Diritto pubblico per l’economia
Diritto pubblico per l’economia
I presupposti filosofici del princip
sussidiarietà orizzontale
Xxxxxx Xxxxxxxxx
775077
XXVIII
2014/2015
Indice
INTRODUZIONE CAPITOLO I
L’OBBLIGAZIONE POLITICA DELLA
DOTTRINA GIUSNATURALISTICA: XXXXXXX, XXXXXX, XXXXX
Considerazioni introduttive | p. 15 |
Paragrafo I Il contrattualismo in Grotius | p. 16 |
Conclusioni | p. 22 |
Paragrafo II | |
Il contrattualismo in Xxxxxx | p. 22 |
Conclusioni | p. 34 |
Paragrafo III Il contrattualismo in Xxxxx | p. 35 |
Conclusioni | p. 45 |
Conclusioni finali | p. 46 |
CAPITOLO II
LA DOTTRINA DI XXXXX SULL’ETICITA’
Considerazioni introduttive p. 47
Paragrafo I
La critica di Xxxxx al formalismo kantiano della libertà p. 49 Conclusioni p. 64
Paragrafo II
“Der an und für sich seiende Xxxxx” p. 65
Conclusioni p. 87
Paragrafo III
Il rapporto tra Xxxxx e il giusnaturalismo p. 87
Conclusioni finali p. 107
CAPITOLO III
LO SVILUPPO DIALETTICO DELLA LIBERTA’ NELL’ORDINAMENTO COSTITUZIONALE ALLA LUCE DEL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’: LA FAMIGLIA, LA SOCIETA’ CIVILE, LO STATO
Considerazioni introduttive p. 111
Paragrafo I
La famiglia p. 114
Conclusioni p. 158
Paragrafo II
La “bürgerliche Gesellschaft”
§ 1 Il fondamento sostanziale del principio di sussidiarietà
p. 159
§ 2 La formulazione del principio di sussidiarietà nell’art. 118, ult. c., Cost. p. 185
Conclusioni p. 201
Paragrafo III
Lo Stato e la rappresentanza politica
§ 1 La concezione organica dello Stato p. 201
§ 2 Il libero mandato parlamentare p. 227
§ 3 La rappresentanza politica come partecipazione e mediazione p. 254
Conclusioni p. 265
CONCLUSIONI FINALI BIBLIOGRAFIA
INTRODUZIONE
Lo scopo di questo lavoro è dimostrare, secondo la scienza del diritto pubblico, la profonda coerenza logica, l’intrinseca coesione razionale, fra il principio di sussidiarietà “orizzontale”, o sociale, e il principio della rappresentanza politica, entrambi proclamati dalla Carta costituzionale.
Il primo è enunciato espressamente dall’art. 118, ult. c., Cost.1, pur ritenendo che, come si vedrà in seguito, esso abbia la propria sedes materiae soprattutto nell’art. 2 Cost.; il secondo invece è sancito dall’art. 67 Cost., determinandosi ulteriormente nel divieto di vincolo di mandato parlamentare. Come è noto, il principio di sussidiarietà in senso sociale, prima ancora di essere introdotto nel diritto costituzionale vigente, è formulato a livello teorico dalla dottrina sociale della Chiesa Cattolica.
Secondo il Magistero ecclesiastico, il contenuto essenziale della sussidiarietà è l’espressione di una filosofia dell’azione in ambito civile, diretta alla realizzazione del bene comune: in questa concezione, l’autorità politica esercita una funzione integrativa di sostegno, orientata alla piena realizzazione della persona umana sia da un punto di vista materiale, che spirituale.
1 Giova ricordare che questa disposizione costituzionale enuncia, al suo 1° c., anche il principio di sussidiarietà in senso verticale: esso disciplina i rapporti fra i diversi livelli di governo territoriale, con particolare riferimento all’esercizio delle funzioni amministrative, le quali sono attribuite ai Comuni, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato.
In polemica con le ideologie del liberalismo individualistico e dell’interventismo statalista, dominanti tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, la dottrina della Chiesa si preoccupa di valorizzare la libera responsabilità sia dei singoli che dei corpi intermedi, come la famiglia, le comunità, le corporazioni, le stesse realtà religiose, i gruppi associativi, al fine di realizzare una società articolata e pluralista, che consenta lo sviluppo dell’uomo nel modo più libero e responsabile, prevedendo limiti istituzionali che frenino l’ingerenza dello Stato nella vita collettiva e individuale2.
Secondo l’ispirazione più profonda del principio di sussidiarietà, come non è lecito sottrarre agli individui ciò che essi sono in condizioni di compiere con le proprie forze e la propria laboriosità, allo stesso modo costituisce una grave alterazione dell’ordine sociale “quae a minoribus et inferioribus communitatibus effici praestarique possunt, ea ad maiorem et altiorem societatem avocare” 3.
Perciò, è necessario che lo Stato lasci che le comunità minori e inferiori si occupino degli affari meno rilevanti, in modo tale che esso possa esercitare con maggiore libertà, forza ed efficacia le sue funzioni finalizzate all’interesse generale della società politica, che consistono “dirigendo, vigilando, urgendo, coercendo, prout casus fert et necessitas postulat”
4.
2 X. XXXX, Katholische Soziallehre. Eine Einführung, tr. it., Piemme, Casale Monferrato, 1996, pp. 184-185.
3 XXXX XX, Quadragesimo Anno, 5. Societatis ordo instaurandus, 1931, in x0.xxxxxx.xx.
4 Ibidem.
Il principio di sussidiarietà affonda le proprie radici ideali, nel corso dei secoli, in una lunga tradizione di pensiero risalente ad Xxxxxxxxxx, passando attraverso filosofi come Xxxxxxx x’Xxxxxx e Xxxxxxx0, fino ad essere accolto dai Pontefici con le loro Lettere encicliche, tra le quali si evidenziano in modo particolare la Rerum Novarum di Xxxxx XXXX del 1891, la Quadragesimo Anno di Xxx XX del 1931, nella quale esso viene proclamato in modo esplicito e solenne, e, infine, la Centesimus Annus di Xxxxxxxx Xxxxx XX del 1991, in cui ne sono affermati incisivamente il valore e l’attualità nella società contemporanea6.
Come sostiene in modo condivisibile Xxxxxxx, citando Xxxxxxxx, non sussiste alcuna antropologia filosofica che non sia anche rilevante politicamente e, nel medesimo tempo, non c’è nessuna politica irrilevante sul piano filosofico7.
Riteniamo che questa massima sia applicabile anche al pensiero sociale della Chiesa, dal quale emerge una precisa antropologia politica in cui tutti gli uomini sono considerati titolari di diritti fondamentali inviolabili, poiché tutti sono uguali nella loro dignità ontologica di creature.
Precisamente, ispirandosi alla filosofia aristotelico-tomista, nell’insegnamento della Chiesa la persona umana ha un fondamento metafisico: essa si distingue dagli altri esseri viventi perché è dotata di intelletto, volontà e libertà, secondo un criterio morale definibile come “normalità essenziale”;
5 X. XXXXXXXXX, Disegno della amministrazione italiana. Linee positive e prospettive, Cedam, Padova, 1996, p. 111.
6 x0.xxxxxx.xx.
0 X. XXXXXXX, Xxx Xxxxxxx xxx Xxxxxxxxxxx, Xxxxxxx & Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, passim.
inoltre, una seconda differenziazione è che lo scopo dell’esistenza umana coincide con una vita condotta in conformità ai dettami della ragione, secondo un principio di “normalità teleologica”.
La “normalità essenziale” indica la normalità di funzionamento della natura umana, mentre la “normalità teleologica” evidenzia il fine proprio a cui l’essere umano deve tendere per esprimere in pienezza la propria vocazione naturale e spirituale: in un certo senso, si può dire che la normalità teleologica riguarda la sua “normalità di destinazione”8.
Quest’ultima è il compimento della normalità essenziale: la natura concepita come τέλος coincide con lo sviluppo finale della natura concepita come εἶδος; dunque, secondo questa filosofia morale l’essenza di qualsiasi cosa, compreso l’uomo, ne è insieme anche il fine, indicando anche come la cosa “deve essere”.
Ciò significa che la piena realizzazione dell’essenza di una determinata cosa coincide con il fine della cosa stessa; il finalismo come determinazione del divenire, del moto e del venir mosso è una proprietà dell’essere: così, l’ordine ontologico ha un suo finalismo naturale9.
L’uomo è parte costitutiva di quest’ordine naturale, ma con una propria peculiarità; egli, per quanto concerne la sua dimensione corporea, è sottoposto insieme a tutti gli altri
8 X. XXXXX, Divisi dal bene comune, in X. XXXXXXXXX - P. XXXXX (a cura di), Il lato oscuro della sussidiarietà, Xxxxxxx, Milano, 2013, nota 1 a piè di p. 3.
0 X. XXXXXX, Xxx Xxxxx in der katholischen Gedankenwelt, tr. it., Xxxxxxx, Milano, 1964, p. 43.
organismi viventi alle leggi fisiche della causalità e della necessità: tuttavia, si distingue qualitativamente da essi, poiché si caratterizza per avere intellezione, volizione e libertà.
In altre parole, l’ordine naturale del mondo si forma tanto negli esseri privi di ragione, quanto nell’uomo, ma attraverso modalità rispettivamente differenti: mentre per i primi esso si presenta in quanto legge causale, come cieca necessità, invece, nel secondo esso coincide con il libero volere della legge morale.
Quindi, la normalità teleologica si costituisce nell’essere umano, libero e razionale, come una finalità che deve essere realizzata praticamente, cioè come un finalismo normativo10. In questa concezione classico-tomista, il dover essere ha una radice essenzialmente ontologica: l’ordine dell’essere descrive alla ragione e prescrive alla libertà umana un ordine assiologico di diritto naturale, che deve tradursi da parte dell’uomo in una vita condotta in conformità al recte vivere, praticando le fondamentali virtù morali, come la prudenza e la giustizia11.
Alla luce di queste premesse filosofiche, si giustifica l’importanza che assume nella vita sociale il principio di sussidiarietà orizzontale: esso assegna all’autorità civile un compito integrativo di aiuto per la libera esplicazione dell’individualità umana, affinché la stessa dignità ontologica della persona si traduca concretamente anche in una dignità
10 Idem, p. 48.
11 Idem, p. 69.
sociale riconosciuta come insopprimibile dallo Stato e da ogni altro soggetto della comunità politica12.
Ovviamente, la realizzazione di questa finalità non avviene nell’isolamento, ma nella relazione interpersonale, dal momento che l’uomo è portato naturalmente alla vita associata.
Pur in continuità con alcuni aspetti del pensiero aristotelico, tuttavia, giova osservare che nella prospettiva teologico- trascendente del Magistero sociale, il bene comune della società politica si riferisce soltanto alla felicitas in temporalibus rebus, non anche alla felicitas aeterna in spiritualibus rebus.
Proprio in questa distinzione tra la finalità penultima e la finalità ultima, si radica la distanza fra l’ordine etico-politico della classicità pagana e quello della dottrina cattolica per la quale il destino dell’uomo non si compie interamente nello
12 X. XXXXXX-DELSOL, L’Etat subsidiaire: ingérence et non- ingérence de l’Etat: le principe de subsidiarité aux fondements de l’histoire européenne, Presses universitaires de France, Paris, 1992, passim. Con particolare riferimento al problema della violazione della dignità personale da parte di soggetti privati, v. X. XXXXXXXX - X. XXXXXXXX, Teoria generale dello Stato e della Costituzione. Un’antologia ragionata, X. Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2009, p. 41, dove si dice che la Suprema Corte degli U.S.A. ha formulato, nel 1948, la c.d. “State Action Doctrine”, secondo cui i diritti fondamentali possono essere tutelati non solo nei confronti dello Stato, ma anche contro i privati, qualora un gruppo di potere violi la libertà di persone appartenenti a determinate minoranze.
Stato: piuttosto, la persona trascende quest’ultimo, “tendendo a un fine superiore a quello delle singole civitates” 13.
In questa prospettiva escatologica, il principio di sussidiarietà riguarda lo sviluppo temporale dell’uomo attraverso un pluralismo dialogico qualificato in senso solidaristico dalla cooperazione interpersonale in funzione del bene comune14.
Quest’ultimo è definito in modo emblematico nella Lettera enciclica di Papa Xxxxxxxxx, il quale, richiamandosi alla Costituzione pastorale Gaudium et spes, afferma che esso è l’insieme di quelle condizioni della vita sociale “<<quae tum
13 X. XXXXXXXXX, La sussidiarietà nell’eclisse del bene comune: la mediazione costituzionale, in X. XXXXXXXXX - P. XXXXX (a cura di), Il lato oscuro cit., p. 108. La distinzione gerarchica fra l’ordine subordinato delle finalità naturali e quello sovraordinato delle finalità soprannaturali riflette la tesi tomista dell’armonia fra la ragione e la fede, tesi che, oltre ad essere ripresa nella contemporaneità da XXXXXXXX XXXXX XX con la Lettera enciclica Fides et Ratio del 1998 (in x0.xxxxxx.xx), aveva già trovato la propria formulazione letteraria nel Purgatorio dantesco, laddove l’Alighieri elabora in termini poetici la distinzione, tipicamente scolastica, fra l’indagine speculativo-razionale (cioè la filosofia, paradigma della ragione, impersonata da Xxxxxxxx) e la conoscenza della verità rivelata (cioè la teologia, paradigma della fede, impersonata da Xxxxxxxx): vd. X. XXXXXXXXX, La Divina Commedia. Purgatorio, La Nuova Italia, Scandicci, 1991, XVIII, 46-48:
“Xx xxxx a me: <<Quanto ragion qui vede dir ti poss’io; da indi in là t’aspetta
pur a Xxxxxxxx, ch’è opra di fede (…)>>”.
14 X. XXXXXXXXX, La sussidiarietà nell’eclisse cit., in X. XXXXXXXXX - P. XXXXX (a cura di), Il lato oscuro cit., p. 135.
coetibus, tum singulis membris permittunt ut propriam perfectionem plenius atque expeditius consequantur>>” 15.
Questa definizione implica che l’autorità politica non crei ideologicamente, né imponga un ordine artificioso alla società dall’esterno, né aspiri all’ambizione totalitaria di rigenerare una nuova umanità magari purificata dalla caducità della colpa originaria.
Alla luce di tali premesse teoriche deriva che, per il Magistero, il principio di sussidiarietà è un principio di filosofia morale, il quale disciplina l’esercizio di un’azione indirizzata alla realizzazione completa dell’uomo sia nella sfera dei rapporti economico-sociali, come nella vita personale.
In quest’antropologia filosofica, lo Stato è assimilato ad un corpus politicum mysticum de iure naturali, in cui l’autorità politica è titolare di una potestà direzionale da esercitarsi in vista del bene comune e della giustizia sostanziale.
Secondo questa concezione personalista, è necessario che la potenziale conflittualità insita nella molteplicità dei rapporti e degli interessi particolari, presenti in ogni ambito del vivere civile, venga saggiamente guidata e ricondotta ad unità sintetica all’interno di un armonico ordine politico, in modo tale che ogni persona possa vedere concretamente riconosciuta la sua libertà e la propria dignità sociale16.
In questo breve riassunto abbiamo indicato il paradigma antropologico-politico che l’insegnamento autorevole della
15 XXXXXXXXXX, Xxxxxxx si’, 2015, 156, in x0.xxxxxx.xx.
16 Per il personalismo, v. X. XXXXXXXX, La personne et le bien commun, tr. it., Xxxxxxxxxxx, Brescia, 1983, passim; nonché X. XXXXXXX, Le personnalisme, tr. it., A.V.E., Roma, 1989, passim.
Chiesa assume, in campo sociale, con la formulazione del principio di sussidiarietà.
Dal nostro esame emerge che il Magistero parla di sussidiarietà nei termini di una “filosofia dell’azione”, tale da orientare l’agire dell’uomo, sia singolo che associato, per edificare il bene della società, mediante le virtù morali della prudenza e della giustizia, applicate alla convivenza civile.
Come si è visto, il monito costante del Magistero è che le diverse autorità preposte alla guida istituzionale esercitino un’autentica funzione di ausilio per lo sviluppo integrale dell’uomo, compito promozionale che deve essere svolto a partire dalle formazioni sociali più vicine all’individuo, come la famiglia, passando per i corpi intermedi della società civile, per giungere, infine, allo Stato, proprio secondo la logica sussidiaria indicata dai Pontefici anche nei loro documenti più recenti17.
Alla luce di queste ultime considerazioni, riteniamo che nella
dottrina sociale della Chiesa il principio di sussidiarietà abbia un significato essenzialmente normativo-prescrittivo in senso morale: in altre parole, il Magistero persegue lo scopo “pratico” di orientare autorevolmente, con prudenza e sapienza, la vita individuale e sociale, affinché ogni persona possa realizzare la propria vocazione umana nella più totale pienezza e libertà, pur mantenendo una relazione solidale e fraterna con gli altri consociati.
Pertanto, com’è stato anticipato all’inizio, questo richiamo alla sussidiarietà da parte della Chiesa consiste in
17 XXXXXXXXXX XXX, Deus caritas est, 2005, 28, b), in x0.xxxxxx.xx; Id., Caritas in veritate, 2009, 7, in x0.xxxxxx.xx; XXXXXXXXXX, Laudato cit., 157, in x0.xxxxxx.xx.
un’importante “filosofia dell’azione” di derivazione classico- tomista.
Pur riconoscendo l’elevato prestigio dell’idea di sussidiarietà nell’insegnamento pontificio, tuttavia, non possiamo esimerci dall’osservare che l’intento del nostro lavoro - che è quello di dimostrare la profonda coerenza logica fra il principio di sussidiarietà “orizzontale” e la rappresentanza politica - non è un intento di ordine “pratico”, bensì “teoretico” o, più propriamente, “filosofico”, anche se finalizzato, ovviamente, alla comprensione concettuale degli istituti etici previsti dal diritto costituzionale vigente.
A tale proposito, riteniamo che le espressioni storiche della moralità sociale, come la famiglia, i corpi intermedi della società civile ove si svolge la personalità dell’uomo, fino a giungere allo Stato, nel loro complesso rivelino un ordine assiologico il quale, proprio perché ha in sé un contenuto intrinsecamente razionale, esige di essere compreso ed esplicitato nella sua profonda verità dalla ragione speculativa. La nostra tensione intellettuale, rivolta ad una conoscenza sempre più precisa del concreto universo etico, affonda le sue radici spirituali nella filosofia giuridica di Xxxxx.
Come questo filosofo sostiene autorevolmente, anche noi siamo d’accordo sul fatto che non c’è più bisogno di dire cosa siano il diritto, l’eticità e lo Stato, presi in considerazione unilateralmente, senza essere messi in relazione tra loro l’uno con l’altro: così intesa semplicisticamente, la loro verità è già “data”, dal momento che essa è “ebensosehr alt, als in den öffentlichen Gesetzen,
der öffentlichen Moral und Religion offen dargelegt und bekannt” 18.
Se così è, allora, si domanda Xxxxx in termini retorici ma efficaci, di cos’altro ha bisogno questa verità?
Il filosofo risponde, affermando che la verità ha bisogno di essere compresa concettualmente nella sua intrinseca razionalità, in modo tale che il contenuto, già di per sé razionale, dell’universo etico possa anche tradursi in categorie logico-formali elaborate dal pensiero umano19.
Quest’ultimo, proprio perché è libero (altrimenti, se non fosse “libero”, non sarebbe più un “pensiero”, ma soltanto la manifestazione di un determinismo causale o di una ferrea necessità naturalistica) non può limitarsi ad una conoscenza statica ed elementare della realtà etica: secondo Xxxxx, il pensiero libero non resta fermo al dato, fosse anche un dato legittimato dall’autorità dello Stato o dal consenso degli uomini o da un’intuizione emotiva, ma ha la pretesa di unirsi, nella sua più profonda interiorità, con la Verità20.
Spiegato in altri termini, Xxxxx sta dicendo che, per poter affermare con matura consapevolezza e responsabilità che nel mondo etico è insita una profonda razionalità, è necessario aver prima compreso in termini concettuali, attraverso il ricorso alla scienza filosofica, proprio lo sviluppo logico di questa ragione immanente nella realtà.
00 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie des Rechts, tr. it., Bompiani Testi a fronte, Milano, 2010, p. 42: “tanto antica, quanto pubblicamente esposta e nota nelle pubbliche leggi, nella pubblica morale e religione”.
19 Ibidem.
20 Ibidem.
Per questo motivo, Xxxxx esalta quell’attitudine mentale, che egli definisce “una grande caparbietà” (“Es ist ein großer Eigensinn” 21 ), che caratterizza il sorgere dell’epoca moderna, consistente nel non voler riconoscere nulla che non sia giustificato razionalmente dal pensiero filosofico.
Nonostante l’uso della parola “caparbietà” possa assumere apparentemente un’accezione negativa, si tratta, in realtà, di una “caparbietà” nobile, quasi eroica, la quale, come Xxxxx scrive in maniera condivisibile, “dem Menschen Ehre macht” 22, dal momento che esprime l’esigenza teoretica di comprendere in profondità il reale.
In questo nostro lavoro, ispirandoci idealmente alla dottrina di Xxxxx, vogliamo cercare di dimostrare come il principio di sussidiarietà orizzontale si leghi in modo coerente con il principio della rappresentanza politica, in base al quale il parlamentare è libero da vincoli giuridicamente rilevanti rispetto al suo collegio elettorale, poiché la sua funzione è quella di soddisfare gli interessi politici generali e non quelli di particolari gruppi sociali.
Come è stato anticipato, ribadiamo che, a differenza della
dottrina sociale della Chiesa, per noi la sussidiarietà assume essenzialmente un valore teoretico, intendendo con ciò una teoria della conoscenza che consenta di comprendere in modo adeguato il processo dinamico mediante il quale l’idea di libertà si realizza concettualmente nelle istituzioni dello Stato moderno.
Giova precisare che questo “divenire” della libertà non è un “realizzarsi” in termini empirici, ma, appunto, concettuali;
21 Idem, p. 62: “E’ una grande caparbietà”.
22 Ibidem: “fa onore all’uomo”.
ciononostante, non si tratta di una Weltanschauung meramente astratta, di un puro Sollen separato da ogni implicazione con la realtà storica: piuttosto, questo svolgimento si verifica secondo una serie di determinazioni logico-concettuali, ognuna delle quali corrisponde ai principali istituti etici previsti dal diritto positivo, quali sono la famiglia, la società civile, fino ad arrivare allo Stato, dove il cammino della libertà si compie in modo definitivo.
Ai fini della nostra ricerca, per sussidiarietà intendiamo il “principio dialettico”, immanente nel diritto positivo, che regola lo sviluppo concettuale dell’idea etica di libertà all’interno della famiglia, della società civile e della rappresentanza politica, rivelando alla ragione la loro intrinseca connessione con il “tutto”, secondo una concezione organica dello Stato, che approfondiremo nel corso di questo lavoro.
Già da queste poche righe emerge che, chiaramente, quando
parliamo di idea “etica” di libertà, intendiamo riferirci ad un concetto che trascende la libertà del singolo individuo, ma non per questo la nega, anzi la riafferma in maniera più potente, proprio perché la concretizza, ponendola in relazione con le istituzioni storiche previste dal diritto positivo.
Per rappresentanza politica, invece, assumiamo il principio attraverso il quale i corpi intermedi della società civile “partecipano” all’esercizio della sovranità statuale all’interno delle istituzioni parlamentari, per tendere insieme al bene comune.
Secondo la tesi che intendiamo esporre, riteniamo che il principio di sussidiarietà orizzontale vada letto in relazione con quello dell’art. 67 Cost., dal momento che con la rappresentanza politica il bene comune, che ha il suo inizio
nella famiglia e nelle formazioni sociali, si compie in modo definitivo nello Stato concepito come un organismo etico- spirituale, dove si completa l’elevazione del “particolare” all’“universale”.
Pertanto, considerando brevemente lo sviluppo interno del nostro lavoro, inizieremo ad esaminare le dottrine contrattualistiche di Xxxxxxx, Xxxxxx e Xxxxx, per stigmatizzarne l’inadeguatezza razionale, la loro visione astratta dell’uomo considerato il principio fondativo dello Stato, nonché i loro dilemmi aporetici irrisolti.
In seguito, attraverso la filosofia hegeliana dell’eticità, illustreremo come la libertà si realizzi nelle istituzioni sociali degli ordinamenti politici, comprendendo, in tal modo, come la sussidiarietà si radichi profondamente nel sistema concettuale dello Stato moderno.
Successivamente, applicando le categorie dogmatiche della dottrina di Xxxxx allo studio del diritto costituzionale, spiegheremo che, in base al nostro approccio teoretico, il principio di sussidiarietà è nient’altro che lo sviluppo dialettico dell’idea di libertà, che unisce insieme, nella loro necessità razionale, gli istituti giuridici della famiglia e della società civile.
Vedremo, tuttavia, come in questa dimensione “prepolitica” il concetto della libertà non si perfezioni in modo definitivo, dal momento che nella società civile i diritti individuali e i doveri inderogabili di solidarietà rimangono ancora in una tensione conflittuale tra loro: soltanto nella sfera politico- statuale, dove il principio di sussidiarietà si salda perfettamente con il principio di rappresentanza politica, lo sviluppo dialettico della libertà verso il bene comune giungerà al proprio compimento speculativo.
CAPITOLO I L’OBBLIGAZIONE POLITICA DELLA DOTTRINA GIUSNATURALISTICA:
XXXXXXX, XXXXXX, XXXXX
Considerazioni introduttive Nell’introduzione di questo lavoro è stato accennato che alla base della nostra formulazione del principio di sussidiarietà orizzontale c’è una concezione della libertà secondo la quale non si intende soltanto quella del singolo individuo, ma più propriamente la libertà che si concretizza nei diversi istituti etici previsti dal diritto positivo, come la famiglia, i corpi intermedi della società civile, fino ad arrivare allo Stato, attraverso la rappresentanza politica.
Ciononostante, in età moderna i principali esponenti del giusnaturalismo, Xxxxxxx, Xxxxxx e Xxxxx, assumono un concetto di libertà che si riduce alla libertà del singolo individuo considerato astrattamente come l’elemento fondativo dell’ordine politico-sociale.
Come in età feudale, quando lo Stato era una proprietà privata di particolari soggetti1, anche nella modernità continua la tendenza ad introdurre il diritto privato nel diritto pubblico: questa volta si tratta dell’impiego della categoria del contratto.
I filosofi giusnaturalisti sopra indicati cercano di spiegare razionalmente l’origine dello Stato, ricorrendo ad uno schema interpretativo tipicamente negoziale, che a volte si struttura come un contratto di tutti con tutti (il così detto pactum societatis), altre come un contratto fra questi tutti,
1 Sui rapporti fra feudalesimo e Stato patrimoniale v. X. XXXXXXXX
- X. XXXXXXXX, op. cit., pp. 8-10.
da un lato, e il sovrano e il governo, dall’altro (il così detto
pactum subiectionis)2.
Nel Medioevo in qualità di dominus, in epoca moderna in veste di parte contraente, in ogni caso, il singolo è sempre il criterio impiegato per giustificare lo Stato, senza rendersi conto della debolezza teoretica di questo metodo, dal momento che, così operando, non solo si confonde la sfera privata con quella pubblica, ma, in modo ancor più grave, si trasferiscono le determinazioni della proprietà e del contratto in una sfera, quale è quella dello Stato, che, riteniamo, sia assiologicamente superiore alla prima, oltre a precederla da un punto di vista logico, come vedremo più avanti nel corso del nostro lavoro3.
Dunque, in questo capitolo analizzeremo, nell’ordine, le teorie contrattualistiche di Xxxxxxx, Xxxxxx e Xxxxx, dimostrando per ognuno di essi come la loro concezione della libertà sia inadeguata per comprendere profondamente il concetto di sussidiarietà orizzontale, da noi formulato.
Paragrafo I
Il contrattualismo in Grotius
Nella dottrina di Xxxxxxx lo studio scientifico del diritto naturale si affranca da presupposti teologico-religiosi, fondandosi esclusivamente, in senso moderno, su una base razionale, squisitamente laica e dipendente interamente dalla riflessione filosofica dell’uomo.
A differenza di Xxxxxx, il quale recupera ancora principi argomentativi di derivazione classico-tomista, Xxxxxxx, invece, ha una visione moderna del diritto naturale, dal
0 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie cit., p. 178.
3 Ibidem.
momento che lo libera dalla dipendenza di qualunque ragione teologico-trascendente fondata sulla Rivelazione4. Tuttavia, apparentemente, nel pensiero speculativo di questo giurista olandese nessuna soluzione di continuità sembrerebbe sussistere con la precedente tradizione medievale.
Infatti, egli definisce il diritto naturale “dictatum rectae rationis” 5.
In base a questa definizione, attraverso il diritto naturale l’uomo è in grado di conoscere se una sua determinata azione rispetti la legge morale ovvero sia contaminata dall’immoralità.
Il criterio di questa conoscenza precisa ed esatta è l’osservazione se l’azione dell’uomo sia esercitata in conformità alle finalità della sua natura razionale o no.
Nella prima ipotesi l’azione è prescritta da Dio, il quale è colui che emana la legge morale e naturale, invece nella seconda ipotesi l’azione è vietata da Dio stesso6.
Tuttavia, alcuni passi dell’opera di Xxxxxxx sembrano attestare che il diritto naturale moderno si distingua da quello della teologia medievale, non tanto per un determinato contenuto materiale intrinseco nell’essenza della legge, quanto per peculiari categorie astratte di tipo logico-formale: esse sono l’evidenza, la coerenza, l’immutabilità e, dunque, la stabilità.
4 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Natural law. An introduction to legal philosophy, Hutchinson’s Xxxxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, pp. 52 e 70.
5 X. XXXXXXX, De iure belli ac pacis libri tres in quibus ius naturae et gentium item iuris publici praecipua explicantur, Scientia Verlag, Aalen, 1993, p. 34.
6 Ibidem.
Conseguentemente, potrebbe essere plausibile ritenere che mentre il diritto naturale medievale sia ius quia iustum, quello moderno sia ius quia rationale.
Inoltre, Xxxxxxx ritiene che il diritto naturale sia talmente fisso ed immutabile, al punto tale che esso non potrebbe essere modificato neppure da Dio7.
Per questo egli sostiene che il diritto naturale esisterebbe con i medesimi caratteri sopra indicati “etiamsi daremus (…) non esse Deum” 8.
L’autore afferma esplicitamente che i principi del diritto naturale sono oggettivi, manifesti in modo chiaro alla ragione ed evidenti di per sé, quasi come ciò che nella realtà sensibile e fenomenica è percepito attraverso i cinque sensi esterni9.
A tale proposito, egli scrive che come nemmeno Dio è in grado di impedire che il doppio di due corrisponda a quattro, parimenti l’onnipotenza divina non può trasformare in bene ciò che è intrinsecamente male10.
Il razionalismo giuridico appena descritto rivela, tuttavia, un fondamento contrattualistico (che, come si vedrà, finisce per indebolirlo), dal momento che fra le disposizioni normative di diritto naturale vi è la regola pacta sunt servanda, la quale prescrive l’obbligatorietà degli accordi stipulati.
Precisamente, la lex contractus vige con assoluta evidenza ed immediatezza nei confronti di ogni individuo ragionevole e moralmente onesto, indipendentemente dal fatto che il dovere dell’adempimento delle obbligazioni pattuite contrattualmente sia anche codificato secondo un
7 Idem, p. 35.
8 Idem, p. 10.
9 Idem, p. 20.
10 Idem, p. 36.
ordine sistematico nella legge civile e positiva; infatti, quest’ultima si limita a trascrivere e a dichiarare il principio metagiuridico e universale di diritto naturale sopra indicato. Xxxxxxx pensa che la disposizione normativa pacta sunt servanda sia la regola fondamentale che edifica il consorzio umano e sociale.
In particolare, secondo la sua visione astratta - che consideriamo razionalmente inadeguata per la comprensione del senso profondo della sussidiarietà - gli individui si obbligherebbero gli uni con gli altri a vivere insieme nella società politica attraverso un primo accordo contrattuale denominato pactum societatis.
Successivamente, mediante un secondo patto chiamato pactum subiectionis, funzionalmente connesso con il primo, i futuri cittadini istituirebbero entro la società un’autorità politica al cui potere si assoggetterebbero: in base a questa costruzione artificiosa, il fondamento della potestà statuale risiederebbe nella stessa volontà dei sudditi, i quali hanno convenuto di accettare ed osservare le prescrizioni che sono sancite dallo Stato.
Dunque, per la dottrina contrattualistica la formazione della società politica e statuale è fondata sul principio logico- razionale formulato nella norma pacta sunt servanda, la quale attribuisce valore obbligatorio e cogente alle volontà dei singoli contraenti e sottrae lo Stato, una volta che esso sia stato costituito, al pericolo di ogni arbitrio individuale11. Siamo dell’opinione che un problema specifico emerga da queste ultime riflessioni formulate.
Precisamente, si tratta di determinare se l’ordinamento politico-statuale, che è fondato contrattualmente ed è ancorato a principi giusnaturalistici in quanto a genesi,
11 X. XXXXXXXXX XXXXXXXX, Dottrina dello Stato, Cedam, Padova, 1964, p. 15.
dipenda dal diritto naturale anche in relazione ai fini perseguiti ovvero tenda alla realizzazione di finalità politiche autonome dalla sfera del diritto naturale.
Con particolare riferimento a questo interrogativo, Xxxxxxx risponde ispirandosi ad un’idea di ordinamento politico fortemente totalizzante, nella quale lo Stato viene definito una società perfetta, cioè compiuta e completa in ogni suo elemento costitutivo.
Infatti, egli scrive che: “Est autem Civitas coetus perfectus liberorum hominum, iuris fruendi et communis utilitatis causa sociatus” 12.
In questa concezione politica assolutistica l’ordine istituzionale è contemporaneamente una sorta di “Stato- Chiesa”: esso emana non solo la legge giuridica, ma anche quella morale.
La razionalità dell’uomo dipende dal fatto che egli vive all’interno di una determinata comunità statuale e appartiene integralmente alla cultura espressa da questa stessa comunità civile: il diritto statuale è il solo criterio logico-giuridico che qualifica e misura il grado di moralità e di razionalità della condotta umana.
Difatti, Xxxxxxx afferma che non vi è alcuna azione esteriore dell’uomo che non si riferisca allo Stato “aut per se (…), aut ex circumstantiis (…)” 13.
Come si può osservare, sebbene la genesi dell’obbligazione politica sia contrattuale, tuttavia, una volta che sia sorto, lo Stato non è vincolato da limiti giuridici sostanziali di diritto naturale nel conseguimento dei propri scopi istituzionali.
A tale proposito, Xxxxxxx precisa che qualora la sovranità statuale fosse sottoposta ai limiti giuridici sostanziali derivanti dall’obbligazione contrattuale di diritto naturale,
12 X. XXXXXXX, op. cit., p. 41.
13 Idem, p. 254.
l’ordine politico sarebbe instabile e precario e, perciò, cagionerebbe una convivenza sociale caotica e disordinata. Egli sostiene che se un popolo volesse condividere l’esercizio del potere sovrano con l’autorità suprema, i limiti delle rispettive titolarità dovrebbero essere fissati e distinti con sommi rigore e intelligibilità; tuttavia, la divisione della sovranità all’interno della comunità politica determinerebbe una confusione estrema e pericolosa14.
Il filosofo olandese nega l’ammissibilità del recesso dal rapporto contrattuale che fonda l’obbligazione politica, poiché egli concepisce lo Stato come una realtà istituzionale necessaria la quale perdura nel tempo in modo costante e perpetuo.
Egli ritiene che se il recesso fosse consentito “iam civilis societas substistere non possit” 15.
Alla luce di queste considerazioni, riteniamo che il giusnaturalismo moderno teorizzato da quest’autore sia un giusnaturalismo formale finalizzato unicamente a fornire una spiegazione logico-causale della formazione dell’ordine politico-statuale: in questa prospettiva teoreticamente debole, l’obbligazione contrattuale de iure naturali spiega il quomodo, ma non l’an dell’obbligazione politica.
Conseguentemente, il fondamento dell’obbligatorietà delle norme positive, ossia la loro legittimità, non ha un’origine eteronoma, ma è in re ipsa, ossia è nella stessa effettività dell’ordinamento statuale: lo Stato assume un valore etico- giuridico di per sé, e, quindi, l’esigenza della sua conservazione acquista quasi il significato di un imperativo assoluto, categorico e inderogabile.
14 Idem, p. 110.
15 Idem, p. 255.
Conclusioni
Reputiamo che nella teoria politica di Xxxxxxx si nasconda un’aporia, dal momento che il fondamento individualistico dello Stato finisce per legittimarne, paradossalmente, una concezione assolutistica, in stridente contraddizione con le premesse giusnaturalistiche di partenza: in ciò, sta, secondo noi, la debolezza del suo contrattualismo.
Conseguentemente, lo sviluppo speculativo della libertà nel concreto mondo etico, secondo la logica del principio di sussidiarietà, è già impedito sin dall’inizio.
Dunque, possiamo concludere che in Grotius i rapporti umani non vadano al di là di una relazionalità utilitaristica e conflittuale, come si vedrà anche a proposito di Xxxxxx, in modo più analitico, nel paragrafo seguente.
Paragrafo II
Il contrattualismo in Xxxxxx
Come abbiamo anticipato in conclusione del precedente paragrafo, la dottrina contrattualistica di Xxxxxx riprende alcuni temi già presenti in Grotius, seppure in quest’ultimo siano espressi con toni meno accentuati: uno di essi è certamente la concezione individualistica della natura umana, tipica dell’età moderna.
Inizialmente, il filosofo di Malmesbury sembra partire da presupposti quasi teologico-biblici: infatti, egli si domanda per quale ragione il primo Xxxxx sia vissuto più di novecento anni nonostante sia stato a lui impedito di alimentarsi dell’albero della vita a causa della cacciata dall’Eden.
Subito, tuttavia, Xxxxxx trova la risposta a questo quesito. Precisamente, egli afferma che Xxx non ha predetto la morte come conseguenza immediata ed istantanea del peccato
d’orgoglio, ma, invece, ha detto “moriendo morieris” 16: ciò significa che quando l’uomo morirà al termine della sua vita, in quel momento morirà per sempre e non rivivrà in questa terra.
Da tale asserzione Xxxxxx deduce che questa minaccia riguardi “etiam ad Adami posteritatem, id est, ad genus humanum” 17.
La devastazione e il disordine che accomunano l’intera umanità decaduta a causa della disobbedienza determinano l’eguaglianza degli uomini nelle loro passioni, quali il desiderio, il timore e la speranza.
Questi ultimi sentimenti sono simili e costanti in ogni essere umano e devono essere distinti dagli oggetti delle passioni, ossia dalle cose desiderate, temute e sperate, le quali, invece, sono variabili18.
Poiché secondo questo filosofo le differenziazioni fisico- corporali e mentali sono marginali e irrilevanti19, l’eguaglianza delle abilità implica l’eguaglianza della speranza di ottenere i propri scopi.
Conseguentemente, qualora due individui desiderino la medesima res e questa non possa costituire oggetto di comune possesso, il loro desiderio di conservazione suscita un sospetto reciproco che si concretizza in tentativi vicendevoli di sottomissione ovvero di distruzione20.
Le tre cause principali di aggressione sono individuate nella natura umana: precisamente esse sono la competizione, la diffidenza e la gloria.
16 X. XXXXXX, Leviathan, tr. it., Testo inglese del 1651 a fronte, Testo latino del 1668 in nota, Bompiani Il Pensiero Occidentale, Milano, 2001, p. 1164.
17 Ibidem.
18 Idem, p. 16.
19 Idem, pp. 200 e 202.
20 Idem, p. 202.
La prima è finalizzata alla realizzazione del guadagno, la seconda alla conservazione della sicurezza e l’ultima alla tutela della propria reputazione21.
Anche nella filosofia del diritto hobbesiana la dimensione prepolitica è una condizione nella quale “there is always war of every one against every one” 22: gli uomini vivono in una situazione permanente di incertezza e di precarietà determinata dall’assenza di ordine e di stabilità.
In conseguenza di ciò, l’uomo conduce una vita solitaria, misera e inidonea all’operosità e all’incremento economico, sociale e culturale23.
Questo caos implica la negazione del fondamento ontologico del diritto naturale, concepito come la condizione metafisica di un ordine morale e sociale.
Come sostiene Xxxxxx, laddove un potere comune e unificante sia assente, gli uomini si trovano in uno stato di guerra che non consiste soltanto in una determinata battaglia ovvero in un singolo atto bellico, “but in a tract of time, wherein the will to contend by battle is sufficiently known”
24.
Poiché la forza e la frode sono definite da Xxxxxx le due virtù fondamentali in guerra, la distinzione fra le nozioni di giustizia e di ingiustizia, nonché la separazione fra il dominio proprio e il dominio altrui sono prive di alcun senso25.
A tale proposito, questo filosofo ritiene che mentre i sensi e le passioni siano facoltà del corpo e della mente presenti in ogni singolo uomo, la giustizia e l’ingiustizia siano caratteri
21 Idem, p. 204.
22 Idem, p. 206.
23 Ibidem.
24 Ibidem.
25 Idem, p. 210.
che riguardano unicamente gli uomini in società, non un uomo in solitudine26.
E’ plausibile dedurre che, a differenza delle passioni le quali sono insite nell’animo umano, la politicità non appartenga all’uomo in quanto tale, ma soltanto nel momento in cui egli decida di stabilire rapporti con altri uomini; in altre parole, riteniamo anche noi - come sottolinea Xxxxxx - che in Xxxxxx la politica nasca extra hominem e, dunque, si affermi come una relazione inter homines 27.
Il bellum omnium contra omnes 28 dello stato di natura rende precario il senso di sicurezza e non soddisfa il bisogno di autoconservazione individuale.
L’emancipazione da questo disordine verso la tranquillità è provocata sia dalle passioni sia dalla ragione.
Infatti, da un lato, il timore della morte, il desiderio dei beni indispensabili per vivere agiatamente e la speranza di ottenerli mediante il proprio lavoro costituiscono le passioni che suscitano negli uomini la propensione alla pace; dall’altro lato, la ragione individua la convenienza e l’utilità di “articles of peace, upon which men may be drawn to agreement” 29.
Il filosofo inglese distingue la nozione di right of nature da quella di law of nature.
Il primo è il ius naturale, ossia la libertà di usare il proprio potere come si vuole al fine di garantire la conservazione della propria vita.
Il right of nature presuppone una concezione empirica e materiale della libertà, che riteniamo razionalmente
26 Ibidem.
27 X. XXXXXX, Was ist Politik?, tr. it., Edizioni di Comunità, Milano, 1997, p. 7.
28 X. XXXXXX, op. cit., p. 210.
29 Ibidem.
inconsistente, perché è l’espressione di un determinismo naturale.
Egli scrive che la libertà è l’assenza di impedimenti esterni al movimento e applica questa definizione tanto agli esseri viventi irrazionali e inanimati, quanto agli esseri viventi razionali30.
La seconda è la lex naturalis, ossia un precetto o una regola generale dettati dalla ragione, i quali vietano all’individuo il compimento di atti lesivi della propria vita ovvero la privazione dei mezzi ritenuti più idonei e più utili a preservarla31.
Nel pensiero hobbesiano il right of nature coincide con la pura e semplice effettività dell’egoismo individuale, mentre la law of nature coincide con la dimensione della razionalità e del calcolo utilitaristico.
L’egoismo razionale è la sintesi concettuale fra la razionalità e l’egoismo: precisamente, la prima sublima il secondo in una condotta calcolata ed emendata dai conflitti interiori puramente istintuali32.
Nello stato di natura gli egoismi razionali di tutti gli individui si scontrano e causano una condizione “of war of every one against every one” 33, che assume una fisionomia intrinsecamente contraddittoria e paradossale.
Infatti, per natura ogni uomo ha diritto ad ogni cosa, “even to one another’s body” 34; tuttavia, proprio la sussistenza in ogni uomo del diritto ad ogni cosa costituisce una grave minaccia alla sicurezza della vita di ognuno.
30 Idem, pp. 212 e 342.
31 Idem, p. 212.
32 X. XXXXXX, Lezioni di politica. I. Storia delle dottrine politiche, il Mulino, Bologna, 2011, p. 256.
33 X. XXXXXX, op. cit., p. 212.
34 Idem, p. 214.
Conseguentemente, Xxxxxx enuncia la prima e fondamentale legge di natura che è “to seek peace, and follow it” 35.
La prima legge di natura determina la formulazione della seconda legge di natura.
Quest’ultima è un imperativo ipotetico, dal momento che prescrive la deposizione del diritto a tutte le cose, nella misura in cui tale deposizione sia ritenuta necessaria a preservare la pace e a conservare integra la propria incolumità.
La seconda legge può essere ascritta fra le norme tecniche, dal momento che essa non si impone in termini assoluti, ma ha un valore unicamente per coloro i quali si propongano un determinato scopo, che nel nostro caso è quello di tendere alla pace36.
L’osservanza della seconda legge di natura è subordinata espressamente alla precisa condizione che anche gli altri uomini siano disposti a deporre il loro diritto a tutte le cose. Precisamente, l’autore sostiene che se gli altri individui non deponessero il loro diritto, la deposizione effettuata da uno solo esporrebbe quest’ultimo al rischio di essere in balia delle aggressioni altrui, ma proprio questa conseguenza, “which no man is bound to” 37, rappresenterebbe l’antitesi della pace auspicata.
Dunque, le leggi di natura obbligano sempre in coscienza, ossia vincolano al desiderio di attuarle, ma non obbligano sempre in foro externo.
35 Ibidem.
36 Con particolare riferimento alla generale definizione di norma tecnica, vd. X. XXXXXXXXX PALLIERI, op. cit., p. 81.
37 X. XXXXXX, op. cit., p. 214.
Xxxxx, il quale dimostrasse modestia e mansuetudine, ma fosse l’unico a tenere fede ai propri impegni assunti, andrebbe incontro a una rovina certa.
Tale esito sarebbe contrario al principio di autoconservazione che costituisce il fondamento di tutte le leggi di natura38.
Per risolvere questo dilemma, Xxxxxx afferma che le leggi di natura sono distinte dalle leggi intese in senso proprio.
Le prime sono le conclusioni o i teoremi concernenti i mezzi adeguati ad assicurare la propria conservazione e difesa, pertanto esse sono regole strumentali.
Invece, le seconde sono le parole “of him, that by right hath command over others” 39.
Le passioni naturali e il dominio reciproco degli uni sugli altri ostacolano lo sviluppo di un’esistenza prospera, appagante e sottratta alle insidie della precarietà.
Il fine di autoconservazione orienta gli uomini ad instaurare un potere comune e visibile che attui in foro externo l’osservanza dei precetti naturali.
Questo potere sovrano deve essere unificante, poiché deve essere idoneo a ridurre tutte le diverse volontà umane ad un’unica volontà.
La realizzazione di ciò è possibile attraverso la nomina di un organo monocratico destinato a rappresentare tutte le persone.
Il significato di questa forma di rappresentanza è che ogni individuo sia consapevole “to be author of whatsoever he that so beareth their person, shall act, or cause to be acted, in those things which concern the common peace and safety” 40.
38 Idem, p. 260.
39 Idem, p. 262.
40 Idem, p. 282.
In modo particolare, gli uomini decidono di stipulare un patto denominato pactum unionis, il quale ha il contenuto sia di un pactum societatis, sia di un pactum subiectionis 41. Infatti, il pactum societatis è il “covenant of every man with every man” 42, mediante il quale i singoli individui si associano per uscire dallo stato di natura ed entrare nella società politico-statuale.
Tuttavia, proprio il pactum unionis manifesta l’aspirazione hobbesiana a trascendere il mero formalismo giuridico immanente nell’astratto rapporto negoziale di diritti e di doveri fra i consociati.
Il patto stipulato da ogni uomo con ogni altro uomo non ha soltanto un valore dichiarativo ed esplicativo, poiché esso non si limita a stabilire le obbligazioni fra i contraenti.
Esso “is more than consent, or concord; it is a real unity of them all, in one and the same person” 43.
L’accordo pattuito ha il significato costitutivo del pactum subiectionis, poiché esso crea un substrato reale, ossia una forza unificante che agisce in modo regolare, costante ed uniforme.
Attraverso questo secondo negozio, i cittadini decidono di assoggettarsi al potere sovrano dello Stato.
Quest’ultimo è una persona alla quale la totalità degli uomini ha affidato consensualmente il monopolio della forza “for their peace and common defence” 44: dunque, il rappresentante sovrano ha il dovere istituzionale di preservare la salus populi 45.
41 X. XXXXXX, op. cit., I. Storia delle dottrine politiche, p. 259.
42 X. XXXXXX, op. cit., p. 282.
43 Ibidem.
44 Ibidem.
45 Idem, p. 543.
In base alla nostra ricerca, ribadiamo che in Xxxxxx il pactum subiectionis, più che essere un accordo fra i consociati e il governante, abbia una funzione costitutiva della sovranità statuale: per questo motivo, colui che è investito del potere è terzo rispetto allo stesso pactum subiectionis.
Qualora il sovrano fosse parte del rapporto contrattuale, egli sarebbe assimilabile a un quisquis de populo: se tale condizione paritaria fra governante e governati sussistesse effettivamente, il pactum unionis declinerebbe in un semplice pactum societatis privo di una valenza coesiva e unificatrice.
Invece, la terzietà e l’estraneità agli interessi negoziali collocano l’autorità sovrana in una condizione giuridica sovraordinata rispetto alle parti contrenti.
Proprio questa posizione di superiorità gerarchica legittima l’autorità sovrana ad imporre un ordine normativo alla società politica46.
Conseguentemente, il pactum unionis diventa un pactum subiectionis.
Ciononostante, è plausibile sostenere che l’applicazione delle categorie concettuali contrattualistiche renda il ragionamento hobbesiano tendenzialmente aporetico.
Precisamente, da un lato l’assenza di vincolatività del sovrano ad alcun patto è la condizione dell’effettività delle decisioni politiche: esse sono cogenti nella misura in cui l’autorità imperante stia al di fuori e al di sopra del pactum unionis.
In base a questa prima prospettiva, la terzietà e la posizione sovraordinata del Leviatano dimostrerebbero l’inidoneità dell’obbligazione negoziale a fondare l’an dell’obbligazione politica.
46 X. XXXXXX, op. cit., I. Storia delle dottrine politiche, p. 259.
Dall’altro lato, tuttavia, la stessa terzietà del titolare del potere è l’effetto di una pattuizione negoziale in base alla quale i contraenti hanno deliberato di sottomettersi alla volontà di un’autorità esterna e sovraordinata.
Secondo questa diversa prospettiva, l’obbligazione contrattuale fonderebbe l’an dell’obbligazione politica.
A tale proposito, giova rilevare che la genesi dello Stato per istituzione e dello Stato per acquisizione è la medesima e risiede nel timore.
La differenza sussiste soltanto nei soggetti nei confronti dei quali la paura è avvertita; precisamente nel caso dello Stato politico “men who choose their sovereign, do it for fear of one another, and not of him whom they institute” 47, mentre nel caso dello Stato dispotico essi “subject themselves, to him they are afraid of” 48.
L’elemento consensuale è presente in entrambe le forme di Stato sopra indicate.
Nello Stato per istituzione l’insieme dei consociati “do agree, and covenant” 49 di trasferire il diritto di rappresentanza ad un organo monocratico, che diviene il loro rappresentante.
Anche nel “Commonwealth by acquisition” 50, il fatto storico della conquista né determina il diritto di dominio sul vinto, né determina il dovere di quest’ultimo ad arrendersi alla parte vittoriosa: anche qui, la fonte dell’obbligazione politica è soltanto l’atto giuridico attraverso il quale chi è stato sconfitto manifesta liberamente il proprio consenso a riconoscere nella persona del vincitore l’autorità sovrana alla quale sottomettersi e promettere obbedienza.
47 X. XXXXXX, op. cit., p. 324.
48 Ibidem.
49 Idem, p. 284.
50 Idem, p. 324.
La dimensione negoziale emerge anche ex latere capientis: la dichiarazione di resa formulata dal nemico catturato non vincola il conquistatore a risparmiare la vita al prigioniero, dal momento che questa concessione è riservata ad una sua scelta esclusiva, libera e discrezionale51.
La transizione dallo stato di natura alla società politica è il passaggio dal regno della forza arbitraria e irrazionale privo di sicurezza, al regno della legge dove la forza è qualificata e normalizzata da precisi criteri modali di regolarità e di uniformità attraverso i quali le dinamiche relazionali interpersonali sono disciplinate e razionalizzate52.
Nonostante la dottrina di Xxxxxx legittimi l’assolutismo monarchico, riteniamo che il fondamento dell’ordinamento hobbesiano riveli la presenza di categorie concettuali che preludono al pensiero giuridico del liberalismo.
Difatti, il filosofo inglese identifica la libertà dei sudditi con la libertà negativa di non impedimento, la quale si articola nella formulazione di tre principi fondamentali53.
Il primo principio è la rimozione degli ostacoli al godimento dei beni, attuata attraverso l’instaurazione della pace e della sicurezza54; a tale proposito, il filosofo avverte che il disordine del tempo di guerra cagionerebbe una condizione di continuo pericolo di morte violenta che renderebbe la vita umana sofferta, brutale e breve55.
Il secondo è la garanzia di una sfera d’indipendenza individuale dalla quale deriva necessariamente il terzo
51 Idem, p. 332.
52 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, La dottrina dello Stato. Elementi di analisi e di interpretazione, X. Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2009, pp. 13- 14.
53 Idem, pp. 303-304.
54 Idem, p. 293.
55 X. XXXXXX, op. cit., p. 206.
principio, ossia la determinazione dell’azione dello Stato entro limiti precisi e chiaramente definiti.
Con particolare riferimento a questi ultimi due principi, Xxxxxx enuncia espressamente le classiche libertà economico-individuali: la libertà di scelta del luogo ove dimorare, la libertà di esercizio della propria professione e quella di educazione della prole56.
Da un punto di vista antropologico, il fine di autoconservazione riflette un egoismo razionale che valuta l’utilità e la convenienza dell’abbandono dello stato di natura e del definitivo ingresso nella società politica: dunque, quest’ultima è voluta dai singoli individui, i quali decidono concordemente di riconoscere un’autorità sovrana al cui potere assoggettarsi.
Xxxxxx scrive che i patti e gli accordi attraverso i quali le componenti del corpo politico vengono create e unite insieme “resemble that fiat, or the let us make man, pronounced by God in the creation” 57.
A tale proposito, la stessa sovranità è definita “an artificial soul” 58, poiché la vita e il movimento dell’intero corpo politico scaturiscono da essa.
Questo atto creativo coincide con l’attribuzione allo Stato dell’autorità di uniformare le singole volontà in modo da assicurare il conseguimento della pace interna e la difesa reciproca contro i nemici xxxxxxx00.
Alla luce delle considerazioni formulate fino a questo punto, è plausibile concludere che l’assimilazione del Leviathan a un “Mortal God” 60 costituisca la
56 Idem, p. 346.
57 Idem, p. 14.
58 Ibidem.
59 Idem, p. 282.
60 Ibidem.
dimostrazione dell’origine astratta e artificiosa della società politica, come si è già visto in Grotius.
Interpretando Xxxxxx in senso liberale, questa genesi convenzionale potrebbe rivelare la controllabilità dei profondi meccanismi di funzionamento del Commonwealth, diventando l’oggetto di un’agevole previsione e di un continuo perfezionamento da parte dei singoli membri dello Stato61.
Dunque, lo Stato hobbesiano presenterebbe alcuni elementi di liberalismo latente, poiché la funzione istituzionale assolta dall’ordinamento giuridico consiste, essenzialmente, nella garanzia e nella tutela del diritto naturale di ogni individuo alla propria autoconservazione62.
Conclusioni
Partendo da premesse conflittuali ancora più evidenti che in Xxxxxxx, tali da legittimare una forma di assolutismo monarchico, tuttavia, Xxxxxx sembra, alla fine, giungere ad esiti liberali incentrati sul principio dell’autoconservazione personale.
Ciononostante, anche in questo filosofo rimane la profonda dicotomia irrisolta, propria del contrattualismo della scuola del diritto naturale, fra la libertà individuale e l’assolutismo statale: pertanto, anche qui non troviamo elementi significativi che descrivano lo sviluppo dell’idea di libertà, secondo la logica del principio di sussidiarietà.
61 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, La dottrina dello Stato. Elementi
cit., p. 174.
62 M.A. XXXXXXXX, Il positivismo giuridico inglese. Xxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxxx, Xxxxxxx, Milano, 1962, pp. 69-74 e 119-120. In queste pagine indicate, Xxxxxxxx sostiene che le premesse liberali di Xxxxxx abbiano influenzato sia l’utilitarismo benthamiano dell’empirismo anglosassone, sia la teoria illuministica dei diritti dell’uomo elaborata dal razionalismo continentale.
Riteniamo, però, che in Xxxxxx, a differenza di Xxxxxxx, la funzione costituiva e unificante del pactum subiectionis esprima la tensione a superare la semplice dimensione convenzionale dei rapporti sociali, cosa che emergerà, seppure in una forma diversa, nella dottrina politica di Xxxxx.
Paragrafo III
Il contrattualismo in Xxxxx
Condividendo l’analisi della dottrina, anche noi riteniamo che quegli elementi di liberalismo, presenti in Xxxxxx allo stato potenziale, siano sviluppati da Xxxxx come motivi fondamentali della sua teoria politica, trovando la loro compiuta sistemazione concettuale nel pensiero di questo filosofo, esponente autorevole dell’empirismo anglosassone63.
Xxxxx definisce lo stato di natura uno stato di perfetta libertà, all’interno del quale ogni uomo è in grado autonomamente di disporre della propria persona, di regolare le proprie azioni e di amministrare i suoi possessi entro i limiti giuridici fissati dalla legge di natura, “without asking leave, or depending upon the Will of any other Man”
64.
Poiché questa condizione riguarda tutti gli uomini in quanto tali, senza alcuna discriminazione, lo stato di natura è regolato dal principio di eguaglianza in senso formale dinanzi alla legge naturale.
Ogni individuo è titolare del diritto alla conservazione della propria vita, del diritto all’esercizio delle proprie azioni e,
63 X. XXXXXXX, Storia del diritto moderno in Europa. Le fonti e il pensiero giuridico, 1, Xxxxxxx, Milano, 1982, p. 336.
64 X. XXXXX, Two treatises of government, New American Library, New York, 1965, p. 309.
infine, del diritto alla disposizione del suo patrimonio: precisamente, il filosofo impiega il termine generale “Property” 65 per indicare insieme la vita, la libertà e gli averi.
Ovviamente, l’eguaglianza in senso giuridico implica che lo stato di natura non si confonda con uno stato di licenza assoluta, ma, invece, sia governato da una legge di ragione, la quale vieti ad ogni individuo di arrecare offese e di cagionare danni alla “proprietà”, ossia alla vita, alla libertà e alle ricchezze altrui.
Quindi, il principio di autoconservazione, consistente nel neminem laedere, è insito nella lex naturalis: nell’ipotesi di sua violazione, Xxxxx afferma che ogni individuo in quanto tale, considerato genericamente come appartenente all’universale famiglia umana, è un legittimo esecutore della legge di natura e, perciò, ha il diritto “to preserve Mankind in general” 66.
Conseguentemente, ognuno è titolare del potere di repressione delle violazioni della legge naturale, determinandosi nel potere di punizione dell’offensore- danneggiante, il quale “declares himself to live by another Rule, than that of reason and common Equity, which is that measure God has set to the actions of Men, for their mutual security” 67.
Come emerge da quanto stiamo dicendo, l’esercizio di questo potere repressivo assolve una funzione avente una finalità di prevenzione generale e di orientamento pedagogico-culturale, poiché realizza un effetto ammonitorio allo scopo di dissuadere gli altri uomini
65 Idem, p. 395.
66 Idem, p. 312.
67 Ibidem.
dall’intenzione di compiere un fatto illecito identico a quello commesso.
Nello stesso tempo, l’irrogazione della sanzione punitiva assolve una funzione di prevenzione speciale, che tende a impedire la reiterazione della violazione da parte del trasgressore68.
A tale proposito, Xxxxx sostiene che sia necessario applicare il criterio retributivo della proporzione fra il grado di lesività dell’offesa arrecata e l’entità della sanzione da infliggere al danneggiante.
Le finalità generali e special-preventive, appena indicate, risultano da questa frase di Xxxxx, in cui egli afferma che: “Each Transgression may be punished to that degree, and with so much Severity as will suffice to make it an ill bargain to the Offender, give him cause to repent, and xxxxxxxx others to from doing the like” 69.
Con particolare riferimento a colui che abbia ricevuto un torto, Xxxxx afferma che, mentre ogni individuo è titolare del potere repressivo e punitivo derivante dal diritto di preservare tutto il genere umano, soltanto il danneggiato ha la titolarità esclusiva del diritto di domandare il risarcimento del danno a colui che si è reso responsabile dell’evento lesivo70.
Alla luce di queste considerazioni formulate, sembra emergere che nello stato di natura gli individui siano vincolati fra loro da una serie di dinamiche relazionali, le quali sono prive di un significato “politico”: in altre parole, esse non mirano tanto a costituire un unico corpo sociale, quanto a stabilizzare determinati rapporti di interessi
68 Idem, p. 313.
69 Idem, p. 315.
70 Idem, p. 314.
economico-contrattuali, rientranti sostanzialmente nella sfera del diritto privato.
In base al principio pacta sunt servanda, questi accordi negoziali vincolano i contraenti in quanto soggetti privati, tanto che Xxxxx scrive che: “Truth and keeping of Faith belongs to Men, as Men, and not as Members of Society” 71. A differenza di Xxxxxx, per il quale lo stato di natura è caotico e conflittuale, il pensiero lockiano distingue lo stato di natura dallo stato di guerra.
Il primo coincide con la mancanza di un giudice comune sulla terra, alla cui autorità sia possibile rivolgersi qualora una controversia sorga fra più individui.
Invece, il secondo si ha quando una determinata forza è esercitata contra ius ovvero non iure o sine iure, indipendentemente dalla sussistenza di un giudice comune sulla terra.
Quindi, il filosofo deduce che lo stato di guerra possa sussistere anche nella società civile o politica, la quale prevede l’appello alle autorità giudicanti costituite e l’applicazione della legge positiva.
In altri termini, egli ritiene che qualora, all’interno dello Stato, gli organi giurisdizionali siano palesemente corrotti e le leggi siano intenzionalmente eluse al fine di garantire la protezione e l’impunità agli autori delle violenze e delle offese, ciò si traduce in una vera e propria guerra contro i sofferenti, ai quali rimane l’unico rimedio esperibile in caso di mancanza sulla terra di un’autorità che renda giustizia, ossia “an appeal to Heaven” 72.
Quest’ultimo non assume il significato di un’attesa passiva, inerte e sofferta, nella speranza dell’avvento della giustizia divina, bensì rappresenta un’esplicita esortazione
71 Idem, p. 318.
72 Idem, p. 322.
all’esercizio del diritto di resistenza contro un potere sostanzialmente illegittimo che non tutela l’innocente con un’imparziale applicazione della legge73.
Lo stato di guerra, pertanto, determina una condizione di schiavitù, che pregiudica la conservazione della vita umana e costituisce una manifesta violazione della legge naturale. Tornando con il discorso sullo stato di natura, Xxxxx afferma che in esso l’individuo è titolare di diritti fondamentali, inviolabili e imprescrittibili, i quali non sono concessi da un’autorità, ma sono “connaturati e coessenziali all’uomo” 74.
Pertanto, risulta evidente che chi non è titolare del diritto di disposizione della propria vita non può, a maggior ragione, alienare per contratto il diritto alla sua soppressione, né può attribuire ad altri alcun potere sulla propria persona75.
Dal momento che, come si è visto, lo stato di natura non si identifica nello stato asociale di guerra, la dottrina sostiene che la società naturale di Xxxxx sia un’autentica società prepolitica, ordinata, che comprende l’insieme dei rapporti sociali che i soggetti instaurano tra loro prima e indipendentemente dall’intervento del potere statuale, come “la famiglia, società naturale per eccellenza, i rapporti economici, la cui fonte non è la proprietà ma il lavoro” 76. Anche Balladore Xxxxxxxx afferma che, in Xxxxx, gli uomini nello stato di natura sviluppano positivamente la propria personalità in armonia con gli altri individui, senza avvertire la necessità di avvantaggiarsi della protezione delle leggi
73 X. XXXXXX, op. cit., I. Storia delle dottrine politiche, p. 275; sul diritto di resistenza in Xxxxx v. anche X. XXXXXXX, Storia del diritto moderno cit., p. 336.
74 X. XXXXXX, op. cit., I. Storia delle dottrine politiche, p. 264.
75 X. XXXXX, op. cit., p. 325.
76 X. XXXXXX, Studi hegeliani. Diritto, società civile, stato, Einaudi, Torino, 1981, p. 24.
dello Stato, ma confidando esclusivamente sulla propria operosità, onestà e coerenza morale, seguendo i dettami della legge naturale77.
Sebbene in Xxxxx, come in Xxxxxx, vi sia una tensione ideale diretta a trascendere la dimensione meramente convenzionale dei rapporti sociali, tuttavia, non condividiamo pienamente la posizione della dottrina sopra indicata, poiché siamo dell’opinione che anche in questo filosofo non sia possibile osservare lo sviluppo speculativo dell’idea di libertà, dal momento che quest’ultima è intesa da Xxxxx soltanto come la libertà del singolo individuo, in antitesi con il senso più profondo del principio di sussidiarietà da noi definito nell’introduzione di questo lavoro.
In modo astratto e artificioso, anch’egli teorizza l’origine contrattualistica dell’ordine politico, subordinando funzionalmente il diritto pubblico dello Stato all’individuo e al diritto privato78.
A favore della nostra interpretazione che confuta la presenza della sussidiarietà nella filosofia di Xxxxx, giova osservare che, certamente, nella condizione prepolitica tutti gli uomini sono eguali nella titolarità dei diritti naturali, ma non lo sono affatto in relazione al loro concreto esercizio.
A tale proposito, lo stesso Xxxxx scrive che: “(…) though in the state of Nature he [Man] hath such a right, yet the Enjoyment of it is very uncertain, and constantly exposed to the Invasion of others” 79.
Questa situazione di diseguaglianza sostanziale deriva dalla corruzione e dalla perversità di alcuni individui degenerati,
77 X. XXXXXXXXX PALLIERI, op. cit., p. 33.
78 X. XXXXXXX, Storia del diritto moderno cit., p. 337.
79 X. XXXXX, op. cit., p. 395.
che non osservano scrupolosamente l’equità e la giustizia80; d’altra parte, anche la stessa dottrina sopra indicata afferma che in Xxxxx la genesi dello Stato è determinata principalmente dalla cattiveria umana: “Lo Stato è ancora una volta opera del male: se gli uomini fossero buoni cesserebbe la utilità della sua esistenza” 81.
Dunque, nello stato di natura la titolarità della Property è perfettamente garantita, ma il suo godimento è incerto, per le ragioni che si sono appena esposte.
Si deduce, allora, che la distinzione fra la comunità naturale e la società politica sia individuabile nella circostanza che nella prima l’esercizio dei diritti naturali è precario, mentre nella seconda è sicuro.
Riferendosi alla finalità di conservazione della proprietà, che giustifica il passaggio dallo stato di natura alla società politica, Xxxxx utilizza ripetutamente i medesimi segni linguistici: “Preserving” 82, “Preservation” 83, “to
preserve” 84 e “Self-preservation” 85.
Questi termini indicano chiaramente che lo scopo del Body Politick è la realizzazione di un ordine effettuale coincidente con la conservazione della proprietà, per la cui attuazione la comunità naturale rivela la propria inidoneità e imperfezione.
Quindi, l’ordinamento politico-statuale diventa un ordinamento positivo in cui la norma di ragione è realmente osservata e la conservazione della Property è effettiva.
La conservazione della Property e l’esistenza del Body Politick sono unum et idem: in altri termini, per Xxxxx una
80 Idem, pp. 395 e 397.
81 X. XXXXXXXXX PALLIERI, op. cit., p. 35.
82 X. XXXXX, op. cit., pp. 308 e 314.
83 Idem, pp. 312, 395, 397.
84 Idem, pp. 312 e 367.
85 Idem, p. 314.
società naturale diventa società politica nel momento in cui l’esercizio dei diritti fondamentali è sicuro e stabilmente protetto.
In conseguenza di ciò, dal punto di vista dell’attività di produzione del diritto, gli organi statuali esercitano una mera funzione dichiarativa della lex rationis, poiché essi si limitano a trascrivere le disposizioni normative naturali nella legge positiva e a rafforzarle mediante la previsione di un apparato sanzionatorio, con il preciso intento di imporle coattivamente ai malvagi86.
Nella trasformazione dello stato di natura in società civile, Xxxxx dice che nella seconda ogni individuo ha rinunciato al proprio diritto di esecuzione della legge naturale, trasferendolo alla comunità, a condizione che quest’ultima garantisca l’istituzione di un giudice comune al quale ricorrere in caso di violazione della legge positiva emanata dal corpo politico stesso87.
A questo punto, Xxxxx individua i tre principali elementi costitutivi della società politica.
Il primo elemento è il monopolio, riservato alla comunità civile, del potere di esecuzione della legge naturale: mentre nello stato di natura ogni individuo è titolare del diritto- dovere di eseguire la legge di ragione, nella “Political Society” 88 tutti i consociati hanno convenuto all’unanimità di rinunciare all’esercizio di tale potere esecutivo e di cederlo interamente alla comunità politica.
Il secondo elemento è dato dalla presenza di un’autorità giudicante comune sulla terra in grado di tutelare il cittadino qualora egli sia vittima di atti offensivi o lesivi.
86 X. XXXXXXXXX PALLIERI, op. cit., p. 35.
87 X. XXXXX, op. cit., p. 367.
88 Ibidem.
Infine, il terzo è costituito dall’emanazione di una legge di diritto positivo, la quale preveda “settled standing Rules, indifferent, and the same to all Parties” 89.
Anche Xxxxx, come Xxxxxxx e Xxxxxx, ritiene che la transizione dallo stato prepolitico alla società civile sia l’esito di una dichiarazione consensuale formulata da tutti gli individui all’unanimità.
Tale accordo rappresenta la fase genetico-costitutiva nella quale gli uomini determinano il sorgere della società politica e, perciò, decidono l’an della società medesima.
Precisamente, quest’ultima è concepita dai contraenti come “one Body Politick, wherein the Majority have a Right to act and conclude the rest” 90.
Quest’affermazione attesta che nell’ordinamento statuale, così costituito, la fase esecutiva del governo politico debba essere caratterizzata dall’applicazione di un principio consensuale maggioritario in relazione alle concrete e diverse scelte assunte nell’ambito dell’ordinaria amministrazione della società civile.
A tale proposito, la dottrina sostiene che l’adozione del criterio della maggioranza sacrifichi alcune volontà individuali, specialmente quelle minoritarie, nonché i loro diritti innati, determinando una palese aporia nella teoria lockiana91.
Tuttavia, riteniamo che questa contraddizione sia soltanto apparente e possa essere superata dalle stesse argomentazioni formulate da Xxxxx: infatti, nel momento in cui gli uomini hanno pattuito in modo unanime l’abbandono della condizione naturale e il definitivo ingresso nella società civile, i medesimi hanno deciso anche che la
89 Ibidem.
90 Idem, p. 375.
91 X. XXXXXX, op. cit., I. Storia delle dottrine politiche, p. 268.
comunità politica fosse un solo corpo e deliberasse come un solo corpo.
Quest’ultimo è tale nella misura in cui agisca e si muova in un solo modo: questo solo modo può essere esclusivamente il senso verso il quale il corpo è spinto dalla forza maggiore, “which is the consent of the majority” 92.
In caso contrario, la comunità politica non potrebbe essere one Body Politick e questa situazione sarebbe antitetica alla volontà unanime manifestata consensualmente dagli individui nel contratto istitutivo del corpo politico stesso.
Per questo motivo, a seguito del consenso pronunciato nel momento della costituzione del Body Politick, Xxxxx ritiene che ogni consociato debba sentirsi vincolato all’osservanza delle decisioni adottate dalla maggioranza della comunità civile93.
Si può concludere che la dichiarazione consensuale, formulata da tutti gli individui nella fase iniziale di formazione della società statuale, produca l’effetto giuridico di applicare il principio maggioritario alle deliberazioni future, vincolando anche quei consociati che successivamente fossero dissenzienti.
Come emerge dall’analisi fino qui effettuata, in questo filosofo la finalità della costituzione della società politica coincide con la garanzia statuale della conservazione della proprietà privata: quest’ultima è concepita lato sensu come la vita, la libertà di azione e la disponibilità patrimoniale.
Mentre la filosofia politica della tradizione medievale affidava la protezione di questi beni prevalentemente all’esercizio delle virtù morali dei governanti, invece, il moderno pensiero liberale di Xxxxx si basa su un criterio
92 X. XXXXX, op. cit., p. 375.
93 Idem, p. 376.
giuridico-formale, cioè la manifestazione del consenso da parte dei governati.
Egli invoca espressamente l’autorità di Xxxxxx per sostenere che la conservazione della proprietà non possa essere effettiva, duratura e sicura qualora sia fondata soltanto sulla rettitudine, sulla saggezza e sulla prudenza di coloro che governano94.
A sostegno della propria tesi, Xxxxx afferma che, sebbene all’inizio le comunità politiche fossero guidate da uomini integerrimi, ciononostante l’istituzione dell’autorità governante era pur sempre l’esito di una determinazione consensuale formulata in modo espresso o tacito95.
Dunque, possiamo concludere che in Xxxxx il potere politico-statuale, limitandosi a garantire i diritti inviolabili di libertà e di proprietà, appaia “meramente funzionale rispetto al potere dei privati, rispetto cioè alla loro libera iniziativa economica” 96.
Conclusioni
Sebbene in Xxxxx lo stato di natura non sia assimilabile ad una condizione caotica di guerra, come avviene in Xxxxxx, tuttavia anche questo filosofo fonda lo Stato su un accordo contrattuale.
Xxxx, in Xxxxx sembra che l’autonomia individuale non abbia soltanto la funzione di spiegare l’origine (comunque, artificiosa) della società politica, ma ne sia anche la stessa finalità ideale.
Dunque, nella teoria politica di Xxxxx non si può parlare in termini razionalmente adeguati di sussidiarietà, poiché
94 Idem, pp. 373 e 387.
95 Idem, pp. 373 e 388.
96 X. XXXXXXX, Storia del diritto moderno cit., p. 337.
anch’egli ha ancora una visione astratta della libertà, che si riduce a quella del singolo individuo.
Conclusioni finali
Tutte le teorie politiche dei filosofi giusnaturalisti esaminati, Xxxxxxx, Xxxxxx e Xxxxx, sono in aperto contrasto con l’idea “etica” di libertà, poiché affermano una concezione della libertà che è soltanto quella individuale, tipica della sfera del diritto privato.
A causa di questi presupposti soggettivistici, per tali dottrine lo Stato è un posterius, che, conseguentemente, deve essere giustificato razionalmente.
Perciò, nel tentativo di spiegarne la genesi, esse elaborano una costruzione astratta e artificiosa, ricorrendo a un contratto stipulato da tutti gli individui per stabilire il loro ingresso nella società politica, oltre che per assoggettarsi al potere costituito, con i derivanti dilemmi aporetici esaminati.
Per questi profili fortemente individualistici, che ritornano in maniera costante nelle loro trattazioni, riteniamo che in questi filosofi non sia possibile osservare il divenire speculativo della libertà, necessario per comprendere in modo più profondo il valore della sussidiarietà.
Pertanto, nel capitolo successivo, il presente lavoro prosegue illustrando come, al contrario, nel pensiero di Xxxxx la libertà trascenda quella del singolo, per realizzarsi concretamente nelle istituzioni etiche dello Stato moderno.
CAPITOLO II
LA DOTTRINA DI XXXXX SULL’ETICITA’
Considerazioni introduttive
Nel precedente capitolo è stata stigmatizzata la debolezza teoretica delle categorie negoziali applicate dai giusnaturalisti alla sfera della scienza giuridica dello Stato, concludendo per l’impossibilità di fondare un concetto di sussidiarietà attraverso le loro dottrine contrattualistiche.
Anche per quanto riguarda Xxxxx, nonostante alcune interpretazioni favorevoli da parte della dottrina, tuttavia, abbiamo ritenuto che il Body Politick fosse comunque l’esito consensuale di un principio soggettivistico radicato nella filosofia politica liberale.
Pertanto, lo scopo del presente capitolo è valutare se la visione politica di Xxxxx sia idonea a incardinare il principio di sussidiarietà nella modernità, in modo tale che esso sia coerente con i fondamenti dogmatici della sovranità statuale.
Nei confronti del pensiero individualistico elaborato da Xxxxxxx, Xxxxxx e Xxxxx, la severa critica del valore scientifico del diritto privato costituisce il tema principale attorno al quale la dottrina pubblicistica hegeliana sviluppa il proprio sistema concettuale.
Xxxxx premettere, sin da questo momento, che la censura hegeliana non è rivolta al diritto romano in quanto tale.
A tale proposito, una dottrina sostiene che il filosofo di Jena non disconosca la categoria del contratto, ma le riconosca validità solo nella sfera del diritto privato. Secondo tale interpretazione, la teoria del contratto sociale, elaborata dai giuristi della scuola del diritto naturale, costituirebbe
un’indebita trasposizione di un istituto civilistico, quale è il negozio giuridico, nella sfera del diritto pubblico1.
Xxxxx ritiene che la libertà individuale della filosofia contrattualistica non sia la libertà vera e oggettiva, ma sia soltanto l’espressione dell’arbitrio soggettivo, cioè la manifestazione di una concezione razionalmente inadeguata ed errata della libertà.
Attraverso la stesura del presente capitolo si tende ad una triplice finalità.
Inizialmente, l’intento è individuare i capisaldi concettuali dell’idea di libertà formulata dal filosofo tedesco, partendo dall’analisi critica, effettuata dallo stesso Xxxxx, del carattere astratto e indeterminato dell’imperativo morale kantiano.
Successivamente, dopo aver fornito una breve spiegazione sulla connessione presente fra l’individualismo giuridico di Xxxx e la teoria del contratto sociale di Xxxxxxxx, si cercherà di dimostrare che la concezione hegeliana della libertà si realizza, da un punto di vista speculativo, nelle istituzioni etiche storicamente esistenti e previste dall’ordinamento positivo dello Stato.
Infine, l’analisi sarà rivolta all’individuazione della sussistenza di possibili nessi relazionali - sia in termini di rapporto di continuità, sia in termini di rapporto di discontinuità - fra la dottrina hegeliana del diritto pubblico, da un lato, e le scuole del diritto naturale e di Savigny, dall’altro: nel corso di tale esame, l’attenzione sarà focalizzata anche sulle differenze di contenuto, nell’ambito del pensiero giuridico internazionalistico, fra la concezione kantiana e quella di Xxxxx.
1 X. XXXXXX, Studi hegeliani. Diritto cit., p. 13.
Paragrafo I
La critica di Xxxxx al formalismo kantiano della libertà Come è stato anticipato nell’introduzione, secondo Xxxxx la libertà vera e oggettiva non corrisponde a quella individuale del singolo soggetto: quest’ultima è soltanto il momento iniziale di un complesso processo di realizzazione concettuale della stessa idea di libertà, che si compie nelle istituzioni etiche del diritto positivo storicamente esistenti e trova il proprio perfezionamento definitivo nell’ordinamento politico dello Stato moderno.
Per poter comprendere lo sviluppo di questa sua teoria, è necessario iniziare dalla critica che egli muove alla nozione kantiana di libertà, da lui considerata troppo formale e indeterminata.
Certamente, Xxxxx riconosce un merito imperituro e perenne al filosofo di Xxxxxxxxxx, dal momento che quest’ultimo fonda, in termini laici e moderni, i principi della filosofia morale esclusivamente sul supremo postulato della libertà umana2.
Egli ritiene che Xxxx affermi definitivamente la centralità assoluta del valore del pensiero e, pertanto, proclami
2 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia giuridica di G.G.F. Xxxxx, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2012, p. 13. L’autore afferma l’universale e indiscussa notorietà del fatto che Xxxx fonda la filosofia morale sul principio supremo costituito dal postulato della libertà; perciò, sia la teoria del diritto, sia la teoria della virtù sono l’espressione dell’applicazione all’uomo di questo supremo postulato. Più innanzi, precisamente alle pp. 32- 33, il medesimo autore scrive, inoltre, che Xxxxx non perde mai la consapevolezza che il merito della grande scoperta moderna del valore assoluto del pensiero sia ascrivibile senza dubbio alla filosofia di Xxxxxxxx Xxxx.
l’indipendenza della ragione da ogni vincolo veritativo che non sia discendente dalla libertà stessa3.
Precisamente, il filosofo idealista scrive che: “die Erkenntnis des Xxxxxxx erst durch die Kantische Philosophie ihren festen Grund und Ausgangspunkt durch den Gedanken seiner unendlichen Autonomie gewonnen hat” 4.
La crisi progressiva della metafisica tradizionale pone drammaticamente la problematica della pensabilità teoretica della ricostituzione di un ordine assiologico, il quale non derivi da speculazioni ontologiche precedenti ed esterne, ma che abbia in sé la ratio della propria validità, ossia che quest’ultima sia in re ipsa e non sia determinata aliunde.
In conseguenza di ciò, la prospettiva antropocentrica costituisce una vera e propria rivoluzione copernicana dell’etica, in nome della quale le istanze dell’oggettività ruotano attorno al fulcro della stessa soggettività umana, rendendo l’individuo l’assoluto legislatore in campo morale5.
Secondo questa Weltanschauung secolarizzata, che pone al centro della filosofia pratica l’uomo e il suo pensiero, la valenza cogente degli imperativi etici deriva dalla medesima ragione umana e non è sancita da alcuna fonte normativa eteronoma: “La legge morale non viene all’uomo dal di fuori. Essa è un fatto della sua stessa costituzione
3 Idem, p. 14.
0 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie cit., p. 258: “la conoscenza della volontà ha guadagnato il suo saldo fondamento e punto di partenza solo grazie alla filosofia kantiana, cioè con il pensiero dell’autonomia infinita della volontà”.
0 X.X. XXXXXX, Xxxxxxxx Xxxx: The Philosopher of the Enlightenment, tr. it., in Id., Come io vedo la filosofia e altri saggi, Xxxxxxx, Roma, 2005, p. 70.
razionale. Nel seguire la legge, la volontà umana si fa legge a se stessa, si afferma come (…) principio razionale di azione. In ciò consiste l’autonomia della volontà morale” 6. Dunque, la ragione pratica individuale diviene il fondamento necessario e sufficiente della legislazione morale: quest’ultima non è l’esito di un’imposizione esterna, ma è rinvenibile unicamente nella proclamata autonomia del pensiero umano.
Secondo Xxxx, la certezza della libertà è ipso facto: egli afferma l’indubitabilità dell’esistenza di una legge morale a priori, essendo un fatto che non deve essere dedotto7, ma che appartiene alla stessa costituzione razionale dell’uomo8. Quindi, quest’ultimo è capace di autodeterminarsi al di là dei molteplici e contraddittori impulsi istintuali, non nel senso che egli possa prescinderne, ma, piuttosto, nel senso che possa decondizionarsi rispetto ad essi e con l’ausilio della ragione sia in grado di vincere le sollecitazioni egoistiche della sensibilità.
Precisamente, Xxxx scrive che: “Freiheit und unbedingtes praktisches Gesetz weisen also wechselsweise aufeinander zurück.” 9.
La coincidenza dell’autonomia della legislazione morale con la libertà implica che il precetto assuma necessariamente una formulazione astratta, priva di un contenuto sostanziale, in modo tale da consentire la validità universale del principio normativo: la legge morale è un imperativo categorico, il quale “non ha in vista nessun
6 X. XXXXXXXXX, Storia della Filosofia, Vol. II, Parte I, Unione tipografico-editrice torinese, Torino, 1961, p. 452.
7 I. XXXX, Kritik der praktischen Vernunft, tr. it., Laterza, Roma- Bari, 2003, p. 66.
8 X. XXXXXXXXX, op. cit., Vol. II, Parte I, p. 452.
9 I. XXXX, Xxxxxx xxx xxxxxxxxxxx xxx., x. 00: “La libertà e la legge pratica incondizionata si corrispondono dunque reciprocamente”.
oggetto, nessuno scopo determinato, ma solo la conformità dell’azione alla legge” 10.
A causa di questa esclusione di qualunque finalità particolare, l’imperativo morale è meramente formale e costituisce, come legge, l’esigenza stessa del suo rispetto, obbligando la volontà non all’assunzione di particolari condotte attive ovvero omissive, ma, soltanto, ad ogni azione che risulti conforme alla ragione, cioè non sia ispirata o dettata da un impulso qualsiasi della sensibilità11. Alla luce di quanto appena scritto, la concezione kantiana della libertà può essere analizzata, contemporaneamente, sia sotto un aspetto negativo, sia sotto un aspetto affermativo. Sotto il primo profilo, si tratta di chiarire che la libertà si determina indipendentemente dalla sussistenza di ogni impulso sensibile e transeunte; inoltre, essa astrae da ogni contenuto materiale e particolare che sia espressione di una data contingenza empirica.
Nel suo concetto affermativo, invece, la libertà si manifesta nell’idea dell’universalità della legge, la quale si identifica nella possibilità di una fondazione razionale dell’azione morale che sia tale da eclissare i condizionamenti istintuali12.
Conseguentemente, è plausibile dedurre che la formalità costituisca la caratteristica strutturale e l’esito necessario della sopra indicata autonomia della legislazione etica.
Infatti, se quest’ultima avesse un contenuto materiale e determinato, essa tradirebbe il postulato della libertà, poiché sarebbe vincolata ad un particolare oggetto sostanziale, che contraddirebbe l’universalità potenziale della norma, la quale non sarebbe più opponibile erga omnes.
10 X. XXXXXXXXX, op. cit., Vol. II, Parte I, p. 451.
11 Idem, p. 452.
12 I. XXXX, Kritik der praktischen cit., pp. 58 e 60.
Quindi, il formalismo implica che i concetti di bene e di male non siano stabiliti prima della legge morale, ma soltanto dopo e attraverso essa.
Una corrente di pensiero in ambito filosofico sostiene che il formalismo kantiano non sia l’affermazione di una forma vuota e priva di ogni contenuto, ma, piuttosto, sia la scoperta della fonte inesauribile di ogni moralità, la quale alimenta i costumi dei popoli nel loro flusso storico.
Secondo questa interpretazione, proprio perché la vita morale dell’individuo non è, realisticamente, sottratta alla caducità della contingenza empirica, da un punto di vista logico Xxxx ha avvertito la necessità di rimuovere ogni contenuto dalla legge morale e di concepire quest’ultima nella sua pura formalità, cioè come rinuncia da parte dell’uomo al richiamo degli impulsi sensibili13.
Invece, Xxxxx avverte un limite intrinseco nella speculazione filosofica del suo predecessore, a causa di questa visione estremamente formale della libertà, come anche noi reputiamo.
Egli ritiene che Xxxx concepisca l’indipendenza della ragione nei termini della pura astrazione: tuttavia, secondo Xxxxx, questa astrazione è soltanto la forma immediata, istantanea e ancora incompiuta di tale indipendenza14.
Anche un’altra dottrina sembra condividere l’interpretazione hegeliana, affermando che: “la libertà è stata dapprima compresa nella sua forma astratta; (…) il difetto di Xxxx è appunto questo: l’esagerazione, o per dir meglio, il formalismo della libertà” 15.
13 X. XXXXXXXXX, op. cit., Vol. II, Parte I, pp. 452-453.
00 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx über die Philosophie der Geschichte, tr. it., Mondolibri, Milano, 2003, pp. 359-360.
15 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia cit., p. 15.
Nel criticismo del filosofo di Xxxxxxxxxx, il formalismo è una conseguenza inevitabile del postulato della libertà che caratterizza la legge morale: quest’ultima “nel suo principio volutamente formale, appunto in quanto astrae dagli stimoli, è una universalità senza contenuto, la pura identità del volere con sé medesimo” 16.
Fintantoché la libertà è intesa, nel senso kantiano, come un concetto astraente da tutto, Xxxxx ritiene che sussista un dualismo inconciliabile 17 , dal quale si evince che la dicotomia - che si manifesta già tra la Ding an sich e il Phänomen, in sede di speculazione teoretica 18 - emerge anche nella distinzione fra il livello del Sollen e quello del Sein, in sede di filosofia pratica.
Quest’ultima valutazione è sostenuta, autorevolmente, anche dalla dottrina, secondo la quale: “(…) Xxxx non aveva soltanto riconosciuto il dualismo nella filosofia teoretica, ma appunto sopra un dualismo aveva edificato la sua filosofia pratica” 19.
Il primo profilo di questa contrapposizione è quello in cui “Der Xxxxx enthält (…) das Element der reinen Unbestimmtheit” 20 , ossia la volontà coincide con il
16 Idem, p. 19.
17 Idem, p. 21.
18 Per alcuni approfondimenti sulla teoria kantiana della conoscenza, cfr. X. XXXXXXXXX, op. cit., Vol. II, Parte I, pp. 427-428, dove si dice che, per Xxxx, l’oggetto di cognizione non può essere “la cosa in sé”, che è inaccessibile alla conoscenza umana, ma solamente ciò che appare ai sensi, cioè quello che egli denomina con il termine “fenomeno”: pertanto, la conoscenza umana, essendo sempre e soltanto conoscenza di fenomeni, è unicamente un’esperienza che non può prescindere dal dato materiale ed empirico.
19 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia cit., p. 39.
00 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie cit., p. 88: “La volontà contiene (...) l’elemento dell’indeterminatezza pura”.
momento del puro pensamento razionale del singolo soggetto, nell’ambito del quale ogni bisogno, desiderio e impulso, derivanti dalle circostanze esterne e naturali, sono assenti totalmente.
In questa prospettiva, la volontà umana coincide con l’autentica astrazione e con un’idea di universalità priva di ogni contenuto sostanziale.
Per il rappresentante dell’idealismo tedesco, questo profilo, appena descritto, rivela soltanto un aspetto unilaterale e inadeguato del concetto di libertà: quest’ultima è solo la libertà in un’accezione implicita, negativa e non ancora evoluta, quella che egli chiama “die Xxxxxxxx xxx Xxxxxxxxxx” 00.
Xxxxx rilevare che in Xxxxx quest’ultima categoria mentale, l’intelletto, da lui considerato il grado meno elevato della conoscenza filosofica, ha sempre un’accezione peggiorativa rispetto a un altro termine, al quale egli attribuisce un significato più positivo e un grado più eminente da un punto di vista gnoseologico: esso è la Vernunft, ossia la ragione22. Nonostante i profili critici appena stigmatizzati, la dottrina kantiana considera, erroneamente, questa forma iniziale di
21 Idem, p. 90: “la libertà dell’intelletto”.
22 A tale proposito, cfr. A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il xxxxxxxxxx xxxxx xxxxxxxxx xxx., (*) x xxx xx x. 00; inoltre, sempre sul medesimo tema dell’intelletto, cfr. X. XXXXXXXXX, op. cit., Vol. II, Parte II, p. 86: “Xxxxx chiama intelletto <<il pensiero che produce solo determinazioni finite e che si muove in esse>>; e chiama finite le determinazioni del pensiero che sono soltanto soggettive e in contrasto con l’oggettivo, e che, inoltre, per il loro contenuto limitato, sono in contrasto tra loro e, a maggior ragione, con l’assoluto (Enc., § 25). L’intelletto così inteso è solo un aspetto parziale, è il primo momento della ragione. E’ il momento, per l’appunto, intellettuale, nel quale il pensiero si ferma alle determinazioni rigide, limitandosi a considerarle nella loro differenza reciproca”.
libertà come se fosse già assoluta, perenne e, quindi, giunta al proprio perfezionamento speculativo.
Perseverando in questa inesattezza dogmatica, secondo cui la nozione di libertà è ridotta alla semplice attività del pensiero avulso da ogni contenuto concreto, l’intelletto umano identifica il rapporto che si instaura fra questa libertà formale e la realtà, solamente come la semplice applicazione di tale libertà a una data materia, la quale non apparterrebbe all’essenza concettuale della libertà stessa23. Invece, il secondo aspetto della contrapposizione kantiana coincide con la transizione dall’indeterminatezza indifferenziata del puro pensiero astratto alla determinatezza differenziata dell’ambito fenomenico- naturale, costituito dagli impulsi, dai desideri e dalle inclinazioni.
Sebbene questi ultimi non siano razionali, essi sono necessari affinché la volontà di libertà assuma un contenuto particolare, “al quale il volere deve risolversi per uscire dalla sua indeterminatezza” 24.
Tuttavia, come è stato detto in precedenza25, la legge morale è formale, priva di un contenuto sostanziale e, pertanto, trascende ogni oggetto materiale ed empirico: infatti, quest’ultimo, essendo accidentale e transeunte, non è in grado di corrispondere adeguatamente a quella domanda di oggettività che emerge dalle istanze più profonde della ragione umana.
00 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie cit., p. 98, nonché
A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia cit., p. 20.
24 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia cit.,
p. 21; su questo punto, cfr. anche G.W.F. XXXXX, Grundlinien der Philosophie cit., p. 90.
25 V. supra dove si dice che, in Xxxx, la formalità è il principio costitutivo dell’autonomia della legislazione morale.
Conseguentemente, da un lato, la volontà di libertà è distinta dalla particolarità degli impulsi ed eccede la molteplicità in cui i desideri si trovano dispersi26; dall’altro lato, tuttavia, gli impulsi costituiscono l’immediato oggetto nel quale la volontà deve concretizzarsi al fine di eclissare l’imperfezione della propria dimensione formale ed astratta. Proprio in questo insanabile conflitto fra la razionalità teorica e la sensibilità pratica, si radica la dicotomia di Xxxx evidenziata da Xxxxx in modo perfettamente condivisibile. Come sostenuto in dottrina, la legislazione morale prescrive l’esigenza della determinazione, ma, proprio perché è astratta, non impone alla volontà “per nessuna intima necessità di determinarsi in questo piuttosto che in quest’altro modo” 27.
In conseguenza di ciò, la volontà si riduce alla semplice possibilità di scegliere ad libita fra i differenti dati empirici, finiti e contingenti.
La libertà, così intesa, sfocia inevitabilmente “nel puro e semplice arbitrio nella comune accezione della parola” 28, il quale, anziché essere il momento veritativo della volontà, è, piuttosto, la contraddizione della volontà stessa.
Pertanto, la libertà viene confusa con la licenza “daß man tun könne, was man wolle” 29 ; reputiamo che una tale concezione riveli una mancanza totale di educazione del pensiero, che impedisce di comprendere in modo preciso la vera essenza della libertà, quella che Xxxxx definisce, con
26 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia cit., p. 21.
27 Ibidem.
28 Ibidem.
29 G.W.F. XXXXX, Grundlinien der Philosophie cit., p. 102: “che si possa fare ciò che si vuole”.
una certa enfasi espressiva, la “volontà essente-in-sé-e-per- sé”, ossia “Der an und für sich seiende Xxxxx” 30.
Poiché la libertà non è distinta dal mero arbitrio, il razionalismo ha il proprio esito negativo nel materialismo deterministico 31 , il quale è la negazione della libertà medesima, tanto che Xxxxx conclude che, qualora si pretendesse di identificare l’arbitrio nella libertà, allora esso dovrebbe chiamarsi illusione: egli usa, esplicitamente, la locuzione semantica “Täuschung” 32.
Alla luce delle considerazioni formulate sino a tale punto, si deduce che la filosofia morale elaborata da Xxxx “se non ha da una parte saputo oltrepassare il formalismo, dall’altra non riesce a scorgere altro principio concreto all’infuori del principio individualistico” 33.
Quest’ultimo costituisce il fondamento della dottrina kantiana dello Stato.
Infatti, la definizione del diritto formulata da Xxxx è la seguente: “Eine jede Handlung ist recht, die oder nach deren Maxime die Freiheit der Willkür eines jeden mit jedermanns Freiheit nach einem allgemeinen Gesetze zusammen bestehen kann (…)” 34.
30 Idem, p. 110.
31 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia cit., pp. 21-22.
00 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie cit., p. 104.
33 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia cit., p. 22.
34 I. XXXX, Die Metaphysik der Sitten, tr. it., Bompiani Il pensiero occidentale, Milano, 2006, Einleitung in die Rechtslehre, § C. Allgemeines Prinzip des Rechts: “Qualsiasi azione è conforme al diritto quando per mezzo di essa, o secondo la sua massima, la libertà dell’arbitrio di ognuno può coesistere con la libertà di ogni altro secondo una legge universale”.
Xxxxx analizza questa proposizione e distingue due determinazioni presenti all’interno di essa: una positiva e una negativa.
La prima è la legge universale, ossia la legge di ragione, secondo la quale l’arbitrio di ogni individuo deve essere esercitato attraverso modalità che consentano anche ad ogni altro uomo di manifestare il proprio arbitrio.
Invece, la seconda determinazione è la limitazione della libertà descritta nel suo esercizio esteriore, ossia la legalità. A tale proposito, giova considerare la distinzione kantiana fra la nozione di moralità e quella di legalità35.
La prima è l’adesione di un’azione alla legge, il cui movente risiede unicamente nella sola volontà di rispettare il precetto, senza che i desideri della sensibilità - come la ricerca di ottenere un vantaggio ovvero di evitare un danno
- concorrano a fornire un proprio contributo integrativo sul piano motivazionale.
Invece, la legalità è la mera conformità esteriore della condotta alla norma, a prescindere da alcuna valutazione sui motivi ispiratori della volontà, i quali possono essere anche diversi dal semplice intento di osservare la legge, ma, ad esempio, possono derivare da sentimenti irrazionali di paura ovvero di speranza, a causa dei quali colui che agisce certat de damno vitando seu de lucro captando.
Inoltre, Xxxxx ritiene che la nozione kantiana del diritto rifletta la concezione russoviana, secondo la quale il fondamento costitutivo-sostanziale del diritto pubblico e dello Stato non sia la volontà razionale-in-sé-e-per-sé, cioè la libertà vera e oggettiva, ma sia la volontà intesa come il particolare arbitrio del singolo individuo, al quale Xxxxx
00 Xxx. X. XXXXXXXXX, op. cit., Vol. II, Parte I, pp. 454 e 461.
attribuisce un valore negativo36, come risulta da quanto è stato appena scritto37.
In base a quanto è stato anticipato nelle considerazioni introduttive, l’argomento trattato in questo paragrafo impone una breve esposizione di alcuni elementi distintivi del pensiero statualistico di Xxxxxxxx.
Come noto, quest’ultimo sostiene che la deliberazione pubblica dell’autorità statuale sia l’espressione della volonté générale, la quale non è la volontà di tutti, cioè la mera somma aritmetica delle singole volontà particolari che mirano soltanto al perseguimento degli interessi privati; piuttosto, essa è la volontà comune a tutti i votanti, depurata e avulsa dagli interessi particolari e contrapposti che si elidono reciprocamente proprio a causa del loro contrasto38. Secondo certa dottrina, la volonté générale è “l’aggregato delle volizioni degli individui, in ordine agli interessi che sono loro comuni” 39.
Da tale affermazione è abbastanza plausibile ritenere che la volontà generale russoviana, seppure sia distinta dalla volontà di tutti, sia comunque l’esito di un principio volitivo contrattualistico e individualistico.
Poiché nello stato di natura l’uomo viene definito “un animal stupide et borné” 40, nel Contrat social il contenuto dell’obbligazione politica non è più dettato da un ordine assiologico, dato come presupposto e cogente, che sia conoscibile dalla ragione e possa imporsi alla libertà.
00 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie cit., p. 116.
37 V. supra dove si dice che Xxxxx ritiene che, se si pretendesse, erroneamente, che l’arbitrio fosse la libertà, allora esso sarebbe una mera illusione.
38 X.-X. XXXXXXXX, Du contrat social, Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Xxxxx, 0000, p. 66.
39 X. XXXXXX, op. cit., I. Storia delle dottrine politiche, p. 299.
40 X.-X. XXXXXXXX, op. cit., p. 55.
Anche un altro giurista pensa che in Xxxxxxxx il diritto positivo non attinga più la propria valenza normativa dalla fonte dell’ordine morale, ma abbia un’origine esclusivamente convenzionale derivante dalla stipulazione di quel patto sociale, che costituisce il “punto di distacco e forse di rivolta contro tale ordine” 41.
Infatti, il filosofo di Ginevra asserisce che l’ordine sociale sia un diritto sacro dal quale tutti gli altri diritti dipendono; tuttavia, esso non è fondato sulla natura: “il est donc fondé sur des conventions. Il s’agit de savoir quelles sont ces conventions” 42.
Dunque, proprio la genesi radicalmente individualistica dell’atto associativo cagiona una palese interruzione della continuità fra il diritto naturale e il diritto positivo.
A sostegno della sua tesi, egli scrive che “restent donc les conventions pour base de toute autorité légitime parmi les hommes” 43.
Precisamente, la clausola essenziale di questo patto associativo ha per oggetto “l’aliénation totale de chaque associé avec tous ses droits à toute la communauté” 44.
Quindi, il contratto sociale è l’accordo di tutti gli individui a rinunciare alla disposizione autonoma dei propri diritti e a cederli all’intera comunità della quale sono membri.
Questa scelta unanime prescrive necessariamente l’accettazione di un determinato meccanismo procedurale di decisione collettiva insito nella comunità politica.
41 X. XXXXX, Legalità nelle istituzioni, in Id., Manuale di interpretazione costituzionale, Cedam, Padova, 1994, p. 712.
42 X.-X. XXXXXXXX, op. cit., p. 41.
43 Idem, p. 45.
44 Idem, p. 51.
Infatti, il filosofo svizzero afferma che ciascuno mette in comune la propria persona e tutto il proprio potere “sous la suprême direction de la volonté générale” 45.
Tale atto negoziale 46 di alienazione totale ha l’effetto giuridico di produrre un corpo morale e collettivo costituito da un numero di membri corrispondenti a quello dei voti dell’assemblea47.
Questa rapida digressione sul pensiero politico russoviano conferma la validità della critica hegeliana nei confronti dell’origine individualistica e contrattualistica della volontà nel criticismo di Xxxx.
Ispirandoci a Xxxxx, riteniamo che il punctum dolens della filosofia kantiana risieda nel fatto che la libertà vera è concepita, in senso astratto, come una pura universalità priva di ogni contenuto sostanziale.
Tuttavia, come è stato scritto nelle pagine precedenti 48 , questo pensiero astratto esige una sua determinazione e quest’ultima risiede necessariamente nell’arbitrio individuale, al quale la legge razionale non può che apparire come un vincolo esterno limitante la stessa libertà49.
45 Idem, p. 52.
46 Ibidem. In questa p., la genesi individualistica e contrattualistica della volonté générale risulta dalle parole stesse di Xxxxxxxx, il quale si avvale dei termini seguenti: “la personne particulière de chaque contractant”.
47 Ibidem.
48 V. supra dove si scrive che sussiste una profonda contraddizione tra il livello del “dover essere”, costituito dalla pura razionalità astratta, e il livello dell’“essere”, costituito dagli impulsi egoistici della sensibilità empirica.
00 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie cit., p. 116.
In conseguenza della “Willkür” 50, “la filosofia pratica, alla ricerca di un contenuto concreto, è condotta ad accettare per buono il primo che le si presenta” 51.
Pertanto, la scienza morale si risolve in un “leeren Formalismus” 52 e in una vuota retorica “von der Pflicht um der Pflicht willen” 53 , giustificando qualunque comportamento illecito o immorale.
Con specifico riferimento alle considerazioni sviluppate sino a tale punto, Xxxxx sostiene che, in termini storico- politici, la Rivoluzione francese sia la manifestazione dell’idea secondo cui la volontà particolare e arbitraria dell’individuo costituisca il cardine sostanziale dell’ordinamento giuridico.
Infatti, giova rilevare che la definizione kantiana del diritto, sopra indicata, corrisponde a quanto è stabilito dall’Article 4 della Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen, proclamata il 26 Agosto 1789, ai sensi del quale: “La liberté consiste à pouvoir faire tout ce qui ne nuit pas à autrui: ainsi, l’exercice des droits naturels de chaque homme n’a de bornes que celles qui assurent aux autres Membres de la Société la jouissance de ces mêmes droits. Ces bornes ne peuvent être déterminées que par la Loi” 54.
Anche da una prospettiva fenomenologica, Xxxxx descrive la libertà universale ed astratta proclamata dalla Rivoluzione giacobina del 1793, nei termini di una libertà
50 Ibidem: “arbitrio”.
51 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia cit., p. 23.
00 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie cit., p. 258: “vuoto formalismo”.
53 Ibidem: “del dovere per il dovere”.
negativa e, concettualmente, imperfetta, indicandola come
“Xxxxx xxx Xxxxxxxxxxxxx” 00.
In modo condivisibile, egli interpreta questo avvenimento storico come la manifestazione perversa dell’esigenza astratta di una libertà assoluta e di una pretesa razionalità, in nome delle quali ogni ordinamento sociale esistente, risalente alla tradizione, è abolito e distrutto, cagionando gli esiti drammatici di quella tragica fase dell’esperienza rivoluzionaria56.
Conclusioni
Pur riconoscendo a Xxxx il merito di porre la libertà al centro della riflessione filosofica, Xxxxx ne stigmatizza, correttamente, la dimensione astratta e formalistica.
La purezza del “dover essere”, che non vorrebbe contaminarsi con la realtà concreta, finisce, paradossalmente, per confondere la libertà con l’arbitrio del singolo, illudendosi.
Come in Xxxxxxxx, anche in Xxxx l’ordine politico continua ad essere spiegato in termini contrattualistici, costruendolo sul primato della volontà individuale, tanto da arrivare a negare, con la Rivoluzione francese, la legittimità di ogni ordinamento sociale legato alla tradizione: da questa severa critica, Xxxxx elabora l’idea della libertà vera e oggettiva, come si vedrà nel paragrafo seguente.
55 G.W.F. XXXXX, Phänomenologie des Geistes, tr. it., Bompiani Testi a fronte, Milano, 2004, p. 790: “furia del dileguare”. In relazione a questa espressione che Xxxxx attribuisce alla libertà negativa della Rivoluzione francese, cfr. anche Id., Grundlinien der Philosophie cit., p. 90, dove il filosofo usa le seguenti parole: “Furie des Zerstörens”: “furia della distruzione”.
56 G.W.F. XXXXX, Phänomenologie des cit., p. 786, nonché Id., Grundlinien der Philosophie cit., p. 90, nonché A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia cit., p. 29.
Paragrafo II
“Der an und für sich seiende Xxxxx” 57
Nel precedente paragrafo del presente capitolo, è stato osservato che Xxxxx attribuisce un valore fondamentale al principio kantiano dell’autonomia della legge morale, la quale non dipende da un ordine ontologico esterno che la genera, ma ha in se stessa l’origine della propria validità, manifestando una visione antropocentrica in cui il pensiero e l’indipendenza della ragione, da ogni vincolo veritativo eteronomo, assumono un’assoluta centralità e preminenza. In conseguenza di ciò, egli conclude che soltanto la realtà concettuale, che è l’espressione della coscienza umana, possa essere l’oggetto di studio della scienza filosofica, alla quale egli assegna, pertanto, il compito di dimostrare che soltanto il “concetto” è ciò che ha “realtà”58.
Da quest’ultima proposizione, appena indicata, si comprende che nella teoria hegeliana soltanto il “concetto”, chiamato “Begriff” 59 , è ciò che coincide con la realtà “essenziale” avente una propria dignità euristica, realtà da lui denominata “Wirklichkeit” 60: pertanto, quest’ultima è contrapposta a ciò che è accidentale, relativo e transeunte, che egli indica con i termini “Erscheinung” 61 o “Dasein”
62.
Come Bobbio sostiene, la sfera ideale dell’oggettività pensata è la realtà vera e assoluta: “egli [Xxxxx] non pensa
57 “La volontà essente in sé e per sé”.
00 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie cit., p. 72.
59 Ibidem.
60 Ibidem.
61 G.W.F. XXXXX, Encyklopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse, tr. it., Bompiani Testi a fronte, Milano, 2007, § 6.
62 Ibidem.
neppur lontanamente che la filosofia possa occuparsi dell’essere empirico. Questa realtà assoluta è il concetto speculativo, il <<concetto>> semplicemente” 63.
Tuttavia, Xxxxx non si limita a concepire la relazione di identità fra il Begriff e la Wirklichkeit in termini statici e astratti, ma esplicita il senso dinamico e concreto di questa relazione, scrivendo che: “er [der Begriff] sich diese [die Wirklichkeit] selbst gibt” 64.
Xxxxx intende affermare che il concetto speculativo non è assimilabile ad una res data e fissa, ma è una res in fieri, ossia è l’esito di un processo di autopoiesi nel quale “Quello che, secondo Xxxxx, è <<il concetto fondamentale della filosofia>>, il vero infinito, deve perciò annullare e togliere di mezzo il finito, riconoscendo e realizzando, dietro le apparenze di esso, la sua propria infinità” 65.
Questa interpretazione della filosofia hegeliana è in sintonia con quanto afferma un’altra dottrina, secondo la quale l’idea dominante del sistema di Xxxxx è proprio l’idea della concretezza speculativa del concetto, la quale rappresenta “la forza motrice dell’intero processo e lo scopo supremo di ogni essere e di ogni divenire. (…) Qui, nella concretezza, è l’anima della filosofia hegeliana” 66.
Le riflessioni fino a qui sviluppate si collegano con quanto è stato anticipato precedentemente67, dove si è detto che, secondo Xxxxx, la libertà vera e oggettiva non è quella del
63 X. XXXXXX, Da Xxxxxx a Xxxx. Saggi di storia della filosofia, Xxxxxx, Napoli, 1965, pp. 180-181.
00 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie cit., p. 72: “il concetto si conferisce la realtà da se stesso”.
65 N. ABBAGNANO, op. cit., Vol. II, Parte II, p. 74.
66 X. XXXXXX, Da Xxxxxx a Xxxx. Saggi cit., p. 181.
67 V. supra dove si dice che, per Xxxxx, la vera libertà non è quella individuale, ma è quella che si realizza nelle istituzioni politiche del diritto positivo, storicamente esistenti.
singolo individuo: quest’ultima è soltanto il punto di partenza di un elaborato percorso attraverso il quale la stessa idea di libertà si realizza concettualmente, trovando il proprio compimento definitivo nelle istituzioni di diritto positivo previste dall’ordinamento politico-statuale.
Applicando queste premesse di ordine filosofico all’ambito della scienza giuridica, egli sostiene che lo studio scientifico del concetto del diritto coincida con lo studio della realizzazione speculativa di questo concetto stesso, scrivendo che: “Die philosophische Rechtswissenschaft hat die Idee des Rechts, den Begriff des Rechts und dessen Verwirklichung zum Gegenstande” 68.
Per Xxxxx, lo scopo della scienza del diritto è la comprensione dell’intrinseca razionalità immanente nelle determinazioni speculative attraverso le quali il sistema giuridico acquisisce, progressivamente, la propria solidità dogmatica e concettuale.
Ciò è confermato dalle sue stesse parole, secondo cui: “Sie [Die Rechtswissenschaft] hat daher die Idee, als welche die Vernunft eines Gegenstandes ist, aus dem Begriffe zu entwickeln, oder, was dasselbe ist, der eigenen immanenten Entwicklung der Sache selbst zuzusehen” 69.
A differenza della visione kantiana che concepisce la legge come limitante la libertà70, il filosofo idealista pensa che lo
00 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie cit., p. 72: “La scienza filosofica del diritto ha per oggetto l’idea del diritto, cioè il concetto del diritto e la realizzazione di questo concetto”.
69 Ibidem: “La scienza del diritto, pertanto, a partire dal concetto, deve sviluppare l’idea come quella che è la ragione di un oggetto, e ciò equivale a dire: essa deve stare a guardare lo sviluppo proprio e immanente della cosa stessa”.
70 V. supra dove si analizza la nozione kantiana del diritto, dicendo che la legalità è concepita come la mera conformità esteriore della condotta alla norma, a prescindere da alcuna valutazione sui motivi
sviluppo del diritto non rappresenti un’obiezione all’esercizio della stessa, ma, piuttosto, sia l’orizzonte entro il quale l’idea di libertà si realizza pienamente e totalmente, definendolo “das Xxxxx xxx xxxxxxxxxxxxxx Xxxxxxxx” 00 .
Queste ultime considerazioni implicano che, da un punto di vista teleologico, l’attuazione della libertà sia lo scopo al quale lo sviluppo del diritto è orientato finalisticamente72.
Egli afferma che il diritto non possa essere inteso, restrittivamente, come limitato alla sfera de iure privatorum, ma debba essere concepito in modo tale che comprenda, nel proprio sviluppo concettuale, le diverse modalità attraverso le quali l’idea di libertà si determina73. Xxxxx ritiene che la volontà essente-in-sé-e-per-sé, che egli identifica con la vera essenza della libertà74, sia il risultato derivante dalla sintesi concettuale di due momenti 75 , ognuno dei quali, assunto unilateralmente, è una mera
che determinano la volontà, i quali possono essere anche diversi dal semplice intento di osservare la legge, ma, ad esempio, possono derivare da sentimenti irrazionali di paura ovvero di speranza, a causa dei quali colui che agisce cerca di evitare un danno ovvero di ottenere un vantaggio; nel medesimo senso, v. ancora supra dove, sempre a proposito della dottrina kantiana, si dice che, per l’arbitrio individuale, la legge razionale non può che apparire un vincolo esterno che limita la libertà.
00 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie cit., p. 86: “il regno della libertà realizzata”.
72 Ibidem.
73 G.W.F. XXXXX, Encyklopädie der philosophischen cit., § 486.
74 V. supra dove si dice che la libertà viene confusa con la licenza che si possa fare ciò che si vuole, ma una tale concezione impedisce di comprendere la vera essenza della libertà, quella che Xxxxx definisce la volontà essente-in-sé-e-per-sé.
00 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie cit., p. 92.
astrazione intellettuale priva di un significato scientificamente rilevante76.
Il primo momento è il puro pensiero avulso da ogni contenuto determinato: esso identifica il livello del Sollen, presente nella contrapposizione kantiana sopra analizzata77. Il secondo è il particolarismo insito nei fenomeni empirici: esso identifica il livello del Sein, sempre secondo la nota dicotomia.
Invece, la sintesi, ossia la volontà essente-in-sé-e-per-sé che per Xxxxx è la libertà oggettiva78, è l’esito finale di un iter ascensionale attraverso il quale ciò, che è accidentale e transeunte, è elevato dai propri aspetti contingenti, sublimandosi concettualmente in ciò che ha un valore universale ed eterno: dunque, in questo modo la dicotomia teorizzata da Xxxx, fra l’essere e il dover essere, è risolta definitivamente79.
76 A proposito del significato negativo che Xxxxx attribuisce all’intelletto, v. supra dove si dice che in Xxxxx esso è considerato il grado meno elevato della conoscenza filosofica, avendo sempre un’accezione peggiorativa rispetto alla ragione, alla quale, invece, egli attribuisce un significato più positivo e un valore più alto.
77 V. supra dove si dice che, in Xxxx, la dicotomia fra il puro pensiero alieno da ogni contenuto, da un lato, e il dato empirico, dall’altro, riflette il profondo iato fra il Sollen e il Sein nel campo della filosofia pratica.
78 V. supra dove si dice che Xxxxx definisce la volontà essente-in- sé-e-per-sé come la vera essenza della libertà.
79 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia cit.,
p. 40, dove, a proposito del superamento hegeliano della contrapposizione kantiana fra l’essere e il dover essere, l’autore, immedesimandosi in ciò che Xxxxx pensa di Xxxx, scrive: “Tu [l’autore immagina che Xxxxx si rivolga a Xxxx] dividi e spezzi (…) l’uomo che io [il soggetto è sempre Xxxxx], come i greci, voglio sia pensato soltanto nell’armoniosa totalità delle sue forze”.
Xxxxx spiega che questo percorso conciliativo, attraverso il quale la “Besonderheit” 80 è ricondotta all’“Allgemeinheit”
81 , è intrapreso interamente su un piano teoretico- speculativo, ossia è l’effetto di una funzione cogitante esercitata dalla coscienza, che egli chiama espressamente “die Xxxxxxxxx xxx Xxxxxxx” 00.
Riferendosi a quest’ultimo aspetto della filosofia hegeliana, anche la dottrina scrive che l’immediatezza e la particolarità insite nelle circostanze naturali sono innalzate verso ciò che è universale, specificando che “questo risolvere, questo innalzare è ciò che si chiama attività del pensiero” 83.
Passerin d’Entrèves continua nella propria interpretazione di Xxxxx, affermando: “Xxxxxx è così che la via del volere, per farsi Spirito Oggettivo, cioè libero, è il sollevarsi al volere pensante, e che la libertà è essenzialmente soltanto pensiero” 84.
Si intende precisare che, con il concetto di “spirito oggettivo”, indicato con la locuzione semantica “Der wahre Xxxxx, die Sittlichkeit” 85, Xxxxx intende riferirsi alla libertà che si realizza nelle istituzioni etico-politiche di un determinato popolo, storicamente esistenti e previste dall’ordinamento giuridico dello Stato86.
A differenza di quanto è sostenuto da Xxxx, il pensiero umano si caratterizza per la sua idoneità ad emanciparsi
00 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie cit., p. 92: “particolarità”.
81 Ibidem: “universalità”.
82 Idem, p. 108: “l’attività del pensiero”.
83 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia cit., p. 48.
84 Ibidem.
85 G.W.F. XXXXX, Phänomenologie des cit., p. 596: “Lo spirito vero, l’eticità”.
86 X. XXXXXXXXX, op. cit., Vol. II, Parte II, pp. 83 e 93.
dalla propria condizione di astrattezza, entrando, così, in relazione con i diversi contenuti materiali derivanti dalle esperienze esterne, ma nello stesso tempo - proprio perché il pensiero, in quanto è libero, è determinato solo da sé medesimo - esso è in grado di elevarsi verso ciò che è universale ed essenziale, distogliendosi dagli aspetti accidentali presenti in quei contenuti medesimi e conservando la propria indipendenza da questi ultimi87.
Mentre in Xxxx l’ascetismo razionale, per il timore di perdere la propria libertà, è avulso da ogni contatto con gli stimoli della realtà empirica, riducendosi a un vuoto formalismo che alimenta la contrapposizione fra il Sollen e il Sein, non è così per Xxxxx.
In lui, contrariamente a quanto avviene nella filosofia morale del suo predecessore88, il nucleo fondamentale del suo sistema concettuale si riassume nel compimento di un itinerario di sublimazione, orientato al superamento della soggettività e della particolarità, con le quali - in ogni caso
- la volontà di libertà entra in relazione al fine di determinarsi.
Per il filosofo idealista, è assolutamente necessario “liberare quello che era il dato, l’esterno, l’oggettivo nel momento dell’arbitrio (…) dalla forma della sua immediata determinatezza naturale, dalla sua contingenza riportarlo alla sua essenza sostanziale” 89.
00 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie cit., p. 92.
88 V. supra dove si dice che, nel criticismo di Xxxx, il formalismo è una conseguenza inevitabile del postulato della libertà che caratterizza la legge morale: quest’ultima, nel suo essere formale, poiché astrae dagli stimoli, è una universalità priva di contenuto, cioè la pura identità del volere con sé medesimo.
89 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia cit., p. 48.
Dal momento che “La volontà per esser volontà deve voler qualche cosa, determinarsi a un contenuto” 90, essa deve eludere, inevitabilmente, la rigida staticità del puro pensiero astratto, al fine di compiersi in senso speculativo proprio come volontà libera91.
Quindi, l’Io pensante, al fine di determinarsi concettualmente in termini concreti, assume necessariamente un contenuto materiale e certo, che, apparentemente, sembrerebbe essere in contraddizione con l’iniziale astrattezza del pensiero stesso.
Tuttavia, l’Io - essendo autodeterminato, come si appena è visto 92 - conosce questa certezza della materia soltanto come una determinatezza possibile, rispetto alla quale, in realtà, non è vincolato e dalla quale non dipende93.
In altre parole, l’autodeterminazione dell’Io implica che questo sia condizionato solo da se stesso e, dunque, sia libero94.
90 Idem, p. 15.
91 Ibidem: “essa [la volontà] non è compiutezza prima della sua determinazione”.
92 V. supra dove si dice che, per Xxxxx, l’essenza del pensiero umano è riposta nella capacità di entrare in relazione con i diversi contenuti materiali derivanti dalle esperienze esterne sottoposte di volta in volta all’attenzione della coscienza umana, ma, contemporaneamente, proprio perché è libero, esso è in grado di elevarsi verso ciò che è universale ed essenziale, mantenendosi indipendente dagli aspetti accidentali ed empirici insiti in quei contenuti medesimi.
00 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie cit., p. 92.
94 Cfr. X. XXXXXXXXX, op. cit., Vol. II, Parte II, p. 92, dove l’autore scrive che, in Xxxxx, “L’essenza dello spirito è la libertà; per la quale lo spirito può astrarre da ogni cosa esteriore e perfino dalla sua stessa esistenza, può sopportare la negazione della sua individualità e manifestarsi come spirito nelle sue particolari determinazioni che sono altrettante sue rivelazioni”.
Alla luce di quanto è stato illustrato sin qui, è possibile assegnare all’idea hegeliana di libertà una solida dignità concettuale che sia idonea a distinguerla, radicalmente, sia dalla pura astrazione kantiana, assai distante da ogni rapporto con ciò che è determinato ed empirico, sia dall’arbitrio individualistico e rivoluzionario di ascendenza russoviana.
Poiché, come è stato osservato95, ogni stadio dello sviluppo del diritto è l’esistenza della libertà nelle sue proprie determinazioni, anche noi, come Xxxxx, riteniamo che i diversi momenti dello svolgimento speculativo del concetto del diritto corrispondano ai diversi momenti dello svolgimento progressivo dell’idea di libertà.
Essi sono, principalmente, tre: il diritto formale della personalità astratta, il quale è definito da Xxxxx “als das beschränkte juristische Recht” 96, la moralità97, la quale coincide con l’interiorità della volontà di origine kantiana98, e, infine, l’eticità, a sua volta suddivisa in tre sezioni
95 V. supra dove si dice sia che Xxxxx definisce il diritto come il regno della libertà realizzata, sia che il diritto è destinato all’attuazione della libertà.
00 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxxx xxx xxxxxxxxxxxxxxx xxx., § 000: “come il diritto giuridico in senso stretto”.
97 Giova rilevare che la moralità - seppur, nel sistema dialettico hegeliano, costituisca l’antitesi del diritto astratto, nonché lo stadio del passaggio verso l’eticità - è introdotta mediante una categoria tipicamente giuridica; precisamente, la moralità è definita “das Recht des subjektiven Xxxxxxx” (“il diritto della volontà soggettiva”): cfr. G.W.F. XXXXX, Grundlinien der Philosophie cit., p. 122; su questo punto, cfr. anche X. XXXXXX, Studi hegeliani. Diritto cit., p. 57.
98 V. supra dove si dice che la moralità, nell’accezione kantiana, consiste nell’aderenza di un’azione alla legge, il cui movente risiede nella sola volontà di rispettare il precetto, senza che concorrano altri impulsi interni, diversi dal desiderio di osservare la legge stessa.
fondamentali: die Familie, die bürgerliche Gesellschaft und der Staat.
Iniziando da una breve analisi del diritto astratto e della moralità, essi costituiscono i momenti della libertà intesa, ancora, in un senso negativo e poco evoluto, poiché in entrambe queste categorie l’individualismo etico-giuridico di ascendenza kantiana non è superato, ma, piuttosto, è confermato.
Infatti, essi sono l’espressione della soggettività della volontà e del libito individuale.
Con specifico riferimento al primo momento, ossia al diritto della personalità di derivazione romanistica, Xxxxx sostiene che la nozione dogmatica del contratto riveli una visione della libertà definita come arbitrio, in nome del quale le parti negoziali perseguono, in modo esplicito, l’intento di rimanere entrambe proprietarie di qualcosa di determinato. A titolo esemplificativo, in una fattispecie di emptio- venditio, secondo il filosofo, esse si scambiano soltanto una qualità della proprietà: il venditore aliena il diritto di proprietà della cosa ma acquista la proprietà del denaro, mentre il compratore è privato della proprietà del denaro, ma acquista quella della cosa.
Inoltre, nonostante la struttura funzionale del nesso sinallagmatico sia assimilabile ad un rapporto vincolante di scambio, sia il dante causa sia l’avente causa rimangono indipendenti l’uno dall’altro e desiderano continuare a restare in questa condizione di reciproca estraneità: in conseguenza di ciò, Xxxxx deduce che il contratto sia l’espressione tangibile dell’arbitrio della persona99.
Precisamente, al § 75 delle Grundlinien der Philosophie cit., egli individua i tre elementi costituitivi della pattuizione contrattuale.
99 X. XXXXXX, Studi hegeliani. Diritto cit., p. 96.
Essi sono i seguenti:
α) l’arbitrio, che è la fonte dalla quale l’accordo negoziale deriva;
β) la volontà identica delle parti contraenti, la quale non è una volontà razionale “an und für sich allgemeiner” 100, ma è soltanto una volontà “gemeinsamer” 101, analoga a quella russoviana102;
γ) l’oggetto del contratto, il quale è necessariamente “eine einzelne äußerliche Sache” 103 , poiché, per Xxxxx, i soggetti contraenti possono privarsi arbitrariamente soltanto di una res che abbia le caratteristiche della singolarità e dell’esteriorità.
Egli sostiene che, nello stadio del diritto astratto, sussiste la possibilità di una collisione fra la volontà oggettiva e razionale, che prescrive il divieto di inadempimento negoziale104, e la volontà singolare della parte contraente, la quale potrebbe rivelarsi differente dalla prima volontà e, a causa dell’arbitrarietà e dell’accidentalità del proprio
000 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie cit., p. 178: “universale in sé e per sé”.
101 Ibidem: “comune”.
102 V. supra dove, a proposito della volontà generale di Xxxxxxxx, si dice che essa, seppure sia distinta dalla volontà di tutti, è, pur sempre, una volontà meramente comune, ossia è l’esito di un principio volitivo contrattualistico e individualistico.
000 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie cit., p. 178: “una cosa singolare esteriore”.
104 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il xxxxxxxxxx xxxxx xxxxxxxxx xxx.,
x. 00: “Ed anzitutto, essendochè il diritto astratto non ha in vista se non una possibilità, la prescrizione giuridica è soltanto una liceità o facoltà: essa, quindi, secondo la sua determinazione fondamentale è divieto”.
intendere e volere 105 , potrebbe “non riconoscere l’universale cioè il diritto” 106.
Dal momento che la legislazione giuridica esige soltanto la pura conformità materiale ed esterna della condotta pratica alla norma astratta, “ohne Rücksicht auf die Triebfeder derselben” 107, si deduce che, in caso di violazione della lex contractus, l’armonia fra la libertà oggettiva e quella del singolo possa essere realizzata e portata a compimento unicamente mediante la coazione108 109.
La possibilità della scissione tra il livello del Sollen e il livello del Sein, insita nel momento del diritto astratto, impone la necessità “di innalzarsi in una sfera più alta, in cui il conflitto venga appianato da una più alta concezione della libertà” 110.
105 G.W.F. XXXXX, Grundlinien der Philosophie cit., p. 190.
106 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia cit., p. 58.
107 I. XXXX, Die Metaphysik cit., Einleitung in die Metaphysik der Sitten, III. Von der Einteilung einer Metaphysik der Sitten: “senza riguardo alcuno all’impulso di essa”.
108 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia cit., p. 26.
000 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie cit., p. 200, in cui l’autore esamina la definizione kantiana del diritto in senso stretto, indicato come un diritto “zu dem man zwingen dürfe” (“al quale si possa costringere”). A tale proposito, v. anche I. XXXX, Die Metaphysik cit., Anhang zur Einleitung in die Rechtslehre, Vom zweideutigen Recht (Ius aequivocum): “Mit jedem Recht in enger Bedeutung (ius strictum) ist die Befugnis zu zwingen verbunden” (“Ogni diritto in senso stretto (ius strictum) è legato alla facoltà di costringere”).
110 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia cit., pp. 58-59.
Pertanto, la dottrina kantiana della virtù eleva l’idea di dovere derivante dalla legge a movente interno che determina il compimento dell’azione morale111.
Nonostante la moralità aspiri a risolvere la profonda lacerazione fra la volontà soggettiva interna e la libertà descritta nel suo esercizio esteriore, tuttavia in essa il bene è inteso, ancora, in un senso astratto e, perciò, attende di essere realizzato concretamente come bene esistente.
Infatti, per Xxxxx, la libertà morale, concepita kantianamente come assoluta interiorità soggettiva, può manifestarsi indifferentemente tanto in aderenza alla volontà vera e razionale, realizzando effettivamente il bene, quanto secondo gli impulsi dettati dall’arbitrio individuale, i quali possono essere in antitesi al contenuto oggettivo del bene e, dunque, essere rivolti al male112 113.
Alla luce di queste considerazioni, è plausibile dedurre che, nell’assoluta solitudine della pura intenzione 114 , la coscienza ammetta anche la possibilità di tendere alla malvagità, diventando cattiva: a tale proposito, egli
111 I. XXXX, Die Metaphysik cit., Einleitung in die Metaphysik der Sitten, III. Von der Einteilung einer Metaphysik der Sitten.
112 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia cit., pp. 59-60.
113 V. supra dove si dice che la legislazione morale prescrive l’esigenza della determinazione, ma, proprio perché è astratta, non impone alla volontà di determinarsi in un modo piuttosto che in un altro, riducendosi alla mera possibilità di scegliere arbitrariamente fra i differenti dati empirici, finiti e contingenti.
114 Si precisa che per Xxxxx l’intenzione è il valore che l’azione possiede per il soggetto che la compie, pertanto, l’intenzione è l’espressione della pura soggettività individuale: G.W.F. XXXXX, Grundlinien der Philosophie cit., § 121; sull’argomento v. anche X. XXXXXXXXX, op. cit., Vol. II, Parte II, p. 104, nonché X. XXXXX, Xxxx e la dialettica hegeliana. 1. Xxxxx e lo Stato, Editori Riuniti, Roma, 1960, pp. 620-621.
stigmatizza quest’eventualità della volontà, adottando proprio l’espressione “böse” 115.
Dunque, la sfera della moralità è caratterizzata da un profondo iato fra, da un lato, la soggettività individuale - la quale deve essere buona e perseguire lo scopo consistente nella realizzazione del bene, ma che si rivela inadeguata a causa della propria iniquità - e, dall’altro lato, il bene universale, che deve essere attuato, ma che ancora non è tale.
Il superamento della relazione dialettico-conflittuale fra la dimensione esteriore, rappresentata dalla legalità, e la dimensione interiore, costituita dalla moralità, è la transizione verso la fase dell’eticità.
Quest’ultima, “Die Sittlichkeit” 116, come è stato anticipato a proposito del significato di “spirito oggettivo”117, designa quel complesso di istituzioni etico-politiche, individuate nella famiglia, nella società civile e nello Stato, nell’ambito delle quali la libertà si realizza concettualmente, obiettivandosi: precisamente, essa passa gradualmente dalla sua astratta espressione individualistica di indole kantiano- russoviana, avulsa dalla realtà sociale, alle norme positive, le quali regolano la complessa vita pratica di “quell’insieme organicamente congiunto di individui che è il popolo storicamente determinato con la sua religione, la sua arte, le sue tecniche, le sue leggi e i suoi costumi, in una parola con il suo ethos” 118.
115 G.W.F. XXXXX, Grundlinien der Philosophie cit., p. 264: “malvagia”.
116 Idem, p. 292: “L’eticità”.
117 V. supra dove si dice che, in Xxxxx, lo “spirito oggettivo” è la libertà che si realizza nelle istituzioni etico-politiche di un determinato popolo, storicamente esistenti e previste dall’ordinamento positivo.
118 X. XXXXXX, Studi hegeliani. Diritto cit., p. 48.
Nell’ambito dell’eticità, lo sviluppo speculativo dell’idea di libertà si evolve, rispetto ai precedenti momenti dominati dall’imperativo formale di ascendenza kantiana e dalla volontà individuale di tipo contrattualistico119, inverandosi proprio nella concretezza e nell’oggettività delle istituzioni di diritto positivo storicamente esistenti, all’interno delle quali il diritto astratto e la moralità, da pure categorie razionali e da “parole prive di contenuto” 120, diventano fatti storici che “si alimentano nella ricca, polposa, multivaria vita etica di un popolo” 121.
Reputiamo che l’individuazione di un tertium genus fra il diritto astratto e la morale individuale, ossia l’eticità, non sia una deminutio che rende labile ed incerta la distinzione kantiana fra le sfere della legalità esterna e della moralità interna.
Xxxx, Xxxxx le conserva nella loro irriducibile polarità122, dimostrando, così, di accogliere fedelmente i capisaldi del pensiero di Xxxx 123 , ma, nello stesso tempo, le concilia rendendole effettuali, dal momento che, a differenza del filosofo di Xxxxxxxxxx, egli considera l’idea di libertà in relazione alla sua realizzazione storica124.
Per tale ragione, l’eticità si distingue dalla moralità kantiana.
119 V. supra dove si espongono, sinteticamente, le principali caratteristiche del diritto astratto e della moralità.
120 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia cit., pp. 61-62.
121 Idem, p. 62.
122 Ibidem.
123 Idem, p. 31: “Xx Xxxx è stato il primo (...) a dare alla morale e al diritto un fondamento assoluto nella ragione, Xxxxx non ha fatto che sviluppare il pensiero kantiano, determinando il <<contenuto della volontà>> o la ragione stessa”.
124 Ibidem.
Quest’ultima contrappone il Sollen, cioè l’imperativo razionale, al Sein, cioè alla realtà, avendo la pretesa di ricondurre il reale a un ideale astratto: tuttavia, così facendo, il diaframma fra l’essere e il dover essere non è superato, ma, piuttosto, si estende nella propria ampiezza125.
Invece, la Sittlichkeit è la moralità che, dall’astrattezza della pura interiorità, si è concretamente realizzata in forme istituzionali storiche e che è, quindi, “sostanzialmente e pienamente, ragione reale o realtà razionale” 126 : in conseguenza di ciò, la dicotomia di Xxxx è superata da Xxxxx in modo definitivo127.
Poiché da un punto di vista concettuale, l’idea di libertà si identifica nelle istituzioni sociali e politiche di un popolo storicamente individuato, l’eticità non è un’universalità astratta, priva di un contenuto sostanziale, ma “in quanto si identifica con la vita (e con il destino) di un popolo, è un momento della storia universale, cioè è un evento storico”
128.
Pertanto, la totalità etica, in quanto tale, “non è né una creazione dell’immaginazione né una costruzione dell’intelletto” 129, ma, invece, esprime quei tratti costitutivi ed essenziali che identificano un determinato organismo
125 V. supra dove si dice che in Xxxx l’ascetismo razionale si riduce a un vuoto formalismo, alimentando la contrapposizione fra il Sollen e il Sein.
126 X. XXXXXXXXX, op. cit., Vol. II, Parte II, p. 83.
127 A proposito del superamento hegeliano della dicotomia kantiana fra l’essere e il dover essere, v. quanto è stato anticipato supra dove si dice che la volontà essente-in-sé-e-per-sé, che per Xxxxx è la libertà oggettiva, è il risultato di un iter ascensionale attraverso il quale ciò, che è accidentale e transeunte, è elevato dai propri aspetti contingenti verso ciò che ha un valore universale ed eterno, risolvendo definitivamente tale contrapposizione.
128 X. XXXXXX, Studi hegeliani. Diritto cit., p. 14.
129 Ibidem.
etico-spirituale, all’interno del quale una comunità si organizza in unità.
Come è stato autorevolmente dimostrato, la filosofia idealistica di Xxxxx, nel concepire la realtà politico-statuale come lo sviluppo e la concretizzazione dell’idea di libertà, configura l’ordinamento giuridico attraverso un’analogia organica, formulando la Genossenschaftstheorie130.
Questa dottrina instaura una stretta relazione fra la teoria dello Stato, inteso come un organismo etico-spirituale titolare della sovranità, e la teoria della corporazione: la filosofia politica hegeliana non considera l’ordinamento statuale un’entità atomistica di individui isolati, come avviene nel contrattualismo di derivazione giusnaturalistica, ma un’organizzazione giuridicamente articolata di un popolo, parificabile ad una realtà corporativa131.
In questa Weltanschauung universalistica, la relazione fra il bene obiettivo, ossia il bene diventato concreto, e la singola coscienza soggettiva non è più valutabile nei termini di una conflittualità vicendevole, “che è anche reciproca negazione” 132 , bensì in quelli di una “connessione organica, sintetica, onde essi [cioè, l’elemento oggettivo e quello soggettivo] non si oppongono l’uno all’altro, né si
130 X. XXXXXXXX - X. XXXXXXXX, op. cit., pp. 56 e 255: in quest’ultima p., si afferma che la legge morale, che fino a Xxxx è stata l’orizzonte esterno alla sfera politico-statuale, con Xxxxx “diventa etica di una nazione e si ritira tutta nella realtà statale”. A proposito degli ulteriori sviluppi della teoria organica di Xxxxx nell’ambiente dottrinale tedesco, cfr. X. XXX XXXXXX, Das deutsche Genossenschaftsrecht, Akademische Druck - U. Verlagsanstalt, Graz, 1954, passim.
131 Con specifico riferimento allo stretto legame, presente nella dottrina giuridica hegeliana, fra la teoria della corporazione e la teoria dello Stato, cfr. A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia cit., p. 84.
132 X. XXXXX, op. cit., p. 633.
giustappongono dividendosi il campo dell’eticità, ma la esprimono ciascuno tutta intera” 133.
Alla luce di queste riflessioni, può essere abbastanza plausibile sostenere che, in Xxxxx, l’articolazione del rapporto fra ciò che è universale e ciò che è particolare presupponga, contemporaneamente, sia l’immanenza dell’idea di libertà nella realtà storica delle istituzioni etiche, sia la trascendenza della stessa idea rispetto al singolo individuo colto in quegli aspetti accidentali, transeunti e irrazionali che sono presenti e residuano in lui134.
Da questo legame profondo tra il generale e il singolare, la filosofia giuridica hegeliana sviluppa una concezione sociale finalizzata a superare i limiti dell’atomismo hobbesiano e dell’individualismo kantiano, entro i quali il dissidio tra la libertà individuale e l’ordine etico-politico si acuisce nella propria intensità.
La definizione di questa frammentazione fra il singolo e la società, apparentemente priva di un esito positivo, è, invece, risolta da Xxxxx “speculativamente” 135, cioè ponendo il concetto di libertà proprio nella concretezza di quella realtà comunitaria, che è attorno all’uomo e nella quale egli si riconcilia, ritrovando in essa la sua umanità più autentica.
Poiché nell’ethos l’idea di libertà giunge, gradualmente, al proprio compimento, realizzandosi come bene vivente in quegli istituti che esprimono il costume di un popolo, la filosofia deve tradurre in categorie formali del pensiero, cioè comprendere concettualmente, il contenuto reale che
133 Ibidem.
134 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia cit., p. 68.
135 Idem, p. 70.
l’esperienza etica le offre, dimostrandone, con la riflessione, la sua intrinseca razionalità136.
Per Xxxxx, dunque, la funzione della scienza del diritto è, in altre parole, la giustificazione razionale della realtà politica esistente e la trasformazione in concetti filosofici di quella razionalità che si è già attuata nelle istituzioni vigenti137.
Secondo il filosofo, nel momento in cui si acquisisce, mediante la ragione, la consapevolezza che la propria libertà coincide con l’adesione alla totalità della vita organica di un popolo, allora “nasce la disposizione etica dell’animo, la quale è raggiunta quando gli individui hanno compreso l’identità di tutti i loro interessi col tutto” 138.
L’abbandono confidente e fiducioso all’ethos, in cui “vive la grande massa degli uomini” 139 , costituisce la testimonianza più tangibile di quell’affidamento, grazie al quale la libertà si realizza nella consuetudine di un popolo radicata nella più intima natura dei singoli individui.
Il mondo etico è l’oggettività nella quale la certezza soggettiva della propria libertà si trasforma in verità: in altre parole, nell’organismo etico gli individui verificano realmente di essere obiettivamente liberi.
Dal momento che la dimensione dell’eticità rivela la profonda unità fra la volontà universale e la volontà individuale, Xxxxx sostiene che il dovere e il diritto coincidano, essendo unum et idem.
000 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie cit., p. 42.
137 X. XXXXXXXXX, op. cit., Vol. II, Parte II, p. 76.
138 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia cit., p. 70.
139 Ibidem.
Condividiamo quanto egli scrive esplicitamente: “Dasselbe was ein Recht ist, ist auch eine Pflicht, und was eine Xxxxxxx xxx, xxx xxxx xxx Xxxxx” 000.
Il dovere vincolante può sembrare limitativo soltanto per la libertà negativa intesa, kantianamente, in senso astratto, per la soggettività indeterminata e per gli impulsi dettati dalla volontà naturale e dall’arbitrio della moralità141.
Al contrario, questo dovere etico è la liberazione dell’individuo sia dalla dipendenza dal mero impulso naturale, sia da quella sensazione di avvilimento morale - che Xxxxx denomina con il termine “Gedrücktheit” 142 - in cui egli può incorrere se iniziasse a riflettere sul dover essere che è contraddetto dall’essere.
Infine, con il suo adempimento, il soggetto evade da una condizione esistenziale di indeterminatezza, trovando, piuttosto, la sua vera realtà umana, ossia “il modo di essere veramente se stesso” 143.
Secondo Xxxxx, il dovere etico può rappresentare una limitazione della libertà, soltanto qualora essa fosse, erroneamente, confusa con l’arbitrio della soggettività.
000 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxxx xxx xxxxxxxxxxxxxxx xxx., § 000: “Ciò che è un diritto è anche un dovere, e ciò che è un dovere è anche un diritto”.
141 V. supra dove si dice che per l’arbitrio individuale, la legge razionale è un vincolo esterno che limita la libertà.
000 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie cit., p. 298: “depressione”.
143 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia
cit., p. 73.
Quest’ultimo è la negazione della libertà oggettiva, poiché, come si è osservato, l’arbitrio è il riflesso di una concezione razionalmente inadeguata della volontà144.
In verità, il suo assolvimento è la negazione della libertà astratta, che sarebbe la non-libertà, e, perciò, esso è il momento redentivo in virtù del quale il soggetto aderisce alla libertà vera e positiva145.
Dal momento che questo tipo di dovere ha una funzione liberante grazie alla quale l’uomo realizza totalmente la sua essenza antropologica, la dottrina, ispirandosi a un canto di Xxxxxxxx, scrive che, in Xxxxx, la stessa virtù non è più “la stolta virtù delle cave nebbie, dei campi delle inquiete larve” 146, ma “una virtù sorridente e vestita di luce” 147.
Sempre in relazione all’esercizio di questo dovere civico, Passerin d’Entrèves prosegue, sostenendo che esso “ha perduto nell’eticità il suo sapore di cenere” 148, diventando il redentore dell’uomo.
Risulta palese che l’universo etico non è più qualcosa di estraneo all’individuo, piuttosto, in esso, egli riscopre il suo più profondo e autentico valore umano e spirituale149.
144 V. supra dove si dice che l’arbitrio, anziché essere il momento veritativo della volontà, è, piuttosto, la contraddizione della volontà stessa.
145 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia
cit., pp. 72-73.
146 Idem, pp. 71-72: questo riferimento di Passerin d’Entrèves è al canto Bruto minore, vv. 16-17, del poeta Xxxxxxx Xxxxxxxx; l’insigne giurista assimila la virtù etica concepita da Xxxxx alla nobile virtù celebrata dal poeta di Recanati nel suo canto.
147 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia cit., p. 71.
148 Idem, p. 72.
149 Idem, p. 73, dove l’autore scrive che: “L’uomo trova dunque nel dovere etico la sua realtà, il modo di essere veramente se stesso”.
Xxxxx ritiene che questa nuova forma di moralità positiva, nella quale l’eticità ha la sua espressione costitutiva, sia per l’uomo “als eine zweite Natur” 150.
Questa seconda natura è il costume, ossia quel complesso di usanze e di credenze che caratterizzano la vita sociale e culturale di una collettività in una data epoca.
Esso, essendo “la più storica di tutte le manifestazioni della attività pratica” 151, si sostituisce, nella sua concretezza, all’astrattezza del dover essere kantiano152.
Al di fuori dei confini dell’ethos, pensiamo che la vocazione alla libertà non possa raggiungere il proprio compimento: l’uomo sarebbe ridotto ad una mera apparenza fenomenica priva di una reale dignità spirituale.
In conseguenza di ciò, questo rapporto di immediatezza fra il soggetto e gli ordinamenti etici può essere assimilabile ad una vera e propria identità153.
Lo stretto legame fra il mondo etico, da un lato, e il soggetto, dall’altro, si esplicita nella relazione circolare che si instaura fra il concetto di virtù e quello di rettitudine.
La prima è il riflesso dell’ethos di un popolo negli aspetti caratteriali di un particolare individuo, determinati dalla naturalità.
A sua volta, la stessa virtù - nella misura in cui mostra la conformità del singolo ai doveri derivanti dai rapporti etico- sociali, ai quali egli appartiene - si identifica nella rettitudine154.
000 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie cit., p. 300: “come una seconda natura”.
151 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Il fondamento della filosofia cit., p. 61.
152 Ibidem.
153 G.W.F. XXXXX, Grundlinien der Philosophie cit., p. 296.
154 Idem, p. 298, nonché X. XXXXX, op. cit., p. 636.
Le riflessioni formulate sino a tale punto del presente lavoro inducono a concludere che l’eticità corrisponde a quella forma più elevata dello sviluppo speculativo del diritto, che, per Xxxxx, è il regno della libertà realizzata.
Conclusioni
Xxxxx dimostra, correttamente, che la libertà vera e oggettiva, quella che egli chiama la “volontà-essente-in-sé- e-per-sé”, non è la pura astrazione del pensiero privo di ogni contenuto, come sostiene Xxxx, ma, invece, è lo “spirito oggettivo”, ossia è la libertà che si realizza concettualmente negli istituti etici previsti dall’ordinamento positivo dello Stato.
Dunque, riteniamo che l’eticità - o la moralità intesa nella sua dimensione sovra individuale o sociale - sia la sfera nella quale è superato per sempre il dissidio fra il piano del Sollen e quello del Sein: pertanto, in essa è possibile comprendere lo sviluppo speculativo della libertà, secondo la dinamica della sussidiarietà.
Nel prossimo paragrafo, vogliamo sottolineare come l’eticità assuma la sua configurazione razionale proprio all’interno della sfera politico-statuale.
Paragrafo III
Il rapporto tra Xxxxx e il giusnaturalismo
La relazione fra la filosofia politica hegeliana e la dottrina contrattualistica del diritto naturale, che si sviluppa da Grotius a Fichte155, esige la considerazione congiunta di due termini concettuali.
000 X. X. XXXXXX, Xxxxxxxxx des Naturrechts nach Prinzipien der Wissenschaftslehre, tr. it., Laterza, Roma, 1994, passim.
Come Xxxxxx scrive, essi sono: “dissoluzione e compimento” 156.
Apparentemente, ma superficialmente, l’accostamento di questi vocaboli potrebbe sembrare quasi una contradictio in adiecto.
Il motivo di tale paradosso risiede nella circostanza che essi sono palesemente antitetici fra loro, qualora i medesimi siano colti sul piano linguistico rappresentato dalla loro area di significanza semantica.
Tuttavia, in questo preciso caso, giova rilevare quanto sia proficuo trascendere la dimensione strettamente letterale dei vocaboli sopra indicati.
Infatti, nel presente paragrafo si intende dimostrare proprio che i due termini sono intrinsecamente uniti nella riflessione filosofico-politica hegeliana: uno evoca l’altro in una relazione di corrispondenza reciproca.
Precisamente, la parola “dissoluzione” indica che Xxxxx stigmatizza l’inconsistenza e l’inadeguatezza delle categorie fondamentali elaborate dai giuristi giusnaturalisti per la costruzione di una teoria generale del diritto e dello Stato.
Invece, la parola “compimento” significa che egli aspira, in definitiva, alla stessa meta finale dei suoi predecessori, individuata nella comprensione e nella giustificazione razionale dell’ordinamento statuale157, e “la raggiunge o crede di raggiungerla proprio perché, buttati via i vecchi strumenti ormai diventati inservibili, se ne foggia di nuovi”
158.
156 X. XXXXXX, Studi hegeliani. Diritto cit., p. 3.
157 Idem, p. 10.
158 Idem, p. 3.
Incominciando a focalizzare l’attenzione sul momento della dissoluzione, si osserva la sussistenza di un’evidente differenziazione rispetto alla scuola giuridica precedente.
L’insigne rappresentante dell’idealismo tedesco muove una pesante critica rivolta alla genesi contrattualistica del processo formativo dello Stato.
La censura dei concetti fondamentali del giusnaturalismo, dal contratto sociale sino allo stato di natura, era stata uno dei caratteri identificativi delle correnti filosofiche tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo: si pensi, a titolo esemplificativo, all’utilitarismo inglese di Xxxxxxx, allo storicismo di Xxxxx in Inghilterra e della scuola storica in Germania, nonché al positivismo francese che si sviluppa da Saint-Xxxxx a Comte159.
Come anche noi reputiamo, Xxxxx ritiene che il popolo, concepito organicamente come una totalità etica, sia un prius e assuma una posizione di anteriorità logica rispetto all’individuo considerato singolarmente, il quale è un posterius, cioè un’entità susseguente e derivata.
Invece, come si è visto affrontando lo studio delle teorie giusnaturalistiche 160 , per esse il principio fondante dell’ordine sociale è sempre l’individuo, tanto che un’autorevole dottrina sostiene che tale forma di individualismo giuridico sia presente anche in quelle correnti filosofico-politiche del contrattualismo, le quali instaurano processi istituzionali di tipo assolutistico, sia in senso monarchico come in Xxxxxx, sia in senso democratico come in Rousseau161.
159 Su questo tema, Idem, p. 6.
160 V. il capitolo I.
161 X. XXXXXXXXX PALLIERI, op. cit., pp. 30-31: “Il punto di partenza è sempre l’uomo; (…) siano i sommi beni per l’umanità la pace e l’ordine secondo lo Xxxxxx, o la libertà e la eguaglianza secondo il Xxxxxxxx, comunque lo Stato sorge a servizio dell’uomo
Inoltre, lo schema organologico-sostanzialistico acquisisce anche una valenza di superiorità assiologica nei confronti del principio individualistico della scuola del diritto naturale sei-settecentesca.
Infatti, Xxxxx esprime un giudizio molto severo sull’indebita applicazione delle categorie concettuali de iure privatorum all’ambito di una teoria politico-statuale che intenda mantenere una propria dignità scientifica e una propria rigorosa solidità in senso euristico.
La dottrina sostiene che egli non disconosca la categoria del contratto in quanto tale, ma, tuttavia, le riconosca validità solo nella sfera del diritto privato162.
Il pactum societatis dei giusnaturalisti è valutato negativamente non tanto per la sua inesistenza empirica, come accadimento storico-fattuale che si verifica hic et nunc - critica che, comunque, potrebbe valere soltanto nei confronti di Xxxxx, per il quale il contratto originario è un evento storico, ma non nei riguardi di Xxxxxxxx e di Xxxx, per i quali, invece, il contratto sociale è una pura idea della ragione 163 - quanto, piuttosto, per la sua inconsistenza
e di esigenze umane (…). Si giunge sì all’assolutismo, monarchico o democratico, ma sempre in funzione di un interesse umano (…)”.
162 X. XXXXXX, Studi hegeliani. Diritto cit., p. 13; successivamente, a p. 90 della medesima opera, l’autore scrive ancora che: “il diritto privato, a differenza di quello che accade nella grande tradizione giuridica dei romani, non ha alcuna autonomia in quanto s’invera soltanto nel diritto statale, o, a differenza di quel che accade nella tradizione del diritto naturale, non sta a fondamento del diritto pubblico, ovvero dello stato che sorge sulle basi di un tipico istituto di diritto privato com’è il contratto, ma al contrario ne è fondato”.
163 Idem, pp. 12-13; v. anche X. XXXXXXXX D’ENTRÈVES, La dottrina dello Stato. Elementi cit., pp. 312-313, dove l’autore afferma che in Xxxxxxxx l’idea del contratto è spogliata di ogni riferimento concreto: essa è, “come dirà Xxxx, non un <<atto>>, ma un’<<idea>>, un principio normativo che permette di concepire
razionale e per la sua inadeguatezza teleologica ad assolvere la funzione di comprensione teoretica della razionalità intrinseca dello Stato164.
Lo scopo finale, al quale il filosofo idealista tende, è il medesimo di quello di Xxxxxxxx: lo sforzo compiuto da entrambi consiste nel cercare di superare una concezione della libertà intesa in senso individualistico, aspirando alla libertà oggettiva, la quale si realizza, in termini di concretezza speculativa, soltanto “nella comunità e mediante la legge” 165.
Essi ricusano la nozione di libertà “verso lo stato” 166 o “dallo stato” 167 , di ispirazione lockiano-kantiana, e, invece, si ispirano all’idea di libertà “nello stato” 168.
Con specifico riferimento all’autore del Contrat social, la libertà dell’uomo consiste nell’obbedienza alla legge, la quale è l’espressione della volontà generale dei consociati169.
Nonostante questa apparente affinità fra Xxxxxxxx ed Xxxxx, quest’ultimo deplora, in modo condivisibile, il metodo adottato dal primo, ritenendo che il filosofo svizzero concepisca la volontà generale non nel significato aulico e profondo della “volontà essente-in-sé-e-per-sé”170, ma in un significato ancora contrattualistico e, dunque, concettualmente errato.
il rapporto politico nei suoi veri termini, non come sacrificio, ma come conquista di libertà”.
164 X. XXXXXX, Studi hegeliani. Diritto cit., pp. 11-13.
165 Idem, p. 29.
166 Idem, p. 27.
167 Ibidem.
168 Ibidem.
169 X. XXXXXXXXX PALLIERI, op. cit., pp. 25-27.
170 V. supra dove si dice che, per Xxxxx, la vera essenza della libertà è quella che egli definisce la “volontà essente-in-sé-e-per-sé”.
L’utilizzo dello strumento negoziale, da parte di Xxxxxxxx, implica che lo Stato sia concepito come una mera associazione, l’adesione alla quale è il risultato di una decisione individuale e arbitraria171.
Al contrario, la concezione organicistica di Xxxxx evidenzia quanto l’utilizzo delle categorie civilistiche nel diritto pubblico non sia idoneo ad interpretare concettualmente la realtà statuale 172 e, inoltre, quanto la loro applicazione produca esiti drammatici dal punto di vista degli avvenimenti storici, come è stato rilevato a proposito del giudizio negativo da lui formulato in merito ai fatti rivoluzionari173.
Alla luce di queste considerazioni, è evidente che la volontà generale teorizzata dal filosofo ginevrino è una deminutio, dal momento che essa è priva di una propria autonoma concretezza speculativa, ma si riduce ad essere soltanto ciò che è comune a tutte le parti negoziali174.
In conseguenza di ciò, la volontà universale non è più costitutiva delle volontà singole e particolari, ma, piuttosto, è essa stessa a risultare costituita e prodotta da queste ultime175.
171 V. supra dove si dice che la volontà generale russoviana, seppure sia distinta dalla volontà di tutti, è, pur sempre, l’esito di un principio volitivo contrattualistico e individualistico.
172 X. XXXXXX, Studi hegeliani. Diritto cit., p. 28.
173 V. supra dove si dice che Xxxxx interpreta la Rivoluzione francese come il segno tangibile di una razionalità astratta, in nome della quale ogni ordinamento sociale esistente, risalente alla tradizione, è abolito e distrutto.
174 X. XXXXXXXXX PALLIERI, op. cit., p. 26.
175 V. supra dove si dice che Xxxxxxxx sostiene che la deliberazione pubblica dell’autorità statuale esprima la volonté générale, la quale non è la volontà di tutti, cioè la mera somma delle singole volontà particolari, ma è la volontà comune a tutti i votanti, depurata e avulsa dagli interessi particolari e contrapposti, che si elidono
L’assunzione del contratto a categoria centrale della scienza del diritto pubblico cagiona conseguenze esiziali anche sotto un profilo politico-istituzionale, poiché la stabilità dell’ordinamento statuale non è preservata nella sua integrità, ma subisce un processo di involuzione e di dissoluzione, dipendendo totalmente dalle volizioni individuali e dalla precaria, labile ed incerta composizione dei libiti soggettivi176.
Il fondamento contrattuale dell’ordine politico è la manifestazione di un pensiero astratto e indeterminato, il quale ha assunto un potere tale da pretendere di costituire uno Stato in nome della ragione, cercando di sovvertire ogni ordinamento esistente177: da un punto di vista storico, il tentativo di realizzazione pratica di questo progetto utopistico e avulso dalla realtà si è trasformato tragicamente, secondo Xxxxx, “zur fürchterlichsten und grellsten Begebenheit” 178.
In questo passo appena indicato, il riferimento alla Rivoluzione francese è palese ed esplicito179.
reciprocamente proprio a causa del loro contrasto: ciononostante, si ritiene che la volontà generale russoviana, seppure sia distinta dalla volontà di tutti, sia comunque l’esito derivante da un’impostazione contrattualistica e individualistica.
176 X. XXXXXX, Studi hegeliani. Diritto cit., pp. 13-14.
177 In relazione alla tesi che fra i principali intenti della Rivoluzione francese, secondo l’ispirazione illuministica, vi fosse quello di ricreare l’uomo e di plasmare tutta la vita umana secondo un modello ideologico prestabilito ex ante, v. l’autorevole contributo di X. XXXXX, Les origines de la France contemporaine. L’Ancien régime, tr. it., Adelphi, Milano, 1986, passim.
000 X.X.X. XXXXX, Xxxxxxxxxxx der Philosophie cit., p. 420: “nell’avvenimento più orribile e allucinante”.
179 V. supra dove si dice che Xxxxx descrive la libertà universale ed astratta proclamata dalla Rivoluzione giacobina del 1793, nei
La sua critica è rivolta non solo alla mancanza di rigore scientifico nella trasposizione degli schemi concettuali dalla teoria negoziale del diritto privato all’universo “empireo” della dottrina dello Stato180, ma è anche diretta all’utilizzo improprio di un altro caposaldo fondamentale del giusnaturalismo: si tratta dello status naturae.
La visione hegeliana della condizione naturale dell’uomo è distinta sia da quelle hobbesiana e russoviana, le quali evolvono rispettivamente nella giustificazione dell’assolutismo monarchico e dell’assolutismo democratico181, sia da quella lockiana, la quale si sviluppa, in senso liberale, in un processo che culmina nella legittimazione dello Stato minimo182.
Ovviamente, la dimensione conflittuale e caotica dello stato di natura hobbesiano, il quale è un autentico bellum omnium contra omnes, è assai più grave e più intensa di quella dello
termini di una libertà negativa, indicandola come la “furia del dileguare”.
180 G.W.F. XXXXX, Grundlinien der Philosophie cit., pp. 418 e 420, dove il filosofo, a proposito dello Stato, utilizza la locuzione seguente: “das an und für sich seiende Göttliche und dessen absolute Autorität und Majestät” (“il Divino essente-in-sé-e-per-sé e la sua assoluta autorità e maestà”).
181 X. XXXXXXXXX XXXXXXXX, op. cit., p. 24: “Gli stessi concetti che abbiamo visti propri all’assolutismo monarchico di Xxxxxx sono in buona parte comuni all’assolutismo democratico del Xxxxxxxx”.
182 Idem, p. 35: “qui [l’autore si riferisce a Xxxxx] lo Stato ha il semplice compito di imporre ai malvagi la legge di natura, senza apportare un proprio contributo originale alla formazione del diritto, onde per l’uomo vi è in realtà solo la legge naturale che già a tutto adeguatamente provvede, e che solo si presenta talvolta trascritta nelle leggi dello Stato e rafforzata dalle sanzioni di questo”.
stato di natura russoviano dove l’uomo è soltanto un animal stupide et borné.
Nel filosofo di Malmesbury lo status naturae è ancora più distante da quello lockiano, nel quale la società naturale disciplinata dal diritto consuetudinario di common law sembra in certi momenti coesistere in una sincronica armonia con il Body Politick.
A tale proposito, un autorevole giurista scrive che lo stato di natura, che in Xxxxxx è ancora uno state of war of all against all, in Xxxxx si è già trasformato in una società naturale, ossia “in una vera e propria società prepolitica, comprendente tutti i rapporti sociali che gli individui intrecciano fra loro prima del sorgere dello stato e indipendentemente dall’intervento del pubblico potere” 183. Ciononostante, pur nel differente grado di intensità tra i principali indirizzi di pensiero degli autori giusnaturalisti esaminati, può essere plausibile sostenere l’ipotesi che, in tutti questi giuristi, sia presente una filosofia della storia, la quale prevede all’inizio un χάος che evolve gradualmente in un κόσμος: caos e kósmos corrispondenti, rispettivamente, al disordine dello stato di natura (o a una situazione di relativa precarietà, come è in Xxxxx) e all’ordine instaurato dalla società politica.
Per quanto concerne Xxxxx, si ritiene che lo sviluppo della sua filosofia politica segua un percorso più complesso e articolato.
Inizialmente, prima della redazione delle Grundlinien der Philosophie cit., quando il sistema hegeliano della filosofia del diritto non ha ancora raggiunto la propria maturazione
183 X. XXXXXX, Studi hegeliani. Diritto cit., p. 24; tuttavia, poco prima, a p. 21 della medesima opera, l’autore scrive che: “anche per Xxxxx (…) lo stato è la perfezione della vita sociale, ed è tale perfezione perché è l’unica forma di convivenza fatta a misura dell’uomo in quanto essere razionale”.