UNIVERSITA’ DI PISA
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UNIVERSITA’ DI PISA
Dipartimento di giurisprudenza
Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza
IL CONTRATTO DI SWAP NELLA DINAMICA DEGLI STRUMENTI FINANZIARI DERIVATI
Analisi delle criticità sul piano interpretativo
CANDIDATO RELATORE
Xxxxxxx Xxxxxxxxx Xxxxx.xx Xxxx Xxxxxx Xxxxxxxxx
Anno Accademico 2013/2014
INDICE
1 INTRODUZIONE p. 5
2 ORIGINI STORICHE DEI CONTRATTI DERIVATI
2.1 Introduzione p. 12
2.2 Cenni storici dall’antichità al periodo contemporaneo p. 12
2.3 I primi mercati di derivati: La “tulipanomania” e il “Chicago Board of trade”
2.3.1 “Tulipanomania” e la nascita delle opzioni p. 15
2.3.2 Il “Chicago board of trade” come primo mercato regolamentato di futures p. 17
2.4 Gli strumenti finanziari derivati ai nostri giorni p. 19
3 TIPOLOGIE E CLASSIFICAZIONI DEI CONTRATTI DERIVATI
3.1 | Introduzione | p. 21 |
3.2 | Derivati uniformi e derivati over the counter | p. 21 |
3.2.1 Etero e auto regolamentazione | p. 22 | |
3.2.2 Liquidità e illiquidità | p. 24 | |
3.2.3 Rischio di controparte | p. 25 | |
3.3 | Derivati Plain Vanilla e Exotic. Gli archetipi di derivati | p. 31 |
3.3.1 Il contratto future e il forward 3.3.1.1 Il contratto future | p. 32 | |
3.3.1.2 Funzione del future | p. 34 | |
3.3.1.3 Il contratto forward, analogie e differenze con i | ||
future | p. 36 | |
3.3.2 Il contratto option | p. 38 | |
3.3.2.1 Funzione del contratto option | p. 42 | |
3.3.3 Lo Swap | p. 44 |
4 LO SWAP
4.1 Origine storica dello swap p. 45
4.2 Tipologie di swap p. 47
4.2.1 L’interest rate swap p. 48
4.2.1.1 Il Currency swap p. 52
4.2.1.2 Domestic currency swap (DCS) p. 55
4.2.2 I Credit default swap (CDS) p. 57
4.2.2.1 Cenni storici sui credit default swap p. 58
4.2.2.2 Definizione e peculiarità del credit default
swap p. 59
4.2.2.3 Inquadramento giuridico del credit default swap, e possibili accostamenti ad altre tipologie contrattuali.
Credit default swap e swap tradizionale p. 63
Credit default swap e fideiussione p. 64
Credit default swap e assicurazione p. 66
4.3 Gli Swap e il rischio p. 67
4.3.1 Le funzioni economiche dello swap p. 68
4.3.1.1 Finalità di copertura (hedging) p. 69
4.3.1.2 Finalità speculativa (trading) p. 70
4.3.1.3 Finalità di arbitraggio p. 71
4.3.1.4 Rilevanza della distinzione e tesi della inscindibilità delle funzioni p. 72
4.3.2 La leva finanziaria p. 74
5 QUALIFICAZIONE GIURIDICA DELL’INTEREST RATE SWAP
5.1 Introduzione, varie metodologie di classificazione p. 77
5.2 Metodo della sussunzione p. 78
5.2.1 IRS e contratto differenziale p. 79
5.2.2 Swap e scommessa p. 80
5.2.3 IRS come scommessa autorizzata nella sentenza della Corte d’Appello di Milano 3459/2013 p. 83
5.3 Critica alla tesi della scommessa p. 87
5.4 Indagine causale e sua necessità p. 91
5.4.1 Lo strumento finanziario derivato come risultante
dell’atto negoziale p. 92
5.4.2 IRS e meritevolezza degli interessi p. 92
5.5 Il problema del concetto di causa, la causa astratta e la causa Concreta p. 93
5.6 Causa astratta ed oggetto dell’interest rate swap p. 99
5.7 Natura giuridica degli IRS
5.7.1 Contratti aleatori o contratti commutativi p. 101
5.7.2 Varie ricostruzioni del concetto di alea p. 103
5.7.3 Swap come contratti aleatori p. 105
5.7.4 Swap come contratti commutativi p. 106
5.7.5 Teoria commutativa e ragioni dell’esclusione della
risoluzione per eccessiva onerosità 5.7.6 La teoria dell’alea normale illimitata 5.8 La causa concreta negli interest rate swap | p. 108 p. 110 p. 111 |
6 LA CLAUSOLA DI UP-FRONT NEI CONTRATTI DI IRS 6.1 La clausola di up-front | p. 117 |
6.2 L’up-front come finanziamento occulto | p. 122 |
6.2.1 Conseguenze giuridiche dell’inquadramento alla stregua di finanziamento: la forma e il reato d’usura | p. 125 |
6.2.2 Conseguenze giuridiche dell’inquadramento alla | |
stregua di finanziamento: incidenza sulla causa, teoria del negozio c.d complesso e c.d. collegato | p. 129 |
6.3 Up-front e causa concreta | p. 133 |
6.4 Up-front e difetto di causa per eccessiva sproporzione delle prestazioni | p. 134 |
6.5 Up-front come tecnica negoziale del contratto |
6.5.1 Up-front come anticipazione di futuri flussi
di pagamento p. 135
6.5.2 Up-front come meccanismo riequilibratore delle
prestazioni in swap c.d. non par p. 138
7 LA NATURA GIURIDICA DELL’OPERAZIONE DI RIMODULAZIONE DEI CONTRATTI DI IRS
7.1 Introduzione p. 141
7.2 La tesi del collegamento negoziale p. 141
7.2.1 Il collegamento negoziale tra l’accordo risolutorio e
lo swap rinegoziato p. 143
7.3 La tesi della novazione p. 146
8 CONCLUSIONI p. 149
BIBLIOGRAFIA p. 156
Capitolo primo INTRODUZIONE
“Gli speculatori possono essere innocui se sono delle bolle sopra un flusso regolare di imprese economiche; ma la situazione è seria se le imprese diventano una bolla sospesa sopra un vortice di speculazioni. Quando l'accumulazione di capitale di un paese diventa il sottoprodotto delle attività di un Casinò, è probabile che le cose vadano male”1.
In questi termini si esprimeva, nel 1936, ovvero all’indomani della grave crisi del ’00, Xxxx Xxxxxxx Xxxxxx, per descrivere i rapporti che, a suo avviso, devono intercorrere fra economia reale e economia finanziaria affinché si possa realizzare un sistema economico efficiente e, di conseguenza, affidabile. A quasi un secolo di distanza, possiamo affermare che lo sviluppo dell’economia non si sia mosso nella direzione auspicata dal più grande economista moderno, ma che, al contrario, i rapporti fra economia reale e finanziaria si siano ribaltati, facendo registrare una netta predominanza della seconda sulla prima e generando, come previsto da Xxxxxx, tutta una serie di effetti destabilizzanti per il sistema economico mondiale.
Le statistiche odierne, se osservate alla luce delle parole di Xxxxxx, non possono che risultare molto preoccupanti. Nel corso degli ultimi 10 anni, infatti, il PIL mondiale è raddoppiato e questa è sicuramente una notizia positiva, ma non abbastanza se rapportata all’andamento delle attività finanziarie che, nello stesso periodo di tempo, sono addirittura triplicate raggiungendo livelli, in termini monetari, veramente spaventosi per la loro grandezza. A fronte infatti di un PIL mondiale lordo di 75 mila miliardi di dollari, si registra, infatti, un livello di attività finanziarie globali pari a 993 mila miliardi di dollari, di cui, e questo è il
1 “Speculators may do no harm as bubbles on a steady stream of enterprise. But the situation is serious when enterprise becomes the bubble on a whirlpool of speculation. When the capital development of a country become a by-product of the activities of a casino, the job is likely to be ill-done”, J. M. Xxxxxx, p. 142
dato forse ancor più preoccupante, solo 283 mila sono finanza primaria, ovvero azioni, obbligazioni e attivi bancari; tutto il resto, 710 mila miliardi di dollari, sono invece prodotti derivati over the counter (OTC) scambiati fuori dai mercati regolamentati, dei quali solo una piccola quota è legata a transazioni che hanno a che fare con l’economia reale2.
Alla luce di questa, seppur breve, disamina delle statistiche possiamo legittimamente affermare che i derivati e, in particolare, i derivati over the counter, quelli cioè negoziati, in privato, al di fuori dei mercati regolamentati, rappresentano ad oggi la fetta più grande dell’economia mondiale e, anche a causa di tale ingente mole, sono, dai più, additati, pur non senza plausibili giustificazioni, quali causa primaria di quasi tutti gli scandali finanziari moderni, nonché della ben più grave crisi finanziaria globale che ha investito, da principio, l’America nel 2007, propagandosi poi in tutto al resto del mondo, che sembra ancora faticare molto per riuscire a sottrarsi alle sue conseguenze disastrose. A tale proposito tornano di grande attualità le parole di chi, in tempi più o meno recenti, ha descritto i derivati come “la bestia selvaggia della finanza”3, o di chi ne ha suggerito un paragone con le droghe pesanti4, o chi addirittura si è spinto a etichettare gli stessi quali “arm[i] di distruzione di massa che pon[gono] rischi mega-catastrofici per i mercati finanziari”5.
A queste pesanti descrizioni si contrappongono, però, diverse visioni di tali strumenti che, unite alle precedenti, concorrono a generare agli occhi dell’opinione pubblica una grande confusione in merito al giudizio di valore relativo a tali strumenti. Ad esempio Xxxxxxxxxx Xxxxxxx0, amministratore delegato di UniCredit Group, nel 2004 aveva descritto i derivati quali “strumenti
2 X. Xxxxxx, Xxxxxxx, un trilione di dollari che soffoca l’economia reale
3 X. Xxxxxxxxx, Derivatives, the wild beast of finance, ed. Wiley, 2000
4 X. Xxxxxxxxxx, “i derivati, a volte, assomigliano a droghe pesanti” (24 marzo 2004)
5 W. Buffet, 4 marzo 2003
6 A tale proposito è utile ricordare che lo stesso Xxxxxxx, insieme ad alti dirigenti di UniCredit risultino indagati in varie indagini di procure italiane (vedi procura di Bari) per aver provocato il fallimento di aziende inducendole, con l’inganno, a sottoscrivere svariati contratti derivati (in particolare interest rate swap) «rappresentandogli falsamente - scrive il pm di Bari nell’avviso di conclusione indagini - che la stipula (...) non avrebbe esposto la società ad alcun rischio».
che servono per chiudere rischi finanziari, utili e usati da tutti” e anche lo stesso Xxxxx Xxxxxx, attuale presidente della BCE ne aveva esaltato la funzione di copertura dei rischi riconoscendone, però, allo stesso tempo la natura di “armi a doppio taglio” data la loro pericolosità intrinseca. Tale, confusionario, quadro di opinioni rispecchia, l’altrettanto confusionaria, idea diffusa nel mondo sul che cosa sono i derivati.
Questo lavoro si sviluppa, in tale contesto, proprio con l’obiettivo di cercare fare ordine e chiarezza sulla natura degli strumenti finanziari derivati e di fornire un inquadramento degli stessi alla stregua dei principi e dei dogmi tipici del nostro ordinamento civilistico. Tale operazione si è rivelata, invero, non scevra da difficoltà, anche di notevole portata, dovute in gran parte alla circostanza che, usando le parole di De Nova, i contratti derivati appaiono agli occhi dell’ordinamento italiano quali “contratti alieni”, ossia contratti importati da paesi esteri, nel nostro caso di Common Law, a cui, però si applica il diritto italiano, per espressa scelta delle parti o per l’operare delle norme di diritto internazionale privato.
L’opera prende le mosse da una breve ricostruzione storica dei contratti derivati generalmente intesi, finalizzata per lo più ad evidenziare come essi siano sorti, contrariamente all’opinione diffusa che li concepisce come prodotti della finanza moderna, in epoche per lo più risalenti, essendo finalizzati, quantomeno nelle loro forme primigenie, alla soddisfazione di esigenze connaturate al mondo del commercio, ed in particolar modo alla copertura di rischi che fisiologicamente derivano dall’attività commerciale. Sempre ai fini di un inquadramento generale della categoria, segue un’analisi, svolta attraverso delle classificazioni indispensabili per la conoscenza del mondo dei derivati, delle tipologie fondamentali di tali strumenti, definite anche archetipi di derivati, che servono da base per ogni ulteriore elaborazione compiuta, non senza una certa dose di fantasia e creatività, dagli operatori di mercato. A tale riguardo, molto rilevante è la distinzione, in parte già menzionata fra contratti derivati c.d. uniformi, ossia negoziati all’interno di mercati regolamentati e, quindi, standardizzati e
accompagnati da un efficiente sistema di garanzia finalizzato a neutralizzare il rischio di vedere inadempiuto il contratto stesso (c.d. rischio di controparte); e contratti derivati c.d. over the counter (maggiori per volume di contrattazioni), ossia quei contratti negoziati in privato fra le parti che proprio al rischio di controparte risultano maggiormente esposti.
Una volta terminata, senza alcuna pretesa di completezza, la disamina generale dei contratti derivati, il lavoro prosegue con l’analisi del contratto di swap nelle sue varianti fondamentali e, più nel dettaglio dell’ interest rate swap, ovvero lo swap sui tassi di interesse, quale argomento centrale dell’opera. La ragione che ci ha spinto a concentrare la nostra attenzione proprio su quella determinata tipologia di derivato riguarda l’importanza in termini qualitativi e quantitativi che esso riveste nell’economia moderna, italiana e non solo. Secondo le rilevazioni della Banca d’Italia, infatti, nel giugno 2014, ben il 64,2 % delle contrattazioni in derivati in Italia hanno avuto ad oggetto contratti di interest rate swap7, stipulati, per lo più, con imprese ed Enti Locali. Proprio la prassi di sottoscrizione di tali contratti da parte di Comuni, Regioni, Province, ma anche dei più svariati generi di enti pubblici, è attualmente al centro di aspre, e più che giustificate, polemiche, dal momento che secondo i dati diffusi dal Ministero del Tesoro i contratti derivati in vigore al 31 dicembre 2014 a carico di enti locali risultano essere 433 per un numero di enti coinvolti di 216. Nonostante queste rilevazioni evidenzino un positivo calo rispetto ad anni precedenti, ed in particolare a seguito dell’introduzione nel 2008 (anno in cui avevano toccato il picco massimo di 1200 con un numero di enti coinvolti pari a 695) della particolare disciplina limitativa delle stipulazioni in derivati degli Enti stessi8, tali cifre risultano essere ancora molto preoccupanti, dato il rischio che il funzionamento tipico di tali contratti generi perdite potenzialmente illimitate a carico delle casse di enti, spesso incapaci di farvi fronte.
7 xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxxx.xx/xxxxx/xxxxxxxxxx/xxxxxxxxx/0000-00/xx-xxxx-xxx-xxxxxxx- 0614.pdf
8 La prima normativa a riguardo risale all’art. 62, d.l. 25 giugno 2008, n. 112
Il nostro lavoro si è quindi indirizzato verso un’analisi della complessa, nonché quanto mai dibattuta, natura giuridica dell’interest rate swap, alla stregua dei canoni del nostro diritto. Tale operazione si è rivelata molto complessa a causa, principalmente, dell’inadeguatezza della nostra dogmatica civilistica ad adattarsi e ricomprendere al suo interno figure contrattuali esterne e molto flessibili nella loro struttura fondamentale (difficoltà testimoniate anche dalle opinioni molto differenti tra loro diffuse in dottrina e giurisprudenza sull’argomento). Per svolgere un’indagine quanto più possibile completa abbiamo ritenuto indispensabile procedere secondo due diverse strade. Da una parte abbiamo cercato di percorrere un ragionamento “induttivo” basato sull’accostamento del contratto in esame ad altre tipologie già conosciute e disciplinate dal nostro ordinamento, al fine di trovare delle analogie abbastanza forti da giustificarne un’estensione di disciplina o, al contrario, differenze tali da escluderla. Dall’altra parte abbiamo seguito un ragionamento “deduttivo” fondato sull’analisi della fattispecie particolare; prendendo le mosse, perciò, da un’analisi approfondita della causa dei contratti di interest rate swap, per giungere ad analizzare anche il loro diverso inquadramento all’interno della categoria dei contratti c.d. commutativi, ovvero, al contrario, all’interno dei contratti c.d. aleatori. Tale, ultima operazione non ha soltanto una sterile valenza teorica, dal momento che essa porta con se importanti conseguenze pratiche, in particolare con riguardo alla possibile applicabilità ai contratti in esame dei rimedi risolutori che l’ordinamento prevede esclusivamente per i contratti commutativi, quali, primo fra tutti, la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione.
A nostro avviso è apparso doveroso, inoltre, al pari dell’analisi della causa astratta del contratto intesa nella sua accezione classica di funzione economico- sociale, un approfondimento sul tema della c.d. causa concreta del contratto, quale “sintesi degli interessi reali che il contratto è diretto a realizzare, e cioè come funzione individuale del singolo, specifico contratto, a prescindere dallo
stereotipo contrattuale astratto”9. Tale concetto ha, invero, assunto un’importanza cruciale in tema di interest rate swap essendo l’elemento sulla base del quale molte corti sono giunte ad annullare singoli contratti, ovvero catene di contratti rimodulati, proprio per difetto di causa in concreto. Secondo il parere della giurisprudenza, infatti, essa appare come il metro valutazione più idoneo per valutare la legittimità degli accordi in esame, permettendo di svolgere un’indagine sulla rispondenza degli stessi agli effettivi bisogni del cliente.
L’analisi della natura giuridica degli interest rate swap, inoltre, è stata fondamentale per l’ulteriore sviluppo dell’opera ed, in particolare, per l’analisi giuridica dell’argomento cardine della stessa, ossia l’up-front. Con tale termine si è soliti indicare una somma di denaro che viene corrisposta, all’interno di contrattazioni OTC, dall’intermediario a favore del cliente al momento della prima stipulazione del contratto o, più frequentemente, in sede di rimodulazione di precedenti accordi. Questa pratica è, invero, tanto diffusa quanto pericolosa, dal momento che presuppone sempre un implicito piano di rientro delle somme erogate basato sulla modifica, in senso peggiorativo per il cliente delle originarie condizioni del contratto, finendo così per imporre allo stesso oneri molto elevati a fronte di guadagni sempre più incerti. Inoltre in questo, per niente trasparente, meccanismo si celano grandi possibilità di abusi e, conseguentemente di guadagni illeciti, da parte di intermediari che tendono ad usare l’up-front quale strumento finalizzato a concedere liquidità immediata al cliente (finalità molto desiderata da Enti Pubblici in difficoltà con la chiusura dei propri bilanci), ovvero a coprire perdite accumulate dai clienti con precedenti contratti al fine protrarre nel tempo gli effetti negativi degli stessi fino al giorno di chiusura dell’operazione in cui il cliente si troverà a dover pagare somme anche molto ingenti. Ebbene, un inquadramento giuridico, secondo i principi del nostro diritto, di tale fenomeno è opera alquanto delicata, per altro per niente coadiuvata da disposizioni normative per lo più inesistenti a riguardo. In questo lavoro abbiamo analizzato, in tutte le diverse sfaccettature, le due correnti dottrinarie e giurisprudenziali maggiormente
9 Cass., 8 maggio 2006, n. 10490
condivise, ossia quella dell’up-front come finanziamento occulto, ovvero la diversa interpretazione dello stesso come tecnica negoziale del contratto di IRS.
Infine abbiamo dedicato un capitolo al tema, quanto mai attuale, della natura giuridica dell’operazione di rimodulazione di contratti swap. A seconda dei punti di vista, entrambi sposati dalla giurisprudenza, tale operazione può, infatti, diversamente atteggiarsi in termini di collegamento negoziale, con conseguente trasmissione delle cause di invalidità da un contratto all’altro; ovvero in termini di novazione oggettiva, con esclusione, quindi, del suddetto effetto traslatorio.
Il nostro auspicio è sicuramente che questo lavoro contribuisca a mettere ordine, in termini il più possibile chiari e limpidi, in questo, quanto mai, spinoso e complesso fenomeno che, invero, sta influendo, spesso in termini realmente catastrofici, sull’economia, non solo finanziaria, ma anche reale, del paese ed, in particolar modo, sulle sorti di molte imprese stremate da operazioni spesso troppo “disinvolte”, quando non criminali, poste in essere da, troppo risoluti, banchieri.
Capitolo secondo
ORIGINI STORICHE DEI CONTRATTI DERIVATI
2.1 Introduzione
I contratti derivati, in tempi recenti e specialmente dopo l’esplodere della crisi finanziaria globale del 2008, stanno attirando l’attenzione mondiale principalmente per due ordini di motivi. In primo luogo per il ruolo di primaria importanza che rivestono nel volume delle negoziazioni, ma anche, e soprattutto, a causa delle insidie e dei pericoli impliciti negli stessi.
Nonostante i più ritengano che gli strumenti finanziari derivati costituiscano un’invenzione dei tempi recenti, sviluppatasi per lo più intorno agli anni ’90, essi hanno, in realtà, una storia molto lunga e anch’essa scandita da crisi economiche che il loro uso, sconsiderato, ha comportato. Alcuni archetipi di contratto, riconducibili alle tipologie fondamentali di derivati, si possono, infatti, riscontrare già in età antica. Cercheremo, quindi, brevemente, di ripercorrere la, lunga, storia dei contratti derivati, al fine di mettere in evidenza come essi, anche in tempi meno recenti, abbiano sempre rappresentato una parte integrante della vita commerciale, permettendo di dare una risposta concreta ad esigenza connaturate al commercio stesso.
2.2 Cenni storici dall’antichità al periodo contemporaneo
Un primo esempio di contratto derivato sembra poter essere rintracciato nella Bibbia (Genesi 29), testo sacro dell’ebraismo, prima, e, successivamente, anche del cristianesimo. I fatti narrati sarebbero da collocarsi, per tradizione, intorno al 1700 a.C.
In quelle pagine si narra la storia di Xxxxxxxx, il quale, innamorato di Xxxxxxx, figlia di Xxxxxx, acquista da lui il diritto (in termini moderni l’opzione) di sposarla, dopo sette anni di lavoro gratuito al suo servizio. Scaduti i sette anni, però, Xxxxxxxx viene raggirato da Xxxxxx il quale sceglie, secondo gli usi del
tempo, di concedergli quale sposa, non Xxxxxxx, ma la primogenita, Xxx, descritta come la figlia dagli “occhi smorti”. Non soddisfatto Xxxxxxxx riuscirà ad avere la mano di Xxxxxxx solo in cambio di ulteriori sette anni di lavoro. Xxxxxxxx concludere, quindi, che a causa della mancanza di controllo sul mercato, il primo derivato della storia si concluse con un default, poiché Xxxxxxxx fu costretto a pagare il doppio del prezzo convenuto per un bene che, nel frattempo, si era svalutato10.
Un caso diverso, e più rispondente alla logica derivata, in quanto teso a soddisfare interessi economici, è quello che viene narrato da Xxxxxxxxxx00, riguardante Talete di Xxxxxx, il quale, avendo “capito che vi sarebbe stata una grande produzione di olive, in base allo studio degli astri, quand’era ancora inverno, provvistosi di poche sostanze riuscì a dar caparre per i frantoi di Xxxxxx e di Chio, tutti quanti, prendendoli a nolo per poco visto che nessuno offriva di più. Quando poi venne il momento che erano in molti a ricercare i frantoi tutti insieme e all’improvviso, dandoli in affitto al modo che voleva lui, radunate molte sostanze giunse a mostrare che per i filosofi è facile arricchire se lo vogliono, ma non è questo ciò di cui si preoccupano”.
In queste poche righe, scritte per lo più per affermare la distanza della filosofia dal mondo degli affari, molti12 hanno visto il primo contratto futures di cui si abbia traccia. In esso, infatti, sarebbero rintracciabili gli elementi tipici di tale contratto quali la vendita futura, il pagamento di una caparra, nonché le previsioni e l’aspettativa riguardanti il verificarsi di situazioni favorevoli per la remunerazione dell’investimento, in questo caso l’abbondanza del raccolto di olive.
Tralasciando questi aneddoti, seppur molto significativi, per trovare un rudimentale mercato dei derivati dobbiamo spostarsi in Medio Oriente dove le promesse future di vendite di beni erano largamente diffuse tra le popolazioni
10 G. B. Xxxxxxx, p. 6; X. Xxxxxxx Xxxxxx, p. 2; X. Xxxxxx, x. 00
00 Xxxxxxxxxx, Politica, A 11, 1259a
12 X. Xxxxxxxxx, premessa ; X. Xxxx, p. 21; X. Xxxxxxx Xxxxxx, p.2; G. B. Xxxxxxx, p. 6
residenti (mesopotami, egizi, assiri, babilonesi), soprattutto nel commercio di beni agricoli. Il luogo prescelto per gli scambi, come per tutte le attività accessorie (quali contrattazioni, controllo delle merci ecc..) era il tempio, da alcuni definito la prima clearing house della storia. Ciò non deve stupire in quanto anche la regolamentazione dei commerci era totalmente ispirata a principi religiosi13.
Successive tracce di vendita futura si trovano, in Europa, nelle fiere medioevali francesi e inglesi del XII secolo, le quali, pur avendo raggiunto dimensioni e complessità ragguardevoli, non possono ancora essere definite veri e propri mercati organizzati, a causa della mancanza, appunto, di standardizzazione dei prodotti nonché di una disciplina delle transazioni tale da tutelare gli operatori presenti sugli stessi14. Frequenti erano, infatti, già all’epoca, truffe ai danni dei compratori.
Quello che risalta, però, è come gli strumenti finanziari derivati siano stati originati in contesti attinenti ai traffici di derrate alimentari, permettendo ai compratori di tutelarsi contro eventuali rialzi o ribassi del prezzo della merce dovuti ad accadimenti, per lo più meteorologici ma non solo, in grado di incidere sulla qualità e la quantità dei raccolti15.
Un’eccezione a questa prassi, segno anche di un elevato ingegno finanziario, è rappresentata da quello che è stato definito il primo swap della storia, ossia il contratto stipulato nel 1164 dalla città di Genova la quale, attraverso un meccanismo simile a quello, purtroppo frequente ai giorni nostri nei rapporti tra banche ed enti locali, vendette ad un gruppo di finanziatori organizzati in un Monte le entrate fiscali future di alcuni anni in cambio di un anticipo immediato16.
13 X. Xxxxxx, p.47
14 X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx, p. 581
15 X. Xxxxxxx, p. 1
16 X. Xxxxxx, p. 48; X. Xxxxxxx Xxxxxx, p. 2
2.3 I primi mercati di derivati: La “tulipanomania” e il “Chicago Board of trade”
2.3.1 “Tulipanomania” e la nascita delle opzioni
Un primo esempio di mercato di strumenti finanziari “derivati”, per lo più svincolati da necessità alimentari, è quello che si è sviluppato in Olanda (in particolare nelle città di Amsterdam e Anversa, non a caso note ai cronisti per la loro dedizione al “gioco d’azzardo”17) nel XVII secolo, intorno al commercio dei tulipani. Tali traffici hanno, per altro, portato alla prima bolla speculativa18 della storia, generata dalle vendite a termine (futures) di tali fiori. Il fenomeno è passato alla storia con il nome di “Tulipanomania”19.
Per inquadrare la vicenda bisogna fin da subito chiarire come, nel XVII secolo, i tulipani, importati pochi anni prima dalla Turchia nei Paesi Bassi grazie alla loro capacità di resistere al clima rigido del paese, iniziarono, in breve tempo, a rappresentare un bene di lusso a causa dell’elevata richiesta proveniente dai ceti abbienti di tutto il mondo che vedevano nel fiore uno status symbol della loro
17 X. Xxxxxx, p. 356
18 “Con il termine bolla speculativa si definisce il sentiero esplosivo che si forma nel prezzo di un bene e che lo porta, progressivamente sempre più distante dai valori compatibili con le fondamentali economiche dello stesso, dove con fondamentali economiche ci si riferisce a quelle particolari ragioni economiche che sottostanno al movimento di un prezzo” (xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxx/xxxxx-xx-xxxxx/xxxxxxxxxxxxxxxx.xxx). Semplificando al massimo possiamo suddividere il meccanismo che porta alla formazione di una bolla speculativa in due fasi. In un primo momento si determina una crescita esponenziale del prezzo di un determinato bene, causato da una forte domanda dello stesso che può essere dovuta a vari fattori, fra i quali il più importante è sicuramente l’aspettativa degli investitori sulla continua crescita del prezzo stesso. Una seconda fase è definita invece scoppio della bolla e si ha nel momento in cui, per la saturazione dei mercati, ovvero perché il prezzo del bene ha raggiunto livelli tali da precluderne l’acquisto ad ulteriori investitori, il prezzo inizia a scendere. In questo caso spesso chi detiene il bene, preoccupato dell’andamento decrescente dei prezzi, si affretta a venderlo, creando così un eccesso di offerta ed un conseguente crollo dei prezzi. (xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxx-x-xxxxxxx/xxxxx-xxxxxxxxxxx.xxx)
19 Per una ricostruzione accurata della vicenda la fonte più remota e più importante in argomento è sicuramente “Extraordinary popular delusion and madness of crowd” di Xxxxxxx Xxxxxx, del 1841 (invero contestata da alcuni storici, ma dai più ritenuta attendibile); X. Xxxxxx, p. 357 ss.
ricchezza, oltre che, ovviamente, un’occasione redditizia di investimento speculativo20. Solo a titolo esemplificativo possiamo ricordare che, nei primi decenni del 1600, il prezzo massimo documentato per un tulipano raggiunse i 5200 fiorini a fronte di un reddito medio procapite di 250 fiorini e di un prezzo di 1600 fiorini pagato per la celebre Ronda di notte di Xxxxxxxxx venduta negli stessi anni21.
Quello che interessa ai fini del nostro esame sono, però, le tecniche di negoziazione che vennero ideate per permettere la commercializzazione dei bulbi di tulipano che, essendo legati ai cicli naturali, in principio erano venduti solo da giugno, mese in cui venivano dissotterrati, a settembre, momento in cui venivano ripiantati22. Data l’elevata domanda, però, negli anni trenta del XVII secolo (i cronisti parlano del 163423) si iniziarono a sviluppare intensi traffici con impegni di vendita basati sullo scambio, durante i mesi in cui erano chiuse le vendite, di pagherò, nei quali veniva stabilito il prezzo finale di acquisto e che venivano ceduti in cambio del pagamento immediato del 10% di esso. Attraverso l’acquisto di tali titoli si acquisiva il diritto all’acquisto del bulbo in estate. È interessante notare come questi commerci, almeno in un primo momento, non si svolgessero all’interno delle borse valori ma in collegi privati, spesso all’interno di taverne24. Tale caratteristica è rilevante se posta a confronto con quanto avviene oggi nel commercio di derivati over the counter.
Questa pratica25, definita “commercio del vento” (windhandel)26 proprio a causa della immaterialità delle contrattazioni, finì per dar vita ad un forte fenomeno
20 Xxxxxx S., p. 361; xxxx://xxxxxxxxxxxxxxxxxx.xxxxxxx.xxx/xx-xxxxx-xxx-xxxxxxx-xx- speculazione-di-oggi-e-la-bolla-dei-tulipani.57961.html; xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxx.xxx/xxxxxxx- analisi-tecnica/la-mania-dei-tulipani-e-le-grandi-bolle-speculative-quando-la-storia-si-ripete/
21 X. Xxxxxx, p. 33; xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxx.xxx/xxxxxxx-xxxxxxx-xxxxxxx/xx-xxxxx-xxx-xxxxxxxx-x- le-grandi-bolle-speculative-quando-la-storia-si-ripete/
22 xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxx.xx/0000xxxxxxxx.xxxx
00 Xxxxxx X, p. 362
24 Xxxxxx S., p. 369
25 X. Xxxxxx, p. 33 definisce questo meccanismo come “cartolarizzazione ante litteram”.
26 Xxxxxx S., p. 368, racconta come i cronisti dell’epoca valutavano tale commercio, a tutti gli effetti, alla stregua del gioco d’azzardo dal momento che i prezzi raddoppiavano o triplicavano anche nel giro di uno o due giorni, favorendo un’ondata speculativa senza precedenti.
speculativo, basato sulla vendita e rivendita, non tanto dei bulbi, quanto degli stessi pagherò. Il trading che si sviluppò intorno ai bulbi portò ben presto ad un elevato, quanto sempre più rapido, rialzo dei prezzi che fece esplodere la c.d. bolla speculativa del 163727. Essa fu scatenata da un’asta, andata deserta, ad Haarlem che innescò il panico fra i detentori dei titoli di acquisto i quali si affrettarono a rivendere in massa i titoli facendo crollare l’intero mercato. Proprio da questa crisi ebbe origine l’idea dell’opzione. Infatti, a fronte di numerose persone che finivano per possedere titoli che obbligavano all’acquisto di bulbi il cui valore era ormai ridotto anche di dieci volte rispetto a quello per cui avevano stipulato il contratto, la corporazione dei fioristi olandesi, con decisione successivamente ratificata dal Parlamento, escogitò l’espediente di considerare tali contratti (in realtà veri e propri futures) quali moderne opzioni, non riconducendo più ad essi un obbligo di acquisto, bensì una semplice facoltà (rectius un diritto) dell’acquirente, il quale poteva decidere di non esercitarlo qualora, dato lo scarso valore del bene, l’acquisto dello stesso non fosse più conveniente28.
Possiamo quindi affermare che l’opzione nasce, in Olanda29, come derivato dal contratto a termine, attraverso la conversione dell’obbligo di acquisto in diritto e dell’anticipo in premio.
2.3.2 Il “Chicago board of trade” come primo mercato regolamentato di futures
Per vedere la nascita del primo “mercato dei futures” organizzato in forma moderna30 bisogna però attendere circa due secoli. Esso trae origine dall’enorme volume di affari legati al commercio del grano che si andava sviluppando, grazie
27 X. Xxxxxxx, p. 134
28 Un ulteriore, ed interessante, espediente fu quello elaborato dai giudici olandesi che negarono l’azione per l’adempimento ai creditori, facendo rientrare i contratti nella disciplina del gioco (X. Xxxxxxx Xxxxxx, p. 2). Tale circostanza apre a considerazioni circa l’applicabilità dell’art. 1933 c.c. ai contratti derivati sollevate anche nella nostra giurisprudenza in tempi recenti, di cui parleremo oltre (vedi cap. 5.2.2)
29 X. Xxxxxxxx, p. 177
30 X. Xxxxxxxx, p. 113; X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx, p. 581; X. Xxxxxx;; X. Xxxxxx, p. 49
anche alla sua posizione strategica, intorno alla città di Chicago31.
Al fine di migliorare l’incontro tra domanda e offerta del prodotto32, e quindi rendere più efficiente l’allocazione delle merci, ottantadue mercanti del luogo diedero vita, nel 1842, ad un mercato centrale chiamato Chicago Board of Trade, il quale conobbe il suo periodo di massimo prestigio durante la guerra di secessione (1865) nella quale, data la ristrettezza della domanda e la volatilità dei prezzi, i mercanti iniziarono a vendere grano agli speculatori, ossia a soggetti estranei al settore mercantile di riferimento, dando vita al primo esempio di astrazione e finanziarizzazione del derivato su merci33.
Tutto ciò fu agevolato dall’uso, largamente diffuso, di contratti c.d. “to arrive”34 (nella sostanza dei veri e propri future), attraverso i quali compratori e venditori si accordavano per la consegna di una particolare derrata ad un prezzo e ad una data predeterminata. Tali contratti soffrivano però dei difetti insiti nella non standardizzazione degli stessi in riferimento alla qualità della merce e al tempo della consegna; inconvenienti resi ancora più gravi dalle condotte inadempienti e spesso truffaldine delle parti. Fu anche per questo motivo che nel 1865, a seguito dell’incremento di volume del mercato, il Chicago Board of Trade introdusse degli accordi strutturati, sul modello dei contratti to arrive, denominati futures35, che si differenziavano dai precedenti per la puntigliosa disciplina dello scambio,
31 X. Xxxxxxx, p. 2
32 Prima della nascita del Chicago board of trade, infatti, gli agricoltori si rivolgevano direttamente ai mercanti, ma a causa della mancanza di un mercato centrale e, quindi, di una offerta di prodotti abbondante e caotica, il prezzo delle merci inevitabilmente crollava, lasciando anche ingenti avanzi di produzione che, secondo la leggenda, ogni anno venivano gettati dagli agricoltori nel lago Michigan. (X. Xxxxxxxxx, X. Motti, p. 582)
33 X. Xxxxxx, p. 35
34 Tali contratti erano, in realtà, già largamente usati nel commercio di granoturco dai commercianti fluviali, che acquistavano il grano dagli agricoltori alla fine dell’autunno e dovevano conservarlo fino a quando non fosse seccato a sufficienza per poterlo spedire xxx xxxxx x xxxxx xx xxxx, xx quali, però, non avrebbero potuto navigare fin quando il fiume non si fosse scongelato, ovvero dopo l’inverno. Per tutelarsi dai rischi insiti nella conservazione del prodotto, i commercianti predisponevano, perciò, con gli acquirenti di Chicago, questo genere di contratti, accordandosi per la consegna del grano maturo in primavera. (X. Xxxxxxx, p. 3)
35 Nonostante il primo riconoscimento formale si abbia nel contesto narrato, esempi dei contratti futures si hanno, come già spiegato, anche in tempi più risalenti in Europa, ma anche in Giappone, dove si ha notizia dell’ammissione, nel 1650, di contratti futures alle negoziazioni nel mercato del riso di Osaka (X. Xxxxxxx Xxxxxx, p. 2)
in particolare relativamente a qualità, quantità, tempo e luogo della consegna.36
È molto interessante, a tale proposito, notare come, nello stesso periodo in cui furono introdotti i contratti futures, proprio a causa del timore che i rischi insiti nel loro meccanismo generavano, venne ideato il c.d. margining system37, ovvero, come avviene nei recenti mercati regolamentati di derivati, l’obbligo imposto ai commercianti di depositare una somma di denaro a garanzia dell’adempimento del contratto concluso.
Per concludere, nel 1922 con il Grain Futures Act, il governo americano ufficializzò la struttura e la regolamentazione dei futures38. Da questo momento lo sviluppo delle negoziazioni in derivati fu rapido quanto incessante e si propagò velocemente in tutto il mondo.
2.4 Gli strumenti finanziari derivati ai nostri giorni
Il resto è storia recente: nel 1973 da una costola del Chicago Board of Trade, nasce il Chicago Board Option Exchange, famoso, oltre che per aver messo ordine nel mercato dei contratti di opzione, per il suo essere, ancora oggi, la prima borsa delle opzioni al mondo39.
Negli anni ’80 si registrano due fenomeni imprescindibili per una ricostruzione storica dei derivati quali, da una parte, la nascita dello swap40 e, dall’altra, la tracimazione dei derivati dai mercati regolamentati a quelli non regolamentati (commercio over the counter, letteralmente sul bancone)41.
La storia recente di questi strumenti è, purtroppo, sempre più legata a doppio
36 L’elemento lasciato alla libertà delle parti era il prezzo che veniva determinato attraverso un’asta pubblica (X. Xxxxxxx, p. 3)
37 X. Xxxxxxxxx, X. Motti, p 583 Il sistema dei margini è quello tuttora applicato ai mercati regolamentati di derivati italiani
38 X. Xxxxxxxxx, X. Motti, p. 584
39 Ad oggi si calcola che in tale mercato vengano scambiate il 51% delle opzioni statunitensi (X. Xxxxxx, p. 49)
40 Per la trattazione, anche storiografica, del quale rimandiamo al cap. 4.1 ad esso dedicato
41 X. Xxxxxxx Xxxxxx, p. 3
filo a scandali finanziari di imponenti dimensioni che gli stessi (rectius, l’uso azzardato, se non fraudolento, che di essi è stato fatto) hanno scatenato. Solo a titolo esemplificativo possiamo citare il fallimento della contea californiana di Orange County (primo fallimento di un Ente locale), il caso, tristemente noto alle cronache, del fallimento della Enron, nonché l’attuale crisi finanziaria globale, dai più addebitata proprio agli strumenti finanziari derivati.
Questa, seppur breve ricostruzione storica, è utile, oltre che per fini conoscitivi, per porre in luce come lo strumento derivato, fin da epoca antica, è stato avvertito come uno strumento accessorio indispensabile ed insostituibile per la gestione efficiente di mercati complessi e articolati42. Infatti, il tradizionale rimedio preposto alla copertura di rischi derivanti da incertezze sul futuro, ossia l’assicurazione, è sempre stato avvertito come inadeguato allo scopo a causa della sua natura “commercialmente unilaterale”. L’assicurazione, nel suo svolgimento fisiologico, ovvero in assenza di sinistri, si configura, infatti, come un contratto destinato a far guadagnare unicamente l’assicuratore ai danni dell’assicurato. In esso non sono perciò riscontrabili la bilateralità del rischio e degli interessi tipica degli scambi commerciali. In tal senso i contratti derivati, grazie anche alla caratteristica fondamentale dello scambio del differenziale in luogo della, più complessa, acquisizione del fondamentale, risultano essere uno strumento, oltre che più agile e duttile, sicuramente più adeguato al settore di attività in esame43.
42 X. Xxxxxxx, p. 2
43 X. Xxxxxx, p. 34
Capitolo terzo
TIPOLOGIE E CLASSIFICAZIONI DEI CONTRATTI DERIVATI
3.1 Introduzione
Con il termine contratti derivati viene indicata una pluralità di strumenti molto eterogenei e dai confini non precisamente delineati. Recentemente la situazione è diventata ancora più complessa a causa dell’intensificarsi di negoziazioni in derivati, a cui è conseguita una vera e propria moltiplicazione delle varianti degli stessi, spesso dovuta alla fantasia degli operatori di mercato che finiscono per coniare colorite definizioni che non sempre rispecchiano una categoria autonoma, ma spesso rappresentano solo una variante dello strumento originario o addirittura si risolvono in un’espressione tautologica e sinonimica di altre figure già esistenti44. Spesso, inoltre, quelle che, sulla base della denominazione, appaiono come nuove figure contrattuali sono semplicemente accordi nati dalla combinazione di figure già esistenti, unite per creare un negozio complesso. Premesso tutto ciò, anche al fine di cercare di mettere ordine in questa variegata categoria contrattuale, conviene effettuare alcune distinzioni generali.
3.2 Derivati uniformi e derivati over the counter
Una prima distinzione rilevante per un’analisi accurata dei derivati è quella che vede contrapporsi, in ragione del luogo (rectius delle modalità) di negoziazione, gli strumenti negoziati sui mercati regolamentati (definiti “uniformi” in ragione della predefinizione del loro contenuto) e quelli che, al contrario, vengono definiti over the counter (OTC, letteralmente “sul bancone”), negoziati privatamente fra intermediari e clienti, senza l’ausilio di sistemi multilaterali di negoziazione45.
Tale distinzione, sebbene non apporti modifiche in termini di qualificazione giuridica dei contratti, che rimangono invariati nei loro elementi fondamentali e
44 X. Xxxxxx, p. 59
45 X. Xxxxx, in X. Xxxxxxxxx, C. Xxxxx, p. 166; X. Xxxxxxx, in X. Xxxxx, M. R. Xxxxxxx, X. Xxxxxx, p. 282;
caratteristici46, è molto rilevante in ordine al contenuto, alla disciplina degli stessi, nonché alle preoccupazioni che essi destano all’interno dello scenario economico mondiale.
Per inquadrare meglio la questione è forse utile, fin da subito, richiamare l’attenzione sul volume delle contrattazioni che hanno ad oggetto queste due categorie di strumenti. Dalle stime recenti emerge, infatti, come il volume delle contrattazioni over the counter sia largamente superiore rispetto a quello delle negoziazioni su mercati regolamentati. In particolare, ed è questo un elemento che desta non poche preoccupazioni (per le ragioni di seguito esposte) riguardo alla affidabilità delle contrattazioni in derivati, il volume stimato delle prestazioni dovute nei derivati over the counter è pari a circa 12 volte il PIL mondiale47.
Se è vero, quindi, che le contrattazioni OTC sono quelle che destano le più grandi paure sui mercati, è vero anche che esse sono, al contempo, fonte di benefici non da poco per il sistema; aspetti questi apprezzabili solo a seguito di un’analisi delle differenze fra le due tipologie.
3.2.1 Etero e auto regolamentazione
In primo luogo la differenza fondamentale fra derivati uniformi e over the counter attiene alle modalità di determinazione del contenuto del contratto. Infatti, i derivati negoziati sui mercati regolamentati, proprio in ragione di tale caratteristica, sono c.d. standardizzati48, dal momento che il loro contenuto è puntualmente definito in tutti gli elementi49 (durata del contratto, strumento sottostante, modalità di negoziazione e liquidazione ecc..) ad opera di soggetti terzi rispetto alle parti del contratto, spesso con normativa di rango secondario emanata delle autorità indipendenti50 o delle stesse società di gestione dei mercati.
46 X. Xxxxxxx, p. 76
47 X. Xxxxx, p. 300; X. Xxxxxxx, in X. Xxxxx, M. R. Xxxxxxx, X. Xxxxxx, p. 283;
48 X. Xxxxxxxx, p. 143
49 X. Xxxxxxx, p. 75
50 X. Xxxxxxx, p. 259
L’autonomia delle parti è, perciò, pressoché annullata, residuando in capo al contraente unicamente la scelta sull’opportunità di contrarre o meno51.
Al contrario, il contenuto dei derivati over the counter è totalmente affidato alla libertà contrattuale delle parti, al punto da essere definiti “negozi a formazione libera”52. Tale caratteristica, se inserita nella logica degli strumenti derivati, rappresenta sicuramente un vantaggio in quanto permette di creare strumenti personalizzati53. Le parti, infatti, sfruttando una flessibilità virtualmente illimitata54, sono in grado di strutturare tali contratti (quanto a scadenza, tipologia dello strumento sottostante, modalità di liquidazione ecc.) in funzione delle proprie specifiche esigenze55.
In questo senso è stato osservato come la categoria di derivati OTC è quella che “meglio esprime la dinamica del derivato e che esalta la creatività contrattuale, in considerazione proprio della massima libertà riconosciuta alle parti nella formazione del regolamento pattizio, diventando, quindi, l’esemplificazione più elevata di tali strumenti finanziari”56.
Tale caratteristica rappresenta un vantaggio anche se osservata dall’angolo visuale, più ampio, dell’efficienza dei mercati. Infatti, se è vero che i derivati nascono – e sono lo strumento più adatto – per trasferire (rectius ridistribuire) i rischi insiti nelle attività economiche, ebbene una tale autonomia contenutistica permette di allocare i rischi in capo ai soggetti che meglio sono in grado di sopportarli57, rendendo più efficienti, e di conseguenza più affidabili, i mercati.
51 X. Xxxxxx, p. 147; X. Xxxxxxx, p. 75
52 X. Xxxxxx, p. 148; X. Xxxxxxx, p. 75
53 X. Xxxxxxxx, p. 143
54 X. Xxxxxxx, in X. Xxxxx, M. R. Xxxxxxx, X. Xxxxxx, p. 283
55 X. Xxxxx, p. 301. Alcuni autori, invero, hanno notato come, nella prassi, non si possa parlare di contenuto totalmente libero. Infatti, “esso è certamente libero sulla carta nella misura in cui non è autoregolamentato, ma è anch’esso fortemente standardizzato, per essere pressoché integralmente riconducibile alla unilaterale predisposizione ad opera dell’intermediario, il quale, almeno nelle situazioni fisiologiche, ripete a sua volta schemi e modelli predefiniti da organismi terzi, come ad. es. l’ISDA, International swap dealers association, per i contratti di swap” (X. Xxxxxxx, p. 259); nello stesso senso anche G. De nova [1], p. 15; X. Xxxxxxx, x. 000
00 X. Xxxxxxx, p. 76
57 X. Xxxxxxx, in X. Xxxxx, M. R. Xxxxxxx, X. Xxxxxx, p. 283
Tale meccanismo, però, se portato all’eccesso, comporta anche dei rischi notevoli. Infatti, e i fatti recenti ne sono una prova, la possibilità di trasferimento del rischio può indurre i soggetti economici a investimenti e manovre non ottimali (o ancora peggio, molto rischiose) 58. Un ulteriore pericolo, anche questo quanto mai attuale, è dato dalle manovre puramente speculative a cui tali strumenti si prestano facilmente; manovre che possono portare - e spesso portano - un’assunzione di rischio elevato da parte di chi non è in grado di gestirlo e sopportarlo59.
3.2.2 Liquidità e illiquidità
Una diretta conseguenza della standardizzazione dei contratti derivati negoziati sui mercati regolamentati è la facilità con cui essi possono essere rivenduti sulle borse alla stregua degli altri titoli e strumenti finanziari60. Questa caratteristica rappresenta sicuramente un vantaggio per le parti, le quali possono chiudere con facilità le proprie posizioni, “realizzando sul mercato un’operazione di segno opposto, senza dover necessariamente attendere la scadenza del contratto”61.
Le negoziazioni in derivati OTC, al contrario, essendo, gli stessi, contratti personalizzati, sono contraddistinte dalla caratteristica dell’illiquidità, o meglio della non negoziabilità degli stessi, che appunto non sono oggetto di alcun
58 Un chiaro esempio è dato dalla crisi del mutui sub-prime del 2007,che ha, da prima, investito il sistema bancario statunitense, scatenando, poi, la crisi finanziaria globale ancora attuale. Essa infatti, semplificando oltre misura, è stata causata dalla facilità con cui le banche concedevano prestiti, sapendo di poter contare su strumenti come i credit default swap, attraverso i quali poter trasferire su altri il rischio di default del debitore. Per un approfondimento sull’argomento
X. Xxxxxx, p. 55
59 X. Xxxxxxx, in X. Xxxxx, M. R. Xxxxxxx, X. Xxxxxx, p. 284; esemplare in questo senso è il vasto contenzioso sviluppatosi attorno ad investimenti in derivati posti in essere da Enti Locali, dei quali è stato riconosciuta da più corti la valenza meramente speculativa (anche a causa di operazioni successive alla stipula, in particolare rimodulazioni) e che hanno condotto a rilevanti perdite, difficilmente gestibili da enti come quelli in questione. Fra tutte Trib. Xxxxx, xxx. pen., 8 febbraio 2012; Cons. Stato, 7 settembre 2011, n. 5023; in X. Xxxxxxxxx, p. 1383
60 X. Xxxxxx, X. Xxxxxxxxx, p. 80; X. Xxxxxx, p. 148
61 X. Xxxxxxxx, p. 143
trasferimento dopo la loro conclusione62. In questo modo, la chiusura della posizione prima della scadenza naturale del contratto presuppone un accordo diretto tra le parti che può risultare altamente problematico, specie in casi in cui l’andamento del valore sottostante lasci presagire un vantaggio certo per una parte a danno dell’altra63.
3.2.3 Rischio di controparte
La più importante, e allo stesso tempo temuta, differenza tra le due tipologie di derivati riguarda sicuramente i rischi a cui le parti si espongono e le garanzie previste per arginare gli stessi. A tale riguardo viene in evidenza il c.d. rischio di controparte, intendendosi per esso il rischio che la controparte dell’operazione non adempia, entro i termini stabiliti, ai propri obblighi contrattuali64.
Tale eventualità, in realtà, è presente in tutti i contratti ad effetti obbligatori, ma in caso di derivati assume un rilievo, per certi versi, maggiore a causa di due caratteristiche proprie di questi contratti. In primo luogo, essi sono contratti a termine, ossia fattispecie nelle quali l’esecuzione delle prestazioni ha luogo, necessariamente, in un momento successivo rispetto a quello del perfezionamento del contratto stesso. Il secondo, più importante, motivo di preoccupazione riguarda invece l’ammontare delle prestazioni, dal momento che nei derivati, a causa dell’aleatorietà insita nel meccanismo della loro determinazione, esse, oltre a potersi determinare con precisione solo nel giorno di scadenza del contratto, possono assumere dimensioni non previste o difficilmente prevedibili in base a stime effettuate al momento della stipulazione.
62 X. Xxxxxxx, p. 255
63 X. Xxxxx, p. 301. Il tribunale di Udine si è espresso in modo inequivocabile “l’impresa, vincolata ad un contratto che si sta evolvendo in senso negativo, non ha, quindi, altro strumento a disposizione che quello di rinegoziare il contratto con l’intermediario non potendolo cedere a terzi” (Trib. Udine, 13 aprile 2010, in xxxxxx.xx). Per un approfondimento sul tema della rimodulazione dei contratti OTC vedi cap. 6 e 7
64xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx/xxxXxx/xxxxxxxx.xxx?xxxxxxxXxxxxxxxXxxxxx&xxxxxXxxxxxx%00xx%00
Controparte
Per queste ragioni si capisce come il rischio di inadempimento nei contratti derivati è molto più alto, e può comportare conseguenze maggiormente dannose, rispetto ad altre tipologie di accordi. A tale riguardo si è parlato appunto di “sovradimensionamento del rischio”65 per come esso si manifesta nella prassi del mercato.
Inoltre il rischio di controparte, come la crisi recente ha dimostrato, pone l’ulteriore, e ancor più drastico, problema del c.d. rischio sistemico66. Infatti l’inadempimento di singoli contratti, dovuti ad insolvenze degli operatori, può, in ragione dell’interconnessione esistente fra gli stessi, scatenare una crisi di fiducia che sui mercati si traduce in un drastico calo di liquidità, che, se non arginato, “può generare un effetto domino capace di determinare il collasso dell’intero sistema per l’impossibilità degli altri operatori di rispettare i propri impegni finanziari” 67.
In conclusione, sebbene prima facie il rischio di inadempimento appare come relegato nell’ambito dei singoli contratti derivati stipulati, esso ha, in realtà, al suo interno, un “potenziale esplosivo” capace di demolire, dalle basi, l’intero sistema economico.
Orbene, a fronte di un rischio di tale portata, le garanzie offerte dalle contrattazioni in derivati uniformi e in derivati OTC risultano essere profondamente diverse sia per modalità che, soprattutto, per intensità ed efficacia. Infatti, per scongiurare il rischio di inadempimento della controparte, da tempo, ormai, all’interno dei mercati regolamentati di derivati è presente una Cassa di compensazione e garanzia (c.d. clearing house), che garantisce, oltre la compensazione fra le posizioni delle parti, il buon fine (l’adempimento) dei contratti stipulati68.
65 X. Xxxxxx, p. 441
66 X. Xx Xxxxxx, p. 192; X. Xxxxxx, p. 442
67 X. Xxxxxxx, in X. Xxxxx, M. R. Xxxxxxx, X. Xxxxxx, p. 284
68 X. Xxxxxx Xxxxxxxx, p. 259; X. Xxxxx, p. 302; X. Xxxxxxx, p. 82
Tali risultati sono realizzati attraverso il c.d. sistema dei margini (margin system), che consiste nell’obbligo, imposto agli operatori di mercato, di versare delle commissioni (i margini, appunto) pari ad una percentuale, molto bassa, del valore nominale del contratto alla Cassa stessa, la quale, quindi, svolge il ruolo di controparte di tutti coloro che contrattano in derivati, assumendo “in proprio le posizioni contrattuali da regolare” 69.
In particolare, le parti dovranno versare un margine iniziale e, successivamente i cc.dd. margini di mantenimento, determinati dalle oscillazioni di prezzo del sottostante, in modo tale che le perdite e i guadagni vengano pagate giorno per giorno e non accumulate fino alla scadenza del contratto70. Raccogliendo tutti i margini di acquirenti e venditori, la cassa riesce a garantire il buon fine dei contratti e, con esso, anche il buon funzionamento del mercato71.
Tale genere di garanzie è, però, del tutto inesistente nelle negoziazioni in derivati OTC; perciò, gli operatori si trovano totalmente esposti al rischio di vedere inadempiuti gli obblighi della controparte alla scadenza del contratto. Il problema, per tale categoria, è stato affrontato, da sempre, sul terreno degli accordi fra le parti, i quali spesso hanno sollevato anche problematiche inerenti alla loro compatibilità con norme imperative dell’ordinamento72. In particolare, gli strumenti più utilizzati per cercare di ridurre il rischio di controparte dei contratti derivati over the counter sono due: gli accordi di close-out netting, da una parte, e i contratti di garanzia finanziaria, dall’altra.
A norma dell’art 1, co.1, lett. f), d.lgs 170/2004, gli accordi di close-out netting
sono clausole secondo le quali, al verificarsi di un rilevante mutamento delle
69 Tale obbligo trae origine dall’art 70, co. 2, T.U.F. che, in conformità a quanto già previsto dall’art 22, co. 3, L. 2 gennaio 1991, n. 1, imponeva tale obbligo solo per le “operazioni su strumenti finanziari derivati”. (X. Xxxxx, p. 248) Successivamente l’art. 11, co. 4, d.lgs. 21 maggio 2004, n. 170, ha modificato l’art 70 T.U.F. eliminando il riferimento specifico alle operazioni aventi ad oggetto strumenti finanziari derivati e, in tal modo, ponendo una base legislativa per l’estensione dei servizi di controparte centrale anche per i contratti diversi dai derivati. (X. Xxxxx, p. 719 ss.)
70 X. Xxxxxx Xxxxxxxx, p. 259; X. Xxxxxx, x. 00
00 X. Xxxxx, p. 248
72 X. Xxxxxxx, in X. Xxxxx, M. R. Xxxxxxx, X. Xxxxxx, p. 288
condizioni patrimoniali del debitore (event of default) ovvero di un altro fatto capace di incidere significativamente sull’esecuzione del contratto (termination event), “le obbligazioni diventano immediatamente esigibili e vengono convertite nell'obbligazione di versare un importo pari al loro valore corrente stimato”. In base a tali accordi, perciò, una volta verificatosi l’evento, anche solo potenzialmente, pregiudizievole per le pretese del creditore, si avrà:
• la risoluzione automatica dei contratti interessati;
• la determinazione del loro valore di mercato al momento dello scioglimento;
• la compensazione delle opposte pretese;
• l’addebito finale del saldo alla parte che ne risulta debitrice ad estinzione dei reciproci rapporti73.
Tale forma di garanzia, non così efficace ai fini dell’adempimento dei contratti rispetto a quella prevista per i derivati uniformi, ha sollevato problemi di compatibilità con due disposizioni della legge fallimentare74. In tale contesto, infatti, assume rilievo la disciplina della “inefficacia” delle “clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento” (art. 72, co. 6, L. f.), e quella della compensazione in sede fallimentare, contenuta nell’ art 56, co. 2, L. f., a rigore della quale “I creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento”, salvo “i crediti il creditore ha acquistato […] per atto tra i vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell'anno anteriore”.
In questo caso i problemi nascono proprio dalla circostanza che il credito nasce necessariamente nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, e con ogni
73 X. Xxxxxxx, in X. Xxxxx, M. R. Xxxxxxx, X. Xxxxxx, p. 289
74 X.x. 00 marzo 1942, n. 267, più volte modificata, da ultimo ad opera della d.l. 11 agosto 2014,
probabilità, proprio nel momento di insolvenza (se, come frequentemente accade, è considerato come event of default)75.
Tali problemi sono stati, invero, chiusi sul nascere dall’art. 7 del decreto citato, a norma del quale “ La clausola di «close-out netting» è valida ed ha effetto in conformità di quanto dalla stessa previsto, anche in caso di apertura di una procedura di risanamento o di liquidazione nei confronti di una delle parti”.
Analoghi problemi di compatibilità con l’ordinamento vigente pongono, inoltre i c.d. contratti di garanzia finanziaria (collaterals agreements). Il legislatore, con una formula non propriamente nitida, li definisce come “il contratto di pegno o il contratto di cessione del credito o di trasferimento della proprietà di attività finanziarie con funzione di garanzia, ivi compreso il contratto di pronti contro termine, e qualsiasi altro contratto di garanzia reale avente ad oggetto attività finanziarie e volto a garantire l'adempimento di obbligazioni finanziarie”76.
Orbene, dall’osservazione della definizione parrebbero non risultare rilevanti differenze rispetto alle tradizionali garanzie reali. Le problematiche nascono, però, dalla prassi, invero diffusa giacché ritenuta la più efficace, di realizzare, attraverso le stesse, delle forme di garanzia variabile, nell’oggetto e nel credito garantito, in funzione della reciproca esposizione delle parti, in modo da adattare, a scadenze periodiche, le garanzie alla posizione attuale del debitore77.
È evidente come questa prassi si ponga in contrasto con le disposizioni codicistiche relative alle garanzie reali78 e, in particolare, con le condizioni per
75 X. Xxxxx, p. 142 “tuttavia a questa obiezione si può replicare che “l’atto tra vivi” evocato dall’art. 56 è il contratto che prevede le clausole di close out, che si atteggia quindi quale factum de compensando ai sensi dell’art 1252 c.c.”
76 Art. 1, co. 1, lett d), d.lgs 170/2004
77 Nella maggior parte dei casi i collateral agreements prevedono la concessione in garanzia sotto forma di deposito di Titoli di Stato o obbligazioni di primari emittenti, il cui valore, per altro, subisce una decurtazione in ragione del grado di affidabilità dell’emittente lo strumento offerto in garanzia. (X. Xxxxxx, p. 447). In tal senso è più agevole variare la misura della garanzia in ragione dell’esposizione debitoria della parte aumentando o diminuendo i titoli depositati. Per un approfondimento vedi X. Xxxxx, M. R. Xxxxxxx, X. Xxxxxx, p. 290
78 Invero, la possibilità di sostituzione dei beni conferiti in pegno in costanza del rapporto obbligatorio era stata già ammessa dalla Corte di Cassazione (Cass., 28 maggio 1998, n. 5264) con riguardo alla figura del pegno rotativo, ossia dell’accordo in cui “le parti prevedono la possibilità
l’esercizio della prelazione, quali la scrittura con data certa contenente la “sufficiente indicazione del credito e della cosa” (art. 2787, co. 3, c.c.) e con il divieto di patto commissorio, senza considerare le lungaggini della procedura esecutiva che si pongono in evidente contrasto con le esigenze di speditezza che governano il mondo delle transazioni economiche79.
Proprio per questi motivi il già citato d.lgs. 170/04 ha imposto una disciplina orientata alla massima semplificazione possibile delle modalità di perfezionamento dell’accordo80, nonché del successivo svolgimento del rapporto da esso nascente. Infine, per risolvere i contrasti che si sarebbero inevitabilmente creati tra tale normativa, speciale, e la, formalistica, disciplina tradizionale delle garanzie, l’art. 3 del decreto citato ha posto la c.d. clausola di “immunizzazione”81, stabilendo che “l'attribuzione dei diritti previsti dal presente decreto legislativo al beneficiario della garanzia e la loro opponibilità ai terzi non richiedono requisiti ulteriori rispetto a quelli indicati nell'articolo 2, anche se previsti da vigenti disposizioni di legge”.
Nonostante questi, deboli, strumenti di natura pattizia, appare evidente come le garanzie offerte al creditore di un contratto derivato OTC, relative all’adempimento della controparte, siano, quantomeno, di gran lunga inferiori, in termini di speditezza e di efficacia, rispetto a quelle connesse alle contrattazioni aventi luogo sui mercati regolamentati. In questo contesto appaiono, perciò, più
di sostituire i beni originariamente costituiti in garanzia, volendo escludere che la sostituzione determini effetti novativi sul rapporto iniziale” ( E. del Prato, p. 253)
79 A.V. Xxxxxxxx, p. 33
80 A tale proposito l’art. 2, co. 1, d.lgs. 170/04, prescrive, per la valida costituzione della garanzia unicamente che:
a) il contratto di garanzia finanziaria sia provato per iscritto;
b) la garanzia finanziaria sia stata prestata e tale prestazione sia provata per iscritto. La prova deve consentire l'individuazione della data di costituzione e delle attività finanziarie costituite in garanzia. A tale fine e' sufficiente la registrazione degli strumenti finanziari sui conti degli intermediari, ai sensi degli artt. 30 ss. d.lgs. 24 giugno 1998, n. 213, e l'annotazione del contante sul conto di pertinenza.
Inoltre, al co.2, il legislatore ha cura di precisare che “nel presente decreto legislativo, l'espressione «per iscritto» si intende riferita anche alla forma elettronica e a qualsiasi altro supporto durevole, secondo la normativa vigente in materia”.
81 X. Xxxxxx, p. 451
che giustificate le due proposte, avanzate, in seguito alla crisi finanziaria del 2007, negli Stati Uniti (Xxxx-Xxxxx Act, par. 721) e in Europa (Proposta di regolamento 2010/0250 (COD), che auspicano, in ossequio all’orientamento emerso in occasione del G-20 a Pittsburgh del 200982, l’introduzione dell’obbligo di interposizione obbligatoria di una controparte centrale anche per i derivati over the counter.
3.3 Derivati Plain Vanilla e Exotic. Gli archetipi di derivati
Una seconda, e non meno rilevante, classificazione dei contratti derivati attiene propriamente ai tipi contrattuali esistenti all’interno degli stessi e nominati all’art. 1 T.U.F.
Sebbene, come accennato, sussista una moltitudine, per lo più caotica, di contratti derivati, fra essi è possibile individuare alcuni c.d. archetipi di derivato, ossia modelli di contratto che costituiscono la base di ogni successiva elaborazione83. Data la loro semplicità, tali modelli, nelle loro configurazioni basilari, sono conosciuti, nello scenario economico mondiale, come plain vanilla, termine richiamante il gusto di gelato più semplice e diffuso, al fine di distinguerli dai derivati più complessi e sofisticati, spesso originati dalla commistione di più derivati plain vanilla combinati fra loro, e definiti exotic.
Le tipologie di derivati plain vanilla sono sostanzialmente tre: future (o forward, a seconda delle modalità di negoziazione), option e swap. Ad ognuna di esse corrisponde poi un numero elevato di varianti, diversamente denominate, che si differenziano l’una dall’altra in base all’oggetto del contratto o a causa di modifiche nel funzionamento tipico del contratto.
82 X. Xxxxx, p. 314
83 X. Xxxxxxx, p. 79; X. Xxxxxx, p. 54
3.3.1 Il contratto future e il forward
3.3.1.1 Il contratto future
Il future (genericamente definito anche contratto a termine) può essere visto come la forma più elementare di contratto derivato, dal momento che nessun derivato, pur nelle sue possibili e innumerevoli varianti, prescinde dagli elementi minimi dello stesso84.
In via generale possiamo definire il future come quel contratto derivato, negoziato all’interno di mercati regolamentati, con cui due parti si impegnano ad acquistare o vendere una determinata quantità di beni, ad una scadenza futura e ad un prezzo predeterminato al momento della stipula del contratto85. Il future, quindi, si configura come un contratto a termine86, con cui è possibile scambiare qualsiasi tipo di bene. In particolare esso, come precedentemente spiegato, nasce per lo scambio di merci (c.d. commodities future), ma nello sviluppo dei mercati, sempre più distante dall’economia reale e orientato verso l’economia finanziaria, sono nati modelli contrattuali finalizzati allo scambio di elementi finanziari intesi in senso generico (c.d. financial future)87, variamente denominati a seconda dell’oggetto scambiato, quali ad esempio tassi di interesse (c.d. interest rate future), valute (c.d. currency future) o anche portafogli di titoli (c.d. stock index future)88, solo per citare i più famosi.
84 X. Xxxxxx, p. 55
85 E. Barcellona [1], p. 576; X. Xxxx, p. 7; X. Xxxxxxxx, p. 145; X. Xxxxxxx, p. 80; X. Xxxxxx Xxxxxxxx, p. 255; Xxxxx Xxxxxxx, p. 281; X. Xxxxxx, x. 00; Xxxxxx, p. 54
86 X. Xxxxx, p. 299, infatti definisce tali contratti come accordi “che permettono di scambiare beni disponibili in futuro ad un prezzo che viene determinato al momento della stipula del contratto”.
87 X. Xxxxx, p. 302; X. Xxxxxx Xxxxxxxx, p. 256 tale contratto “è apparso sulla scena mondiale soltanto di recente ma ha avuto uno sviluppo straordinario in termini di volumi e di distribuzione geografica”. E’ interessante notare, inoltre, come il primo financial future, avente ad oggetto divise estere, nacque, nel 1970 presso il mercato di Chicago (International Commercial Exchange), ovvero la stessa piazza dove circa un secolo prima vennero per la prima volta standardizzati ufficialmente i future su merci, a riprova della longevità e della centralità della borsa di Chicago nel commercio dei derivati.
88 X. Xxxxxxxx, p. 145; X. Xxxxxxx; p. 80; X. Xxxx, p. 7
Per capire a fondo il meccanismo e il ruolo di tali contratti nell’economia moderna supponiamo che due parti A e B abbiano interesse, rispettivamente a comprare e vendere un bene X ad una data futura, per esempio dopo tre mesi dal momento della stipula del contratto (t=0). Supponiamo, inoltre, che il valore del bene a tale momento sia 100 e che le parti nutrano opposte aspettative sull’evoluzione di tale prezzo. Se A prevede che il bene salirà di prezzo, raggiungendo nei successivi tre mesi un valore pari a 130, egli cercherà di fissare un prezzo finale di acquisto (c.d. strike price) ad un livello inferiore in modo da lucrare la differenza di valore. Al contrario B, aspettandosi un ribasso del prezzo del bene nei successivi tre mesi, avrà anch’egli interesse a fissare un prezzo intorno all’attuale valore di mercato. Essi si accorderanno quindi per un prezzo, poniamo, di 105.
Alla scadenza, l’andamento reale del prezzo del bene determinerà quindi un guadagno per una parte a cui corrisponde una perdita per l’altra. Poniamo ad esempio che il valore del bene, in ossequio alle previsioni di A, sia salito a 125. A avrà guadagnato una cifra pari a 125 – 105 = 20, e B avrà subito una perdita inversa, dato che avrebbe potuto rivendere il bene ad un prezzo maggiore di quello concordato. Nel caso, invece che si avverino le aspettative di B, e si riscontri quindi un ribasso del prezzo del bene, le posizioni si invertiranno, per cui A si troverà costretto ad acquistare un bene ad un prezzo maggiore rispetto a quello che avrebbe potuto spuntare contrattando a pronti al momento della scadenza del contratto, e B registrerà un guadagno dato dalla differenza tra quanto pagatogli da A in base al contratto e il valore attuale del bene.
Proprio la circostanza che alla perdita di una parte corrisponda un, opposto, guadagno dell’altra porta a ricomprendere tali contratti nella categoria dei c.d.
contratti simmetrici, al contrario di altre tipologie di derivati (ad es. le opzioni89) in cui i guadagni e le perdite delle due parti non sono speculari90.
3.3.1.2 Funzione del future
Analizzato in questa sua veste elementare e semplificata appare evidente come il future nasca quale strumento di copertura91, fornendo agli operatori la possibilità di bloccare ad una data futura il prezzo di un’attività92, e per questa via di acquisire l’attività sottostante neutralizzando i rischi derivanti dall’oscillazione dei prezzi della stessa sui mercati93.
Questa funzione originaria del future, non esclude, però, un suo impiego, invero assai diffuso nella finanza moderna, a fini speculativi, ad esempio, rivendendo il bene, acquistato ad un prezzo minore di quello di mercato, al suo prezzo attuale, immediatamente dopo l’acquisto94. Le contrattazioni in future in funzione speculativa sono, inoltre, favorite dalle possibili modalità di esecuzione del contratto alla scadenza. Infatti, accanto alla tradizionale esecuzione con consegna fisica del bene (c.d. delivery), pressoché limitata ad alcuni casi di commodities future, la chiusura del contratto può aversi anche attraverso la liquidazione del solo differenziale fra strike price e prezzo di mercato, a favore della parte che vanterà un guadagno95 (c.d. compensazione, la quale risulta obbligata qualora il bene sottostante oggetto del contratto non esista fisicamente come ad esempio nel
89 Per un approfondimento sulle opzioni vedi dopo cap. 4.1.2
90 E. Barcellona [1], p. 578; X. Xxxxx, M. R. Xxxxxxx, X. Xxxxxx, p. 281; X. Xxxxxxxx, p. 145; X. Xxxxxxx, p. 82;
00 X. Xxxxxxxxxx [1], p. 580; X. Xxxxxx, p. 55
92 X. Xxxxx, p. 300
93 X. Xxxxxxx; p. 81; X. Xxxxxxx, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, in riv. Dir. Comm, cit. in Girino, p. 55
94 X. Xxxxxxxxx, p. 383
95 X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxx Xxxxx, in X. Xxxxxxx e altri, p. 423; X. Xxxxxxxx, p. 141; X. Xxxxxx Xxxxxxxx, p. 263; X. Xxxxx, p. 303
caso di indici finanziari), oppure attraverso l’apertura di una posizione simmetrica opposta (roll over)96.
Inoltre un aspetto rilevante del mercato dei future, che favorisce anch’esso un loro uso a fini speculativi è dato dall’effetto leva97 che li caratterizza. Infatti, secondo quello che è il meccanismo della leva finanziaria, tali strumenti permettono di ottenere dei rendimenti molto superiori rispetto al capitale concretamente investito nell’operazione98 (in questo caso rappresentato unicamente dai margini99 versati dall’operatore), rendendo così più conveniente investire in future su un determinato bene sottostante che non direttamente su tale bene.
Inoltre attraverso investimenti in future, data la loro negoziabilità su mercati regolamentati, e di conseguenza il loro presentarsi come strumenti standardizzati, è ben possibile realizzare operazioni di arbitraggio, ossia operazioni opposte fra mercato a pronti e a termine che consentono di realizzare un profitto privo di rischio sfruttando momentanei disallineamenti di prezzo fra i due mercati100. Tale finalità può comunque essere ricompresa all’interno della più ampia categoria della speculazione, consistendo, sostanzialmente, in una diversa modalità operativa della stessa.
96 X. Xxxxxx, x. 00; in particolare il roll-over consiste nel “nel rinnovare sistematicamente una posizione in contratti derivati, chiudendo alla scadenza la posizione aperta e accedendo contemporaneamente a una nuova con scadenza futura”. Tale tecnica è frequentemente utilizzata nel caso di future usati in funzione di copertura con scadenza più corta di quella della posizione da coprire, in modo da creare una catena di contratti aventi, cumulativamente, la stessa durata della posizione esposta al rischio. (xxxx://xxx.xxxxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxx/xxxxxxxx_%00Xxxxxxxxxx-xx-Xxxxxxxx-x-Xxxxxxx%00/)
97 Per un approfondimento dell’effetto leva (leverage) vedi cap. 4.3.2
98 X. Xxxxx, p. 304
99 Per una spiegazione del c.d. sistema dei margini vedi par. 3.2.3
100 X. Xxxxx, p. 304. Per un approfondimento sull’argomento vedi cap. 4.3.1.3
3.3.1.3 Il contratto forward, analogie e differenze con i future
I contratti forward sono contratti a termine totalmente assimilabili ai future per quanto concerne il meccanismo contrattuale, essendo anch’essi finalizzati alla compravendita a termine di una determinata attività, ad una data futura, per un prezzo prestabilito101. La caratteristica che, però, li differenzia dai future risiede nel fatto che, mentre quest’ultimi sono negoziati unicamente all’interno di mercati regolamentati102, i forward sono contratti over the counter (letteralmente sul bancone), ossia contratti negoziati privatamente tra le parti al di fuori delle borse xxxxxx000. Queste differenti modalità di negoziazione comportano anche delle rilevanti conseguenze specie in termini di costi e rischi sostenuti dalle parti. Infatti esse, operando al di fuori di mercati regolamentati, con la stipula di forward, si espongono totalmente al c.d. rischio di controparte, ovvero, come precedentemente spiegato104, al rischio che la controparte dell’operazione non adempia, entro i termini stabiliti, ai propri obblighi contrattuali105. Tale rischio è, invece, inesistente nel caso di negoziazioni in future, poiché esse sono poste in essere all’interno di mercati regolamentati nei quali è presente una Cassa di compensazione e garanzia (c.d. clearing house) che ha, appunto, la funzione di garantire, oltre la compensazione fra le posizioni delle parti, il buon andamento (rectius l’adempimento) delle negoziazioni106.
Risulta evidente, quindi, anche un’altra differenza tra i forward e i future, ossia che per aprire una posizione in forward la parte non deve sostenere nessun
101 X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxx Xxxxx, in X. Xxxxxxx e altri, p. 422; X. Xxxx, p. 4; X. Xxxxxxx, p. 82
102 X. Xxxxxxxx, p. 145; X. Xxxx., p. 7; X. Xxxxxx Xxxxxxxx, p. 258 X. Xxxxx, p. 302; X. Xxxxxxx, p. 80
103 X. Xxxx, p. 4; X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxx, X. Xxxxx, X. Xxxxxxxxxx, p. 422; X. Xxxxxxx, x. 00; X. Xxxxxx, p. 35;
104 Vedi cap. 3.2.3
105http://xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx/bitApp/glossary.bit?target=GlossaryDetail&word=Rischio%20di%2
0Controparte
106 X. Xxxxxx Xxxxxxxx, p. 259; X. Xxxxx, p. 302; X. Xxxxxxx, x. 00; per un approfondimento sul funzionamento della clearing house vedi infra cap. 3.2.3
costo107 mentre, nel caso di future la parte è obbligata al versamento dei margini108.
Se, però, le negoziazioni OTC risultano svantaggiose in ordine ai rischi sostenuti dalla parte, esse hanno un vantaggio notevole riguardo al contenuto. Infatti, al contrario dei futures che sono contratti standardizzati in tutti i loro suoi elementi109 (scadenze, obblighi delle parti, prezza ecc..), il contenuto di un forward è liberamente determinabile dalle parti, e ciò permette agli operatori di modellare lo stesso in relazione alle esigenze del caso concreto, senza la necessità di utilizzare modelli predisposti dalle autorità che gestiscono e vigilano sui mercati regolamentati110. A corollario di ciò si pone la circostanza che i contratti forward, proprio perché non standardizzati, risultano difficilmente rinegoziabili nel mercato secondario, al contrario dei future che, essendo scambiati in mercati molto liquidi sono cedibili, ed invero ceduti, nella prassi, più e più volte prima della scadenza, con grande facilità111.
Un’ultima differenza fra le due tipologie è data dalla prassi. Infatti, osservando i traffici commerciali dei due contratti si osserva come i forward abbiano, per lo più, ad oggetto operazioni su valute e tassi di interesse112, al contrario dei future, attraverso i quali vengono negoziate le più varie tipologie di beni e attività.
107 X. Xxxx, p. 6
108 X. Xxxxxx, p. 35
109 X. Xxxxxxxx, p. 145; X. Xxxxxx Xxxxxxxx, p. 259; X. Xxxxx, p. 302; X. Xxxxxxx, p. 82
110 X. Xxxxxxx, p. 84
111 X. Xxxxxx Xxxxxxxx, p. 259
112 In tale senso appare opportuno richiamare una delle tipologie di forwards maggiormente diffuse, ovvero i forward rate agreement “in base al quale le parti si accordano per scambiarsi, alla scadenza del contratto, la differenza tra un tasso fisso (o tasso forward) e un tasso variabile di mercato (o settlement rate) moltiplicato per la durata del contratto e per il capitale nozionale” (xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx/xxxXxx/xxxxxxxx.xxx?xxxxxxxXxxxxxxxXxxxxx&xxxxxXxxxxxx%00Xxxx
%20Agreement), permettendo così agli operatori in procinto di aprire un mutuo a tasso variabile di bloccare in anticipo il tasso forward corrente (X. Xxxxxxx, p. 83; X. Xxxxxx Xxxxxxxx, p. 232); per un approfondimento sull’argomenti vedi X. Xxxxxx Xxxxxxxx, p. 229
3.3.2 Il contratto option
Il secondo archetipo di contratti derivati è l’option. Con tale contratto una parte si impegna a concedere all’altra, dietro versamento di un prezzo (c.d. premio), il diritto di acquistare (in caso c.d. call option) o vendere (in caso di c.d. put option) una determinata quantità di beni (c.d underlying asset), ad un prezzo predeterminato e ad una scadenza futura (c.d. european option), ovvero entro tale scadenza113 (c.d. american option).
A differenza del future, quindi, il beneficiario dell’option non è obbligato a comprare o vendere alla scadenza del contratto, ma, al contrario, ha la possibilità (rectius il diritto potestativo114) di scegliere se acquistare il bene sottostante ovvero rinunciarvi a seconda della convenienza o meno dell’affare115.
Riprendendo l’esempio precedente mettiamo che A sia interessato a comprare il bene X, che attualmente costa 100, nell’aspettativa di un suo rialzo nei futuri tre mesi. Specularmente B, possessore del bene X, è disposto a vendere il bene temendo un ribasso del valore dello stesso. Orbene, qualora A non sia disposto ad assumersi integralmente il rischio della realizzazione delle sue previsioni potrà, attraverso un contratto di opzione e dietro pagamento del premio, ipotizziamo di 5, ottenere da B, un lasso di tempo, poniamo tre mesi, per valutare l’andamento del prezzo di mercato e decidere, alla scadenza, se acquistare o meno il bene al prezzo determinato al momento della stipula del contratto, mettiamo di 110.
Alla scadenza del contratto si potranno verificare tre ipotesi che, osservate dal punto di vista del beneficiario, vengono definite:
_ in the money (letteralmente “dentro il denaro”): è la situazione che si verifica qualora il prezzo del bene sia effettivamente salito in modo da superare il prezzo
113 X. Xxxxxxxxxx [1], p. 577; X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxx Xxxxx, in X. Xxxxxxx e altri, p. 423; X. Xxxxxxxx,
p. 141; X. Xxxxx, M. R. Xxxxxxx, X. Xxxxxx, p. 282; X. Xxxxx, p. 309; X. Xxxxxxx, x. 00; X. Xxxxxx, x. 00
000 X. Xxxxxxx, p. 84
115 X. Xxxx, p. 8; Xxxxxx, p. 56; X. Xxxxxxx, p.84
concordato aumentato del premio versato dalla parte. Nel nostro esempio se il prezzo del bene fosse lievitato ad 130 A avrebbe ottenuto un guadagno pari a
130 - (110 + 5) = 15. Qualora l’opzione alla scadenza sia in the money la parte, quindi, acquisterà ottenendo, in tal modo, un guadagno.
_ Out of the money (letteralmente fuori dai soldi): è il caso in cui l’acquisto del bene alla scadenza comporterebbe per il beneficiario dell’opzione una perdita in quanto, durante il periodo di efficacia dell’option, il bene sottostante si è svalutato al di sotto dello strike price concordato. Poniamo che il bene alla data di chiusura quoti 95, in tal caso esercitando l’opzione A subirà una perdita pari a 95 – 5 – 110
= - 20. Qualora, invece, rinunci all’opzione la sua perdita sarà limitata a 5 pagati a titolo di premio. Quando l’opzione è out of the money, quindi, il beneficiario avrà interesse a non esercitarla.
_ Infine vi è il caso di opzione at the money. In questo caso il valore del bene alla scadenza del contratto si sarà assestato su un valore pari allo strike price, per cui al beneficiario risulterà totalmente indifferente scegliere di esercitare o meno l’opzione. Infatti, qualora il bene X alla scadenza dell’opzione quoti 110, A, a prescindere dalla scelta in ordine all’esercizio dell’opzione, si troverà comunque esposto ad una perdita di 5, ossia pari al premio pagato per l’acquisto dell’opzione stessa.
Ovviamente la parte B si troverà in una posizione speculare ed opposta rispetto ad A, con la, notevole differenza, di essere totalmente esposto alla decisione della controparte116.
Da questo, seppur conciso e quanto mai semplificato, quadro emergono bene quelli che sono gli elementi essenziali dell’opzione, ossia, in primo luogo il premio, che, contrariamente alle commissioni pagate per l’acquisto di future, è a fondo perduto117, non essendo, infatti, più restituibile. Infatti, se i margini pagati
116 X. Xxxxxx, p. 57
117 X. Xxxxxx, p. 35
per l’acquisto di future sono erogati in funzione del prezzo, nel caso dell’opzione il premio rappresenta unicamente il prezzo della facoltà di scelta concessa al beneficiario dalla controparte118; scelta che potrà benissimo non essere esercitata qualora alla scadenza il contratto sia out of the money.
Accanto al premio, quale elemento caratterizzante dell’opzione, troviamo il diritto di esercizio in capo al beneficiario. Ebbene tale diritto, inquadrabile alla stregua di un diritto potestativo119, data la soggezione di colui che concede l’opzione a subire gli effetti della libera scelta del beneficiario, funge anche da criterio di differenziazione delle due, massime, categorie di opzioni, comprendenti al loro interno ogni altra tipologia. Infatti, a prescindere dalla moltitudine delle varianti in cui tale contratto può manifestarsi, in ognuna si avrà sempre il diritto del beneficiario di acquisto del bene sottostante, ovvero di vendita dello stesso. A riguardo si parla rispettivamente di call options ovvero di put options120.
È forse utile precisare che tale distinzione non comporta modifiche sostanziali nel meccanismo contrattuale dell’opzione, ma solo, ovviamente, in quelle che sono le posizioni e le aspettative delle parti relativamente all’andamento del prezzo del sottostante.
Un’ultima precisazione relativa al diritto di esercizio (o meno) dell’opzione è che esso non ha sempre bisogno di essere esplicitato. Infatti, esistono e sono, invero, alquanto diffuse, alcune varianti, definite, opzioni automatiche, in cui l’esercizio o l’abbandono del diritto hanno luogo in modo, appunto, automatico, ossia senza necessità di manifestazione di ulteriore consenso da parte del beneficiario, allorquando l’opzione sia rispettivamente in the money o out of the money121. Accanto ad esse vi sono poi le opzioni semiautomatiche in cui, il beneficiario ha la possibilità di interrompere l’automatico svolgimento del
118 X. Xxxxx, p. 309
119 X. Xxxxxxx, p. 84
120 X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxx Xxxxx, in X. Xxxxxxx e altri, p. 424; X. Xxxx, p. 7; X. Xxxxx, p. 309; X. Xxxxxxx, x. 00; X. Xxxxxx, p. 58
121 X. Xxxxxxx, p. 89 X. Xxxxxx, p. 58
contratto esprimendo una volontà opposta entro un determinato periodo di tempo122.
Gli altri elementi essenziali sono pressoché comuni col future, ossia lo strike price, il bene sottostante e la data di scadenza del contratto.
Due precisazioni sono, però, d’obbligo per quanto riguarda questi ultimi due elementi. In primo luogo, relativamente al bene sottostente, vi è da dire che esso, analogamente a quanto accade per i futures può consistere in qualsiasi genere di bene, dalle merci (commodities option) a titoli, valute, tassi di interesse123 o di cambio, quindi ai più vari elementi economici al riguardo dei quali si parla di financial opions. Un particolare tipo di financial option è quello che assume quale attività sottostante altri contratti derivati, quali ad esempio i future (future’s options)124. Tale contratto rientra nella categoria dei c.d. derivati complessi, ovvero di contratti creati dalla volontà negoziale delle parti, attraverso la combinazione di componenti tipiche di derivati diversi, al fine di creare un “nuovo, e a sua volta autonomo (oltre che unitario ed inscindibile) titolo negoziale”125. In particolare tale contratto assicura al titolare la facoltà di stipulare, a scadenze e condizioni predefinite un contratto future, le cui scadenze e condizioni di esercizio sono altrettanto determinate126. In alternativa, esso consente all’esercente l’opzione di acquisto (call) di ricevere una somma pari al differenziale tra il prezzo corrente del future alla data di scadenza dell’opzione e il prezzo di esercizio (strike price) concordato127.
Relativamente alla data di scadenza viene in rilievo una, altrettanto importante, distinzione fra european options e american options128. Nonostante la denominazione, la differenza fra queste due tipologie non attiene ad elementi
122 X. Xxxxxxxxx, p. 357
123 X. Xxxxxxx, p. 84, in questo caso si parla di interest rate options che a sua volta si dividono tra
cap, floor e collar. Per un approfondimento vedi X. Xxxxxxxx, p. 211; X. Xxxxxx, p. 89
124 X. Xxxx, p. 263; X. Xxxxxxx, p. 84
125 X. Xxxxxx, p. 121
126 X. Xxxxxxxxx, p. 127; X. Xxxxxx, p. 000 000 Xx Xxxxxx, Xxxxxxxx e partner, p. 47 128 X. Xxxx, p. 255; X. Xxxxxxx, p. 89
geografici, quanto al diverso periodo temporale in cui è esercitabile l’opzione da parte del beneficiario. Infatti l’european option è l’opzione, di stampo tradizionale, in cui la decisione relativa all’esercizio o meno dell’opzione può essere compiuta solo alla scadenza del contratto129. Ad essa si contrappone l’american option in base alla quale il diritto di scelta può essere esercitato in qualsiasi momento compreso fra la data di stipula del contratto e quella di scadenza dello stesso130.
Per quanto attiene, invece, alle modalità di esecuzione del contratto alla scadenza, esse rispecchiano quelle tipiche del future, ossia la consegna fisica del bene sottostante (delivery), ovvero la compensazione con liquidazione del solo differenziale fra lo strike price e il prezzo corrente di mercato131 (unica modalità possibile nel caso di financial option), oppure il roll over132. In aggiunta ad esse, però, nel caso dell’opzione, il contratto può chiudersi con la rinuncia del beneficiario all’esercizio dell’opzione e il semplice incameramento del premio a favore della controparte133.
3.3.2.1 Funzione del contratto option
Da quanto detto emerge come l’opzione rappresenta, per il beneficiario, un’eccellente strumento (forse il migliore) per controllare e neutralizzare il rischio insito nell’oscillazione del prezzo di un bene. Infatti esso, da una parte, gli consente di contenere la perdita entro il valore del premio, ma dall’altra gli permette di conseguire un guadagno consistente nell’apprezzamento del bene sul
129 X. Xxxxx, p. 311
130 Accanto a queste du tipologie “classiche” di opzioni si sono poi sviluppate ulteriori fattispecie, quali bermudian options, option asiatica ecc.., ulteriormente differenziate con riguardo al tempo di esercizio dell’opzione. Per un approfondimento vedi X. Xxxxxx, p. 59.
131 X. Xxxxxxxx, p. 141; X. Xxxxxxx, x. 00; X. Xxxxx, p. 310
132 X. Xxxxxx, p. 35
133 X. Xxxxxx, p. 35
prezzo concordato. Il contratto, quindi, dal lato del beneficiario comporta una perdita certa e quantificata a fronte di un profitto potenzialmente illimitato134.
Osservato dall’altro angolo visuale, quello del concedente l’opzione, invece, tale contratto comporta un profitto certo a fronte di una perdita potenzialmente illimitata.
Xxxxxxxx concludere perciò che, contrariamente al future, l’option è un contratto asimmetrico, poiché vi è una forte asimmetria fra i possibili guadagni e le possibili perdite delle due parti135.
Questo meccanismo spiega l’utilizzo del contratto option ad un duplice fine: di copertura, nei, meno frequenti, casi in cui la parte miri effettivamente all’acquisizione del sottostante136, e speculativo, nei casi, molto più frequenti, in cui difetti tale volontà traslativa, essendo, la parte, unicamente interessata all’acquisizione del differenziale137. La finalità speculativa è, per altro, favorita da due fenomeni entrambi presenti nello stesso. Il primo è il c.d effetto leva138, che permette all’investitore di assicurarsi la possibilità di conseguire un guadagno esponenzialmente maggiore rispetto al capitale investito, ossia, unicamente, il premio pagato alla controparte. Tale effetto è quello che conferisce, inoltre, all’opzione, una delle sue caratteristiche più importanti, la c.d. elasticità139, che fa assurgere lo strumento ad una posizione di prim’ordine fra gli strumenti di copertura, assicurando esso un perfetto controllo dell’evento futuro e incerto e, al contempo, circoscrivendo il rischio al solo ammontare del premio pagato140.
134 X. Xxxxx, p. 310; X. Xxxxxx, p. 61; X. Xxxxx, M. R. Xxxxxxx, X. Xxxxxx, p. 282
135 E. Barcellona [1], p. 578; X. Xxxxx, M. R. Xxxxxxx, X. Xxxxxx, p. 282 X. Xxxxx, p. 310; Ferrero,
Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, in riv. Dir. Comm, cit. in X. Xxxxxx, p. 61
136 Alcuni hanno notato però che anche la “consegna materiale del sottostante, quando prevista va riguardata a sua volta quale modalità di perseguimento di un guadagno monetario, reso possibile dall’immediata rivendita sul mercato del bene” (X. Xxxxxxxxx, p. 383)
137 X. Xxxxxxx, x. 00; X. Xxxxxx, p. 57
138 X. Xxxxx, p. 312; X. Xxxxxxx, x. 00; per un approfondimento sul tema della leva finanziaria vedi cap. 4.3.2
139 X. Xxxxxx, p. 62; X. Xxxxxxx, p. 93
140 X. Xxxxxx, p. 62; X. Xxxxxxx, p. 93
Il secondo, invece, ricorre allorché le opzioni vengano negoziate su un mercato regolamentato. In questo caso, infatti, al pari degli altri strumenti negoziati, esse si configurano come strumenti uniformi e standardizzati e questa circostanza ne favorisce una rinegoziazione quali autonomi prodotti finanziari sul mercato secondario141. In tal modo gli speculatori potranno stipulare un contratto di opzione al solo fine di rivenderlo, ad un prezzo maggiore, non appena il bene sottostante si sia apprezzato e quindi anche molto prima della scadenza.
In questo caso si riscontra, perciò, la totale assenza di una volontà di acquisizione del bene sottostante, restando solo la volontà, totalmente speculativa, di guadagnare dalla rivendita contratto. Tale fenomeno è quello che permette un uso, invero molto diffuso sui mercati, di tali strumenti, anche, con finalità di arbitraggio142.
3.3.3 Lo Swap
Per quanto attiene allo swap, ovvero l’archetipo più diffuso e, forse, più complesso e problematico, dei tre, rimandiamo al prossimo capitolo, ad esso dedicato, al fine di analizzarlo a fondo quale contratto centrale dell’opera.
141 X. Xxxxxxx, p. 87
142 X. Xxxxxx, p. 62
Capitolo quarto LO SWAP
4.1. Origine storica dello swap
Contrariamente a quanto accade per gli altri due archetipi di strumenti finanziari derivati (future e option), per gli swap è possibile individuare il momento esatto della loro comparsa sui mercati, che coincide con la prima negoziazione ufficiale di uno di tali strumenti (prima swap transaction), avvenuta nel 1981, tra la Banca Mondiale e la Ibm143. Esse stipularono il primo Interest rate and currency swap (IRCS) con il quale si scambiarono il peso sostenuto per indebitarsi, attraverso l’emissione di obbligazioni, in nuovi mercati e conseguentemente in valute diverse, rispettivamente in dollari per la Banca Mondiale e in franchi svizzeri per la Ibm144.
Tralasciando i dettagli tecnici della prima negoziazione di swap, possiamo osservare come l’esigenza che tali strumenti intendevano soddisfare fosse in realtà preesistente alla loro comparsa sui mercati e in particolare traesse origine dalle restrizioni valutarie imposte nel Regno Unito dalla Banca di Inghilterra che, sul finire degli anni ‘70, al fine di disincentivare l’uscita di capitali dal paese, imponeva agli operatori residenti il versamento di considerevoli “premi” sull’acquisto di valute straniere per operazioni di investimento o prestito in paesi esteri.
Prima dell’“invenzione” degli swap gli operatori inglesi cercarono di eludere tale restrizione ricorrendo ad alcuni espedienti che prevedevano complesse operazioni abbinate di mutuo fra gruppi di società, prima nelle forme dei parralels loans, poi dei back to back loans145. Con il primo si avevano due prestiti paralleli, formalmente e giuridicamente autonomi, ma collegati per la finalità economica
143 X. Xxxxxx, p. 35
144 X. Xxxxxx Xxxxxxxx, p. 46-47 ; X. Xxxxxxx, in X. Xxxxxx, p.36
145M. Xxxxxxx, in X. Xxxxxx, p. 36
perseguita, erogati reciprocamente da due società capogruppo (o banche) in paesi diversi a favore delle controllate dell’altra società (o banca) residenti nello stesso paese. Quando, nel 1979, vennero abolite le restrizioni valutarie, comparve sui mercati il back to back, attraverso il quale si realizzava un prestito reciproco direttamente tra due società capogruppo (o banche) con sede in paesi diversi, che avrebbero successivamente girato la somma di denaro alle controllate xxxxxx000.
Tali misure, sicuramente utili per consentire la liquidità nella valuta necessaria per gli investimenti all’estero evitando le spese imposte dalla Banca d’Inghilterra, dal momento che i prestiti di denaro venivano effettuati tra società appartenenti allo stesso gruppo, senza necessità, perciò, di acquistare la moneta estera sui mercati, presentavano però svantaggi in merito all’agilità ed all’affidabilità; oltre infatti a richiedere una pluralità di accordi per la loro conclusione, questi ultimi rimanevano anche giuridicamente autonomi l’uno dall’altro, non offrendo così nessuna garanzia in ordine all’inadempimento della controparte.
Gli stessi difetti si potevano riscontrare anche all’interno dell’ulteriore espediente posto in essere dagli operatori, stavolta però direttamente sul mercato dei cambi: la c.d. forward foreign Exchange transaction, attraverso la quale veniva concordato un doppio scambio, a pronti e a termine, di due entità di denaro in valute diverse, predeterminando però il tasso di cambio tra le monete in gioco147.
Come accennato sopra, tali artifici persero la propria ragion d’essere con la nascita dello swap nel 1981, in quanto lo stesso permette di regolare tali transazioni in un unico rapporto contrattuale, legittimando, peraltro, l’imprenditore adempiente a sospendere l’esecuzione del contratto stesso di fronte all’ inadempimento della controparte.
146 X. Xxxxxx Xxxxxxxx, p. 36-41; xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxx.xxx/xxxxx/x/xxxxxxxxxxxx.xxx; xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxx.xxx/0000/xxxxxxxx_xxxx.xxxx;
147 X. Xxxxxxx, in X. Xxxxxx, p. 36; xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxx.xxx/xxxxx/x/xxxxxxx-xxxxxxxx- contract.asp
Altro dato caratterizzante la seppur breve storia degli swap è la sua repentina quanto esponenziale diffusione, sintomo di quanto ne fosse avvertita l’esigenza sui mercati148. Solo per dare un’idea del fenomeno si calcola che già nel 1990 (primo anno di cui si disponga di una statistica del fenomeno) il mercato di tali strumenti valesse già 3.450 mld di dollari, avendo superato il mercato di future e option che vantava un controvalore di 2.290 mld di dollari; e che tale strabiliante cifra fosse destinata a triplicare nel giro di soli 3 anni149. Peraltro, un dato fondamentale da tenere in considerazione è come tali strumenti siano per lo più negoziati al di fuori di mercati regolamentati e quindi in mercati over the counter (OTC)150.
4.2 Tipologie di swap
Secondo quanto affermato dalla giurisprudenza con una formula volutamente generica, al fine di ricomprendere tutte le varie e alquanto differenti tipologie contrattuali sussunte sotto la denominazione di swap, esso può essere definito come un “contratto nominato ma atipico, in quanto privo di disciplina legislativa (ovvero socialmente tipico), a termine, consensuale, oneroso e aleatorio”151.
Partendo da questa definizione di base dobbiamo preliminarmente precisare che, nel suo proliferare rapido quanto incessante, lo swap, grazie anche alla fantasia e alla creatività degli operatori di mercato, ha prodotto varie tipologie di strumenti che, a loro volta, hanno generato ulteriori filiazioni tali da rendere il panorama di questo istituto costellato di una moltitudine di tipi contrattuali più o meno differenti. In realtà, però, ad un’osservazione più attenta possiamo notare come tali varianti siano riconducibili tutte alla struttura delle due tipologie fondamentali
148 X. Xxxx, p.153
149 Padoa-Schioppa, I prodotti derivati: profili di pubblico interesse, intervento in lezioni “Xxxxxx Xxxx”, Università cattolica del Xxxxx Xxxxx, Xxxxxx, 00 novembre 1995, in X. Xxxxxx, p.37
150 X. Xxxxxxx Xxxxxx, p. 8
151 Trib. Torino, sent. del 17 gennaio 2014
dello swap, quello sui tassi di interesse (Interest rate swap-IRS) e quello creditizio (credit default swap-CDS)152.
4.2.1 L’interest rate swap
L’interest rate swap è sicuramente l’archetipo fondamentale della figura in esame ed è finalizzato ad offrire tutela ai debitori contro i rischi derivanti dalle oscillazioni dei tassi di interesse su debiti. In particolare con un IRS due parti si scambiano, a scadenze predefinite e per un tempo prestabilito, flussi di cassa futuri in conto interessi calcolati con modalità differenti su uno stesso capitale, detto nozionale, espresso nella medesima valuta153. Generalmente tali pagamenti incrociati avvengono tra una parte indebitata a tasso fisso ed una indebitata a tasso variabile, di modo che esse si scambino le proprie poste debitorie154, senza però incidere sulle condizioni originarie del prestito ed, in particolare, senza produrre una modificazione soggettiva dell’obbligazione dal lato del debitore155. Ogni parte, infatti, resterà indebitata verso il proprio creditore, ma al contempo si impegnerà a trasferire all’altra una somma di denaro pari al tasso di interesse cui è soggetta la controparte (fisso o variabile) e avrà diritto a che l’altra parte agisca specularmente nei suoi confronti156. Inoltre, per distinguere le due parti, nella prassi si è soliti chiamare acquirente dello swap colui che si impegna a versare all’altro interessi fissi, mentre l’altra parte viene identificata come venditore dello swap157.
152 X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx, p. 1082
153 Aa.Vv., Nuovo Dizionario Banca Borsa e Finanza, voce Interest rate swap, ed. Iebb, 2002, voce
“interest rate swap”
154 X. Xxxx, p. 154
155 X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxx Xxxxx, in X. Xxxxxxx e altri, p. 423; X. Xxxxxxxx, p. 203, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx, p. 1079
156 X. Xxxxxx, p. 63; X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p. 187; F.M. Xxxxxxxx, p.884; X. Xxxxxxx, p.629; F. A. Xxxxxxx, p. 38
157 X. Xxxxxxxx, p. 203
È importante fin da subito notare che lo scambio non ha per oggetto il capitale, ma solo gli interessi dovuti su esso158. Inoltre, secondo lo schema ordinario della figura contrattuale che prevede l’operare di c.d. clausole di compensazione (netting), il pagamento delle due poste non avviene attraverso l’incrocio dei due flussi di cassa, ma soltanto attraverso la liquidazione dei differenziali risultanti dal saldo fra le somme dovute alle scadenze prestabilite159.
Emerge in questo modo con evidenza una delle caratteristiche fondamentali dello swap, ossia la differenzialità che, unita all’immaterialità, ne fanno, a mio avviso, la figura più rappresentativa dell’intera gamma di derivati.
Xxxxxxx detto, infatti, che l’IRS presuppone sempre che vi siano due esposizioni debitorie, ma in realtà esso può tranquillamente prescinderne, in applicazione per altro del principio cardine dei derivati, quello di indifferenza del fondamentale. Nello swap perciò si può realizzare un massimo grado di astrattezza, creando, anche in modo fittizio posizioni debitorie da scambiarsi tra le parti, con l’unico scopo di lucrare sulle differenze di tassi di interesse160.
Ne consegue che l’unico oggetto ricercato dalle parti e, da esse, posto a base della scelta di investimento è il differenziale di valore fra le somme dovute dalle parti, mentre, secondo la dottrina maggioritaria, avvallata anche da una recente giurisprudenza161 lo scambio di flussi di cassa determinati sul nozionale rileverà quale fondamento causale astratto del contratto stesso162.
Da quanto detto emerge con chiarezza come il contratto in esame sia affine, se non addirittura assimilabile, all’accollo interno163, figura in base alla quale l’accollante si assume il debito facente capo all’accollato senza che il creditore
158 X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx, p. 1079
159 F. A. Xxxxxxx, p. 40; X. Xxxxxx, p. 63;
160 X. Xxxxxx, p. 66-67.
161 Trib. Torino, 17 gennaio 2014 in Giurisprudenza italiana, aprile 2014 ed. Utet giuridica; nello stesso senso Trib. Torino con sentenza del 24 aprile 2014 n 2976, in xxxxxx.xx
162 Per la trattazione degli aspetti dogmatico-civilistici della figura rimandiamo al cap. 5 dedicTO, appunto alla qualificazione giuridica dello swap
163E. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx, p. 1080
venga coinvolto nella stipulazione164. Da tale accordo nasce un’alternativa per l’accollante che potrà scegliere di onorare, direttamente nei confronti del creditore, il debito facente capo all’accollato oppure mettere a disposizione di quest’ultimo quanto necessario per pagare il debito, senza che vi sia, però, alcun diritto del creditore nei confronti dell’accollante165.
Da questo punto di vista la peculiarità dell’ IRS sta nell’incrocio di due contratti di accollo con i quali ogni parte si assume il debito di interesse dell’altra, con l’impegno a liquidare solo i differenziali tra tali somme ad ogni scadenza oppure con un unico pagamento alla scadenza del contratto, calcolandosi il saldo tra le poste attive e passive delle due parti.
Come già spiegato nell’introduzione166, all’archetipo di IRS sono riconducibili svariate tipologie contrattuali, che si differenziano in base a167:
a) modalita di calcolo della prestazione: a titolo esmplificativo si possono ricordare:
_ floating to floating IRS, che permette scambi di somme calcolati entrambi su differenti tassi variabili;
_ fixed to fixed IRS, in base al quale le parti a date diverse si scambiano somme basate su tassi di interesse fissi168;
164 Art. 1273, co. 3, c.c.; X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx, p. 1081
165 In tal senso Cass. Civ. Sez. I, sent. 2 dicembre 2011, n.259863, in xxxxx.xx; nello stesso senso Xxxx. Civ. Sez. I, sent 26 giugno 2013, n.4383714, in xxxxxx.xx
166 Vedi infra Cap. 4.2
167 Per l’intera classificazione G. Gitti e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, 188; F. A. Xxxxxxx, p. 40; X. Xxxxxx, p.103 – 120
168 Un esempio lo troviamo in X. Xxxxxx Nassetti, p. 55 “Questi sarebbero utili ad un soggetto che, avendo emesso un prestito obbligazionario al 7% annuo ed avendo investito i proventi del prestito in un'attività che rende il 3,5% ogni semestre (che equivale a 7.12% annuale assemendo di poter reinvestire la somma di interessi ricevuta alla fine del semestre al 7% per anno per il successivo semestre) vuole eliminare il rischio del reinvestimento dei redditi semestrali ad un tasso inferiore al 7%. A tal fine entra in uno swap in cui paga il 3,5% ogni semestre e riceve il 7.12% annuo assicurandosi il margine di profitto che altrimenti sarebbe stato incerto"
b) tempistica di corresponsione dei flussi di cassa: sempre a titolo esemplificativo si citano:
_ zero coupon IRS, che prevede, a carico della parte indebitata a tasso fisso, esborsi in un’unica occasione che può essere all’inizio o alla fine della vita del contratto169;
_ double zero coupon IRS, dove invece si hanno due pagamenti;
c) natura del nozionale: tale distinzione è la più rilevante poiché da essa derivano figure contrattuali che possono differire dalla figura madre dell’IRS anche dal punto di vista del funzionamento.
A tale proposito si distingue tra:
_ commodity swap, che assume come nozionale il valore di merci;
_ equity swap, il cui valore è legato all’oscillazione di valore di azioni170. Tale tipo di swap è da tenere nella debita considerazione anche da un altro punto di vista, poiché, qualora esso preveda un regolamento in natura (delivery settlement), potrebbe rappresentare un valido espediente per aggirare la disciplina della trasparenza proprietaria nell’azionariato delle società171;
_ asset swap, ossia swap su cespiti, il cui nozionale non è rappresentato da debiti, quanto da crediti. Lo scambio di tassi fra le parti ha perciò luogo su posizioni attive anziché passive. Tale istituto è molto usato come meccanismo di riconversione finanziaria, consentendo il ricollocamento di titoli obbligazionari deprezzati. Nella pratica sarà sufficiente trovare un investitore disposto ad acquisire un reddito fisso pagando un tasso variabile, ovviamente in
169 xxxx://xxx.xxxx.xxx/xxxxxxx/xxxxxxxx.xxxx?xxxxxXxxx%00xxxxxx%00xxxx
170 X. Xxxx, p. 179
171 art 120, co. 4, lett. a), TUF; art 119, Reg. Emittenti Consob. Tale argomento esula però dal presente lavoro, quindi non mi soffermerò su esso. Per un approfondimento in materia vedi X. Xxxxxx, p. 46
considerazione di una previsione di mercato che lasci supporre, entro il periodo di efficacia dell’accordo, un ribasso dei tassi172;
_ currency swap, ovvero swap su valute, in forza del quale le parti, residenti in paesi diversi, si impegnano a scambiarsi flussi di cassa determinati su valute straniere rispetto al paese di residenza173. Da esso discendono poi ulteriori categorie di swap (come i domestic currency swap) che, per la rilevanza che hanno assunto sui mercati internazionali, meritano una trattazione separata.
4.2.1.1 Il Currency swap
Nonostante tragga origine dalla figura fondamentale degli interest rate swap e quindi, nella sua forma primigenia, esso contempli solo lo scambio reciproco, fra due parti, di flussi di cassa determinati su divise diverse rispetto a quelle dei paesi di residenza delle parti stesse174, il currency swap si è successivamente evoluto, nella prassi delle negoziazioni di mercato, in uno strumento per certi aspetti peculiare, rispetto al suo modello di riferimento, e sicuramente in grado di rispondere meglio a esigenze largamente avvertite sul mercato, in particolare da parte delle imprese.
Tale strumento nasce per neutralizzare il rischio di cambio cui sono esposti coloro che si trovino ad operare sui mercati in valuta estera, come ad esempio imprese che siano indebitate a termine in valute diverse da quelle di residenza175. In questi casi tali soggetti, oltre ad avere esigenza di tradurre tali somme di denaro nella propria moneta nazionale, avranno anche un forte interesse a che il tasso di cambio di valute al momento della scadenza dell’obbligazione sia quantomeno
172 X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx, p. 1082
173 X. Xxxxxxxx, p. 203; X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx, p. 1081
174 X. Xxxx, p. 168-169; X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p. 188; X. Xxxx, p. 168-169
175 X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx, p. 1081
rimasto invariato rispetto al momento in cui il debito è sorto, per ridurre il rischio di dover corrispondere ai propri creditori somme potenzialmente maggiori di quelle per cui avevano contratto i debiti originari176. Il currency swap permette di soddisfare proprio questa esigenza. Infatti spesso i contraenti al momento della conclusione di tale contratto vi inseriscono clausole cc.dd. di Exchange e re- exchange, entrambe eventuali; con le quali si prevede la consegna della somma in valuta estera che funge da nozionale all’inizio della vita del contratto e, successivamente, la sua restituzione al termine della stessa177. Ovviamente entrambi gli scambi avverranno ad un tasso di cambio predeterminato, in cui spesso il tasso di cambio a termine viene fatto coincidere col tasso a pronti, tutelandosi in questo modo dal rischio dovuto alle oscillazioni di esso e producendo un guadagno per una delle parti a seconda dell’andamento del tasso di mercato.
Tale deviazione dallo schema base, che è quella che più tradisce la derivazione della figura in esame dai parallel loans o dai back to back loans (ossia l’incrocio di due prestiti tra società residenti in nazioni con valuta differente, giustificate dalla necessità di tali società di operare con valute estere), ha dato vita a quello che viene definito Interest rate and currency swap (IRCS)178 che ne è, ad oggi, la forma sicuramente più diffusa, al punto che parte del mondo economico lo individua col semplice termine currency swap (CS)179, ingenerando così una confusione concettuale non indifferente. In particolare, in base all’accordo di IRCS le parti convengono di scambiarsi inizialmente i capitali nozionali in valute diverse, normalmente secondo il tasso di cambio del mercato; durante la vita del contratto ciascuna parte corrisponderà all’altra gli interessi nella valuta della
176 X. Xxxxxx, p. 105;
177 X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p. 188; X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxx Xxxxx, in X. Xxxxxxx e altri p. 423; X. Xxxxxxxx, p. 423
178 X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p. 189; X. Xxxxxx Xxxxxxxx, p. 49
179 X. Xxxxxxxx, p. 203
somma ricevuta; al termine le parti opereranno uno scambio finale, inverso all’incrocio iniziale, ad un tasso di cambio prestabilito180.
La diffusione di tale schema contrattuale è dovuta al ruolo di primo rilievo che l’IRCS svolge nei processi di conversione di capitali raccolti in valute estere, in particolare attraverso le c.d. eurobbligazioni o xenobbligazioni, ossia titoli denominati in valuta estera rispetto al paese dell’emittente181.
Prendiamo, ad esempio, il caso di una societa A, italiana, che emetta obbligazioni per 10.000 $, e di una società B, americana, che si indebiti, invece, per 15.000 €; supponiamo che il tasso di cambio fra le due valute sia di 1$= 1.5€ e che i due debiti abbiano la medesima scadenza. Esse attraverso la conclusione di un contratto di IRCS potranno scambiarsi le due somme, in modo da poter disporre di una somma in valuta interna, sicuramente più utile per entrambe, per poi operare un secondo trasferimento incrociato, alla scadenza delle obbligazioni, ad un tasso predeterminato, mettiamo ad 1$= 1.6€, per pagare i creditori. In tal modo le imprese, da una parte, hanno tradotto in moneta nazionale il risultato di una raccolta fondi estera e, dall’altra, hanno limitato il rischio di cambio, predeterminandolo. Si capisce come in tali situazioni operare sul mercato dei derivati risulti più conveniente che svolgere le stesse operazioni sul mercato dei cambi, dal momento che, su quest’ultimo, le parti, oltre ad essere obbligate a porre in essere due operazioni separate per raggiungere il medesimo obiettivo, non avrebbero potuto manovrare, secondo le proprie esigenze, il tasso di cambio di tali operazioni, restando esposte al rischio derivante dall’oscillazione di quest’ultimo.
Da quanto detto emerge con chiarezza che l’elemento fondamentale della figura in esame è la determinazione del tasso di cambio a termine, che solitamente viene stimato dalle parti tenendo conto della forza contrattuale di ciascuna di esse, dell’andamento del mercato e spesso anche prevedendo l’erogazione di un premio determinato dal differenziale fra i tassi di interesse applicati alle due valute.
180 X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p. 189;
181 X. Xxxxxx, p. 106
4.2.1.2 Domestic currency swap (DCS)
Così come l’intera categoria degli swap, i DCS, tanto in Italia quanto nel Regno Unito, devono la loro introduzione e ampia diffusione, iniziata dalla metà degli anni ’80, al divieto di compravendita a termine di valuta182. L’espediente escogitato per aggirare tale limitazione fu quello di tradurre l’intera operazione in valuta nazionale, utilizzando la valuta estera solo quale parametro di riferimento su cui calcolare le somme dovute reciprocamente dalle due parti183.
In particolare, attraverso un domestic currency swap le “parti si obbligano, l'una verso l’altra, a corrispondere, alla scadenza di un termine convenzionalmente stabilito, una somma di denaro (in valuta nazionale) quale differenza tra il valore (espresso in valuta nazionale) di una somma di valuta estera al tempo della conclusione del contratto e il valore della medesima valuta estera al momento della scadenza del termine stabilito”184.
I punti fondamentali dell’accordo risultano, quindi, essere la definizione di un capitale convenzionale di riferimento (nozionale), le scadenze di regolamento e, soprattutto, il tasso di cambio preconcordato185. In questo modo, l’esecuzione del contratto genererà poste attive o passive a favore dell’uno o dell’altro operatore, e specularmente a carico della controparte, a seconda che il cambio a pronti ad ogni scadenza sia superiore o inferiore a quello concordato. Le poste verranno liquidate attraverso il pagamento dei soli differenziali, periodicamente o alla scadenza finale del contratto, sulla base dei saldi parziali o del saldo finale risultante dalla somma algebrica delle poste attive e passive di ogni parte.
182 imposto dall’art. 6 c 2 lett c) del DPR 31 marzo 1988 n. 148 [successivamente abrogato ad opera dell’art. 1 c 2 lett e) DM 27 aprile 1990].
183 X. Xxxxxx, p. 107; X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx, p. 1082
184 Cass. Civ., Sez. I, 19 maggio 2005, n. 10598, in xxxxxx.xx
185 X. Xxxxxx, p. 108
Si possono notare già a prima vista quelle che sono le differenze fondamentali di tale rapporto rispetto agli altri swap dal momento che:
a) la parti sono residenti nello stesso paese e quindi hanno entrambe interesse a ricevere il pagamento nella valuta corrente all’interno di esso;
b) l’accordo prevede il pagamento in un’obbligazione unica a carico dell’una o dell’altra parte, evitando, quindi, l’incrocio di pagamenti tipico delle altre tipologie di swap. Le parti, infatti, attraverso le cc.dd. clausole di compensazione inserite nel contratto, si scambiano, alla scadenza prestabilita, soltanto la differenza di valore tra due grandezze, che non individuano due prestazioni e che rimangono rilegate su un piano virtuale186.
Se nella struttura si possono notare marcate differenze, come quelle accennate, lo stesso non è possibile fare per quanto riguarda lo scopo di tali contratti, essendo identico a quello riscontrabile nei CS e negli IRCS, ossia la cristallizzazione del tasso di cambio, in modo da rendersi immuni da future oscillazioni di valore delle valute.
Per capire in che modo tale risultato sia raggiunto dobbiamo distinguere, all’interno di ogni DCS, fra un DCS import e un DCS export, a seconda della posizione assunta dalla controparte. Premettendo che tale distinzione non ha alcun rilievo giuridico, essendo proficua solo ad esigenze di speditezza nel riconoscimento del funzionamento del contratto e nell’attribuzione del segno alle operazioni di una parte, si può dire che il DCS import soddisfa o simula (a seconda della reale esistenza o meno di una situazione debitoria a base dell’operazione) l’esigenza della parte esposta ad un debito in valuta estera, che quindi temerà un rialzo della valuta stessa rispetto a quella nazionale. In tal caso essa riceverà il differenziale nel caso in cui la valuta estera si apprezzi su quella nazionale, superando il tasso di cambio prestabilito, altrimenti sarà essa stessa a
186 X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p. 191
dover pagare la differenza fra il tasso prestabilito (più alto) e il tasso di mercato alla scadenza.
Inversamente, il DCS export soddisfa o simula l’esigenza opposta, ossia quella della parte creditrice di una somma in valuta estera di esorcizzare il rischio di un ribasso di tale valuta rispetto a quella nazionale. In tal caso essa verrà pagata qualora la moneta nazionale si apprezzi sulla valuta estera, mentre pagherà nell’ipotesi opposta187.
Prendiamo, ad esempio, il caso di una società A che sia creditrice di 10.000 $ e di una società B debitrice della stessa somma verso terzi e poniamo che le due obbligazioni abbiano la medesima scadenza. Posto, quindi, il capitale convenzionale di 10.000 $, le parti fissano un tasso di cambio concordato di 1$ = 1.5€. In tal modo, qualora alla scadenza il tasso sia superiore a quello concordato (es: 1$ = 1.7 €), la società A dovrà a B una somma pari alla differenza fra il tasso effettivo e quello concordato su ogni dollaro del capitale nozionale e B si sarà tenuta al riparo da tale oscillazione. Nel caso contrario sarà invece B a dovere ad A la differenza fra il tasso concordato e quello effettivo di mercato alla scadenza, rimanendo in questo modo A immune dal deprezzamento dell’euro.
Ovviamente anche per i DCS, come già detto, è frequente una totale smaterializzazione dell’istituto, creandosi posizioni debitorie e creditorie fittizie e, quindi, investendosi su nozionali inesistenti, solo per finalità speculative.
4.2.2. I Credit default swap (CDS)
I credit default swap sono gli strumenti finanziari derivati che negli ultimi anni - ed in particolare dal 2008, anno in cui è esplosa la crisi finanziaria globale - hanno attirato le maggiori attenzioni sia da parte dei mercati, a causa dell’ingente
187 X. Xxxxxx, p. 111
ammontare di negoziazioni che li hanno ad oggetto, sia da parte dell’opinione pubblica, essendo da essa additati quali causa primaria del crack finanziario dell’economia statunitense che ha finito per coinvolgere l’intera economia mondiale188.
È sufficiente a tale proposito riportare le parole con cui The Guardian, in un articolo pubblicato nel settembre del 2008, descriveva colei che per prima aveva ideato tali strumenti, Xxxxxx Xxxxxxx, definendola come la creatrice di "financial weapons of mass destruction"189.
Ma facciamo un passo indietro e andiamo ad analizzare l’origine di tali strumenti.
4.2.2.1 Cenni storici sui credit default swap
Il primo CDS della storia fu ideato nel 1994 da Xxxxxx Xxxxxxx, esperta operatrice finanziaria che in quegli anni ricopriva un incarico di massima rilevanza per la banca JP Morgan, una fra i maggiori istituti di credito statunitensi. In particolare la Masters si trovava davanti ad un problema generato dalla richiesta di uno dei più importanti clienti della banca, la Exxon, impresa petrolifera che si trovava a fronteggiare in quel periodo seri problemi economici. Proprio per risollevarsi da tale situazione la Exxon aveva inoltrato alla Jp Xxxxxx la richiesta di apertura di una linea di credito per 5 mld di dollari, istanza che la banca aveva intenzione di soddisfare se non fosse stato per i limiti imposti dal Consiglio di Basilea che, per un’ operazione di tali dimensioni richiedeva all’istituto di accantonare sotto forma di riserve l’8% della somma erogata.
L’idea della Masters a tale proposito fu geniale e destinata a cambiare radicalmente la storia della finanza moderna; ella pensò di utilizzare uno
188 X. Xxxxxxxx, p. 208
189 X. Xxxxxxx [1]
strumento finanziario già esistente, lo swap appunto, per trasferire su un soggetto terzo il rischio di inadempimento (rectius di fallimento) del proprio debitore, potendo così sollevare l’istituto dall’obbligo di accantonamento della riserva dell’8%, imposta proprio per tutelare la banca (e di conseguenza l’intero sistema economico) contro tale eventualità. Fu così concluso il primo CDS della storia che vide come controparte firmataria la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (EBRD), la quale si impegnò a risarcire la JP Morgan dell’eventuale perdita derivante dall’inadempimento del suo debitore190.
Da quel momento in avanti i CDS ebbero un’espansione vastissima, arrivando in breve tempo ad essere uno dei contratti maggiormente negoziati sui mercati regolamentati, ma soprattutto su quelli OTC.
4.2.2.2 Definizione e peculiarità del credit default swap
I credit default swap sono la tipologia di swap in cui una parte, definita compratore di protezione (protection buyer), corrisponde alla controparte, venditore di protezione (protection seller), una quota del rendimento di un credito vantato verso un terzo, chiamato ente di riferimento, in cambio della promessa di una prestazione patrimoniale a suo favore al verificarsi di un evento futuro e incerto legato all’inadempimento degli obblighi del debitore od anche soltanto all’aumento della probabilità di inadempimento da parte di quest’ultimo191.
L’evento (credit event) al verificarsi del quale scatta l’obbligo di pagamento a carico del protection seller - la cui determinazione è lasciata alla libertà contrattuale delle parti alla sola condizione della sua precisa deduzione in contratto - può essere dei più vari, potendo riguardare il patrimonio del debitore,
190 Per la ricostruzione storica xxxx://xxxxxxxxxxxxxxxxxx.xxxxxxx.xxx/xxxxxx-xxxxxxx-xxxx-xxx- first-one-40150.html
191 X. Xxxxxxxx, p. 208, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx, p.1084
le condizioni del credito stesso ovvero qualsiasi condizione di criticità creditizia, ancorché non propriamente riconducibile ad un’insolvenza vera e propria192.
Due precisazioni preliminari sono fondamentali per capire quelli che sono gli aspetti peculiari dell’istituto nonché la sua forte valenza speculativa.
In primo luogo, c’è da dire che, benché il CDS presupponga l’esistenza di un’obbligazione di riferimento, assunta quale sottostante del contratto stesso, in applicazione del principio di dematerializzazione dei derivati è ben possibile (rectius frequente) che il protection buyer non sia, in realtà, titolare di alcun credito, ma stipuli un simile contratto esclusivamente nella speranza di guadagnare sul possibile inadempimento di un debitore ad un creditore di un’obbligazione a cui egli è totalmente estraneo. In tal caso si parla di naked CDS193.
In secondo luogo, è bene precisare quelli che sono i rapporti fra il credito originario vantato dal protection buyer e l’ammontare della prestazione dovutagli dal seller in caso di inadempimento, per mettere in luce che una correlazione tra essi non esiste. In particolare, benché generalmente l’impegno assunto dal protection seller sia limitato ad una quota percentuale di tale perdita o entro un plafond predeterminato, è ben possibile che esso vada a coprire anche tutta la perdita subita dal buyer o addirittura una somma maggiore. In sintesi la determinazione dell’indennizzo è liberamente decisa dalle parti senza alcuna necessità di correlazione con il rischio di credito subito dal creditore194. Inoltre, è ben possibile che il buyer stipuli più CDS su uno stesso credito, con diverse controparti, potendo anche per questa via assicurarsi la promessa di un pagamento potenzialmente maggiore rispetto al credito vantato.
192 X. Xxxxxxx [1], p. 228; X. Xxxxxx, p.134-135; X. Xxxxxxxx, p. 211
193 X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p. 192
194 X. Xxxxxx, p 135; X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p 192; X. Xxxxxxxx, p. 210 indica gli elementi principali che si “dovrebbero teoricamente considerare per la determinazione del premio”, ovvero 1) il tasso di recupero del reference asset, ovvero del credito sottostante; 2) il merito creditizio dell’emittente e quindi la probabilità che si verifichi il credit event; 3) il rischio della controparte.
Alla luce di queste precisazioni si capiscono bene quelli che sono i pericoli insiti nell’istituto in esame e, anche, quelle che sono le ragioni che hanno spinto l’opinione pubblica ad avversare tali strumenti; è ovvio, infatti, come attraverso la stipulazione di CDS per lo più per finalità speculative si finiscono per amplificare in modo esponenziale le conseguenze negative di un default, posto che, a fronte di un semplice inadempimento, può essere chiamato a rispondere un numero illimitato di sellers anche per cifre che superano, potenzialmente in modo illimitato, la perdita subita dal buyer.
Un ulteriore peculiarità dell’istituto, largamente diffusa nella prassi delle contrattazioni, è la clausola con cui viene concessa al protection seller la facoltà, o meglio l’opzione, di acquisto dell’intero credito ad un prezzo predeterminato o predeterminabile attraverso criteri di stima del valore residuo del credito195.
A parte tale caso particolare, seppure piuttosto frequente, in cui sicuramente si realizza una cessione di credito e conseguentemente una modificazione soggettiva dell’obbligazione dal lato attivo, lo scopo perseguito attraverso la stipulazione di tali accordi non è il passaggio del credito stesso, quanto, piuttosto, il trasferimento del rischio di credito196. Tale ricostruzione sembra ormai pienamente affermata, al punto da ritrovarsi addirittura all’interno del TUF197, che definendo gli strumenti finanziari derivati, parla di “strumenti finanziari per il trasferimento del rischio di credito”. Ad una dottrina più attenta non è sfuggito, però, come tale asserzione non sia immune da critiche dal punto di vista giuridico, poiché essa finisce con l’assimilare il rischio ad un bene materiale quale esso non è. Non essendo rinvenibile, infatti, in rerum naturae, allora esso non può essere inteso oggettivamente, ma solo in un’ottica soggettiva, quale interesse personale patrimoniale del contraente. Ne deriva che la ricostruzione in esame, figlia della teoria della c.d. commutatio periculi, ideata nello studio dei contratti aleatori, è, a
195 X. Xxxxxx, p. 135;
196 X. Xxxxxxxx, p. 209
197 art. 1, co. 2, lett h), TUF
ben guardare, inidonea a definire dogmaticamente alcun tipo contrattuale198. Infatti “dire che oggetto del contratto (…) è il rischio può avere qualche significato solamente dal punto di vista economico, mentre da quello giuridico non ha altro valore se non della metafora”199.
Il significato del riferimento al trasferimento del rischio è espresso negli stessi termini anche da un altro autore, forse in modo ancor più calzante per il caso in esame: “parlare di scambio di rischi significa ricorrere ad una perifrasi per dire che le prestazioni patrimoniali di una o entrambe le parti non sono determinate fin dall’origine e non devono essere necessariamente eseguite da entrambe”200.
Un approccio forse più utile alla ricostruzione teleologica dell’istituto può consistere nell’osservazione delle finalità concretamente perseguite dalle due parti. Da tale angolo di osservazione possiamo notare come per il protection buyer il CDS, almeno nella sua conformazione originaria, ha essenzialmente una finalità assicurativa, imponendogli una perdita certa (la quota di rendimento retrocessa) a fronte di un profitto incerto. Per quanto riguarda il seller, invece, la conclusione di un simile accordo non può che essere giustificata da ragioni di pura speculazione, assicurandogli, infatti, un profitto certo a fronte dell’eventualità di una perdita incerta201.
Da tale punto di vista si comprende come, sul piano funzionale, in questi contratti quello che viene scambiato è sostanzialmente solo il rischio di credito, nonostante le seppur legittime critiche della dottrina relativamente all’inquadramento dogmatico.
Il meccanismo del subingresso del seller nel credito non fa altro che amplificare questi effetti, poiché egli acquisterà il credito nella speranza (o meglio: secondo l’aspettativa) di recuperare dal debitore più di quanto versato per l’acquisto,
198 In tal senso X. Xx Xxxxxxxxxxxx, X. Xxxxxx, p. 60
199 G. Osti, voce contratti, in Novis dig., UTET 1959, p. 496
200 X. Xxxxxxx, Xxx xxxxxx e della scommessa, in Commentario codice civile a cura di Xxxxxxxx – Branca, Libro IV, Zanichelli, 1959, in X. Xx Xxxxxxxxxxxx, X. Xxxxxx, p. 65
201 X. Xxxxxxxx, p. 209; X. Xxxxxx, p. 136
mentre il buyer, che ha ceduto il credito, dovrà aggiungere alla quota di interessi già versata al seller la quota di valore del credito scontata al seller al momento della vendita.
4.2.2.3 Inquadramento giuridico del credit default swap, e possibili accostamenti ad altre tipologie contrattuali.
Credit default swap e swap tradizionale
Da quanto detto fino a questo punto risulta chiaro come il CDS risulti essere un tipo contrattuale molto peculiare che, per certi versi, si discosta non poco dalla figura di riferimento dello swap stesso, al punto da aver spinto alcuni autori ad un suo possibile confronto con altri tipi contrattuali, quali la fideiussione, da un lato, e il contratto di assicurazione, dall’altro. Cerchiamo, quindi, di chiarire quelli che sono i punti di contatto ovvero le differenza esistente tra tali figure.
Per quanto riguarda l’inquadramento all’interno della categoria dello swap, suo referente primario dal momento che da esso trae anche la denominazione, possiamo osservare come vi siano notevoli differenze tra i due.
In primo luogo, se poniamo quale caratteristica fondamentale dello swap (letteralmente baratto) lo scambio tra due posizioni sottostanti omogenee, ci accorgiamo immediatamente come nel CDS tali posizioni non siano riscontrabili, esistendo, in esso, un’unica posizione sottostante, ossia il credito originario vantato dal protection buyer nei confronti del proprio debitore. Tale unicità di posizione rende, perciò, impossibile la biunivocità di flussi tra le due parti; di conseguenza lo scambio stesso, quale dato (astrattamente) caratterizzante lo swap, non ricorre nei CDS202.
202 X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx, p. 184; X. Xxxxxxxx, p. 209 (nota 43); X. Xxxxxx, p.213
Un ulteriore rilievo non di poco momento riguarda l’incidenza della posizione sottostante sul funzionamento dello swap. Lo swap tradizionale, infatti, è per definizione insensibile alle vicende sottostanti; anzi, la sua funzione primaria è proprio quella di modificare le condizioni delle posizioni sottostanti (di debito o di credito), senza incidere sulla configurazione originaria di tali rapporti. Tale indifferenza non è sicuramente riscontrabile all’interno della figura in esame, poiché, non solo essa non risulta insensibile alla posizione sottostante, ma ne è addirittura condizionata. Solo l’inadempimento del debitore originario, infatti, può far scaturire l’obbligo di prestazione a carico di una delle due parti, in particolare del seller, che, nell’ ipotesi in cui il debito originario venga soddisfatto regolarmente, non dovrà versare niente alla propria controparte e realizzerà in questo modo un profitto puro.
Possiamo affermare quindi che il “funzionamento fisiologico” di un credit default swap non preveda alcuna prestazione a carico di una delle due parti; la quale sorgerà solo quale reazione all’inadempimento del rapporto fondamentale sottostante203.
Credit default swap e fideiussione
L’altra tipologia di accordo tipico a cui istintivamente la categoria in esame viene accostata in ragione della funzione di garanzia svolta è la fideiussione, poiché in entrambe le figure contrattuali il creditore aumenta le probabilità di vedere adempiuto il proprio debito, aumentando il numero di debitori.
Se tale caratteristica può rappresentare un punto di contatto tra le due figure, essa allo stesso tempo rappresenta anche la maggiore frattura fra esse, in relazione al modo in cui l’aumento dei debitori viene compiuto. Nella fideiussione, infatti, abbiamo un soggetto, il fideiussore, che assume direttamente e solidalmente l’obbligazione del debitore e, quindi, si impegna verso il creditore in base allo
stesso titolo; nei CDS, al contrario, il protection seller si obbliga a indennizzare il creditore dall’inadempimento attraverso un autonomo contratto concluso direttamente con il protection buyer, quindi in base ad un titolo differente da quello con cui è stato contratto il debito originario204.
Un’ulteriore connessione, inesistente nel caso dei CDS, è quella che lega le due obbligazioni dei diversi debitori. Se la fideiussione, infatti, è caratterizzata dalla sua accessorietà rispetto all’obbligazione originaria, nei CDS le due obbligazioni sono totalmente autonome205, precludendo in tal modo l’applicazione delle norme codicistiche che regolano il rapporto tra fideiussione e obbligazione garantita206. In particolare, al protection seller non sarà riconosciuto il diritto del fideiussore (ex art. 1945 cc) di opporre al creditore le medesime eccezioni proponibili dal debitore garantito e allo stesso modo gli sarà preclusa la possibilità di surrogazione, garantita, invece, al fideiussore dall’art. 1949, salvo i casi di acquisto del credito207.
Infine, vi è da notare un’ultima differenza data dalla mancanza di correlazione fra l’ obbligazione sottostante e la prestazione promessa dal seller. Se nel caso della fideiussione il debitore può farsi garantire fino al massimo del suo debito originario, attraverso la stipulazione di un CDS il protection buyer può, verso corrispettivo, proteggersi anche oltre (in maniera teoricamente illimitata) l’ammontare del credito vantato.
Tale indipendenza delle due obbligazioni emerge con chiarezza se osserviamo i naked CDS, che rappresentano forse il caso emblematico di come qualsiasi accostamento tra CDS e fideiussione sia destinato a naufragare sul piano dogmatico.
204 X. Xxxxxx, p. 214; X. Xxxxxxxx, p. 210 (nota 44)
205 X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx, p. 1085
206 X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p.193
Credit default swap e assicurazione
Un ultimo confronto che non ci possiamo esimere dal trattare, poiché è forse il più immediato per la categoria in esame, è quello fra il credit default swap e il contratto d’assicurazione. In entrambi, infatti, il cliente paga un premio per essere tenuto indenne dalle conseguenze pregiudizievoli di un evento futuro e incerto. A ben vedere, però, le differenze fra gli istituti non mancano e discendono tutte dalla diversa logica con cui operano l’assicuratore e il protection seller. Il primo, infatti, precalcola e ridistribuisce il rischio attraverso l’assunzione di una pluralità di posizioni omogenee contemporaneamente assunte e, quindi, facendo risultare ogni singolo rapporto contrattuale parte di un’operazione più vasta finalizzata alla riduzione (meglio: all’annullamento totale) dell’alea derivante dai singoli rischi assicurati.
Al contrario, il protection seller è mosso da una logica puramente speculativa, cercando di guadagnare il massimo da un rischio che viene valutato in modo autonomo e circoscritto al contratto concluso col cliente ed assumendosi in tal modo un rischio molto più elevato di quello assunto dall’assicuratore. Ne deriva che in caso di default, o anche di semplice inadempimento, il protection seller subirà una perdita secca, molto superiore alla somma incassata dal buyer. Al contrario, in caso di sinistro, l’assicuratore subirà una perdita, compensata, però, dai premi ricevuti dagli altri contratti nei quali i sinistri non si sono verificati208.
Infine, c’è da notare la differente natura dei due contratti, in quanto il contratto d’assicurazione è un contratto di durata, la cui efficacia è destinata a perdurare anche successivamente al verificarsi di un sinistro, mentre il credit default swap è un contratto che per definizione cessa con il manifestarsi dell’inadempimento da parte del debitore originario e, quindi, con l’insorgere dell’obbligo di indennizzo a carico del protection seller209.
208 X. Xxxxxx, p.215; X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p. 197; X. Xxxxxxxx, p. 209
209 X. Xxxxxx, p. 216
Nonostante tali, seppur marcate, differenze, non si può negare che una affinità di fondo fra gli istituti ci sia e sia anche piuttosto evidente. Essi condividono innegabilmente la finalità assicurativa, seppur espletata secondo meccanismi e finalità soggettive diverse, dal momento che, come detto, il seller all’interno di un contratto CDS si assume un rischio di entità tale da essere assolutamente precluso, da norme positive, all’assicuratore. Proprio in ciò risiede, in ultima analisi, la pericolosità insita nei credit default swap, ossia nella funzione assicurativa svolta da enti che non sono soggetti alla disciplina prudenziale cui sono sottoposte le compagnie di assicurazione, finendosi in tal modo per consentire ad essi l’assunzione di rischi spesso difficili da calcolare e potenzialmente superiori alle loro effettive possibilità economiche. Gli avvenimenti degli anni recenti confermano proprio come un uso scriteriato e incontrollato dell’istituto possa destabilizzare l’intero sistema economico-finanziario mondiale.
In tale contesto appare giustificata la risposta che la stessa ideatrice di questi strumenti aveva dato al giornale che le aveva mosso l’accusa riportata in apertura di capitolo: "I do believe CDSs have been miscast, much as poor workmen tend to blame their tools"210, volendo chiarire come la causa della crisi non risieda negli strumenti finanziari ma nell’uso sconsiderato e privo dell’adeguato controllo che ne viene fatto.
4.3 Gli Swap e il rischio
Abbiamo più volte affermato, nella trattazione delle varie figure di swap, che essi sono, almeno nella loro configurazione originaria, strumenti per la gestione del rischio. Come abbiamo potuto osservare, infatti, in tutte le tipologie di swap, anche molto differenti tra loro, è presente una sorta di minimo comune
210 X. Xxxxxxx [2]
denominatore dato dall’incertezza legata allo scorrere del tempo211 (caratteristica a dire il vero tipica di tutti i contratti ad esecuzione differita). Proprio a causa dell’incertezza, ogni valutazione circa la convenienza o meno di un investimento in derivati è necessariamente legata ad una stima previsionale dell’andamento futuro dei mercati - ed in particolare delle fluttuazioni degli indici sottostanti – e ciò permette agli operatori di utilizzare tali strumenti per diverse finalità economiche. Tali funzioni si differenziano in base al diverso ruolo rivestito dal fattore rischio inteso, in senso ampio (e, quindi, tralasciandosi le varie distinzioni che la dottrina economica ha sviluppato all’interno del concetto stesso) come evento pregiudizievole di carattere patrimoniale, legato ad eventi futuri e incerti, che si prevedono possibili o probabili in un determinato periodo di tempo212.
Andiamo, dunque, ad analizzare nel dettaglio il rapporto che intercorre fra questi strumenti e il rischio, dapprima passando in rassegna le varie funzioni per cui possono essere stipulati contratti di swap ed in seguito facendo un breve excursus - senza alcuna pretesa di completezza- sull’istituto della leva finanziaria a cui questi strumenti spesso si accompagnano.
4.3.1. Le funzioni economiche dello swap
Le funzioni economiche per cui vengono impiegati gli swap sono essenzialmente tre: copertura del rischio (hedging), speculazione (trading) e arbitraggio. In realtà, vedremo che esse sono ulteriormente riducibili alle sole due funzioni di copertura e speculazione, potendosi interpretare l’arbitraggio come una diversa forma di speculazione213.
211 X. Xxxxxx, p. 23
212 Enciclopedia Treccani online, voce rischio, xxxx://xxx.xxxxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxx/xxxxxxx/
213 X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p. 195
4.3.1.1 Finalità di copertura (hedging)
La finalità di copertura (hedging) consiste nella volontà di proteggersi da pericoli economici a cui un soggetto è esposto. Nel caso degli swap essa consiste nel tentativo di neutralizzare perdite future, prevedibili o anche soltanto ipotizzabili, riconducibili a fluttuazioni degli indici o dei prezzi di mercato di attività o passività di cui l’investitore è titolare214. In tal senso risulta evidente che gli swap si presentano come strumenti prediletti al raggiungimento di tale obiettivo, poiché permettono, secondo l’accezione più semplice di copertura, di assegnare loro direttamente un segno algebrico inverso rispetto all’evento temuto, neutralizzandosi, così, il rischio xxxxxx000.
Passandosi ad un’osservazione interna alla categoria, un ruolo primario per l’assolvimento di tale funzione lo rivestono, come dimostrato anche dai dati riguardanti la loro diffusione sui mercati, gli interest rate swap e i domestic currency swap, attraverso i quali un soggetto può tutelarsi dai rischi legati alle fluttuazioni dei tassi di interesse e dei tassi di cambio delle valute216. Ovviamente lo swap assolve la funzione di copertura in entrambi i sensi del rapporto contrattuale, ossia per entrambe le parti, quindi anche per l’intermediario (spesso una banca)217, ovviamente tutelando ognuna di esse per un rischio identico nella struttura e opposto in senso algebrico a quello della controparte. Questa precisazione serve a distinguere ancora di più, se ve ne fosse ulteriore bisogno, la figura in esame da quella dell’assicurazione, definita dal legislatore “il contratto con il quale l’assicuratore, verso il pagamento di un premio si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla
214 X. Xxxxxxxx, p. 206;
xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxx.xx/xxxx_xxxxxxxx/xxxxxxx-xxxxxxxxxxx/xxxxxxxxx/xxxxxx- bi/derivati/caratteristiche-deriv, in tal senso anche X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p. 194 215 E.M. Xxxxxxxxxxx – X. Xxxxxxxxx, p. 196
216 X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx, p. 1077-1078; Per la descrizione dettagliata vedi infra cap. 4.2.1
217 X. Xxxxxxxx, p. 206
vita umana”.218 Se è vero, infatti, che dietro alla finalità di hedging c’è sicuramente una logica di tutela accostabile a quella assicurativa, è ancor più vero che il modello offerto dagli IRS e DCS va oltre il semplice indennizzo del danno subito, poiché con essi il soggetto acquisisce la possibilità di una copertura totale del rischio corso, ma allo stesso tempo si espone all’eventualità della sopportazione totale del rischio di segno opposto, corso dalla controparte219, che nel caso dell’assicurazione non è invece esposta a nessun rischio220.
4.3.1.2 Finalità speculativa (trading)
Per finalità speculativa si intende, in senso alquanto generico, l’assunzione, da parte di un soggetto, di posizioni di rischio al fine di conseguirne un profitto221, ossia, nel caso in esame, l’intento di guadagnare sull’evoluzione, auspicata dalla parte, del valore sottostante222. Si può dire, quindi, che il carattere essenziale di tale funzione sia lo scopo di lucro che spinge l’investitore a porre in essere quel determinato contratto.
Da un punto di vista oggettivo, tale finalità è rappresentata dall’assenza di un previo indebitamento sottostante rispetto al quale tutelarsi. L’elemento di forte differenziazione rispetto alla precedente funzione sta quindi nella circostanza che il rischio, nel caso di trading non preesiste alla stipulazione del contratto, ma viene artificiosamente creato, proprio attraverso il contratto xxxxxx000, al fine di trarne guadagno.
218 Art 1882 c.c.
219 X. Xxxxxx, p .25
220 X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p. 197
221 X. Xxxxxxxx, p. 206;
xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxx.xx/xxxx_xxxxxxxx/xxxxxxx-xxxxxxxxxxx/xxxxxxxxx/xxxxxx bi/derivati/caratteristiche-deriv
222 X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p. 194
223 X. Xxxxxxxxxxx, x.00
4.3.1.3 Finalita di arbitraggio
La finalità di arbitraggio consiste nell’intento di assicurarsi un profitto totalmente privo di rischio224. In pratica operatori esperti, definiti arbitraggisti, compiono simultaneamente transazioni su due o più mercati diversi225, sfruttando momentanei e anomali disallineamento dei prezzi dello swap e del valore sottostante (destinati a coincidere all'atto della scadenza del contratto)226 e, in particolare, vendendo lo strumento sopravvalutato ed acquistando allo stesso tempo quello sottovalutato227.
Le operazioni di arbitraggio, oltre ad essere riservate, a causa della complessità delle stime che richiedono, ad operatori esperti, sono essenzialmente rese possibili da asimmetrie informative tra i vari mercati che producono i disallineamenti di prezzi necessari affinché tali operazioni possano essere remunerative per i soggetti agenti.
Nella prassi dei mercati queste tecniche sono sempre più difficili da riscontrare per due ragioni fondamentali: in primo luogo, perché l’aumento della rapidità delle comunicazioni fra un mercato e l’altro ha reso sempre meno frequenti le differenze di quotazioni fra essi, riducendo così in concreto la possibilità di lucrare sulla differenza228. In secondo luogo, c’è da tenere in debita considerazione il fatto che, per avere un’effettiva possibilità di arbitraggio remunerativo, è necessario che il disallineamento di prezzi sia abbastanza ampio da consentire un profitto, al netto dei costi di transazione229 delle operazioni di acquisto e vendita, e ciò restringe le occasioni vantaggiose di arbitraggio.
La differenza fra arbitraggio e speculazione risiede essenzialmente nel fattore su cui si incentra lo scopo di lucro, in quanto nella speculazione il soggetto agisce sul
224 X. Xxxxxxxx, p. 207; xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxx/xxxxx-xx-xxxxx/xxxxxxxxxxx.xxx
225 J. C. Xxxx, p.15
226xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx/xxxXxx/xxxxxxxx.xxx?xxxxxxxXxxxxxxxXxxxxx&xxxxxXxxxxxxxx%00Xx
nanziari%20Derivati
227 X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p. 195
228xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx-xxxxxx.xxx/xxxxxxxxxxx.xxx e xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxx/xxxxx-xx-xxxxx/xxxxxxxxxxx.xxx
229 xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxx/xxxxx-xx-xxxxx/xxxxxxxxxxx.xxx
fattore tempo, comprando e rivendendo lo strumento in tempi differenti e lucrando la differenza di prezzo, mentre nell’arbitraggio egli opera sul fattore spazio, acquistando e vendendo simultaneamente su mercati differenti230. Nonostante queste differenze possiamo, però, ricondurre la finalità in esame alla categoria della speculazione, poiché, nella prima, si ritrovano le caratteristiche tipiche della seconda, ossia la volontà di guadagno mediante lo sfruttamento di prezzi differenti del medesimo bene231, in assenza di un previo indebitamento sottostante.
4.3.1.4 Rilevanza della distinzione e tesi della inscindibilità delle funzioni
Ciò che è importante chiarire fin da subito è che le finalità economiche dello swap non incidono in alcun modo sulla struttura dello strumento, nè sugli effetti che lo stesso è destinato a produrre fra le parti, rilevando unicamente quali motivi soggettivi della stipulazione e rimanendo, perciò, riposte “nel foro interno, al fondo della inverificabile coscienza degli autori dell’atto”232. E’, quindi, frequente che non si sappia affatto la ragione per cui è stato negoziato uno swap o che le finalità siano plurime e talmente intrecciate da rendere impossibile isolarle ed identificarle233. Tali finalità, inoltre, possono addirittura coesistere234 all’interno di una stessa fattispecie od assumere, l’una o l’altra, funzione secondaria e eventuale all’interno dello stesso negozio giuridico.
Su queste premesse si è sviluppata la recente dottrina della inscindibilità della finalità di copertura e speculativa, che, partendo dalla presa di coscienza della concreta impossibilità di separare, se non solo teoricamente, le due funzioni, tende a ricondurle entrambe all’interno della finalità speculativa, intesa come una
230 xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxx/xxxxx-xx-xxxxx/xxxxxxxxxxx.xxx
231 X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p. 195
232 X. Xxxxx, voce causa e motivi, in Dizionario del diritto privato, Milano 2011, in X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p. 195
233 Corte App. Milano, 26 gennaio 1999 in X. Xxxxxx, p. 29; X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p. 195;
234 X. Xxxxxxxxx [1], p. 570
funzione essenziale e fondamentale in ogni contratto commerciale, che permette ai clienti più prudenti una copertura dei rischi finanziari, mentre agli operatori più audaci la possibilità di effettuare forme di investimento pure235. Detta funzione, rimanendo circoscritta all’area dei motivi della stipulazione, risulterà totalmente irrilevante sul piano civilistico, incapace di connotare lo strumento e perciò inidonea a inficiarne la validità intrinseca 236 (salvo quanto disposto, ma non è questo il caso per le ragioni che verranno esposte nel settimo capitolo, dall’art. 1345 cc237).
In contrasto con tale dottrina si pongono però alcuni orientamenti condivisi dalle autorità di vigilanza, nonché dalla giurisprudenza. Per quanto concerne quest’ultima occorre fin da subito precisare come in molte pronunce giurisdizionali sia stato dato rilievo alla funzione per la quale erano stati stipulati contratti di swap, al fine di decretarne la nullità ricorrendo al concetto di causa concreta238.
Sulla questione, inoltre, è intervenuta anche la Consob239 che, in contrasto con quanto la dottrina esposta, ha cercato di stabilire i requisiti necessari per qualificare le operazioni finanziarie come “di copertura”, identificandoli nella necessità che:
a) tali operazioni siano poste in essere al fine di ridurre la rischiosità di altre posizioni detenute dal cliente;
b) vi sia la correlazione tra le caratteristiche tecnico-finanziarie (scadenza, tasso di interesse, tipologia, ecc.) dell’oggetto della copertura e dello strumento finanziario utilizzato a tal fine;
235 X.Xxxxxxxxxx, p. 305
236 X. Xxxxxx, p. 29
237 L’art. 1345 cc riconduce infatti all’ipotesi della nullità il contratto concluso esclusivamente per un motivo illecito.
238 Per la trattazione degli orientamenti giurisprudenziali in tema di causa concreta vedi cap. 5.8
239 Comunicazione DI/99013791 del 26 febbraio 1999 e DEM/1026875 dell’11 aprile 2001
c) siano adottate procedure e misure di controllo interno idonee ad assicurare che le condizioni di cui sopra ricorrano effettivamente.
In base alle indicazioni fornite dalla Commissione, perciò, sono da qualificare come stipulate a fine di copertura solo le operazioni le cui caratteristiche tecnico- finanziarie, all’atto della stipula, presentano un elevato grado di correlazione con attività/passività detenute dall’investitore240.
Tali requisiti rileveranno, oltre che per l’esame della sussistenza della causa concreta del contratto in sede giurisprudenziale, anche per la valutazione della validità dei contratti derivati conclusi in alcuni ambiti (in particolare quelli stipulati dagli enti xxxxxx000) in cui la normativa di settore impone l’impiego di tali strumenti solo per finalità di hedging242.
4.3.2 La leva finanziaria
Come anticipato, è necessario spendere qualche riga per lo strumento della leva finanziaria, al fine di chiarire meglio quella che è la modalità di funzionamento diffusa degli strumenti derivati e anche quelli che sono i pericoli insiti negli stessi, dal momento che proprio l’effetto leva è uno dei caratteri che giustificano l’ampia diffusione dei derivati sui mercati243.
Per leva finanziaria (leverage) si intende la possibilità di effettuare investimenti per un elevato ammontare di risorse finanziarie con un basso tasso di capitale
240 X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxx Xxxxx, in X. Xxxxxxx e altri, p. 469
241 D.M. n. 389 del 1 dicembre 2003, previsto dalla Legge Finanziaria 2002 (Legge 28 dicembre 2001, n. 448)
242 Per una trattazione esaustiva dell’argomento rimandiamo a X. Xxxx, 2009; per una critica alla ricostruzione della Consob, basata sul criterio di correlazione, X. Xxxxxx, p.271 ss
243 X. Xxxxxx, p. 20
effettivamente versato.244 In termini tecnico–economici, la leva finanziaria è espressa dal rapporto (percentuale) tra il totale delle posizioni aperte sul mercato e il capitale effettivamente investito, rapporto che indicherà perciò la misura dell’esposizione debitoria potenzialmente scoperta da parte dell’investitore245.
Xxxxxxx detto poc’anzi che questo meccanismo rappresenta una delle ragioni di maggior successo dei derivati fra gli investitori e questo si spiega poiché, attraverso l’effetto leva, è possibile amplificare in misura esponenziale quelli che sono i rendimenti degli investimenti effettuati246 mediante l’acquisto o la vendita di attività finanziarie a fronte di un limitato (talvolta irrisorio) impiego di capitali, con rendimenti potenzialmente maggiori rispetto a quelli derivanti da un investimento diretto nel prodotto sottostante247. Ovviamente, però, l’effetto leva funziona in entrambi i sensi dell’operazione finanziaria e questo rappresenta il fattore di grande pericolosità dello strumento; specularmente ai rendimenti, infatti, si amplificano esponenzialmente anche le perdite a cui l’investitore si espone, perdite non coperte dal capitale effettivamente versato248.
Come si può facilmente intuire, quindi, se per un investitore speculativo la leva è uno strumento correttamente utilizzato per amplificare gli effetti della propensione al rischio, per un risparmiatore privato essa comporta un notevole elemento di pericolosità dell’operazione. A tal fine è stata predisposta una puntuale regolamentazione da parte della Consob, incentrata in particolar modo sugli obblighi informativi degli intermediari nei confronti dei clienti. Con l’art 31,
c. 2, lett a), del Regolamento Consob del 29 ottobre 0000, x 00000, riguardante appunto gli obblighi informativi a carico degli intermediari finanziari relativamente ai contratti di investimento, si è infatti imposto agli stessi di fornire
244
xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx/xxxXxx/xxxxxxxx.xxx?xxxxxxxXxxxxxxxXxxxxx&xxxxxXxxxxxx%00Xxxx, X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p. 195
245 X. Xxxxxxx, p. 191
246 X. Xxxxxxx, p. 13
247 F. Reali, p. 188
248 X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p.195; X. Xxxxxxx, p. 14
ai clienti una spiegazione dettagliata dei rischi propri degli strumenti finanziari trattati, del funzionamento dell’ “effetto leva e della sua incidenza”, nonché “se ricorra” il rischio di perdita totale dell’investimento”, allo scopo di porre gli stessi nella condizione di “adottare decisioni di investimento informate” 249.
Al fine di poter fruire dell’effetto leva senza incorrere in responsabilità per l’intermediario è necessario, inoltre, che, all’interno del contratto di investimento, sia esplicitamente concordata la misura massima della leva finanziaria utilizzabile, con un valore che potrà essere uguale o superiore all’unità250 (un valore 1 identificherà una leva finanziaria nulla, mentre valori superiori necessiteranno di una consapevole autorizzazione del cliente ben conscio del rapporto fra rendimento atteso e rischi accettabili)251.
Lo stesso regolamento sopra citato impone, inoltre, agli intermediari obblighi di rendiconto più frequenti per quei portafogli caratterizzati dalla possibilità di utilizzo della leva finanziaria252.
249 Reg. Consob, 29 ottobre 0000, x 00000, art.31, c. 2, lett a)
250Reg. Consob, 29 ottobre 0000, x 00000, art. 37 c. 2 lett e); art. 38 c. 1 lett c).
251 X. Xxxxxxx, p. 14
252 Reg. Consob, 29 ottobre 0000, x 00000, art. 54, c. 3, let. C). In tal caso il rendiconto deve essere effettuato con cadenza mensile.
Capitolo quinto
QUALIFICAZIONE GIURIDICA DELL’INTEREST RATE SWAP
5.1 Introduzione, varie metodologie di classificazione
Il dibattito sulla qualificazione giuridica del contratto di interest rate swap (e, più in generale, di tutta la categoria dei contratti derivati) è un problema che accompagna tali negozi fin dalla loro prima comparsa e che trae origine dalla constatazione della atipicità del contratto di swap253, compreso fra i contratti nominati, in ragione del richiamo ad essi presente nell’art 1, co. 2 TUF, che si limita ad elencare una serie di strumenti finanziari tra cui rientrano anche quelli in esame, senza però definirli in termini giuridici. Tale dibattito ha diviso e continua tutt’oggi a dividere la dottrina come anche la giurisprudenza, senza approdare ad una soluzione condivisa e accettata dalla maggioranza degli operatori del diritto. Tale discordanza di opinioni è probabilmente il segno evidente delle problematiche di “trapianto giuridico” di modelli contrattuali elaborati in ordinamenti stranieri (e, in particolare, in ordinamenti di common law) e “importati” nel nostro ordinamento; problematiche legate, perciò, all’inquadramento dello stesso all’interno delle categorie concettuali e dogmatiche tipiche del diritto italiano (e, in generale, di tutti gli ordinamenti di civil law) che si rivelano spesso inadeguate allo scopo perseguito. Tale genere di questione è stata indicata dalla dottrina con la locuzione di “contratto alieno”, termine utilizzato, appunto, per indicare i contratti elaborati sulla base del diritto americano e del diritto inglese, ma a cui si applica il diritto italiano, per espressa scelta delle parti o per l’operare delle norme di diritto internazionale privato254.
La qualificazione giuridica di contratti “atipici”, quale quello in esame, è, infatti, un’operazione che può essere svolta seguendo diverse modalità di ragionamento
253 Trib. Civitavecchia, ord. 08.06.2011
000 X. Xx Xxxx [1], p. 15
giuridico che possono condurre l’interprete a risultati del alquanto differenti, quando non addirittura contrastanti. In via del tutto generale possiamo ridurre le tecniche di classificazione a due grandi categorie di ragionamento. Da una parte vi è un ragionamento di tipo deduttivo, ovvero quello improntato sul modello della sussunzione, molto caro alla nostra giurisprudenza, che consiste sostanzialmente nel confrontare una fattispecie contrattuale concreta con un tipo astrattamente definito da una norma al fine di verificare se fra i due sussista una corrispondenza che possa legittimarne una assimilazione, anche sotto il profilo della disciplina applicabile255. Una seconda tecnica di ragionamento, questa volta di tipo induttivo, è invece quella che prende le mosse da un’attenta analisi degli elementi essenziali della fattispecie ed, in modo particolare, della causa per giungere ad una qualificazione del rapporto che soltanto in alcuni casi sarà coincidente con un tipo contrattuale astrattamente disciplinato dal legislatore256.
Entrambe queste tecniche sono state, invero, usate per addivenire ad una qualificazione giuridica del contratto di interest rate swap, con risultati, analizzati nei successivi paragrafi, del tutto diversi e per certi aspetti antitetici.
5.2 Metodo della sussunzione
Il metodo deduttivo, fondato sul modello della sussunzione è stata una delle prime strade attraverso cui la giurisprudenza ha cercato di definire i caratteri giuridici dei contratti di interest rate swap. Al momento della comparsa degli stessi sui mercati è scattato nella giurisprudenza, da sempre caratterizzata da quella che Xxxxxxxxx chiama “tendenza alla tipizzazione”257, un “riflesso condizionato a cercare qualche tipo legale, cui il contratto sia riconducibile”258.
255 X. Xxxxx, p. 407-408
256 X. Xxxxxxxxx [2], p. 570
257 X. Xxxxxxxxx [2], p. 611
258 X. Xxxxx, p. 410
Tale operazione risulta sicuramente utile, in primo luogo, per identificare negli stessi quella meritevolezza di interessi che l’ordinamento esige per poterne affermare la piena legittimità259 e, in secondo luogo, al fine di desumerne la disciplina applicabile. Da un altro punto di vista, però, essa rischia di penalizzare e appiattire eccessivamente quelli che sono i caratteri peculiari tipici di uno schema contrattuale.
Un’analisi delle teorie elaborate in merito servirà a chiarire tali questioni.
5.2.1 IRS e contratto differenziale
Un primo tipo contrattuale a cui si è tentato, in dottrina, di assimilare l’interest rate swap è il contratto differenziale semplice260. In realtà il contratto differenziale, fattispecie estranea al nostro ordinamento in quanto di origine tedesca, non rappresenta una vera fattispecie tipizzata, dal momento che esso non viene disciplinato esplicitamente, ma soltanto menzionato, in maniera accessoria, in alcune, per lo più risalenti, disposizioni261.
Nel silenzio della Xxxxx, tale contratto è definibile, genericamente, come quel tipo di contratto “che si liquida col semplice pagamento della differenza fra il costo dedotto in contratto e quello del giorno della scadenza”262. Proprio tale caratteristica giustificherebbe l’accostamento tra le due fattispecie, dal momento che anche nell’IRS, attraverso le clausole di compensazione (netting), i contraenti si vincolano al pagamento della sola differenza di valore tra le due prestazioni.
Per giudicare l’appropriatezza di tale accostamento è preliminarmente necessario, però, inquadrare giuridicamente lo stesso contratto differenziale, operazione non libera da insidie, come dimostrano le varie ricostruzioni dottrinarie che tuttora non sono giunte ad una soluzione univoca. I giuristi che
259 Art. 1322 cc
260 X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p. 191
261 X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx, p. 1076
262 X. Xxxxxx Xxxxxxxx, p. 212
hanno esaminato tali contratti, infatti, si dividono tra chi riconosce a tali pattuizioni natura contrattuale e chi, invece, tende a negare l’esistenza di un tipo di contratto differenziale. All’interno dei primi, poi, vi è chi riconduce il contratto differenziale nell’alveo della scommessa263, per analogia alla sistematica tedesca che dà rilievo alla finalità speculativa, con la conseguenza di aprire il dibattito circa l’applicazione allo stesso della disciplina tipica di quest’ultima ed in particolare della soluti retentio prevista dall’art. 1933 c.c.264; e chi, invece lo configura come un’ipotesi particolare di compravendita.
Entrambe queste ricostruzioni sono state, invero, colpite da varie critiche, quali, ad esempio, quelle che affermano l’inesistenza di una compravendita nel caso di pagamento del differenziale in quanto in tal caso è del tutto assente l’effetto traslativo, elemento essenziale della compravendita stessa.
Al contrario i sostenitori della seconda ricostruzione argomentano la loro tesi affermando che non esiste un autonomo istituto contrattuale chiamato contratto differenziale, poiché tale locuzione non riguarda la natura dell’atto, ma soltanto una modalità di esecuzione di un accordo. Da tale interprertazione, più condivisibile della prima, deriva la totale inutilità di un accostamento fra esso e gli IRS, in quanto essi finiscono per essere, comunque, un contratto atipico, non riscontrandosi nel diritto positivo italiano contratti xxxxxx000.
5.2.2 Swap e scommessa
Nell’opera di sussunzione portata avanti dalla prima giurisprudenza l’ostacolo più grande che essa ha dovuto affrontare era dato dall’anomalia ricorrente in tali contratti, specialmente quando stipulati per finalità di trading, quella cioè dell’
263 Bianchi d’Xxxxxxxx, p.388; X. Xxxxxx Xxxxxxxx, p. 222;
264 L’opinione maggioritaria propende per l’inapplicabilità dal momento che, per applicare tale disciplina, si dovrebbe preliminarmente dimostrare la riconducibilità delle obbligazioni del contratto differenziale al gioco o alla scommessa. (X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx, p. 1076)
265 X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p.191; X. Xxxxxx, p. 189
“astrattezza pura”266, ovvero della totale autonomia dello strumento dall’attività sottostante; attività che, nel caso degli swap speculativi, è addirittura inesistente.
Come osservato precedentemente, infatti, tali contratti non vengono utilizzati per attenuare un rischio, ma, al contrario, per crearlo, al fine di trarne guadagno. Proprio questa caratteristica indusse dapprima la giurisprudenza267 ad identificare gli Interest rate swap speculativi con la fattispecie della scommessa268 e, di conseguenza, a ritenere applicabile agli stessi la c.d. eccezione di gioco prevista dall’art. 1933269 cc, con effetti catastrofici sull’esito delle contrattazioni e sull’andamento dei mercati270 .
Tale norma, infatti, oltre a negare al creditore l’azione per il pagamento di un debito di gioco, sancisce anche l’irripetibilità di quanto spontaneamente pagato dal debitore in esecuzione dell’accordo stesso. L’elemento su cui tale corrente giurisprudenziale pose l’attenzione per tracciare il discrimine della liceità della causa (e, quindi, della tutelabilità giudiziaria) risulta essere, in ultima analisi, la finalità soggettiva, ovvero i motivi che avevano spinto il contraente a porre in essere l’accordo, i quali, come già osservato, sono considerati irrilevanti dal legislatore271 ed inidonei ad incidere sulla causa dello xxxxxx000. In questa prospettiva gli IRS finalizzati ad un’effettiva copertura di un rischio (finalità di hedging) sarebbero causalmente giustificati e, perciò, leciti, mentre quelli puramente speculativi (finalità di trading) verrebbero assimilati alla scommessa e
266 X. Xxxxxx, p. 242
267 Trib. Milano, 24 novembre 1993; Trib. Milano 26, maggio 1994; ma anche in tempi più recenti troviamo una simile presa di posizione nella sent. Trib. Lanciano, 6 dicembre 2005;
268 X. Xxxxx, p. 323: Anche nella scommessa infatti il “movente” che spinge le parti alla conclusione del contratto è la “creazione di alea”
269 L’art 1933 secondo l’opinione maggioritaria sarebbe, invero, applicabile alle sole scommesse tollerate, cioè tradizionalmente concepite come “socialmente improduttive” (Corte App. Milano, 18 settembre 2013) quindi, sicuramente non riguarderebe la figura in esame (a prescindere da quanto previsto dall’art 23, co. 5 del TUF) data l’espressa autorizzazione legislativa alla loro stipulazione.
270 X. Xxxxxx Xxxxxxxx, p. 183 parla al riguardo di un probabile “esodo verso scelte di legge e giurisdizioni straniere che offrano piena tutela a questa fattispecie contrattuale”
271 Ex art. 1345 c.c.
272 Trib. Milano, 20 febbraio 1997: “l’intento di speculazione (…) appartiene alla sfera interna dei motivi che nulla hanno a che vedere con la causa del negozio in senso tecnico giuridico”.
ricondotti, perciò, alla c.d. causa ludica, con conseguente diniego di tutela giudiziaria273.
A conclusione di questa diatriba l’applicabilità dell’art. 1933 è stata infine esclusa, con una scelta alquanto provvidenziale, dal legislatore stesso, grazie all’art. 23 c. 5 del TUF274, ai sensi del quale “Nell'ambito della prestazione dei servizi e attività di investimento, agli strumenti finanziari derivati nonché a quelli analoghi individuati ai sensi dell'articolo 18, comma 5, lettera a), non si applica l'articolo 1933 del codice civile”275. In tal modo è stato definitivamente chiuso il dibattito giurisprudenziale aperto, salvo il perdurare di questioni inerenti alla motivazione che ha spinto il legislatore a porre in essere tale norma positiva276.
A dire il vero, un’interpretazione distorta dell’art. 23, co. 4, di quella che è stata definita Legge Sim277, aveva condotto all’affermazione dell’applicabilità dell’art 1933 c.c., sia pure limitatamente agli swap OTC. La norma in questione, infatti, afferma, attraverso il rinvio al c. 1 dello stesso articolo, l’inapplicabilità dell’eccezione di gioco ai contratti “uniformi” a termine, autorizzati dalla Consob nell’“ambito delle borse valori”. Una parte, fortunatamente limitata, della giurisprudenza interpretò tale norma a contrari, per cui l’art. 1933 avrebbe continuato ad applicarsi alle fattispecie negoziate fuori borsa e quindi agli swap OTC278.
273 X. Xxxxxx, p.245
274 Art 23, c. 5, d.l. 24 febbraio 1998, n. 58, come modificato dall’art. 4 del d.lgs. n. 164 del 17 settembre 2007
275Gitti e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p. 287: Secondo la dottrina maggioritaria l’art. 1933 c.c. tornerebbe ad applicarsi nelle’eventualità, soltanto teorica, di derivati puramente speculativi conclusi tra privati o comunque tra soggetti che non siano intermediari finanziari
276 Dibattito sviluppatosi tra chi riconduce tale scelta normativa ad una presa di posizione del legislatore nel senso del riconoscimento della natura di tali strumenti come scommessa autorizzata (vedi dopo) e chi, al contrario, ritiene in ogni caso inutile la norma citata dal momento che l’art 1933 risulterebbe ugualmente inapplicabile agli IRS, data la loro differente struttura rispetto alla fattispecie della scommessa (in tal senso, fra gli altri, E. Girino, p. 269)
277 Legge 2 gennaio 1991, n. 1
278 Trib. Milano, ord. 11 maggio 1995
Tale tesi fu presto rifiutata e considerata destituita di ogni fondamento sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, sull’assunto che la standardizzazione del contratto o il luogo della sua negoziazione non incidono sul fondamento causale di esso279, peraltro già autorizzato e disciplinato da una legge dello Stato280.
5.2.3 IRS come scommessa autorizzata nella sentenza della Corte d’Appello di Milano 3459/2013
Merita una trattazione a parte all’interno dell’argomento la recente sentenza della Corte d’Appello di Milano281 in cui, all’interno di un contenzioso riguardante l’annullamento di un contratto di interest rate swap OTC per violazione delle regole di comportamento dell’intermediario (in questo caso una banca), viene analizzata dettagliatamente la natura giuridica dello strumento, attività questa necessaria, secondo il parere della Corte, ai fini della decisione del caso. Ebbene, in apertura della sentenza, la Corte avverte la necessità di chiarire esplicitamente che “il motivo” che abbia indotto la parte a contrarre, sia esso di speculazione o di copertura, “non rileva ai fini dell’indagine sui requisiti di validità del contratto” e, quindi, non ha alcuna incidenza sulla determinazione causale dello stesso. Premesso ciò, secondo un iter logico articolato la stessa Xxxxx arriva ad identificare nuovamente, in ossequio ad una “recente ed autorevole dottrina”, la fattispecie dei derivati OTC con quella della scommessa autorizzata, che, proprio per tale caratteristica, risulterà comunque immune dall’eccezione dell’art. 1933.
In particolare, le motivazioni per cui la Corte ritiene appropriata la sussunzione della figura in esame all’interno della fattispecie della scommessa risiedono nei punti di contatto ravvisabili fra le due ipotesi. A parere della Corte, infatti,
000 Xxxx. Xx., sez III, 10 maggio 1995, n. 525/94; X. Xxxxxxxxxxx, P. 359
280 Trib. Torino, 10 aprile 1998
281 Xxxxx Xxx. Xxxxxx, 00 settembre 2013, n. 3459
entrambe apparterrebbero alla categoria dei contratti aleatori282, definibili quali contratti in cui la possibilità di conseguire la prestazione attesa o il suo ammontare sono incerti, dipendendo da un evento futuro e incerto la cui realizzazione, al momento della stipulazione, è ignota alle parti283. Inoltre, sempre secondo le argomentazioni della Corte, in entrambe le figure la creazione dell’alea è artificiale e, al momento della stipulazione, non è individuabile il soggetto che sarà tenuto ad eseguire la prestazione. La conferma di tale sussunzione all’interno della categoria della scommessa si evincerebbe anche dal dato legislativo, ovvero dalla circostanza che il legislatore stesso abbia avvertito la necessità di chiarire positivamente (attraverso il richiamato art 23, co. 5, TUF) l’esclusione degli swap dalla disciplina propria dei contratti di scommessa, ai quali essi potevano essere intuitivamente accostati.
Un paio di precisazioni sono, però, necessarie per inquadrare meglio l’idea che la Corte avanza in questa sentenza. In primo luogo, dobbiamo chiarire come la qualificazione giuridica in termini di scommessa sarebbe riconducibile soltanto agli IRS negoziati al di fuori dei mercati regolamentati, ossia soltanto per gli swap over the counter. Questa differenza di inquadramento giuridico, e conseguentemente di causa alla base dello scambio, dipendente sostanzialmente dal luogo (meglio, dalle modalità) di scambio degli strumenti, è dovuta alla circostanza che soltanto negli IRS stipulati fuori dai mercati regolamentati l’intermediario è controparte diretta del proprio cliente e condivide, pertanto, con esso, l’alea del contratto. Al contrario nelle negoziazioni sui mercati di borsa, in cui l’intermediario agisce quale semplice mandatario del cliente, non sarebbero ravvisabili gli estremi della scommessa.
Riassumendo, quindi, l’idea della Corte, gli interest rate swap OTC sono contratti aventi ad oggetto lo scambio di “differenziali a determinate scadenze”, differenziali generati, però, dalla “creazione di alee reciproche e bilaterali”, la
282 Qualificazione questa, invero, molto discussa in dottrina (vedi par. 5.7)
283 Breccia e altri, p. 208
quale si eleva ad essere la causa del contratto stesso. Ed essendo la creazione artificiale di alea al fine di trarne guadagno la causa tipica del contratto di scommessa, la Corte finisce per identificare anche il contratto di interst rate swap over the counter alla stregua di una scommessa autorizzata.
La ricostruzione della figura degli IRS, nella sentenza in esame, termina con l’analisi delle motivazioni per cui il legislatore ha ritenuto la figura in esame meritevole di tutela giuridica. Al riguardo dobbiamo premettere che, all’interno del genere “scommessa”, è possibile compiere una distinzione basata sulla disciplina, deducibile direttamente dal codice civile, che l’ordinamento sancisce come propria delle diverse specie. Una prima tipologia sarebbe quella della scommessa c.d. tollerata, disciplinata dall’art.1933 c.c., alla quale è applicabile unicamente l’istituto della c.d. soluti retentio, ovvero il diritto di trattenere la prestazione che sia stata spontaneamente adempiuta dal debitore (il quale, perciò, non potrà agire per ottenerne la restituzione284), non riconoscendosi però, al creditore un’azione diretta ad ottenere l’adempimento che non sia avvenuto spontaneamente285. Tale regime giuridico è quello tipico delle c.d. obbligazioni naturali, ovvero di prestazioni fatte in esecuzioni di doveri morali o sociali286. In questa ottica quindi il debito di gioco si atteggerebbe come una valida causa solvendi, in quanto la “forza assorbente del dovere morale è tale da giustificare pienamente lo spostamento patrimoniale prodottosi a favore del vincitore”, ma non sarebbe una altrettanto valida causa obbligandi287. Possiamo, quindi, affermare che l’ordinamento valuta tali attività come non illecite, ma prive di utilità288.
284 X. Xxxxxxxx, p. 174
285 X. Xxxxxxxx, p. 130
286 Breccia e altri, p.408; X. Xxxxxxxx, x. 000; in tal senso anche la Relazione al progetto definitivo. Libro delle obbligazioni, cit. in X. Xxxxxxxx, p. 128, nota 10: “il pagamento del debito di giuoco non è altro che l’adempimento di una obbligazione naturale”
287 X. Xxxxxxxx, p. 131-132
288 X. Xxxxxxxxx, p. 352
Un secondo schema è quello previsto dall’art. 1934 c.c., il quale, disciplinando le cc.dd. scommesse sportive, sancisce la facoltà del creditore di adire il giudice per ottenere il pagamento di quanto è a lui dovuto, ma, nel contempo, afferma il potere del giudice di rigettare la domanda, anche di ufficio, o di ridurla “qualora ritenga la posta eccessiva”289.
Il terzo caso, quello che interessa più da vicino per comprendere la ricostruzione avanzata dalla Corte nella sentenza in esame, riguarda le cc.dd. scommesse autorizzate (che all’art. 1935 c.c. definisce lotterie autorizzate), alle quali viene riconosciuta piena tutela giudiziaria, attraverso il riconoscimento dell’azione a favore del vincitore, a condizione che ricorra una autorizzazione legislativa290. Tale autorizzazione nel caso degli IRS è facilmente rintracciabile all’interno del TUF: in primo luogo, dove viene riconosciuta la natura di strumenti finanziari (lecitamente negoziabili) agli swap291; in secondo luogo proprio nello stesso art 23, c. 5 TUF il quale è, sempre secondo il parere della corte, l’elemento chiave per la sussunzione del contratto di IRS all’interno dello schema previsto dall’ art. 1935 c.c..
La Corte riconduce, quindi, l’autorizzazione alla meritevolezza degli interessi perseguiti dal contratto, rappresentata, a suo avviso, dal vantaggio di massimizzazione degli scambi e di incremento della liquidità dei mercati finanziari, reso possibile da tali strumenti che hanno come funzione propria la “copertura e la gestione dei rischi”292 che necessariamente si creano nell’allocazione delle risorse tipica dei mercati. Come rilevano i giudici nella sentenza, la ratio del riconoscimento legislativo risiede quindi nella “razionalità delle contrattazioni”293.
289 X. Xxxxxxxxx, p. 338; X. Xxxxxxxx, x. 000
000 X. Xxxxxxxx, p. 137. Egli individua anche una quarta categoria nelle scommesse vietate, disciplinate dagli art. 718 e 723 c.p. (p. 140)
291 Art. 1, co. 2 TUF
292 X. Xxxxx, p. 51
293 Sentenza in esame, p. 11
La tesi esposta dalla Corte ha sicuramente il pregio di slegarsi definitivamente dall’inganno in cui sembrava essere ripetutamente caduta la precedente giurisprudenza, ovvero quello di legare la qualificazione giuridica dello swap all’intenzione soggettiva delle parti stipulanti, e di aver presentato la teoria della scommessa sotto una veste molto più oggettiva e formale. Tale interpretazione, peraltro, era già stata precedentemente prospettata da parte della dottrina la quale aveva sostenuto che,
“nella misura in cui posso stipulare un interest rate swap per convertire in fisso un tasso debitorio variabile del tutto a prescindere dalla circostanza che io sia previamente titolare di un finanziamento a tasso variabile, la prossimità rispetto alla fattispecie del gioco e della scommessa diventa indiscutibile: in ultima analisi, invece che sommettere sulla vittoria di una squadra o dell’altra le parti sommettono sull’andamento di un tasso di interesse”294.
5.3 Critica alla tesi della scommessa
Le tesi sopra esposte, che, seppur fondandosi su presupposti e motivazioni differenti, finiscono per accostare la figura dello swap a quella della scommessa, sono state, invero, profondamente criticate da parte della dottrina295, sul presupposto della diversa giustificazione causale delle due fattispecie. È necessario allora tentare di chiarire preliminarmente quella che è la causa del contratto di scommessa: operazione per niente scevra da insidie, come dimostra il dibattito sviluppatosi e, in parte, non ancora conclusosi sull’argomento.
Nonostante ciò in dottrina sembra ormai risultare largamente accettata l’idea di chi296, già in tempi meno recenti, ha individuato la causa della scommessa in una
294 E. Barcellona [2], p. 564
295 X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx, p. 1085
296 Xxxxxxxx, Gioco scommessa e rendite, Xxxxxxx, Del gioco e della scommessa, cit. in M. A. Xxxxx, p. 55
combinazione fra c.d causa ludendi e causa lucrandi. La prima, chiamata anche causa ludica o di sfida, sarebbe definibile come l’intenzione liberamente perseguita dal giocatore e diretta allo svago o al diletto297. Nella figura contrattuale della scommessa essa si fonderebbe con lo scopo di lucro298 (causa lucrandi) appunto, facendo sì che le parti colleghino all’andamento dell’evento futuro e incerto dedotto nel contratto l’obbligo dell’una o dell’altra parte di pagare all’avversario una posta nell’ipotesi in cui le sue previsioni relative all’evento stesso si rivelino sbagliate. Questo meccanismo fa sì che il trasferimento di ricchezza, nascente da un’obbligazione simile, sia del tutto inutile agli occhi dell’ordinamento, nonché “socialmente neutro”. Infatti tale trasferimento osservato alla luce del principio generale di razionalità degli spostamenti di ricchezza, a rigore del quale nessuno spostamento patrimoniale può prodursi, e comunque tenersi fermo, se non sia sostenuto da un’adeguata ragione giustificativa299, risulta, bensì, determinato dal caso o da “elementi diversi da quelli di regola necessari a produrre, nell’ambito della collettività, la ricchezza trasferita”300.
Questo porta a concludere che l’alea creata all’interno di un contratto di scommessa sia, in realtà, fine a se stessa, dal momento che le prestazioni delle parti dipendono, in ultima analisi, da un accadimento di pura accidentalità. La scommessa finisce, così, per essere un’attività fittizia e improduttiva301.
Ebbene, la prima differenza fondamentale riscontrabile tra la figura in esame e l’interest rate swap risulta essere la totale assenza, nel secondo, della causa ludica302, e ciò a prescindere dalla finalità soggettiva, sia essa di copertura o
297 M.A. Xxxxx, p. 55
298 Tale commistione è quella che, a parere della dottrina maggioritaria, distinguerebbe la scommessa dal gioco, in cui, al contrario, la causa lucrandi risulta assente o fortemente subordinata a quella ludica.
299 X. Xxxxx x. 000
000 Preite, “Recenti sviluppi in tema di contrati differenziali semplici (in particolare caps, floors, swaps, index futures), in Diritto commerciale. Int., 1992, p.95 ss, cit. in F. Ravellini
301 X. Xxxxxxxxx, I contratti differenziali di borsa su divisa estera, Roma, 1929, cit. X. Xxxxxx, p. 257
302 X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p. 198
speculativa, che ha indotto le parti a porre in essere l’accordo. Se è vero, infatti, che la finalità speculativa è “presente in ogni acquisto che non sia per consumo e [che] in ogni acquisto, perdita o guadagno dipendono dalle future oscillazioni di mercato del bene”303, allora ci accorgiamo subito come essa sia inidonea ad influire sulla causa (intesa quale funzione economico-sociale) del contratto, né tantomeno a qualificarlo in termini di scommessa, a seconda della sua presenza o meno.
Nell’investimento in IRS il rischio, anche in assenza di una passività (o attività) sottostante dai cui pericoli tutelarsi, è legato ad una realtà economica preesistente su cui l’operatore interviene e su cui influiscono leggi economiche, previsioni, analisi e conoscenze dei mercati attraverso le quali l’investitore cerca di realizzare un profitto, indipendentemente dal motivo soggettivo che lo ha spinto a ciò. In essi l’alea, sebbene alle volte sia, sì, artificialmente creata come nella scommessa, non è il fine, ma soltanto il mezzo per realizzare un’attività reale e produttiva. In tal senso l’investimento in IRS è un’attività produttiva appartenente alla categoria delle attività commerciali e, come tale, tutelate pienamente dal legislatore.
Una conferma di questa ricostruzione si può evincere dalla già citata esclusione304 esplicita dell’applicabilità dell’art. 1933 alle fattispecie in esame. Infatti, la ratio legis della disciplina prevista dallo stesso articolo consiste nella volontà del legislatore di evitare spostamenti irrazionali di ricchezza, come appunto quelli della scommessa, dal momento che in essi il rischio non è calcolato razionalmente, seguendo logiche di pricing, ma è oggetto di prognosi irrazionali fondate unicamente sulla buona o sulla cattiva sorte. Il legislatore ha, quindi, sentito il bisogno di sottrarre esplicitamente gli IRS (e più in generale i derivati complessivamente considerati) dall’eccezione di gioco, proprio in ragione della loro natura commerciale (ergo produttiva).
303 X. Xxxxxxxxx, Aleatorietà e contratti di borsa, in Banca borsa e tit. cred., 1958, cit. X. Xxxxx e X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, p.198
304 Vedi sopra art. 23, co. 5, TUF
In essi si hanno importanti differenze di struttura, rispetto alla scommessa, che dimostrano come l’alea all’interno dei contratti di interest rate swap, benché connessa ad un evento comunque futuro e incerto, sia allo stesso tempo razionalmente calcolata e prevista. In primo luogo, infatti, almeno una parte dell’operazione è impersonificata da un operatore professionale, che opera prognosi sulla base di elaborazioni professionali delle informazioni disponibili. Inoltre, a prescindere che si prenda in considerazione la figura del più trasparente mercato regolamentato ovvero dei più opachi mercati over the counter, in entrambi sarà riscontrabile la presenza di una disciplina legale, diversa per il grado di pervasività, diretta alla creazione di un mercato oggettivo dei derivati, in modo che la monetizzazione del rischio, comune sia agli IRS che ai derivati in generale, risulti legata a logiche razionali (o, ancora meglio, professionali)305.
Questa netta distinzione era, invero, già stata rilevata in una risalente giurisprudenza formatasi intorno alla figura del contratto differenziale (genere che ben si presta ad uso per fini speculativi). Già nel 1927, infatti, il Tribunale di Torino rilevava come la differenza fondamentale tra esso e la scommessa risiedesse nella circostanza che in quest’ultima la sorte (intesa come caso fortuito) fosse “l elemento decisivo sul quale si fa affidamento per risarcire un valore patrimoniale”, mentre nel contratto differenziale “influiscono le leggi dei fenomeni economici, la conoscenza dei mercati, le previsioni di ordini diversi, compreso quello politico, la cultura, l’esperienza e l’intuito, con tutte le qualità personali delle parti e oggettive dei titoli e delle merci che si pongono come termini di confronto per le differenze”306.
305 X. Xxxxxxx, p. 44
306 Corte App. Torino, 17 agosto 1927, cit. X.Xxxxxx, p. 259; della stessa opinione anche Xxxxxxxx: l’investitore che conclude un contratto derivato si assoggetta ad un’alea che tutto ha per lui di ludico, tranne la regola del gioco”, cit. in X. Xxxxxxx, p. 241
La stessa opinione si ritrova, in tempi molto più recenti, adattata alla figura dello
swap, in un noto Lodo Arbitrale307 del 1996 in cui si afferma:
“Lo swap (….) è anch’esso produttivo di nuova ricchezza e perciò estraneo al giuoco e alla scommessa, che si limitano a trasferire da un contraente all’altro una ricchezza già esistente, con un’alea esterna e incontrollabile, cioè, con un rischio non connesso ad alcuna valutazione di convenienza. Infatti lo swap è uno strumento contrattuale economicamente e socialmente utile”.
5.4 Indagine causale e sua necessità
Esaurita l’analisi delle teorie fondate sul modello deduttivo, ovvero sulla tecnica della sussunzione, passiamo all’analisi dell’altra tipologia di ragionamento giuridico utilizzata per qualificare giuridicamente il contrato di interest rate swap, ovvero il ragionamento induttivo. Xxxxxxx precedentemente spiegato che tale riflessione prende le mosse da un’analisi della causa del contratto nelle sue manifestazioni concrete per cercare di delineare i caratteri giuridici tipici della figura e, in ultima analisi, la disciplina ad essa applicabile.
Nonostante le pur evidenti difficoltà, tale operazione si rende necessaria, relativamente agli IRS, per due ordini di ragioni riconducibili, in primo luogo, alla struttura stessa degli strumenti derivati (e, in particolare, alla loro peculiare genesi) e, dall’altro lato, alla necessità di identificare la meritevolezza degli interessi da essi perseguiti per poterne affermare la loro piena legittimità.
In questo capitolo cercheremo, quindi, in primo luogo, di analizzare queste due ragioni e successivamente di ripercorrere l’excursus di opinioni che si sono susseguite sul tema della causa e della natura giuridica, limitatamente alla figura dell’interest rate swap e delle sue filiazioni.
307 Lodo arbitrale, 19 luglio 1996, in Riv. Dir. Priv., 3, 1997, p. 559
5.4.1 Lo strumento finanziario derivato come risultante dell’atto negoziale
Come abbiamo avuto modo di chiarire nella trattazione precedente, la particolarità insita negli interest rate swap (e, più in generale, nell’intera categoria dei derivati) è che essi sono strumenti finanziari che traggono la loro origine da un contratto. In essi, quindi, possiamo riscontrare una componente negoziale che non si esaurisce nella fase genetica, ma, al contrario, continua a permeare e connotare lo strumento fino alla sua estinzione308. Quando due parti stipulano uno swap, infatti, esse non si limitano a negoziare uno strumento finanziario, ma, al contrario, è la loro attività a porre in essere lo strumento stesso e tale attività, riprodotta all’interno dell’atto negoziale, rileverà anche durante l’intera fase dell’esecuzione del contratto, regolamentando lo swap stesso. Tutto ciò non accade negli altri strumenti finanziari, che, pur essendo anch’essi generati da un atto negoziale, si affrancano immediatamente da esso, assumendo una riconosciuta autonomia istituzionale309. Non avrebbe senso in tale prospettiva andare ad indagare sulla liceità della causa di un’azione o di una quota di un fondo comune, poiché essi sono solo strumenti finanziari. La stessa operazione è, invece, non solo legittima, ma anche necessaria nel caso di strumenti derivati, poiché soltanto riconoscendo la liceità del contratto che li ha generati si può affermare legittimamente la liceità anche dello strumento da esso generato310.
5.4.2 IRS e meritevolezza degli interessi
La seconda ragione di necessità di identificazione della causa del contratto di interest rate swap, collegata funzionalmente con la prima, è da ricondurre alla qualificazione giuridica dello stesso alla stregua di contratto atipico (seppur nominato). A tale categoria è dedicato l’art. 1322 c.c. che, dopo aver riconosciuto
308 X. Xxxxxx, p. 11 ss. 309 X. Xxxxxx, p. 242 310 X. Xxxxxxx, p. 34
la facoltà delle parti di porre in essere tali tipi di contratti, ne subordina la liceità alla meritevolezza degli interessi perseguiti, valutata dall’angolo visuale dell’ordinamento giuridico. Tale disposizione, secondo alcuni autori, si fonda direttamente sull’art. 41 Cost.311 nella parte in cui vincola la libertà di inziativa economica al concetto di “utilità sociale” nel senso di “pacifica ed armonica convivenza, da intendersi come fine che l’ordinamento deve non solo cercare di raggiungere, ma anche proteggere, eventualmente attuando reazioni di tipo repressivo e sanzionatorio rispetto ad ogni comportamento che è in grado di porlo in pericolo”312. La meritevolezza degli interessi, resa necessaria appunto dal dettato del codice, andrà perciò ricercata all’interno della causa stessa del contratto, intesa, in un’accezione tradizionale, quale funzione economico-sociale dell’atto stesso.
5.5 Il problema del concetto di causa, la c.d. causa astratta e la c.d. causa concreta
Prima di addentrarsi all’interno delle varie ricostruzioni susseguitesi da parte di dottrina e giurisprudenza sul tema della causa degli IRS è opportuno fare un passo indietro per analizzare quelle che sono state le due concezioni fondamentali che si sono da sempre contrapposte in ordine alla definizione stessa di tale concetto. La tesi maggioritaria è sicuramente quella, elaborata da Xxxxxx Xxxxx, della c.d. causa
311 Tale riconduzione è invero criticata da alcuni autori; X. Xxxxxxxxx [2], p. 601, nota che “la sanzione costituzionale del modo di produzione capitalistico, del quale la libertà di iniziativa economica e proprietà privata sono principi costitutivi, non può ammettere una funzionalizzazione in senso politico dell’autonomia decisionale dei privati. La Costituzione ammette, ed anzi impone che la disciplina dei contratti - quantomeno di alcuni contratti – sia ordinata a finalità sociali. Ma ciò fa, sembra potersi dire, sul presupposto che la funzionalità a fini sociali non rientri, come paradigma a se stante, tra i requisiti del contratto”. La stessa opinione la ritroviamo anche in X. Xxxxx, x. 000-000: “in un sistema come il nostro – né dirigistico né moralistico – questa tesi [va] respinta e [possono] trovare spazio anche contratti conclusi per soddisfare bisogni o interessi esclusivamente individuali – fino ai limiti della frivolezza o del capriccio – senza realizzare alcuna significativa utilità sociale”.
312 X. Xxxxxx,
astratta, intesa come funzione economico-sociale del contratto313, ovvero quale sintesi degli effetti che l'operazione negoziale genera nella realtà materiale e giuridica314 e che il diritto riconosce come rilevante ai fini della tutela apprestata, rimanendo ontologicamente distinta rispetto allo scopo particolare che ciascuna delle due parti si propone di realizzare attraverso l’operazione xxxxxx000. In tale accezione la causa risulta, quindi, essere immanente al tipo contrattuale e suscettibile di poter essere individuata in astratto per tutti gli accordi riconducibili a tale schema negoziale316.
A tale concezione si è da sempre contrapposta la dottrina della c.d. causa concreta, intesa, come ha avuto modo di chiarire la Suprema Corte, quale “sintesi degli interessi reali che il contratto è diretto a realizzare, e cioè come funzione individuale del singolo, specifico contratto, a prescindere dallo stereotipo contrattuale astratto, fermo restando che detta sintesi deve riguardare la dinamica contrattuale e non la mera volontà delle parti”317.
In breve la causa concreta si distinguerebbe da quella astratta per il suo essere la ragione che concretamente giustifica quel particolare contratto in esame e non l’astratta categoria a cui esso sarebbe riconducibile. Per fare un esempio, di scuola, nella compravendita possiamo individuare una causa astratta, nello scambio di cosa contro prezzo, ma anche una causa concreta consistente nello scambio di quella cosa contro quel determinato prezzo convenuto all’interno del contratto318.
313 X. Xxxxx, p. 543; X. Xxxxxxxxx [2], p. 549
314 Definizione di X. Xxxxxxxxxx, cit X. Xxxxxxxxx[2], p. 550; X. Xxxxx, p. 321
315 Aa. Vv., Nuovo dizionario banca borsa e finanza, voce causa del negozio giuridico, ed. Iebb, 2002; V. M. X’xxxxxxx; X. Xxxxx, x. 00
000 X. Xxxxx, p. 67; Sulla base di tale assunto Xxxxx critica questa visione della causa osservando appunto che la possibile illiceità della causa sarebbe ipotizzabile solo per i contratti atipici, dal momento che i tipici avrebbero “sempre, per definizione, causa lecita” (X. Xxxxx, p. 344)
317 Cass., 8 maggio 2006, n. 10490
318 X. Xxxxx, p. 344
La contrapposizione appena esposta trae origine da quella che può essere vista come una lacuna definitoria del nostro Codice Civile, il quale menziona la causa soltanto come requisito essenziale del contratto319, preoccupandosi anche di decretare la nullità320 dell’intero contratto nei casi di mancanza o illiceità della stessa321, senza però darne una definizione univoca. È, dunque, sulla base di questa scarna disciplina codicistica che si è sviluppato l’imponente dibattito dottrinale322 avente ad oggetto il senso e la portata del concetto di causa del contratto.
Un’analisi dei lavori preparatori, ed in particolare della Relazione di accompagnamento al codice323, non aiuta a dirimere tale contrasto, dal momento che in essa si legge, dapprima, quella che può essere valutata una presa di posizione forte a favore della teoria della causa in concreto, nella parte in cui afferma:
“Bisogna tener fermo, contro il pregiudizio incline a identificare la causa con lo scopo pratico individuale, che la causa richiesta dal diritto non è lo scopo soggettivo, qualunque esso sia, perseguito dalle parti (…), ma è la funzione economico-sociale che il diritto riconosce rilevante ai suoi fini e che sola giustifica la tutela dell’autonomia privata”.
319 Art. 1325 cc
320 Art. 1418 cc
321 Art. 1343 cc
322 Il dibattito relativo alla causa aveva, in realtà, già avuto modo di svilupparsi sotto la vigenza del precedente codice civile del 1865 il quale però, all’art. 1104 imponeva, fra i requisiti di validità del contratto, la “valida causa per obbligarsi”, intesa – secondo la dottrina largamente dominante
– in senso soggettivo. In questa prospettiva, dunque, essa veniva fatta coincidere con lo scopo in vista del quale la parte si obbligava (X. Xxxxx, p. 320). Tale concezione non fu scevra di critiche da parte della dottrina che, in particolar modo, osservò come “la causa sia un antecedente storico della volontà, che da essa non possa in alcun modo dipendere”, in quanto, rileva questa dottrina, non può essere vista come il motivo per il quale la parte agisce ma, semmai, come il motivo in virtù del quale l’ordinamento riconosce, o sanziona giuridicamente, il rapporto che le parti hanno posto in essere (X. Xxxxxxxx, p. 115 ss.).
323 Relazione del ministro guardasigilli Grandi al codice civile del 1942, paragrafo 613
E successivamente:
“Questa concezione oggettiva e positiva della causa si trae dall’art.1345, ove si indica il motivo comune alle parti come figura distinta dalla causa considerata nei precedenti articoli 1343 e 1344, e non è necessario chiarire che il motivo comune che spinge le parti a contrarre è l’intento pratico che esse vogliono attuare, spesso difforme e contrario allo scopo obiettivo la cui realizzazione l’ordinamento giuridico si propone di garantire”.
In base a tale paragrafo, in perfetta armonia con la visione dirigistica dell’economia, tipica del regime fascista,324 (diretta dal regime stesso attraverso la fissazione degli obbiettivi da raggiungere e delle modalità attraverso cui farlo), si potrebbe affermare che, all’interno del codice, almeno secondo l’idea di chi lo scrisse, ritroviamo un concetto di causa sicuramente oggettiva, elevata a strumento di controllo dell’utilità sociale del contratto325.
Successivamente, però, lo stesso legislatore, sembra prestare attenzione alla necessità di un controllo sul regolare funzionamento dei contratti da svolgere avendo come riferimento un concetto di causa che possiamo definire concreta. Poche righe dopo326, infatti, afferma:
“In ogni singolo rapporto deve essere controllata la causa che in concreto il negozio realizza, per riscontrare non solo se essa corrisponda a quella tipica del rapporto ma anche se la funzione in astratto ritenuta degna dall’ordinamento giuridico possa veramente attuarsi, avuto riguardo alla concreta situazione sulla quale il contratto deve operare. Tale controllo può rivelare che lo schema causale
324 Cass., 8 maggio 0000, x. 00000; X. Xxxxxxxxx, p. 544
325 xxxx://xxx.xxxxxxxxx.xxx/xxxxx.xxx/xx/00-xxxxxxx/x/00000-xxxxx-xxx-xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxx;
X. Xxxxx, p. 321; Aa. Vv., Nuovo dizionario banca borsa e finanza, voce causa del negozio giuridico, ed. Xxxx, 2002; Xxxxx a tale proposito nota che, in ultima analisi la causa nella visione di chi scrisse il codice finisce per esser uno strumento di controllo pubblico dell’autonomia privata, controllo che valuta incompatibile con i principi affermati nella, successiva, costituzione (X. Xxxxx, p. 345; nello stesso senso anche X. Xxxxxxxxx, p. 545)
326 Relazione del ministro guardasigilli Grandi al codice civile del 1942, paragrafo 614
tipico non si può realizzare perché vi ostano circostanze oggettive peculiari all’ipotesi concreta, le quali, essendo incompatibili con quello schema, rendono illecito ciò che sarebbe astrattamente lecito”.
Anche sulla scorta di questa implicita accettazione di entrambe le visioni della causa, le discussioni già sviluppate precedentemente in dottrina non si placarono327, mentre, al contrario, la giurisprudenza sembra adeguarsi alla ricostruzione della causa quale funzione economico-sociale328, almeno fino a tempi recenti in cui si può dire risorta la teoria della causa concreta329.
Tralasciandosi, per dovere di concisione, le varie opinioni dottrinali succedutesi intorno al concetto di causa concreta, possiamo trovarne un punto di approdo nell’intenzione di creare una concezione della causa mediata tra oggettività e soggettività, al fine di evitare un ritorno a concezioni unicamente soggettive che valorizzassero impropriamente le motivazioni individuali330. A tal fine è stata presentata una teoria della causa intesa nella sua accezione c.d. economico- individuale331, ossia quale scopo comune delle parti obbiettivato all’interno del contratto. In tal senso la causa finirebbe quindi per ricostruire, nel dettaglio del singolo contratto, l’interesse comune delle parti come emerge oggettivamente dal programma contrattuale; un interesse che resterà comunque distinto da quelli soggettivi delle parti, nella prassi, spesso, in conflitto tra loro, che perciò verranno relegati all’ambito dei motivi e per i quali sarà necessario, invece, un accertamento sulla base di elementi estranei al contratto stesso.332
È necessario (e utile) chiarire, infatti, che col termine funzione economico-
individuale non si vuole far riferimento alla individualità delle parti, quanto
327 Per un’adeguata ricostruzione delle varie opinioni succedutesi in dottrina sull’argomento: X. Xxxxxxxxx [2], p. 543-554
328 X. Xxxxxxxxx [2], p. 550
329 Xxxxx afferma: “dall’inizio degli anni 2000 si registra una forte valorizzazione giurisprudenziale della causa concreta” (Roppo, p. 344)
330 X. Xxxxx, p. 68
331 Nozione elaborata da G. B. Xxxxx, in X. Xxxxxxxxx [2], p. 550
332 in X. Xxxxxxxxx [2], p. 593-594
semmai alla individualità del contratto in cui sono rappresentati gli interessi delle parti333.
Come abbiamo detto, la giurisprudenza, negli anni del fervente dibattito, si è sempre rivelata prudente nell’accettazione ed affermazione di un concetto di causa discordante da quello tradizionale334. Solo in tempi recentissimi, forse anche grazie all’affinamento delle elaborazioni dottrinarie, ha mostrato isolati segni di apertura sul tema335, fino a giungere alla sentenza336, di portata storica, in cui la Corte di Cassazione afferma esplicitamente la necessità
“che si elabori un concetto di causa che, sul presupposto della obsolescenza della matrice ideologica che configura la causa del contratto come strumento di controllo dell’utilità sociale, affondi le proprie radici in una serrata critica della teoria della predeterminazione causale del negozio (…), ricostruendo tale elemento in termini di sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare (al di là del modello, anche tipico, adoperato). Sintesi (e dunque ragione concreta) della dinamica contrattuale, si badi, e non anche della volontà delle parti”. La Corte sembra quindi sposare un’idea di causa quale “funzione individuale del singolo, specifico contratto posto in essere, a prescindere dallo stereotipo astratto”.
Una volta chiariti quelli che sono i diversi modi di intendere la causa del contratto (ricostruzione necessaria per capire appieno lo sviluppo dell’opera), andiamo ad analizzare le elaborazioni dottrinarie e giurisprudenziali relative alla natura ed alla causa degli interest rate swap, seguendo dapprima l’approccio
333 in X. Xxxxxxxxx [2], p. 537, 597, 598
334 Per un approfondimento sui vari orientamenti della giurisprudenza sul tema, X. Xxxxxxxxx [2], p. 562
335 Cass., 21 ottobre 2005, n. 20398, in Giur it. 2007; Cass., 19 febbraio 2000, n. 1898, in Giust. civ.
2001
336 Cass., 8 maggio 2006, n. 10490, in xxxx.xx