disposizioni richiamate possiamo trarre dei paletti entro cui collocare l’interpretazione del precetto normativo.
Considerazione di carattere generale è che il legislatore avrebbe dovuto individuare in maniera più precisa e puntuale i profili di intervento in via derogatoria della fonte collettiva per poter davvero
rispettare i vincoli ex comma 2-bis e non lasciando alla fonte delegata la ricerca di eventuali profili di mancato rispetto delle fonti sovraordinate.
I profili che comunque sembrano necessari da tenere ben fermi, sono due; innanzitutto la identificazione della nozione di “materia” che dall’esame dell’elenco del comma 2 sembra identificarsi sia con l’ambito disciplinare (ad esempio l’inquadramento del personale), con singoli istituti (le mansioni, l’orario di lavoro, i contratti a termine e i contratti ad orario ridotto, modulato o flessibile) ovvero con specifici profili di disciplina (il regime di solidarietà negli appalti) cercando quindi di capire se questo elenco è riconducibile o meno alla nozione di materia.
In secondo luogo il carattere tassativo della elencazione per quanto riguarda il profilo di derogabilità ex comma 2-bis.
Avendo precisato questi due punti fermi, possiamo passare alla disamina delle singole materie:
a) “Gli impianti audiovisivi e l’introduzione di nuove tecnologie”:
Per il primo è necessario fare un accenno all’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori83, in quanto esso disciplina in modo
83 Articolo 4 Statuto dei Lavoratori: “Impianti audiovisivi. È vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro,
dettagliato tale aspetto rendendo dubbia e quasi superflua la previsione contenuta nel comma 2 essendo, infatti, possibile una derogabilità convenzionale del divieto di installazione allorché tali impianti siano richiesti per esigenze organizzative, produttive o di sicurezza sul lavoro. Tale aspetto è stato oggetto di ulteriore revisione e riconferma da parte del c.d. codice della privacy approvato con l. 196/200384 che prevede il rispetto delle normative comunitarie85 e una sanzione penale, non eliminabile pattiziamente, nel caso di violazioni dei divieti previsti.
Inoltre anche la Suprema Corte ha evidenziato l’illegittimità di comportamenti posti in essere dal datore di lavoro che
provvede l'Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l'uso di tali impianti. Per gli impianti e le apparecchiature esistenti, che rispondano alle caratteristiche di cui al secondo comma del presente articolo, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna, l'Ispettorato del lavoro provvede entro un anno dall'entrata in vigore della presente legge, dettando all'occorrenza le prescrizioni per l'adeguamento e le modalità di uso degli impianti suddetti. Contro i provvedimenti dell'Ispettorato del lavoro, di cui ai precedenti secondo e terzo comma, il datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei lavoratori di cui al successivo art. 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale.”
84 Cfr. l’articolo 114 del codice, in materia di “divieto e controllo a distanza” secondo cui “resta fermo quanto disposto dall’articolo 4 della l. 20 maggio 1970 n. 300”.
85 L’articolo 184 del codice dà attuazione in particolare a: direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione dei dati; alla direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 luglio 2002 relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche.
violino in modo eccessivo e irragionevole la dignità e la riservatezza dei lavoratori.86
b) Al secondo posto troviamo: “le mansioni del lavoratore, la classificazione e l’inquadramento”:
xxxxxxxx è il fatto che la giurisprudenza ha effettuato una forzatura vistosa del disposto letterale dell’articolo 2103
c.c.87 che dichiara nullo il patto di assegnazione a mansioni inferiori o non equivalenti poiché, inserendo tale materia nel comma 2 dell’articolo 8, ha validato la possibilità che tale disciplina possa essere derogata in pejus facendo sì che vi sia un accordo con il lavoratore e che ciò sia fatto nell’interesse del lavoratore al fine di evitare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, qualora il lavoratore non sia più in grado di svolgere le precedenti mansioni per motivi di salute o vi siano ragioni attinenti l’impresa. Gli interessi che qui entrano in gioco sono due: la tutela della professionalità (articolo 2103 c.c.) e l’interesse
86 Cfr. Cass. 23 febbraio 2010, n. 4375 in Riv. Crit. Dir. Lav. 2010, 1, 167 e Cass.
17 luglio 2007, n. 15892, in Giust. Civ. mass., 2007, 7-8.
87 Articolo 2013 codice civile: “Mansioni del lavoratore. Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione del lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ogni patto contrario è nullo.”
alla conservazione del posto di lavoro (articolo 8, comma 2), dando preminenza al secondo.
L’articolo 2103 c.c. è un articolo che fino ad oggi viene considerato come la “stella polare” dell’intricata questione della modifica delle mansioni del lavoratore dalla quale deriva la esplicita esclusione della mobilità “in basso”, cioè a mansioni inferiori, resa più forte dalla previsione del comma 2 dell’articolo in questione, secondo cui sono resi nulli tutti i patti con i quali si regoli la materia oggetto di disciplina in modo contrastante con la norma.
Anche su tale disciplina, le modifiche socio-economiche hanno un peso rilevante, tale da far sì che la giurisprudenza inizi a ripensare alla rigidità della norma stessa. Viene posto al centro dell’organizzazione del sistema lavorativo il c.d. “capitale umano” sì da rendere il terreno della professionalità del lavoratore una sorta di terreno sismico in relazione alla quale si sente l’esigenza, sul fronte datoriale, di individuare margini nuovi di operatività al fine di accrescere l’efficienza produttiva delle aziende mediante un innalzamento della polivalenza professionale dei dipendenti e della loro capacità di adattamento, nonché sul fronte dei lavoratori, di individuare nuovi strumenti di tutela della sicurezza e salute della persona che lavora, contro le nuove forme di sfruttamento intensivo. Si realizza una nuova contrapposizione tra strumenti in gioco:
efficienza/produttività aziendale e benessere/salute personale.88
E’ necessario promuovere e agevolare la professionalità in transizione e tale promozione, secondo il legislatore, è realizzabile tramite la contrattazione di prossimità, la quale viene autorizzata ad introdurre, nell’ambito di specifiche intese, ulteriori elementi di flessibilità nella fase di gestione del rapporto di lavoro subordinato.
I contratti collettivi aziendali o territoriali, e solo loro, possono rompere, per così dire, l’inderogabilità assoluta prevista dall’articolo 2103 c.c.
Va precisato che già prima dell’avvento dell’articolo 8 era prevista la possibilità, in casi molto particolari, di poter derogare all’articolo 2103 c.c.; permettendo che il lavoratore potesse essere assegnato in via definitiva o temporanea, a mansioni inferiori per tutelare beni costituzionali dello stesso ritenuti prevalenti.
Per fare un esempio: diritto alla salute (articolo 32 Cost.) della lavoratrice madre, dell’invalido per infortunio o malattia, possono essere declassati poiché il bene tutelato è sicuramente più importante del diritto ridotto.
In questi casi la legge opera una sorta di garantismo individuale, dove si necessita il consenso del lavoratore e
88 Per approfondire questo discorso cfr. M. XXXXXX, Mansioni del lavoratore, classificazione e inquadramento del personale, in X. XXXXXXX (a cura di), Contrattazione in deroga, IPSOA 2012, pag. 371 e ss.
l’intangibilità della retribuzione corrispondente alla mansione originaria.
Le possibilità di superamento dell’articolo 2103 c.c. sono previste, nello specifico, dalla l. 223/1991 che prevede la possibilità, tramite il ricorso alla contrattazione collettiva, di poter dequalificare il lavoratore senza il consenso dello stesso e senza la conservazione del trattamento economico originario.
Inoltre la modifica del pensiero giurisprudenziale lo si può trovare confermato in una nota sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, la n. 25033 del 200689 che ha sposato sul piano collettivo il tema del bilanciamento tra la tutela della professionalità del lavoratore, il suo interesse alla stabilità occupazionale e le esigenze organizzative del datore, riconoscendo un ruolo rilevante alla contrattazione sindacale che è stata autorizzata ad introdurre clausole c.d. di “fungibilità” e meccanismo di rotazione che permettono di adibire legittimamente il lavoratore a mansioni contenute nella medesima area contrattuale e quindi da ritenersi equivalenti. Permette quindi, tale orientamento giurisprudenziale, di prevedere delle deroghe al comma 1 dell’articolo 2103 c.c. fermo restando però il potere del giudice di sanzionare quelle previsioni che, stabilendo una indifferenziata fungibilità fra mansioni esprimenti una diversa professionalità, abbiano, come effetto, quello di
89 Cass. Sez. Un, 24 novembre 2006, n. 25033, relatore X. Xxxxxxx in Mass. Giur. Lav. 2007, 1-2, 17, con nota critica di X. Xxxxxx.
impoverire o mortificare la dignità professionale del lavoratore.
Le modifiche essenziali apportate dall’articolo 8 evidenziano interessi collettivi che si vogliono comuni a lavoratori e datore di lavoro, individuati dalle finalità della deroga elencate nel comma 1 dell’articolo 8, vagliate dal filtro della contrattazione collettiva più prossima all’ambiente e all’organizzazione di lavoro. L’articolo 8 deve essere letto alla luce sia dei limiti esterni: Costituzione, norme comunitarie, convenzioni internazionali e disciplina legislativa, ed anche con riferimento ai limiti interni, comma 1 articolo 8.
Analizziamo i limiti esterni.
Per comprendere i limiti che la Costituzione impone alla modifica delle mansioni, classificazione ed inquadramento, è necessario partire dall’articolo 2103 del codice civile in quanto è da esso che deriva la c.d. tutela della dignità professionale che viene definito come “una speciale norma di protezione del lavoratore per preservarlo dai danni a quel complesso di capacità e di attitudini che viene definito con il termine professionalità, con conseguente compromissione delle aspettative di miglioramento all’interno o all’esterno dell’azienda; compromissione
costituita dal demansionamento che può ridondare in comportamento discriminatorio”90.
Tale bene deve essere inserito nel perseguimento di un equo bilanciamento tra il bene della dignità professionale del lavoratore e la libertà e autonomia dell’imprenditore cui spettano i poteri di organizzazione aziendale: un bilanciamento di interessi tra l’articolo 2103 c.c. e l’articolo 41 Cost. commi 1 e 2.91
Senza dimenticare l’articolo 36 Cost. relativo alla proporzionalità della retribuzione.92
Valutando via via l’articolo 2103 c.c., in combinato disposto con la normativa costituzionale, risulta che, oltre ai valori sopramenzionati, subentrano anche altri tipi di tutele, come quella della salute (art. 32 Cost)93, della dignità personale, alla reputazione e ad altri valori spiccatamente personali o
90 Cfr. Sent. Sez. Un. Cass. n. 25033 del 2006 (Sent. cit.) che a sua volta riprende le parole di Corte Cost. 6 aprile 2004 n. 113 in Riv. Giust. Civ. 2005, 1457 di M. CORTI.
91 Articolo 41 Costituzione: “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”
92 Articolo 36 Costituzione: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi. »
93 Articolo 32 Costituzione:” La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
esistenziali riconducibili agli articoli 1, 2, 3, 4 e 35 della Costituzione.94
Per quanto attiene ai vincoli e ai limiti europei ed internazionali risaltano le norme in genere relative alla tutela e protezione della salute e sicurezza del lavoratore nei luoghi di lavoro, norme relative alla tutela della dignità umana contro le discriminazioni e risalta in modo specifico l’articolo 31 della carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000 che, al comma 1, prevede per tutti i lavoratori “condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose”.
I limiti interni sono determinati dall’articolo 8 stesso, specificatamente dal comma 1 e sono:
94 Articolo 1: “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”
Articolo 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”
Articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
Articolo 4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.” Articolo 35: “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero.”
- La presenza di una specifica intesa collettiva
- Dai livelli aziendale o territoriale della contrattazione collettiva di prossimità
- Dai soggetti firmatari, integrati, a livello aziendale dalle loro rappresentanze sindacali
- Dalla sottoscrizione di tali intese secondo un criterio maggioritario
- Dalla finalizzazione dell’intesa agli obiettivi, ampi e generici, elencati dal legislatore.
Qual è il raccordo tra il comma 1 e la materia in esame?
La deroga alla disciplina delle mansioni sembrerebbe poter essere invocata per ragioni oggettive collegate principalmente, nelle aziende in difficoltà, alla gestione della crisi aziendale ed occupazionale, nelle aziende in crescita agli investimenti e agli incrementi di produttività; individuando così un nesso causale che possa evitare una decisione in senso negativo da parte del giudice. Risulta, però, che il legislatore abbia concesso alla contrattazione collettiva uno strumento troppo grande, tale da poter essere abusato, sul presupposto che, essendo la contrattazione di prossimità più vicina alle esigenze
dell’azienda, possa così riuscire meglio a individuare il punto di equilibrio tra i due principi. E’ vero che il posto i lavoro è importante, ma lo è a tal punto da poter negare i diritti minimi dei lavoratori?
Il legislatore avrebbe potuto individuare dei limiti più precisi, riservando sì alla contrattazione di prossimità il potere/dovere di individuare una disciplina più favorevole all’azienda, soprattutto in questo periodo di crisi, tali da poter evitare un possibile abuso da parte della stessa.
Inoltre è doveroso accennare anche ciò che la Corte costituzionale ha asserito 95 e da cui possiamo trarre il consiglio per cui è meritevole la deroga al principio fintanto che non mutino le condizioni oggettive del mercato del lavoro e non determinino in capo ai lavoratori una rinuncia troppo importante.
L’articolo 8 riguarda in modo puntale il secondo comma dell’articolo 2103 c.c. per quanto attiene la nullità di patti contrari alla disposizione normativa, in quanto vietati quei patti non solo individuali ma anche quelli contenuti in accordi e contratti collettivi.
95 Sent. 181/1989 12 aprile: “L’esigenza di non obliterare la correlazione tra la straordinarietà della situazione di fatto (la disoccupazione giovanile massiccia) e la deroga a fondamentali strumenti di garanzia per i lavoratori vale a maggior ragione rispetto alla norma in discussione, che costituisce ampliamento di una deroga già esistente al genarle principio d’uguaglianza e ad altri valori di rilievo costituzionale. Perciò, il riconoscimento del carattere necessitato ed urgente di tale intervento in vista della tutela del diritto l lavoro dei giovani, da un lato non può giustificare inerzie nella ricerca di altri strumenti che non incidano su tali valori, dall’altro non preclude una riconsiderazione della questione ove il sacrificio di questi si protragga troppo a lungo, pur in presenza di significative modificazioni della situazione considerata”.
La nuova disciplina permette alla contrattazione di prossimità di derogare in pejus creando nuove ipotesi giustificative della dequalificazione declinando i vincoli di scopo individuati dal legislatore in relazioni ai soli scopi collettivi.
c) La terza materia trattata è quella relativa a: “I contratti a termine, i contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, il regime della solidarietà negli appalti e i casi di ricorso alla somministrazione di lavoro”, esaminiamoli uno per volta:
- I contratti a termine:
Sono disciplinati sia dalla direttiva n. 1990/70/CE, sia dalla legge n. 368/2001.
La direttiva CE intende conseguire un duplice obiettivo di garanzia del principio di non discriminazione e della prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di rapporti di lavoro a tempo determinato, determinando, a carico degli stati membri, misure dirette a determinare le ragioni oggettive per la giustificazione del rinnovo dei contratti, la durata massima totale dei rapporti, il numero di rinnovi possibili facendo, nascere la domanda di come possa essere possibile per la contrattazione aziendale modificare la durata di utilizzo di tale tipologia di contratti senza incorrere in un controllo giudiziale.
- Contratti ad orario ridotto, modulato e flessibile:
Disciplinati dalla direttiva n. 97/81/CE che richiede la soppressione delle discriminazioni subite dai lavoratori part- time e il d.lgs. n. 61/2000 in tema di clausole elastiche e flessibili.
L’articolo 8, quindi, pare di dubbia applicabilità proprio perché in contrasto con tale discipline che non permettono, come invece potrebbe fare l’articolo8, di sopprimere le garanzie previste che sono quelle di non ledere la libertà del lavoratore, prevedendo che un contratto di lavoro subordinato possa modificarsi in un contratto che non garantisce più spazio di libera disposizione del tempo di vita compreso quello non impegnato nell’attività lavorativa. 96
- Regime di solidarietà negli appalti:
Sorge il problema di capire quale tipo di contratto di contratto debba essere applicato.
Vengono ricompresi nella lettera d) del comma 2 “i casi di somministrazione di lavoro”, attenendosi sia alla somministrazione a tempo determinato, sia a tempo indeterminato.
Per quanto riguarda la seconda ipotesi, dovrebbe ritenersi precluso per la contrattazione collettiva prevedere dei casi ulteriori rispetto a quelli tassativamente previsti dall’articolo 20, comma 3 del d.lgs. 276/2003; inoltre andrebbero a minare
96 Cfr. Corte Cost. 11 maggio 1992, n.210, in Giur. It. 1993, I, 1, 277.
un principio costituzionale sancito dall’articolo 41, comma 2 della Cost. laddove tutela la dignità del lavoratore innanzi alla libertà di iniziativa economica privata. L’utilizzo potenzialmente sconsiderato della somministrazione di lavoro a tempo indeterminato troverebbe un limite in queste due previsioni.
Tutto ciò viene sconfessato dall’art. 20, comma 3, lett. i) del d.lgs. 276/2011 che prevede che la somministrazione a tempo indeterminato possa essere consentita “in tutti gli altri casi previsti dai contratti collettivi di lavoro nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori di lavoro e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentativi”.
Riguardo alle norme comunitarie97 sembra sia possibile, per i contratti di lavoro sia di livello nazionale che aziendale, poter derogare alle normative di legge, sempre però rispettando le tutele e le garanzie minime dei lavoratori.
L’influenza che pare aver dato l’articolo in questione, combinando insieme il comma 2 e il 2-bis, è di portare ad una dilatazione dei casi consentiti di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato che potrebbe agevolare l’occupazione in un periodo, come sappiamo bene, di crisi.
d) La disciplina dell’orario di lavoro:
La disciplina dell’orario di lavoro è una ridondanza poiché già da tempo è stato riconosciuto alla contrattazione collettiva e alla legge stessa di poter derogare alla disciplina
97 Direttiva 2008/104/Ce del 19 novembre 2008 e in modo specifico i considerando numero 13 e 17.
di riferimento tramite la Direttiva n.2003/88/CE che definisce gli orari medi di durata della prestazione lavorativa giornaliera, ai riposi settimanali, alla durata del lavoro notturno, e la l. 66/2003la quale appunto consente già, all’articolo 17, la derogabilità da parte della contrattazione collettiva e che addirittura individua la contrattazione collettiva come fonte di regolazione privilegiata in determinate xxxxxxx00 e solo in assenza di essa interviene in via suppletiva la legge.
Tenendo sempre conto dei vincoli costituzionali e dei commi 2 e 3 dell’articolo 36 Cost. e in generale della esigenza di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Ad una attenta analisi possiamo convenire che, già le deroghe ammesse dalla normativa di legge 66/2003 siano in contrasto con i dettati costituzionali; si pensi infatti alla deroga alla durata minima di 11 ore di riposo giornaliero che sembra essere l’unico parametro certo per la definizione della giornata lavorativa ex art. 36 Cost. 99
Pare che l’articolo 8 non introduca novità importanti relativamente all’orario di lavoro.
98 Ad esempio: disciplina dello straordinario al quale la legge pone dei limiti solo “in difetto di disciplina collettiva applicabile”. Identica formula è riscontrabile anche all’art.1, comma 2, lettera e) n. 2 ai fini della definizione del lavoratore notturno in relazione alle ore lavorate in periodo notturno; così per le ipotesi in cui è ammesso lo straordinario (art. 5, comma 4) e per la regolazione delle pause (art.8).
99 Articolo 36, commi 2 e 3: “La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.”