SOPRAVVENIENZE E CONTRATTO DI APPALTO.
UNIVERSITA DEGLI STUDI SI SALERNO DIPARTIMENTO DI DIRITTO DEI RAPPORTI CIVILI ED ECONOMICI NEI SISTEMI GIURIDICI CONTEMPORANEI
DOTTORATO DI RICERCA
Comparazione e diritti della persona IX ciclo nuova serie
TESI DI DOTTORATO
SOPRAVVENIENZE E CONTRATTO DI APPALTO.
Coordinatore
Xx.xx Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxxxx
Xxxxxxxx Tutor
Xxxx. Xxxxx Xxxxx
Anno accademico 2009 - 2010
Dottoranda Antonella
SOPRAVVENIENZE E CONTRATTO DI APPALTO
Introduzione pag. 4
a. Ragioni della ricerca e metodo di indagine
b. Il duplice volto della Pubblica Amministrazione nei rapporti contrattuali
c. Evoluzione del contratto di appalto
CAP. 1 Attività contrattuale della Pubblica Amministrazione pag. 18
1.1. La capacità giuridica della PA
1.2. L’autonomia contrattuale
1.3. Le procedure di scelta del contraente
1.4. Dall’aggiudicazione alla stipula del contratto
1.5. Tra vecchi e nuovi divieti di contrarre con la Pa
1.6. La tutela ante causam
CAP. 2 Le sopravvenienze pag. 47
2.1. L'incidenza delle sopravvenienze contrattuali.
2.2. L'impossibilità totale e parziale della prestazione.
2.3. L'eccessiva onerosità sopravvenuta e il contratto aleatorio.
2.4. La presupposizione.
2.5. La rinegoziazione dei contratti pubblici.
CAP. 3 Le vicende modificative nella gestione del contratto pag. 60
3.1. Esecuzione e gestione del contratto di appalto
3.2. Le vicende modificative soggettive
3.2.1. La incedibilità dei contratti pubblici
3.2.2. La cessione d’azienda
3.2.3. L’affitto di azienda
3.2.4. Il subappalto
3.3. Le vicende modificative contrattuali
3.3.1. Le varianti in corso d’opera
3.3.2. La c.d. sorpresa geologica
3.3.3. Il procedimento di autorizzazioni delle varianti
3.3.4. Le variazioni arbitrarie dell’appaltatore
CAP. 4 Lo scioglimento del contratto pag. 93
4.1. La morte dell’appaltatore
4.2. Il fallimento dell’appaltatore
4.3. Il recesso
4.4. La risoluzione del contratto
4.5. La revoca del bando e la responsabilità precontrattuale
CAP. 5 Il venir meno dell’aggiudicazione pag.106
5.1. I poteri di riesame della Pubblica amministrazione
5.2. La revoca dell’aggiudicazione
5.2.1. La responsabilità della stazione appaltante
5.3. L’annullamento dell’aggiudicazione e il diritto al risarcimento
5.3.1. Le teorie sulla sorte del contratto in seguito all’annullamento dell’aggiudicazione
5.4. Implicazioni sulla competenza giurisdizionale in seguito all’annullamento dell’aggiudicazione
5.5. La nuova disciplina dell’inefficacia del contratto e prime applicazioni
5.6. Il rapporto tra annullamento dell'aggiudicazione e contratto nell'esperienza europea
5.7. Le prospettive evolutive a seguito della direttiva ricorsi 2007/66/CE
Conclusioni Bibliografia
Introduzione
a. Ragione della ricerca e metodo di indagine
Lo studio delle vicende modificative del rapporto obbligatorio e, più in generale, del contratto, ha da sempre interessato la dottrina civilistica ed amministrativa, unite nello sforzo teso alla ricostruzione delle differenti fattispecie. La disciplina dettata dal codice civile deve essere analizzata anche alla luce delle speciali disposizioni dettate in ipotesi di rapporti contrattuali instaurati tra un soggetto privato ed una pubblica amministrazione ovvero, in senso ampio, un organismo di diritto pubblico.
Il contratto, costituendo, dal punto di vista strutturale, l’espressione di un accordo intervenuto tra almeno due soggetti, da cui risulta un determinato regolamento dei rispettivi interessi, è la figura giuridica costantemente presente nell’area dello strumentario a disposizione delle pubbliche amministrazioni per il perseguimento dei loro fini istituzionale1, cioè la cura degli interessi pubblici, a prescindere dall’esistenza, nei singoli ordinamenti, di un settore del diritto specificamente destinato a regolare l’azione delle amministrazioni stesse secondo principi e norme diversi da quelli applicati ai rapporti interprivati.
Il tema del presente lavoro è stato ispirato dalla consapevolezza che l’apparato pubblico è passato da una posizione di originaria supremazia a quella di soggetto prevalentemente a servizio della collettività, interprete e curatore esclusivo dei suoi interessi, in quanto erogatore di beni e utilità, dispensati attraverso soluzioni istituzionali e strumenti profondamente mutati rispetto al passato.
Alcuni compiti istituzionali sono stati devoluti a soggetti privati, perché l’iniziativa privata può garantire meglio, in determinati settori, la soddisfazione di interessi collettivi. In altri casi, amministrazioni e privati concorrono alla
realizzazione di obiettivi di interesse generale, attraverso il ricorso ad istituti di diritto comune e a nuove forme organizzative.
Si pensi, ad esempio, alla privatizzazione del pubblico impiego, alla radicale trasformazione delle forme organizzative dei pubblici poteri, al fenomeno della dismissione da parte della pubblica amministrazione delle principali imprese pubbliche, con conseguente apertura all’iniziativa economica privata e ruolo progressivamente recessivo per le forme tradizionali di intervento diretto.
Si è creato, quindi, il fenomeno della progressiva attenuazione4 del carattere della specialità del diritto amministrativo, principalmente dovuto alla tendenza a privilegiare il ricorso agli strumenti e agli istituti tipici del diritto privato, e alla progressiva influenza del diritto comunitario, ispirandosi sempre più l’attività della pubblica amministrazione ai principi del diritto comune.
L’indagine prende le mosse dalle interferenze del diritto pubblico nella regolamentazione civilistica dello schema negoziale e successivamente sul riconoscimento di uno statuto ordinario dell’attività amministrativa indifferente all’utilizzo di strumenti privatistici o pubblicistici, perché l’amministrazione deve pur sempre agire in ossequio dei principi costituzionali e comunitari che ne regolano l’azione e che consentono il miglior perseguimento dell’interesse pubblico, pur nel rispetto delle situazioni giuridiche soggettive del privato.
In particolare, l’utilizzo da parte della pubblica amministrazione di regole e strumenti propri del diritto privato persegue diversi obiettivi ed ha consentito di dotare l’amministrazione di strumenti di governo più agili e snelli, di uniformare le regole del settore pubblico e di quello privato, rafforzando la partecipazione dei privati anche a iniziative che perseguono interessi collettivi e in definitiva di assicurare un ordinamento pienamente democratico5, nel quale la garanzia di parità di tutti i soggetti giuridici, sancita dall’art. 3 della Costituzione, sia effettiva e concreta. Proprio dall’intreccio delle regole civilistiche e regole pubblicistiche, ne è risultato modificato l’approccio allo studio della materia, che si è orientato all’indagine sull’elemento finalistico; pertanto quando si afferma l’orientamento secondo cui l’attività amministrativa, volta alla cura di interessi pubblici, ben può essere esercitata attraverso istituti di diritto privato, gli studi si indirizzano maggiormente sui rapporti, sempre più stretti, tra diritto privato e diritto pubblico,
nella considerazione che l’autonomia negoziale debba necessariamente innestarsi nell’autonomia funzionale della quale l’amministrazione è portatrice.
La scelta di esaminare proprio il contratto di appalto dipende dal fatto che trattasi di fattispecie in grado di coniugare i due momenti fondamentali dell’attività della pubblica amministrazione quello del soddisfacimento dell’interesse pubblico affidato alla sua cura, attraverso l’obbligato rispetto dei canoni fondamentali di trasparenza, efficienza, parità di condizioni nell’accesso al mercato ed economicità; e quello della stipulazione di un contratto, utilizzando tutti quegli strumenti posti a disposizione dei contraenti dal diritto civile e costituenti l’autonomia contrattuale (art. 1321 c.c.), secondo cui le parti sono libere di determinare il contenuto, ovviamente nei limiti imposti dalla legge e sempre che si realizzino interessi meritevoli di tutela secondo il nostro ordinamento; strumenti che muovono dal presupposto della sostanziale parità delle parti contraenti. L’appalto, pertanto, è pubblico quando persegue finalità corrispondenti ai fini istituzionali dell’amministrazione pubblica: è pubblico, ad esempio, il contratto di appalto concluso tra un soggetto privato concessionario e un altro soggetto privato dal momento che anche in questo caso la funzione del contratto è di realizzare i fini istituzionali dell’ente concedente (e non già quelli del soggetto concessionario).
Il concetto di “funzionalizzazione”6 nel settore indagato indica l’effetto e, quindi, il limite che sull’autonomia negoziale produce la circostanza che si tratti di attività volta essenzialmente all’interesse pubblico, nelle sue specifiche e diverse articolazioni, e come tale assoggettata alle regole che, nel suo complesso, il fine pubblicistico impone.
Nella disciplina comune vanno trasfusi quei principi che consentono di perseguire l’interesse pubblico e tutelare al contempo interessi e aspettative dei privati, quali il buon andamento, l’efficacia, l’imparzialità, la trasparenza, la concorrenzialità tra gli operatori, la ragionevolezza e la proporzionalità.
Il negozio giuridico stipulato tra privato e pubblica amministrazione produce gli effetti tipici del modello civilistico, anche se atti e comportamenti della pubblica amministrazione nel corso dello svolgimento del rapporto devono essere valutati anche alla luce dell’interesse pubblico perseguito e connotato dai principi di derivazione comunitaria.
La funzionalizzazione dell’attività amministrativa di diritto pubblico non può quindi presupporre il trasferimento tout court dello statuto pubblicistico sul piano dei rapporti privatistici, atteso che si tratta pur sempre di contemperare l’autonomia negoziale nell’ambito dell’autonomia funzionale della pubblica amministrazione e di bilanciare comunque le diverse esigenze in gioco.
Si tratta di verificare se i limiti posti all’autonomia negoziale della pubblica amministrazione, rinvenienti dalle diverse fonti, costituzionali, comunitarie, di contabilità pubblica, settoriali, ecc. nel campo proprio dell’appalto di opere, siano essenzialmente strumentali alla funzione, quale valore unitario che connota l’intera attività nella specie posta in essere. Una volta che la prima verifica abbia sortito effetto positivo, occorrerà altresì accertare se la dimostrata funzionalizzazione dell’attività, e una lettura unitaria dei limiti all’autonomia negoziale della pubblica amministrazione nell’ottica del continuo intreccio e sovrapposizione tra istituti del diritto privato e del diritto pubblico, possano contribuire al superamento della tradizionale chiave di lettura, che considera
Vi sono regole privatistiche che pure connotano la scelta del contraente ed una perdurante disciplina pubblicistica nella fase successiva all’aggiudicazione. Di qui, l’impossibilità di descrivere compiutamente il fenomeno rappresentandolo nella rigida contrapposizione di due distinte fasi, senza tener conto degli effetti che ciascuna produce sull’altra, facendone sfumare peraltro i connotati anche in ragione della frequente possibilità di qualificare sotto il in profilo privatistico le medesime fattispecie a seconda del particolare caso concreto che di volta in volta occorre affrontare e risolvere.
b. Il duplice volto della Pubblica Amministrazione nei rapporti contrattuali.
E’ ormai dato acquisito che la pubblica Amministrazione, può conseguire i fini pubblici per i quali le è conferito il potere dalla legge non solo attraverso i consueti strumenti del diritto pubblico, ma anche attraverso le modalità del diritto
9 X. Xxxxx, L’attività amministrativa, Torino, Giappichelli,1999, 262 e ss.
comune. L’affermazione risulta essere il prodotto di una conquista giurisprudenziale prima ancora che legislativa e trova oggi conferma nel testo del nuovo art. 1, co. 1 bis, della l. 241/90, come modificato dalla l. n. 15/2005, che stabilisce che “la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente”.
La norma costituisce la chiave di lettura dell’intera materia dei contratti della pubblica amministrazione ed è rafforzata dalla lettera del d. lgs. 163/2006 che dispone all’art. 2, co. 3 che “Per quanto non espressamente previsto nel presente codice, le procedure di affidamento e le altre attività amministrative in materia di contratti pubblici si espletano nel rispetto delle disposizioni sul procedimento amministrativo di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni” ed al successivo co. 4. che “Per quanto non espressamente previsto nel presente codice, l'attività contrattuale dei soggetti di cui all'articolo 1 si svolge nel rispetto, altresì, delle disposizioni stabilite dal codice civile”.
Dalla lettura del combinato disposto delle suddette norme l’interprete è da subito avvertito del fatto che l’attività di diritto privato della pubblica amministrazione si compone di elementi di analogia e di elementi di diversità rispetto all’attività contrattuale di qualsiasi altro soggetto privato contraente.
In primo luogo, non potrà mai trattarsi di un’attività libera nel fine o nella causa, in quanto tutta l’attività di provvista di mezzi della p.a., ancorché attuata attraverso contratti di diritto privato, soggiace ai canoni di funzionalizzazione che la connotano di specialità e di carattere pubblicistico, fermo restando che lo svolgimento del rapporto contrattuale nella sua fase esecutiva è retto e disciplinato dal diritto privato.
In secondo luogo, la scelta del contraente dovrà avvenire secondo procedure di evidenza pubblica che , ai sensi dell’art 2, co. 1 d. lgs. 163/2006, dovranno garantire “la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza, di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, pubblicità.
Come è noto, la maggior parte dei principi richiamati, volti principalmente alla tutela della concorrenza, è di origine comunitaria. La cogenza degli stessi è alla base di un nuovo impianto normativo dal quale discende la duplice anima della p.a.: autorità e garante imparziale del fine pubblico e del mercato concorrenziale nella fase procedurale che ha inizio con la deliberazione a contrarre e che termina con l’approvazione dell’aggiudicazione; soggetto assimilabile al privato contraente nella fase che va dalla stipulazione del contratto e che prosegue con l’esecuzione dello stesso.
Nella prima fase la pubblica amministrazione è riconosciuta titolare di un potere autoritativo a fronte del quale sono individuabili solo posizioni di interesse legittimo, con conseguente radicamento della giurisdizione del giudice amministrativo per le controversie che eventualmente insorgano. La seconda fase, viceversa, conosce la giurisdizione del giudice ordinario, in quanto non si discetta in essa del potere amministrativo, in presenza del quale soltanto, in base alla più recente giurisprudenza della Corte Costituzionale, è possibile individuare la giurisdizione, anche esclusiva, del giudice amministrativo.
Tale impostazione schematica, tuttavia, si complica se si pensa che difficilmente il diritto amministrativo (ed il diritto in genere) è rappresentabile con una figura geometrica regolare.
La stipulazione contrattuale, dunque, non è idonea a cancellare il dna di autorità della pubblica amministrazione che, pur dopo la stipula del contratto, può tornare a valutare l’interesse pubblico per il quale si è determinata a contrarre, decidendo di annullare l’aggiudicazione per motivi di legittimità (entro un termine ragionevole e tenendo conto, ai sensi dell’art. 21 nonies, degli interessi dei destinatari e dei controinteressati) o di revocarla, ai sensi dell’art. 21 quinquies, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario. In ipotesi consimili, dunque, nonostante il potere amministrativo incida su un contratto che è già in corso di esecuzione, l’opinione dottrinale e giurisprudenziale prevalente ritiene configurabile la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di cui all’art. 6 della l. 205/2000, dovendosi ritenere che la stessa
xxxxxxxx non solo le procedure di affidamento tout court, ma anche gli atti di autotutela (da alcuni definiti di secondo grado) che su tali procedure incidano.
c. Evoluzione del contratto di appalto
Il Codice Civile del 1865, seguendo l’impostazione del Code Napolèon, inquadrò l’appalto nello schema del contratto di locazione di derivazione romanistica; il nono titolo del libro terzo, infatti, disciplinava la locazione delle cose e delle opere10, includendo nella seconda, non solo il contratto di lavoro, ma anche altri contratti aventi in comune l’impegno di svolgere un’attività lavorativa per il compimento di un risultato dietro corrispettivo. Il Code Napoléon, sulla base della tradizione romanistica, adottava una tripartizione del contratto di locazione: locatio conductio rei, operae ed operis, a secondo che l’oggetto del contratto fossero le cose, il lavoro stesso o il risultato del lavoro.
La complessità delle origini della locatio conductio privata deriva dalle vexatae questiones circa l’unitarietà o meno della locazione; si tratta di verificare se all’unità terminologica e processuale della locatio conductio rei, operae ed operis corrisponde un’unità concettuale.
I pandettisti tedeschi escludevano tale unitarietà11, avendo, peraltro, istituito12 tale tripartizione secondo cui ogni singolo rapporto locativo era contrassegnato dallo scambio d’uso di cose nella locatio rei, di energie di lavoro nella locatio oprarum e di risultato nella locatio operis.
L’appalto, quindi, quale contratto in cui appariva rilevante il raggiungimento di un determinato risultato, veniva collocato entro lo schema della locatio operis, mentre secondo la tradizione romanistica rientrava in detto schema negoziale solo il contratto concluso intuitu personae locatoris, ovvero l’impegno di provvedere personalmente all’esecuzione dell’opus.
10 Xxxxxxx, Locazione, Milano 1964, pag. 4 e ss.
12“La tripartizione pandettistica è estranea a Gaio e al Digesto, d'altronde è sconfessata nella stessa locatio operis in cui il locator dell’opera non è l’imprenditore, secondo i pandettisti, colui che loca l’uso delle energie di lavoro finalizzato ad un risultato, ma il committente, colui al quale spetta il godimento dell’opus posto in essere”, in Xxxxxxxxx Xxxxxxx, Appalti pubblici in epoca proto repubblicana, in Archivum Historicum Mothycense n. 5, 1995, pp. 45-55.
Con il Codice civile del 1942, in linea con le legislazioni moderne, quali quella tedesca, austriaca e svizzera, e considerato il grande sviluppo che ha avuto nell’era moderna come conseguenza dell’evoluzione economica e sociale, l’appalto diviene contratto autonomo, distinto sia dalla locazione che da altri contratti aventi come oggetto prestazioni di lavoro. Una parte cospicua, per numero e valore, delle opere appaltate, è rappresentata dai lavori pubblici, in cui il committente è un ente pubblico. Secondo la dottrina13 prevalente la natura giuridica dell’appalto pubblico è pur sempre quella di contratto di diritto privato, perché l’amministrazione non assume la veste di Autorità, ma quella di contraente; non possiede, infatti alcun mezzo giuridico autoritativo idoneo a costruire il rapporto di appalto senza o contro la volontà dell’appaltatore. La struttura contrattuale dell’appalto, qual è descritta nel codice civile, soddisfa sia interessi privati che interessi pubblici; ed è proprio l’interesse pubblico, cui l’ appalto pubblico14 è teleologicamente collegato, che giustifica la produzione di una vasta normativa speciale che ha influenzato la forma, il contenuto, la scelta del contraente, le modalità di risoluzione e di recesso. Le finalità perseguite dall’amministrazione attraverso tale contratto sono quelle tipiche del corrispondente schema civilistico seppure con le sue peculiarità: mentre il committente privato, nel procurarsi un bene o nel conseguire l’utilità di un servizio, consegue direttamente e immediatamente il fine che si riprometteva, l’ente pubblico, invece, ricorre all’appalto solo come mezzo strumentale in vista di un diverso risultato finale, rappresentato dal soddisfacimento dell’interesse pubblico, dalla realizzazione di lavori o di opere pubbliche, ad esempio un’infrastruttura viaria, un parcheggio, una struttura sanitaria, ovvero l’erogazione
n. 406, che ha dato attuazione alla direttiva CEE 89/440, secondo il quale è considerato appalto pubblico”il contratto a titolo oneroso concluso, in forma scritta, tra un’amministrazione aggiudicatrice e un’impresa, avente per oggetto l’esecuzione di lavori pubblici, oppure la progettazione e l’esecuzione con qualsiasi mezzo di un’opera pubblica che sia dotata di autonomia funzionale propria e che risponda ad esigenze stabilite specificatamente dall’amministrazione aggiudicatrice”.
di un pubblico servizio o, infine, la fornitura di beni. Nelle tre diverse evenienze, appalto di lavori, di servizi e di fornitura, nonostante la presenza di un soggetto pubblico, il contratto di appalto resta un negozio giuridico di diritto privato, dal quale sorgono diritti e obblighi a carico di entrambi i contraenti secondo la struttura dell’art. 1655 c.c.15. Ciò nondimeno, la materia non è regolata soltanto dal codice civile ma forma oggetto di un’ampia combinazione delle discipline pubblicistica e civilistica, non senza eccezioni16, riferibili la prima alla fase di evidenza pubblica e di scelta del contraente, la seconda alla fase di esecuzione del contratto. La disciplina degli appalti è stata, nel tempo, ripetutamente modificata anche sotto il continuo flusso di atti normativi comunitari, solo di recente l’articolato normativo della materia, spezzato tra fonti comunitarie e nazionali, è stato ricondotto a “insieme” con il Codice dei contratti pubblici in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE.
Il nuovo codice degli appalti, il D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, nel rimodulare e riordinare tutte le leggi dedicate a detta materia, ha definito gli appalti pubblici, all’art. 3, sesto comma, come “i contratti titolo oneroso, stipulati da una stazione appaltante o ente aggiudicatore e uno o più operatori economici, aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi”.
Nei commi successivi si precisa che gli appalti pubblici di lavori hanno per oggetto “l’esecuzione o, congiuntamente, la progettazione esecutiva e l’esecuzione” di lavori o opere, intendendo per lavori le “attività di costruzione, demolizione, recupero, ristrutturazione, restauro, manutenzione di opere” e per opera “il risultato di un insieme di lavori, che di per sé esplichi una funzione economica o tecnica”; gli appalti pubblici di fornitura hanno ad oggetto l’acquisto, di prodotti; gli appalti di servizi hanno per oggetto la prestazione di servizi. Inoltre, le concessioni di lavori pubblici vengono definite come contratti a titolo oneroso, conclusi in forma scritta, che hanno per oggetti l’esecuzione ovvero la progettazione ed esecuzione di lavori pubblici aventi le medesime caratteristiche di un appalto pubblico di lavori, ad eccezione del fatto che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo; in via analoga, è disciplinata la concessione di un pubblico servizio.
Oltre alle diversità strettamente dipendenti dalla natura pubblica della stazione appaltante e dell’interesse tutelato, sussistono ulteriori caratteristiche distintive tra l’appalto privato e l’appalto pubblico. In primo luogo, la forma del contratto di appalto deve essere necessariamente scritta, mentre l’appalto privato non è soggetto a particolari requisiti di forma né ad substantiam né ad probationem.
In secondo luogo, l’oggetto dell’appalto pubblico è più ampio in quanto nel suo ambito ricomprende non soltanto l’esecuzione dell’opera o la prestazione di un servizio ma anche le forniture di prodotti che, da un punto di vista civilistico, andrebbero ricondotte ad altre figure contrattuali (vendita, somministrazione, locazione). Inoltre, l’art. 14, D.lgs. 163/2006, espressamente prevede la possibilità di concludere contratti misti, in tutte le varianti possibili.
In terzo luogo, la scelta del contraente non è libera, essendo vincolata alla osservanza di una fitta normativa che regola i vari modi di aggiudicazione degli appalti pubblici. Le esigenze di tutela dell’interesse pubblico comportano poi che l’esecutore del contratto sia tenuto alla prestazione di particolari garanzie di esecuzione e di coperture finanziarie.
Per quanto riguarda il corrispettivo, trattandosi di spesa pubblica, vige la regola secondo la quale tutti gli impegni di spesa ulteriori rispetto a quelli originariamente preventivati, devono essere accertati mediante registrazione contabile ed inoltre, ogni contestazione dell’appaltatore sulla contabilizzazione dei corrispettivi effettuata dall’amministrazione, deve essere formalmente formulata mediante apposite domande (riserve) da iscrivere nei documenti contabili entro determinati termini perentori.
Ulteriori peculiarità strettamente inerenti l’appalto pubblico riguardano: il diritto della pubblica amministrazione di risolvere unilateralmente il contratto in caso di gravi inadempienze dell’appaltatore; il diritto potestativo di risolvere ad nutum il contratto; la necessaria approvazione del collaudo dell’opera perché maturi il diritto dell’appaltatore al compenso previsto.
17 Cass. 20 agosto 1999 n. 8802, RCP 2000, pag. 1045.
La riconosciuta natura privatistica dell’appalto pubblico comporta, secondo l’opinione più accreditata della dottrina cui fa eco la giurisprudenza che a tale tipo di contratto debba applicarsi la disciplina del codice civile per tutto quanto non sia regolato dalla legislazione speciale vigente19. Del resto il diritto privato quale diritto comune costituisce pur sempre la normativa di riferimento in mancanza di una regolamentazione specialistica della materia. Deve ammettersi anche la possibilità di un’applicazione analogica, all’appalto privato, delle disposizioni speciali relative all’appalto pubblico, almeno per quanto riguarda quelle norme che non sono strettamente inerenti all’aspetto pubblicistico del rapporto.
19 Si veda Giorgianni 1977, 18; Xxxxxx-Xxxxxx 2007, 10; e Xxxx. 3 giugno 1967 n.1218, FA,1967 I
533.
Capitolo 1
Attività contrattuale della Pubblica Amministrazione
1.1. La capacità giuridica della PA
Al fine di esaminare i limiti dell’autonomia privata della Pubblica Amministrazione e di comprendere il progressivo mutamento di approccio al tema dell’attività amministrativa20 di diritto privato occorre tener presente l’evoluzione subita dagli studi sulla capacità giuridica osservata sotto il profilo privatistico.
In via generale può rivelarsi che gli enti pubblici, in quanto prima di tutto persone giuridiche al pari di quelle private, siano astrattamente titolari della medesima capacità giuridica di queste ultime.
In altre parole, la funzionalizzazione dell’attività della pubblica amministrazione non incide, o non dovrebbe, sulla capacità piena e generale della persona giuridica pubblica.
I limiti imposti dalla natura funzionale dell’attività, di tipo pubblicistico, si rinvengono nella legge, nei principi che regolano l’attività amministrativa – buon andamento, imparzialità e trasparenza – ma non si traducono in vere e proprie limitazioni della capacità giuridica dell’amministrazione sotto un profilo privatistico. Ciò che eventualmente può modificarsi a fronte di eventuali limitazioni che la disciplina di specie può imporre in ordine, o alla conclusione di particolari negozi giuridici o alla loro stessa utilizzazione, non è la capacità giuridica o di agire di natura privatistica del soggetto pubblico, quanto piuttosto la misura e i confini dell’autonomia pubblica di cui quest’ultimo è dotato.
Se si seguisse l’insegnamento della c.d. teoria funzionale, che muove dal presupposto che le persone giuridiche siano istituite esclusivamente per il perfezionamento di uno scopo che ne determina non solo l’esistenza, ma anche il limite naturale dell’attività; ragion per cui tutti gli atti esorbitanti dallo scopo resterebbero al di fuori della stessa esistenza del soggetto da cui promanano. In tal caso si parla di capacità limitata o funzionale delle persone giuridiche (sia pubbliche che private) derivante dalla teoria affermata negli ordinamenti di tipo anglosassone, che individua nel principio nec ultra vires il limite della capacità giuridica privata delle società commerciali.
In questo senso, poiché i limiti all’autonomia delle persone giuridiche sarebbero posti dall’ordinamento in maniera costitutiva , la capacità risulterebbe limitata al perseguimento di quegli interessi pubblici definiti dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto; in altre parole un soggetto esiste in quanto persegua determinate finalità.
23 X. Xxxxxxx, Diritto Civile e commerciale, vol. I , 1999, Padova, Cedam, 198 e ss..
Le argomentazioni a sostegno della tesi realista appaiono maggiormente convincenti e più aderenti alla realtà del nostro ordinamento interno. La tesi della piena capacità di diritto degli enti pubblici trova il fondamento nel concetto di unitarietà della persona giuridica che non consente in assenza di espresse norme derogatorie distinzioni che possono fondarsi sulla diversa natura del soggetto.
Nell’impostazione seguita, le persone giuridiche anche pubbliche si configurano come realtà effettive, presenti nel nostro ordinamento al pari delle persone fisiche. La pubblica amministrazione può essere centro di imputazione di tutte le conseguenze giuridiche astrattamente ipotizzabili nell’ambito dell’autonomia privata, con le uniche differenze e limitazioni derivanti dalla particolare natura dell’attività svolta.
Da ciò consegue che le persone giuridiche pubbliche possono porre in essere qualunque tipo di contratto, al pari di un qualunque soggetto di diritto privato nel pieno esercizio della propria autonomia; ma ciò non vuol dire che la Pubblica Amministrazione sia affrancata dal doveroso perseguimento dell’interesse pubblico pur se utilizzi strumenti privatistici e che non possa essere sindacata, sotto un profilo pubblicistico, anche l’opportunità e la convenienza della scelta in concreto effettuata, oltre al rispetto delle norme di legge.
1.2. L’Autonomia contrattuale della Pubblica Amministrazione
La Pubblica Amministrazione, nell'esercizio della sua azione, finalizzata al perseguimento di interessi di carattere generale, può avvalersi non solo degli strumenti propri del diritto pubblico, ma anche dei mezzi e delle forme comuni del diritto privato. Il principio è, oramai, sancito a chiare lettere dall'art. l, comma l-bis, della legge 241 del 1990, riformata a seguito del rivoluzionario intervento del legislatore del 2005 con la legge n. 15.
In tutti questi casi la Pubblica Amministrazione agisce su di un piano di parità rispetto al privato cittadino e non in veste di organo titolare di poteri autoritativi. Tale assunto stava alla base della tesi tradizionale secondo cui le ipotesi in cui l'amministrazione poteva procedere all'esercizio di attività privata c.d. equivalente avevano carattere del tutto residuale e tassativo: le finalità di carattere pubblicistico dovevano perseguirsi, di regola, attraverso l'utilizzo di strumenti che costituissero estrinsecazione della posizione di supremazia che essa riveste nei confronti della generalità dei consociati. È proprio su questo rapporto regola- eccezione che il legislatore interviene con la legge n.15 del 2005: “La pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”.
24 C'è, invece, chi, efficacemente, distingue tra attività "amministrativa" di diritto privato, coincidente con quella cd. equivalente, e attività ''privata'' di diritto privato, che, invece, ricomprenderebbe sia quella strumentale che quella istituzionale, e ogni atto di gestione del proprio patrimonio posto in essere dalla Pubblica Amministrazione. Si veda Monteferrante, La disciplina privatistica degli atti di natura non autoritativa della pubblica amministrazione, in www.giustizia-amministrativa, 05/2006.
25 Sul punto si veda la sentenza del T.A.R. Lazio, sez. II-ter, 3 marzo 2006 n. 1654, che conferma l’assunto secondo cui, ad oggi, la centralità del potere imperativo della P.A. viene superata dal riconoscimento di un’alternativa tra modus autoritativo e modus paritetico dell’agere amministrativo: “l’atto autoritativo non è più il solo strumento della cura di interessi pubblici, essenziale è il fine pubblico, fungibili sono gli strumenti attraverso cui perseguirlo (il fine pubblico può essere perseguito anche attraverso la diretta negoziazione del contenuto del provvedimento finale). Il diritto privato assunto dalla sfera pubblica si rivela in sé neutro strumento organizzatorio (si pensi al fenomeno delle società miste) o modulo convenzionale o pattizio dell’agire amministrativo utilizzabile, nei casi previsti dalla legge ed entro i limiti di meritevolezza dell’art. 1322 c.c”.
Ove dismetta i panni pubblicistici soggiace del tutto ai canoni del diritto comune sul piano della disciplina. In virtù di quanto disposto dalla legge n.15 del 2005, anche l’attività contrattuale della Pubblica Amministrazione costituisce uno strumento di carattere generale, utilizzabile per il perseguimento di finalità pubblicistiche, ove compatibile con gli obiettivi stabiliti dal legislatore28: il contratto è lo strumento privatistico per eccellenza.
Ma l’autonomia negoziale della Pubblica Amministrazione incontra dei limiti derivanti dalla soggettività pubblica della stessa. Il potere di autonomia privata della pubblica amministrazione deve sempre esplicarsi nel rispetto dei principi costituzionali di legalità, imparzialità e tutela del terzo.
Si tratta, pertanto, di un’autonomia negoziale “limitata”, in quanto i fini dell'agire sono sempre e necessariamente predeterminati dalla legge, non sono disponibili, e devono essere perseguiti secondo canoni di doverosità e di continuità, senza discriminazioni e senza che il ricorso al negozio giuridico possa surrettiziamente limitare il diritto di azione dei terzi a tutela degli interessi legittimi.
1.3. Le procedure di scelta del contraente
L’attività dell’amministrazione nel settore dei pubblici appalti è fortemente connotata sotto un profilo pubblicistico: l’attività contrattuale si muove entro confini piuttosto angusti, “schiacciata” dai precetti costituzionali e da quelli comunitari che in tale materia ne limitano il campo di azione.
L’attività che caratterizza il diritto degli appalti è fortemente procedimentalizzata, per soddisfare le esigenze di trasparenza dell’azione amministrativa e, d’altra parte garantire il rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento dai quali discende la scelta più efficiente, efficace ed economica, nonché quelli di par condicio competitorum e massima concorrenzialità direttamente derivati dai procedimenti comunitari.
Solo individuando tali principi, può comprendersi come vi siano sempre due aspetti da tenere in considerazione: da un lato, l’area della discrezionalità amministrativa e dei limiti derivanti dal rispetto dei canoni di natura pubblicistica; dall’altro l’area dell’autonomia negoziale nella quale l’amministrazione è obbligata al pari di tutti i soggetti del nostro ordinamento al rispetto dei principi di correttezza nelle trattative, buona fede ed affidamento nonché tutela del contraente debole. Ciò spinge in particolar modo e ancora una volta ad indagare i profili considerati con riferimento al settore degli appalti, perché in tale settore più che altrove può apprezzarsi la compresenza delle due anime, nonché la struttura funzionale dei limiti posti all’attività contrattuale della pubblica amministrazione, ragione ultima del prevalere ora dell’una, ora dell’altra.
Nella fase della scelta del contraente la Pubblica Amministrazione procede ad individuare il soggetto con cui addiverrà alla stipula del contratto all’esito del procedimento29. Le procedure di scelta del contraente sono diverse e costituiscono degli autonomi iter procedimentali che si inseriscono nella più ampia procedura di evidenza pubblica.
Per i contratti, già disciplinati dalla normativa nazionale di cui alla legge di contabilità di Stato del 1923 e al relativo regolamento del 1924, l’amministrazione può addivenire alla scelta del contraente attraverso:
a) asta pubblica (o pubblico incanto), si tratta di una procedura “aperta” per utilizzare una nomenclatura di matrice comunitaria. Sono ammessi a partecipare tutti coloro i quali siano in possesso dei requisiti richiesti dalla P.A. all'interno del bando. Essa costituisce la procedura di scelta del contraente di portata generale, essendo le altre ammesse nei casi e alle condizioni fissate dalla legge30. Si conclude con l'aggiudicazione a seguito della valutazione delle diverse offerte. Il verbale dell' aggiudicazione definitiva per legge equivale al contratto (art. 16, 4 comma, legge n. 2440 del 1923).
b) licitazione privata, ha le medesime caratteristiche dell'asta pubblica con la differenza che in questi casi possono accedervi solo i soggetti invitati a partecipare dalla P.A.: si tratta di una procedura “ristretta”31. Si conclude con l'aggiudicazione a seguito della valutazione delle diverse offerte. Anche in questi casi, il verbale dell' aggiudicazione definitiva equivale al contratto per espresso disposto normativo (art. 16, 4° comma, legge n. 2440 del 1923).
29 Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Xxxxxxx, 2006, pag. 1228 e ss.
31 Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Xxxxxxx, 2006, pag. 1232 e ss..
b-bis) appalto concorso, costituisce un'ulteriore ipotesi di procedura “ristretta”32. È ammesso solo nei casi stabiliti dalla legge, e si ha ove la Pubblica Amministrazione non sia in grado di predeterminare il contenuto del contratto all'atto dell' emissione della deliberazione a contrarre e quindi invita i soggetti in possesso dei requisiti necessari a effettuare delle offerte attraverso la presentazione di veri e propri progetti. Si conclude con l'aggiudicazione a seguito della valutazione delle diverse offerte presentate.
c) trattativa privata, in tali casi, tassativamente indicati dalla legge, la Pubblica Amministrazione intrattiene le trattative con un unico operatore da essa scelto, al pari di ciò che avviene nei rapporti tra privati. Si tratta di una procedura "negoziata", ammissibile entro limiti ben precisi prefissati dal legislatore e nei soli casi da esso stabiliti.
- procedure “aperte”,cui possono partecipare tutti i soggetti che siano in possesso dei requisiti indicati dal bando, tra i quali verrà scelto in vincitore. Esse si contraddistinguono per la caratteristica di consentire la massima partecipazione e competitività tra gli operatori economici interessati alla stipula. Appartengono a tale tipologia procedimentale l'asta pubblica e il pubblico incanto di cui alla legge sulla contabilità di Stato del 1923;
b-bis) dialogo competitivo, è un’ulteriore modalità di procedura ad evidenza pubblica introdotta in attuazione dell' art. 29 della direttiva 2004/1835. Essa consente alla stazione appaltante, m caso di appalti particolarmente complessi e sussistendo i presupposti normativamente previsti, di avviare un dialogo con gli operatori economici al [me di elaborare una o più soluzioni sulla base delle quali, gli operatori selezionati saranno invitati a presentare le offerte36. Il criterio utilizzabile in questa sede per la selezione delle offerte è solo quello dell' offerta economicamente più vantaggiosa, per espresso disposto normativo;
35Il riferimento normativo è l’art. 58 del d. lgs. n. 163 del 2006.
- procedure “negoziate”, consentono alla stazione appaltante di addivenire alla stipula del contratto attraverso l'instaurazione di trattative vere e proprie con un singolo operatore da essa prescelto, con quel grado di libertà che caratterizza l'agire dei soggetti privati. Esse costituiscono però una variante delle procedure
c.d. ristrette: devono comunque rispettarsi i principi dell'evidenza pubblica comunitaria37, anche se il modello procedimentale in questione presenta una maggiore flessibilità e un minore rigore formale38. Alla procedura negoziata è possibile accedere nei soli casi previsti dalla legge.
L’aggiudicazione costituisce il momento conclusivo della fase diretta alla individuazione del soggetto con cui si ad diverrà alla stipula del contratto. La Pubblica Amministrazione, a seguito della valutazione delle diverse offerte presentate, sceglie quella che ritiene maggiormente idonea al conseguimento dei propri obiettivi e lo dichiara in un apposito atto a rilevanza meramente interna (aggiudicazione provvisoria)39, seguito della verifica da parte dell’organo a ciò preposto, l’atto assumerà rilevanza esterna divenendo definitivo (aggiudicazione
c.d. definitiva).
Da sempre dibattuta è la natura giuridica dell’aggiudicazione. Secondo una prima tesi40, di stampo pubblicistico, all'aggiudicazione va riconosciuta natura provvedimentale, con la stessa l’amministrazione aggiudicatrice limitandosi a selezionare l’impresa con la quale stipulerà, in seguito il contratto d’appalto, senza per ciò manifestare alcuna volontà negoziale.
10 settembre 1996, n. 1603.
Per differente approccio, invece, l’aggiudicazione ha natura anche negoziale 41; più precisamente la stessa presenterebbe una duplice veste, amministrativa e negoziale, al contempo atteggiandosi non soltanto a provvedimento conclusivo della procedura di selezione del contraente privato, ma anche ad atto giuridico con il quale l’amministrazione formalizza la volontà di contrarre con l’impresa scelta ed alle condizioni da essa offerte.
Anche in tale sede occorre sottolineare le distanze intercorrenti tra disciplina nazionale e disciplina comunitaria: mentre il legislatore nazionale non crea alcuna norma specifica ad hoc per la predeterminazione dei criteri in base ai quali l’amministrazione dovrà procedere a valutare le offerte presentate, in ambito comunitario la disciplina è molto più specifica e dettagliata.
19 maggio 1998, n. 633; Id., sez. IV, 21 maggio 2004, n. 3355; c.g.a. 8 marzo 2005, n. 104.
1.4. Dall’aggiudicazione alla stipula del contratto
“Al termine della procedura è dichiarata l’aggiudicazione provvisoria43 a favore del miglior offerente”, recita l’art. 11, comma 4 del Codice. Dall’aggiudicazione provvisoria non sorge in capo all’impresa aggiudicataria un diritto pieno alla formazione del contratto bensì un interesse legittimo, ovvero una mera aspettativa alla conclusione del procedimento, sebbene da parte della dottrina e della giurisprudenza si sia ritenuto che la nascita del contratto è conseguenza dell’intervenuta aggiudicazione, riducendosi la successiva stipulazione formale ad una semplice dichiarazione di volontà dei soggetti contraenti o anche ad una “ripetizione del negozio giuridico”44.
È prevista, in generale, un’ulteriore attività di verifica da parte dell’amministrazione non solo in merito alla regolarità della procedura, ma estesa anche all’opportunità e alla convenienza di questa. Solo in caso di esito positivo l’amministrazione perviene all’aggiudicazione definitiva, seguendo in caso contrario un annullamento della gara.
L’approvazione, che può essere esplicita o anche implicita, proviene da un soggetto diverso rispetto alle parti contraenti. Per tale ragione è ricostruita come una condicio iuris46. Di regola l’aggiudicazione è soggetta ad approvazione espressa da parte dell’organo competente, nei termini previsti dai singoli ordinamenti ovvero se non previsti, entro trenta giorni47.
L’approvazione, viceversa, è implicita se, decorsi inutilmente i termini, l’autorità non provveda. In questo caso l’aggiudicazione si intende approvata. Mentre l’approvazione è un fatto costitutivo dell’efficacia, la disapprovazione è un fatto impeditivo della stessa.
A seguito dell’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria, l’amministrazione provvede all’aggiudicazione definitiva.
La netta autonomia tra le due forme di aggiudicazione, provvisoria e definitiva, ha indotto la giurisprudenza a considerare ammissibile il ricorso contro l’aggiudicazione definitiva pur in mancanza di impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria49 e, per converso, a ritenere, esistente un onere di impugnativa della prima, da parte del soggetto che ha impugnato immediatamente e in via autonoma il provvedimento di aggiudicazione provvisoria, pena l’improcedibilità del primo ricorso.
48 Così Consiglio di Stato, sezione V, sen 2 settembre 2005, n. 4464.
Fatte salve tali evenienze, l’aggiudicazione definitiva diventa efficace dopo la conclusione del sub-procedimento di verifica del possesso dei requisiti in capo all’impresa aggiudicataria.
In questa fase la stazione appaltante procede materialmente alla conclusione del contratto con il soggetto risultato vincitore della gara. Tuttavia, a seconda che si tratti di contratti attivi o passivi cambia la normativa di riferimento e quindi anche le modalità dell’agere della Pubblica Amministrazione.
50 Consiglio di Stato, sez. IV, 31 ottobre 2006, n. 6456.
Per i contratti attivi, assoggettati alla disciplina di cui alla L. n. 2440 del 1923 e relativo regolamento, la stipula del contratto rappresenta un mero adempimento di carattere formale poiché per espressa previsione normativa (art. 16, 4° comma) il verbale di aggiudicazione definitiva "equivale per ogni legale effetto al contratto". Per tali contratti, quindi, l'aggiudicazione rappresenta il momento conclusivo non solo della fase della scelta del contraente, ma dell'intera fase pubblicistica, poiché da questo momento in poi tra l'amministrazione procedente e l'aggiudicatario, può dirsi sorto un vero e proprio rapporto giuridico di natura contrattuale, connotato dalla presenza di diritti e obblighi a carico delle parti, e dalla posizione paritetica dei soggetti coinvolti. Nelle sole ipotesi di appalto concorso e trattativa privata l'aggiudicazione definitiva non equivale al contratto (art. 16, 5 ° comma).
Una volta stipulato, il contratto è sottoposto all’approvazione dell’organo a ciò preposto.
Solo dopo l'esito positivo di tale verifica sarà efficace per entrambe le parti sin dal momento della sua stipulazione (o dell' aggiudicazione definitiva che ad esso equivale).
Con riferimento ai contratti passivi, il dettato normativo si pone in aperta antitesi con la disciplina contenuta nella legge sulla contabilità di Stato.
Dalla disciplina normativa emerge chiaramente l’intenzione del legislatore di non considerare sorto alcun rapporto di carattere contrattuale tra la stazione appaltante e l’aggiudicatario al momento dell’aggiudicazione definitiva: la fase pubblicistica è ancora in atto e l’amministrazione non ha ancora dimesso i panni dell’autorità.
Solo in un secondo momento, intervenuta la stipulazione, il contratto sarà sottoposto ad approvazione e diverrà efficace e vincolante per entrambe le parti sin dalla conclusione.
Il riferimento normativo è l'art. 12 del decreto legislativo n. 163 del 2006, rubricato: “controlli sugli atti delle procedure di affidamento”. Il comma secondo di tale norma si occupa espressamente dei controlli sui contratti stipulati, fissando le principali regole in materia. Il contratto deve essere sottoposto all' approvazione dell' organo competente secondo l'ordinamento delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori, ovvero degli altri soggetti aggiudicatori, nel rispetto dei termini previsti dai singoli ordinamenti, decorrenti dal ricevimento del contratto da parte dell' organo competente.
In mancanza il termine è di 30 giorni. Il termine è interrotto dalla richiesta di chiarimenti o documenti e inizia nuovamente a decorrere quando i documenti o chiarimenti pervengono all’organo richiedente.
confronti della Pubblica Amministrazione prima che, stipulando il contratto, la fase ad evidenza pubblica si concluda e possa dirsi un vero e proprio rapporto giuridico obbligatorio tra stazione appaltante e soggetto aggiudicatario, Caringella, Corso di diritto amministrativo.
Decorsi i termini previsti dai singoli ordinamenti o, in mancanza, quello di 30 giorni, il contratto si intende approvato53. Il contratto è sottoposto alla condizione sospensiva dell' esito positivo dell' eventuale approvazione e degli altri controlli previsti dalle norme proprie delle stazioni appaltanti o degli enti aggiudicatori54.
Quindi è solo a seguito dell'approvazione (e dell'eventuale controllo dell'approvazione stessa) che il contratto diverrà efficace e vincolante per entrambe le parti a decorrere dal momento della sua stipulazione: è quindi dal momento della stipula che potrà dirsi instaurato tra Pubblica Amministrazione e aggiudicatario un rapporto di natura paritetica, connotato dalla compresenza di posizioni di diritti e di obblighi a carico dei soggetti tra cui intercorre.
L’amministrazione procedente da quel momento in poi avrà dismesso i panni dell'autorità, divenendo “parte” del contratto.
Queste osservazioni non possono riferirsi tout court ai contratti c.d. attivi, assoggettati alla disciplina di cui alla legge n. 2440 del 1923 e relativo regolamento del 1924.
Al di là delle peculiarità che in questi casi assume il procedimento di approvazione, occorre sottolineare come con riguardo a tali contratti, la fase della stipulazione al di là delle ipotesi espressamente previste dalla legge, ha una rilevanza di gran lunga minore sia per la conclusione della c.d. evidenza pubblica, sia per la classificazione dei rapporti intercorrenti tra Pubblica Amministrazione e privato aggiudicatario.
Per espresso disposto normativo55 infatti, in questi casi 1'aggiudicazione definitiva equivale ad ogni effetto legale al contratto, ed è il quel momento che può dirsi realmente chiusa la fase pubblicistica, con la conseguente nascita di un rapporto di natura paritetica tra amministrazione procedente e privato.
Tuttavia anche ai sensi della normativa in materia di contabilità pubblica, l'aggiudicazione definitiva (o il contratto) non potrà dirsi efficace fino a che non sia intervenuta l' approvazione da parte dell' organo competente.
54 Art. 11, comma 11, del D.lgs. 163/2006.
55 Art. 16, comma4, L. 2440/1923.
L’esito positivo del controllo avrà comunque efficacia ex tunc, facendo decorrere l’operatività del vincolo contrattuale sin dal momento della sua stipulazione (o dal momento dell' aggiudicazione definitiva ove contratto non ci sia).
I procedimenti di approvazione dei contratti di diritto privato stipulati dalla Pubblica Amministrazione afferiscono alla c.d. fase integrativa dell’efficacia, ed essi possono intervenire tanto a seguito dell’aggiudicazione che successivamente alla stipulazione del contratto. Con particolare riferimento a quest’ultimo caso si pone la questione dall’Autorità giurisdizionale competente a conoscere la controversia.
1.5. Tra vecchi e nuovi divieti di contrarre con la P.A.
Le disposizioni riguardanti i requisiti di ordine generale si configurano come norme a fattispecie tassativamente individuate dal legislatore quel punto di equilibrio tra le esigenze dell’amministrazione committente e le aspettative economiche delle imprese56. L’art. 38 del Codice contratti, come novellato dal d.lgs. n. 113/2007, ripropone sostanzialmente la normativa tradizionale, pur introducendo alcune novità in tema di illeciti penali, laddove sono individuati più dettagliatamente i soggetti nei cui confronti rilevano le condanne o le cause ostative57, la regolarità contributiva e fiscale58, e l’accertamento, ad opera della
stazione appaltante, del possesso dei requisiti generali59. Il carattere di tassatività evidenziato fa si che l’esclusione possa essere disposta dalle amministrazioni senza poteri di valutazioni. Infatti nell’art. 38 il legislatore non ha riproposto la distinzione tra cause obbligatorie di esclusione e facoltative, operata invece dal legislatore comunitario (art. 45 della direttiva 2004/18); ne consegue che tutte le ipotesi contemplate dall’art. 38 comma 1 costituiscono ipotesi obbligatorie di esclusione e comportano l’impossibilità di stipulare il relativo contratto60.
L’art. 38 cit. consta di due distinte proposizioni. La prima contiene una vera e propria Generalklausel - reati gravi “che incidono sulla moralità professionale” - la quale necessita, in quanto tale, “più che di una interpretazione, di una concretizzazione”61 da parte della giurisprudenza: ad essa è demandato il compito di valutare, alla luce del canone della ragionevolezza62, la legittimità dell’operato della stazione appaltante in ordine alla ritenuta sussistenza del rilievo del
La verifica da parte dell’amministrazione della documentazione attestante la non ricorrenza delle cause impeditive ed ostative risulta essenziale al fine di escludere
64 Al riguardo, si segnala che di recente il Consiglio di Stato ha precisato che e` legittima l’ammissione a una gara d’appalto della ditta il cui legale rappresentante abbia reso una dichiarazione non veritiera in relazione al possesso dei requisiti di ordine generale qualora la falsità riguardi circostanze che non sono tali da «influenzare il dipanarsi della procedura competitiva”, trattandosi “per mutuare categorie penalistiche, di un falso innocuo, privo di qualsivoglia offensività rispetto agli interessi presidiati dalle regole che governano la procedura di evidenza pubblica, come tale non stigmatizzabile con la sanzione dell’esclusione”: così Cons. Stato, sez. V, 13 febbraio 2009, n. 829, in xxx.xxxxxxxxx.xx. Nel caso deciso dalla pronunzia da ultimo citata, il legale rappresentante aveva, sì, falsamente dichiarato che non vi erano soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente, ma su nessuno di costoro gravavano pregiudizi penali di sorta.
L’istituto della certificazione è stato nel tempo sostituito con il sistema delle cd. “cautele antimafia”, caratterizzato dall’eliminazione del certificato antimafia su richiesta del privato.
La disciplina delle comunicazioni e delle informative antimafia è stata poi significativamente razionalizzata dal d.p.r. 3 giugno 1998, n. 252, che ha accorpato in un testo unico le disposizione in subiecta materia contenute in diversi testi normativi, tra cui in particolare il d.lgs. 8 agosto 1994, n. 490.
La novità assoluta che si presentava consisteva nel fatto che non doveva più essere l’impresa interessata a produrre la “certificazione antimafia”, ma era compito della pubblica amministrazione acquisirla, prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire concessioni, autorizzazioni, licenze o altro, presentando apposita richiesta alla Prefettura67. Il d.p.r. n. 252 del 3 giugno 1998 – entrato in vigore il 29 settembre 1998 – ha ulteriormente semplificato, in modo massiccio, i procedimenti oggi
necessari per il rilascio delle comunicazioni68 e delle informazioni antimafia riducendo in misura significativa il campo di applicazione della normativa antimafia69.
La materia delle misure di prevenzione antimafia, è stata recentemente modificata dal pacchetto sicurezza70. La lettera m-ter) dell’art. 38 del Codice introdotta dalla legge 94/2009 prevede l’esclusione dalle procedure di aggiudicazione di appalti per coloro che, vittime del reato di concussione ovvero quello di estorsione, aggravati dalla finalità di favorire associazioni di natura criminale e di stampo mafioso, non risultino aver denunciato i fatti all’autorità giudiziaria. La causa di cui alla lettera m-ter)71 non opera se la mancata denuncia sia riconducibile allo
69 Da ultimo è stato pubblicato in G.U. n. 212 del 10.09.2010 il DPR 2/8/2010 nr. 150, recante il “Regolamento recante norme relative al rilascio delle informazioni antimafia a seguito degli accessi e accertamenti nei cantieri delle imprese interessate all'esecuzione di lavori pubblici”. Il provvedimento, in vigore dal 25 settembre 2010, definisce la disciplina di accessi ed accertamenti presso i cantieri per contrastare le infiltrazioni mafiose. I disposti del decreto trovano applicazione a tutti i soggetti che intervengono a qualunque titolo nel ciclo di realizzazione dell'opera, anche con appalti di modesta entità (noli e forniture di beni e prestazioni di servizi, ivi compresi quelli di natura intellettuale, qualunque sia l'importo dei relativi contratti o dei subcontratti).
70 Come è noto, il nostro ordinamento, accanto alle misure cautelari e di sicurezza, previste, rispettivamente, dagli artt. 13 e 25 Cost., prevede e disciplina le misure di prevenzione. Queste ultime si caratterizzano per il fatto di trovare applicazione indipendentemente dalla commissione di un precedente reato. Esse costituiscono espressione del principio di “prevenzione e sicurezza sociale, per il quale l’ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti fra i cittadini deve essere garantito, oltre che dal sistema di norme repressive dei fatti illeciti, anche da un parallelo sistema di adeguate misure preventive contro il pericolo del loro verificarsi nell’avvenire”. Le misure di prevenzione possono avere natura personale o patrimoniale. La legge n. 575/1965 ha esteso le misure di prevenzione di natura personale di cui alla legge n. 1423/1956 agli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose, camorristiche e assimilabili e ha previsto (artt. 2-bis e ss., aggiunti dalla legge 13 settembre 1982, n. 629) la possibilità di disporre nei confronti dei suddetti soggetti misure preventive di carattere patrimoniale (quali il sequestro e la confisca).
stato di necessità nella quale si trovava la vittima del reato, ovvero la necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona.
A tale novella ne è poi seguita una seconda ad opera della l. n. 166/2009, che ha inserito la lett. m-quater), che prevede l’esclusione per i soggetti che si trovino, rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all’art. 2359 c.c. o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale.
Con la recente legge 13 agosto 2010, n. 136, in materia di normativa antimafia,si è introdotto un sistema di tracciabilità dei flussi finanziari72 di chi partecipa alle gare di appalto e quelli di chi beneficia di finanziamenti pubblici attraverso conti correnti dedicati. Una delle maggiori novità è quella recata dal suo art. 10, il quale prevede il nuovo reato di “turbata libertà del procedimento di scelta del contraente”73. Il nuovo reato quindi riguarda la fase di indizione della gara e, segnatamente, quella di approvazione del bando, al fine di scoraggiare il
e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: “di cui alla precedente lettera b) che, anche in assenza nei loro confronti di un procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione o di una causa ostativa ivi previste, pur essendo stati vittime di reati previsti e puniti dagli articoli 317 e 629 del codice penale aggravati ai sensi dell’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991,
n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, non risultino aver denunciato i fatti alla autorità giudiziaria, salvo che ricorrano i casi previsti dall’articolo 4, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689. La circostanza di cui al primo periodo deve emergere dagli indizi a base della richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti dell’imputato nei tre anni antecedenti alla pubblicazione del bando e deve essere comunicata, unitamente alle generalità del soggetto che ha omesso la predetta denuncia, dal procuratore della repubblica procedente all’Autorità di cui all’articolo 6, la quale cura la pubblicazione della comunicazione sul sito dell’Osservatorio”.
comportamento di coloro che, con la collusione della stazione appaltante, cercano di far redigere i c.d. “bandi-fotografia” e cioè quei bandi di gara che contengono requisiti talmente stringenti da determinare ex ante la platea dei potenziali concorrenti.
“Mentre il vecchio reato di turbata libertà degli incanti fa riferimento generico a colui che “impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private per conto di pubbliche amministrazioni”, il “nuovo” reato di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, fa riferimento invece a colui che “turba il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione”. La differenza è tuttavia più apparente che reale, dato che già il vecchio reato, riferendosi genericamente alle turbative di gara, finiva per ricomprendere anche la fase iniziale di indizione della gara vera e propria e cioè quella di approvazione del bando. Per cui in pratica il nuovo reato, non solo non aggiunge nulla di particolarmente nuovo rispetto a quanto già previsto (sia pure genericamente) dall’art. 353 c.p., ma si traduce in una irragionevole diminuzione della tutela penale”74.
1.6. La tutela ante causam
La parte IV del d.lgs. n.163 del 2006 si occupa di alcuni delicatissimi profili relativi alla tutela giurisdizionale. Il Codice degli appalti, agli artt. 244-24675, dopo aver ricostruito il sistema normativo degli strumenti di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia i contratti pubblici (transazione, accordo bonario, arbitrali), affronta i temi del riparto di giurisdizione e degli strumenti di tutela giudiziale che, anche alla stregua dei più recenti orientamenti dei giudici comunitari, devono essere assicurati ai potenziali contraenti.
74 Xxxxxxxx Xxxxx, La “nuova” tutela penale del procedimento di scelta del contraente, 25 agosto 2010, xxx.xxxxxxxxx.xx
La normativa dettata dal Codice costituisce il frutto della ricerca di un’equilibrata composizione tra tutela degli interessi sostanziali sottesi alla contrattazione pubblicistica, rispetto della disciplina vigente (anche in relazione ai limiti imposti dalla legge delega) ed esigenza di celerità nelle definizioni delle liti. Le nuove disposizioni hanno contenuto fortemente innovativo e sono state introdotte al fine di risolvere incertezze pregresse o aspetti patologici, ritenuti non idonei ad assicurare una tutela realmente effettiva.
Il profilo di maggiore interesse è indubbiamente rappresentato dall’introduzione nel processo amministrativo relativo ai contratti pubblici della tutela cautelare ante causam76, per la prima volta indipendente dalla previa introduzione di un giudizio di merito.
Il sistema processualistico prevede una tutela cautelare connotata dai caratteri della tipicità (art. 700 c.p.c.) della strumentalità e, almeno sino alle più recenti riforme del 2005, della non autosufficienza; le misure cautelari possono inoltre essere concesse a prescindere dalla previa instaurazione di un giudizio di merito (art. 669 ter) ed anche inaudita altera parte (art. 669 sexies), ossia anche in eventuale assenza , almeno in una prima fase, di regolare instaurazione del contraddittorio.
Diversamente, nel processo amministrativo la legge n. 205/2000 ha aperto la tutela cautelare alla atipicità, confermando peraltro la necessità della previa instaurazione del giudizio di merito attraverso la notifica ed il deposito del ricorso, se pure temperata dalla previsione dei decreti presidenziali provvisori77. Con decisione 29 aprile 200478, la Corte di Giustizia ha confermato, anche in riferimento al sistema italiano, la posizione già assunta nel 2003 nei confronti
76 Con la locuzione ‘tutela cautelare ante causam’, o ‘preventiva’, o ‘pura’, si individua l’ipotesi in cui la misura cautelare sia richiesta dall’interessato in un momento antecedente alla proposizione del ricorso di merito. L’istanza cautelare, più precisamente, non accede al ricorso introduttivo né è avanzata con atto separato e successivo, ma è destinata ad essere delibata dal giudice nell’ambito di un processo incentrato specificamente sulla sussistenza o insussistenza dei presupposti per la concessione della misura. La tutela cautelare, quindi, è ante causam quando la trattazione della relativa domanda dà luogo ad un processo a sé stante, e non ad una questione incidentale del processo di merito.
77 Con l’introduzione dell’art. 21 comma 9 l. n. 1034 del 1971.
78 Corte di Giust. C.E., ord. 29 aprile 2004, in causa C-202/03, in Foro amm. – C.d.S., 2004, 1000, nonché in xxx.xxxxxxxx.xx, con il commento di X. XXXXXXX, La Corte di giustizia e la tutela cautelare ante causam nel processo amministrativo: un nodo da sciogliere.
della Spagna79: un sistema di giustizia amministrativa che non consente nel settore degli appalti pubblici, una tutela cautelare d’urgenza piena ed autonoma dalla proposizione di un’azione di merito contrasta con i principi del diritto comunitario in tema di effettività della tutela e, in particolare con l’art. 2, comma 1, lett. a della Direttiva ricorsi.
Il Codice dei contratti pubblici prevede rispettivamente l’obbligo della previa notifica ai sensi dell’art. 21, comma 1, l. XXX, all’autore del provvedimento contro il quale si agisce ed almeno uno dei controinteressati, che dove possibile, devono essere sentiti, e la provvisorietà della misura concessa, la quale “perde comunque effetto con il decorso di sessanta giorni dalla sua prima emissione”.
La misura cautelare ante causam, contraddistinta dal massimo grado di interinalità e provvisorietà, può essere disposta solo se indispensabile “durante il tempo occorrente per la proposizione del ricorso di merito e della domanda cautelare di cui ai commi 8 e 9 del citato articolo 21”: così si esprime, testualmente, l’art. 245, comma 3, del Codice.
Quindi, se sul piano funzionale la tutela cautelare post causam serve a mantenere la res adhuc integra (ammesso e non concesso che il principio di atipicità possa consentire ancora, in via generale, una simile affermazione)80 fino al momento di definizione della causa, il provvedimento ante causam presenta una sua specificità: esso vale ad evitare che nel tempo occorrente per pervenire alla misura post causam (monocratica o collegiale) la situazione di fatto dedotta in giudizio (res in iudicio deducta) subisca mutamenti tali da rendere inutile (inutiliter data) la successiva pronuncia incidentale.
79 Corte Gius. CE Sez. IV, 15 maggio 2003 n. 214, in Riv. It. Dir. Pubbl. comunitario, 2003, 1265.
81 X. Xxxxxxx, La tipologia e gli effetti del processo cautelare, cit., 260
Se, infatti, l’art. 700 c.p.c. legittima all’istanza cautelare chi tema che un pregiudizio “imminente e irreparabile” possa verificarsi “durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in xxx xxxxxxxxx” (xxxx, durante il tempo occorrente per conseguire una sentenza favorevole), precisando che il provvedimento d’urgenza deve essere idoneo “ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito”, il rapporto di strumentalità (e quindi di continenza effettuale) sotteso alla nuova previsione del 2006 appare diversamente conformato: esso si appunta non già sulla futura sentenza, ma sulla futura misura cautelare post causam.
Appare perciò appropriata, per il nuovo rimedio, la denominazione di misura ‘precautelare’, proprio in quanto esso risulta funzionale a preservare le condizioni di operatività e di efficacia non della decisione di merito, ma di un’ipotetica misura cautelare incidentale, che il giudice – mediante una proiezione mentale – è chiamato ad assumere a riferimento per verificare il grado di indifferibilità della cautela richiesta.
Il procedimento cautelare nell’ambito del giudizio amministrativo ha trovato un’organica sistemazione e collocazione nell’ambito del codice del processo amministrativo all’interno del libro secondo che tratta il procedimento amministrativo di primo grado. I tipi di procedimento cautelare previsti dagli artt. 55 e ss del codice sono tre; l’art. 55 disciplina la tutela cautelare collegiale82 nell’ambito del procedimento di merito ordinario, l’art. 56 disciplina la tutela
cautelare monocratica83 sempre nel contesto del procedimento di merito e l’art. 61 disciplina la nuova tutela cautelare ante causam84 che ripropone, in via generalizzata, il modello di cui all’art. 245 del D.Lgs. n 163 del 2006 introdotto nel codice dei contratti pubblici nell’ambito degli appalti.
Il comma 5 dell’art. 245 si occupa del provvedimento negativo (che, cioè, rigetta l’istanza cautelare). Esso non è impugnabile, ma la domanda cautelare può essere riproposta dopo l’inizio del giudizio di merito ai sensi dell’articolo 21, commi 8 e 9, della legge 1034/71, ossia come richiesta di tutela monocratica o collegiale, sussistendo i rispettivi presupposti.
Più ampia e ricca di spunti è la formulazione del comma 6 dell’art. 245, incentrata sul provvedimento di accoglimento dell’istanza cautelare.
85 X. Xxxxxxxx, Il nuovo giudizio cautelare, cit., pag. 489.
86 X. Xxxxxx, Il processo cautelare, cit., 256-257, il quale rileva come l’espressione “danno” si rinvenga in materia di obbligazioni, mentre in tema di diritti della personalità si incontra il diverso termine “pregiudizio” (cfr. artt. 7 e 10 cod. civile). Secondo X. XXXXXXXX, La fase cautelare, cit., 289, “il pregiudizio pare rappresentare qualcosa di meno rilevante rispetto al danno che, richiede, comunque, una quantificazione economica”.
Capitolo 2
Le sopravvenienze
2.1. L'incidenza delle sopravvenienze contrattuali.
Il tipo contrattuale che probabilmente meglio d’ogni altro raffigura lo scambio in divenire è l'appalto che offre il banco di prova più idoneo per l'esame delle regole che l'ordinamento predispone in vista della modificazione dei contratti in corso di esecuzione.
Le disposizioni dettate dal codice civile87 agli artt. 1659 (Variazioni concordate del progetto), 1660 (Variazioni necessarie del progetto), 1661 (Variazioni ordinate dal committente), insieme con la norma dell'art. 1664 (Onerosità o difficoltà dell'esecuzione) sembrano delineare un quadro sufficientemente omogeneo. Nella medesima ideale cornice normativa, per rispetto alla sistematica del codice, potrebbero inscriversi anche altre due disposizioni, gli artt. 1662 e 1663 (concernenti, rispettivamente, la verifica nel corso dell'esecuzione dell'opera e la denunzia dei difetti della materia), nel senso che queste ultime completerebbero l’insieme delle regole che, in materia di appalto, permettono al contratto di svolgere la sua funzione nel rispetto del sinallagma originario. A tal fine, viene disciplinato il diritto dei contraenti (volta per volta, del committente o dell’appaltatore) di ottenere, alle condizioni stabilite dal legislatore, la modificazione delle condizioni del regolamento di interessi sul quale era stato raggiunto l'accordo.
Nella disciplina dell’appalto, l’interesse prioritario dei contraenti alla realizzazione di un determinato risultato dedotto in contratto (alternativamente, il compimento dell'opera o del servizio oggetto dell'appalto) non esclude infatti la rilevanza delle vicende che intercorrono fra la conclusione del contratto e la realizzazione del risultato stesso. La tutela di tale interesse è assicurata da diverse regole che, al contempo, tendono a garantire al rapporto la flessibilità funzionale
all'attuazione del programma concordato e consentono ai contraenti il controllo del sinallagma durante l'esecuzione.
È possibile che, posteriormente al momento della conclusione del contratto, si verifichino alcuni mutamenti della realtà circostante che non giustifichino più (in tutto o in parte) la permanenza del vincolo sinallagmatico per come esso è stato concordemente determinato dalle parti interessate. È cioè astrattamente possibile che, in virtù di determinati accadimenti (giuridici o naturalistici), non possa più pretendersi, in capo all'uno o all'altro dei contraenti, la permanenza di un vincolo giuridico che ha trovato suffragio in circostanze e referenti assolutamente diversi da quelli successivamente registratisi. Xxxxxxx allora chiedersi quale sia la disciplina positiva applicabile laddove ciò avesse a prospettarsi, nonché come il contraente possa far valere ex lege la propria posizione contrattuale nei confronti dell'opposto stipulante.
La prassi, riflessa talvolta in una giurisprudenza non sempre pienamente attenta all'incidenza delle variabili economiche della contrattazione sull'assetto negoziale concordato, insegna che quanto più ampio è il periodo di tempo intercorrente fra la conclusione del contratto e la sua completa esecuzione, tanto più consistente è l'impegno dei contraenti nel predisporre la disciplina convenzionale delle modificazioni del contratto. Ciò al fine di realizzare l'obiettivo della stabilità del rapporto.
Così , mentre le regole in tema di adeguamento relative ai singoli contratti tipici – e quelle dettate per l'appalto svolgono nel sistema un ruolo certamente preponderante - finiscono per essere relegate ad un ruolo residuale, sembra accrescersi, di pari passo con lo sviluppo della prassi, lo spazio di operatività dei principi generali del diritto delle obbligazioni e dei contratti e, primo fra tutti, il principio di buona fede nell'adempimento dell’obbligazione e nell’esecuzione del contratto che, nel nostro ordinamento, trova negli artt. 1175 e 1375 x.x. xx xxx xxxxxxxxxxx xx xxxxxxx xxxxxxxx00. E se la cosiddetta lex mercatoria ha accolto formalmente, fra le sue regole essenziali (assurte al rango di “Principi” regolatori della contrattazione internazionale ed espresse in una sorta di ‘codificazione’ di cui gli operatori possono avvalersi), il principio della modificabilità del contratto ovvero del diritto della parte ad ottenere la modificazione del contratto quando ciò sia necessario a consentire la prosecuzione del rapporto, non si può dire che il legislatore sia insensibile all’interesse a mantenere in vita il contratto mediante la modificazione delle sue condizioni. L’ordinamento mostra in tal senso un'apertura di carattere generale, che certamente supera i confini del contratto di appalto e si esprime, sia in prescrizioni sui contratti in generale, sia in norme specifiche dei contratti tipici, sia infine in disposizioni contenute in leggi speciali.
Il contratto di appalto sembra costituire, in realtà, l’esempio manualistico del rapporto contrattuale soggetto a modificazioni. Breve o lungo che sia il periodo di tempo per il quale è previsto che duri la realizzazione dell’opera o la prestazione
diritto comparato, II, Milano, 1995, 230 ss.; in termini più analitici, Gallo, Sopravvenienza contrattuale e problemi di gestione del contratto, Milano, 1992. Da ultimo, con particolare riferimento al sistema di common law, cfr. Xxxxxxxxx, Rischio contrattuale in common law, in Contr. impr., 1996, 590, cui si rinvia per ulteriori riferimenti e per il raffronto anche con l'esperienza tedesca. Infine, per ulteriori spunti di riflessione sulla predisposizione dei diversi ordinamenti (in particolare, quello francese, tedesco, inglese e statunitense) nei confronti del generale problema della gestione (legale e convenzionale) del rischio contrattuale, soprattutto nella prospettiva del salvataggio del contratto, si può rinviare al già menzionato lavoro, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., spec. cap. IV, 223 ss.
89 È proprio il valore universale della bona fides, ineludibile regola di comportamento delle parti legate da un vincolo contrattuale, che ha condotto la prassi mercantile a 'codificare', all'interno dei
«Principi dei contratti commerciali internazionali» di recente elaborazione in sede UNIDROIT, il principio che impone la rinegoziazione quale mezzo giuridico generale per risolvere le controversie provocate dall'insostenibile difficoltà/onerosità sopravvenuta della prestazione ed afferma la coercibilità dell'obbligo di rinegoziare in sede giurisdizionale (art. 6.2.3. “Effetti dell'hardship”).
del servizio, rileva dunque l'interesse dei contraenti alla modificazione del contratto. Peraltro, è evidente che il prolungarsi del rapporto contrattuale in un lungo lasso di tempo accentua, si potrebbe dire in misura direttamente proporzionale alla durata dell'esecuzione, l’importanza delle regole sull’adeguamento del contratto e sulla rinegoziazione quali strumenti giuridici atti a garantire la corretta esecuzione degli obblighi assunti.
Gli studiosi occupatisi ex professo delle tematiche inerenti alla risoluzione del contratto hanno sottolineato la profonda differenza intercorrente tra le fattispecie dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione e dell'eccessiva onerosità sopravvenuta.
2.2. L’impossibilità totale e parziale della prestazione.
L’impossibilità sopravvenuta della prestazione, a detta dell’art. 1256 c.c., estingue l’obbligazione quando essa sia totale, permanente e non dipenda dalla volontà o dal comportamento dell’obbligato: con riferimento all’appalto si pensi alla costruzione di un edificio la cui struttura e volumetria diventino incompatibili con l’area indicata nel progetto, e dal punto di vista giuridico alla costruzione di un edificio su un’area divenuta inedificabile in corso d’opera.
L’impossibilità di eseguire la prestazione, per essere rilevante in sede di risoluzione contrattuale, deve possedere i seguenti requisiti: - deve essere sopravvenuta al contratto (dacché se fosse originaria si configurerebbe un'ipotesi di nullità per inesistenza dell'oggetto); - deve essere totale (perché se è parziale il
contratto deve essere eseguito per il rimanente, con conseguente riduzione della prestazione per l'altra parte e con possibilità aggiuntiva per essa di recedere dal contratto qualora non vi sia un apprezzabile interesse creditorio alla sua esecuzione parziale); - deve essere permanente (visto che l'impossibilità momentanea, temporale o transeunte farebbe rimanere il contratto in stato di quiescenza, ma non sarebbe in condizione di detronizzare gli effetti scaturenti dall'intercorsa stipula); - non deve essere imputabile alla parte per la quale si è verificata l'impossibilità (altrimenti gli obblighi negoziali permarranno, per quella parte, in tutta la loro efficacia e validità).
L’impossibilità sopravvenuta della prestazione si presenta sotto due profili: dell’inesecuzione, totale o parziale, dell’opera per causa non imputabile all’appaltatore; del perimento o deterioramento, per causa non imputabile ad alcuna delle parti, dell’opera prima che essa sia accettata dal committente o prima che il committente sia in mora per verificarla. La prima ipotesi – impossibilità dell’esecuzione – costituisce una specificazione e un adattamento della disciplina generale91. Quando si verifica l’impossibilità di eseguire l’opera, per causa non ascrivibile al committente o all’appaltatore, si configura un ulteriore ipotesi di impossibilità sopravvenuta, che è successiva alla conclusione del contratto, ma antecedente l’inizio dei lavori, o successiva al termine dei lavori, ma anteriore all’accettazione92. Il contratto si scioglie, ma sull’appaltante grava l’obbligazione di pagare la parte dell’opera già compiuta, nei limiti in cui è per lui utile93, in relazione al prezzo pattuito per l’opera intera; se la parte eseguita non offre al committente alcuna utilità, nulla spetta all’appaltatore.
Il perimento o il deterioramento dell’opera appaltata che si verifichi prima dell’accettazione da parte del committente, è a carico dell’appaltatore, ex art 1673 c.c., se questi ha provveduto alla fornitura dei materiali.
2.3. L'eccessiva onerosità sopravvenuta e il contratto aleatorio
L’art. 1664 c.c., che prevede la possibilità che l’appaltatore possa chiedere la revisione del prezzo qualora eventi imprevedibili95 determinino il prodursi di aumenti o diminuzioni del prezzo dei materiali o anche in caso di difficoltà di esecuzione, è stato letto come un’eccezione all’art. 1467 che accorda invece la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto alla parte contrattuale la cui prestazione, da misurarsi in relazione alla controprestazione stabilita dal negozio giuridico venutosi a formare, sia divenuta, per motivi straordinari e imprevedibili, eccessivamente onerosa. L’art. 1467 c.c. predispone il rimedio della risoluzione evitabile mediante offerta di riconduzione ad equità e quindi prevede la possibilità di mantenere in vita il contratto modificato. Attraverso la previsione di un obbligo di adeguamento del contratto, invece, il legislatore individua un diverso punto di equilibrio tra l’interesse alla completa esecuzione del rapporto e l’esigenza di non dover eseguire prestazioni più gravose di quelle originariamente programmate.
La soluzione96 si giustifica in ragione delle peculiari caratteristiche del contratto di appalto e in particolare sulla base dell’esigenza di limitare la dispersione degli investimenti e delle energie profuse dall’appaltatore nell’organizzazione e nell’esecuzione del contratto. In effetti la previsione di un obbligo di adeguamento del contratto in luogo del generale rimedio della risoluzione97 evitabile mediante offerta di riconduzione ad equità conduce nella maggior parte dei casi a soluzioni appaganti sia per l’appaltatore – il quale, in ragione degli investimenti affrontati e dell’organizzazione predisposta in funzione dell’esecuzione, ha in genere un forte interesse a mantenere in vita il contratto adeguatamente modificato evitandone la risoluzione – sia per il committente, che in caso di risoluzione, si vedrebbe costretto a ricercare un nuovo appaltatore per portare a termine l’opera desiderata e quindi a dover comunque affrontare uno sforzo economico che, in considerazione dell’aumento dei costi di esecuzione, risulterebbe con ogni probabilità superiore rispetto a quello originariamente programmato. È anche possibile, tuttavia che in alcune ipotesi tanto per l’appaltatore quanto per il committente possa risultare più opportuno fare ricorso al rimedio generale della risoluzione evitabile mediante offerta di riconduzione ad equità in luogo di quello speciale dell’adeguamento automatico. Lo sbilanciamento registratosi – precisa la normativa – vale in riferimento ai soli contratti a esecuzione periodica o continuata (tipico esempio: il contratto di somministrazione) ovvero a esecuzione differita (es. l'appalto), applicandosi, per i contratti commutativi (il principe dei quali è il contratto di compravendita) la disciplina positiva generale, che prevede l'integrale addossamento degli oneri derivanti dall'impossibilità sopravvenuta della prestazione - pur se discendente da
L’inserimento di un elemento di incertezza in ordine alla modalità di esecuzione della prestazione comporta l’assunzione convenzionale di un rischio particolare, con l’effetto di non ammettere la disciplina dettata in tema di risoluzione per eccessiva onerosità, se tale onerosità deriva dal verificarsi di quel determinato evento.
2.4. La presupposizione.
L’intuizione del concetto di presupposizione si deve alla genialità di un giurista tedesco, il Windscheid. Secondo l’opinione dell’illustre giurista, chi dichiara la sua volontà sotto una data presupposizione vuole che l’effetto giuridico sussista soltanto ove permanga una situazione sottostante di fatto e di diritto. Tale volontà, però, non risulta da una espressa condizione: si tratterebbe, precisamente di una condizione non sviluppata (unentwickelte Bedingung)99. La differenza fondamentale rispetto alla condizione risultante dal contratto consiste nel fatto che mentre quest’ultima opera immediatamente sull’efficacia del contratto stesso, la mancanza della presupposizione non interviene ipso iure sui suoi effetti, ma può essere fatta valere in sede processuale attraverso un’azione o un’eccezione. Nella dottrina italiana gli studi iniziali100 in tema di presupposizione risultano intimamente legati alla cosiddetta teoria delle sopravvenienze e, in particolare alle discussioni sorte intorno alla validità della clausola rebus sic stantibus.
98 Assecondando, anche analogicamente ed estensivamente, il noto brocardo res perit domino: l’art. 1465 c.c. anche nei contratti aventi effetti traslativi o costitutivi non libera il debitore/compratore dall'esecuzione della prestazione anche quando la cosa non gli sia stata consegnata. Resta da dire, tale principio res perit domino , in ipotesi di impossibilità sopravvenuta (non imputabile all’alienante) di consegna di bene determinato al compratore, deve essere interpretato cum grano salis , residuando, rimedi aggiuntivi per colui che sia stato costretto a pagare il prezzo senza aver potuto beneficiare della datio rei (es. azione di esatto adempimento, eccezione di inadempimento, con esclusione delle sole azioni di risoluzione per inadempimento e di risarcimento del danno, che presuppongono uno stato di colpa quantomeno indiretto del venditore, circostanza, quest'ultima, che l'art. 1465 esclude categoricamente).
99 Windscheid, Die Xxxxx xxx xxxxxxxxx Xxxxxx xxx xxx Xxxxxxxxxxxxx, Xxxxxxxxxxx, 0000, p.7.
100 Si è sostenuto che il fondamento storico-giuridico della presupposizione risiederebbe nella clausola rebus sic stantibus. Si afferma che in ogni contratto, in particolare in quelli di durata, ci sarebbe una clausola implicita, la clausola rebus sic stantibus, che ricollega la sussistenza del contratto al permanere dei presupposti di fatto esistenti al momento della xxxxxxxxxxxx.Xx clausola rebus sic stantibus ha antiche radici e, in Italia, soprattutto in relazione agli eventi bellici di inizio secolo, ha avuto larga fortuna. Il legame tra presupposizione e sopravvenienze emerge chiaramente da un’autorevole dottrina di inizio secolo, la quale, annoverando tra gli elementi negoziali gli stati di fatto presupposti dalle parti, ritiene che ad ogni contratto sia apposta una clausola rebus sic stantibus. Xxxxxxxx, La c.d. clausola rebus sic stantibus e la teoria dei presupposti, in Scritti vari di diritto privato, Torino, 1913, pag. 424 e ss.
La presupposizione101 consiste in una situazione di fatto, comune ad entrambe le parti, che le stesse hanno implicitamente assunto come motivo determinante del consenso al momento della stipulazione del contratto. La presupposizione viene correntemente definita dalla giurisprudenza quale “situazione di fatto o di diritto102 passata, presente o futura che, pur in mancanza di un espresso riferimento ad essa nelle clausole contrattuali, possa ritenersi tenuta presente dai contraenti, durante l’iter formativo del negozio, come presupposto avente valore determinante ai fini dell’esistenza e del permanere del vincolo contrattuale”.
2.5. La rinegoziazione dei contratti pubblici.
Il fenomeno della c.d. “rinegoziazione” ha origine e sviluppo soprattutto nell’ambito del commercio internazionale, dove ha raggiunto livelli di istituzionalizzazione”, identificando l’operazione attraverso la quale le parti ridefiniscono il contenuto del regolamento contrattuale a seguito di sopravvenienze idonee ad incidere sull’equilibrio economico-giuridico prefissato al momento della stipulazione del contratto105. Più precisamente, si tratta di una tecnica di gestione del rischio legato al mutamento delle circostanze intervenuto nella fase di esecuzione del vincolo contrattuale, che permette di conservare il rapporto “modificato”, evitando il ricorso a rimedi risolutori.
La possibilità per le amministrazioni pubbliche di rinegoziare i contratti stipulati con procedura ad evidenza pubblica va esaminata alla luce della dialettica tra autonomia negoziale e tutela degli interessi pubblici. In linea di principio, secondo il diritto privato, non è in discussione che il contratto possa subire modifiche le quali possono intervenire o in esecuzione di una specifica clausola di rinegoziazione, inserita preventivamente nel contratto, oppure perché le parti si accordano per rivedere il regolamento contrattuale successivamente alla sua definizione.
La rinegoziazione non aggredisce il principio del vincolo negoziale ma anzi assume una finalità nel complesso conservativa del contratto, avendo il ruolo di ricercare e ridefinire, nella fase funzionale di gestione del rapporto, il migliore assetto dei reciproci interessi tra le parti.
scioglimento del contratto. Occorre ovviamente prudenza se non si vuol cadere nell’eccesso di considerare come determinanti del consenso tutti quei presupposti di scarsa rilevanza sotto il profilo sostanziale, che pur incidono, e non poco, per il soggetto contraente, sulla economicità dell’affare. Ogni rapporto contrattuale è una realtà complessa nel quale rientrano tutta una serie di valutazioni che influiscono sulla opportunità del rapporto.
106 È necessario distinguere il caso di rinegoziazione dell'offerta in corso, quando l'Amministrazione procedente conduce una trattativa con l'aggiudicatario provvisorio prima
I soggetti pubblici non possono intervenire liberamente sul regolamento contrattuale, definito con l’aggiudicazione conseguente ad una pubblica competizione, apportandovi alcuni correttivi che risulterebbe più comodi, economici ed efficienti rispetto alla riproposizione della gara. La pubblica amministrazione107, infatti, ha una capacità di agire di diritto privato limitata, essendo condizionata, da un lato, dalla proiezione dell’interesse pubblico nella gestione del denaro pubblico, dall’altro, dal principio dell’evidenza pubblica, già presente nel nostro sistema ma rafforzato dall’ordinamento comunitario a salvaguardia della concorrenza e della competitività.
L’istituto della rinegoziazione ha sicuramente subito ulteriori restrizioni conseguenti alla recente riforma degli appalti pubblici, introdotta col decreto legislativo n. 163 del 12 aprile 2006108. È evidente allora che risulta molto più complicato per l’amministrazione aggiudicatrice giustificare, anche in sede di procedura negoziata semplice o pura, una successiva rinegoziazione con il soggetto aggiudicatario dell’appalto di uno degli elementi del contratto. Questo perché competitività e concorrenza sono le esigenze fondamentali che le due nuove direttive intendono garantire.
L’istituto della rinegoziazione è visto con sospetto dall’ordinamento comunitario109. L’atteggiamento della giurisprudenza italiana, salvo alcuni casi,
dell'aggiudicazione definitiva, dal caso di rinegoziazione svolta in una fase successiva all'aggiudicazione definitiva e, quindi, a gara conclusa.
107 La volontà della PA si forma e si fissa con il ricorso ai procedimenti di evidenza pubblica; da ciò consegue che, anche la volontà dovesse mutare, permane l’obbligo, di regola, di seguire i medesimi procedimenti con l’adozione di atti espressione del potere di autotutela, ove sussistano i presupposti.
108 In particolare, il secondo paragrafo del considerando n. 9 della direttiva 2004/17 chiarisce che in ogni caso i criteri di aggiudicazione degli appalti, anche di soglia inferiore a quella comunitaria, devono rispettare i principi fondamentali di parità di trattamento, di non discriminazione, di reciproco riconoscimento di proporzionalità e di trasparenza, in quanto i trattati comunitari sanciscono in via automatica l’obbligo per gli Stati membri di non introdurre o di rimuovere gli ostacoli a detti principi.
non è da meno110. La diffidenza nasce dalla constatazione che la pratica rinegoziativa può divenire, nelle mani di amministrazioni “disinvolte”, uno strumento al tempo stesso tanto efficiente quanto insidioso per aggirare nella sostanza le procedure di evidenza pubblica, a danno dei concorrenti.
Va però chiarito che la rinegoziazione è ispirata ad una ratio diversa e complementare a quella delle procedure di aggiudicazione, giacché essa non assolve al compito di individuare il contraente secondo parametri oggettivi, come accade per le procedure di aggiudicazione111, bensì di adattare il contratto ad esigenze, più o meno sopravvenute, dell’amministrazione o del contraente.
111 Il punto problematico è proprio in questo: le operazioni di adattamento dell’esito di gara, rispondono ad esigenze legittime e degne di considerazione, sia dell’amministrazione sia del soggetto aggiudicatario, se agevolano la vita alle amministrazioni è facile che ledano la par condicio dei partecipanti e, quindi, finiscano per minare il principio dei principi dell’ordinamento europeo: la tutela della concorrenza.
112 L’esigenza di adattamento potrebbe infatti facilmente proporsi nei casi in cui, ad esempio, intercorra un significativo intervallo di tempo tra la pubblicazione del bando e l’espletamento delle procedure di gara. E’ evidente che in questi casi appare certamente più conveniente rinegoziare anziché procedere da capo. Perseguire questa strada non è tuttavia semplice, considerati gli spazi angusti della legislazione vigente ed i chiari segnali in senso contrario provenienti dal legislatore comunitario, preoccupato com’è di evitare alla radice pratiche che è eufemistico definire elusive della par condicio.
nel giustificare e quindi esattamente motivare le ragioni che, nel bilanciamento degli interessi, hanno ritenuto più efficiente ed economico il ricorso alla rinegoziazione, pratica indubbiamente duttile e flessibile, rispetto all’intervento in autotutela di annullamento della gara ed alla riproposizione di una nuova.
Capitolo 3
Le vicende modificative nella gestione del contratto
3.1. L’esecuzione e la gestione del contratto di appalto
L’esecuzione del contratto di appalto rappresenta l’adempimento negoziale del contraente, e consiste nel porre in essere le prestazioni derivanti dalle obbligazioni contrattuali113. Con la stipulazione del contratto fra la Pubblica Amministrazione ed il privato contraente ha inizio la serie negoziale (cosiddetta fase negoziale) e si esaurisce la fase procedimentale. La fase negoziale è, quindi, successiva alla fase procedimentale, ma ne differisce in quanto le parti contrattuali si trovano in posizione paritaria114, conseguendone la titolarità di reciproci diritti soggettivi ed obblighi giuridici in luogo degli interessi in capo al privato in sede procedimentale.
Tuttavia si deve sottolineare che esecuzione e gestione del contratto sono concetti diversi, in quanto la seconda ricomprende quell’insieme di attività poste in essere da soggetti pubblici o privati incidenti come tali sull’iter del rapporto contrattuale (tempistica, modalità, costi, ultimazione, consegna del bene o del servizio). Gestire il contratto, dunque, significa mirare ad ottenere il conseguimento dei risultati che il rapporto negoziale intercorso tra le parti si prefigge e, perciò, comporta una serie di obblighi di trasparenza e di pubblicità, tali che, quantomeno teoricamente, i fenomeni di mala gestione, ravvisabili nell’ambito della contrattualistica pubblica e fonte di responsabilità penale e sin anche di quella amministrativa per danno erariale, dovrebbero emergere in tutta la loro evidenza senza che sia possibile l’occultamento degli illeciti, come era solito accadere in passato.
In sintesi, l’esecuzione è una fase laddove le parti rivestono un ruolo paritario, pur permanendo un’indubbia componente pubblicistica115 che travalica l’aggiudicazione: l’imprenditore deve adempiere le obbligazioni assunte, ma la gestione del contratto rimane incardinato in capo all’amministrazione.
I presupposti per definire l’esecuzione del contratto nei termini di adempimento dell’obbligazione assunta dal contraente privato sono l’esistenza di due fondamentali elementi: a) gli atti posti in essere dalle parti contraenti sono retti dal diritto privato; b) il rapporto sinallagmatico deve serbarsi inalterato.
Generalmente, l’esecuzione presuppone che sia intervenuta l’approvazione116, laddove prevista, la quale funge da condizione sospensiva, ed il termine117 che risulta eventualmente apposto al contratto assume specifico rilievo ai fini dell’adempimento, ma non dell’efficacia negoziale, trattandosi di clausola accessoria che esplica i propri effetti soltanto all’esito del perfezionamento del contratto.
Laddove insorgano questioni ermeneutiche e divergenze interpretative in sede di esecuzione del contratto, si applicano le disposizioni codicistiche civilistiche di cui agli artt. 1362-1371 c.c.. A stretto rigore, deve escludersi qualsiasi potere intromissivo della amministrazione in tale fasi integrando quest’ultima, per definizione, un onere gravante su chi è tenuto alla prestazione.
117 Così come in sen. Corte dei conti sez. contr. Sadegna 21.6.1995 n. 14 in cui “Il termine di inizio dell’esecuzione del contratto stipulato da una p.a. decorre dalla data in cui, mediante idonea comunicazione, il verificarsi della condizione di efficacia dell’atto (nella specie, registrazione del relativo provvedimento di approvazione da parte della corte dei conti), viene portato alla sfera di normale conoscibilità della controparte”.
L’invalidità del contratto stipulato è ostativa alla esecuzione, fatta salva la ratifica, in costanza dei prescritti requisiti, in conformità al principio di conservazione dei negozi giuridici (art. 1367 c.c.).
n. 2440/1923 che stabilisce con una presunzione di carattere generale, che i contratti non possono avere esecuzione anticipata rispetto alla data del relativo decreto di approvazione.
L’esecuzione anticipata della prestazione di per sé non ha alcun significato negoziale e, di conseguenza, è fondato e ragionevole il divieto della anticipata esecuzione dei contratti della amministrazione, non soltanto perché normativizzato, ma anche perché conforme alla ratio del sistema della contrattualistica pubblica. Parimenti, è illegittima119 la clausola di un contratto che prevede esplicitamente la produzione di effetti retroattivi rispetto alla data di approvazione.
119 In sentenza Corte dei conti sez. contr. 1.10.1994 n.86, e 5.7.1996 n. 98
3.2. Le vicende modificative soggettive
La natura giuridica della cessione del contratto è stata variamente delineata in dottrina ed in giurisprudenza, anche sulla base degli studi compiuti dalla pandettistica tedesca in merito alla ricostruzione unitaria della vicenda contrattuale120. Nella disciplina civilistica (art. 1406 c.c.). la cessione è configurata come negozio trilatero avendo ad oggetto la cessione della posizione contrattuale del cedente sostituito, nella sua qualità di parte, dal terzo (cessionario) nei rapporti derivanti dal contratto, previo consenso dell’altra parte (ceduto). Da quanto premesso emerge che il terzo succede integralmente nel rapporto originario unitariamente considerato, ossia in tutte le posizioni attive e passive ad esse correlate. La cessione, quindi, importa una modificazione soggettiva del contratto, operando una vera e propria novazione soggettiva mediante la sostituzione di una parte121. Il quadro normativo antecedente il D.lgs. 163/2006 ed in particolare la disposizione di cui all’art. 347 della legge 2248/1865, che imponeva l’obbligo dell’appaltatore di eseguire direttamente i lavori, la disciplina in materia di subappalto ammesso solo in casi eccezionali, e la disciplina prevista per l’ipotesi di fallimento dell’impresa mandataria, che in alternativa al recesso della pubblica amministrazione prevedeva il proseguimento del rapporto con altra impresa solo allorché quest’ultima fosse di gradimento dell’amministrazione ed infine dal divieto assoluto di cessione del contratto che pur se imposto dalla legge imprimeva comunque al contratto un evidente carattere personale122.
120 Voce Cessione del contratto in Digesto civ. Alpa, Xxxxxx, Torino, 1998, 338 e ss.
X. Xxxxxxxx, La cessione del contratto, pag. 39. Sulla base della unificazione della vicenda, peraltro, alcuni autori tendono a ravvisare nella cessione del contratto una vicenda circolatoria di tutti i diritti potestativi ad esso connessi ed in particolare di tutte le relative azioni. Sotto tale profilo la dottrina appare divisa in ordine all’effetto realizzabile attraverso la fattispecie. Secondo alcuni autori infatti la cessione del contratto avrebbe ad oggetto la “qualità di parte” del contratto, mentre secondo altri, si cederebbe il “complesso dei rapporti contrattuali” ovvero gli “effetti giuridici” derivanti dal contratto. Occorre in primo luogo chiarire come in ipotesi di cessione del contratto non si realizzi alcun trasferimento della fonte contrattuale. L’art. 1406 del c.c. fa infatti riferimento alla sostituzione nel rapporto derivante dal contratto e non già nel contratto stesso; del resto il codice limita le possibilità di cessione alle sole ipotesi di contratto con prestazioni corrispettive non ancora eseguite, facendo riferimento al rapporto non ancora eseguito, senza alcuna preoccupazione per la sua fonte e con ciò impedendo la cessione allorquando il rapporto si sia ormai esaurito.
122 Consiglio di Stato, 10 febbraio 2000, n. 754, in CdS, I, 124.
La prevalente giurisprudenza amministrativa, dalla previgente disciplina in materia di appalti faceva discendere il principio della personalità ed immutabilità del soggetto durante l’intera fase di partecipazione alla gara di appalto con il conseguente divieto di sostituzione, nel corso della procedura, di una impresa con un’altra e l’inapplicabilità del principio civilistico di cui all’art. 2558 c.c., che prevede l’automatico subentro dell’acquirente dell’azienda nei contratti non aventi carattere personale, salvo il recesso del terzo contraente per giusta causa. Con l’entrata in vigore della disposizione di cui all’art. 35 della legge n. 109/1994 il legislatore ha temperato l’iniziale rigore formale del divieto di cessione di cui all’art. 18 della legge n. 55/1990, introducendo una deroga nel settore specifico dei lavori pubblici al principio di incedibilità dei contratti pubblici. Anche dopo tale apertura normativa il Consiglio di Stato aveva ribadito la natura personale del contratto di appalto, precisando che, in caso di cessione di azienda123 che il citato art. 35 consente la partecipazione alla gara dell’impresa avente causa la quale abbia iniziato detta procedura, ma non consente l’aggiudicazione della gara direttamente all’impresa cessionaria in assenza del sub procedimento di valutazione del possesso dei requisiti, la quale deve conseguentemente ritenersi illegittima124. L’attenuazione, sulla spinta del diritto comunitario125, della tesi della personalizzazione del contratto di appalto pubblico ha inciso profondamente sulla evoluzione degli orientamenti giurisprudenziali consolidatisi in ordine alla portata della deroga di cui al citato art.35 della legge 109/1994. Il Consiglio di
Stato126 ha espressamente riconosciuto che si può ritenere acquisito il principio della derogabilità dell’immodificabilità soggettiva dell’offerente.
Un caso particolare di vicenda modificativa soggettiva si ha nell’ipotesi prevista dall’art. 37octies della l. 109/94 relativo alle operazioni di project financing.
Con tale disposizione, il legislatore ha dato veste legale al cosiddetto step-in-right; attraverso tale meccanismo i finanziatori acquistano la facoltà qualora si verificasse un problema di default del soggetto concessionario e naturalmente prima che il progetto sia definitivamente compromesso, di intervenire assumendone il controllo diretto o delegando un soggetto di fiducia, con il fine di conservare il più possibile in vita i contratti di progetto.
Dalla necessità dell’accettazione da parte dell’ente concedente si desume come ci si trovi di fronte ad una fattispecie di cessione del rapporto di concessione. In tale evenienza, dunque, si realizza la completa successione a titolo particolare del soggetto designato nei rapporti attivi e passivi tra concessionario e amministrazione concedente.
127 Consiglio di Stato, sez VI, n. 2943 del 2007, in xxx.xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxxxx.xx.
Come è stato osservato in dottrina la condizione posta dalla norma ai fini dell’accettazione dell’amministrazione concedente, di un’equivalenza di caratteristiche tecniche e finanziarie tra società designata e concessionario all’epoca dell’affidamento della concessione, prefigura l’atto di assenso dell’amministrazione come “espressione di un potere di valutazione vincolato nel fine nei presupposti di fatto”, del tutto difforme quindi dalla manifestazione di volontà del contraente ceduto di cui all’art. 1406 c.c., rientrante nella piena autonomia negoziale del privato.
Tale equivalenza va peraltro valutata in relazione al concreto stato di avanzamento del progetto, dato che il subentro può anche avvenire quando l’opera è in via di realizzazione ovvero si tratti solo di proseguire la gestione.
L’accettazione del subentro è peraltro condizionata alla circostanza che l’inadempimento del concessionario avrebbe causato la risoluzione cessi entro i novanta giorni successivi alla scadenza del termine concesso ai finanziatori per la designazione della società subentrante (lettera b) del primo comma dell’art. citato. La stessa norma peraltro permette a concedente e finanziatori di concordare un eventuale termine più ampio.
Dal meccanismo di subentro appena tratteggiato emerge come la sostituzione del concessionario da parte della società designata deve necessariamente avvenire in un tempo anteriore al formale subentro, dato che il soggetto subentrante dovrà provvedere, nel termine cennato, all’adempimento delle obbligazioni contrattuali nella forma dell’adempimento del terzo.
3.2.1. La incedibilità dei contratti pubblici
Sulla rigorosa disciplina prevista per le modificazioni soggettive dei contratti pubblici giocano un ruolo determinante gli aspetti connessi alla necessità di assicurare da un lato, la trasparenza e l’imparzialità della vicenda contrattuale e dall’altro un corretto ed efficace uso del denaro pubblico.
Non può sfuggire sotto il primo aspetto come l’estrema cura posta nella scelta della parte privata del contratto, testimoniata dalle rigide procedure dell’evidenza pubblica nella fase di formazione e perfezionamento, sarebbe inevitabilmente vanificata da una disinvolta fungibilità del contraente, tanto più in rapporti caratterizzati, come quelli in esame, dall’estrema rilevanza delle caratteristiche personali del contraente. Sotto il secondo profilo, viene in rilievo l’esigenza di garantire il fenomeno contrattuale da infiltrazioni malavitose, soprattutto in settori come quello degli appalti pubblici sempre più in rilievo per l’economia del paese. Nell’avvertire che nella disamina delle diverse vicende modificative si terrà conto del rilievo predominante della disciplina dettata per gli appalti pubblici, si esporranno di seguito i tratti relativi alla cessione del contratto, al subappalto alle vicende traslative inter vivos e mortis causa al fallimento e al subentro.
In via preliminare, occorre osservare che la disciplina pubblicistica ha sempre visto con sfavore128 gli istituti della cessione del contratto e del subappalto, quali fenomeni in grado di incidere in profondità (ovviamente con diverso rilievo) lo stretto rapporto fiduciario insito nel rapporto tra committente ed appaltatore.
Il carattere personale insito in tale rapporto porta come necessario corollario, infatti, l’impossibilità di disporre mutamenti nella figura del privato contraente senza apposita adesione della stazione appaltante, che autorizzi la modifica soggettiva del rapporto contrattuale.
Nel corso degli anni il particolare ruolo giocato dall’intuitus personae nell’appalto, nonché l’esigenza di accrescere la tutela contro possibili infiltrazioni mafiose nel procedimento di aggiudicazione, hanno suggerito la chiara e solenne enunciazione del principio129 secondo cui “le imprese, le associazioni, i consorzi aggiudicatari sono tenuti ad eseguire in proprio le opere o i lavori compresi nel contratto”.
L’art. 116 del Codice dei contratti è dedicato alla risoluzione di questioni particolarmente delicate che possono influire sulla prosecuzione del rapporto contrattuale e che riguardano, in particolare, il profilo soggettivo dell’appaltatore. Può accadere, infatti che nel corso dell’esecuzione del contratto si vengano a realizzare forme di successione nella titolarità dell’appalto, dovute a vicende che incidono sulla vita dell’azienda appaltatrice. Il regime delineato dal legislatore per disciplinare tali ipotesi è volto innanzitutto a tutelare l’esigenza dell’amministrazione di poter contare sulla permanenza di tutti i requisiti soggettivi che hanno determinato la scelta di un determinato concorrente rispetto agli altri partecipanti alla procedura di selezione.
In questa prospettiva, gli adempimenti richiesti dall’art. 116 devono essere letti proprio in vista della tutela di questa esigenza fondamentale che è diretta ad assicurare, in definitiva, l’esatto adempimento delle prestazioni contrattuali. Le ipotesi tipiche prese in considerazione dal comma 1 dell’art. 116 sono rappresentate da: cessione, trasformazione, fusione o scissione d’azienda.
Affinché una di tali circostanze, una volta verificatasi, possa produrre effetti nei confronti della stazione appaltante è necessario che il cessionario ovvero il soggetto che risulta dall’avvenuta trasformazione, fusione o scissione, provveda nei confronti della stessa alle comunicazioni previste dall’art. 1 del d.p.c.m. n. 187/1991, nonché a comprovare mediante idonea documentazione il possesso dei requisiti di qualificazione previsti dal codice.
legge 55/90 ha infine sancito il totale divieto di cessione del contratto, che non si estende per altro alla cessione dei crediti vantati dall’appaltatore nei confronti della p.a.
3.2.2. La cessione di azienda
A fronte del generalizzato divieto di cedibilità del contratto, il legislatore prevede una particolareggiata disciplina della modificazione del soggetto del contratto in ipotesi di fusioni ovvero di conferimenti di azienda. Tali vicende destano particolari difficoltà quando all’esito di tali fenomeni l’amministrazione appaltante finisce per trovarsi di fronte ad un soggetto differente da quello con cui ha instaurato il rapporto originario130. La disciplina della cessione d’azienda contenuta nell’art. 116 riguarda un’ipotesi di successione nella titolarità dell’appalto che viene in essere. Il contratto di cessione di azienda intercorre tra due soggetti di cui l’uno il cessionario subentra nell’titolarità del complesso dei rapporti attivi e passivi facenti capo all’azienda ceduta, tra i quali rientra il singolo appalto stipulato con l’amministrazione. Di fronte all’evento cessione d’azienda la stazione appaltante qualora ricorrano le condizioni di cui all’art. 116, ha il diritto di opporsi131 determinando una situazione per la quale il cedente rimane l’unico soggetto obbligato ai fini dell’adempimento delle prestazioni contrattuali. Sul punto la dottrina132 ha ricostruito l’opposizione quale impedimento alla verificazione della condizione sospensiva dello spirare del termine in assenza di intervento da parte della pubblica amministrazione, con annessa inefficacia dell’atto traslativo dell’azienda. Diversamente, in mancanza di opposizione la cessione produrrà i suoi effetti anche nei confronti dell’amministrazione. Nell’ambito della disciplina dei contratti pubblici la cessione è ritenuta ammissibile soltanto se realizzata nel rispetto di tutte le condizioni previste dall’art. 116, diversamente è espressamente esclusa dal comma 1 dell’art. 118 che
recepisce quanto già disposto in materia dall’art. 18 della legge n. 55/1990 e
s.m.i.133. La cessione realizzata nonostante il divieto è affetta da nullità.
135 TAR Umbria 3.9.2003 n. 718 in www. Xxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx.
La giurisprudenza136 più recente ha dato al previgente art. 35 della l. 109/94 veste di principio generale come tale applicabile non solo ai casi in cui il cedente abbia già stipulato il contratto, ma anche ai casi in cui il cedente rivesta la posizione di mero partecipante ad una gara in corso di svolgimento.
3.2.3. L’ affitto di azienda
La trasferibilità del contratto di appalto assume rilevanza anche nelle ipotesi di cessione di azienda o di ramo aziendale138. Tale fattispecie trova precisa regolamentazione nell’art. 2558 c.c. recante la disciplina della “successione nei contratti” di azienda. La norma stabilisce che, salvo diversa pattuizione, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale, mentre è fatta salva la facoltà per il terzo contraente (ceduto) di recedere dal contratto entro tre mesi, purchè sussista una giusta causa (art. 2558, comma 2, c.c.). E’ quindi un effetto naturale della cessione di azienda l’automatico trasferimento di tutti i contratti a
prestazioni corrispettive, in cui non rileva il carattere xxxxxxxxx000.Xx tal senso, come osserva la giurisprudenza prevalente140, il disposto dell’art. 2558 c.c. impedisce il trasferimento degli appalti pubblici a seguito della cessione, posto che: il contratto di appalto pubblico ha natura personale e sussiste, in ambito pubblicistico, un generale principio di immutabilità del contraente della Pubblica amministrazione in assenza di valutazione dei requisiti.
Il comma 4 dell’art. 116 estende la disciplina prevista nei commi precedenti anche ai casi di trasferimento o affitto di azienda141 da parte degli organi della procedura concorsuale. L’affitto dell’azienda non implicando un trasferimento definitivo della relativa attività economica, non determina un automatico subentro dell’avente causa nella posizione dell’impresa affittente. Nel caso di semplice fitto di azienda il possesso dei requisiti di qualificazione da parte dell’impresa affittuaria non potrebbe presumersi a seguito della mera trasmissione del contratto di affitto alla stazione appaltante, essendo necessaria la puntuale documentazione del possesso di ciascun singolo requisito. È palese che il giudizio di affidabilità già espresso per la società concedente non possa essere trasferito tout court all’affittuaria. “La medesima esigenza di affidabilità per l’esecuzione dei contratti, preliminare allo svolgimento delle procedure pubbliche di appalto, esclude altresì che l’affitto a termine e condizionato dell’azienda o di un ramo di essa possa essere assimilato alle cessioni e agli altri atti indicati dall’art. 35 comma 1 della
legge n. 109/1994 che concretano le situazione e stabili delle fattispecie successorie”142. Con la disposizione in esame la fattispecie dell’affitto di azienda o di un suo ramo143 viene, dunque, equiparata pienamente a quella della cessione di azienda con la quale viene trasferito al cessionario, dietro pagamento di un corrispettivo la titolarità dell’azienda stessa.
Ogni dubbio in tema di validità, circa l’acquisizione di capacità professionale mediante affitto di azienda è oggi fugato dall’art. 51 del d. lgs. n. 163 del 2006, a norma del quale l’affittuario di un ramo di azienda è ammesso alla gara anche in ragione della acquisizione dei requisiti necessari mediante locazione di ramo di azienda. La giurisprudenza144, pacifica sul punto, ha avuto occasione di affermare che, nelle gare indette per l'aggiudicazione di appalti con la pubblica amministrazione l'istituto dell’avvalimento ha portata generale ai fini della dimostrazione del possesso dei requisiti di partecipazione, ed è quindi utilizzabile anche in assenza di una specifica previsione del bando, restando peraltro ferma la necessità, in ogni caso, di un vincolo giuridico, preesistente all'aggiudicazione della gara.
In conclusione l’articolo 51 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 non ha carattere innovativo ma codifica un principio già affermato dalla giurisprudenza amministrativa. Xxxxx richiamare la decisione di questo Consiglio Stato sez. VI, 06 aprile 2006 , n. 1873 secondo la quale “si può, pertanto, ritenere acquisito nella
142 Cons di stato sez. IV 29 agosto 2002 n.4360 ; e TAR Lazio Roma sez III n. 590/2006.
143 Nella definizione enucleata dalla giurisprudenza civilistica, si vedano Cass. Civ. sez. III, 6361/19981 e Cass. Civ. sez.III, n. 6572/1983, ricorre, invece, l’ipotesi di affitto di azienda quando oggetto del contratto sia un complesso unitario di tutti i beni mobili e immobili materiali e immateriali concessi in godimento in quanto organizzati unitariamente per la produzione di beni. 144 Consiglio Stato sez. IV, 20 novembre 2008 , n. 5742
giurisprudenza vigente l'ulteriore principio della derogabilità di quello precedentemente richiamato dell’immodificabilità soggettiva dell'offerente, ammettendosi la possibilità del subentro allo stesso di altro soggetto nella posizione di contraente o di partecipante ad una gara per l'aggiudicazione di un appalto pubblico in caso di cessione di azienda e di trasformazione di società; sempre che la cessione dell'azienda o gli atti di trasformazione, fusione o scissione della società, sulla cui base avviene il detto subentro, siano comunicati alla stazione appaltante e questa abbia verificato l’idoneità soggettiva del subentrante”. Venendo all'aspetto procedimentale, sia l’indirizzo giurisprudenziale sopra richiamato che la norma introdotta dal codice dei lavori pubblici si limitano a porre in capo alla cessionaria l’unico onere di dare comunicazione alla stazione appaltante dell’avvenuta cessione del ramo d'azienda, lasciando poi alla discrezionalità delle singole amministrazioni chiedere quei documenti che si rendessero necessari per poter esprimere una ponderata verifica circa l'idoneità soggettiva del subentrante. Xx è ovvio che sia così, in quanto la varietà delle fattispecie concrete che possono presentarsi non consente di ridurre ad unità la tipologia della documentazione necessaria per l'accertamento.
3.2.4 Il subappalto
Il subappalto opera sul piano della mera esecuzione del contratto, consentendo che una o più parti del contratto siano eseguite da un soggetto estraneo, diverso dal contraente obbligato146. Più precisamente, si definisce subappalto il contratto con il quale l’appaltatore affida ad un terzo, detto subappaltatore, il compito di eseguire in tutto o in parte l’opera assunta dallo stesso appaltatore con il contratto di appalto.
146 L’analisi del contratto di subappalto, sviluppatasi all’ombra della dogmatica del subcontratto e del collegamento negoziale, sembra debba oggi tener conto, in un’ottica evolutiva, anche della consolidata affermazione dell’outsourcing, quale tecnica aziendale consistente nella esternalizzazione di determinati processi produttivi (o di determinate fasi di un processo produttivo) e finalizzata alla riduzione dei costi d’impresa. Rubino-Iudica,Dell’appalto, in Comm. Xxxxxxxx-Xxxxxx, 1992, 199; Xxxxxxxx voce Subcontratto, in Enc.dir., 1997, XXX; Imarisio, Il subappalto, in Obbl. e contr., 2008, 731 ss..
La disciplina del subappalto, ex art. 118 del x.x.xx. n. 163/2006, non fornisce una definizione diretta del contratto di subappalto che peraltro si ricava indirettamente dall’art. 1656 del c.c., il quale prevede la necessità dell’autorizzazione per tale contratto da parte del committente.
Va peraltro preliminarmente chiarito che l’appaltatore originario rimane comunque responsabile verso il committente del compimento dei lavori e del risultato complessivo, anche se non risponde verso terzi dei danni cagionati dal subappaltatore, quando questi abbia operato con autonomia148
Il carattere derivato del subappalto, e il conseguente regime attenuato di trasferimento del rischio150, garantisce dal rischio di ingresso a indesiderati contraenti a valle dell’affidamento, a tutela di possibili infiltrazioni malavitose, ma è testimonianza dalla considerazione del legislatore per la salvaguardia delle esigenze produttive ed imprenditoriali.
147 Cassazione civile sez II 11.08.90 n. 8202.
149 Xxxxxxxxxx Xxxxxxx e Xxxxxxxxxx Xxxxxxx, L’appalto di opere pubbliche 2003.
150 Vagnozzi D. Il subappalto nei contratti pubblici, in Riv. Trim. appalti 2001, 4, pag. 731 e ss.
Da un punto di vista economico-sociale il subappalto rientra nella categoria dei cosiddetti contratti d’impresa, dato che appare funzionalmente collegato ad un contratto che presuppone la qualità d’impresa e l’esercizio di essa mediante organizzazione imprenditoriale ed essendo richiesta la sussistenza di un’analoga qualificazione. La ratio dell’autorizzazione del committente all’esecuzione altrui del contratto si fa rientrare, usualmente, nell’esigenza di preservare l’intuitus personae caratteristico del contratto di appalto, anche se taluno in dottrina ha posto in risalto il rilievo dominante dell’organizzazione di impresa.
Si dovrebbe parlare, allora, più che di derivazione di rapporti di innesto di uno nuovo quale propagazione del primo, al quale il committente partecipa in vario modo (pagamenti diretti, estensione delle solidarietà e ritenute di garanzia, vigilanza su tutta l’esecuzione).
Per quanto riferito il subappalto sembra assumere i connotati di un fatto modificativo soggettivo del rapporto contrattuale anche dal punto di vista giuridico, non riguardando più la semplice materiale esecuzione dell’opera, ma operando un inserimento dello stesso subcontraente nel rapporto originario con riflessi anche nella sfera del committente consenziente. Tale prospettiva si evince anche nel recentissimo regolamento attuativo del codice dei contratti pubblici, in cui si esalta152 un ambito soggettivo e oggettivo diverso rispetto all’art. 141, comma 2, del D.P.R. n. 554/1999.
Sotto il profilo soggettivo, destinatario della previsione normativa non è più solamente il subappaltatore, ma anche l’esecutore (o, come lo si voglia chiamare, l’appaltatore, l’affidatario, l’aggiudicatario ecc.) del contratto, per entrambi i quali è precisato che debbono essere in possesso dei requisiti relativi alle specifiche categorie di lavorazione indicate nel medesimo comma 2.
Sotto il profilo oggettivo, la disposizione de qua non fa più riferimento a un subappalto di posa in opera di strutture, di impianti e di opere speciali di cui all’art. 72, comma 4, lett. c), d) ed l) del D.P.R. 554/1999, ma a un subcontratto153 di «posa in opera di componenti e apparecchiature necessari per la realizzazione di strutture, impianti e opere speciali di cui all’art. 107, comma 2, lett. f), g), m),
o) e p)» dello stesso Regolamento.
Infine, il comma 3, ultima parte, dell’art. 170 del Regolamento – ribadendo quanto già disposto dall’art. 118, comma 11, ultima parte, del Codice – stabilisce che l’appaltatore deve comunicare alla stazione appaltante, nell’ipotesi di subcontratti stipulati per l’esecuzione della prestazione oggetto di appalto, il nominativo del subcontraente, l’importo del subcontratto e l’oggetto del lavoro, servizio o fornitura affidati.
Il comma 5 dell’art. 170 del Regolamento, riprendendo esattamente il comma 5 dell’art. 141 del D.P.R. 554/1999, precisa che per «attività ovunque espletate» – le quali concorrono a comporre la definizione del contratto di xxxxxxxxxx, in quanto
n. 163/2006 è intitolato Codice dei contratti pubblici e non Codice degli appalti pubblici) – deve essere sostanzialmente intesa come sinonimo di subappalto.
ne costituiscono l’oggetto, come stabilito dall’art. 118, comma 11, parte prima, del Codice – devono intendersi unicamente quelle poste in essere nell’ambito del cantiere cui si riferisce l’appalto. Da questo dettaglio normativo si ricava un limite all’ammissibilità del subappalto: esso può essere affidato solamente per la realizzazione di lavori od opere che debbono essere svolti all’interno del cantiere, ovunque questo sia stato territorialmente insediato per l’esecuzione del contratto d’appalto.
Tale forma contrattuale viene sempre ad avvicinarsi ad una cessione di contratto; pur non avendosi, come in questa, novazione soggettiva, ossia traslazione in capo ad un nuovo soggetto dell’intero rapporto, il rapporto originario viene anch’esso modificato con l’ampliamento delle relazioni soggettive155. La collaborazione di imprese terze nell’esecuzione di opere complesse va riguardata come esigenza strutturale di una moderna e più ampia concezione dell’appalto che l’indirizzo europeo sembra assecondare. Il sistema che si è venuto a delineare sembra pertanto muoversi verso una logica di autoresponsabilizzazione dell’appaltatore.
3.3. Le vicende modificative contrattuali
L’interesse del committente e dell’appaltatore a disciplinare convenzionalmente a priori la modificazione del contratto e a conservare in vita il rapporto contrattuale adeguandone il contenuto alla mutata situazione di fatto viene dunque evidenziato dall'organizzazione degli operatori commerciali che, soprattutto in presenza di scambi transnazionali, tendono ad evitare il pericolo che le regole sul rischio contrattuale vigenti nei diversi ordinamenti - di solito, prescrizioni dispositive, operanti perciò soltanto in assenza di regolamentazione pattizia - producano risultati inattesi e potenzialmente pregiudizievoli degli interessi dei contraenti consacrati nell'originario regolamento d’interessi156.
La dottrina, sulla base delle disposizioni contenute nel codice civile al capo dedicato all’appalto, è solita raggruppare in tre tipologie le possibili variazioni al progetto originario157. La prima è quella che comprende le variazioni che esprimono semplicemente il potere degli stipulanti di modificare in modo del tutto libero il contenuto delle pattuizioni iniziali: si tratta delle variazioni concordate tra le parti, le quali, ai fini probatori, devono rivestire la forma scritta. In tale fattispecie, qualora il prezzo sia stabilito a forfait, salvo diverso accordo, all’appaltatore non è dovuta alcuna maggiorazione, neppure in caso di aumento del carico di lavoro e/o di spese.
Nel caso in cui, invece, le variazioni siano richieste dal committente, le opere aggiuntive saranno pagate anche qualora la determinazione originaria del prezzo era avvenuta “a corpo”. Le modifiche unilaterali dell’appaltante, tuttavia, non solo non devono essere tali da implicare uno stravolgimento della natura dell’opera o del servizio, ma il loro costo complessivo non deve eccedere di un sesto il prezzo convenuto a forfait158.
La terza e ultima categoria di variazioni è quella comprendente le modifiche “necessarie”, ossia quelle imprescindibili ai fini dell’esecuzione del lavoro a regola d'arte; in tali circostanze, qualora le parti non riescano a pervenire a un’intesa, sarà il giudice a stabilire sia quali siano effettivamente le variazioni indispensabili, sia quale compenso spetti all’appaltatore per il loro compimento. Se l'importo delle variazioni supera il sesto del prezzo convenuto a forfait, l'appaltatore potrà recedere, avendo diritto, comunque, a percepire un’indennità
diritto comparato, II, Milano, 1995, 230 ss.; in termini più analitici, Gallo, Sopravvenienza contrattuale e problemi di gestione del contratto, Milano, 1992.
per l’opera prestata, in base a una valutazione equitativa del giudice. La facoltà di recesso, d’altro canto, è riconosciuta al committente qualora le variazioni siano “di notevole entità”, sempre restando salvo il diritto dell’appaltatore all’indennizzo.
Nel contratto di appalto, a differenza della generalità dei contratti, in cui vige il principio dell’immutabilità dell’oggetto, il contenuto delle prestazioni può subire delle modificazioni durante l’esecuzione del rapporto.
La ragione giustificatrice di tale ius variandi è infatti da rinvenire nella circostanza che l’appalto è generalmente riconosciuto come un contratto ad esecuzione prolungata (o secondo altri ad esecuzione continuata in senso generico) trovando il suo svolgimento naturale in un arco di tempo più o meno prolungato, durante il trascorrere del quale possono manifestarsi bisogni o esigenze od opportunità prima non palesate o comunque sopravvenute. Si osserva, preliminarmente, che anche in tale contesto, assumono rilevanza, ancora una volta, i principi fondamentali del codice civile, volti a garantire l’equilibrio contrattuale delle parti e a fornire un'ulteriore chiave interpretativa alla disciplina pubblicistica. Il riferimento è agli artt. 1659, 1660 e 1661 del codice civile, dove, rispettivamente, vengono espressi il principio d’immodificabilità dell'opera da parte dell'appaltatore in carenza di autorizzazione scritta del committente159 la possibilità di eseguire le variazioni che si rendano necessarie per un'esecuzione a regola d'arte dell'opera appaltata, il cd. ius variandi, ossia il diritto potestativo del committente di imporre all'appaltatore varianti che, comunque, non siano pregiudizievoli per l'appaltatore e non comportino modificazioni sostanziali alla natura dei xxxxxx000.
Se è indubitabile che il committente possa dunque imporre delle modifiche ai lavori esistono tuttavia dei limiti alla possibilità di apporre variazioni che discendono dalla natura, dai più accolta, commutativa e non aleatoria del contratto
di appalto161: il limite quantitativo di cui all’art 1660 c.c. primo comma (il c.d. quinto d’obbligo dipendente dal progetto) o di cui all’art 1661 primo comma (variazioni del committente che non possono superare il sesto del corrispettivo) ed il limite qualitativo, di più incerto apprezzamento, per il quale, in ossequio a quanto dettato dall’art 1661 secondo comma, in ogni caso le varianti non possono comportare modifiche sostanziali alla natura delle opere o dei quantitativi nelle singole categorie di lavoro.
3.3.1. Le varianti in corso d’opera
Il nuovo codice in materia di lavori pubblici ha, innanzitutto, ribadito l’importante principio che il progetto può subire variazioni in corso d’opera162 solo in presenza di ipotesi tassativamente individuate dall’art. 132163.
Sotto il profilo funzionale, la giurisprudenza164 considera l’istituto della variante come un rimedio a disposizione dell’amministrazione per sopperire a carenze progettuali scoperte nel corso dei lavori, mentre ne esclude la l’utilizzazione per la correzione di errori precedentemente emersi nel corso del procedimento di formazione del contratto di un appalto. Infatti la disciplina delle varianti non può che essere successiva alla fase della stipula del contratto, incidendo sugli aspetti del progetto emergenti nell’atto della sua realizzazione.
Sul piano del diritto positivo è l’art. 134, comma 1 del regolamento e l’art. 10, comma 2, del D.M. 145/2000 a prevedere che, nel rispetto delle condizioni e dei
163 Come è noto, invece, la normativa previgente alla legge-quadro n. 109/94 si asteneva dallo specificare i presupposti legittimanti il ricorso alle varianti (ossia i “motivi”), preoccupandosi soltanto di precisare, ad integrazione di quanto disposto dal Codice Civile, i limiti quantitativi e qualitativi allo ius variandi dell’Amministrazione. La precisa indicazione dei casi in cui erano ammesse le varianti prevista dalla l. n. 109/94 risultava invece coerente con la nuova più rigorosa disciplina della progettazione la quale, imponendo l’adozione di progetti realmente esecutivi, considerava la variante un’eccezione alla regola dell’immodificabilità del progetto, ammissibile soltanto in presenza di particolari condizioni.
164 Tar Lazio, Roma, sez. III, 3 agosto 2006, n. 6912.
limiti indicati dall’art. 132 del Codice, “la stazione appaltante durante l’esecuzione dell’appalto può approvare una variazione dei lavori fino alla concorrenza di un quinto”. La dizione della norma impone alcune riflessioni in ordine all’esatta interpretazione della disciplina del cd. quinto d’obbligo. Xx infatti il quinto in più o in meno del prezzo di appalto rappresenta non tanto un vero e proprio limite alla discrezionalità della P.A. di apportare variazioni, quanto piuttosto, per così dire, un limite al modus procedendi, della stessa.
In altri termini, tale limite quantitativo opera in duplice direzione: come limite allo ius variandi della stazione appaltante e come limite all'obbligo-soggezione dell'appaltatore di sottostare a tale potestà ed eseguire i lavori agli stessi patti, prezzi e condizioni del contratto originario165. Superato detto limite l’appaltatore può non soggiacere alle determinazioni dell’Amministrazione e, dunque, è libero di non adempiere a quanto disposto, fermo restando che in tale caso deve recedere dal contratto.
Se, viceversa, l’impresa fosse d’accordo nella prosecuzione dei lavori e sulle condizioni alle quali proseguire, detto limite questo può senz’altro essere superato, fatta salva la particolare ipotesi di variante dovuta ad errore od omissione progettuale.
Ne consegue, a ben vedere, che l’unico limite davvero insuperabile allo ius variandi sia quello qualitativo - previsto dagli artt. 10, comma 6, del D.M. 145/2000 e 134, comma 4, del DPR 554/99 da intendersi non solo come mutamento di tipologia ma anche come cambiamento della sua impostazione originaria (pur non alterandosi la sua tipologia per effetto della variazione)166.
Inoltre, fermo che in senso generico ed atecnico ogni lavoro aggiuntivo può dirsi extracontrattuale, la variante per essere legittima, deve interessare lavori contrattuali o, per meglio dire, deve riferirsi a maggiori lavori necessari a realizzare il progetto.
Se si trattasse di lavori non necessari e diversi si verterebbe infatti nella distinta ipotesi di lavori extracontrattuali in senso proprio, i quali non possono essere disciplinati dalla disciplina delle varianti.
Infine un ulteriore limite al ius variandi consiste nella necessaria copertura finanziaria, e cioè la disponibiltà finanziaria nel quadro economico ovvero, ove qualora questo non capiente, nel bilancio dell’Ente.
In particolare, sentito il progettista e il direttore dei lavori, possono introdursi modifiche ai lavori appaltati in presenza di cause tipiche e tassative riconducibili a: alla sopravvenienza di norme primarie o regolamentari (lett a): si tratta di eventi formali o legali, che impongono l’adeguamento del progetto originario, vanno sotto il nome di jus superveniens.
Le varianti disposte a questo titolo fanno emergere qualche dubbio in merito alla determinazione del procedimento amministrativo, non essendo specificato se si possono far decorrere: dall’approvazione del progetto, dalla pubblicazione del bando, o dalla stipulazione del contratto.
Si ritiene preferibile prendere come riferimento la data di pubblicazione del bando, in quanto le stazioni appaltanti, prima di iniziare le procedure di affidamento dei lavori, devono verificare la rispondenza degli elaborati progettuali ai documenti di cui all’art. 93 e art. 112 del codice e la loro conformità alla normativa vigente (verifica e validazione del progetto).
Un profilo critico emerge quando l’applicazione della normativa sopraggiunta non sia obbligatoria ma solamente opportuna: esempi sintomatici sono le norme in tema di sicurezza degli impianti o quelle relative all’abbattimento di barriere architettoniche, che contengono spesso delle deroghe).
In questa ipotesi, la scelta della stazione appaltante di procedere ad approvare la relativa perizia deve essere ponderata anche in relazione all’urgenza dei lavori, considerando che, verosimilmente, la sua approvazione necessiterà di una sospensione quantomeno parziale dei lavori.
La seconda ipotesi di variante è legata al verificarsi di cause impreviste e imprevedibili che che tuttavia diversamente dall’ipotesi precedente non dipendono da un intervento normativo bensì da un fatto umano o naturale. Si tratta di una
clausola atipica, nella quale possono farsi rientrare eventi di forza maggiore e caso fortuito (lett b)167. Al riguardo si pone la questione circa la relazione di questa causa con l’errore progettuale, poiché la necessità di una corretta distinzione è importante non solo per i diversi effetti in caso di superamento del quinto, ma anche sul regime delle sospensioni, posto che quella per errore progettuale è ab origine illegittima. Sul punto si può solo osservare, in termini generali, che il problema non pare tanto essere quello di vedere se la stazione appaltante abbia previsto l’evento in sede di progettazione quanto se abbia posto in essere quei accorgimenti e quelle precauzioni che la legge richiedeva per evitarlo: così, ad esempio, configurerebbe senz’altro errore progettuale il ritrovamento archeologico superficiario in zona storica, laddove l’Amministrazione (rectius il progettista) non abbia compiuto alcun preventivo rilievo.
È permesso, inoltre, alla stazione appaltante di beneficiare del progresso tecnologico i cui effetti si manifestino in corso d’opera. La variante è ammessa unicamente ove si accerti, in seguito al contratto e alla redazione del progetto, la possibilità di utilizzare materiali, componenti ovvero tecnologie che possono determinare, senza nuovi oneri, miglioramenti nella qualità dell’opera o di sue parti significative. Sono pertanto escluse le variazioni non idonee a determinare miglioramenti rilevanti dell’opera, ovvero dirette ad alterare l’impostazione progettuale originaria. Anche in questa ipotesi il carattere sopravvenuto deve essere accertato obiettivamente, mentre il limite quantitativo si spiega con il fatto che l’opera comunque potrebbe essere realizzata anche senza tali miglioramenti.
Legittimano, ancora, il ricorso a variazioni progettuali eventi sopravvenuti “inerenti la natura e la specificità dei beni” sui quali si interviene, ovvero rinvenimenti imprevisti o non prevedibili nella fase progettuale (lett. c). In tale ipotesi, vengono fatti rientrare gli eventi diversi sia dalle cause naturali (si pensi, per esempio, al crollo di un muro nel corso dei lavori) di cui alla precedente lettera b) che dalla cosiddetta sorpresa geologica di cui alla successiva lettera d). L’ ipotesi, sui rinvenimenti imprevisti ed imprevedibili in fase progettuale, che
sembra alludere ad interventi su beni preesistenti, in definitiva altro non è che una sorta di specificazione quella di cui alla lettera b). Anche per tale causa valgono le considerazione circa il rapporto con l’errore progettuale.
3.3.2. La c.d. sorpresa geologica
Un’altra ipotesi di modificabilità del progetto è connessa al manifestarsi, nel corso di esecuzione, di difficoltà di esecuzione, derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti. Deve trattarsi di difficoltà tali da rendere notevolmente più onerosa la prestazione dell’appaltatore168 e per le quali l’art. 1664, 2 comma c.c., riconosce a quest’ultimo il diritto ad un equo compenso.
Infine sono ammesse variazioni a seguito della scoperta di errori o omissioni del progetto esecutivo, che possono pregiudicare, anche solo in parte, la realizzazione dell’opera o la sua successiva utilizzazione170. Perché si verifichi l’errore progettuale occorre che gli errori pregiudichino in tutto o in parte la realizzazione dell’opera o la sua utilizzazione: dunque, non è punibile l’errore in se ma è necessario, perché si verifichi questa fattispecie, che l’errore o l’omissione del progettista cagioni un effettivo pregiudizio. Qualora ricorrano i suddetti presupposti per disporre una variante, il responsabile del procedimento ne dà
È inoltre previsto che nel caso di appalti che comprendono progettazione esecutiva ed esecuzione di lavori, l’appaltatore risponde dei ritardi e degli oneri conseguenti alla necessità di introdurre varianti in corso d’opera a causa di carenze del progetto esecutivo. In tale ipotesi, la variante determinata da errore progettuale è imputabile anche all'appaltatore, in quanto contrattualmente è tenuto, oltre alla realizzazione dei lavori, anche all'obbligo di redigere il progetto esecutivo.
Un regime a se riguarda i c.d. aspetti di dettaglio e le variazioni nell’interesse dell’amministrazione.
Il comma 3, primo periodo, dell’art. 132 individua anche le cd. varianti non varianti, cioè modifiche disposte dal direttore dei lavori che riguardano aspetti di dettaglio, cioè innovazioni di scarso rilievo tecnico che non comportano alcun aumento di spesa in base all'importo del contratto stipulato, comunque contenute entro un importo non superiore al 10% per i lavori di recupero, ristrutturazione, manutenzione e restauro o al 5% per ciascuna delle categorie di lavoro dell'appalto.
In particolare il legislatore in un’ottica di flessibilità, ha inteso affidare al Direttore dei lavori un certo potere interpretativo del progetto, circondandolo però di precisi limiti. Da un lato, legittimando tale potere solo per risolvere “aspetti di dettaglio” e, dall’altro, rendendolo esercitabile solo attraverso
172 Al riguardo si ricordi, che ex art. 111 del Codice, il progettista deve essere munito di una polizza di responsabilità civile professionale, che deve coprire, oltre alle nuove spese di progettazione, “anche i maggiori costi che la stazione appaltante deve sopportare per le varianti di cui all'art 132 comma 1, lettera c), resesi necessari in corso di esecuzione” (cioè derivanti da errore di progettazione). Sul punto si veda anche la decisione del Consiglio di Stato, sez. V, del 13/3/2007, sentenza n. 1231 e la determinazione dell'Autorità di vigilanza dei lavori pubblici n. 6 dell'11/7/2007.
3.3.3. Il procedimento di autorizzazioni delle varianti174
E’ il direttore dei lavori, qualora ravvisi la necessità di una variante e ne accerti la legittimità ai sensi dell’art. 132 del Codice, che detiene il potere di iniziativa per cui “sentiti il responsabile del procedimento e il progettista, promuove la redazione di una perizia suppletiva e di variante indicandone i motivi in un’apposita relazione da inviare alla stazione appaltante” (art. 134, comma 3,
D.P.R. 554/99).
Acquisiti il parere del Progettista e del Responsabile del Procedimento il Direttore dei lavori inoltra all’Amministrazione la richiesta di autorizzazione all’elaborazione della perizia.
È il Direttore dei lavori che, ai sensi del comma 5 dell’art 134 del DPR 554/99, impartisce in forma scritta l’ordine gli ordini di variazione all’impresa appaltatrice: gli ordini di variazione devono fare espresso riferimento all’intervenuta approvazione, salvo nel caso di modifiche ai sensi dell’art. 132, comma 3 primo periodo (le cosiddette “varianti non varianti”).
L’Amministrazione da parte sua, ha 45 giorni di tempo per comunicare all’appaltatore le proprie determinazioni in ordine alle condizioni offerte: l’eventuale inerzia della stazione appaltante nel termine indicato, costituisce manifestazione di accettazione tacita delle condizioni poste dall’appaltatore (art. 10, comma 3, D.M. 145/2000). In questa ipotesi non resta al Responsabile del Procedimento che ingiungere, per il tramite del Direttore dei lavori, un Ordine di servizio con cui ordinare le lavorazioni oggetto di perizia.
All’appaltatore che non accetti i nuovi prezzi determinati ed approvati secondo gli indici di cui all’art 136177, la stazione appaltante può ingiungere l’esecuzione
quadro economico del progetto approvato; o del responsabile del procedimento quando le variazioni non comportino la necessità di ulteriore spesa; per le varianti migliorative di modesta entità in aumento o in diminuzione redatte ai sensi dell’art. 132 comma 3 secondo periodo, l’approvazione della perizia è di competenza del responsabile del procedimento, previo accertamento della loro non prevedibilità, quando si può provvedere alla copertura dell’aumento di spesa attraverso l’accantonamento per imprevisti o utilizzando, ove consentito, le economie derivanti dai ribassi conseguiti in sede di gara; nel caso in cui non si possa provvedere alla copertura finanziaria nei modi sopra descritti, la variante deve essere approvata dall’organo decisionale della stazione appaltante previo parere dell’organo che ha approvato il progetto originario (art. 134, comma 10, D.P.R. 554/99).
177 L'articolo 136 per la formazioni di nuovi prezzi indica tre diverse modalità:
a. Desumendoli dai prezziari della stazione appaltante ovvero dei listini correnti nell’area interessata
b. Ragguagliandoli alle lavorazioni consimili
c. Ricavandoli da nuove e regolari analisi
delle lavorazioni in conformità a detti prezzi, in ogni caso ammessi alla contabilità: ove l’appaltatore non iscriva riserva negli atti contabili nei modi previsti dal Regolamento, i prezzi s’intendono definitivamente accettati.
3.3.4. Le variazioni arbitrarie dell’appaltatore
Nessuna variazione al progetto può essere apportata di propria iniziativa da parte dell'appaltatore, dovendo le varianti avere in ogni caso l'approvazione dell'amministrazione appaltante. In giurisprudenza è stata ritenuta illegittima l'approvazione di una perizia di variante ad un contratto di appalto per l'esecuzione di un’opera pubblica, intervenuta a sanatoria di modifiche apportate unilateralmente dall’impresa al progetto originario, “in quanto gli artt. 342 e 343 della legge fondamentale sui lavori pubblici vietano all’appaltatore di introdurre varianti o addizioni ai progetti originari non previamente approvati dall'autorità competente e senza avere ricevuto ordine scritto del direttore dei lavori”.178
Ed è stato anche precisato che neppure “ la contabilizzazione e la pronunzia del collaudatore sulla indifferibilità ed indispensabilità dei lavori eseguiti fuori dal contratto possono far sorgere a favore dell'appaltatore alcun diritto al compenso ove sia mancata una preventiva volontà dell'ente pubblico alla loro realizzazione, manifestata dal suo organo deliberante, od un riconoscimento, esplicito o
E’ discusso se l’ordine di determinazione sia meramente indicativo ovvero se esprima una ordine di preferenza del legislatore per cui si potrebbe passare ad applicare l’ipotesi b) solo laddove non sia possibile procedere secondo la lettera a). Al riguardo si è fatto condivisibilmente osservare che il criterio dell’alternatività e non della gerarchia sia preferibile atteso che “l’opposta tesi condurrebbe all’impossibilità generalizzata di applicare il criterio sub b) (che perciò diventerebbe tanquam non esset, laddove invece deve essere ricercato il senso utile di ogni disposizione legislativa o regolamentare) visto che quantomeno i “listini correnti nell’area interessata” sono sempre e comunque presenti”. Così X Xxxxxxx. X. Xxxxx Manuale di diritto dei lavori pubblici Xxxxx Xxxx Editore 2005 pag 461). In ogni modo qualora l’Amministrazione ritenga di avvalersi del criterio sub a) deve far riferimento alle quotazioni del proprio prezziario o ai listini relativi alla data di formulazione dell’offerta dell’impresa. Anche le analisi vanno effettuata con riguardo ai prezzi correnti al momento dell’offerta e una volta determinati vanno depurati del ribasso d’asta.
implicito, dello stesso sulla indispensabilità ed utilità dei lavori”179, fatta, tuttavia, salva l'ipotesi in cui “ le variazioni fossero indispensabili per l'esecuzione dell'opera e concorrano gli altri presupposti di cui all'art. 103 R.X. 00 xaggio 1895 n. 350, nel qual caso l'appaltatore - sempre che ne abbia fatto riserva - ha diritto ad una controprestazione monetaria determinata sulla base, non già dei principi dell'indebito arricchimento, ma dei prezzi contrattuali o, in mancanza, dei prezzi determinati a mente degli artt. 21 e 22 R.X. x. 000 xel 1895 cit.”180. L'appaltatore, poi, può pretendere un maggior compenso per le variazioni e le addizioni di lavori non previste dal contratto, quando il direttore dei lavori abbia richiesto od autorizzato con ordine scritto le variazioni ed addizioni, ovvero, in difetto di ordine scritto, quando sia stata fatta nel verbale di collaudo espressa menzione della loro esecuzione e necessità al fine della realizzazione dell'opera pubblica181. Ed il diritto dell'appaltatore di opera pubblica a compenso per variazioni od addizioni, non previste dal contratto, deve essere riconosciuto non soltanto quando i relativi lavori siano stati espressamente ordinati od autorizzati, ma anche quando siano stati menzionati nel verbale di collaudo, e questo abbia avuto l'approvazione dall'Amministrazione appaltante, col riconoscimento della necessità dei lavori stessi182. Quello che non è consentito all'appaltatore è, invece, consentito all'amministrazione alla quale è riconosciuto un diritto potestativo di imporre all'appaltatore l'esecuzione di varianti al progetto “ a condizione che rimanga rispettata la natura essenziale dell'opera” e che “le variazioni o aggiunte non importino una modifica sostanziale del progetto iniziale”183. Secondo la giurisprudenza amministrativa, le variazioni dell'originario progetto di opera pubblica che ricadono nel particolare potere di jus variandi, ammissibile nella limitata misura di un quinto dell'importo originario del contratto, si impongono all'appaltatore, il quale è tenuto a considerare le variazioni accedenti fin dall'origine al contratto e da eseguire alle stesse condizioni contrattuali, per cui le
179 Cass. Sez. I, 25 novembre 1996 n. 10428
180 Cass. 28 giugno 1995 n.. 7282
181 Cass. civ. 4 novembre 1982 n. 5792
182 Cass. civ. su 19 aprile 1990 n. 3263
183 Cass. sez. I 13 luglio 1983, n. 4760
184 Tar Lazio, Roma 11 maggio 1994, n. 685.
Capitolo 4
Lo scioglimento del contratto
4.1. La morte dell’appaltatore
L’art. 1674 c.c., ribaltando la previsione del codice di commercio del 1865, stabilisce che il contratto di appalto non si scioglie per la morte dell’appaltatore salvo la considerazione della sua persona sia stato motivo determinante del contratto. Il committente può sempre recedere dal contratto se gli eredi dell’appaltatore non danno affidamento per la buona esecuzione dell’opera o del servizio. A ben vedere, nel sistema delineato dal legislatore, la trasmissibilità costituisce regola generale185, sul rilievo che l’appaltatore si avvale di struttura imprenditoriale, indifferente come tale agli eventi che possono riguardare il titolare dell’impresa.
La dottrina186, peraltro, specifica che la dimostrazione relativa alla considerazione della persona dell’appaltatore deve avere riguardo, di volta in volta, al caso concreto, e fare riferimento alla peculiarità dei lavori commessi in appalto.
185 Tale regola tuttavia è subordinata alla sussistenza di due condizioni:
a)la considerazione della persona dell’imprenditore non deve essere stata “determinante” per la conclusione del contratto, altrimenti si verifica ipso iure lo scioglimento;
b)gli eredi dell’appaltatore devono fare affidamento per la buona esecuzione dell’opera o del servizio, per cui in mancanza (e tanto più in assenza di eredi) il committente è legittimato a recedere dal contratto.
186 Xxxxxx Xxxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxx, L’appalto, in trattato di diritto civile italiano, Utet 1980.
187 Tar Sicilia sez I Palermo 18.7.1988 n. 493 in FA 1989, 346.
Di conseguenza, in questa prospettiva, l’assenza di un’organizzazione imprenditoriale implica l’impossibilità della continuazione del contratto, venendo in rilievo principale, in tale evenienza la considerazione della persona dell’appaltatore.
4.2. Il fallimento dell’appaltatore
Il fallimento di una delle parti è motivo di scioglimento del contratto di appalto188, a meno che il curatore, sentito il comitato dei creditori, se nominato, e con l’autorizzazione del giudice delegato, non manifesti la volontà di subentrare nel rapporto, dandone avviso all’altra parte entro venti giorni dalla dichiarazione di fallimento ed offrendo garanzie idonee. Non può aversi continuazione del rapporto se la considerazione della persona dell’appaltatore è stata motivo determinante del negozio.
Secondo la giurisprudenza189, l’art.81 l. fall. non può trovare applicazione qualora l’appaltatore fallito fosse già inadempiente alla data di dichiarazione di fallimento e l’amministrazione committente avesse a tale data domandato la risoluzione giudiziale del contratto o avesse intrapreso la procedura amministrativa per giungere alla risoluzione in via di autotutela.
Tale orientamento, largamente condiviso in dottrina190 trova conferma nella giurisprudenza che, in più occasioni, ha stabilito come, ai sensi dell’art. 81 l. Fall. “il contratto di appalto di opere pubbliche si sciolga ope legis per effetto del fallimento dell’appaltatore”191.
La ratio dell’istituto è quella di assicurare alla collettività la celere ultimazione delle opere la cui esecuzione sia stata interrotta, al fine di evitare il degrado e l’ammaloramento delle lavorazioni già eseguite, necessariamente conseguenti ai tempi occorrenti per l’esperimento di una nuova procedura ad evidenza pubblica. Per tali finalità il legislatore ha introdotto una eccezione193 alla regola della gara pubblica per l’affidamento di contratti di appalto prevedendo la facoltà per le stazioni appaltanti di interpellare in ordine progressivo i concorrenti della originaria gara risultanti dalla relativa graduatoria al fine di affidare direttamente ad essi, con un nuovo contratto di appalto, le lavorazioni residue di completamento dell’opera194.
1987, in Giur. it. 1988, I, 2, 254; Appello Palermo 30 marzo 1999, in Fallimento 2000, II, 182; Cass. civ., sez. I, 26 febbraio 1991 n. 2052, in Giust. civ. Mass. 1991, II
Nel testo novellato dal d.Lgs. n. 152/2008 è stato previsto che l’eventuale affidamento al soggetto interpellato debba avvenire alle medesime condizioni già proposte dall’originario aggiudicatario in sede di offerta. In tal modo però il legislatore ha reso improbabile la concreta possibilità di adesione da parte del soggetto interpellato alle condizioni contrattuali che aveva già ritenuto non remunerative in sede di presentazione dell’offerta, e dunque la effettiva operatività del l’istituto.
4.2. Il recesso
La prima causa di estinzione del contratto di appalto è rubricata “recesso unilaterale del contratto”, anche in conseguenza del particolare ruolo che assume l’intuitus personae, in tale tipologia di contratti la possibilità del creditore committente di recedere dal contratto è più ampia di quanto non sia negli altri contratti in base alle regole comuni.
L’art. 1671 c.c. consente la possibilità del recesso unilaterale anche in corso d’opera o durante la prestazione del servizio, a condizione195 che l’appaltatore sia tenuto indenne delle spese sostenute, dei lavori eseguiti, nonché del mancato guadagno.
Altra giurisprudenza enfatizza il fatto che il recesso del committente dal contratto di appalto può essere esercitato in qualunque momento posteriore alla conclusione del contratto196 ed essere giustificato anche solo dalla sfiducia verso l’appaltatore per fatti d’inadempimento.
Ne consegue che, in caso di recesso, il contratto si scioglie per l’iniziativa unilaterale del committente senza necessità di indagini sull’importanza e gravità dell’inadempimento197 le quali sono rilevanti soltanto quando il committente abbia preteso anche il risarcimento del danno dall’appaltatore per l’inadempimento in cui questi fosse già incorso al momento del recesso.
196 Cass. 30 marzo 1985, n. 2236, in Giust. Civ. 1986, I, pag. 511.
197 Cass. 30 marzo 1985, n. 2236, in Giust. Civ. 1986 I pag. 512.
Il recesso è, dunque, una facoltà legittima, configurabile come il diritto potestativo di risolvere ex uno latere il contratto senza necessità di giustificazione alcuna, anche nel caso che ne sia iniziata l’esecuzione, in eccezione ai principi stabiliti dagli artt. 1372 e 1373 c.c..
Il recesso ad nutum del committente rappresenta l’esercizio di un diritto potestativo riservato alla libera determinazione del recedente198 e sottratto al controllo di terzi e dell’appaltatore, senza che assumano rilievo i motivi che lo hanno determinato199. In quanto diritto potestativo, l’appaltatore non può in nessun caso opporsi200 al diritto di recesso del committente.
Il recesso, però, non può essere esercitato201 dopo che è stata proposta la domanda di risoluzione per inadempimento202, essendo stato innescato il procedimento di valutazione comparativa dei comportamenti delle parti non più arrestabile ad libitum mediante il recesso, soprattutto se nel giudizio l’appaltatore abbia a sua volta proposto domanda riconvenzionale di risoluzione per inadempimento del committente.
Il recesso del committente non è norma inderogabile, così i contraenti possono legittimamente convenire conseguenze diverse da quelle previste dalla norma stessa. A tal punto che in dottrina si è prospettata l’ipotesi che le parti possano attribuire un diritto di recesso pure all’appaltatore203, e limitarne le modalità di esercizio per il committente, fino ad escluderlo.
199 Cass. 7 agosto 1993, n. 8565, in Giust. Civ. 1994, I pag 3245
201 Per tutti Cass. 5 settembre 1994 n. 7649 in Rep. Gius. civ.1994, n. 29
Il recesso senza giustificato motivo, detto anche recesso ad nutum, è stato dal legislatore scelto come strumento di tutela di situazioni giuridiche deboli.
La disciplina è rimasta sostanzialmente invariata rispetto a quanto previsto dal previgente quadro normativo e in particolare, dall’art. 122 del d.p.r. n. 554/1999 e dall’art.345 della legge n.2248 all. F del 1865.
4.4. La risoluzione del contratto
In linea generale, può dirsi che la maggior parte della casistica inerente alla risoluzione del contratto riguarda l’inadempimento di una delle parti207, al quale l’altra (quella non inadempiente) reagisce chiedendo al giudice di sciogliersi dal contratto e di ottenere il risarcimento del danno. Di fianco a siffatta forma risolutiva, il Codice civile (v. gli artt. 1463-1467) stabilisce altre due ipotesi (una propria e una impropria) nelle quali è possibile chiedere la risoluzione del contratto: la risoluzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione e la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione208.
208 La locuzione impossibilità sopravvenuta della prestazione indica la possibilità di svincolo dal contratto qualora la prestazione pattuita divenga in tutto o in parte impossibile; la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione indica la plausibilità di venir meno alla parola originariamente data allorché si attualizzi un appesantimento della prestazione da effettuare verso l'altro contraente nei confronti della controprestazione da questi esigibile, tale che il valore della prima sia in peius sproporzionato rispetto al valore della seconda.