LE NOVITA'
OCSE
LE NOVITA'
Ottobre 2012
SOMMARIO
ACCERTAMENTO PAG. 3-6
Il redditometro . Sentenza Corte di Cassazione n. 18604 depositata il 29.10.2012
COMMERCIO INTERNAZIONALE PAG. 6-7
Gli Affari con la Slovenia
CONTRATTI CON LA P.A. PAG. 7-10
Normativa – Direttiva 2011/7/UE del Parlamento e del Consiglio europeo del 16/2/2011 – D.Lgs. 9.11.2012. n. 192
DOGANE PAG. 10-13
Transfer Pricing e valore in Dogana della merce all'importazione – Manovra Correttiva D.L. 31.5.2010, n. 78 – Codice Dogale Aggiornato – GuideLines OCSE
FISCALITA' INTERNAZIONALE PAG. 13-17
The MAP – la Convenzione Arbitrale sulle doppie imposizioni derivanti da rettifiche sui prezzi di trasferimento.
IVA COMUNITARIA PAG. 17-25
La mancata comunicazione al sistema VIES – Sentenza Corte di Giustizia Europea Causa C.273/11 del 6 settembre 2012 – Il Regolamento UE 15 marzo 2011 n. 232
– La Circolare n. 39/E del 1 agosto 2011 – la Circolare dell'Assonime n. 21 del 26/7/2012 – Risoluzione Ministeriale n. 42/E del 27/4/2012 - Difesa del contribuente.
PENAL-TRIBUTARIO PREVIDENZIALE PAG 25-26
Reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali – Corte di Cassazione sentenza n. 1855 del 18/1/2012
QUISITARIO
Quesito n. 34 . Iva Comunitaria
Quesito n. 35 – Accertamento Presuntivo.
Questo numero è stato realizzato in collaborazione dei Partners dello Studio Tributario Internazionale Campanile.
IL REDDITOMETRO
ACCERTAMENTO
In tema di redditometro la prova la deve dare sempre il contribuente. Così la sentenza della Suprema Corte di Cassazione, sentenza n. 18604 depositata il 29 ottobre 2012 con la quale ha ribadito che contro gli accertamenti sintetici da redditometro è sempre il contribuente a dover fornire la prova che il reddito superiore accertato non esiste o sia di misura inferiore.
Il ricorso è sorto in seguito alla decisione della CTR di Roma che aveva sentenziato che l'onere della prova spettava all'Erario al fine di dimostrare elementi e fatti diversi a quelli dei coefficienti presuntivi di reddito a fondamento dell'accertamento sintetico, coefficienti costituiti esclusivamente dalla disponibilità delle autovetture.
L'oggetto del contendere era la disponibilità, da parte del contribuente, di un certo numero di azioni e di tre autovetture di grossa cilindrata che ha fatto scattare l'accertamento presuntivo.
La Corte ha accolto il ricorso ed ha rinviato la causa alla CTR (la sesta Sezione Civile), la quale non ha fatto altro che ribadire l'orientamento della Corte che in tema di accertamento, la determinazione del reddito effettuata sulla base del cosiddetto redditometro, dispensa l'amministrazione finanziaria da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti-indice di maggiore capacità contributiva, individuati dal redditometro stesso e posti a base della pretesa tributaria.
Sull'argomento dell'onere della prova, come si ricorda, era intervenuta la Corte, a Sezioni Unite, con l'ordinanza n. 27545, depositata il 19 dicembre 2011, in cui è ritornata sul principio di inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, considerando lo strumento redditometrico come presunzione legale relativa.
Secondo questo orientamento fa capo, quindi, al contribuente di provare la provenienza reddituale o meno delle somme necessarie per mantenere i beni individuati dal redditometro dispensando il Fisco da ulteriore prova, ritenendo sufficiente l'indicazione degli elementi-indici di maggiore capacità contributiva.
Praticamente il giudice non può disapplicare gli indici di capacità contributiva che la legge ha connesso alla disponibilità dei beni e servizi ma valutare la prova in ordine alla provenienza reddituale.1
Dal punto di vista normativo, al fine di adeguare l'accertamento basato sulla capacità di spesa del contribuente al nuovo contesto socio-economico, il legislatore era intervenuto con la riscritturazione dell'art. 38, dai commi 4 a 8, del DPR 600/73, con l'art. 22 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122.
Le nuove regole, scaturenti dalla modifica, avevano effetto per gli accertamenti, relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto, alla
1 Cassazione Sezione Tributaria n. 5662 del 15/3/2006 e successive. Lo aveva affermato anche la circolare ministeriale n. 101/E/1999, che la prova contraria non si rimetteva solo ai redditi esenti e redditi soggetti alla ritenuta alla fonte a titolo d'imposta.
data dell'entrata in vigore del decreto; vale a dire per i redditi prodotti dal 1° gennaio 2009.
La modifica al preesistente art. 38 si è resa necessaria per rendere più efficiente e più snello l'accertamento e, nel contempo, di dare maggior tutela al cittadino rendendo obbligatorio il contraddittorio, c.d. anticipato, prima di emettere il provvedimento di imposizione.
Per la verità l'art. 38 del DPR 600/73, ante modifica, che riguarda gli accertamenti che vanno fino al 31 dicembre 2008, è praticamente blindato dando per scontato la misura del reddito complessivo, inteso come reddito effettivo netto, prendendo a base del calcolo la individuazione di spese o investimenti, diversi dalle fonti di reddito. Se dal risultato ottenuto, il reddito accertato presuntivamente, si discosta per almeno ¼ dal reddito dichiarato il soggetto subisce l'accertamento.
Comprare, per esempio, un'automobile per 50.000 euro, significa sostenere un costo che potrebbe risultare spropositato dal confronto tra reddito dichiarato e reddito presunto, così come avere un tenore di vita, che in termini di costi, risulta incongruo rispetto a quanto appare nella dichiarazione annuale.
In sostanza, il Fisco, con l'accertamento redditometrico, in considerazione del valore di presunzione legale relativa dell'accertamento sintetico, risale da un fatto noto (la spesa) ad un fatto non noto (il reddito complessivo netto), quale il reddito non dichiarato o maggiormente imponibile, a prescindere dalla categoria reddituale, che ha valenza solo per l'accertamento analitico.
La Suprema Corte si era anche preoccupata di stabilire un principio di diritto in base al quale la procedura di accertamento standardizzato, mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore, costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in essi considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, al fine di adeguare la elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà del contribuente.2 Il contraddittorio è fondamentale per la tutela del contribuente in quanto dal verbale di constatazione, redatto dall'Agenzia, deve risultare la motivazione del respingimento delle contestazioni, utili ed apprezzabili per richiamare il Fisco alle sue responsabilità per un eventuale risarcimento danni.
Inoltre, la Cassazione ha affermato l'altro principio di diritto secondo il quale il contribuente, nel giudizio relativo all'impugnazione dell'atto di accertamento, “ ha la più ampia facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici, ed il giudice può liberamente valutare tanto l'applicabilità degli standard al caso completo, che deve essere dimostrato dall'ente impositore, quanto la controprova sul punto offerta dal contribuente”.
La Corte, infine, richiama la necessità, evidenziata anche dalle Sezioni Unite della stessa Corte, di esperire il preventivo contraddittorio per adeguare l'elaborazione
2 Cassazione Sezione Tributaria 5 ottobre 2010 n. 22552-22555, 4 giugno 2010 n. 13594, 21 maggio 2010 n. 12558) la procedura di accertamento standardizzato costituisce un sistema di presunzioni semplici …. che nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento”
statistica degli standard considerati dai XX.XX. 1992 “alla concreta realtà economica del contribuente”.
Il contribuente deve dimostrare al Fisco, quindi, che il maggior reddito, determinato sinteticamente, è ampiamente coperto dai redditi posseduti provando l'inesistenza della capacità reddituale espressa dagli indici, come stabilito dal comma 6 dell'art. 38 del DPR 600/73.
La prova da dare grava sulla dimostrazione che le risorse finanziarie impiegate per sostenere la spesa, indice di capacità contributiva, non hanno una valenza reddituale in quanto per esse è stato assolto l'onere fiscale; secondo una giurisprudenza consolidata il contribuente ha l'onere di provare l'inesistenza della capacità reddituale.3
Sostanzialmente, è il contribuente che ha l'onere di dimostrare che il reddito presunto su base redditometrica non esiste o esiste in misura inferiore.4 Accertare con metodo sintetico significa prendersi la responsabilità di dimostrare con documentazione idonea il passaggio dal fatto certo (la spesa) al fatto ignoto (il reddito complessivo netto).
Così, mentre per il sintetico il peso grava sull'Agenzia, per il redditometrico la citata Agenzia non si sbraccia molto, limitandosi ad intercettare la disponibilità dei beni e servizi, suscettibili di capacità contributiva, scaturente dagli indici ministeriali.
Per gli accertamenti sintetici ante modifica, secondo l'ultimo orientamento della Corte di Cassazione con la sentenza n. 27545 del 20 dicembre 2011, il Fisco, forte sia della non obbligatorietà del contraddittorio anticipato e sia dell'inattacabilità da parte del giudice5 in merito alla capacità di spesa presunta dei coefficienti ministeriali, costringe il contribuente o a pagare oppure a fare ricorso dando la responsabilità al giudice di valutare la prova che offre e se la stessa sia idonea a vincere la presunzione.
Con l'accettazione dell'accertamento redditometrico il contribuente ottiene sia:
• la riduzione ad 1/6 delle sanzioni, se si desiste di fare ricorso e accertamento con adesione;
• la definizione delle sanzioni riservandosi di presentare il ricorso per le maggiori imposte contestate; in tal caso le sanzioni si riducono ad 1/6 ma se il contribuente vince il ricorso non può richiedere il rimborso delle sanzioni pagate.
Sgombrato il campo dal pensare che tra l'Ufficio ed il contribuente ci sia un bilanciamento tra le posizioni, anzi, al contrario c'è un differenziale che porta il primo ad abusare delle certezze del diritto, a discapito del secondo che in ogni manifestazione vede sempre più compressa la sua tutela che non è per nulla salvaguardato dal cd. Statuto del contribuente.
3 Cassazione Sezione Tributaria n. 10350 dell'1/7/2003 e segg.ti.
4 Cassazione n. 3316 dell'11/2/2009 ( conforme alla sentenza n. 3794 del 19/4/2001).
L'unica strada da percorrere è l'accertamento con adesione (art.2 del D.Lgs. 238/97) che il contribuente può chiedere con presentazione dell'istanza, ai sensi dell'art. 6 dello stesso decreto, ma non è obbligatorio per l'Ufficio attuarlo.
L'accertamento per adesione va sempre, comunque, richiesto perchè consente di usufruire di altri novanta giorni, prima di presentare il ricorso.
COMMERCIO INTERNAZIONALE
GLI AFFARI CON LA SLOVENIA
Investire in Slovenia, Paese membro dell'Unione europeo può risultare un'operazione abbastanza conveniente sia per il regime fiscale basso che per il costo del lavoro.
Per quanto riguarda gli utili distribuiti sia per i soggetti residenti e che per i non residenti, fatta salva l’applicazione di convenzioni con altri Stati contro la doppia imposizione è applicata l'aliquota del 15% a titolo d'imposta. In proposito l'art. 27 del DPR 600/73, al 3° comma, ultimo periodo così recita “I soggetti non residenti, diversi dagli azionisti di risparmio, dai fondi pensione............ , hanno diritto al rimborso, fino a concorrenza di un quarto della ritenuta, dell'imposta che dimostrano di aver pagato all'estero in via definitiva sugli stessi utili mediante certificazione del competente ufficio fiscale dello Stato estero”.
Per ben inquadrare il regime fiscale dei dividendi, bisognerebbe sapere se essi derivano da una partecipazione qualificata o non e se sono percepiti da persona non imprenditore, da soggetto passivo Irpef oppure da un soggetto passivo IRES. Comunque, le somme di provenienza estera percepite da un soggetto residente in Italia concorrono pienamente al reddito complessivo e danno diritto ad un credito d'imposta, connesso alle imposte pagate all'estero a titolo definitivo.
Tale credito d'imposta (art. 165, comma 1, TUIR) non può essere riconosciuto in misura eccedente l'imposta netta dovuta in Italia, sulla base dei dati esposti nel Quadro CR.
A partire dal 2012, con la cd. Manovra di ferragosto, il D.L.138/2011, le ritenute e le imposte sostitutive che si applicano sono le seguenti:
• sui redditi di capitale, tra i quali gli utili derivanti da partecipazioni qualificate;
• sui redditi diversi, tra i quali gli utili derivanti di partecipazioni non qualificate;
un'unica aliquota pari al 20% che sostituirà le aliquote previgenti (12,50% e 27%).
In merito alla normativa sul lavoro, bisogna dire che la Slovenia è considerata come il Paese, fra gli ultimi entrati nella UE, con la maggiore produttività del lavoro.
In base ai contratti collettivi di lavoro, considerato anche gli oneri retributivi e tasse a carico del datore di lavoro, il salario annuo varia:
• nei livelli minori tra 12.000 e 16.000 euro;
• nei livelli intermedi tra 15.000 e 22.000 euro;
• nei livelli qualificati da 20.000 a 30.000.
Nei livelli di personale direttivo, impiegati, tecnici altamente specializzati lo stipendio varia da 30.000 a 40.000 euro
In riferimento al costo annuo di un impiegato amministrativo part-time, i dati forniti da JAPTI varia tra i 12.000 e 16.000 euro.
La creazione di nuovi posti di lavoro porta ad un incentivo che il Ministero elargirà dopo il completamento del progetto che prevede l'impiego del personale nella regione per un periodo per almeno cinque anni che si riduce a tre anni per le PMI. Gli incentivi sono previsti anche per:
• spese per investimenti materiali (attrezzature di base), macchinari ed attrezzature, costruzione od acquisti degli impianti;
• spese per la retribuzione dei lavoratori nuovi assunti in base al progetto di investimento (salari ed oneri contributivi obbligatori per un periodo di due anni);
• per le PMI fino al 50% delle spese sostenute relative a studi di fattibilità e consulenze relativamente agli investimenti.
L'apprendistato va dai sei mesi ad un anno e non va confuso con il periodo di prova.
In merito alla durata per usufruire delle agevolazioni per l'apprendistato va con la durata dello stesso.
Per quanto riguarda il lavoratore destituito per ragioni economiche o per incapacità ha diritto ad una indennità di disoccupazione per i due anni successivi alla perdita del lavoro che ammonta al 70% delle retribuzioni precedentemente godute.
CONTRATTI CON LA PA
Per tutti i pagamenti con ritardo scatta la mora automaticamente. E' stato approvato dal Consiglio dei Ministri del 31 ottobre c.a lo schema del decreto legislativo di attuazione della Direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 2011 relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. L'articolato contiene le norme che si applicano a ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale. Per quest'ultima deve intendersi qualsiasi tipo di contratto, comunque denominato, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni , che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo. La conferma da parte del legislatore nazionale di quanto previsto dallo stesso legislatore sovrastante, che ha blindato la tempistica a trenta giorni in tutte le ipotesi descritte alle lett. a, b, c e d), rende facile e snella la procedura non dando spazio alla
P.A di accampare pretese viziate o come è il suo solito, per salvaguardare una faccia variopinta, da soluzioni kafkiane, che a dir poco danno l'impressione di una presa in giro, fortificata da un potere discrezionale senza limiti che, il più delle volte, supera anche la volontà del legislatore.
Con il Decreto Legislativo 9 novembre 2012 approvato dal Consiglio dei Ministri, sono state apportate modifiche al D.Lgs. 9 ottobre 2000, n. 231, per integrale recepimento della Direttiva 2011/7/UE, relativa alla lotta contro i ritardi di
pagamento nelle transazioni commerciali, a norma dell'art. 10, comma 1, della legge 11 novembre 2011, n. 180.
Il decreto, approvato dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 31 ottobre 2012, la cui entrata in vigore sarà il 30 novembre 2011, ha visto la luce per dare atto del recepimento della Direttiva 2011/7/UE del Parlamento e del Consiglio europeo del 16 febbraio 2011, tenendo presente la portata della Legge 11 novembre 2011,
n. 180, che costituisce lo statuto della tutela della libertà d'impresa e dell'imprenditore, al fine di assicurare lo sviluppo della persona attraverso il valore del lavoro, sia esso svolto in forma autonoma che d'impresa, ed, inoltre, di garantire la libertà di iniziativa economica privata secondo i principi della nostra Carta Costituzionale.
La Direttiva ha come oggetto la lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali , al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato interno, favorendo in tal modo la competitività delle imprese e, in particolare, delle PMI. La Direttiva che si applica ad ogni pagamento effettuato a titolo corrispettivo di una transazione commerciale non solo tra privati ma anche con l'Amministrazione Pubblica contro i ritardi di pagamento non effettuati durante la vigenza contrattuale o legale.
Il creditore ha anche diritto agli interessi di mora che decorrono dal giorno successivo alla data di scadenza o alla fine del periodo di pagamento stabiliti dal contratto.
Nell'ipotesi che la data di scadenza o il periodo di pagamento non sono stabiliti nel contratto, il creditore ha diritto agli interessi di mora alla scadenza di uno dei seguenti termini:
a)trenta giorni di calendario dal ricevimento da parte del debitore della fattura o di una richiesta equivalente di pagamento;
b)trenta giorni di calendario dalla data di ricevimento merci o delle prestazioni di servizi nell'ipotesi che non vi sia certezza sulla data di pagamento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento;
c)trenta giorni di calendario dalla data di ricevimento delle merci e delle prestazioni di servizi nell'ipotesi in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento anteriore a quella di ricevimento delle merci o della prestazioni;
d)trenta giorni di calendario dalla data fissata per l'accettazione o la verifica nell'ipotesi che si sia di fronte ad un contratto o una verifica per legge che prevedono una procedura di accettazione o verifica diretta ad accertare la conformità delle merci o dei servizi al contratto o se il debitore riceve la fattura o la richiesta di pagamento anteriore a tale data o alla stessa data di verifica o di accettazione;
La Direttiva impone agli Stati membri di fissare comunque una tempistica basata su trenta giorni di calendario dal momento in cui sono state ricevute le merci o le prestazioni di servizio; ed, inoltre, gli Stati membri devono assicurare che il periodo di pagamento stabilito nel contratto non superi sessanta giorni di
calendario, se non diversamente concordato nel contratto, e purchè ciò non sia gravemente iniquo per il creditore.
Un'altra precisazione della Direttiva, volta a blindare l'operato della pubblica Amministrazione, che il tasso di riferimento applicabile:
-per il 1° semestre dell'anno in questione sia quello in vigore dal 1° gennaio di quell'anno;
-per il secondo semestre dell'anno in questione sia quello in vigore al 1° luglio di quell'anno.
Gli Stati membri dovranno, comunque, assicurare che nelle transazioni commerciali, dove il debitore è la P.A., che il periodo di pagamento non superi trenta giorni di calendario dal ricevimento da parte del debitore della fattura o di una richiesta equivalente di pagamento o, nell'ipotesi in cui non è certa la data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento, dalla data di ricevimento delle merci o delle prestazioni di servizio.
Gli Stati membri, infine, devono assicurare il rispetto dei trenta giorni anche nelle ipotesi ricorrenti di cui alle lett. c e d) di cui sopra ma le parti sono libere di concordare altre date, come nei pagamenti rateali.
Nella legge di recepimento gli Stati membri dovrebbero prevedere anche il risarcimento delle spese di recupero che, comunque, non possono essere inferiore ad un importo forfettario di 40 euro.
Il legislatore domestico ha recepito la Direttiva con il Decreto legislativo 9 novembre 2012 , n. 192 ha confermato al comma 2 dello stesso decreto che per esigere il pagamento del credito e dei relativi interessi moratori è sufficiente che decorrono trenta giorni dalla data di ricevimento della fattura o di una equivalente richiesta di pagamento o quando le date sono incerte dal momento in cui sono state consegnate le merci o eseguite le prestazioni di servizi.
La conferma da parte del legislatore nazionale di quanto previsto dallo stesso legislatore sovrastante, che ha blindato la tempistica a trenta giorni in tutte le ipotesi descritte alle lett. a, b, c e d), rende facile e snella la procedura non dando spazio alla P.A di accampare pretese viziate o come è il suo solito, per salvaguardare una faccia variopinta, da soluzioni kafkiane, che a dir poco danno l'impressione di una presa in giro, fortificata da un potere discrezionale senza limiti che, il più delle volte, supera anche la volontà del legislatore.
Per quanto riguarda i crediti nei confronti della P.A. che sorgeranno dal 1 gennaio 2013, la stessa dovrà pagare i propri fornitori entro trenta giorni o, al massimo, entro sessanta giorni purchè non siano gravemente iniqui per il creditore e che siano pattuiti e provati per iscritto.
Lo prevede il decreto legislativo ai commi 2 e 3 dell'art. 1.
La richiesta di certificazione del credito, purchè non prescritto, certo, liquido e esigibile, può essere presentata sia da persona fisica che impresa individuale, da società che vantano un credito nei confronti dello Stato, degli enti pubblici nazionali, delle Regioni, degli enti locali e degli enti del servizio sanitario.
I soggetti richiedenti potranno utilizzare la certificazione, in primis, per la compensazione dei debiti erariali già scaduti, iscritti a ruolo, anche nei confronti di INPS o INAIL, ma anche per ottenere da una banca un prestito o altre anticipazioni.
Il rilascio della certificazione del credito è sostanziale per l'impresa che oltre a scrollarsi di dosso le sanzione e gli interessi esosi sulle imposte iscritte a ruolo, riprende fiato respira e, nell'estrema ratio, evita di fallire o di scomparire dal mercato.
Un vero paradosso che un forte debitore, che non paga né sanzioni e né interessi, che, al contrario, le pretende dal suo creditore, crea uno stato di disuguaglianza nei diritti della persona ed uno sproporzione del dovuto.
Uno Stato democratico, che ha aderito al Trattato sul funzionamento della UE che calpesta i diritti dell'uomo e della persona, non ha avuto alcun organo costituzionale che possa eliminare una sproporzione così evidente!
DOGANE TRANSFER PRICING E VALORE IN DOGANA DELLA MERCE ALL'IMPORTAZIONE
Con il commentario n. 23.1 del Comitato Tecnico del Valore Doganale dell'Organizzazione Mondiale delle Dogane (Technical Committee on Customs Valuation – TCCV) presso l'OMD è stato fatto un ulteriore passo avanti per tentare una conciliazione tra i diversi criteri e modalità delle prospettive di valutazione del transfer pricing ai fini della fiscalità diretta e della fiscalità indiretta, afferente il valore in dogana.
La tecnica dell'una, però, mal si adatta all'applicazione dell'altra, che attiene al passaggio doganale delle merci in importazioni, disciplinato dalle norme doganali del Codice Doganale Comunitario , l'art. 29 e ss. del Reg. XXX x. 2913/1992, (art. 41 del nuovo Codice doganale aggiornato Reg. CE n. 450/2008), scritto in aderenza ai contenuti dell'art. VII sul valore dell'Accordo GATT.
Per poter inchiodare il valore in dogana bisogna porre mano all'articolato del CDC aggiornato ma è anche necessario incrementare la cooperazione amministrativa, coadiuvata delle movimentazioni finanziarie, che permettono di tracciare l'operazione, che non costituisce conditio sine qua non, ma permette di creare le condizioni per verificare la stessa esistenza di quell'impresa che ha praticato quel prezzo in un clima di un mercato basato sul principio della libera concorrenza.
Al fine di dare attuazione alle Direttive della OCSE, l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, che presiede sulla fiscalità internazionale, con norme atte ad ostacolare l'evasione e l'elusione internazionale e nazionale. il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico il D.L. 1 luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, con la L. 3/8/2009, n. 102, contenente, tra l'altro, provvedimenti anticrisi, per contrastare il proliferare dei paradisi fiscali e degli arbitraggi fiscali internazionali e nazionali.
Dal rapporto pubblicato il 9 aprile 1998, titolato Harmfull tax competition – An emerging global issue – la OCSE ha elaborato una normativa CFC, diretta a contrastare l'accumulo di profitti in Paesi a bassa tassazione, e sottoporli a tassazione nei Paesi dove si trova il reale beneficiario economico che,
ovviamente, preferisce risiedere in quei Paesi dove la tassazione è agevolata o addirittura esentata, che non necessariamente debba trattarsi di un Paese allocato nelle Black List x Xxxxx List ma addirittura Paese membro della UE.
Regola generale: la tassazione dei soggetti residenti, che hanno una partecipazione di controllo o di collegamento di una società estera ubicata nei Paesi su menzionati avviene per trasparenza sui redditi da essi conseguiti e assoggettati a tassazione separata con l'aliquota media applicata sul reddito complessivo del soggetto residente che non può essere inferiore al 27%.
Le problematiche che non hanno mai consentito di adattare lo strumento del transfer pricing, adottato ai fini delle imposte dirette, anche per le imposte indirette, trova un forte ostacolo proprio per la determinazione del valore in dogana che poggia sul prezzo, che si presta facilmente ad essere manipolato.
Questo perchè non si è riuscito mai ad armonizzare le regole fiscali e doganali, nemmeno la OCSE è riuscita nell'obiettivo di blindare il valore in doganale nell'ambito di operazioni infragruppo così come è stato fissato ai fini delle imposte dirette nei vari Paesi membri.
Per memoria, quando si parla di TRANSFER PRICING bisogna fare riferimento a quella particolare tecnica attraverso la quale si trasferiscono utili da un Paese ad alta pressione fiscale verso un Paese OFF-SHORE, a fiscalità bassa, mediante lo scambio di beni e prestazioni di servizi per il tramite di prezzi svincolati dalle logiche dei mercati concorrenziali.
Sostanzialmente, l'Amministrazione Finanziaria può valutare beni e servizi, in deroga al principio di valutazione dei corrispettivi pattuiti, secondo il valore normale.
La deroga ha valore allorquando l'Amministrazione Finanziaria si trovi in presenza di operazioni infragruppo fra imprese italiane ed estere; in particolare, quando si tratta di:
− un soggetto italiano ed un soggetto estero;
− controllo di un soggetto italiano su quello estero e viceversa.
La normativa sulla CFC è stata introdotta dall'art. 1, comma 2, della Legge 21 novembre 2000, n. 342, con applicazione ai redditi relativi al periodo d'imposta della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei decreti, di cui al comma 4 dell'art. 112-bis che corrisponde all'attuale art. 167 del TUIR.
La normativa, molto striminzita, risiede nell'art. 110, rubricato come norme generali sulle valutazioni, comma 7, del T.U.I.R., il DPR 22 dicembre 1986, n. 917, che stabilisce che la valutazione dei componenti di reddito, derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che controllano o sono controllate dalla stessa società, avviene in base al prezzo normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, se deriva un aumento di reddito.
Nel caso che ne derivasse una diminuzione di reddito, bisogna fare riferimento agli accordi conclusi con le Autorità competenti degli Stati membri, a seguito delle speciali procedure amichevoli, previste dalle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi.
La disposizione si applica anche per i beni ceduti e servizi prestati da società non residenti nel territorio dello Stato per conto delle quali l'impresa esplica attività di vendita e collocamento di materie prime o merci di fabbricazione o lavorazioni di prodotti.
Con la manovra correttiva , introdotta nel nostro ordinamento, con il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, con la Legge 30 luglio 2010, n. 122, il legislatore si è preoccupato di affrontare le problematiche che provenivano dalla fiscalità internazionale al fine di adeguare, in materia di documentazione dei prezzi di trasferimento, il cd. transfer pricing, la normativa Italiana con le Direttive OCSE.
L'art. 26 del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, in tema di documentazione a sostegno dei prezzi di trasferimento, nell'ambito delle operazioni infragruppo con consociate estere, dispone che: "In caso di rettifica del valore normale dei prezzi di trasferimento nell'ambito delle operazioni di cui all'art. 110, comma 7, del DPR 22 dicembre 1986, n. 917 (il TUIR), da cui derivi una maggiore imposta o una differenza del credito, la sanzione di cui al comma 2 (la sanzione dell'infedele dichiarazione prevista dal D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471) non si applica qualora, nel corso dell'accesso, ispezione o verifica o di un'altra attività istruttoria, il contribuente consegni all'Amministrazione Finanziaria la documentazione indicata in apposito provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate idonea a consentire il riscontro della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati".
Da un punto di vista essenzialmente doganale si deve affermare che non è, in assoluto, possibile ipotizzare un adattamento praticato ai fini delle imposte dirette con l'accertamento doganale.6
L'art. 41 del Reg. CE n. 450/2008 (il nuovo codice doganale aggiornato), ex art. 29 del vecchio codice doganale comunitario, Reg. n. 2913/1992, in tema di valore in Dogana, stabilisce quanto appresso:
“0.Xx base primaria per il valore in Dogana delle meri, cioè il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando sono vendute per l'esportazione verso il territorio doganale della Comunità, eventualmente adeguato in conformità delle misure adottate a norma dell'art. 43.
0.Xx prezzo effettivamente pagato o da pagare è il prezzo totale che è stato o deve essere effettuato dal compratore nei confronti del venditore, o dal compratore ad una terza parte, o a beneficio di quest'ultimo delle merci importate, e comprende tutti i pagamenti che sono stati o devono essere effettuati, come condizione della vendita e delle merci importate”.
Per la UE il valore in dogana è rappresentato dal prezzo di transazione. Fin quando non sarà modificato l'art. 41 del nuoco CDC ed non ci saranno regole fiscali e doganali armonizzate si andrà avanti sempre in tal modo.
Non essendo blindato il valore in Dogana ha assunto una nomea di un prezzo sottofatturato che non salva nemmeno quelle operazioni che sono avvenute ad un prezzo molto basso perchè probabilmente hanno avuto un andamento difforme da
6 Vedi anche articolo di Xxxxxxxxxxx Xxxxxxx su “Il Fisco”n. 32/2012 pag. 5153
quello praticato in condizioni di libera concorrenza perchè lo ha imposto il mercato.
Oggi le pratiche nel commercio hanno assunto una liberalizzazione che ha modificato completamente l'equilibro del mercato, che a volte impone transazioni anche a prezzi stracciati o a prezzi al di sotto di quelli praticati su un mercato di libera concorrenza perchè i prodotti provengono da aziende delocalizzate che possono vendere a prezzi che danno l'impressione di sembrare sottofatturati.
Le regole attuali scaturenti dall'art. 42 del CDC aggiornato stabilisce metodi alternativi, basati sul valore di transazione di merci identiche e di merci similari o sulla base dei costi di produzione.
Nell'ipotesi che con tali metodi non si riesce a trovare un prezzo congruo, allora lo stesso viene determinato sulla base dei dati comunque disponibili nel territorio della UE e, nel caso, che esista un legame tra le parti, tale da essere sufficiente per considerare che il prezzo non sia attendibile, l'autorità doganale può invitare il contribuente a dimostrare la congruità del valore di transazione adottato rispetto a quello dichiarato nell'ipotesi che il bene fosse stato venduto ad altri soggetti.
La OCSE ha cercato di far adottare il metodo reddituale anche nella determinazione del valore in Dogana ma siccome le finalità sono diametralmente opposte non si potrà mai giungere allo stesso risultato poiché l'obiettivo dell'Amministrazione doganale è elevare l'imponibile quello dell'Agenzia delle Entrate è quello di ridurre l'ammontare dei costi rendendoli indeducibili per la società italiana.
Il tentativo della OCSE, attraverso le Transfer Pricing Guideline, di adattare l'arm's lenghth come metodo di confronto in effetti è già adottato dalle Dogane ma con scarso successo.
La OCSE, dal 1995 al 1999, aveva già elaborato due temi:
a) sulla comparabilità delle transazioni (DISCUSSION DRAFT ON COMPARABILITY);
b) sul confronto dei profitti netti transnazionali (DISCUSSION DRAFT ON PROFIT BASED METHODS).
Molto più aderente alla realtà la confrontabilità dei profitti netti poichè sono dati che possono essere acquisiti facilmente dai bilanci delle società.
IL PROFIT SPILT
Il Profit Split è un metodo che stabilisce i prezzi di trasferimento di una transazione infragruppo, basandosi sulla comparabilità delle transazioni, partendo dalle modalità di ripartizione del profitto in imprese impegnate in una transazione similare.
Questo è l'unico metodo che consente di determinare i prezzi di trasferimento considerando le profittabilità di entrambe le società, che partecipano alla transazione (two-sides method).
IL TRANSACTION NET MARGIN METHOD
L'altro metodo, il Transaction Net Margin Method, prende in considerazione il rapporto tra il margine lordo e le spese operative, denominato Xxxxx Ratio, che è un indicatore di profittabilità, che viene applicato maggiormente in tutte le
transazioni infragruppo, in cui una società operi come intermediario, vale a dire acquista da una società collegata e lo rivende ad un'altra società collegata.
Tale metodo è fondato su ricerche di società che operano in situazioni similari alla società infragruppo ed è molto usato per comparare la profittabilità dei distributori. Oggetto della comparazione è una società facilmente comparabile, selezionata tra tante società ed assume la denominazione di Tested Party.
Tali metodi, ispirati dalle Guidelines OCSE, mal si adattano ai metodi di valutazione utilizzati ai fini doganali perchè il punto dolens da superare è il blindato articolo del valore di transazione.
Per poter inchiodare il valore in dogana bisogna porre mano all'articolato del CDC aggiornato ma è necessario anche incrementare la cooperazione amministrativa coadiuvata delle movimentazioni finanziarie che permettono di tracciare l'operazione, che non costituisce conditio sine qua non, ma permette di creare le condizioni per verificare la stessa esistenza di quell'impresa che ha praticato quel prezzo in un clima di un mercato basato sul principio della libera concorrenza.
FISCALITA' INTERNAZIONALE LA MUTUAL AGREEMENT PROCEDURE (MAP) – LA CONVENZIONE ARBITRALE SULLE DOPPIE IMPOSIZIONI DERIVANTI DA RETTIFICHE SUI PREZZI DI TRASFERIMENTO
Con la Circolare n. 21/E del 5 giugno 2012 l'Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti in ordine alla gestione delle controversie fiscali in sede di procedure amichevoli (Mutual Agreement Procedure), di seguito MAP, al fine di assicurare un'adeguata coerenza dell'azione amministrativa.
Lo sforzo dell'Agenzia è quello di dirimere i casi di doppia imposizione che scaturiscono dalla rettifica degli utili di imprese associate in applicazione della normativa in materia di transfer pricing.
Le fonti internazionali di riferimento sono le Convenzioni bilaterali e la Convenzione arbitrale che costituiscono gli strumenti che vengono utilizzati per evitare le doppie imposizioni.
In particolare, la procedura della MAP costituisce lo strumento più idoneo a risolvere le controversie internazionali attraverso l'instaurazione di un dialogo tra le Amministrazioni fiscali degli Stati contraenti.
La Map rappresenta, anche, il mezzo più efficace per un soggetto non residente che ritiene che nei suoi confronti sia stata applicata una imposizione non conforme alle disposizioni della Convenzione.
Nella pratica bisogna riscontrare che la MAP da Trattato non sempre raggiunge gli effetti desiderati: una soluzione bonaria della controversia; al contrario, la MAP da Convenzione arbitrale riesce meglio ad avvicinare le parti e a dirimere ciò che le divide.
E' stata la stessa OCSE, l'organismo che presiede sulla cooperazione per lo sviluppo economico, che ha sede a Parigi, a fornire un Manuale molto efficace in tema di gestione delle procedure amichevoli "Manual on Effective Mutual Agreement Procedures", di seguito MEMAP, che fornisce alcune best practices, cui le Amministrazioni fiscali dovrebbero confermarsi.
Da parte della UE è stato adottato dal Consiglio dell'Unione Europea del 22 dicembre 2009 il "Codice di condotta" per l'effettiva attuazione della Convenzione relativa all'eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate.
La base giuridica interna per l'instaurazione delle procedure amichevole è data dalle singole Convenzioni bilaterali, stipulate in Italia e, regolarmente, ratificate, nonchè nella Convenzione arbitrale , ratificata con L. 22/3/1993, n. 99.
Gli attori istituzionali nelle procedure amichevoli sono il Ministero dell'Economia e delle Finanze, Dipartimento delle Finanze, e l'Agenzia delle Entrate: il primo, quale Autorità competente; la seconda, come supporto tecnico e collaborazione, specialmente, per la redazione del documento di posizione, cd. position paper.
Una procedura amichevole, in generale, viene aperta anche su iniziativa del contribuente, quando lo stesso reputa che si sia realizzata o si possa realizzare nei suoi confronti una imposizione non conforme alla Convenzione , vale a dire che sia discriminante: lo prevede l'art. 25, paragrafo 3 del Modello OCSE.
I casi, che possono ricadere nella procedura, di cui allo stesso articolo 25, menzionato, dal paragrafo 1 e 2, che contempla tutte quelle fattispecie generatrici di doppia imposizione giuridica ed economica, riguardano sia le persone fisiche che le persone giuridiche, come un'applicazione scorretta di ritenute su dividendi, interessi e royalties e così via.
Il termine per la presentazione dell'istanza per l'apertura di una procedura amichevole, come previsto dal Modello OCSE, è il terzo anno della prima notifica della misura che comporta un'imposizione discriminante.
La istanza da presentare deve contenere gli elementi informativi senza i quali non è possibile iniziare la procedura, quale:
-l'identificazione dei contribuenti;
-l'illustrazione dei fatti;
-la descrizione delle eventuali azioni amministrative e giurisdizionali intraprese in Italia, quali la presentazione di istanze di accertamento con adesione, il ricorso giurisdizionale;
-la copia degli atti fiscali che hanno comportato un'azione discriminante.
L'istanza può essere presentata a prescindere dai ricorsi previsti dalla legislazione nazionale e, quindi, non si pone nella situazione di alternatività, potendo instaurare la procedura amichevole anche preventivamente.
Praticamente, al contribuente conviene sempre chiedere al giudice, da solo o unitamente all'Agenzia delle Entrate, un rinvio dell'udienza, che deve decidere a riguardo, che consenta di portare avanti la procedura MAP nella speranza che le Autorità nazionali riescono a raggiungere un'intesa amichevole.
Non necessariamente deve raggiungersi un risultato nell'ipotesi di apertura della procedura amichevole, non sussiste un obbligo da parte delle Autorità competenti ma, comunque, va usata la diligenza (Shall endeavour), il savoir faire per advenire ad un accordo al fine di eliminare l'imposizione discriminante non conforme alla Convenzione.
Lo stesso Commentario OCSE all'art. 25 (par. 37) chiarisce che le Autorità competenti hanno il dovere di trattare, l'obbligo di fare del loro meglio ma non quello di raggiungere un risultato.
Il contribuente che, contemporaneamente o prima dell'instaurazione della procedura, abbia iniziato un contenzioso con l'Amministrazione Finanziaria non ha diritto alla sospensione dell'imposizione ma, comunque, nell'ambito della procedura domestica può attivare la richiesta di sospensione all'Ufficio o alla Commissione tributaria.
Pertanto, il contribuente che voglia regolarizzare la sua posizione con il Fisco dopo la risoluzione della procedura amichevole, deve necessariamente presentare contestualmente al ricorso, anche nell'ambito dello stesso, istanza per la sospensione dell'atto impositivo, contenente la rettifica del reddito, a seguito della violazione sul transfer pricing, sia amministrativa che giudiziale.
Praticamente, può accadere che l'Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Accertamento, accolga la richiesta del contribuente, magari previa presentazione di una garanzia bancaria, altrimenti dovrà attendere l'accoglimento dell'istanza da parte del Collegio giudicante.
Nell'ambito della istruttoria della procedura e in tutto il suo svolgimento il contribuente viene informato dalle Autorità competente sullo stato della procedura. Nel caso che si tratti di una procedura amichevole, conseguente ad una rettifica del prezzo di trasferimento, il documento di prassi, in commento, precisa che il Commentario all'art. 25 contiene la raccomandazione che sia riconosciuta al contribuente ogni ragionevole possibilità di rappresentare alle Autorità competente, oralmente o per iscritto, fatti e argomenti relativi al caso.
CLAUSOLA ARBITRALE
In presenza di una Convenzione bilaterale, comprensiva di clausola arbitrale, ai sensi del paragrafo 5 dell'art. 25, l'efficacia della procedura amichevole né rafforzata.
Secondo il parere dell'Agenzia delle Entrate, detta clausola viene inserita nei Trattati, previo il consenso di entrambi gli Stati e del contraente e scambio di note fra gli Stati stessi.
L'applicazione della fase arbitrale
L’articolo 4 della Convenzione arbitrale enuncia il principio di libera concorrenza (arm’s length principle). L'articolo 1, infatti, delimita il campo di applicazione della Convenzione, la quale “si applica quando, ai fini dell’imposizione, gli utili inclusi negli utili di un’impresa di uno Stato contraente sono o saranno probabilmente inclusi anche negli utili di un’impresa di un altro Stato contraente, non essendo osservati i principi enunciati all’articolo 4 e applicati direttamente o in disposizioni corrispondenti della normativa dello Stato interessato”.
Ruolo attivo del contribuente
Nell'ambito della procedura non è escluso che il contribuente svolga un ruolo attivo, soprattutto per meglio advenire ad una soluzione della procedura, che prospetta il caso fornendo ogni elemento informativo in grado di poter dirimere ogni dubbio a riguardo.
Per questo motivo il MEMAP (il manuale) raccomanda che il contribuente venga informato dall'Autorità competente sullo stato della procedura e possa altresì chiedere di essere ascoltato in merito alla controversia.
Il Commentario della OCSE, di cui all'art. 25, sollecita la raccomandazione che sia riconosciuta al contribuente ogni ragionevole possibilità di rappresentare all'Autorità competente, oralmente o per iscritto, i fatti ed argomenti relativi al caso.
Conclusione
La conclusione della MAP ha due effetti fondamentali:
-per l'Agenzia, che dovrà disporre immediatamente il rimborso o lo sgravio dell'imposta non dovuta, delle sanzioni e degli interessi;
-per il contribuente, che avrà la facoltà di decidere di proseguire lo stesso il contenzioso ma dovrà darne comunicazione all'Agenzia, alla Direzione Generale Accertamento.
Inoltre, le conclusioni della MAP possono essere utilizzate dal contribuente anche per gli anni successivi d'imposta a condizione che non cambino i connotati delle stesse.
La Convenzione arbitrale è stata sottoscritta dagli Stati membri il 23 luglio 1990 al fine di garantire la eliminazione dei fenomeni di doppia imposizione economica, riconducibile a rettifiche di transfer pricing le Autorità .
Si può profilare anche il caso che le Autorità competenti non raggiungano un accordo nell'ambito della procedura amichevole, che elimini la doppia imposizione entro i due anni dalla data in cui il caso è sottoposto per la prima volta; in tal caso bisognerà rimettere la problematica alla Commissione Consultiva, il cui parere è obbligatorio per le parti, a meno che non arrivino ad un comune accordo per l'eliminazione della doppia imposizione.
I soggetti legittimati a presentare l'istanza di procedura amichevole sono:
a) le imprese residenti;
b) le stabili organizzazioni.
Conclusioni riassuntive
In caso di rettifica degli utili delle imprese residenti nella UE la Direttiva 90/436/CEE del 23 luglio 1990 sulla Convenzione arbitrale, finalizzata alla eliminazione delle doppie imposizioni, prevede:
-l'accordo bonario tra le Autorità competenti nazionali interessate;
-impegna le Autorità a raggiungere un accordo ma, comunque, non necessariamente deve essere raggiunto;
-richiede la cessazione del contendere, anche se non incompatibile con il ricorso presentato;
-la discrezionalità da parte dell'Agenzia delle Entrate della sospensione dell'atto impositivo.
IVA LA MANCATA COMUNICAZIONE AL SISTEMA VIES.
La posizione delle Entrate cozza contro il Reg. 212/2011 e contro le decisioni della Suprema Corte di Giustizia europea. Forte ricaduta sugli affari per gli operatori intracomunitari.
L'esenzione dell'Iva non può essere negata solo per il fatto che il soggetto passivo non disponga del codice identificativo IVA. La statuizione dei giudici europei , la sentenza C-273/11 del 6 settembre 2012, ha ribadito chiaramente che se ricorrono le condizioni sostanziali di una cessione intracomunitaria l'operazione è sempre possibile. La sentenza è perfettamente in linea con il Regolamento 212/2011 che, come tale, dispiega la sua efficacia immediatamente essendo self-executing e non abbisognando di alcun ritocco da parte degli Stati membri; non c'è giudice di merito o di legittimità che possa disattendere, anzi, deve essere applicato senza indugio perchè è una derivazione del diritto sovrastante a quello domestico. Secondo la Corte il codice identificativo Iva è un requisito formale che non preclude il diritto di esenzione quando ci sono le condizioni essenziali per qualificare una cessione intracomunitaria. L'Agenzia delle Entrate (circ. n. 39/e/2011) fornisce una spiegazione kafkiana o, addirittura, elementare che sembri che poggia su uno dei requisiti essenziali per gli scambi intraUE: il riconoscimento della capacità di operare del soggetto passivo. Non ha fatto di meglio con la Risoluzione n. 42/E del 27 aprile 2012 ribadendo la inibizione di effettuare scambi intracomunitari fino all'avvenuta iscrizione dell'Archivio informatico VIES. In tal modo l'Agenzia alimenta le frodi altro che deterrente non fosse altro che l'evasore non è talmente suicida da chiedere l'inclusione nel sistema VIES delle operazioni false che sta mettendo in atto.
Il D.L. 31.5.2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L.30.7.2010, n. 122 (la c.d. Xxxxxxx correttiva) che contiene, fra l'altro, le sostanziali modifiche all'accertamento e alla riscossione incidendo in maniera significativa sull'antifrode e sull'antiriciclaggio, ha introdotto l'obbligo di comunicazione nella dichiarazione di inizio attività dell'intenzione di voler effettuare operazione UE.
In pratica, la norma di cui all'art. 27 del D.L. n. 78/2010 sull'adeguamento alla normativa europea che ha modificato l'art. 35 del DPR 633/72, la normativa sull'imposta sul valore aggiunto, prevede uno stop di trenta giorni prima di iniziare ad effettuare operazioni intracomunitarie in attesa del via libera delle Entrate che provvedono all'iscrizione del soggetto comunitario nel sistema VIES.
IL REGOLAMENTO 15 MARZO 2011, N. 282
Sul punto bisogna chiarire la portata della disposizione, che si pone in aperto contrasto con l'art. 18 del Regolamento 15 marzo 2011, n. 2827 proprio sullo status del destinatario di un servizio che è ritenuto soggetto passivo allorquando il prestatore non disponga di informazioni contrarie.
L'articolo menzionato cosi recita:" Salvo che disponga di informazioni contrarie, il prestatore può considerare che un destinatario stabilito nella Comunità ha lo status di soggetto passivo:
a) se il destinatario gli ha comunicato il proprio numero individuale di identificazione IVA, qualora ottenga conferma della validità di tale numero di identificazione nonchè del no,me e dell'indirizzo corrispondenti conformemente all'art. 31 del regolamento (CE) n. 904/2010 del Consiglio del 7 ottobre 2010 relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia d'imposta sul valore aggiunto;
b) se il destinatario non ha ancora ricevuto un numero individuale di identificazione IVA ma lo informa che ne ha fatto richiesta, qualora ottenga qualsiasi altra prova attestante che quest'ultimo è un soggetto passivo o una persona giuridica non soggetto passivo tenuto all'identificazione ai fini IVA che effettui una verifica di ampiezza ragionevole dell'esattezza delle informazioni fornite dal destinatario applicando le normali procedure di sicurezza commerciali, quali quelle relative ai controlli di identità o di pagamento".
Inoltre, il Regolamento ha disposto anche in merito allo status di soggetto passivo stabilito fuori dalla Comunità stabilendo che basta un certificato rilasciato dalle Autorità fiscali estere, che attestino che il soggetto effettivamente svolge un'attività economica, oppure che dispone di un numero Iva o di un numero analogo attribuitogli dal suo Paese di stabilimento o che abbia effettuato una verifica di ampiezza ragionevole, basato sul controllo di identità (per esempio a mezzo passaporto oppure con l'attestazione di pagamento).
Tutto ciò sicuramente per rendere più snelle le procedure e contemporaneamente favorire al massimo i traffici e, quindi, lo sviluppo notevole e sostenibile.
Se il prestatore, quindi, prima di effettuare l'operazione riceve il numero di partita Iva del destinatario o che quest'ultimo gli ha comunicato che ne ha fatto richiesta all'Ufficio fiscale ma ancora non lo ha ricevuto, l'operazione non può essere inibita.
Si è già detto altre volte che non stiamo parlando di Direttive non recepite ma di Regolamento UE e non c'è giudice di merito, di legittimità o costituzionale lo possa mettere in discussione.
Purtroppo, in Italia l'Agenzia delle Entrate cavalca sempre dippiù il suo potere discrezionale scambiandolo per provvedimenti procedurali, pur di scavalcare anche il legislatore europeo, ma basta un giudice di merito per rendere vano l'operato dell'Agenzia, anche perchè la Commissione europea non bada a spese quando deve condannare l'Italia, specialmente quando la Corte di Giustizia europea legittima l'operazione.
E' necessario, quindi, tutelarsi contro questo atteggiamento dell'Agenzia perchè, se il soggetto passivo d'imposta ha informazioni del destinatario UE sul suo status di soggetto passivo, l'operazione può essere compiuta
Vedi altri scritti sull'argomento con articoli dedicati alla territorialità dei servizi.
Sostanzialmente, i soggetti che intraprendono l’esercizio di un’impresa, arte o professione nel territorio dello Stato, o vi istituiscono una stabile organizzazione, dovranno comunicare la volontà di voler effettuare operazioni intra-UE nel momento in cui intraprendono un’attività.
Lo scopo è quello di includere le partite Iva nuove nella banca-dati degli scambi intracomunitari, nel sistema VIES, che monitorando l’evoluzione dei passaggi intra UE, fa da deterrente sulle frodi IVA.
L’Ufficio, da parte sua, sulla base di un’analisi dei rischi riguardante il soggetto, può negare l’autorizzazione entro 30 giorni motivandola; nel contempo resta sospesa la soggettività attiva e passiva delle operazioni intracomunitarie con la loro esclusione dal Sistema VIES ma il soggetto potrà operare solo con le operazioni interne.
Se nulla osti, al 31° giorno il soggetto verrà inserito nel Sistema e potrà effettuare le cessioni e prestazioni intracomunitarie o riceverle.
Gli interventi dell'Agenzia delle Entrate si sono avuti con:
• la circolare n. 39/E del 1 agosto 2011 della Direzione Centrale Accertamento riguardante la inclusione nell'Archivio dei soggetti autorizzati a porre in essere operazioni intracomunitarie e connessa attività di controllo;
• la risoluzione n. 42/E del 27 aprile 2012 che, sulla base di un interpello, di cui all'art. 11 della Legge 212/2000, ha fornito chiarimenti in merito alla qualificazione giuridica delle operazioni effettuate da soggetto passivo stabilito in Italia non regolarmente iscritto all'archivio informatico VIES, di cui all'art. 27 del D.L. n. 78/2010.
LA CIRCOLARE N. 39/E DEL 1 AGOSTO 2011
La circolare, abbastanza dettagliata, fornisce chiarimenti in merito alle modalità di applicazione delle disposizioni di cui all'art. 27 del D.L. 78/2010 che ha introdotto alcune modifiche dell'art. 35 del DPR 633/72, l'imposta sul valore aggiunto.
In particolare, è stato modificato l'art. 35 del DPR 633/72, che riguarda le dichiarazioni di inizio attività, variazione e cessazione dell'attività, al comma 2 è stata aggiunta la lettera e-bis), secondo la quale i soggetti che intraprendono l'esercizio di un'impresa, arte o professione nel territorio dello Stato devono indicare nella dichiarazione di inzio attività anche l'eventuale intenzione di effettuare operazioni intracomunitarie.
Inoltre, con i nuovi commi 7-bis e 7-ter, l'autorizzazione ad operare dipende dall'Agenzia delle Entrate che può negarla o revocarla con modalità che sono state definite dal provvedimento n. 188736 del 29/12/2010 del Direttore delle Entrate.
Infine, è stato inserito il comma 15-quarter che ha affidato ad un ulteriore provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate, poi il provvedimento n. 188381 del 2010, che ha chiarito che la manifestazione di volontà, per essere inclusa nel sistema VIES, non solo deve essere manifestata da coloro che iniziano l'attività ma anche da coloro che già sono in attività.
ASPETTO SOGGETTIVO
La circolare, nel chiarire l'aspetto soggettivo di applicazione della norma, dando, tra l'altro, indicazioni anche per i soggetti non residenti e quelli identificati
direttamente o tramite la nomina di un rappresentante fiscale, di cui all'art. 17, terzo comma del DPR 633/72, fornisce chiarimenti anche in merito ai cd. soggetti minimi, di cui all'art. 1,comma 96 e segg. della legge 244 del 24 dicembre 2007, che possono effettuare acquisti intracomunitari ma anche loro sono tenuti ad ottenere l'inclusione nel sistema VIES.
Allo stesso modo dovranno uniformarsi gli enti non soggetti passivi d'imposta quando hanno superato la soglia dei 10.000 euro relativa agli acquisti intracomunitari oppure che hanno optato per l'applicazione dell'imposta in Italia, come stabilito dall'art. 38, comma 5, lett. c) del D.L. 331/93, la normativa che preside sul regime provvisorio degli scambi intracomunitari.
ASPETTO OGGETTIVO
Nell'andare a chiarire l'aspetto oggettivo, la disposizione prende in esame l'obbligo di inclusione nel sistema VIES anche da parte di quei soggetti che effettuano prestazioni di servizi intracomunitarie, soggette ad Iva nel Paese di destinazione ai sensi dell'art. 7-ter introdotto dal D.lgs. 11 febbraio 2010 n. 18.
La circolare, in merito alla manifestazione della volontà di effettuare operazioni intracomunitarie, fa obbligo ai contribuenti, non inclusi nell'Archivio VIES, di manifestare la volontà di porre in essere operazioni intracomunitarie mediante apposita istanza, che può essere redatta secondo lo schema in allegato I
, da presentare a qualsiasi ufficio dell'Agenzia delle Entrate, riportando i dati relativi ai volumi presunti degli acquisti e delle cessioni intracomunitarie.
I soggetti non residenti, identificatosi direttamente ai fini IVA , presentando il modello ANR, devono esprimere la volontà di porre in essere operazioni intracomunitarie con un' apposita istanza da inviare al Centro Operativo di Pescara.
Chi intende retrocedere dalla volontà di porre in essere operazioni intracomunitarie deve presentare apposita istanza, secondo l'allegato 2 alla circolare, ad un qualsiasi Ufficio dell'Agenzia delle Entrate o al Centro Operativo di Pescara, se trattasi di soggetto non residente identificato direttamente ai fini IVA.
INCLUSIONE, DINIEGO E REVOCA DAL SISTEMA VIES
L'Agenzia delle Entrate, dopo aver ricevuto l'istanza contenente la manifestazione di volontà di porre in essere operazioni intracomunitarie oppure dall'attribuzione della partita Iva, in cui il contribuente ha manifestato la volontà di voler compiere operazioni intracomunitarie, ha trenta giorni di tempo per condurre l'istruttoria a riguardo ed esprimersi in termini di inclusione nel sistema VIES, diniego o revoca.
Se l'Ufficio immette il contribuente in una griglia di pericolosità per l'alto profilo di rischio, deve intervenire con provvedimento motivato di diniego o revoca dell'inclusione del contribuente nell'Archivio VIES, al contrario, il soggetto viene automaticamente incluso nell'Archivio il trentunesimo giorno successivo a quello di attribuzione della partita IVA o della ricezione dell'istanza.
Il soggetto richiedente, decorso i trenta giorni, può interloquire con i sistemi di interrogazione telematica delle partite comunitarie per verificare la validità del numero di identificazione IVA attribuitogli.
MONITORAGGIO COSTANTE
L'altro obbligo imposto al contribuente è quello del monitoraggio costante nel tempo per la sua posizione di inclusione nel sistema VIES e guardare in modo particolare se si è verificato nel contempo una variazione nella scala di rischio dell'antifrode. Lo prevede lo stesso provvedimento n. 188376 del 2010 (punto 5).
I provvedimenti di diniego e revoca sono impugnabili dinanzi alle Commissioni tributarie territorialmente competenti entro sessanta giorni dalla data di notificazione al contribuente.
AUTOTUTELA E CONTRADDITTORIO
E' possibile anche per il contribuente che ha subito il diniego e la revoca di agire anche in autotulela presentando istanza di annullamento del provvedimento.
La circolare prevede anche un contraddittorio prima che venga emesso il provvedimento di diniego o di revoca al fine del rispetto del principio di collaborazione e trasparenza.
ISCRIZIONE AUTOMATICA -
La circolare ha avuto modo di precisare che i soggetti che non hanno effettuato operazioni intracomunitarie negli anni precedenti all'entrata in vigore dell'obbligo, in nessuno degli anni 2009 e 2010, e pur avendo presentato a gennaio 2009 un elenco riepilogativo riguardante il 2008, non sono inseriti automaticamente nel sistema VIES
Al contrario, per coloro che hanno presentato la dichiarazione di inizio attività nel periodo compreso tra il 31 maggio ed il 29 febbraio 2011 il provvedimento n. 188376 del 2010 prevede l'inserimento automatico nel sistema VIES.
Per tali soggetti inclusi automaticamente nell'Archivio VIES il procedimento n. 188376 del 2010 prevedeva anche una rivisitazione delle relative posizioni da effettuarsi entro il 31 dicembre 2011.
CRITICITA'
La rigidità dell'atteggiamento dell'Amministrazione Finanziaria ha provocato ricadute micidiali per gli operatori contribuendo così alla crescita zero in questa economia globale che imperversa in tutto lo scacchiere comunitario.
Eppure se lo scopo era quello di contrastare fortemente le frodi comunitarie l'atteggiamento dell'Agenzia è a dir poco ingenuo perché chi continua a frodare non è così suicida da chiedere l'inclusione al sistema VIES di fatture false sia soggettivamente che oggettivamente: mette in atto la frode scomparendo nel nulla o campando sull'abuso del diritto e su una normativa e prassi domestica che si presta ad ogni sorta di interpretazione.
Xxxx, come dire, per attrarre nella trappola il soggetto poteva mettere in atto l'iscrizione provvisoria nel periodo sospensivo di trenta giorni per poi manifestare il proprio diniego o la revoca essendo stata esibita dal contribuente una qualsiasi prova attestante che il soggetto passivo dello Stato membro ne abbia fatta richiesta o abbia effettuato una verifica di ampiezza ragionevole dell'esattezza delle informazioni fornite dal destinatario.
Non fosse altro che la prova attestante l'avvenuta operazione è data con la dimostrazione, per esempio, della fornitura effettuata con lettere di vettura
internazionale, con il pagamento avvenuto tramite intermediario, installazione di impianto chiavi in mano e così via.
L'articolo 18 del Regolamento di esecuzione (UE) n. 282/2011 del Consiglio del
15 marzo 2011, come già detto inizialmente, in tema di disposizioni di applicazione della Direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto, ha dato questa possibilità e non l'atteggiamento provocatorio dell'Agenzia che mette una pezza nell'affermare che quella disposizione è stata varata solo per il riconoscimento della capacità di operare del soggetto passivo. Ovviamente, oltre a disattendere le conseguenze che si sta parlando di un Regolamento comunitario di immediata efficacia ma anche quella di una disposizione della nostra Carta Costituzionale:
L'art. 10 così recita: L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
Lascia anche pensare l'atteggiamento della Cassazione che ancora non si è pronunciata a riguardo.
RISOLUZIONE MINISTERIALE N. 42/E DEL 27 APRILE 2012
La musica dell'Agenzia non è cambiata perchè è intervenuta nuovamente con la Risoluzione n. 42/E del 27 aprile 2012 a minacciare i contribuenti, che ricevono una fattura dal fornitore estero, senza aver chiesto l'inclusione nel sistema VIES, e trattano l'operazione come un'operazione intracomunitaria, anche se la fattura contiene l'addebito dell'IVA, con l'aliquota vigente nel Paese dello stesso fornitore. La provocazione dell'Agenzia consiste nel proposito di segnalare allo Stato membro del fornitore l'infrazione determinando il recupero d'imposta da parte dello stesso Stato.
Sostanzialmente, per l'Agenzia è la stessa cosa che dire:
-il soggetto non ha espresso la volontà quando la transazione si considera effettuata ai fini;
o che:
-il soggetto passivo italiano effettua l'operazione nel periodo di sospensione:
In pratica, per l'Agenzia delle Entrate l'impresa non iscritta al sistema VIES che acquista beni o servizi da un operatore soggetto passivo d'imposta in un altro Stato membro non può assolvere l'IVA in Italia poichè la cessione non può usufruire della non imponibilità ma è imponibile IVA nel Paese del fornitore.
LA CIRCOLARE DELL'ASSONIME LA N. 21 DEL 26 LUGLIO 2012
La questio è stata affrontata anche dall'Assonime, con la circolare n. 21 del 26 luglio 2012, che considera la tesi dell'Agenzia poco convincente ma concorre solo a far perdere clienti comunitari agli operatori internazionali.
REGOLARIZZAZIONE DELL'OPERAZIONE
Secondo l'Assonime, nell'ipotesi in cui l'operazione fosse effettuata prima dell'inclusione nel sistema VIES, bisogna applicare l'imposta nello Stato di
stabilimento, in Italia, se la cessione o la prestazione avviene in Italia, come se fosse una normale operazione interna.
Per regolarizzare, se la fattura già è stata emessa produrre una nota di debito per L'IVA afferente la cessione o la prestazione e poi correggere il modello Intra, con il ter nell'ipotesi in cui fosse già stato presentato.
LA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA
Corte di Giustizia europea – Causa C-273/2011
Nettamente di parere contrario la Corte di Giustizia europea che, con la sentenza del 12 luglio 2012, causa C-273/2011con la quale ha ribadito che non va negata l'esenzione dell'IVA in forza di un'operazione qualificata come cessione intracomunitaria.
La domanda sull'esenzione dell'IVA era stata presentata nel contesto di una controversia che vedeva contrapposta la società Gabona (Ungheria) contro la Direzione Regionale delle Imposte in merito al rifiuto di detta Amministrazione di concedere l'esenzione IVA.
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione dell'art. 138, paragrafo I, della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto , come modificata dalla Direttiva 2010/88/UE del Consiglio del 7 dicembre 2010.
L'articolo 138 della Direttiva menzionata detta le condizioni di esenzione di un'operazione intracomunitaria caratterizzata:
− dall'obbligo, per l'acquirente, di garantire il trasporto del bene di cui dispone in qualità di proprietario dal momento del carico;
− dall'obbligo, per il venditore, di dimostrare che il bene ha lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione.
La Suprema Corte europea ha ribadito che se i requisiti sostanziali ci sono per qualificare una cessione intracomunitaria sarebbe sproporzionata la relativa sanzione.
Ha anche precisato che la normativa non prevede affatto tra le condizioni sostanziali di una cessione intracomunitaria tassativamente elencate l'obbligo di disporre di un numero di identificazione iva.
Si tratta di un requisito formale che non preclude il diritto di esenzione.
La Suprema Corte di Giustizia europea ha fornito sul procedimento principale e questioni pregiudiziali ben quindici punti considerativi con i quali ha giustificato la cessione con il rispetto pieno delle clausole relative alle modalità del contratto: le parti avevano convenuto che si sarebbe proceduto all'esecuzione di quest'ultimo sul piano quantitativo in funzione del peso caricato presso i locali del venditore in Ungheria, secondo quanto attestato dai registri pesatura, e delle fatture redatte sulla base di quest'ultimi.
L'acquirente (in tale fattispecie Italiano) avrebbe provveduto a procurarsi i mezzi di trasporto e al trasporto delle merci in un altro Stato membro.
Inoltre, prima di iniziare detto trasporto, l'acquirente (italiano) doveva comunicare i numeri di immatricolazione dei camion che avrebbero prelevato la merce presso i Magazzini Gabona.
Infine, i quantitativi dei prodotti acquistati dovevano essere indicati nelle lettere di vettura internazionale CMR, dopo la pesatura dei camion ed i trasportatori avrebbero presentato i documenti dagli stessi vistati.
Agli atti è stato documentato che il venditore si era fatta una fotocopia di tutte e quanta le lettere di vettura mentre gli originali erano stati trattenuti dai trasportatori.
Le quaranta lettere di vettura CMR, i cui numeri di serie erano in progressivo, furono rispedite all'indirizzo del venditore per posta dalla sede dell'acquirente italiano.
Il pagamento di una delle due fatture emesse è stato effettuato qualche giorno dopo la consegna da una persona di cittadinanza ungherese mentre la seconda non è stata pagata alla scadenza degli otto mesi.
L'Amministrazione tributaria ungherese ha azionato una cooperazione amministrativa con l'Amministrazione Italiana, ai sensi del Regolamento (CE) n. 1798/2013, con che si è conclusa con una informazione negativa in quanto a quella data la società italiana aveva chiuso i battenti cancellandosi dal registro con effetto retroattivo al 17 aprile 2009.
Con la seconda motivazione la Corte ha dichiarato: "L'esenzione di una cessione intracomunitaria, ai sensi dell'art. 138, paragrafo 1, della Direttiva 2006/112, come modificata dalla Direttiva 2010/88, non può essere negata al venditore per la sola ragione che l'Amministrazione tributaria di un altro Stato membro ha provveduto alla cancellazione del numero di identificazione Iva dell'acquirente, sebbene verificatasi dopo la cessione del bene, ha prodotto effetti, in modo retroattivo, a una data precedente a quest'ultima".
Sostanzialmente, la Suprema Corte ha evidenziato le sostanzialità di fatti concludenti da parte del venditore ed acquirente che non possono inibire la esenzione dell'Iva trattandosi di un'operazione qualificata cessione intracomunitaria.
DIFESA DEL CONTRIBUENTE
Per far condannare l'Agenzia, anche, con il risarcimento dei danni, bisogna obbligatoriamente produrre ricorso ordinario contro l'abuso del diritto, la non osservanza di un Regolamento UE soprattutto per provocare l'intervento della Suprema Corte europea; difficilmente il giudice di merito adito non si conformerà alle disposizioni comunitarie.
CONCLUSIONI
In parole conclusive, l'esenzione dell'IVA della cessione o dell'acquisto intracomunitario non può essere negata se sussistono i requisiti sostanziali, per il solo fatto che il soggetto passivo intracomunitario non possegga momentaneamente il numero di identificazione IVA. Il necessario provare che la cessione o l'acquisto siano avvenuti ma dal dire che l'operazione non può essere esentata da Iva quando possiede il crisma della legalità europea si alimentano le frodi e quel deterrente messo in atto dall'Agenzia con la segnalazione allo Stato
membro dell'irregolarità serve solo per gli sprovveduti, che sono un ottimo bersaglio per l'Agenzia stessa.
PENAL-TRIBUTARIO IL REATO DI OMESSO VERSAMENTO DELLE RITENUTE PREVIDENZIALI ED ASSISTENZIALI
La Corte di Cassazione a Sezione Unite, con la sentenza n. 1855 del 18 gennaio 2012 ha posto la parola fine ad un dilemma interpretativo in materia di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali da parte del datore di lavoro.
Il reato che integra la condotta delittuosa è previsto dall'art. 2 del D.L. 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni, dalla L. 11 novembre 1982
1983, n. 638 e successivamente modificato dall'art. 1 del D.Lgs. 24 marzo 1994, n.
211.
L'art. 1 del citato decreto legislativo così è rubricato: “Assicurazioni sociali – omissione contributiva – omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali” ed è scritto nel modo seguente:
“1-bis. L'omesso versamento delle ritenute di cui al comma 1 è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire due milioni. Il datore di lavoro non è punibile se provvede al versamento entro il termine di tre mesi dalla contestazione o entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento della violazione.
1-ter. La denuncia di reato è presentata o trasmessa senza ritardo dopo il versamento di cui al comma 1-bis ovvero decorso inutilmente il termine previsto. Alla denuncia è allegata l'attestazione delle somme eventualmente versate.
1-quarter. Durante il termine di cui al comma 1-bis il corso della prescrizione rimane sospesa.”
L'art.2 dello stesso decreto legislativo porge al datore di lavoro il paracadute della sanzione di cui sopra anche per i procedimenti in corso alla data delle entrate in vigore delle disposizioni vigenti.
In particolare, il legislatore ha stabilito che l'avvenuto versamento delle ritenute entro il termine di tre mesi sospende anche il giudizio penale in corso.
La questione sottoposta al giudizio della Suprema Corte derivava dal contrasto giurisprudenziale per individuare il dies a quo del termine di tre mesi, una data certa dalla quale risulta provata che è stata notificato al datore di lavoro l'accertamento della violazione.
In sostanza, è stato chiesto alla Corte: “Se, ed eventualmente a quali condizioni,la notifica del decreto di citazione a giudizio sia da ritenere equivalente, nei procedimenti per il reato di omesso versamento delle ritenute assistenziali e previdenziali all'INPS, alla notifica dell'accertamento della violazione, non effettuata, e ciò ai fini del decorso del termine di tre mesi per il pagamento di quanto dovuto, che rende non punibile il fatto”.
QUESITO N. 33 -IVA COMUNITARIA-
QUESITI
Il punto è questo: la società ALFA, irlandese, vende dei "vouchers" a dei loro clienti di varie nazionalità. I vouchers, del valore unitario di euro 30.00, permettono ai loro possessori di effettuare delle consumazioni (generi alimentari) esclusivamente presso la ditta BETA, italiana, la quale, al momento della consumazione, fa uno scontrino di
accredito (senza chiedere soldi) e ritira il voucher. Successivamente, la società ALFA, irlandese, riconosce alla ditta BETA, italiana, la somma di euro 30,00 per ogni voucher venduto, ma allo stesso tempo emette una fattura per i servizi resi di euro 12,00 a voucher, detraendoli direttamente dagli euro 30,00 originari (quindi versa alla ditta italiana solo euro 18,00). Io mi trovo quindi, ai fini Intra, una fattura di acquisto di euro 12,00 che si riferisce ad un servizio.
RISPOSTA
La fornitura di buoni acquisti costituisce un'operazione a titolo oneroso e, pertanto, rientrante nell'ambito di applicazione della normativa IVA. La scissione dell'importo del voucher è finalizzata a far passare lo stesso come merce, per € 18, e, per servizi, €12, per ovvi motivi, poiché i 18 euro venissero trattati come merci e, quindi, acquisto intracomunitario e gli altri 12 € come prestazioni.
Quanto messo in atto è al fine di eludere quanto raccomandato dall'Avvocato Generale della Corte di Giustizia Europea nella causa C-40/09 -AstraZeneca, la cessione di buoni acquisto integra un'operazione svolta in cambio del pagamento si qualifica come una prestazione di servizi a titolo oneroso, in quanto esiste un corrispettivo espresso in denaro, nonché il nesso diretto tra il servizio reso e il corrispettivo ricevuto.
Detto questo, significa che l'intero importo è qualificato come prestazioni di servizi e. pertanto, l'èscape serve solo a far passare parte del voucher come acquisto di merce.
E' forzata e non corretta l'operazione, così come è stata messa in atto, e passibile di sanzione da parte dei verificatori, sia come recupero dell'Iva sugli acquisti intracomunitari (sull'importo di 18 euro)che come errata compilazione dell'Intra.
Condivido in pieno quanto affermato dall'Avvocato Generale perchè senza la prestazione, l'acquisto di merci non è possibile.
Quindi, nei registri Xxx procederei a rettificare l'acquisto intracomunitario, e presenterei il ter per rettificare l'Intra.
QUESITO N. 34 – ACCERTAMENTO PRESUNTIVO
Nel quesito formulato, corredato del relativo verbale di constatazione, si chiede di sapere se il ricarico applicato dall'Ufficio su operazioni, per le quali lo stesso sostiene che siano inesistenti,sia legittimo oppure va impugnato.
Sulla base di una verifica fiscale effettuata alla ALFA srl per gli anni 2005 e 2006, .l'Ufficio ha constatato che ha ricevuto fatture di acquisti da operatori UE e da operatori sanmarinesi, ai sensi dell'art. 38 del DL 331/93 e del DM24/12/93.
I verbalizzanti sostengono che sarebbero acquisti senza addebito di XXX e nella rivendita in Italia la merce è stata venduta a sottocosto “Grazie al guadagno che la ALFA otteneva dall'Iva indebitamente lucrata sui clienti e non riversata all'Erario”.
Inoltre, l'Ufficio sostiene, in merito alle modalità di pagamento, che sono anomale perchè non contengono indicazioni di eventuali dilazioni/rateizzazioni e che il pagamento integrale è pressochè immediato in una fornitura di notevole importo non trova quasi mai riscontro nella pratica commerciale.
L'ufficio, infine, rileva che “l'attività svolta dalla ALFA srl non può che essere finalizzata a favorire oltre che i propri interessi, anche quelli di soggetti terzi, identificati come operatori effettivi che, pur provvedendo a tutti gli adempimenti tributari, partecipano attivamente all'attività fraudolenta traendone considerevoli vantaggi i principali clienti della società ALFA srl e che sulla base delle considerazioni può essere qualificato quale operatore effettivo la Ditta BETA individuale“.
Il carosello che vuole dimostrare l'Ufficio è senza prove. La documentazione aziendale costituisce, in ogni caso, il punto dal quale partire nella ricostruzione dei fatti economici, in ossequio al principio generale di buona fede, sancito dall'art. 1147, comma 3, CC e dallo Statuto del Contribuente, che il cittadino/contribuente emette dichiarazioni veritiere e non documenti falsi.
La posizione, ormai, consolidata, della Suprema Corte che, se l'Amministrazione Finanziaria fornisce validi elementi di prova, è onere del contribuente dimostrare la effettiva esistenza delle operazioni (Cassazione nn. 21953/2007 e 15395/2008).
Al contribuente, nel caso che l'A.F. abbia prove e non indizi, è sufficiente dimostrare che l'Iva detratta e i costi contestati siano stati effettivamente sostenuti e che sono inerenti all'impresa. Se Beta dimostra ciò, l'A.F. È è perdente.
Quanto sostiene l'Amministrazione Finanziaria, nel verbale di constatazione, è generico, non ci sono elementi di prova nei confronti di BETA e, soprattutto, non ha prove per le operazioni inesistenti. Al massimo si può parlare di fatture irregolari, se venisse accertato che le fatture emesse da ALFA srl corrispondano con quelle di BETA; vale a dire, che effettivamente dalle fatture emesse e dalla contabilità di BETA nei confronti dei suoi clienti risultino fatturate ad un prezzo inferiore, rispetto a quello praticato dalla ALFA.
Solo, in tal caso, al massimo,si può ragionare sulle fatture irregolari per la famosa regola transitiva dell'art. 60-bis del DPR 633/72 ma l'Agenzia non lo ha nemmeno menzionato nel suo accertamento. Caduta l'ipotesi delle fatture inesistenti, si poteva parlare di art. 60-bis del DPR 633/72 (la solidarietà passiva ); nell'ambito del verbale non è citato e, pertanto, carente nella motivazione, l'atto è nullo.
Tutto quanto sopra detto, che è il minimo indispensabile per la decisione di presentare il ricorso, si può provare la mala fede e scarsa tutela dell'affidamento dell'A.F., sancita per legge, il discorso potrà essere affrontato con più elementi convincenti.
Lo studio Trib. In.le Campanile & Partners