COPIA DI DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA COMUNALE
C O M U N E D I T R A B I A PROVINCIA
COPIA DI DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA COMUNALE
N. 25 Reg. | Oggetto: COSTITUZIONE IN GIUDIZIO AVANTI IL TRIBUNALE DI TERMINI IMERESE SEZ. LAVORO, CON RIFERIMENTO AI RICORSI PROMOSSI DAI |
DIPENDENTI CON CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO, SIGG. XXXXXXXX | |
XXXXXXXXXX ED ARENA XXXXX XXXXXXXXX”. | |
Data 26/02/2016 | IMMEDIATAMENTE ESECUTIVA |
L’anno DUEMILASEDICI addì VENTISEI mese di FEBBRAIO
alle ore 16,25 e nella sala delle adunanze del Comune suddetto, in seguito a regolare convocazione, la Giunta Municipale, si è la medesima riunita nelle persone seguenti:
Rag. Xxxxxxxx | Xxxxxxxx | SINDACO | |
Prof. Piazza | Xxxxxxxx Xxxxxxxx | VICE SINDACO | Assente |
Sig. Xxxxxxx | Xxxxxxxxx | Xxxxxxxxx | |
Xxxx. Xxxxxxxxx | Xxxxxxxxx | Assessore | Assente |
Avv. Xxxxx | Xxxxxxxxxxx | Assessore |
con l’assistenza del Segretario Comunale Xxxx. Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx
il SINDACO constatato il numero legale degli intervenuti, dichiara aperta la riunione e li invita a deliberare sull’oggetto sopraindicato.
Il Responsabile dell'Area I Affari Generali ed Economico/Finanziaria sottopone alla Giunta Municipale la seguente proposta di deliberazione avente ad oggetto: “Costituzione in giudizio avanti il Tribunale di Termini Imerese Sez. lavoro, con riferimento ai ricorsi promossi dai dipendenti con contratto a tempo determinato, Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx ed Arena Xxxxx Xxxxxxxxx”.
Premesso:
che in data sono stati notificati al Comune di Trabia due distinti ricorsi ex artt. 414 e ss. c.p.c., promossi dai Sigg. Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx e Arena Xxxxx Xxxxxxxxx dipendenti del Comune di Trabia ex L.S.U., stabilizzati con contratto a tempo determinato con scadenza 31 Marzo 2016, al fine di ottenere la conversione di detti contratti a tempo determinato stipulati dai ricorrenti, che formalmente li impugnano, in contratti a tempo indeterminato o il conseguente risarcimento del danno, così come stabilito dalla Direttiva CE 1999/70;
che i suddetti ricorsi hanno dato vita a due distinti procedimenti, dinanzi al Giudice del Lavoro di Termini Imerese (n. 10856/2015 e 10857/2015);
che per entrambi, l'udienza è stata fissata per il 09/03/2016;
che il Comune di Trabia, non ha al suo interno una struttura organizzata ad ufficio legale per l’espletamento del servizio di assistenza e di rappresentanza legale in campo giudiziale e stragiudiziale;
Considerato:
che è necessario resistere alle pretese dei ricorrenti;
che, per ragioni di opportunità, si ritiene necessario rivolgersi ad un legale esterno all’Ente;
che è intendimento di questa amministrazione dare mandato all’Avvocato Xxxxxxxxx Xxxxxxx del Foro di Termini Imerese, quale difensore del Comune di Trabia, affinché rappresenti, assista e difenda l’Ente, con ogni più ampia facoltà di legge, avanti il Giudice adito;
Dato atto:
che il professionista, a tal uopo interpellato, si è dichiarato disponibile ad accettare l’incarico, formulando un unico progetto di parcella per entrambi i ricorsi commisurato ai minimi tariffari, tenendo conto soltanto di un unico procedimento e praticando un ulteriore sconto del 10%, sulla parcella rispetto ai parametri derivanti dal D.M. n.55/2014 recante “Determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi dell’art.13 comma 6 della Legge 31 dicembre 2012 n.247”;
Preso atto del disciplinare d’incarico allegato alla presente proposta di deliberazione che ne costituisce parte integrante e sostanziale;
Rilevato che nella fattispecie sussistono tutte le condizioni essenziali ed indispensabili per il ricorso alla collaborazione esterna e cioè:
la necessità di rispondere ad esigenze a cui non si può far fronte con il personale in servizio presso l’Ente;
il perseguimento di obiettivi determinati;
l’assegnazione dell’incarico a termine;
la predeterminazione dell’oggetto e del compenso;
l’alto contenuto di professionalità dell’incarico.
Vista la L.R. 48/91; Vista la L.R. 23/98 Vista la L.R. 30/2000
Visto D. Lgs. n. 165/2001; Visto D. Lgs. n. 163/2006; Vista la Legge n.247/2012; Visto il D.M. n.55/2014;
P R O P O N E
1. Di resistere e costituirsi in giudizio avanti il Tribunale di Termini Imerese nei ricorsi di cui in premessa, promossi dai Sigg. Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx e Arena Xxxxx Xxxxxxxxx, nei confronti del Comune di Trabia.
2. Di individuare quale difensore del Comune di Trabia nel procedimento in oggetto avanti il Tribunale di Termini Imerese – Sez. Lavoro – l’Avvocato Xxxxxxxxx Xxxxxxx del Foro di Termini Imerese.
3. Di dare atto che il compenso spettante al professionista individuato sarà pattuito per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico secondo quanto previsto dall’art.13 della L. n.247/2012 recante la “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”.
4. Di dare mandato al Responsabile dell’Area Affari Generali di procedere al conferimento dell’incarico al professionista individuato dalla Giunta Comunale, sottoscrivendo il relativo disciplinare d’incarico legale.
5. Di approvare l’allegato disciplinare d’incarico legale che costituisce parte integrante e sostanziale alla presente proposta di deliberazione.
6. Di delegare l’Avvocato Xxxxxxxxx Xxxxxxx del Foro di Termini Imerese conferendo il mandato quale difensore del Comune di Trabia, affinchè rappresenti, assista e difenda l’Ente con ogni e più ampia facoltà di legge, avanti il Giudice del lavoro adito con ogni e più ampia facoltà di legge.
7. All’impegno di spesa di euro 7.653,38, comprensivi di iva e cpa, determinato sulla base del progetto di parcella sottoscritto dal professionista, prendendo in riferimento i parametri di cui al D.M. n.55/2014, ed a cui si farà luogo con determinazione dirigenziale, non potrà essere aggiunto alcun superiore compenso.
8. Di dare atto che la somma di Euro 7.653,38 trova copertura al Cap. 105800 denominato “SPESE PER LITI, ARBITRAGGI, ECC.” - Mis 01 – Prog. 11 – Tit. 1 – Mac 1 del bilancio provvisorio 2016/2017;
9. Di pubblicare il presente atto sul sito “Sezione Amministrazione Trasparente” nell'ambito degli incarichi professionali.
Il Responsabile dell'Area I x.xx Xxxxxxxx Xxxxxxxx
GIUNTA COMUNALE
Vista la superiore proposta di deliberazione;
Visti i pareri resi dai Responsabili di P.O. in ordine alla regolarità tecnica nonché alla regolarità contabile ai sensi dell’art. 12 della legge Regionale n. 30/2000;
Con voti favorevoli unanimi espressi per schede segrete;
D E L I B E R A
1. Di resistere e costituirsi in giudizio avanti il Tribunale di Termini Imerese nei ricorsi di cui in premessa, promossi dai Sigg. Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx e Arena Xxxxx Xxxxxxxxx, nei confronti del Comune di Trabia.
2. Di individuare quale difensore del Comune di Trabia nel procedimento in oggetto avanti il Tribunale di Termini Imerese – Sez. Lavoro – l’Avvocato Xxxxxxxxx Xxxxxxx del Foro di Termini Imerese.
3. Di dare atto che il compenso spettante al professionista individuato sarà pattuito per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico secondo quanto previsto dall’art.13 della L. n.247/2012 recante la “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”.
4. Di dare mandato al Responsabile dell’Area Affari Generali di procedere al conferimento dell’incarico al professionista individuato dalla Giunta Comunale, sottoscrivendo il relativo disciplinare d’incarico legale.
5. Di approvare l’allegato disciplinare d’incarico legale che costituisce parte integrante e sostanziale alla presente proposta di deliberazione.
6. Di delegare l’Avvocato Xxxxxxxxx Xxxxxxx del Foro di Termini Imerese conferendo il mandato quale difensore del Comune di Trabia, affinchè rappresenti, assista e difenda l’Ente con ogni e più ampia facoltà di legge, avanti il Giudice del lavoro adito con ogni e più ampia facoltà di legge.
7. All’impegno di spesa di euro 7.653,38, comprensivi di iva e cpa, determinato sulla base del progetto di parcella sottoscritto dal professionista, prendendo in riferimento i parametri di cui al D.M. n.55/2014, ed a cui si farà luogo con determinazione dirigenziale, non potrà essere aggiunto alcun superiore compenso.
8. Di dare atto che la somma di Euro 7.653,38 trova copertura al Cap. 105800 denominato “SPESE PER LITI, ARBITRAGGI, ECC.” - Mis 01 – Prog. 11 – Tit. 1 – Mac 1 del bilancio provvisorio 2016/2017;
9. Di pubblicare il presente atto sul sito “Sezione Amministrazione Trasparente” nell'ambito degli incarichi professionali.
LA GIUNTA COMUNALE
Successivamente rilevata l’urgenza di provvedere in merito, con separata unanime votazione, dichiara la presente deliberazione immediatamente esecutiva, ai sensi dell’art. 134, comma 4 del T.U.E.L. n. 267/2000.
Il Sindaco
x.xx Xxxxxxxx Xxxxxxxx
L’Assessore Xxxxxxx Il Segretario Comunale
x.xx Xxxxxxxxx Xxxxxxx x.xx Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx
E’ copia conforme per uso ammi- | CERTIFICATO DI PUBBLICAZIONE |
nistrativo. | Il sottoscritto Segretario certifica, su conforme attestazione |
dell’Addetto, che la presente deliberazione: | |
Lì ................................................ | E’ stata pubblicata all’Albo Pretorio il giorno ………………………. |
e vi rimarrà per 15 gg. Consecutivi. | |
Il Segretario Comunale | Dal ……………………………… al …………….…………….. |
Lì ............................................ | |
L’Addetto Il Segretario Comunale | |
.......................................... ......................................... |
CERTIFICATO DI ESECUTIVITÀ
Si certifica che la presente deliberazione è divenuta esecutiva IMMEDIATAMENTE ESECUTIVA
Lì 26/02/2016
Il Segretario Comunale
x.xx Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx
E’ copia conforme all’originale. Lì .............................
Il Segretario Comunale
.........................................................
TRIBUNALE DI TERMINI IMERESE SEZIONE LAVORO
RICORSO EX ART. 414 c.p.c.
XXXXX XXXXXXXXX XXXXX(X.XXXX MGB 70S66 G273 V) con gli avv.ti
Xxxxxx Xxxxxxxx (C.F. GLL SGN 52E18 F205N) del Foro di Milano, con studio in Xxxxxx Xxxxx Xxxx 00, il quale ai fini della ricezione di notifiche di avvisi e di atti indica il fax n. 02/00000000 e l’indirizzo di posta elettronica certificata xxxxxxxxxxxxxx@xxxxxxxx.xx e Avv. Xxxxx Xx Xxxxxxxxx (C.F. DBN MRA 00X00 X000 L) del Foro di Agrigento con studio in Canicattì, Via Xxxxxxx, 5 , il quale ai fini della ricezione di notifiche di avvisi e di atti indica il fax n. 0000000000 e l’indirizzo di posta elettronica certificata xxx.xxxxxxxxxxxxxxxx@xxx.xx, delega a margine del presente atto
contro
COMUNE DI TRABIA in persona del Sindaco pro tempore, con l’Avvocatura Comunale, Xxx Xxxxxx x. 00 - 00000 Xxxxxx (XX).
e contro
STATO ITALIANO – PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in
persona del Presidente del Consiglio pro tempore, con l’Avvocatura dello Stato di Palermo,Via Xxxxxx Xx Xxxxxxx, 81 - C.A.P. 90100
a)Xxxxx sulla struttura dell’ente convenuto 2
b)La Situazione lavorativa della ricorrente 2
a)Sulla violazione dell’art. 1 D. lgs. 368/2001 e dell’art. 36 D. Lgs. 165 /2001 5
b)il quadro normativo di riferimento- la direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’unice, dal ceep e dal ces 5
c)la richiesta di risarcimento del danno in forma specifica- l’applicazione dell’art. 5, comma 4bis 9
d)Le sentenze Xxxxxxx e Granducato del Lussemburgo della Corte europea 10
e)la sentenza carratù della corte europea 15
f)ulteriori conferme dell’applicabilità dell’art. 5 comma 4 bis 18
g)sulla specifica disciplina degli enti locali 25
h)l’azione residuale diretta nei confronti dello stato italiano 39
j)sul risarcimento del danno 43
k)sulla misura del risarcimento 46
l)questione di costituzionalità 50
m)La legge sulla responsabilità civile dei magistrati come vulnus alla corretta applicazione del diritto dell’Unione europea nei confronti dello Stato e della regione parte del processo 50
n)sull’equiparazione del trattamento economico 54
1. FATTO
a) CENNI SULLA STRUTTURA DELL’ENTE CONVENUTO
1. Trabia è un Comune siciliano già facente parte della provincia di Palermo.
2. La popolazione del Comune di Trabia ammonta a 10.590abitanti.
3. Per quanto possa rilevare nella presente causa, l’Amministrazione Comunale dichiara che la propria dotazione organica si compone di n.104 posti totali, di cui 55 unità a tempo indeterminato e n. 49 unità di personale a tempo determinato, con rapporti di lavoro reiteratamente rinnovati, così come si evince dal prospetto inserito sul sito internet dello stesso Comune di Trabia e aggiornato al 22.07.2011 - ultimo aggiornamento disponibile( doc. A).
b) LA SITUAZIONE LAVORATIVA DELLA RICORRENTE
1 Secondo quanto previsto dall’art. 3 del Decreto Assessoriale n. 744/97/A dell’Assessorato Regionale al Lavoro le graduatorie sono distinte per titoli di studio. L’art. 3 disciplina anche i criteri per il posizionamento all’interno delle stesse del singolo lavoratore.
5. In data 18.10.2005, la Giunta Municipale del Comune di Trabia emanava la delibera n.197 avente ad oggetto “Modifica delle misure di stabilizzazione- Atto ricognitivo” (Doc. B) e nella quale l’amministrazione approvava il piano di stabilizzazione (ovvero di assunzione a termine) di 49 lavoratori socialmente utili, con contratto quinquiennale di diritto privato.
6. In data 28.10.2005, quindi,per effetto della L.R. n.21 del 29 dicembre 2003 e della precedente delibera, parte ricorrente veniva assunta con un contratto a tempo determinato dal Comune di Trabiacon decorrenza dal 01.11.2005 e fino al 31.10.2010, inquadrata in categoria C, posizione economica C1 con il profilo Istruttore Amministrativo e/o contabile presso gli Affari Generali (doc. C);
7. In data 26.10.2010, per effetto dell’art. 2, comma 3, della Legge Regionale 31.12.2007 n. 27 e della il Comune di Trabia, con deliberazione n.57 del 02.04.2010 prorogava il suo contratto di lavoro per altri cinque anni a partire dal 01.11.2010 fino al 31.10.2015con inquadramento in categoria C, posizione economica C 1con il profilo Istruttore Amministrativo e/o contabile presso gli Affari Generali(doc. D);
8. Nel mentre, in data 13.04.2012, con delibera n. 76 (doc. E), il Comune di Trabiapredisponeva l’avvio delle procedure per la stabilizzazione del personale precario ex art. 6 della L. Regionale 24/2010 per 47 unità di personale con contratto di diritto privato e valutava l’attivazione di un tavolo tecnico con le Organizzazioni Sindacali;
9. Si precisa che ad oggi, il processo di stabilizzazione promosso con la precedente delibera n. 76/2012 non è mai stato portato a termine. Nessuno dei 47 dipendenti a tempo determinato è stato finora stabilizzato.
10. In data 23.02.2015, la parte ricorrente, per quanto possa occorrere, inviava lettera di impugnazione ex art. 32 L. 183/10, al Comune di Trabia in data 09.12.2014. (doc. F)
11. La parte ricorrente ha dunque prestato servizio presso il Comune convenuto in forza di contratti a termine per ben 117mesi (a luglio 2015) fino al deposito del presente ricorso. Alla scadenza del periodo lavorativo inserito nel contratto a termine,ovvero il 31.10.2015,i mesi di lavoro come contrattista a termine alle dipendenze del Comune di Trabia saranno 121.
12. I contratti sottoscritti dalla ricorrente non facevano riferimento ad alcuna ragione oggettiva che giustificasse l’apposizione del termine al contratto, essendo essa motivata unicamente da una normativa regionale che autorizzava l’Ente convenuto alla stipula di contratti a termine sulla base della mera messa a disposizione di fondi ad hoc da parte della Regione Siciliana.
13. Laricorrente ha svolto tutte le mansioni riconducibili al proprio profilo professionale di Categoria C, posizione economica C1, profilo Istruttore amministrativo/contabile, ai sensi del CCNL del Comparto Regioni e Autonomie Locali, che di volta in volta glisono state assegnate.
14. La lavoratrice ha operato su posizioni facenti parte del ruolo dell’Ente convenuto o, comunque, essenziali allo svolgimento della sua normale ed ordinaria attività istituzionale, e comunque vacanti nella dotazione organica.
15. Più in particolare la ricorrente ha, nel corso degli anni, svolto le seguenti mansioniall’interno del settore Affari Generali ( doc. G- determina n. 1360 del 22.11.2011):
- Istruttoria delle pratiche relative a ricoveri di minori, anziani e disabili presso comunità alloggio;
- Istruttoria per le pratiche di bonus socio-sanitario;
- Supporto alle attività della biblioteca comunale
16. All’atto della firma del primo contratto a tempo determinato, la parte ricorrente è stata cancellata dal bacino di appartenenza ASU e dalle liste di collocamento. Nel corso del rapporto come XXX, la parte lavoratrice è stata adibita alle medesime mansioni svolte da contrattista e appena citate.
17. Durante il rapporto di lavoro, l’amministrazione ha ritenuto più volte necessario integrare l’orario di lavoro dei dipendenti a tempo determinato a causa di urgenti carenze di personale ( doc.H).
18. Il riconoscimento del superamento dei 36 mesi lavorativi comporterà pertanto un risarcimento del danno in forma specifica consistente nel riconoscimento del rapporto di lavoro a tempo indeterminato nella categoria C, posizione economica 1 o, comunque, ad un risarcimento in forma monetaria, “equivalente” ed “energico” come stabilito dalla sentenza Xxxxxxx della Corte europea.
19. La ricorrente inoltre ha ricevuto un trattamento giuridico- economico difforme rispetto ai suoi colleghi di pari grado ma con contratti a tempo indeterminato. Per tali ragioni si formula espressa riserva di agire ai sensi dell’art. 6 del d. lgs. 368/2001 e della clausola 4 della Direttiva 1999/70/CE al fine dell’equiparazione del trattamento economico-normativo della stessa.
20. A titolo esemplificativo, nel corso del rapporto,la ricorrente – come dipendente a tempo determinato - non ha beneficiato ad esempio delle progressioni economiche orizzontali, nelle quali sono stati coinvolti i soli lavoratori con contratto a tempo indeterminato come il bando di “selezione interna per soli titolo, riservata ai dipendenti dell’ente a tempo indeterminato appartenenti alle categorie A,B, C,D finalizzata alla formazione di una graduatoria per l’attribuzione di una nuova posizione economica con decorrenza dal 1.01.2008” ( doc. I)
2. IN DIRITTO
a) SULLA VIOLAZIONE DELL’ART. 1 D. LGS. 368/2001 E DELL’ART. 36 D. LGS. 165 /2001
Il D.lgs. 368/2001 - norma attuativa della Direttiva, certamente applicabile al rapporto di cui è causa al momento della sua costituzione e dei suoi rinnovi2 - consentiva, rationetemporis, l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato, in deroga alla regola generale per cui quest’ultimo deve essere stipulato a tempo indeterminato, solo a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.
A sua volta l’art. 36, comma 2, dispone tuttora che le pubbliche amministrazioni possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa per rispondere ad esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale.
E’ evidente che tali ragioni devono essere caratterizzate da effettività, non potendosi ritenere idonee generiche formule di stile, essendo invece necessario il riferimento alla specifica situazione concreta che richiede l'utilizzo di lavoratori a termine.
Nel caso di specie, nei contratti individuali che si producono, o non è indicata alcuna ragione di natura temporanea che giustifichi la stipulazione di un contratto a tempo determinato, ovvero la ragione è del tutto slegata dalla realtà di svolgimento del rapporto, appalesandosi come una mera scusa per l’assunzione del lavoratore in causa. In ogni caso risulta per tabulas la violazione dell’art. 5 comma 3 e 4 D.Lgs 368/01. Con ogni conseguenza.
Del resto l’attività svolta dalla parte ricorrente coincide con l’oggetto sociale e l’attività istituzionale dell’ente, risolvendosi nello svolgimento dell’attività propria del convenuto, ovvero l’espletamento di servizi tipici dell’ente locale, attraverso l’utilizzo di beni strumentali e di risorse umane delle quali la parte ricorrente è elemento essenziale.
b) IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO- LA DIRETTIVA 1999/70/CE DEL CONSIGLIO DEL 28 GIUGNO 1999 RELATIVA ALL’ACCORDO QUADRO SUL LAVORO A TEMPO DETERMINATO CONCLUSO DALL’UNICE, DAL CEEP E DAL CES
L’attuale disciplina del contratto a tempo determinato è quella contenuta nel D.Lgs.n.368/20013 di “Attuazione della direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28.6.1999 relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES”, il cui obiettivo è indicato nella clausola 1, che recita:
“Obiettivo del presente accordo quadro è:
migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione;
2Vedi art. 36, comma 4 ter, X.Xxx. 165/2001. Comma aggiunto dall'art. 4, comma 1, lett. b), D.L. 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dallaL. 30 ottobre 2013, n. 125, ma è evidente la sua natura di interpretazione autentica. Per quanto riguarda il divieto di conversione contenuto nella norma, si dirà di seguito.
3 Oltre che, come detto, nell’art. 36 D.Lgs. 165/2001.
creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivante dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”.
La clausola 2 ne individua poi il
Campo di applicazione:
“Il presente accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o le parti sociali stesse possono decidere che il presente accordo non si applichi ai: a) rapporti di formazione professionale iniziale e di apprendistato; b) contratti e rapporti di lavoro definiti nel quadro di un programma specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale pubblico o che usufruisca di contributi pubblici”.
Dalla lettura della norma testé riportata emerge che la direttiva non prevede alcuna esclusione dal proprio campo di applicazione relativamente al lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione.
Sull’applicabilità della disciplina del contratto a termine alla P.A. si è più volte pronunciata la Corte di Giustizia Europea (ex multis sentenza Xxxxxxxx (sentenza 4 luglio 2006 in causa C- 212/04) e specificatamente per la legislazione italiana le sentenze Xxxxxxx-Xxxxxxx (sentenza 7.9.2006 in causa C-53/04) e Xxxxxxxx e l’ordinanza Affatato (sentenza 1.10.2010 in causa C-3/10, sulla cui rilevanza si tornerà).
La clausola 4 si occupa del principio di non discriminazione, cardine della normativa comunitaria in tema di lavoro, stabilendo:
“1. Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o un rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive”.
2. Se del caso, si applicherà il principio del pro rata temporis.
3. Le disposizioni per l'applicazione di questa clausola saranno definite dagli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali
4 E sul punto non va scordato che, come si legge nella sentenza Commissione c/ Italia del 26.10.2006 (in causa C-371/04) : 18. Dall’insieme di tale giurisprudenza si evince che il rifiuto di riconoscere l’esperienza professionale e l’anzianità acquisite nell’esercizio di un’attività analoga preso un’amministrazione pubblica di uno stato membro da cittadini comunitari successivamente impiegati nel settore pubblico italiano, con la motivazione che i detti cittadini non avrebbero superato alcun concorso prima di esercitare la loro attività nel settore pubblico di tale altro Stato, non può essere ammesso dato che, come ha osservato l’avvocato generale al paragrafo 28 delle sue conclusioni non tutti gli Stati membri assumono i dipendenti del settore pubblico in questo solo modo ….
e/o dalle parti sociali stesse, viste le norme comunitarie e nazionali, i contratti collettivi e la prassi nazionali.
4. I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive.
La clausola 5 individua poi le
Misure di prevenzione degli abusi:
“1. Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un nodo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:
ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato:
devono essere considerati “successivi;
devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato”.
L’immediata applicabilità della disposizione di cui alla clausola 5 – quanto meno ai fini dello scopo da perseguire – è fuori discussione. Tutti gli Stati membri debbono necessariamente adottare una disciplina che prevede misure preventive e successive.
Non è ipotizzabile una disciplina che preveda o consenta, sotto qualsiasi forma, la reiterazione infinita di contratti a termine, senza ragioni oggettive5.
In merito alla clausola 5, la Corte di Giustizia di Lussemburgo si è più volte pronunciata. Si legge infatti, in generale, nella sentenza Xxxxxxxx:
“84. Xxxxxx, si deve constatare al riguardo che una disposizione nazionale che consideri successivi i soli contratti di lavoro a tempo
5O anche, se si preferisce, senza la fissazione di un termine massimo nell’utilizzo dei contratti a tempo determinato e, comunque, in verificata assenza di ragioni oggettive che escludano l’abuso nell’utilizzo di contratti a tempo determinato: v. K e, del resto, in senso conforme, Cass. 61/2015, sul lavoro marittimo, di cui si farà cenno nel prosieguo..
determinato separati da un lasso temporale inferiore o pari a 20 giorni lavorativi deve essere considerata tale da compromettere l’obiettivo, la finalità nonché l’effettività, dell’accordo quadro. 85. Infatti, come hanno rilevato sia il giudice del rinvio sia la Commissione, nonché l’avvocato generale nei paragrafi 67-69 delle sue conclusioni, una definizione così restrittiva del carattere successivo di diversi contratti di lavoro che si susseguono consentirebbe di assumere lavoratori in modo precario per anni, poiché, nella pratica, il lavoratore non avrebbe nella maggior parte dei casi altra scelta che quella di accettare interruzioni dell’ordine di 20 giorni lavorativi nel contesto di una serie di contratti con il suo datore di lavoro. (…). 88. Al datore di lavoro sarebbe quindi sufficiente, al termine di ogni contratto di lavoro a tempo determinato, lasciare trascorrere un periodo di soli 21 giorni lavorativi prima di stipulare un altro contratto della stessa natura per escludere automaticamente la trasformazione dei contratti successivi in un rapporto di lavoro più stabile, e ciò indipendentemente sia dal numero di anni durante i quali il lavoratore interessato è stato occupato per lo stesso impiego sia della circostanza che i detti contratti soddisfino fabbisogni non limitati nel tempo, ma al contrario “permanenti e durevoli”. Pertanto, la tutela dei lavoratori contro l’utilizzazione abusiva dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, che costituisce la finalità della clausola 5 dell’accordo quadro, viene rimessa in discussione. 89. Tenuto conto delle argomentazioni che precedono, si deve rispondere alla terza questione che la clausola 5 dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, quale quella controversa nella causa principale, la quale stabilisce che soltanto i contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato non separati gli uni dagli altri da un lasso temporale superiore a 20 giorni lavorativi devono essere considerati “successivi” ai sensi di detta clausola”.
In merito al carattere temporaneo o permanente e duraturo del fabbisogno alla base della stipula di un contratto a termine, la Corte di Giustizia sempre nella sentenza Xxxxxxxx ha osservato ai punti 99 e 105:
“99. Inoltre, dalla decisione di rinvio risulta che, nella prassi, l’art.21 della legge n.2190/1994 rischia di essere distolto dalla sua finalità per il fatto che, invece di servire come base giuridica limitatamente alla stipulazione dei contratti a tempo determinato volti a far fronte a fabbisogni di carattere esclusivamente temporaneo, sembra che esso venga utilizzato per concludere siffatti contratti allo scopo di soddisfare di fatto “fabbisogni permanenti e durevoli”. Anche il Giudice del rinvio, nella motivazione della sua decisione, ha già constatato il carattere abusivo, ai sensi dell’accordo quadro, del ricorso, nella fattispecie di cui alla causa principale, al detto art.21 per giustificare la conclusione di contratti di lavoro a tempo determinato volti, in realtà, a rispondere a “fabbisogni permanenti e durevoli”. Tale giudice si limita pertanto a chiedere se, in una tale ipotesi, il divieto generale stabilito dalla detta disposizione di trasformare in contratti a tempo indeterminato siffatti contratti a tempo determinato pregiudichi lo scopo e l’efficacia pratica dell’accordo quadro. …..105. Alla quarta questione si deve di conseguenza rispondere che, in circostanze quali quelle di cui alla causa principale, l’accordo quadro deve essere interpretato nel senso che, qualora l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro
interessato non preveda, nel settore considerato, altra misura effettiva per evitare e, nel caso, sanzionare l’utilizzazione abusiva di contratti a tempo determinato successivi, l’accordo quadro osta all’applicazione di una normativa nazionale che vieta in maniera assoluta, nel solo settore pubblico, di trasformare in un contratto di lavoro a tempo indeterminato una successione di contratti a tempo determinato che, di fatto, hanno avuto il fine di soddisfare “fabbisogni permanenti e durevoli” del datore di lavoro e devono essere considerati abusivi”.
Da ultimo si vedano le sentenze della Corte europea Kukuc (punto 36) e Samohano (punto 55 doc. 15) che approfondiscono e sviluppano principi analoghi ed alle quali si rinvia, al fine di non appesantire al presente esposizione.
c) LA RICHIESTA DI RISARCIMENTO DEL DANNO IN FORMA SPECIFICA- L’APPLICAZIONE DELL’ART. 5, COMMA 4BIS
La richiesta di conversione infra svolta è qui giustificata sulla scorta di una ben precisa norma di legge nazionale (l’art. 5 comma 4 bis), approvata in applicazione della Direttiva e che si ritiene pienamente applicabile al rapporto di cui è causa.
Tale richiesta trova fondamento nell’ordinanza Affatato (doc. 1), che decide la questione sottopostale dal Tribunale di Xxxxxxx Xxxxxxx sulla base delle difese della Avvocatura italiana.
Xxxxxx, l’Avvocatura dello Stato nella memoria depositata nella causa Affatato (doc. 2), al punto 67 afferma:
67. Infatti, da un lato, i commi 4-bis, 4-quater 4-quinquies e 4- sexies aggiunti all’art. 5 del decreto legislativo n. 368 del 2001 dalla legge n. 247 del 2007 hanno fissato ulteriori paletti per evitare la reiterazione di contratti a termine, stabilendo una durata massima al di là della quale il contratto si considera a tempo indeterminato e introducendo un diritto di precedenza di chi abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi nelle assunzioni a tempo indeterminato, dall’altro, l’art. 36, comma
5 del decreto legislativo n.165 del 2001, come modificato dal decreto-legge n. 112 del 2008 convertito dalla legge n. 133 del 2008 ha previsto, oltre al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative e alla responsabilità per dolo e colpa grave dei dirigenti nei confronti dei quali l’amministrazione deve recuperare le somme erogate a tale titolo, anche due ulteriori conseguenze a carico dei predetti dirigenti, consistenti nell’impossibilità di rinnovo dell’incarico dirigenziale e nella considerazione della predetta violazione nell’ambito della valutazione dell’operato del dirigente medesimo. Inoltre, il comma 3 del predetto art. 36 come modificato dall’art. 17, comma 26 del decreto-legge n. 78 del 2009 convertito dalla legge n. 102 del 2009 prevede che “al dirigente responsabile di irregolarità nell’utilizzo del lavoro flessibile non può essere erogata la retribuzione di risultato”.
L’affermazione qui, al di la della forse voluta ambiguità che contraddistingue il complesso della memoria ed il comportamento dello Stato italiano in materia, è chiarissima.
L’art. 5 comma 4 bis si applica anche al pubblico impiego.
Del resto questa ricostruzione è esattamente quella fatta dalla Corte europea al punto 48 della Ordinanza Affatato, con espresso riferimento, appunto, alle affermazioni contenute nella memoria dell’Avvocatura:
48 A tale proposito, nelle sue osservazioni scritte il governo italiano ha sottolineato, in particolare, che l’art. 5 del d. lgs. N. 368/2001, quale modificato nel 2007, al fine di evitare il ricorso abusivo ai contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico, ha aggiunto una durata massima oltre la quale il contratto di lavoro è ritenuto concluso a tempo indeterminato e ha introdotto, a favore del lavoratore che ha prestato lavoro per un periodo superiore a sei mesi, un diritto di priorità nelle assunzioni a tempo indeterminato. Inoltre, l’art. 36, quinto comma, del d. lgs. N. 165/2001, come modificato nel 2008, prevedrebbe, oltre al diritto del lavoratore interessato al risarcimento del danno subìto a causa della violazione di norme imperative e all’obbligo del datore di lavoro responsabile di restituire all’amministrazione le somme versate a tale titolo quando la violazione sia dolosa o derivi da colpa grave, l’impossibilità del rinnovo dell’incarico dirigenziale del responsabile, nonché la presa in considerazione di detta violazione in sede di valutazione del suo operato.
Come si vede, la Corte europea fa espresso richiamo alla modifica di cui all’art. 5 comma 4 bis con voluto riferimento al “ricorso abusivo ai contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico”.
Infatti, è significativo che il 16 aprile 2010 fosse stata presentata alla Commissione Ue l’interrogazione scritta n. E-2354/10 della parlamentare europea Xxxx Xxxxxxxxxx, che segnalava che - all’epoca - in Italia esistevano più di 70.000 ausiliari tecnici amministravi (personale ATA) che si occupano a diverso titolo del funzionamento della scuola pubblica e che operavano da diversi anni con contratti a tempo determinato, reiterati negli anni, dando vita a una forma di precariato di lunga durata, senza che venissero riconosciuti a questa fascia di lavoratori gli stessi diritti derivanti dall'assunzione a tempo indeterminato (doc. 3).
Qualche giorno dopo il deposito delle osservazioni scritte del Governo italiano nella causa Affatato e attingendo evidentemente dalla stessa fonte, la Commissione europea, nel rispondere il 10 maggio 2010 all’interrogazione scritta, ne ha recepito le indicazioni, confermando l’applicazione dell’art.5, comma 4-bis, D.lgs. n.368/2001 e la trasformazione a tempo indeterminato dei rapporti a termine “successivi” di durata superiore a trentasei mesi con lo stesso datore di lavoro anche pubblico, con particolare riferimento alla scuola e al personale ATA. Tuttavia, prudentemente, l’Istituzione Ue si è riservata di scrivere alle autorità italiane per ottenere informazioni e chiarimenti sull'applicazione della normativa italiana agli ausiliari tecnici amministrativi delle scuole pubbliche.
d) LE SENTENZE XXXXXXX E GRANDUCATO DEL LUSSEMBURGO DELLA CORTE EUROPEA.
Tali conclusioni sono poi state pienamente confermate dalla pronuncia della Corte europea Xxxxxxx del 26.11.20146, resa con riferimento sia al settore
scolastico sia al pubblico impiego non scolastico (v. ordinanza Russo del Tribunale di Napoli in causa C-63/13): si tratta di rapporti di lavoro precari alle dipendenze di asili comunali, cioè di precariato degli enti locali come nella fattispecie di causa - le cui conclusioni sono:
La clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell’allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che autorizzi, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l’espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo. Risulta, infatti, che tale normativa, fatte salve le necessarie verifiche da parte dei giudici del rinvio, da un lato, non consente di definire criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di tali contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine, e, dall’altro, non prevede nessun’altra misura diretta a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
Come appare di immediata evidenza, il principio stabilito dalla Corte è applicabile meccanicamente alla situazione della parte ricorrente, posto che risulta pacifico, per quanto detto, che egli occupa stabilmente un posto di lavoro in organico e che – a quanto ci risulta – nessun ente pubblico siciliano, ivi compreso quello convenuto in causa, da decenni, svolge alcun concorso per la copertura di tali posti.
E’ quindi pacifico che nella fattispecie si è verificato un abuso nell’utilizzo dei contratti a termine, che osta alla clausola 5 della direttiva.
Resta dunque da determinare – da parte del giudice nazionale - l’applicazione delle misure sanzionatorie previste dalla norma comunitaria al fine di eliminare l’abuso commesso.
In merito, sempre la Corte europea fornisce nella medesima pronuncia utili indicazioni, proprio in risposta all’ordinanza Russo sugli asili comunali in causa C-63/13:
55 Lo stesso Tribunale di Napoli, infatti, constata, nella sua ordinanza di rinvio nella causa C63/13, che la ricorrente nel procedimento principale beneficia, a differenza delle ricorrenti nei procedimenti principali nelle cause C22/13, C61/13 e C62/13, dell’applicazione dell’articolo 5, comma 0 xxx, xxx xxxxxxx legislativo n. 368/2001, disposizione che prevede la trasformazione dei contratti a tempo determinato successivi di durata superiore a 36 mesi in contratto di lavoro a tempo indeterminato. Da tale constatazione detto giudice xxxxxx, giustamente, che la citata disposizione costituisce una misura che, nei limiti in cui previene il ricorso abusivo a siffatti contratti e implica l’eliminazione definitiva delle conseguenze dell’abuso, è
conforme ai requisiti derivanti dal diritto dell’Unione (v., in particolare, sentenza Fiamingo e a., C362/13, C363/13 e C407/13, EU:C:2014:2044, punti 69 e 70, nonché giurisprudenza ivi citata).
Dalle sottolineature che si sono fatte risulta chiaro che la Corte europea valuta positivamente (…giustamente…) l’applicazione dell’art. 5 comma 4 bis del D.Lgs. 368/2001 che prevede la trasformazione a tempo indeterminato dei rapporti a termine al superamento del 36° mese.
Analogamente, al punto 79, dopo avere accertato l’abuso, la Corte afferma:
79 Da ciò discende che, quando si è verificato un ricorso abusivo a una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso e cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione (sentenza Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 64 nonché giurisprudenza ivi citata).
Tale indicazione risulta pienamente recepita dalla recente sentenza 27363 del 23 dicembre 2014 della Corte di cassazione (Presidente Xxxxxxxxx, est. Balestrieri), in materia di precariato sanitario (infermiera professionale) dove si legge:
3.1 Il motivo è inammissibile. Ed invero, a prescindere dall’irrilevanza delle norme irretroattive e successive ai fatti per cui è causa, deve evidenziarsi che nella specie non risulta scalfita la decisione impugnata che ha ritenuto legittimi i contratti in questione, che peraltro non risultano prodotti.
Ciò già precluderebbe, invia di principio, un diritto al risarcimento dei danni.
Tuttavia, dovendo esaminarsi la questione anche sotto il profilo dell’abuso dei contratti a termine legittimi, deve in ogni caso ribadirsi che C.G.E (ordinanza Papalia, C-5013, e sentenza Carratù, C-361/12) ha chiarito che: ”L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev’essere interpretato nel senso che esso osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell’ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all’obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego, se detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, da parte del citato lavoratore, dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione.
Spetta al giudice del rinvio valutare in che misura le disposizioni di diritto nazionale volte a sanzionare il ricorso abusivo, da parte
della pubblica amministrazione, a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato siano conformi a questi principi”, rendendo effettiva la conversione dei contratti di lavoro da determinato ad indeterminato di tutti i rapporti a termine successivi con lo stesso datore di lavoro pubblico, dopo 36 mesi anche non continuativi di servizio precario, in applicazione dell’art. 5, comma 4 bis, del D.Lgs. 368/2001.
Nella specie, come sopra visto, non risulta l’illegittimità dei contratti in esame, neppure sotto il profilo dell’abuso, trattandosi di soli tre contratti a tempo determinato della durata di pochi mesi, così come in sostanza ritenuto dalla Corte di merito.
La sentenza citata, poi prosegue affermando:
3.2 per completezza espositiva, e valutato l’art. 384 cpc, deve rilevarsi che seppure la disciplina comunitaria impedisca di rendere eccessivamente difficoltoso al lavoratore illegittimamente assunto a termine da una pubblica amministrazione il diritto ad ottenere il risarcimento dei danni, nella fattispecie difetta, assorbentemente, la prova, anche presuntiva, del danno in tesi subito, dovendosi chiarire che anche in caso di illegittima assunzione a termine da parte di una pubblica amministrazione, il danno non può ritenersi in re ipsa, ma provato, secondo i principi sull’onere probatorio e dunque anche per presunzioni gravi, precise e concordanti, tali dunque da non rendere eccessivamente difficoltoso l’esercizio del diritto, da parte del lavoratore.
Nella fattispecie difetta qualsivoglia elemento o argomento di prova al riguardo, come accertato dal giudice di appello.
Dalla ricostruzione del sistema operata dall’Avvocatura nella causa Affatato, dalla Corte europea nella sentenza Xxxxxxx e dalla Corte di cassazione nella sentenza 27363/14, emerge quindi il seguente quadro:
Da un lato, la nullità del termine comporta il diritto al risarcimento del danno e la responsabilità del dirigente (nel pubblico impiego, a differenza che nel privato, dove tale evenienza comporta, invece, la conversione).
Dall’altro, opera in ogni caso la norma di cui all’art. 5 comma 4 bis: ovvero quella della durata massima. Questa norma si applica a tutti i rapporti, privati e pubblici e prevede la costituzione-trasformazione di un rapporto a tempo indeterminato al superamento del 36° mese di rapporto (a parità di mansioni, qui fuori discussione).
In altri termini, l’esclusione della trasformazione a tempo indeterminato dei contratti a termine successivi, ovvero la misura sanzionatoria monetaria, è limitata alle ipotesi di vizio genetico del termine apposto al singolo contratto (art.1, commi 1 e 2, d.lgs. n.368/2001 e/o art. 36 D.Lgs. 165/2001).
Diversamente deve farsi riferimento alla durata complessiva dei rapporti – nel qual caso, infatti, si prescinde dalla legittimità o meno del termine stesso – ovvero alla disciplina sanzionatoria “tipica” (risarcimento in forma specifica) del d.lgs. n.368/2001, cioè quella contenuta nell’art.5, che prevede al riqualificazione del rapporto superati i 36 mesi di rapporto.
Alle pronunce qui citate si aggiunga poi la recente sentenza Commissione c/ granducato del Lussemburgo del 26.02.157. In questa decisione, la Corte europea sancisce che lo Stato membro ha violato la Direttiva 1999/70, clausola 5 non avendo previsto misure di prevenzione contro la reiterazione abusiva di contratti a termine nel settore dello spettacolo.
Si noti che il Granducato, in tutti gli altri settori, prevede tutte le misure indicate nella clausola 5 (ragioni obiettive, durata massima dei contratti per due anni, numero massimo di contratti a termine: cfr. punti da 6 a 13 della sentenza) escludendo, appunto, solo i lavoratori dello spettacolo.
La Corte così rileva:
51 Sebbene, certamente, come già rilevato al punto 40 della presente sentenza, uno Stato membro sia legittimato, nel recepire la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro, a tenere in considerazione esigenze particolari di un settore specifico, tale diritto non può, però, essere inteso nel senso che consente ad esso di dispensarsi dal rispettare, nei confronti di tale settore, l’obbligo di prevedere una misura adeguata volta a prevenire e, eventualmente, a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Infatti, la circostanza di consentire a uno Stato membro di invocare un obiettivo come la flessibilità che deriva dall’utilizzo di contratti di lavoro a tempo determinato, al fine di dispensarsi da tale obbligo, contrasterebbe con uno degli obiettivi perseguiti dall’accordo quadro, rammentato ai punti 35 e 36 della presente sentenza, vale a dire la stabilità dell’impiego, concepita come un elemento portante della tutela dei lavoratori, e potrebbe anche ridurre in maniera significativa le categorie di persone che possono beneficiare delle misure di tutela previste alla clausola 5 dell’accordo quadro.
Tale essendo il contesto, sulla scorta di tali pronunce già diversi giudici di merito hanno provveduto a convertire i rapporti, tra essi il Tribunale di Napoli, in sede di rinvio dalla Corte di Giustizia, il Tribunale di Bari, con sentenza del 13.02.15, il Tribunale di Locri, con sentenza del 15.04.15.
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Tra l’altro il divieto di conversione si presenta violativo del divieto di discriminazione alla rovescia, come da pregiudiziale comunitaria che segue e sula quale ci si riserva di meglio intervenire in sede di discussione
Se la clausola 5, punti 1 e 2 e la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato stipulato il 18 marzo 1999, figurante nell’allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato in connessione con i principi generali di divieto di trattamenti discriminatori tra lavoratori transfrontalieri come sanciti, in particolare, nelle sentenze del 1° giugno 2010, BlancoPérez e ChaoGómez, C570/07 e C571/07, Racc. pag. I4629, punto 39; del 22 dicembre 2010, Omalet, C245/09, Racc. pag. I13771, punto 15, nonché del 21 giugno 2012, Xxxxxxxx e a., C84/11, punti 17 e 20, debbono essere interpretati nel senso che tali disposizioni ostano ad una normativa come quella di cui all’art. 36, commi 5, 5 ter e 5 quater del D.Lgs. 165/2001, che vieta di considerare a tempo indeterminato un rapporto di lavoro oggetto
di reiterazioni costituenti un abuso ai sensi della citata clausola 5 della Direttiva 1999/70 (sentenza Xxxxxxx del 26.11.14, C-22/13), per il sol fatto che detto rapporto risulti costituito con un ente pubblico o con una pubblica amministrazione, come ripetutamente stabilito dalla normativa nazionale (cfr. Corte di cassazione italiana, sentenza 10127/2012, punto 20 della motivazione e Corte costituzionale n. 89/2003), laddove invece la legislazione italiana, con la legge 120/1955, emessa in applicazione delle sentenze 30 maggio 1989 Allué, C-33/88 e 2 agosto 1993, Xxxxx e altri X- 000/00, X-000/00 x X-000/00, xxx xxxxxxxxxx x’Xxxxxx per la discriminazione operata nei confronti dei lettori universitari transfrontalieri, dispone l’applicazione integrale della legge 230/1962, ora sostituita dal D.Lgs. 165/2001, normative, queste ultime, che prevedono espressamente che si considera a tempo interminato il rapporto di lavoro a termine irregolare o, comunque, che superi complessivamente i 36 mesi di lavoro, ove questo sia intercorso tra i lettori universitari di altri paesi comunitari assunti dalle Università italiane, pacificamente ritenute enti pubblici, in palese violazione, per di più, dell’art. 53 della legge comunitaria 234/2012 (ma anche, in precedenza, dell’art. 14 bis legge 11/2005) che regola la parità di trattamento tra cittadini dell’Unione disponendo che: “nei confronti dei cittadini italiani non trovano applicazione norme dell'ordinamento giuridico italiano o prassi interne che producano effetti discriminatori rispetto alla condizione e al trattamento garantiti nell'ordinamento italiano ai cittadini dell'Unione europea”.
e) LA SENTENZA CARRATÙ DELLA CORTE EUROPEA
Rileva poi, in questo quadro,il nuovo testo dell’art.36 D.lgs. n.165/2001, in vigore dal 1° settembre 2013, è stato così integrato:
«5-ter. Le disposizioni previste dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 si applicano alle pubbliche amministrazioni, fermi restando per tutti i settori l'obbligo di rispettare il comma 1, la facoltà di ricorrere ai contratti di lavoro a tempo determinato esclusivamente per rispondere alle esigenze di cui al comma 2 e il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato.
5-quater. I contratti di lavoro a tempo determinato posti in essere in violazione del presente articolo sono nulli e determinano responsabilità erariale. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono, altresì, responsabili ai sensi dell'articolo 21. Al dirigente responsabile di irregolarità nell'utilizzo del lavoro flessibile non può essere erogata la retribuzione di risultato.».
Come si vede, nello stesso articolo – art.36 D.Lgs. n.165/2001 – in ben due commi è prevista, da un lato, l’applicazione del D.Lgs. n.368/2001 e, dall’altro, accanto alla mancata trasformazione in contratto a tempo indeterminato derivante dal (nuovo) comma 5-ter,anche la sanzione della
Al di là della contraddizione interna tra contratti a termine legittimi ma senza sanzione (comma 5-ter) o illegittimi e quindi nulli ma sempre senza sanzione (comma 5-quater: la responsabilità erariale e dei dirigenti non può mai scattare, senza il risarcimento del danno, che non è più previsto) – si ha la gravissima conseguenza, già evidenziata dalla Corte costituzionale nell’ordinanza 207/14 di rinvio pregiudiziale per i contratti della scuola9, che l’ordinamento interno non prevede nessuna misura idonea a prevenire gli abusi in caso di successione di contratti a tempo determinato per quanto riguarda tutto il pubblico impiego
A tal proposito occorre considerare la sentenza Xxxxxxx, resa il 12.12.13 dalla Corte europea in causa C-361/12, su una diversa questione, ovvero la verifica della compatibilità dell’art. 32 del Collegato lavoro (legge 183/2010).
In quel caso, i quesiti posti alla Corte europea dal Tribunale di Napoli erano i seguenti:
1) Se sia contrario al principio di equivalenza una disposizione di diritto interno che, nella applicazione della direttiva 1999/70/Ce preveda conseguenze economiche, in ipotesi di illegittima sospensione nella esecuzione del contratto di lavoro, con clausola appositiva del termine nulla, diverse e sensibilmente inferiori rispetto ipotesi di illegittima sospensione nella esecuzione del contratto di diritto civile comune, con clausola appositiva del termine nulla;
2) Se sia conforme all’Ordinamento europeo che, nell’ambito di sua applicazione, la effettività di una sanzione avvantaggi il datore di lavoro abusante, a danno del lavoratore abusato, di modo che la durata temporale, anche fisiologica, del processo danneggi direttamente il lavoratore a vantaggio del datore di lavoro e che
8Ivi compresi, quindi, quelli regolati dal regime di cui all’art. 35 comma 1, lett. b) che pur la Cassazione, con la sentenza n. 9555 del 22 aprile 2010 (Pres. Vidiri, rel. Xxxxx), pronunciandosi sulla vicenda dei portieri dell’Inail, aveva ritenuto soggetti alla ordinaria disciplina dei contratti a termine in ragione della loro non assoggettabilità all’obbligo del concorso di cui all’art. 97 Costituzione.
9Così si legge nella citata ordinanza:
che l’art. 4, comma 1, della legge n. 124 del 1999 – oggetto del giudizio davanti a questa Corte – nella sua parte principale, non appare censurabile, in quanto regola la tipologia di supplenze – previsione necessaria per assicurare la copertura dei posti vacanti di anno in anno – non disponendo, di conseguenza, questa norma né il rinnovo dei contratti a tempo determinato prolungati nel tempo, né l’esclusione del diritto al risarcimento del danno;
che, peraltro, detta disposizione contiene, nella proposizione finale, la previsione per cui il conferimento delle supplenze annuali su posti effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre abbia luogo «in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente non di ruolo»;
che la previsione sopra richiamata, contenuta nell’ultima proposizione del comma 1 dell’art. 4 della legge n. 124 del 1999, potrebbe configurare la possibilità di un rinnovo dei contratti a tempo determinato senza che a detta possibilità si accompagni la previsione di tempi certi per lo svolgimento dei concorsi;
che questa condizione – unitamente al fatto che non vi sono disposizioni che riconoscano, per i lavoratori della scuola, il diritto al risarcimento del danno in favore di chi è stato assoggettato ad un’indebita ripetizione di contratti di lavoro a tempo determinato – potrebbe porsi in conflitto con la citata clausola 5, punto 1, della direttiva n. 1999/70/CE;
pare evidente che la situazione preso l’ente convenuto è identica a quella scrutinata dalla Corte con riferimento al sistema scolastico.
l’efficacia ripristinatoria sia proporzionalmente ridotta all’aumentare della durata del processo, sin quasi ad annullarsi;
3) Se, nell’ambito di applicazione dell’Ordinamento europeo ai sensi dell’art 51 della Carta di Nizza, sia conforme all’art 47 della Carta ed all’art 6 Cedu che la durata temporale, anche fisiologica, del processo danneggi direttamente il lavoratore a vantaggio del datore di lavoro e che l’efficacia ripristinatoria sia proporzionalmente ridotta all’aumentare della durata del processo, sin quasi ad annullarsi;
4) Se, tenuto conto delle esplicazioni di cui all’art 3, comma 1, lett. c, della direttiva 2000/78/Ce ed all’art. 14, comma 1, lett. c, della Direttiva 2006/54/Ce nella nozione di condizioni di impiego di cui alla Clausola 4 della direttiva 1999/70/Ce siano comprese anche le conseguenze della illegittima interruzione del rapporto di lavoro;
5) In ipotesi di risposta positiva al quesito che precede, se la diversità tra le conseguenze ordinariamente previste nell’Ordinamento interno per la illegittima interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed a tempo determinato siano giustificabili ai sensi della clausola 4;
6) se i princìpi generali del vigente diritto comunitario della certezza del diritto, della tutela del legittimo affidamento, della uguaglianza delle armi del processo, dell’effettiva tutela giurisdizionale, a un tribunale indipendente e, più in generale, a un equo processo, garantiti dall’art. 6, n. 2, del Trattato sull’Unione europea (così come modificato dall’art. 1.8 del Trattato di Lisbona e al quale fa rinvio l’art. 46 del Trattato sull’Unione) – in combinato disposto con l’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e con gli artt. 46, 47 e 52, n. 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, come recepiti dal Trattato di Lisbona – debbano essere interpretati nel senso di ostare all’emanazione da parte dello Stato italiano, dopo un arco temporale apprezzabile (9 anni), di una disposizione normativa, quale il comma 7 dell’art 32 della legge n. 183/10 alteri le conseguenze dei processi in corso danneggiando direttamente il lavoratore a vantaggio del datore di lavoro e che l’efficacia ripristinatoria sia proporzionalmente ridotta all’aumentare della durata del processo, sin quasi ad annullarsi;
7) ove la Corte di Giustizia non dovesse riconoscere ai principi esposti la valenza di principi fondamentali dell’Ordinamento dell’Unione europea ai fini di una loro applicazione orizzontale e generalizzata e quindi la sola una contrarietà di una disposizione, quale l’art 32, commi da 5 a 7, della legge n. 183/10 agli obblighi di cui alla direttiva 1999/70/Ce e della Carta di Nizza se una società, quale la convenuta, avente le caratteristiche di cui ai punti da 55 a 61 debba ritenersi organismo statale, ai fini della diretta applicazione verticale ascendente del diritto europeo ed in particolare della clausola 4 della direttiva 1999/70/Ce e della Carta di Nizza.
La soluzione adottata dalla Corte europea è interessante anche ai nostri fini.
Si legge infatti nella citata decisione:
46 Ciò nondimeno va precisato che la clausola 8, punto 1, dell’accordo quadro dispone che «[g]li Stati membri e/o le parti sociali possono mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli per i lavoratori di quelle stabilite nel presente accordo».
47 Più specificamente, se la formulazione della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro non consente di ritenere che l’indennità che sanziona l’illecita apposizione di un termine ad un contratto di lavoro e quella corrispondente all’interruzione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato si riferiscano a lavoratori che si trovano in situazioni comparabili, dal combinato disposto delle summenzionate clausole 4, punto 1, e 8, punto 1, risulta che queste legittimano gli Stati membri che lo desiderino a introdurre disposizioni più favorevoli ai lavoratori a tempo determinato e, pertanto, ad assimilare, in un’ipotesi come quella in discussione nel procedimento principale, le conseguenze economiche della illecita conclusione di un contratto di lavoro a tempo determinato a quelle che possono derivare dalla illecita interruzione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Proprio in considerazione di tale ragionamento la Corte europea ritiene, al punto 49 che considerata la soluzione fornita alla quarta e alla quinta questione, non è necessario pronunciarsi sulle questioni prima, seconda, terza e sesta, che, appunto, riguardavano la applicazione retroattiva della norma e sulle quali, dunque, al Corte europea avrebbe dovuto pronunciarsi se non avesse già risolto la questione nei termini qui indicati.
Infatti, leggendo la motivazione della CGUE, pare evidente che, poiché il legislatore aveva provveduto, in linea del resto con i principi generali del diritto civile, a regolamentare in modo sostanzialmente identico le conseguenze in caso licenziamento e di cessazione di contratto a termine illegittimo, la relativa disciplina viene automaticamente “coperta” dalla clausola 4 e la nuova normativa di cui all’art. 32 del Collegato lavoro non può, quindi, essere applicata dal giudice nazionale in quanto costituisce un peggioramento del livello di tutela precedentemente garantito dall’ordinamento e, come tale, contrario ai principi della Direttiva.
f) ULTERIORI CONFERME DELL’APPLICABILITÀ DELL’ART. 5 COMMA 4 BIS
Si riporta di seguito il testo dell’art. 5 comma 4 bis D.Lgs. 368/2001, come modificato dal D.L. 25 giugno 2008 n. 112 e prima delle modifiche del 2011 e del 2013, si cui si tratterà oltre:
4-bis. Ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti e fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni
10V. comunque, infra, la subordinata istanza di rimessione alla Corte costituzionale.
equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi del comma 2; ai fini del computo del periodo massimo di trentasei mesi si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti, svolti fra i medesimi soggetti, ai sensi del comma 1-bis dell’articolo 1 del presente decreto e del comma 4 dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, inerente alla somministrazione di lavoro a tempo determinato. In deroga a quanto disposto dal primo periodo del presente comma, un ulteriore successivo contratto a termine fra gli stessi soggetti può essere stipulato per una sola volta, a condizione che la stipula avvenga presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio e con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale stabiliscono con avvisi comuni la durata del predetto ulteriore contratto. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché nel caso di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, il nuovo contratto si considera a tempo indeterminato.
Il comma 4 ter della stessa legge prevede innanzi tutto espressamente un’ipotesi di esenzione dell’applicazione del comma 4 bis che non riguarda la P.A. (attività stagionali definite dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963 n. 1525 …., nonché di quelle che saranno individuate dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle Organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative): il legislatore quindi, quando ha ritenuto di escludere l’applicazione della misura della conversione automatica per il decorso della durata massima lo ha fatto esplicitamente.
Occorre poi considerare che il legislatore, contestualmente alla modifica dell’art. 5, con l’introduzione del comma 4 bis, ha contemporaneamente modificato l’art. 36 del D.Lgs. 165/2001 con la legge n. 244, sempre del 24 dicembre 2007, disponendo il divieto assoluto di procedere alla stipula ed al rinnovo di contratti a termine.
Il testo, come modificato dalla ricordata norma di legge (art. 3 comma 79) era il seguente:
1. Le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato e non possono avvalersi delle forme contrattuali di lavoro flessibile previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa se non per esigenze stagionali o per periodi non superiori a tre mesi fatte salve le sostituzioni per maternità relativamente alle autonomie territoriali. Il provvedimento di assunzione deve contenere l’indicazione del nominativo della persona da sostituire.
2. In nessun caso è ammesso il rinnovo del contratto o l’utilizzo del medesimo lavoratore con altra tipologia contrattuale.
3. Le amministrazioni fanno fronte ad esigenze temporanee ed eccezionali attraverso l’assegnazione temporanea di personale di altre amministrazioni per un periodo non superiore a sei mesi, non rinnovabile.
4. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 non possono essere derogate dalla contrattazione collettiva.….
6. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l’obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. Le amministrazioni pubbliche che operano in violazione delle disposizioni di cui al presente articolo non possono effettuare assunzioni ad alcun titolo per il triennio successivo alla suddetta violazione.
7. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano agli uffici di cui all’articolo 14, comma 2, del presente decreto, nonché agli uffici di cui all’articolo 90 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Sono altresì esclusi i contratti relativi agli incarichi dirigenziali ed alla preposizione ad organi di direzione, consultivi e di controllo delle amministrazioni pubbliche, ivi inclusi gli organismi operanti per le finalità di cui all’articolo 1 della legge 17 maggio 1999, n. 144.
8.( …)
9. Gli enti locali non sottoposti al patto di stabilità interno e che comunque abbiano una dotazione organica non superiore alle quindici unità possono avvalersi di forme contrattuali di lavoro flessibile, oltre che per le finalità di cui al comma 1, per la sostituzione di lavoratori assenti e per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto, sempreché nel contratto di lavoro a termine sia indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione.
10. Gli enti del Servizio sanitario nazionale, in relazione al personale medico, con esclusivo riferimento alle figure infungibili, al personale infermieristico ed al personale di porto alle attività infermieristiche, possono avvalersi di forme contrattuali di lavoro flessibile, oltre che per le finalità di cui al comma 1, per la sostituzione di lavoratori assenti o cessati dal servizio limitatamente ai casi in cui ricorrano urgenti e indifferibili esigenze correlate alla erogazione dei livelli essenziali di assistenza, compatibilmente con i vincoli previsti in materia di contenimento della spesa di personale dall’articolo 1, comma 565, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
11. Le pubbliche amministrazioni possono avvalersi di contratti di lavoro flessibile per lo svolgimento di programmi o attività i cui oneri sono finanziati con fondi dell’Unione europea e del Fondo per
le aree sottoutilizzate. Le università e gli enti di ricerca possono avvalersi di contratti di lavoro flessibile per lo svolgimento di progetti di ricerca e di innovazione tecnologica i cui oneri non risultino a carico dei bilanci di funzionamento degli enti o del Fondo di finanziamento degli enti o del Fondo di finanziamento ordinario delle università. Gli enti del Servizio sanitario nazionale possono avvalersi di contratti di lavoro flessibile per lo svolgimento di progetti di ricerca finanziati con le modalità indicate nell’articolo 1, comma 565, lettera b), secondo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. L’utilizzazione dei lavoratori, con i quali si sono stipulati i contratti di cui al presente comma, per fini diversi determina responsabilità amministrativa del dirigente e del responsabile del progetto. La violazione delle presenti disposizioni è causa di nullità del provvedimento.
Come si vede, la modifica operata dal legislatore del 2007 all’art. 36 del D.Lgs. 165/2001 non può che essere interpretata in connessione con l’introduzione dell’art. 5 comma 4 bis.
La versione dell’art. 36 dell’epoca era infatti collegata all’introduzione del limite dei 36 mesi (e della conseguente conversione); diversamente non avrebbe avuto senso che venisse improvvisamente vietata la stipulazione di contratti a termine, salvo che per esigenze eccezionali, e venisse altresì introdotto il divieto della loro proroga e, in particolare, della reiterazione dell’assunzione, sotto qualsiasi forma flessibile, dello stesso lavoratore.
Il collegamento tra le due norme è poi ancor più chiaro dove si consideri che con il D.L. 112 del 2008, il comma 3 dell’art. 36 è stato sostituito con il seguente:
3. Al fine di evitare abusi nell’utilizzo del lavoro flessibile, le amministrazioni, nell’ambito delle rispettive procedure, rispettano principi di imparzialità e trasparenza e non possono ricorrere all’utilizzo del medesimo lavoratore con più tipologie contrattuali per periodi di servizio superiori al triennio nell’arco dell’ultimo quinquennio.
Infine, con la (ulteriore) modifica operata sull’art. 36 da parte dell’art. 17 L. 109/2009, è stato inserito il comma 5 bis allo stesso art. 36 che recita:
5-bis. Le disposizioni previste dall’articolo 5, commi 4-quater, 4- quinquies e 4-sexies del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 si applicano esclusivamente al personale reclutato secondo le procedure di cui all’articolo 35, comma 1, lettera b), del presente decreto.
Dunque, nel coordinamento tra l’art. 5 del D.Lgs. 368/2001 e l’art. 36 del D.Lgs. 165/2001, il legislatore ha escluso unicamente la operatività di alcune delle disposizioni dell’art. 5 D.Lgs. 368/01, tra le quali non figura il comma 4 bis che risulta quindi pienamente applicabile al pubblico impiego.
L’applicabilità è poi confermata dai successivi interventi legislativi.
L’art. 1 del D.Lgs. 124/1999, come modificato dal D.L. 134/09, convertito con modificazioni dalla legge di conversione 167/2009, dispone che:
I contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze previste dai commi 1, 2 e 3, in quanto necessari per
garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo, possono trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato solo nel caso di immissione in ruolo, ai sensi delle disposizioni vigenti e sulla base delle graduatorie previste dalla presente legge e dall’articolo 1, comma 605, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n.296, e successive modificazioni.
Pare evidente che le regole per la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato nel settore scuola vengono dettate dal legislatore del 2009 al solo scopo di evitare l’applicazione dell’art. 5 comma 4 bis.
Se così non fosse la norma si presenterebbe del tutto inutile, ove si volesse ritenere che il divieto di conversione, anche in caso si superamento dei 36 mesi, fosse comunque già stato vietato dall’art. 36 del D.Lgs. 165/2001.
Ma se ancora risultasse qualche dubbio sul punto, è sufficiente leggere l’art. 2, comma 6, del D.L. 225/2010, relativo alla disciplina degli addetti agli uffici immigrazione, che dispone:
Per garantire l’operatività degli sportelli unici per l’immigrazione nei compiti di accoglienza e integrazione e degli uffici immigrazione delle Questure nel completamento delle procedure di emersione del lavoro irregolare, il Ministero dell’interno, in deroga alla normativa vigente, è autorizzato a rinnovare per un anno i contratti di lavoro di cui all’articolo 1, comma 1, dell’ordinanza del Presidente del Consiglio 29 marzo 2007, n. 3576. Ai fini di cui al presente comma non si applica quanto stabilito dall’articolo 5 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, dall’articolo 1, comma 519, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e dall’articolo 3, comma 90, della legge 24 dicembre 2007, n. 244. Agli oneri derivanti dal presente comma, pari a 19,1 milioni di euro per l’anno 2011, si provvede ai sensi dell’articolo 3.
Ed infine (ma certamente ci sarà sfuggita qualche altra norma) il recente, ennesimo, intervento nel settore scuola, costituito dall’art. 9, comma 18, del D.L. n. 70 del 13.7.2011:
18. All’art. 10 del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, dopo il comma 4 è aggiunto il seguente: “4 bis. Stante quanto stabilito dalle disposizioni di cui all’art. 40, comma 1 della legge 27 dicembre 1997 n. 449, e successive modificazioni, all’art. 4, comma 14 bis, della legge 3 maggio 1999 n. 124 e all’art. 6, comma 5, del Decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, sono altresì esclusi dall’applicazione del presente decreto i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA, considerata la necessità di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso doi assenza temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato. In ogni caso non si applica l’art. 5 comma 4 bis del presente decreto.
Ora, chiunque comprende come la necessità di precisare, dopo avere disposto l’inapplicabilità tout court di tutto il D.Lgs. 368/2001 al settore scuola che “in ogni caso” non si applica l’art. 5 comma 4 bis, non fa altro che confermare che una cosa è l’ipotesi generale di divieto di conversione conseguente all’illegittimità del termine apposto al contratto, altra è quella prevista dall’art. 5 comma 4 bis.
Tale ultima norma, infatti, come già si è rilevato, prescinde dalla validità o meno del – o dei – contratti a termine e, dunque, è ipotesi che opera su un piano diverso dal divieto di conversione dell’art. 36 del D.Lgs. 165/2001 che, invece, lega il divieto alla violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte della pubblica amministrazione.
Nel solco di tali inequivocabili provvedimenti si inseriscono ulteriori comportamenti dello Stato italiano e della sua amministrazione che pare opportuno versare in causa.
Rilevanti sono, innanzi tutto, la fattispecie delle Agenzie dei segretari comunali11: in quel settore infatti, su specifica indicazione della Funzione pubblica, in data 21.12.2009 le parti sociali raggiungevano un accordo ai sensi, appunto, dell’art. 5 comma 4 bis del Decreto legislativo 368/2001, autorizzando la proroga dei contratti in corso con gli assunti a termine in deroga, a loro dire, della previsione della trasformazione automatica del contratto a tempo indeterminato, proroga dei contratti in effetti poi concordata individualmente (doc. 4).
A loro dire, si specificava, perché in realtà, l’”accordo” è di dubbia validità al fine indicato, ma la questione non è qui rilevante.
Interessa, invece, che la ricognizione del quadro legislativo fatta dalla Amministrazione statale, come risultante dalla citata nota 21.12.2009 (doc. 5), e dalle parti sociali è chiarissima: l’art. 5 comma 4 bis si applica de plano ai rapporti di lavoro pubblici, con la conseguenza che, per evitare la conversione automatica del rapporto occorre una specifica deroga da parte della contrattazione collettiva.
A tale atto segue poi addirittura un accordo sindacale raggiunto dall’ARAN (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni italiane) che è l’organo istituzionale che sigla i contratti collettivi di comparto nel settore del pubblico impiego.
Tale ente, infatti, ha espressamente raggiunto un accordo, in data 29.09.2010 (doc. 6), con le Organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative in applicazione dell’art. 5 comma 4 bis, finalizzato a non conteggiare l’ulteriore proroga del proprio personale ai fini del raggiungimento del periodo di 36 mesi previsto dalla norma.
A ciò si aggiunge il Comune di Milano, il quale ha stipulato nel febbraio 2012 un accordo sindacale,- doc. 7- (peraltro siglato da una sola delle tre XX.XX. maggiormente rappresentative, unitamente ad un piccolo sindacato autonomo) in applicazione di un’intesa quadro raggiunta nel dicembre 2011 (doc. 8). Accordo con il quale, in applicazione della prima parte dell’art. 5 comma 4 bis del decreto legislativo 368/2001, si dispone che i 36 mesi previsti dalla norma per la trasformazione automatica del rapporto a tempo indeterminato vanno conteggiati con riferimento ai contratti a termine conclusi a seguito di apposito concorso, mentre non si conteggiano, al fine del raggiungimento dei 36 mesi i contratti stipulati in forza di una graduatoria redatta sulla base di un successivo concorso/selezione.
Pare evidente lo scopo dell’accordo: all’approssimarsi del raggiungimento dei 36 mesi è sufficiente che il comune di Milano disponga l’effettuazione di un altro concorso e le successive assunzioni non sono sommabili a quelle precedenti. E così via all’infinito sterilizzando, di fatto, la norma in questione e rendendo priva di effettività la misura preventiva imposta agli Stati membri dalla clausola 5 della direttiva. Tanto senza riferimento alcuno
11Ente recentemente accorpato al Ministero degli Interni in sede di conversione del Decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010.
alla specificità del settore che, ai sensi della clausola 2, punto 2 della Direttiva legittimerebbe, in ipotesi, la sua non applicazione.
Pare qui sufficientemente chiaro come non si possa prescindere da tali atti e comportamenti delle amministrazioni dello Stato italiano, centrali e locali, che si muovono inequivocabilmente nel senso dell’applicazione dell’art. 5 comma 4 bis, con la conseguente, necessaria conseguenza della conversione, in omaggio al disposto dell’art. 97 Costituzione il quale prevede l’obbligo del concorso salvi i casi previsti dalla legge (appunto, l’art. 5 comma 4 bis)12.
A ciò si aggiunga che il quadro legislativo e giurisprudenziale, nazionale ed europeo, che si è descritto rende dubbia l’applicabilità o meno della normativa che vieta la conversione, almeno in ipotesi di reiterato abuso nella successione dei contratti, con la conseguenza che il giudice nazionale ben può motivare la decisione di applicare l’art. 5 comma 4 bis, anche in connessione con il comma 01 del D.Lgs. 368/200113 e l’art. 1344 cod. civ14., decidendo, ai sensi dell’art. 12 preleggi, con riferimento a casi analoghi e, comunque, applicando i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato, qui legittimamente interpretato in conformità dei principi comunitari oramai stabilmente definiti dalla Corte europea, con una serie ininterrotta di sentenze rese con riferimento alla situazione italiana15, di cui la Xxxxxxx pare essere l’ultimo atto, venendo così a costituire lo iussuperveniens da prendere a base per la decisione, come ritenuto dalla Corte costituzionale16.
La quale, peraltro, nella sentenza 81/1983 (Pres. Xxxx - Xxx. Xxxxxxxxx) aveva avuto già modo di osservare come:
3. - Quanto alla prima osserva la Corte che non può negarsi al legislatore un'ampia discrezionalità nello scegliere i sistemi e le procedure per la costituzione del rapporto di pubblico impiego e per la progressione in carriera; il limite a questa discrezionalità è
12Come è noto la giurisprudenza costituzionale afferma che tali casi debbono consistere in eventi particolari ed eccezionali debitamente motivati dal legislatore: a noi pare che quanto già cennato, circa l’esigenza di adeguare l’ordinamento nazionale a quello europeo, con l’incombenza anche di vari procedimenti da parte dalla Commissione europea, costituisca un caso, appunto, particolare ed eccezionale.
13“01. Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro.”: il comma citato, circa la cui applicabilità anche al pubblico impiego è fuori di dubbio, dovrà pur avere una ragione, ovvero che, in presenza di determinate condizioni, il rapporto fittiziamente a termine, ma sostanzialmente utilizzato per esigenze stabili e permanenti, si converte inevitabilmente a tempo indeterminato.
14Cfr., sul punto, la Cass. 61/2015 (Peres. Stile, est. Xxxxx) sul lavoro marittimo, resa a seguito della sentenza Fiamingo della Corte europea, su cui si tornerà infra.
15 Ivi compresa Poste italiane spa, che nella sentenza Carratù del 13.12.13 (in causa C- 361/13)è stata equiparata allo Stato italiano. Su tale pronuncia si veda su tale pronuncia si veda X. Xx Xxxxxxx: La sentenza “integrata” Carratù-Papalia della Corte di giustizia sulla tutela effettiva dei lavoratori pubblici precari, cit.
16 Si veda Corte costituzionale 252/2006: … che, ad oltre un anno dall'ordinanza di rimessione e dalle rispettive memorie di costituzione delle parti nel giudizio, è intervenuta la sentenza della Corte di giustizia 22 novembre 2005, in causa n. C-144/04, che, nel fornire una lettura complessiva della direttiva in questione, descrivendone l'ambito di applicazione, ha affermato che «una reformatio in pejus della protezione offerta dalla legislazione nazionale ai lavoratori nel settore dei contratti a tempo determinato non è, in quanto tale, vietata dall'accordo quadro quando non sia in alcun modo collegata con l'applicazione di questo» (punto 52 della motivazione);che, pertanto è necessario restituire gli atti al rimettente, al precipuo fine di consentirgli la soluzione del problema interpretativo alla luce della sopravvenuta sentenza della Corte di giustizia, la quale - in ragione della sua natura - assume nella fattispecie valore di xxxxxxxxxxxxxxx (ordinanze numeri 241 del 2005, 125 del 2004 e 62 del 2003, tra le più recenti).
dato essenzialmente dall'art. 97, primo comma, Cost., dal quale discende la necessità che le norme siano tali da garantire il buon andamento della P.A.; il che, per quanto attiene al momento della costituzione del rapporto d'impiego, consiste nel far sì che nella
P.A. siano immessi soggetti i quali dimostrino convenientemente la loro generica attitudine a svolgere le funzioni che vengono affidate a chi deve agire per la P.A. e, per quanto attiene alla progressione, consiste nel valutare congruamente e razionalmente la attività pregressa del dipendente, sì da trarne utili elementi per ritenere che egli possa bene svolgere anche le funzioni superiori.
A tal fine lo stesso art. 97, terzo comma, ritiene che il sistema preferibile per la prima ammissione in carriera, e cioè per l'accertamento della predetta generica attitudine sia quello del pubblico concorso: ma non lo eleva a regola assoluta, lasciando libero il legislatore di adottare sistemi diversi, purché anch'essi congrui e ragionevoli in rapporto al fine da raggiungere ed all'interesse da soddisfare.
g) SULLA SPECIFICA DISCIPLINA DEGLI ENTI LOCALI
E’ certamente pacifico che la gran parte dei contratti a termine in essere presso gli enti locali siano finalizzati alla copertura di posizioni lavorative stabili e permanenti, anche in considerazione dei reiterati blocchi delle assunzioni a concorso nel settore17, dove però, ai sensi dell’art. 36 del D.Lgs. 165/2001, le amministrazioni locali devono fare assunzioni a tempo determinato solo tramite procedure concorsuali18 e laddove poi la conversione di tali rapporti è inibita, paradossalmente, proprio per l’asserito mancato superamento di un concorso da parte degli interessati.
Sicché, in applicazione di tale complessa e caotica situazione normativa, si è di fatto concretizzata anche in questo caso l’ipotesi esaminata dalla Corte europea di un abuso nella reiterazione dei contratti a termine, con la conseguente necessaria applicazione delle misura sanzionatorie finalizzate
17 Con riferimento al comparto delle Regioni e degli enti locali, negli ultimi anni e in particolare con le modifiche contenute nel DL 78/2010, il legislatore ha irrigidito i limiti in materia di personale con l’intento di assicurare maggiori e strutturali risparmi di spesa. Anche in probabile contrasto con la giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di coordinamento di finanza pubblica, il legislatore non si è preoccupato solo di fissare un limite alla spesa complessiva di personale, concetto sempre più ampliato dalle ultime disposizioni, ma ha fissato vincoli di spesa puntuali, come con il riferimento per le regioni al comma 28 dell'art. 9 del DL 78/2010 in materia di contenimento al costo dei contratti di lavoro flessibili (il 50% della spesa sostenuta nell'anno 2009) oppure con il comma 7 dell'art. 76, ove si prevede che la spesa per il personale per gli enti sottoposti al Patto di stabilità non possa superare il 40 per cento della spesa corrente e che nel rispetto di tale limite è possibile procedere ad assunzioni di personale entro il 20 per cento della spesa equivalente alle cessazioni. Tale limite del 20 per cento voluto dal legislatore per controllare in particolare le assunzioni a tempo indeterminato e quindi la spesa strutturale riduce fortemente l'autonomia organizzativa degli enti locali e trova un'esplicita deroga solo con riferimento alle assunzioni del personale di polizia locale in caso di rispetto di un rapporto più virtuoso, del 35 per cento, tra spesa per il personale e spesa corrente. Permane per gli enti non sottoposti al Patto di stabilità l'obbligo di rispettare il comma 562 dell'art. 1 della legge 296/2006, al quale si aggiunge il tetto complessivo di spesa per il personale limitato al 40 per cento della spesa corrente. Permane infine il divieto di assunzione assoluto sia in caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno sia in caso di superamento del tetto di spesa del personale sulla spesa corrente del 40 per cento, di cui all'art. 76, comma 7, del DL 112/2008.
18 Salvo attingere alle loro graduatorie vigenti per concorsi pubblici a tempo indeterminato, ovvero ricoprire i posti disponibili, nei limiti della propria dotazione organica, utilizzando gli idonei delle graduatorie di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni del medesimo comparto di contrattazione. Inoltre, ai sensi dell'articolo 3, comma 61, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, le medesime amministrazioni pubbliche, possono utilizzare le graduatorie di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni, previo accordo tra le amministrazioni interessate.
all’eliminazione definitiva delle conseguenze dell’abuso, per parafrasare l’espressione della Corte europea utilizzata nella sentenza Xxxxxxx.
Ed infatti risulta che gran parte degli enti locali non abbiano proceduto alla indizione dei concorsi per coprire i posti vacanti in organico, continuando ad utilizzare, nonostante la normativa lo vieti esplicitamente19, il personale a termine per periodi che superano certamente i 36 mesi, giungendo anche a decenni: in tal senso, il caso di Xxxxx Xxxxxxx00 - direttore della banda municipale di Aosta, restato in servizio per 29 anni e sei mesi e poi cacciato dopo che, avendo lavorato per sei giorni dopo la scadenza del contratto, il comune decise di non rinnovarlo - non costituisce affatto un caso isolato, unendo così idealmente il paese da nord a sud, visto cheproprio in Sicilia, dove vi è una delle più alte percentuali di precariato pubblico, è dal 1952 che non viene effettuato alcun concorso21.
Anche qui è quindi ipotizzabile, come del resto si è visto, che il giudice possa ritenere che la misura sanzionatoria finalizzata alla rimozione degli effetti dell’abuso sia la trasformazione del rapporto.
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Né osta, a tale soluzione la specifica normativa in tema di enti locali, recentemente rivitalizzata da un parte della giurisprudenza della Corte di cassazione.
19 L’art. 36 del D.Lgs. 165/2001 prevede il ricorso ai contratti flessibili solo ed esclusivamente per ragioni “temporanee od eccezionali Ovvero “temporanee ed eccezionali” sino all’approvazione dell'art. 4, comma 1, lett. a) e a-bis), D.L. 31 agosto 2013, n. 101, “se non per esigenze stagionali o per periodi non superiori a tre mesi, fatte salve le sostituzioni per maternità relativamente alle autonomie territoriali” nel testo in vigore dal 1 gennaio 2008 al
24 giugno 2008 e “secondo i contratti collettivi” nel testo precedente. Il ccnl Enti locali dell’epoca (14.09.2000), all’art. 7, prevedeva che:
In applicazione e ad integrazione di quanto previsto dalla legge n.230/1962 e successive modificazioni e dall’art.23, comma 1, della legge n.56/1997, gli enti possono stipulare contratti individuali per l’assunzione di personale a tempo determinato nei seguenti casi:
a) per la sostituzione di personale assente con diritto alla conservazione del posto, ivi compresi i casi di personale in distacco sindacale e quelli relativi ai congedi previsti dagli articoli 4 e 5 della legge n.53/2000; nei casi in cui si tratti di forme di astensione dal lavoro programmate (con l’esclusione delle ipotesi di sciopero), l’assunzione a tempo determinato può essere anticipata fino a trenta giorni al fine di assicurare l’affiancamento del lavoratore che si deve assentare;
b) per la sostituzione di personale assente per gravidanza e puerperio, nelle ipotesi di astensione obbligatoria e facoltativa previste dagli articoli 4, 5, 7 della legge n.1204/1971 e dagli articoli 6 e 7 della legge n.903/1977, come modificati dall’art.3 della legge n.53/2000; in tali casi l’assunzione a tempo determinato può avvenire anche trenta giorni prima dell’inizio del periodo di astensione;
c) per soddisfare le esigenze organizzative dell’ente nei casi di trasformazione temporanea di rapporti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, per un periodo di sei mesi;
d) per lo svolgimento di attività stagionali, nell’ambito delle vigenti disposizioni;
e) per soddisfare particolari esigenze straordinarie, anche derivanti dall’assunzione di nuovi servizi o dall’introduzione di nuove tecnologie, non fronteggiabili con il personale in servizio, nel limite massimo di nove mesi;
f) per attività connesse allo svolgimento di specifici progetti o programmi predisposti dagli enti, quando alle stesse non sia possibile far fronte con il personale in servizio,nel limite massimo di dodici mesi;
g) per la temporanea copertura di posti vacanti nelle diverse categorie, per un periodo massimodi otto mesi e purché siano avviate la procedure per la copertura dei posti stessi
La norma, ancorché superata dal D.Lgs. 368/2001, è stata richiamata in tutti i ccnl successivi.
20 Si veda, in questo settore: xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxx-xx-xxxxxxxxx-xx---xx- pronunce-carratu-e-papalia.html.
21 Come dichiarato nel convegno "Posto fisso o posto variabile ?" organizzato dall’Agi Sicilia a Messina il 22 novembre 2014 dal rappresentante della Presidenza della Regione Siciliana, xxxx. Xxxxxxx Xxxxxx, nella sua relazione storica sulla normativa di questa regione.
Ci riferiamo, in particolare, alla legge 702 del 1978 che impone l’assunzione tramite concorso per i comuni, per le loro aziende e consorzi unicamente a mezzo di concorso pubblico e ritenuta, da Cass. 19112/2014 (Pres. Xxxxx Xxxxxxxx, est. Berrino), tuttora in vigore in quanto non abrogata dal D.lgs. 368/2001, con la conseguenza che la pretesa obbligatorietà del concorso, comporterebbe l’applicazione del divieto di conversione di cui all’art. 36 del D.Lgs. 165/2001.
A questa pronuncia si aggiungono le recenti sentenze della Corte di appello di Genova22 che ritengono applicabile l’art. 18, comma 2 bis del D.L. 112/2008, che impone alle società che gestiscono servizi pubblici locali e comunque a tutte quelle a partecipazione o controllo pubblico, di procedere alle assunzioni di personale a mezzo di procedure selettive, richiamando l’art. 35, comma 3, del D.Lgs. 165/200123.
Senza contare le ordinanze della Suprema Corte24 che rimettono alle Sezioni unite la questione della convertibilità dei rapporti costituiti con gli Enti pubblici siciliani – discusse da chi scrive all’udienza del 19 dicembre 2014 e decise con sentenza 4685/15 (Pres. Xxxxxxx, est. Mammone) - in assenza di una norma nazionale ma unicamente sul presupposto di alcune norme regionali25 e degli statuti degli enti pubblici economici che impongono lo svolgimento di un concorso per le assunzioni, ripetiamo: concorsi che non si sono mai fatti da oltre cinquant’anni.
A parte l’opinabilità della ritenuta vigenza della legge 702/197826, soprattutto con riferimento alle aziende ed ai consorzi, ovvero soggetti che operano sul libero mercato, resta che la normativa e la giurisprudenza citate non sembrano comunque attenere alla fattispecie dell’abuso (che superi i 36 mesi), essendo incentrate più sulla ritenuta nullità del singolo contratto a termine, sicché in ipotesi di reiterato utilizzo dei contratti a termine in assenza di ragioni oggettive, dovrà ritenersi operante la conversione quale misura sanzionatoria.
Inoltre la normativa a cui si è fatto cenno è, sostanzialmente, analoga a quella di cui all’art. 36 del D.Lgs. 165/2001, sicché vale qui quanto sino detto circa il superamento del divieto di conversione nel pubblico impiego in generale, dopo la pronuncia xxxxxxx e la cassazione 27363/2014.
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22 Tra le tante: Corte appello Genova 29 novembre 2014, Pres. De Angelis, est. Aicardi.
23 Per il vero, sul punto si era espressa in modo difforme Cass. 18 ottobre 2013 n. 23702 (Pres. Xxxxxxx, rel. Berrino) sulle farmacie comunali di Grosseto.
24 Una per tutte: Cass. 21831 del 15.10.2014, Pres. Vidiri, est. Patti.
25 Che non sembrerebbero consentire il divieto di conversione stabilito dal D.Lgs. 368/2001, posto che l’art. 17 dello Statuto della Regione siciliana limita la podestà legislativa regionale nel settore lavoro e previdenza nel rispetto dei minimi stabiliti dalla legge dello Stato. E non vi è dubbio che la stabilizzazione del rapporto è la protezione più intensa che possa essere riconosciuta ad un lavoratore precario (così Corte costituzionale 303/2001, punto 3.3.1. della motivazione). In tal senso di veda anche la nota sentenza “comunitaria” 18925/2008 (Pres. Mattone, est. Nobile). Del resto gli enti pubblici economici non rientrano neppure tra i destinatari del D.Lgs. 165/2001, ex art. 1 comma 2 del decreto.
26 Che, ad avviso di chi scrive è certamente venuta meno in forza del combinato disposto di cui all’art. 10 del D.Lgs. 368/2001 (che ha disposto l’abrogazione di ogni norma incompatibile in tema di contratto a termine) e dell’art.1, comma 2 del D.Lgs. 165/2001 (dove sono individuate le pubbliche amministrazioni a cui si applica l’art. 36 dello stesso decreto che vieta la conversione: tra queste non vi sono gli enti pubblici economici). Entrambe le norme sono state ripetutamente modificate con l’inserimento di settori a cui estendere il divieto di conversione (scuola, asili nido, enti ricerca, ecc.).
Resta poi da valutare l’incidenza della normativa finanziaria in vigore da svariati anni negli enti locali che impone l’obbligo di riduzione della spesa di personale rispetto all’esercizio precedente27, e delle limitazioni di assunzione per i comuni in stato di dissesto28, possa incidere sulla possibilità di procedere alla conversione dei contratti, in presenza delle condizioni evidenziate nella sentenza Xxxxxxx.
In primo luogo va evidenziato che la giurisprudenza della Corte europea ha più volte chiarito che (sentenza Kücük del 28 gennaio 2012, in causa C- 586/10):
27 Per quanto riguarda la nozione di ragione obiettiva ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro CTD, la Corte ha già dichiarato che tale nozione deve essere intesa nel senso che essa si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare, in tale peculiare contesto, l’utilizzo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi. Dette circostanze possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti in questione, dalle caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro (sentenza Xxxxxxxxxx e a., cit., punto 96, nonché la giurisprudenza ivi citata).
28 Per contro, una disposizione nazionale che si limitasse ad autorizzare, in modo generale ed astratto attraverso una norma legislativa o regolamentare, il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato successivi, non sarebbe conforme a criteri come quelli precisati al punto precedente della presente sentenza (sentenza Xxxxxxxxxx e a., cit., punto 97, nonché la giurisprudenza ivi citata).
Sulla scorta di tali considerazioni, l’avvocato generale presso la Corte europea XxxxxxXxxxxxx, nelle sue conclusioni nella causa Xxxxxxx (doc. 16), ha chiarito che:
79. In secondo luogo, quanto all’argomento relativo alle restrizioni finanziarie recentemente imposte da numerose disposizioni nazionali nel settore scolastico, ritengo che queste non possano giustificare il ricorso abusivo alla successione di contratti a tempo determinato. Spetta dunque ai giudici del rinvio valutare se restrizioni finanziarie imposte ad un’amministrazione pubblica da numerose disposizioni siano una giustificazione sufficientemente concreta per l’utilizzo di contratti a tempo determinato, quale imposta dalla giurisprudenza della Corte citata ai paragrafi da 66 a 69 delle presenti conclusioni. Infatti, secondo tale giurisprudenza, disposizioni nazionali che si limitassero ad autorizzare, in modo generale ed astratto attraverso una norma legislativa o regolamentare, il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato successivi, non sarebbero conformi ai criteri di giustificazione, attraverso circostanze precise e concrete, dell’utilizzo di contratti a tempo determinato successivi. La Corte ha dichiarato a tal proposito che tali circostanze possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle mansioni per
27 Come disciplinato dall’art. 1, commi 557 e s.s. della legge n. 296/2006.
28 Art. 76, comma 7, secondo periodo, del D.L. n. 112/2008, come da ultimo modificato dall’art. 4-ter, comma 10, della legge 26 aprile 2012, n. 44, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, che ha portato il limite dal 20% al 40% introducendo alcune eccezioni.
80. Inoltre, disposizioni generali che impongono restrizioni finanziarie lasciano al datore di lavoro del settore scolastico pubblico un’ampia libertà di stipulare abusivamente contratti a tempo determinato, mentre l’accordo quadro ha come obiettivo quello di prevenire un siffatto abuso. Ritengo che tale libertà vada al di là del margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri ai sensi dell’accordo quadro.
81. Di conseguenza, come emerge dal paragrafo 30 delle presenti conclusioni, sebbene il sistema di cui trattasi nei procedimenti principali sia in via di principio strutturato in modo tale da soddisfare le ragioni obiettive di cui alla clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, il governo italiano non ha dimostrato l’esistenza di elementi concreti di giustificazione. Mi riferisco in particolare alla natura provvisoria e non permanente dell’utilizzo reiterato di contratti a tempo determinato nel settore scolastico. Al contrario, ritengo che emerga chiaramente dal fascicolo che l’utilizzo di tali contratti è abusivo sotto taluni aspetti in quanto ha come obiettivo quello di rispondere ad esigenze strutturali di personale docente. Tali esigenze strutturali risultano dalla quantità considerevole di personale che è stato collocato in una situazione professionale precaria per più di dieci anni, e ciò senza che sia stato previsto alcun limite né quanto al numero di rinnovi dei contratti né quanto alla durata massima dei suddetti contratti. A mio avviso, una buona parte di tali posti avrebbe potuto essere coperta in modo permanente tramite contratti a tempo indeterminato pur conservando la necessaria flessibilità giustamente considerata dalla Corte costituzionale.
42 Sentenze Angelidaki e a. (EU:C:2009:250, punto 96) e Kücük (EU:C:2012:39, punto 27). La Corte ha citato quali obiettivi legittimi di politica sociale le misure dirette a tutelare la gravidanza e la maternità nonché a consentire agli uomini e alle donne di conciliare i loro obblighi professionali e familiari (sentenza Xxxxx, EU:C:2012:39, punto 33).
Le considerazioni dell’avvocato generale Xxxxxxx, come si è visto, sono state pienamente condivise dalla Corte europea nella sentenza Xxxxxxx, che si è chiaramente pronunciata per l’illegittimità della situazione del sistema scolastico nazionale, ignorando platealmente le ragioni finanziarie addotte dal governo italiano, sicché, in situazioni di abuso analoghe presso gli enti locali, non potrà che giungersi alla medesima conclusione dell’irrilevanza di asseriti vincoli economici per giustificare l’abuso commesso e sottrarsi all’adozione di misure finalizzate ad eliminarlo.
Tanto primo luogo. In secondo luogo va comunque ribadito che i posti occupati dai lavoratori assunti a termine presso gli enti locali sono di norma vacanti, anche per il persistente divieto di turn over, sicché nella gran parte dei casi non è dato comprendersi, in fatto, quali siano le ragioni finanziarie che impedirebbero la loro stabilizzazione, così come è stato dimostrato all’udienza in Corte europea nella causa Xxxxxxx, attraverso la produzione della relazione della Ragioneria dello Stato, che la stabilizzazione del personale della scuola, ben lungi dall’aggravare i conti pubblici, porterebbe addirittura ad un risparmio nella gestione del personale.
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Infine, per mero scrupolo difensivo, va affrontata l’irrilevanza della particolarità della normativa regionale in subiecta materia.
L’argomentare autoreferenziale e fantasioso sulla legislazione regionale fatto da alcune pronunce di giudici siciliani, circa la pretesa inapplicabilità del D.Lgs. 368/2001 – e, conseguentemente, anche dell’art. 36 D.Lgs. 165/200129 - in forza della provenienza dei lavoratori dal bacino ASU, è del tutto apodittico.
Secondo il decreto legislativo n. 468 del 1997 (parte del pacchetto Treu) i progetti di lavori di pubblica utilità debbono rientrare nei settori della cura della persona, dell'ambiente, del territorio e della natura, dello sviluppo rurale, montano e dell'acquacoltura; nei settori del recupero e della riqualificazione degli spazi urbani e dei beni culturali, con particolare riguardo ai seguenti ambiti:
1. cura e assistenza all'infanzia, all'adolescenza, agli anziani; riabilitazione e recupero di tossicodipendenti, di portatori di handicap e di persone detenute, nonché interventi mirati nei confronti di soggetti in condizioni di particolare disagio e emarginazione sociale;
2. raccolta differenziata, gestione di discariche e di impianti per il trattamento di rifiuti solidi urbani, tutela della salute e della sicurezza nei luoghi pubblici e di lavoro, tutela delle aree protette e dei parchi naturali, bonifica delle aree industriali dismesse e interventi di bonifica dall'amianto;
3. miglioramento della rete idrica, tutela degli assetti idrogeologici e incentivazione dell'agricoltura biologica, realizzazione delle opere necessarie allo sviluppo e alla modernizzazione dell'agricoltura anche delle zone di montagna, della silvicoltura, dell'acquacoltura e dell'agriturismo;
4. piani di recupero, conservazione e riqualificazione, ivi compresa la messa in sicurezza degli edifici a rischio; di aree urbane, quartieri nelle città e centri minori, in particolare di montagna; adeguamento e perfezionamento del sistema dei trasporti; interventi di recupero e valorizzazione del patrimonio culturale; iniziative dirette al miglioramento delle condizioni per lo sviluppo del turismo.
Essi sono dunque concettualmente, ancor prima che giuridicamente, rapporti di lavoro limitati nel tempo (esecuzione del progetto: art. 5 dell’abrogato D.Lgs. 468/1997) e connessi alla realizzazione di specifiche opere o servizio di utilità pubblica e non certamente allo svolgimento dell’ordinaria attività imprenditoriale o amministrativa del datore di lavoro.
La sentenza del Consiglio di Stato n. 3664/2007, ricalcando oramai una giurisprudenza costante, ha sottolineato che:
Le caratteristiche dei lavori socialmente utili non ne consentono la qualificazione come rapporto di impiego; e ciò per la considerazione che il rapporto dei lavoratori socialmente utili trae origine da motivi assistenziali (rientrando nel quadro dei cosiddetti ammortizzatori sociali); e riguarda un impegno lavorativo certamente precario; non comporta la cancellazione dalle liste di collocamento; presenta caratteri del tutto peculiari quali
29 Che poi, invece, si invoca, contraddittoriamente, per sostenere l’inconvertibilità dei contratti a termine.
l'occupazione per non più di ottanta ore mensili, il compenso orario uguale per tutti (sostitutivo della indennità di disoccupazione) versato dallo Stato e non dal datore di lavoro, la limitazione delle assicurazioni obbligatorie solo a quelle contro gli infortuni e le malattie professionali.
Dunque già l’utilizzo improprio dello strumento LSU/ASU – avvenuto nella specie, dove i lavoratori sono immediatamente stati inseriti negli organici dei Comuni -porrebbe le parti lavoratrici al di fuori della relativa disciplina, riconducendola a quella di un ordinario rapporto di lavoro.
Nel nostro caso, comunque, subito dopo la stipula del primo rapporto di lavoro a tempo determinato, sono stati cancellati dal bacino di appartenenza ASU e, quindi , dalle liste del collocamento, così ulteriormente confermando l’estraneità dei rapporti dedotti in causa con quelli di pubblica utilità.
La giurisprudenza europea conferma poi pienamente quanto si va dicendo. Si legge nella sentenza della Corte europea Xxxxxxxx, già citata:
74 Più in particolare, il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato sulla sola base di una disposizione legislativa o regolamentare di carattere generale, senza relazione con il contenuto concreto dell’attività considerata, non consente di stabilire criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di siffatti contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, sia atto a raggiungere lo scopo perseguito e necessario a tale effetto.
75 Di conseguenza, alla seconda questione si deve rispondere che la clausola 5, n. 1, lett. a), dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta all’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato successivi che sia giustificata dalla sola circostanza di essere prevista da una disposizione legislativa o regolamentare generale di uno Stato membro. Al contrario, la nozione di «ragioni obiettive» ai sensi della detta clausola esige che il ricorso a questo tipo particolare di rapporti di lavoro, quale previsto dalla normativa nazionale, sia giustificato dall’esistenza di elementi concreti relativi in particolare all’attività di cui trattasi e alle condizioni del suo esercizio.
Del resto, la sentenza Sibilio del 15.03.2012 (in causa C157/11) ha così precisato:
48 Si deve tuttavia constatare che, a parere del Comune, che si riferisce, al riguardo, ad una giurisprudenza dei giudici nazionali, il diritto italiano non esclude che le prestazioni fornite nel contesto di un progetto di lavori socialmente utili possano, in realtà, presentare concretamente le caratteristiche di una prestazione di lavoro subordinato. Se così è, il legislatore italiano non può rifiutare la qualifica giuridica di rapporto di lavoro subordinato a rapporti che, oggettivamente, rivestono una siffatta natura. Spetta al giudice del rinvio e non alla Corte verificare la fondatezza di tale valutazione del diritto nazionale.
49 Tenuto conto degli obiettivi perseguiti dall’accordo quadro, quali richiamati al punto 40 della presente sentenza, si deve rilevare che la qualificazione formale, da parte del legislatore nazionale, del rapporto costituito tra una persona che svolge lavori socialmente utili e l’amministrazione pubblica per cui vengono effettuati questi lavori non può escludere che a detta persona debba tuttavia essere conferita la qualità di lavoratore in base al
diritto nazionale, se tale qualifica formale è solamente fittizia e nasconde in tal modo un reale rapporto di lavoro ai sensi di tale diritto.
50 Infatti, agli Stati membri non è consentito applicare una normativa che possa pregiudicare la realizzazione degli obiettivi perseguiti da una direttiva e, conseguentemente, privare la direttiva medesima del proprio effetto utile (sentenza del 1° marzo 2012, X’Xxxxx, C393/10, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 35).
51 Poiché dal diciassettesimo considerando della direttiva 1999/70 emerge che gli Stati membri, nel determinare ciò che costituisce un contratto o un rapporto di lavoro secondo la legislazione e/o la prassi nazionale, e, pertanto, nello stabilire l’ambito di applicazione dell’accordo quadro, devono rispettare i requisiti di quest’ultimo, la definizione di tali nozioni non può comportare l’esclusione arbitraria di una categoria di persone dal beneficio della tutela offerta dalla direttiva 1999/70 e dall’accordo quadro (v., per analogia, sentenza X’Xxxxx, cit., punto 51).
A ciò si aggiunga che la tesi dell’esistenza di rapporti di lavoro “particolari” a cui non si applicherebbe la Direttiva è stata recentemente demolita in modo definitivo dalla pronunciaFenoll del 26.03.15 (in causa c-316/13), dove si legge:
15 Il giudice del rinvio richiama la giurisprudenza della Corte relativa all’articolo 7 della direttiva 2003/88, nonché quella concernente la nozione di «lavoratore» ai sensi dell’articolo 45 TFUE. A tal proposito, detto giudice s’interroga sulla questione se le persone collocate in un centro di aiuto attraverso il lavoro (in prosieguo: un «CAT»), che non hanno lo status di lavoratore dipendente, rientrino nella nozione di «lavoratore» ai sensi del diritto dell’Unione.
(…)
18 Con tali questioni, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio domanda, in sostanza, se la nozione di «lavoratore» di cui all’articolo 7 della direttiva 2003/88 e all’articolo 31, paragrafo 2, della Carta debba essere interpretata in modo da comprendere una persona ammessa in un CAT, come il centro di cui al procedimento principale.
19 Al riguardo occorre ricordare, anzitutto, che, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 2003/88, in combinato disposto con l’articolo 2 della direttiva 89/391, al quale esso rinvia, tali direttive si applicano a tutti i settori di attività, privati o pubblici, allo scopo di promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro e di disciplinare taluni aspetti dell’organizzazione del loro orario di lavoro.
20 Così, la Corte ha dichiarato che l’ambito di applicazione della direttiva 89/391 deve essere inteso in modo ampio, con la conseguenza che le deroghe a tale ambito d’applicazione, previste all’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, della stessa, devono essere interpretate restrittivamente (v. in tal senso, in particolare, sentenze Simap, C303/98, EU:C:2000:528, punti 34 e 35, e Commissione/Spagna, C132/04, EU:C:2006:18, punto 22). Infatti, tali deroghe sono state adottate soltanto allo scopo di garantire il buon funzionamento dei servizi indispensabili alla tutela della sicurezza, della salute e dell’ordine pubblico in caso di circostanze
di gravità e di ampiezza eccezionali (sentenza Xxxxxx, C337/10, EU:C:2012:263, punto 21 e la giurisprudenza ivi citata).
21 Dato che nessuna di tali circostanze ricorre in situazioni come quella in cui versa il ricorrente nel procedimento principale, l’attività di quest’ultimo rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2003/88.
22 Ne consegue che le disposizioni della direttiva 2003/88, tra cui appunto l’articolo 7, si applicano all’attività esercitata dal sig. Fenoll.
23 La questione cui è necessario rispondere è, pertanto, se il sig. Fenoll svolga tale attività in qualità di lavoratore ai sensi dell’articolo 7 della direttiva 2003/88 e dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta.
24 A tal proposito, per quanto concerne la direttiva 2003/88, occorre rilevare che, come sostenuto dall’avvocato generale nel paragrafo 29 delle sue conclusioni, essa non ha effettuato nessun rinvio alla nozione di «lavoratore» di cui alla direttiva 89/391 né alla definizione di tale nozione quale risultante dalle legislazioni e/o prassi nazionali (v., in tal senso, sentenza Union syndicaleSolidairesIsère, C428/09, EU:C:2010:612, punto 27).
25 Ne risulta che, ai fini dell’applicazione della direttiva 2003/88, la nozione di «lavoratore» non può essere interpretata in vario modo, con riferimento agli ordinamenti nazionali, ma ha una portata autonoma propria del diritto dell’Unione (sentenza Union syndicaleSolidairesIsère, C428/09, EU:C:2010:612, punto 28).
26 Xxxxxx, come evidenziato dall’avvocato generale nel paragrafo 26 delle sue conclusioni, tale constatazione è necessaria anche ai fini dell’interpretazione della nozione di «lavoratore», ai sensi dell’articolo 7 della direttiva 2003/88 e dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta, per assicurare l’uniformità dell’ambito di applicazione rationepersonae del diritto dei lavoratori alle ferie retribuite.
27 In tale contesto, va ricordato che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, la nozione di «lavoratore» nel quadro della direttiva 2003/88 dev’essere definita in base a criteri obiettivi che caratterizzino il rapporto di lavoro sotto il profilo dei diritti e degli obblighi delle persone interessate. Pertanto, deve essere qualificata come «lavoratore» una persona che svolga attività reali ed effettive, restando escluse quelle attività talmente ridotte da poter essere definite puramente marginali e accessorie. La caratteristica del rapporto di lavoro è la circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo, a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceva una retribuzione (v., in tal senso, sentenze Union syndicaleSolidairesIsère, C428/09, EU:C:2010:612, punto 28, e Xxxxxx, C337/10, EU:C:2012:263, punto 23).
28 Orbene, al fine di verificare se una nozione siffatta possa includere una persona ammessa in un CAT, come il sig. Fenoll, devono essere presi in considerazione i seguenti elementi.
29 In primo luogo, la Corte ha affermato che, nell’ambito della qualificazione relativa alla nozione di «lavoratore», che spetta al giudice nazionale, quest’ultimo deve fondarsi su criteri obiettivi e valutare nel loro complesso tutte le circostanze del caso di cui è investito, riguardanti la natura sia delle attività interessate sia del
rapporto tra le parti in causa (sentenza Union syndicaleSolidairesIsère, C428/09, EU:C:2010:612, punto 29).
30 Nella fattispecie, dalla decisione di rinvio risulta che le persone ammesse in un CAT non sono soggette a talune disposizioni del codice del lavoro. Tuttavia, tale circostanza, comportando una situazione giuridica per così dire «sui generis» di tali persone, non può essere decisiva nell’ambito della valutazione del rapporto di lavoro tra le parti in causa.
31 Infatti, occorre ricordare che la Corte ha già affermato, a tal proposito, che la natura giuridica sui generis di un rapporto di lavoro riguardo al diritto nazionale non può avere alcuna conseguenza sulla qualità di lavoratore ai sensi del diritto dell’Unione (v. sentenza Xxxxxx, C116/06, EU:C:2007:536, punto 26 e la giurisprudenza ivi citata).
32 In secondo luogo, è pacifico che il sig. Xxxxxx ha fornito, per un dato periodo di tempo, in questo caso dal suo ingresso nel servizio del CAT «La Jouvene» nel 1996 e per almeno cinque anni consecutivi, prestazioni di varia natura, in base alle quali egli ha, peraltro, ottenuto ferie annuali retribuite. Dal fascicolo presentato alla Corte risulta che tali prestazioni, accompagnate da un sostegno di carattere medico-sociale, sono state attribuite e gestite dal personale e dalla direzione del CAT «La Jouvene», il quale cercava di offrire all’interessato uno stile di vita più adatto ai suoi bisogni. Un quadro organizzativo del genere è tale da permettere ad un ente, come il CAT del procedimento principale, di garantire sia lo sviluppo personale di una persona affetta da handicap gravi attraverso la valorizzazione delle sue capacità sia, per quanto possibile, che le prestazioni affidate a tale persona presentino tendenzialmente una certa utilità economica per l’ente medesimo.
33 In terzo luogo, dal fascicolo presentato alla Corte risulta altresì che le prestazioni del sig. Xxxxxx, inserendosi nel programma economico-sociale del CAT «La Jouvene», prevedevano, in cambio, una remunerazione. In tale contesto, è importante sottolineare che il fatto che quest’ultima potesse essere nettamente al di sotto del salario minimo garantito in Francia non può rilevare ai fini della qualificazione del sig. Fenoll come «lavoratore» ai sensi del diritto dell’Unione.
34 Infatti, secondo una giurisprudenza costante della Corte, né la produttività più o meno elevata dell’interessato né l’origine delle risorse per la retribuzione né, tantomeno, il livello limitato di quest’ultima possono avere alcuna conseguenza sulla qualità di lavoratore ai sensi del diritto dell’Unione (v. sentenze Bettray, 344/87, EU:C:1989:226, punti 15 e 16; Xxxx, X000/00, EU:C:2002:694, punto 32, nonché Trojani, C456/02, EU:C:2004:488, punto16).
35 In quarto luogo, è necessario sapere se le attività del sig. Xxxxxx, esercitate all’interno del CAT «La Jouvene», debbano essere qualificate «reali ed effettive» o se siano puramente marginali e accessorie, così da non poter comportare, secondo la giurisprudenza costante della Corte, citata al punto 27 della presente sentenza, la qualificazione di «lavoratore» di colui che le svolge.
36 A tal proposito, l’Association de parents et d’amis de personneshandicapéesmentales (APEI) d’Avignon e il governo francese deducono dalle circostanze di fatto che hanno dato luogo
alla sentenza Bettray (344/87, EU:C:1989:226) che, per analogia, il sig. Xxxxxx non possa essere qualificato come «lavoratore», posto che – a loro avviso – le sue attività all’interno del CAT «La Jouvene» sarebbero paragonabili a quelle esercitate da persone ammesse in un centro terapeutico per tossicodipendenti, come quello in esame in detta sentenza.
37 Tale impostazione non può essere condivisa.
38 Invero, è necessario precisare, innanzitutto, che la Corte ha sì statuito al punto 17 della sentenza Bettray (344/87, EU:C:1989:226) che non possono essere considerate attività economiche reali ed effettive quelle che rappresentano solo uno strumento per la rieducazione o il reinserimento di chi le svolga, ma ha affermato pure che tale considerazione rileva solo riguardo alle circostanze di fatto che hanno dato luogo a detta sentenza, caratterizzate dalla situazione di una persona che, a causa della sua tossicodipendenza, era stata assunta in base ad una normativa nazionale mirante a procurare lavoro a coloro i quali, per un tempo indeterminato, non fossero in grado, per via di circostanze connesse al loro stato, di lavorare in condizioni normali (v. sentenza Trojani, C456/02, EU:C:2004:488, punto 19 e la giurisprudenza ivi citata).
39 Inoltre, occorre constatare che, anche se i posti di lavoro occupati all’interno del CAT «La Jouvene» sono, al pari di quelli destinati ai tossicodipendenti nella causa che ha dato luogo alla sentenza Bettray (344/87, EU:C:1989:226), riservati a soggetti che, a causa di circostanze connesse al loro stato, non siano in grado di lavorare in condizioni normali, emerge tuttavia dal fascicolo presentato alla Corte che il concetto stesso del regime che disciplina il funzionamento di un CAT – e, pertanto, le attività ivi esercitate dai disabili – è tale per cui dette attività non risultano puramente marginali e accessorie, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 27 della presente sentenza.
40 Infatti, come sottolineato dall’avvocato generale, in particolare, nel paragrafo 42 delle sue conclusioni, le attività esercitate dai disabili all’interno del CAT «La Jouvene» non sono previste unicamente allo scopo di fornire un impiego, eventualmente derivativo, agli interessati. In effetti, tali attività, sebbene adattate alle capacità delle persone interessate, presentano altresì una certa utilità economica, tanto più che consentono di valorizzare la produttività, per quanto ridotta, delle persone affette da handicap gravi e, al contempo, di assicurare loro la dovuta protezione sociale.
41 Dalle suesposte considerazioni risulta pertanto che, sulla base degli elementi che emergono dal fascicolo presentato alla Corte, una persona che esercita attività come quelle esercitate dal sig. Fenoll all’interno del CAT «La Jouvene» può essere qualificata come «lavoratore» ai sensi dell’articolo 7 della direttiva 2003/88 e dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta.
42 In tale contesto, il giudice nazionale deve in particolare accertare se le prestazioni effettivamente svolte dall’interessato possano essere considerate rientranti di regola nel mercato del lavoro. A tale scopo possono essere presi in considerazione non soltanto lo statuto e le prassi del CAT di cui al procedimento principale, in quanto centro di accoglienza, nonché i diversi aspetti della finalità del suo programma di assistenza sociale, ma anche la
natura e le modalità di esecuzione delle prestazioni (v., per analogia, sentenza Trojani, C456/02, EU:C:2004:488, punto 24).
43 Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alle prime due questioni che la nozione di «lavoratore» di cui all’articolo 7 della direttiva 2003/88 e all’articolo 31, paragrafo 2, della Carta deve essere interpretata nel senso che essa può comprendere una persona ammessa in un CAT, come il centro di cui al procedimento principale.
Ciò, per quanto di ragione,in meritoai rapporti c.d. ASU.
Per quanto poi riguarda i contratti a termine oggetto di causa, la normativa regionale, poi, non ha alcuna rilevanza ai fini del decidere, essendo indubbia la prevalenza di quella nazionale, senza parlare di quella europea, posto che l’art. 17 dello Statuto della regione Sicilia30subordina l’attività legislativa regionale: (1.) entro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato e, in particolare, in materia di lavoro e previdenza sociale, dispone espressamente che la podestà normativa opera … (F.) …. osservando i minimi stabiliti dalle leggi dello Stato31.
Pare dunque evidente la possibilità della Regione siciliana di normare
secundumlegem e non certo contra.
Senza contare la pretesa di sottrarsi alla normativa comunitaria, in palese violazione degli artt. 11 e 117 Costituzione.
Né rileva l’art. 77, comma 2, della legge regionale 28 dicembre 2004 n. 17, da taluno addotta a giustificazione per la disapplicazione delle leggi dello Stato e della Comunità europea che recita: le disposizioni di cui al decreto legislativo 6 settembre 2001 n. 368, non si intendono applicabili ai contratti a termine volti alla stabilizzazione dei soggetti destinatari del regime transitorio dei lavori socialmente utili.
Infatti il legislatore regionale, resosi conto della assurdità giuridica della norma citata, con la legge 27.12.2010 n. 24, all’art. 5, ha così disposto:
Procedure di stabilizzazione e proroga di contratti
Art. 5 Norme in materia di rapporti di lavoro subordinato.
1. L'Amministrazione regionale e gli enti di cui all'articolo 1 della legge regionale 30 aprile 1991, n. 10 e successive modifiche ed integrazioni, per le esigenze connesse al fabbisogno di personale, assumono esclusivamente con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, secondo gli istituti ed i principi previsti dall'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
2. L'utilizzo dei contratti di lavoro flessibile è consentito nei limiti previsti dall'articolo 36 del decreto legislativo n. 165/2001 e nel
30 Nel testo coordinato dello Statuto speciale della Regione Siciliana approvato con R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455 (pubblicato nella G.U. del Regno d'Italia n. 133-3 del 10 giugno 1946),
convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 (pubblicata nella GURI n. 58 del 9
marzo 1948), modificato dalle leggi costituzionali 23 febbraio 1972, n. 1 (pubblicata nella
GURI n. 63 del 7 marzo 1972), 12 aprile 1989, n. 3 (pubblicata nella GURI n. 87 del 14 aprile
1989) e 31 gennaio 2001, n. 2 (pubblicata nella GURI n. 26 dell'1 febbraio 2001).
31 Con riferimento allo specifico settore dei contratti a termine dovrà quindi farsi riferimento alla legge 230/1962 ed al D.Lgs. 368/2001 (oltrechè, in particolare all’art. 5, comma 4 bis, di detto Decreto, come si è detto) nonché, per quanto di ragione, alle disposizioni di cui all’art.
36 del D.Lgs. 165/2001 circa le condizione per la legittimità dell’apposizione del termine. Altresì trova applicazione la Direttiva UE 1999/70 – e, segnatamente la clausola 5 – in tema di abuso dei contratti termine; oltre alla clausola 4 relativa alla parità di trattamento.
rispetto dei principi previsti dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368.
E d’altronde, la legge 30 aprile 1991, n. 10 (Regione siciliana (organizzazione amministrativa)Disposizioni amministrative ed ordinamento degli uffici), come modificata nel 2011, a sua volta, così dispone:
TITOLO I
Principi Art. 1
Ambito di applicazione e principi generali dell'attività amministrativa (4) (5).
1. L’attività amministrativa della Regione, degli enti, istituti e aziende dipendenti dalla Regione e/o comunque sottoposti a controllo, tutela o vigilanza della medesima, degli enti locali territoriali e/o istituzionali nonché degli enti, istituti e aziende da questi dipendenti o comunque sottoposti a controllo, tutela o vigilanza, persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di pubblicità, di imparzialità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge, dalle altre disposizioni che disciplinano i singoli procedimenti e dai principi della normativa dell’Unione europea. Le disposizioni della presente legge si applicano, altresì, alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative. I soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei predetti criteri e principi (6).
(4) Rubrica aggiunta dall’art. 9, comma 1, L.R. 5 aprile 2011, n. 5.
(5) Vedi anche quanto dispone, in ordine al diritto della Regione e degli enti di cui al presente articolo di costituirsi parte civile nei confronti di qualunque cittadino imputato di reati connessi all'associazione mafiosa, l'art. 18, L.R. 6 febbraio 2008, n. 1. Vedi altresì l’art. 12, commi 1, 2, 6 e 7, L.R. 5 aprile 2011, n. 5.
(6) Comma così sostituito dall’art. 1, L.R. 5 aprile 2011, n. 5. Il testo originario era così formulato: «1. L'attività amministrativa della Regione siciliana, degli enti, degli istituti e delle aziende dipendenti dalla Regione e/o comunque sottoposti a controllo, tutela e/o vigilanza della medesima, degli enti locali territoriali e/o istituzionali, nonché degli enti, degli istituti e delle aziende da questi dipendenti e/o comunque sottoposti a controllo, tutela e/o vigilanza, persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti.».
Né, infine, rileva il richiamo alla clausola 2 della Direttiva, laddove si dice che:
2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o le parti sociali stesse possono decidere che il presente accordo non si applichi ai:
a) rapporti di formazione professionale iniziale e di apprendistato;
b) contratti e rapporti di lavoro definiti nel quadro di un programma specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale pubblico o che usufruisca di contributi pubblici.
Mal leggendo il punto b) si è affermato che i contratti come quelli di cui è causa usufruirebbero di “contributi pubblici” e, per ciò, solo sarebbero sottratti all’ambito di applicazione della Direttiva.
A parte quanto già si è detto in merito alle ragioni di ordine finanziario, deve comunque rilevarsi che l’usufruizione di contributi pubblici è riferita al programma specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionaleche può essere pubblico o, appunto, “usufruire di contributi pubblici”.
Di tale programma, nel nostro caso, non vi è traccia alcuna sia nel contratto individuale di assunzione che nelle difese dell’ente convenuto e, soprattutto, nella concreta esecuzione del rapporto di cui è causa.
Lo svolgimento di fatto dei rapporti, poi, come non ci stanca di ripetere, è del tutto avulso dalla fattispecie delineata dall’accordo quadro, riguardando l’esecuzione di mansioni proprie dell’ente pubblico con pieno inserimento nell’attività amministrativa ordinaria, a copertura di posti vacanti.
Come si vede, solo una giurisprudenza palesemente e volutamente violativa del quadro legislativo nazionale ed europeo può seriamente parlare di una fantastica ratio genetica che possa sottrarre i contratti di cui è causa all’applicazione del diritto comune.
A parte gli insormontabili ostacoli di natura normativa che si sono esposti, e venendo poi ai concreti rapporti agitati in causa, rileva poi che la parte lavoratrice, come tutti i suoi colleghi, del resto, è stata impiegata nelle ordinarie mansioni esposte in fatto, identiche ai lavoratori comparabili a tempo indeterminato di ruolo presso l’ente convenuto, risultando incontestabili le precise affermazioni in merito ai compiti affidatigli nell’arco di un decennio e specificate in fatto. Con ogni conseguenza ex art. 115 cpc.
A ciò si aggiunga che, come risulta dai contratti prodotti, il rapporto di lavoro della parte ricorrente risulta espressamente regolato dal contratto collettivo enti locali32 e dalle leggi sul lavoro e dunque, anche sotto questo non ultimo ed assorbente profilo, a poco rilevano le pur buone intenzioni del datore di lavoro e della regione Sicilia33, evocate in questi casi attraverso il richiamo a normative finalizzate alla fuoriuscita del personale dal precariato34, che non valgono certo a mutare la natura – ordinaria - del rapporto di cui è causa.
E c’è poco da divertirsi, visto che tali decisioni35 hanno quale unico risultato quello di esporre lo Stato italiano a pesanti risarcimenti per violazione della Direttiva ed a sanzioni da parte della Commissione europea, che verrà notiziata da parte di questa difesa, su incarico dei lavoratori interessati, delle decisioni adottate dai giudici di questa Regione.
32 Contratto a termine, regolamentato fino al 31 dicembre 2001 dall’art.7 CCNL 14/9/2000. Per la regolamentazione del contratto a tempo determinato l’art.1 CCNL 22/1/2004 con decorrenza normativa dal 1° gennaio 2002 rimanda (comma 4) al d.lgs. n.165/2001, che per i contratti flessibili all’art.36 prevede l’applicazione del d.lgs. n.368/2001 (normativa modificativa della legge n.230/1962).
33 Che altro non sono se non i compiti istituzionali dello Stato e, nelle regioni autonome, delle relative strutture.
34E che paradossalmente vengono invocate proprio per consolidare la natura precaria dei rapporti di che trattasi!
35Si vedano sentenza 20/2005, Tribunale di Agrigento, Ala c/ Comune di Naro; sentenza 23872014, Tribunale di Termini Imerese, Xxxxxxx c/ Comune di Caccamo.
h) L’AZIONE RESIDUALE DIRETTA NEI CONFRONTI DELLO STATO ITALIANO
Ed infatti tale metagiuridica giurisprudenza rende necessario estendere – in mero subordine ed a puro scopo cautelativo – la presente causa anche allo Stato italiano, nell’ipotesi in cui il giudice adito dovesse persistere nell’applicare principi del tutto estranei al quadro giuridico comunitario di cui, ci risulta, questa regione fa a tutti gli effetti parte integrante.
Si consideri infatti quanto prescrive l’art.41 legge n.234/2012 (legge quadro comunitaria):
1. Al fine di prevenire l’instaurazione delle procedure d’infrazione di cui agli articoli 258 e seguenti del Trattatosul funzionamento dell’Unione europea o per porre termine alle stesse, le regioni, le province autonome, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati adottano ogni misura necessaria a porre tempestivamente rimedio alle violazioni, loro imputabili, degli obblighi degli Stati nazionali derivanti dalla normativa dell’Unione europea. Essi sono in ogni caso tenuti a dare pronta esecuzione agli obblighi derivanti dalle sentenze rese dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
2. Lo Stato esercita nei confronti dei soggetti di cui al comma 1, che si rendano responsabili della violazione degli obblighi derivanti dalla normativa dell’Unione europea o che non diano tempestiva esecuzione alle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea, i poteri sostitutivi necessari, secondo i princìpi e le procedure stabilite dall’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e dall’articolo 41 della presente legge.
A sua volta, così si pronunciava la precedente legge comunitaria “Buttiglione”:
L 04/02/2005 n. 11 COMUNITA' EUROPEE
10. Misure urgenti per l'adeguamento agli obblighi derivanti dall'ordinamento comunitario.
[1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie può proporre al Consiglio dei Ministri l'adozione dei provvedimenti, anche urgenti, necessari a fronte di atti normativi e di sentenze degli organi giurisdizionali delle Comunità europee e dell'Unione europea che comportano obblighi statali di adeguamento solo qualora la scadenza risulti anteriore alla data di presunta entrata in vigore della legge comunitaria relativa all'anno in corso.
2. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per i rapporti con il Parlamento assume le iniziative necessarie per favorire un tempestivo esame parlamentare dei provvedimenti di cui al comma 1.
3. Nei casi di cui al comma 1, qualora gli obblighi di adeguamento ai vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario riguardino materie di competenza legislativa o amministrativa delle regioni e delle province autonome, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie informa gli enti interessati assegnando un termine per provvedere e, ove necessario, chiede che la questione venga sottoposta all'esame della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano per concordare le iniziative da assumere. In caso di mancato tempestivo adeguamento da parte dei suddetti enti, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie propone al Consiglio dei Ministri le opportune iniziative ai fini dell'esercizio dei poteri sostitutivi di cui agli articoli 117, quinto comma, e 120, secondo comma, della Costituzione, secondo quanto previsto dagli articoli 11, comma 8, 13, comma 2, e 16, comma 3, della presente legge e dalle altre disposizioni legislative in materia.
4. I decreti legislativi di attuazione di normative comunitarie o di modifica di disposizioni attuative delle medesime, la cui delega è contenuta in leggi diverse dalla legge comunitaria annuale, fatti salvi gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni della legge di conferimento della delega, ove non in contrasto con il diritto comunitario, e in aggiunta a quelli contenuti nelle normative comunitarie da attuare, sono adottati nel rispetto degli altri princìpi e criteri direttivi generali previsti dalla stessa legge comunitaria per l'anno di riferimento, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all'oggetto della normativa (25).
5. La disposizione di cui al comma 4 si applica, altresì, all'emanazione di testi unici per il riordino e l'armonizzazione di normative di settore nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province autonome] (26).
(26) Il presente provvedimento è stato abrogato dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 61, L. 24 dicembre 2012, n. 234.
Ed analoghe disposizioni erano contente nella originaria legge comunitaria “la Pergola”:
L 09/03/1989 n. 86 COMUNITA' EUROPEE
11. Inadempimenti delle regioni e province autonome.
[1. Se l'inadempimento di uno degli obblighi previsti dall'articolo 1, comma 1, dipende da inattività amministrativa di una regione o di una provincia autonoma, il Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie, d'intesa con il Ministro per gli affari regionali ed i Ministri competenti, avvia la procedura prevista dall'articolo 6, terzo comma, delD.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.
2. Il Consiglio dei Ministri, con la deliberazione prevista dall'articolo 6, terzo comma, del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, successivamente alla scadenza del termine assegnato alla regione o alla provincia autonoma interessata per provvedere, dispone, con le modalità di cui all'articolo 6, comma 3, della presente legge, l'intervento sostitutivo dello Stato; a tal fine può conferire, con le opportune direttive, i poteri necessari ad una commissione da nominarsi con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali, sentito il Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie.
3. La commissione di cui al comma 2 è composta:
a) dal commissario del Governo, che la presiede;
b) da un magistrato amministrativo o da un avvocato dello Stato o da un professore universitario di ruolo di materie giuridiche;
c) da un terzo membro designato dalla regione o provincia autonoma interessata o, in mancanza di tale designazione entro trenta giorni dalla richiesta, dal presidente del tribunale avente sede nel capoluogo della regione o della provincia, il quale provvede con riferimento alle categorie di cui alla lettera b).
4. Le funzioni di segreteria della commissione sono svolte da personale del commissariato di Governo] (29).
(29) Articolo abrogato dall'art. 8, comma 2, L. 5 giugno 2003, n.
131. Successivamente l'art. 22, L. 4 febbraio 2005, n. 11 ha interamente abrogato la presente legge. L’abrogazione è stata confermata dall’art. 24, D.L. 25 giugno 2008, n. 112.
Consegue quindi dall’ordinamento nazionale, sin dal momento dell’adesione della Repubblica italiana al sistema comunitario, l’obbligo degli enti locali ad adeguarsi alla normativa europea e quello, conseguente, del Governo, di vigilare e garantire, con gli strumenti istituzionali appositamente previsti, sostituendosi alle Regioni ed alle altre comunità locali, l’applicazione piena del diritto dell’Unione europea e delle pronunce della Corte di Giustizia.
Premesso che non possiamo che ribadire l’assurdità – e l’ottusità, ci permettiamo di aggiungere - di ipotizzare una prevalenza della normativa della Regione siciliana su quella comunitaria, pare allora evidente che ove il giudicante – assumendosene ogni relativa responsabilità – dovesse decidere in tal senso, si sarebbe verificata una diretta omissione dello Stato italiano che non ha garantito l’applicazione del diritto comunitario ad una parte rilevante dei cittadini europei che hanno la ventura di risiedere nella “provincia dell’impero”.
Nei confronti dello Stato italiano, colpevole, dunque, della mancata attuazione della Direttiva UE 1999/70 su parte del proprio territorio, lasciando persistere una normativa palesemente ostativa alla Direttiva stessa, vanno rivolte in via strettamente subordinata le domande di risarcimento – in forma specifica o monetaria – di cui si è trattato ampiamente nel presente atto.
E’ peraltro pacifica la competenza di questo giudice anche per quanto riguarda la domanda subordinata di che trattasi.
In materia di applicazione della direttiva 1999/70/CE la sentenza Impact36 della Corte di giustizia, prima della seconda sentenza Fuß37, aveva già evidenziato sia la competenza del Giudice specializzato sia la legittimazione passiva del datore di lavoro pubblico nel caso di azione di risarcimento dei danni subiti per la violazione del diritto comunitario, ai punti 44-51:
44. Conformemente alla giurisprudenza costante, in mancanza di una disciplina comunitaria in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario (v., in particolare, sentenze 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe-Zentralfinanz e Rewe-Zentral, Racc. pag. 1989, punto 5; causa 45/76, Comet, Racc. pag. 2043, punto 13; 14 dicembre 1995, causa X000/00, Xxxxxxxxxxx, Racc. pag. I4599,
36Corte di giustizia, Grande sezione, 15 aprile 2008 in causa C-268/06
00Xxxxx xx Xxxxxxxxx, II Sezione, sentenza 25 novembre 2010, in causa C-429/09. La 1° sentenza tra le stesse parti è del 15 ottobre 2010, in causa C-423/09
punto 12; Unibet, cit., punto 39, e 7 giugno 2007, cause riunite da C222/05 a C225/05, van derWeerd e a., Racc. pag. I4233, punto 28). 45 Tuttavia gli Stati membri sono tenuti a garantire in ogni caso la tutela effettiva di tali diritti (v., segnatamente, sentenze 9 luglio 1985, causa 179/84, Xxxxxxxx, Racc. pag. 2301, punto 17; 18 gennaio 1996, causa C446/93, SEIM, Racc. pag. I73, punto 32, e 17 settembre 1997, causa C54/96, DorschConsult, Racc. pag. I4961, punto 40). 46 Sotto tale profilo, come risulta dalla giurisprudenza consolidata, le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza), né devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività) (v., in particolare, citate sentenze Rewe-Zentralfinanz e Rewe-Zentral, punto 5; Comet, punti 1316; Peterbroeck, punto 12; Unibet, punto 43, nonché van der Weerd e a., punto 28). 47 Tali esigenze di equivalenza e di effettività, espresse attraverso l’obbligo generale per gli Stati membri di garantire la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza del diritto comunitario, valgono anche quanto alla designazione dei giudici competenti a conoscere delle azioni fondate su tale diritto. 48 Infatti il mancato rispetto delle suddette esigenze sotto tale profilo è, al pari di un inadempimento delle medesime sotto il profilo della definizione delle modalità procedurali, tale da ledere il principio di tutela giurisdizionale effettiva. 49 Proprio alla luce di tali considerazioni, occorre risolvere la prima questione sollevata dal giudice nazionale. 50 Va sottolineato che, poiché la legge del 2003 costituisce la normativa con la quale l’Irlanda ha soddisfatto gli obblighi incombentile ai sensi della direttiva 1999/70, una domanda fondata sulla violazione di tale legge ed una domanda direttamente fondata sulla suddetta direttiva vanno considerate, come sottolineato dallo stesso giudice nazionale, come uno stesso e identico rimedio giurisdizionale (v., in tal senso, sentenze 1° dicembre 1998, causa C326/96, Levez, Racc. pag. I7835, punti 46 e 47, nonché 16 maggio 2000, causa C78/98, Xxxxxxx e a., Racc. pag. I3201, punto 51). In effetti, nonostante fondamenti normativi diversi sotto il profilo formale, esse sono dirette, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 58 delle sue conclusioni, alla tutela dei medesimi diritti, derivati dal diritto comunitario, cioè dalla direttiva 1999/70 e dall’accordo quadro. 51 In tale situazione, quando il legislatore nazionale ha operato la scelta di conferire a giudici speciali la competenza a conoscere delle domande fondate sulla legge di trasposizione della direttiva 1999/70, l’obbligo che verrebbe imposto a singoli i quali versino nella situazione dei ricorrenti nella causa principale, che hanno inteso adire siffatto giudice speciale con una domanda fondata sulla violazione della suddetta legge, di adire parallelamente un giudice ordinario con una domanda distinta al fine di far valere i diritti che potrebbe derivare direttamente dalla direttiva medesima per il periodo compreso tra la data di scadenza del termine di trasposizione di quest’ultima e la data di entrata in vigore della legge che ne assicura la trasposizione, risulterebbe contrario al principio di effettività se dovessero risultarne per i singoli in questione, ciò di cui la verifica spetta al giudice nazionale, inconvenienti procedurali in termini, segnatamente, di costo,
durata e regole di rappresentanza, tali da rendere eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti fondati sulla suddetta direttiva.
Ne consegue che anche su questa domanda il giudice specializzato del lavoro, subordinatamente, dovrà pronunciarsi, ove decida di aderire alla sciagurata giurisprudenza che ritiene applicabile la disciplina regionale in luogo di quella europea.
i) SULLA RILEVANZA DELL’ART. 1344 COD. CIV.
A completamento di quanto detto, va poi ricordata ancora la recente sentenza n. 148/2015 (Pres. Stile, est. Xxxxx) sul lavoro marittimo.
Come si è visto, la Corte con la sentenza 27363/2014 sembra aprire in modo chiaro alla ipotesi della riqualificazione dei rapporti nei termini indicati dalla Corte europea nella motivazione della sentenza Xxxxxxx, ipotesi che trova ulteriore conforto dalla sentenza n. 148 dell’8 gennaio 2015 (Pres. Stile, est. Xxxxx, che si allega) sul lavoro marittimo, resa in sede di rinvio dalla Corte europea che si era pronunciata - su remissione della stessa Corte di cassazione - con la sentenza Fiamingo del 3 luglio 2014 (in causa C362/13 e altre).
Nella recente decisione la Corte, dopo avere affermato la prevalenza della disciplina speciale sul lavoro marittimo di cui all’art. 326 del codice della navigazione, rivaluta, secondo le indicazioni di Lussemburgo, l’art. 1344 del codice civile sul contratto in frode alla legge e cassa la sentenza della Corte di Messina che aveva rigettato la domanda di conversione di una successione di contratti a xxxxxxx00, rinviando per un nuovo esame nel merito, così dando forza ad una tutela rafforzata in caso di abuso nell’utilizzo di contratti a termine, in attuazione piena della clausola 5 della Direttiva39.
Anche sotto questo ulteriore profilo, quindi, la sanzione non può che individuarsi nella riqualificazione del rapporto, risultando pacifico, da quanto sinora detto che i contratti di cui è causa sono stati posti in essere in flagrante frode alla legge, poiché i rapporti a termine sono in realtà stati utilizzati per la copertura di posizioni lavorative stabili e permanenti.
j) SUL RISARCIMENTO DEL DANNO
Fermo restando quanto esposto, esaminiamo – in via subordinata – le misure alternative adottate dallo Stato italiano in applicazione della
38 L’art. 326 del cod. nav. Prevede che il rapporto si intende a tempo indeterminato, quando i contratti a termine superano la durata di un anno e che questi si considerano successivi se intervallati da periodi di inattività superiori ai 60 giorni. La Corte di Messina aveva rigettato le domande perché, sotto un profilo formale, i contratti oggetto di causa rispettavano formalmente tali requisiti.
39 Pare poi evidente come tale pronuncia si ponga in contrasto con l’intenzione del legislatore che, con i recenti interventi legislativi, ha completamente liberalizzato il ricorso al contratto a termine: la rivalutazione del contratto in frode alla legge riapre infatti i giochi in merito alla legittimità di un contratto completamente slegato da esigenze temporanee ed eccezionali ma unicamente finalizzato a coprire, attraverso l’utilizzo distorto del contratto a termine, posizioni lavorative stabili e permanenti. La Corte di cassazione infatti, con questa sentenza, rinvia ad altra Corte di merito con l’indicazione di verificare in concreto e a prescindere dall’astratta normativa se ricorra un esercizio della facoltà di assumere a tempo determinato tale da integrare frode sanzionabile ex art. 1344 c.c., ipotesi che per sua natura non può che essere esaminata caso per caso, dall’arco temporale complessivo in cui si sono succeduti e di ogni altra circostanza fattuale emersa in atti, apprezzamento riservato al giudice di merito.
clausola 5 della Direttiva, a fronte della dimostrata illegittimità dei termini apposti ai contratti e, comunque, dell’abuso commesso nel loro utilizzo.
La giurisprudenza di legittimità prevalente ha ormai definitivamente mutato indirizzo sul risarcimento del danno qui richiesto in via strettamente subordinata.
E l’intervento del Giudice nazionale della nomofilachia non potrà certamente essere ignorato da questo giudice.
Sulla questione, oltre a Xxxx.19731/2013, è intervenuta anche Xxxx. 29651/2013 (Pres. Xxxxxxx, est. Xxxxxx) che ha così statuito:
Anche questo motivo è infondato.
Premesso che la censura non investe la quantificazione dei danni operata dalla sentenza impugnata ma contesta unicamente la sussistenza del diritto al risarcimento del danno, deve osservarsi che l’art. 2126 cod. civ. ha la funzione di assicurare la retribuzione al lavoratore anche in caso di conclusione di un contratto invalido. Gli effetti peraltro, sono limitati alla prestazione già eseguita e non anche al periodo successivo alla dichiarazione di nullità o alla pronuncia di annullamento.
Nell’ipotesi, viceversa, di assunzioni a termine nel pubblico impiego privatizzato, il D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 36, comma 8, applicabile rationetemporis alla fattispecie in esame, successivamente riprodotto negli stessi termini dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, nel disporre che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, riconosce al lavoratore interessato il diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative.
In forza di tale disposizione la sentenza impugnata ha attribuito alla lavoratrice il risarcimento del danno nella misura di dieci mensilità di retribuzione, ritenendo che tale misura fosse adeguata a compensare la parte ricorrente dell’ingiustizia patita e non mancando peraltro di richiamare la sentenza della Corte di Giustizia Europa del 7 settembre 2006, secondo cui la direttiva n.
70 del 1999 non osta ad una normativa nazionale che escluda la conversione in contratto a tempo indeterminato nel settore del pubblico impiego, purchè tale normativa contenga un’altra misura effettiva destinata ad evitare e, se del caso, a sanzionare un utilizzo abusivo ad una successione di contratti a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante in tale settore.
In sostanza la Corte di merito ha correttamente applicato il principio secondo cui il lavoratore che sia stato assunto illegittimamente, ha diritto ad essere risarcito per effetto della violazione delle norme imperative in materia.
Su questo punto, del resto, il giudice di legittimità italiano non ha fatto altro che anticipare la Corte europea che con l’ordinanza Papalia (del
14.01.14 in causa C-50/13- doc. 10) ha deciso su una controversia in cui il dirigente della banda municipale di Aosta, dopo 30 anni di xxxxxxxxxx, chiedeva la conversione od il risarcimento del danno.
Poiché il Tribunale di Aosta in cause analoghe aveva liquidato 20 mensilità e si era visto riformare la sentenza dalla Corte di Appello di Torino, la quale
ha affermato che il danno doveva essere provato, ha rimesso la causa alla Corte europea formulando il seguente quesito:
Dica l’Xxxx.xx Corte se la direttiva 1999/70/CE (articolo 1 nonché clausola 5 dell’allegato accordo quadro, oltre ad ogni altra norma comunque connessa o collegata ), debba essere intesa nel senso di consentire che il lavoratore assunto da un ente pubblico con contratto a tempo determinato in assenza dei presupposti dettati dalla normativa comunitaria predetta, abbia diritto al risarcimento del danno soltanto se ne provi la concreta effettività, e cioè nei limiti in cui fornisca una positiva prova, anche indiziaria, ma comunque precisa, di aver dovuto rinunziare ad altre, migliori occasioni di lavoro.
La Corte, con l’ordinanza citata ha così risposto:
L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev’essere interpretato nel senso che esso osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell’ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all’obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego, se detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, da parte del citato lavoratore, dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione.
Spetta al giudice del rinvio valutare in che misura le disposizioni di diritto nazionale volte a sanzionare il ricorso abusivo, da parte della pubblica amministrazione, a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato siano conformi a questi principi.
Come si vede la risposta della Corte europea è tranchant: il risarcimento deve avere natura sanzionatoria ed è, comunque, slegato dalla prova di un danno specifico.
Ed infatti la Corte di cassazione, in sede di rinvio, con la sentenza n. 27481, depositata il 30 dicembre 2014 (presidente Xxxxx, est. Tria), così ha statuito:
7.4 Conseguentemente - fermo restando che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, salva l'applicazione di ogni responsabilità e sanzione - l'art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, nella parte in cui prevede "il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative", deve essere interpretato nel senso che la nozione di danno applicabile nella specie deve essere quella di "danno comunitario".
In altri termini, si deve trattare di un risarcimento conforme ai canoni di adeguatezza, effettività, proporzionalità e dissuasività rispetto al ricorso abusivo alla stipulazione da parte della PA di contratti a termine, configurabile come una sorta di sanzione ex lege a carico del datore di lavoro — che può provare l'esistenza di eventuali ripercussioni negative evitabili dall'interessato che possono essere escluse — mentre l'interessato deve limitarsi a provare l'illegittima stipulazione di più contratti a termine sulla base di esigenze "falsamente indicate come straordinarie e temporanee" essendo esonerato dalla costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito (senza riguardo, quindi, ad eventuale aliundeperceptum). Pertanto, dal punto di vista probatorio, salva restando la possibilità per il lavoratore di fare ampio uso della prova presuntiva, dall'ordinanza Papalia si desume che il regime probatorio da applicare dovrebbe essere analogo — mutatismutandis — a quello che si applica per le discriminazioni (in base alla normativa UE, vedi per tutti: art. 4 della legge n. 125 del 1991), secondo cui basta che il ricorrente fornisca elementi di fatto idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza di una situazione di abusivo ricorso ai contratti a termine in suo danno, spettando alla amministrazione convenuta l'onere di provare l'insussistenza - dell'abuso.Deve essere, peraltro, considerato che se il ristoro deve essere completo — sia per quanto riguarda il danno da perdita di lavoro inteso in senso ampio sia per quel che concerne gli aspetti retributivi — lo stesso diritto UE richiede che si tratti di un ristoro proporzionato alla singola fattispecie. A tal fine, pertanto, si dovrà, tra l'altro, tenere conto del numero dei contratti a termine, dell'intervallo di tempo intercorrente tra l'uno e l'altro contratto, della durata dei singoli contratti e della complessiva durata del periodo in cui vi è stata la reiterazione.
k) SULLA MISURA DEL RISARCIMENTO
Preliminarmente va rilevato che il risarcimento del danno, come già precisato, ha nell’ottica della direttiva e della stessa Corte di giustizia, nonché della cassazione, natura sanzionatoria.
Già la giurisprudenza di merito si è pronunciata in tal senso: si vada, tra l’altro, il Tribunale di Trapani nella sentenza 15.02.13 che si produce (doc. 11).
A ciò si aggiunga la sentenza Sheefer del 13.04.2011 del Tribunale della Funzione pubblica dell’Unione (doc. 12) che tratta della conversione addirittura nei confronti del personale della Commissione europea a seguito di contratto a termine illegittimo.
Si noti che nella sentenza Xxxxxxx, poiché non è possibile pronunciarsi sulla conversione per un vizio del procedimento, il Tribunale della funzione pubblica condanna il datore (pubblico) al pagamento, in favore della lavoratrice di tutte le retribuzioni maturate e maturande sino all’effettivo ripristino del rapporto.
Incidenter tantum, come si vede siamo ad un concetto di risarcimento del danno del tutto inimmaginabile se si pretende di applicare i criteri strettamente civilistici, incompatibili con l’effettività della sanzione.
Si rileva comunque come la sanzione debba essere effettiva ed efficace e, dunque, è del tutto inaccettabile un risarcimento che compensi il lavoratore dall’ingiustizia subita (come afferma la Cassazione 26951/2013 sopra citata) limitato a poche mensilità di retribuzione.
Premesso che il risarcimento non può, a nostro avviso, essere liquidato in misura minore delle 20 mensilità, anche in applicazione della clausola 4 della Direttiva40, per puro scrupolo difensivo, si rileva quanto segue.
La sanzione è strettamente legata, se proprio la si vuole valutare con riferimento alla situazione personale del soggetto in causa, alla condizione di precariato, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di insicurezza psicologica e di difficoltà di vita e di formazione di una famiglia (si pensi alla nota impossibilità per il precario di accedere ai mutui immobiliari).
Si tratta qui di fatti notori, ripetutamente e da tempo oggetto di valutazioni e ponderazioni da parte della scienza sociale, delle analisi di natura socio- economica, ampiamente dibattuti su tutti i mass media, approfonditi da studi scientifici e dai quali non si può certamente prescindere.
Si consideri solamente quanto si legge su Wikipedia alla voce precariato41:
Con il termine precariato si intende l’insieme dei soggetti che vivono una condizione lavorativa che rileva, contemporaneamente, due fattori di insicurezza:
mancanza di continuità del rapporto di lavoro e di certezza sul futuro
mancanza di un reddito e di condizioni di lavoro adeguate su cui poter contare per pianificare la propria vita presente e futura.
Soprattutto il precariato intacca la qualità della vita in termini di progettualità personale e sociale.
(…)
La presenza in Italia di redditi mediamente più bassi, sia in valore assoluto che in termini di potere d’acquisto [1], rispetto per es. agli altri paesi dell’Unione Europea pre-2004 o agli USA, che risulta solitamente ancora più accentuata proprio tra i lavoratori precari, comporta peraltro l’impossibilità di accumulare sufficienti risparmi per affrontare in sicurezza i periodi di disoccupazione e ricerca di nuovo lavoro successivi ad un mancato rinnovo del contratto (condizione invece abituale in quei paesi dove i redditi sono mediamente più alti soprattutto tra i lavoratori flessibili), esponendo quindi il lavoratore al rischio di dover accettare giocoforza lavori ancora più flessibili e meno remunerativi dei precedenti pur di avere un reddito con cui provvedere alla propria sussistenza, creando quindi una forma di retroazione che accentua ulteriormente l’insicurezza e gli altri problemi derivanti dalla precarietà.
(…)
40Non ci si dimentica che la sentenza Xxxxxxx, in realtà, consente, in linea teorica, che le conseguenze della cessazione di un contratto tempo determinato e quelle di un contratto a termine, possano essere differenti, ma va qui considerato la diversa situazione, che rileva nella presente causa in cui il risarcimento non viene richiesto per la nullità del termine apposto ai contratti, ma per la mancata costituzione del rapporto a seguito della mancata applicazione della misura sanzionatoria nel pubblico impiego decorsi i 36 mesi previsti dall’art. 5 comma 4 bis: in tal caso, infatti le aspettative del dipendente che vede cessare il proprio rapporto – o, comunque, non se lo vede convertire – si avvicinano del tutto a quelle del lavoratore licenziato.
41Il contenuto del sito indicato viene riportato non tanto per la ritenuta veridicità assoluta del suo contenuto, come è noto esclusa in radice dal meccanismo di formazione delle voci, ma al solo fine di dimostrare la notorietà dei danni conseguenti alla condizione di vita del precariato.
Anche a parità di remunerazione economica, il lavoratore precario difficilmente potrà avere una famiglia propria senza altri aiuti, riproducendo meccanismi familistici deteriori, o di nuovo rivolgendosi al “mercato” del secondo lavoro, in nero. Il precario medio, secondo le cifre del sindacato, è infatti single (uomini e donne) più per necessità che per scelta. In quanto slegato da legami familiari, il precario, uomo o donna che sia, è infatti più appetibile per il mercato del lavoro, in quanto ha meno vincoli e non ha praticamente tutele di alcun tipo. È il lavoratore più ricattabile, sfruttabile e facilmente licenziabile. Le donne precarie sono discriminate dalle imprese due volte: in quanto precarie, ed in quanto donne (a molte donne vengono illegalmente chieste al momento dell’assunzione, anche a tempo indeterminato, analisi che dimostrino che non sono incinta) per il “costo” della maternità, che è in realtà un diritto sancito dallo statuto dei lavoratori.
(…)
Il datore di lavoro non è infatti tenuto a motivare una mancata assunzione in quanto il contratto non costituisce un periodo di prova, ma un lavoro a termine. Anche se il lavoratore che dia buona prova delle sue capacità è spesso assunto nuovamente gli anni successivi, non necessariamente con stipendio maggiore (come avverrebbe con l’aumento di anzianità in caso fosse un lavoratore dipendente), in molti casi non lo saprà che poco prima dell’effettiva chiamata, il che rende difficile pianificare in anticipo le proprie scelte professionali e di vita.
Per ulteriori approfondimenti si veda il seguente materiale, tratto sempre da Wikipedia, voce “precariato”:
Bibliografia [modifica]
Xxxxx Xxxxxx, A caccia di orologi, 1998.
Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx, Precarietà a tempo indeterminato, xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/Xxxxxxxx_XxxxxXxxxxxx_Xxxxx riet%E0.htm
Filmografia [modifica]
Il vangelo secondo Precario, regia di Xxxxxxx Xxxxx (2005)
Parole sante, Fandango 2007 – documentario di Xxxxxxx Xxxxxxxxx
Fuga dal call center, regia di Xxxxxxxx Xxxxx (2008)
Generazione 1000 EURO, di Xxxxxxx Xxxxxx (2009)
La ballata dei precari, di Xxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx0000
Collegamenti esterni [modifica]
Economia e Lavoro su Open Directory Project (Segnala su Dmoz un collegamento pertinente all’argomento “Economia e Lavoro”)
Indagine conoscitiva sulle cause e le dimensioni del precariato nel mondo del lavoro della XI commissione permanente della Camera dei Deputati – XV Legislatura
IX Rapporto AlmaLaureasulla condizione occupazionale dei laureati
Xxxxxx Xxxxxx, I precari? Non sono aumentati, Corriere della Sera, 26 aprile 2006
Xxxxxxx Xxxxxxxxx, Flessibilità e precariato, Xxxxxxxxxxxxxx.xx, 5 dicembre 2006
Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, È il lavoro nero il vero precariato, Il Sole24Ore, 20 ottobre 2007
Il “mal di vivere” del precariato quando il lavoro fa male alla salute, La Repubblica, 6 novembre 2007
Xxxxx Xxxxxxxx, Il vero nodo della precarietà, Xxxxxx.xxxx, 18 febbraio 2008
Xxxxxx Xxxxxx, Contro il precariato un nuovo diritto del lavoro, L’Unità, 25 febbraio 2008
Xxxxxx Xxxxx, Flessibilità o stabilità? Il diritto di accedere al lavoro, xxxXxxxxx.xxx, 12/11/2009
Xxxxxx Xxxxx, Riforme sul lavoro?!, Xxxxxxxxxx.xxx, 06/05/2010
Xxxxx Xxxxxxx,Xxxxxxxxxx, “Tutto il precariato…pagina per pagina”, 07/04/2011
recensione diStefano Jossa a Precariat24 acca di Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxx
Non diversamente si esprime la ricerca scientifica. Sul punto si veda X. Xxxxxxxxx, Flessibilmente giovani, ed. Xx Xxxxxx, 2012 (doc. 13).
Il giudice del resto non può astrarsi dalla realtà sociale che lo circonda, né sarebbe spiegabile la circostanza, decisiva, che è la stessa legislazione nazionale ed europea che indica nella necessità di reprimere gli abusi derivante dall’utilizzo continuo e reiterato dei contratti a termine, individuati quale causa del fenomeno della precarietà, assunto quale elemento negativo per l’ordinario svolgersi della vita del lavoratore.
Tanto, lo ripetiamo, lo si sottolinea per scrupolo difensivo, rilevando comunque che la sanzione deve essere effettiva e, dunque, è del tutto inaccettabile un risarcimento che compensi il lavoratore dell’ingiustizia subita (come afferma la Cassazione 29651/2013 sopra citata) limitato a poche mensilità di retribuzione.
Si insiste pertanto, comunque, in un risarcimento non inferiore a 20 mensilità.
*
Come si vede, quindi, decisioni obsolete, legate alla conservazione di uno status quo ormai superato dalla realtà fattuale del nostro paese e finalizzate al mantenimento di feticci giuridici che hanno portato ad una situazione di fatto del tutto in contrasto con la normativa europea, rischia unicamente di aggravare quel danno che si dice di voler contenere.
A ciò si aggiunga la sentenza Xxxxxxxx( doc. 14) della CEDU del 14.01.14 che condanna l’Italia per la vicenda ATA.
Tale pronuncia evidenzia come decisioni che disapplicano il diritto europeo, ben lungi dal salvaguardare lo Stato, espongono l’Italia alla comminazione di sanzioni pesanti che non avrebbero altro effetto che quello di aggravare il bilancio pubblico, obbligando i lavoratori a ricorrere avanti al Tribunale ordinario di Roma per ottenere il risarcimento del danno per la mancata attuazione delle disposizioni europee qui in discussione da parte del giudice nazionale adito.
l) QUESTIONE DI COSTITUZIONALITÀ
Da ultimo ed in stretto subordine, posto che la Corte europea, come visto, ha già reso acteclaire sul punto, si replica anche alle modifiche apportate con il DL 31 agosto 2013 n. 101.
Già si è cennato al nuovo testo dell’art. 36 D.lgs. n.165/2001, in vigore dal 1° settembre 2013.
Naturalmente, con la formulazione dell’attuale comma 5-quater dell’art. 36 D.Lgs. n.165/2001 se il lavoratore pubblico precario intende chiedere la tutela giudiziaria e l’applicazione della sanzione di cui all’art. 5, comma 4- bis, D.lgs. n. 368/2001 con la trasformazione a tempo indeterminato dei rapporti a termine successivi anche non continuativi di durata superiore a trentasei mesi, non solo non ha né trasformazione a tempo indeterminato (art. 36, comma 5-ter, D.lgs. n. 165/2001) né risarcimento dei danni (art. 36, comma 5-quater, D.lgs. n. 165/2001, in combinato disposto con la sanzione-non sanzione del comma 5), ma i legittimi contratti a tempo determinato diventano “nulli” per il semplice fatto di aver chiesto la tutela al Giudice del lavoro.
Fermo restando che ogni questione pare risolta dalla Ordinanza Papalia e dalla sentenza Xxxxxxx (e del resto dalla ricordata giurisprudenza più recente della Suprema Corte) e che qui la presente istanza è fatta per puro scrupolo difensivo, si chiede che il Giudice, ove fosse riluttante alla – per noi dovuta - disapplicazione della norma, voglia rimettere la questione di costituzionalità relativamente all’art. 36 del X.Xxx. 165/2001, come modificato dal DL 31 agosto 2013 n. 101, per manifesta contrarietà con la normativa europea di cui alla Direttiva UE 1999/70, segnatamente clausola 4 e 5 della stessa.
m) LA LEGGE SULLA RESPONSABILITÀ CIVILE DEI MAGISTRATI COME VULNUS ALLA CORRETTA APPLICAZIONE DEL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA NEI CONFRONTI DELLO STATO E DELLA REGIONE PARTE DEL PROCESSO
Va evidenziato, considerati i precedenti di questo Tribunale e perché questa difesa lo ritiene essenziale ai fini della soluzione della causa qui in discussione nonché, più in generale, per il ripristino della legalità democratica e del corretto e imparziale esercizio della funzione giurisdizionale in una fattispecie di causa come la presente in cui parte processuale convenuta principale è lo Stato, nelle sue diramazioni di cui si è detto, che il legislatore nazionale con la recente legge n.18/2015 ha inteso modificare la disciplina della responsabilità civile dei magistrati di cui alla legge n.117/1988, all’evidente fine di condizionare i giudici per negare l’effettività delle decisioni della Corte di giustizia (e non per rispettarne le indicazioni) quando si pronunciano in senso sfavorevole allo Stato quale parte del processo, come nel caso della sentenza Carratù e come nel caso della sentenza Xxxxxxx.
In particolare, l’art. 23 (Responsabilità per violazione manifesta del diritto dell'Unione europea. Procedura di infrazione n. 2009/2230) del Disegno di legge n.1864 “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2013 bis”
presentato il 28 novembre 2013 dal Governo Xxxxx ed elaborato dal Ministro degli affari europei Moavero, così disponeva correttamente disponeva:
«1. Lo Stato è obbligato a risarcire il danno che, in pregiudizio di situazioni giuridiche soggettive, consegue alla violazione grave e manifesta del diritto dell'Unione europea da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado, sempre che, quando ne ricorrono i presupposti, siano stati esperiti anche i mezzi straordinari di impugnazione. L'azione si prescrive decorsi tre anni.
2. Ai fini della determinazione della violazione grave e manifesta del diritto dell'Unione europea di cui al comma 1 si tiene conto, in particolare, del grado di chiarezza e di precisione della norma violata, del carattere intenzionale della violazione, della scusabilità o inescusabilità dell'errore di diritto, della posizione adottata eventualmente da un'istituzione dell'Unione europea, nonché della mancata osservanza, da parte dell'organo giurisdizionale di cui trattasi, dell'obbligo di rinvio pregiudiziale a norma dell'articolo 267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.».
Il predetto articolo 23 del disegno di legge n.1864 della legge europea 2013 bis intendeva, correttamente, intervenire per risolvere e far archiviare la procedura di infrazione n.2009/2230 avviata dalla Commissione Ue nei confronti dell’Italia per il mancato adeguamento alla sentenza della Corte di giustizia del 24 novembre 2011 in causa C-379/10, che – dopo il caso Traghetti del Mediterraneo –, ha accertato che «La Repubblica italiana,
– escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o da valutazione di fatti e prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo, e – limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge 13 aprile 1988, n. 117, sul risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado.».
Viceversa, dopo la sentenza Carratù della Corte di giustizia e dopo la sentenza n.1/2014 della Corte costituzionale sul “Porcellum”, il nuovo Governo non ha inteso sostenere la corretta applicazione dei principi enunciati dalla Corte di giustizia nella sentenza per inadempimento sulla responsabilità dello Stato italiano (e non del Giudice) per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado in caso di erronea interpretazione di norme di diritto o errata valutazione di fatti e prove, per cui ha consentito al Parlamento l’espunzione dell’art.23 del disegno di legge europea 2013 bis dal testo definitivo, approvato con la legge n.161/2014 in sostanziale concomitanza con la sentenza Xxxxxxx della Corte di giustizia.
Per altro verso, in luogo della disposizione del disegno di legge europea che avrebbe correttamente applicato la sentenza della Corte di giustizia del 24 novembre 2011 e fatto archiviare la conseguente procedura di infrazione n.2009/2230 della Commissione, il Governo italiano ha consentito l’approvazione in sede parlamentare con la legge n.18/2015 della seguente
modifica dell’art.2 della legge n.117/1988 sulla responsabilità civile dei magistrati per dolo o colpa grave:
«1. Chi ha subìto un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali.
2. Fatti salvi i commi 3 e 3 -bis ed i casi di dolo, nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove.
3. Costituisce colpa grave la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea, il travisamento del fatto o delle prove, ovvero l’affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento o la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento, ovvero l’emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dai casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.
3-bis. Fermo restando il giudizio di responsabilità contabile di cui al decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, ai fi ni della determinazione dei casi in cui sussiste la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea si tiene conto, in particolare, del grado di chiarezza e precisione delle norme violate nonché dell’inescusabilità e della gravità dell’inosservanza. In caso di violazione manifesta del diritto dell’Unione europea si deve tener conto anche della mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nonché del contrasto dell’atto o del provvedimento con l’interpretazione espressa dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.».
Pare evidente che il nuovo testo dell’art.2, commi 3 e 3-bis, della legge n.117/1988, come modificato dalla legge n.18/2015, costruisce una nozione di responsabilità per dolo o colpa grave «in caso di violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea» che pone il Giudice nazionale di fronte alla scelta - che comunque venga esercitata è causa di responsabilità civile e disciplinare nei confronti dello Stato nelle cause in cui parte sostanziale è la stessa amministrazione pubblica, come nella fattispecie di causa - se violare la normativa interna (art.2, comma 1 bis, d.lgs. n.368/2001; art.32, comma 5, della legge n.183/2010) applicando il diritto dell’Unione europea (clausole 4, punto 1, 5, punti 1 e 2, 8, punti 1 e 3, dell’accordo quadro comunitario sul lavoro a tempo determinato), come interpretato dalla Corte di giustizia (sentenze Sorge, Carratù e Xxxxxxx in particolare), o invece violare il diritto dell’Unione europea applicando le predette norme interne ostative al riconoscimento della tutela già riconosciuta.
Pertanto questa difesa, alla luce di tutte le considerazioni sin qui ampiamente svolte, e alla gravità della situazione normativa e processuale innanzi descritta, chiede che questo giudice voglia presentare domanda di pregiudizialità ex art.267 del Trattato per il funzionamento dell’Unione europea XXXX (già art.234 Trattato CE), per chiedere alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di pronunciarsi sulle seguenti questioni, che ci si permette di suggerire:
1) Se a) la clausola 5, nn. 1 e 2, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato stipulato il 18 marzo 1999, figurante nell’allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, la clausola 4, n.1, dello stesso accordo quadro e il principio di uguaglianza e non discriminazione del diritto dell’Unione europea [garantito dall'art. 6 n. 2 del Trattato sull'Unione Europea (cosi come modificato dall'art 1.8 del Trattato di Lisbona e al quale fa rinvio l'art 46 del Trattato sull'Unione)] e gli artt.20, 30 e 31 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, in quanto norme primarie del Trattato TUE, nonché b) i principi generali del vigente diritto dell’Unione europea della certezza del diritto, della tutela del legittimo affidamento, della uguaglianza delle armi del processo, dell'effettiva tutela giurisdizionale, ad un tribunale indipendente e, più in generale, ad un equo processo [garantiti dagli artt.46, 47 e 52, n.3, della Carta di Nizza, in quanto norme primarie del Trattato TUE, nonché dall’art.6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, disposizione contenente principi fondamentali dell’Unione europea], e/o c) gli articoli 102, n.1, e 106, nn.1 e 2, del Trattato per il funzionamento dell’Unione europea XXXX (già artt.82, n.1, e 86, nn.1 e 2, TCE) devono essere interpretati nel senso che tali disposizioni ostano all’adozione, da parte di uno Stato membro e di un suo ente locale come la regione Sicilia, di una normativa regionale e statale, quali l’art. 23 della legge nazionale 67/1988, le leggi regionali siciliane n. 85/1955, artt. 11 e 12, n. 27/1991, n. 5/1992, 25 del 1993, n. 85 del 1995, art. 12, n. 21/2003, art. 23 che, consentendo la reiterazione infinita di contratti a termine successivi e senza soluzione di continuità, costituiti senza che fosse previsto alcun programma specifico di formazione, inserimento o riqualificazione professionale ai sensi della clausola 2 della Direttiva ma concretizzatosi nell’inserimento in posizioni stabili e permanenti dell’organico dell’ente stesso, senza prevedere alcuna delle misure di tutela previste nella clausola 5 della Direttiva UE 1999/70 e alle sue condizioni di “legittimità” - limitando i poteri del Giudice nazionale perché non gli consente di verificare la sussistenza delle condizioni di fatto che giustificano le esigenze temporanee di un organismo pubblico regionale e/o comunale di apporre il termine al rapporto di lavoro rispetto ai contratti con datori di lavoro privati e pubblici, e non consentendo, nel processo, l’applicazione delle misure equivalenti e preventive delle ragioni obiettive di cui all’articolo 1, comma 1, D.lgs. n.n.368/2001 e all’art. 36 D,Lgs. 165/2001, né l’applicazione delle misure sanzionatorie sulla successione dei contratti a termine di cui all’articolo 5, comma 4 bis, D.lgs. n.368/2001 e dell’art. 36 D.Lgs. 165/2001, con conseguente possibilità di libero superamento della durata massima dei contratti a termine, né altra misura preventiva o successiva antiabusiva, precarizzando senza limiti i rapporti di lavoro dei lavoratori degli enti pubblici siciliani, senza nessuna legittima giustificazione o ragione oggettiva, in violazione del principio costituzionale europeo di uguaglianza e non discriminazione e nell’ambito di applicazione della disciplina dell’Unione europea sui contratti di lavoro a tempo determinato.
2) Se la clausola 5, n.2, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale e regionale di quello Stato – nell’ambito di una controversia principale che riguarda contratti a tempo determinato “successivi” stipulati per oltre 10 anni consecutivi con la sola “motivazione” della clausola generale ed astratta di favorire la fuoriuscita dal precariato, ma con incontestato inserimento stabile e permanente negli organici degli enti locali stessi – che impedisce l’applicazione, garantita a tutti gli altri lavoratori, quale quella prevista dall’art.5, comma 4 bis, D.lgs. n.368/2001, che stabilisce il termine massimo di 36 mesi di svolgimento di rapporti
termine nelle medesime mansioni perché il rapporto sia considerato a tempo indeterminato, ovvero quella del risarcimento del danno ex art. 36 D.Lgs. 165/2001, come stabilito dall’Ordinanza Papalia della Corte europea.
4) Se un lavoratore come quello di causa, che – se non fossero intervenute norme ostative di cui al quesito n. 1 - avrebbe maturato il diritto alla costituzione di un rapporto a tempo indeterminato con il datore di lavoro pubblico in applicazione delle sanzioni previste contro gli abusi nell’utilizzo dei contratti a tempo determinato dal d.lgs. n.368/2001, ovvero al risarcimento del danno in misura equivalente ex art. 36 D.Lgs. 165/2001, possa invocare direttamente tali diritti sulla base dell’art.4, n. 3, del Trattato dell’Unione europea e dalla leale cooperazione degli Stati membri con le Istituzioni dell’Unione, nonché degli articoli 30 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea per ottenere il diritto ad un rapporto di lavoro stabile ovvero ad un risarcimento equivalente, qualora la normativa nazionale e regionale descritta non preveda che il lavoratore goda di tali diritti a seguito dell’introduzione delle citate disposizioni che impediscono la tutela sostanziale e giudiziaria altrimenti riconosciuta in sede di corretto recepimento dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, e se il giudice nazionale debba, per garantire la piena efficacia di tale diritto, non applicare o disapplicare ogni disposizione di diritto nazionale contraria.
5) Se i principi generali del vigente diritto dell’Unione europea della certezza del diritto, della tutela del legittimo affidamento, della uguaglianza delle armi del processo, dell'effettiva tutela giurisdizionale, ad un tribunale indipendente e, più in generale, ad un equo processo di cui all’art.47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia Ue in materia di responsabilità dello Stato italiano per danni cagionati ai singoli per violazione del diritto dell’Unione europea da parte del Giudice di ultima istanza nelle sentenze Traghetti del Mediterraneo in causa C-373/03 e Commissione contro Repubblica italiana in causa C-379/10, devono essere interpretati nel senso che tali disposizioni e la citata giurisprudenza della Corte di giustizia ostano all’adozione, da parte di uno Stato membro per favorire se medesimo e le sue amministrazioni pubbliche facenti parte della regione Sicilia, come nella fattispecie di causa, di una normativa come quella introdotta dalla legge n.18/2015 con l’apparente intenzione di dare attuazione alle citate decisioni della Cgue ma in realtà con il sostanziale obiettivo di vanificarne gli effetti e di condizionare la giurisdizione interna, che, nel nuovo testo dell’art.2, commi 3 e 3-bis, della legge 13 aprile 1988 n.117 sulla responsabilità civile dei magistrati, costruisce una nozione di responsabilità per dolo o colpa grave «in caso di violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea», che pone il Giudice nazionale di fronte alla scelta - che comunque venga esercitata è causa di responsabilità civile e disciplinare nei confronti dello Stato nelle cause in cui parte sostanziale è la stessa amministrazione pubblica, come nella fattispecie di causa -, se violare la normativa interna applicando il diritto dell’Unione europea, come interpretato dalla Corte di giustizia, o invece violare il diritto dell’Unione europea applicando le norme interne ostative al riconoscimento della tutela già riconosciuta.
n) SULL’EQUIPARAZIONE DEL TRATTAMENTO ECONOMICO
La normativa relativa alla parificazione economica trova diretta e piena applicazione trattandosi nella specie di realizzazione della clausola 4 della Direttiva che non prevede ambiti di discrezionalità per gli Stati membri ed essendo, peraltro, espressamente prevista, oltre che dall’art. 6 del D.lgs.
368/2001 anche dalla disciplina del testo unico di cui all’art. 165/2001 (art. 45).
Si legge comunque nella sentenza Valenza42 :
39 Occorre ricordare che la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro vieta che, per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato siano trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o un rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che un diverso trattamento non sia giustificato da ragioni oggettive. Il punto 4 di tale clausola enuncia il medesimo divieto per quanto riguarda i criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro (sentenza Xxxxxx Xxxxxxx, cit., punto 64).
40 Secondo una costante giurisprudenza, il principio di non discriminazione impone che situazioni comparabili non siano trattate in modo differente e che situazioni differenti non siano trattate in modo identico, a meno che un tale trattamento non sia oggettivamente giustificato (sentenza Xxxxxx Xxxxxxx, cit., punto 65 e la giurisprudenza ivi citata).
41 Occorre dunque, anzitutto, esaminare la comparabilità delle situazioni in esame e poi, in un secondo momento, verificare l’esistenza di un eventuale giustificazione oggettiva.
Sulla comparabilità delle situazioni in esame
42 Per stabilire se le persone interessate esercitino un lavoro identico o simile ai sensi dell’accordo quadro, occorre, in conformità alle clausole 3, punto 2, e 4, punto 1, di quest’ultimo, verificare se, tenuto conto di un insieme di fattori, quali la natura del lavoro, le condizioni di formazione e le condizioni di impiego, sia possibile ritenere che tali persone si trovino in situazioni comparabili (ordinanza del 18 marzo 2011, Xxxxxxx Xxxxxx, C273/10, punto 37; sentenza Xxxxxx Xxxxxxx, cit., punto 66, e ordinanza del 9 febbraio 2012, Xxxxxxx Xxxxxxxx, C556/11, punto 43).
(…)
Sull’esistenza di una giustificazione oggettiva
50 Secondo una costante giurisprudenza della Corte, la nozione di «ragioni oggettive» ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell’accordo quadro dev’essere intesa nel senso che essa non consente di giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato con il fatto che tale differenza è prevista da una norma nazionale generale ed astratta, quale una legge o un contratto collettivo (sentenze Del Cerro Xxxxxx, cit., punto 57, e del
22 dicembre 2010, GavieiroGavieiro e Xxxxxxxx Xxxxxx, C444/09 e C456/09, Racc. pag. I14031, punto 54; ordinanza Xxxxxxx Xxxxxx, cit., punto 40; sentenza Xxxxxx Xxxxxxx, cit., punto 72, nonché ordinanza Xxxxxxx Xxxxxxxx, cit., punto 47).
51 La nozione suddetta esige che la disparità di trattamento constatata sia giustificata dall’esistenza di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono la condizione di lavoro in questione, nel particolare contesto in cui essa si colloca e in base a
42 Sentenza Valenza del 18.10.12 in causa C-302/11
criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se detta disparità risponda ad un reale bisogno, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessaria a tal fine. I suddetti elementi possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle mansioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche inerenti alle mansioni stesse o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro (v., in particolare, citate sentenze Del Cerro Xxxxxx, punti 53 e 58, e XxxxxxxxXxxxxxxx e Xxxxxxxx Xxxxxx, punto 55; ordinanza Xxxxxxx Xxxxxx, cit., punto 41; sentenza Xxxxxx Xxxxxxx, cit., punto 73, nonché ordinanza Xxxxxxx Xxxxxxxx, cit., punto 48).
52 Il richiamo alla mera natura temporanea del lavoro del personale della pubblica amministrazione non è conforme ai suddetti requisiti e non può dunque configurare una «ragione oggettiva» ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell’accordo quadro. Infatti, ammettere che la mera natura temporanea di un rapporto di lavoro basti a giustificare una differenza di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato svuoterebbe di ogni sostanza gli obiettivi della direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro ed equivarrebbe a perpetuare il mantenimento di una situazione svantaggiosa per i lavoratori a tempo determinato (sentenza XxxxxxxxXxxxxxxx e Xxxxxxxx Xxxxxx, cit., punti 56 e 57; ordinanza Xxxxxxx Xxxxxx, cit., punti 42 e 43; sentenza Xxxxxx Xxxxxxx, cit., punto 74, nonché ordinanza Xxxxxxx Xxxxxxxx, cit., punti 49 e 50).
53 Nel caso di specie, per giustificare la differenza di trattamento lamentata nei procedimenti principali, il governo italiano fa valere l’esistenza di svariate differenze oggettive tra i dipendenti di ruolo e i lavoratori a tempo determinato successivamente assunti come dipendenti di ruolo.
54 Detto governo sottolinea, anzitutto, che tale assunzione nell’ambito della disciplina cosiddetta «di stabilizzazione» si realizza attraverso un procedimento che non presenta gli elementi caratteristici della procedura di concorso e che pertanto, in quanto deroga alle normali procedure di assunzione, non può costituire una valida ragione per la concessione di un trattamento superiore a quello previsto per il livello iniziale della categoria retributiva applicabile ai dipendenti di ruolo.
55 Poi, il governo italiano fa valere che la disciplina suddetta, concependo l’anzianità acquisita nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato come un presupposto per beneficiare della stabilizzazione e non come un elemento valutabile nell’ambito del nuovo rapporto di lavoro a tempo indeterminato, trova la propria giustificazione nella necessità di evitare una discriminazione alla rovescia in danno dei dipendenti di ruolo già collocati nel ruolo stesso. Infatti, se i lavoratori stabilizzati potessero conservare detta anzianità, la loro immissione in ruolo avverrebbe a discapito dei lavoratori già in ruolo, assunti a tempo indeterminato a seguito di pubblico concorso, ma con minore anzianità di servizio. Questi ultimi si troverebbero infatti inquadrati in ruolo ad un livello inferiore a quello dei beneficiari della stabilizzazione.
56 Infine, il governo italiano sottolinea che la presa in considerazione dell’anzianità acquisita in virtù di contratti di lavoro a tempo determinato si porrebbe in contrasto, da un lato, con l’articolo 3 della Costituzione della Repubblica italiana, letto nel
senso di vietare che a situazioni maggiormente meritevoli sia applicato un trattamento deteriore, e, dall’altro, con l’articolo 97 della medesima Costituzione, il quale prevede che il concorso pubblico – quale meccanismo imparziale di selezione tecnica e neutrale dei più capaci sulla base del criterio del merito – costituisca la forma generale e ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni allo scopo di soddisfare le esigenze di imparzialità e di efficienza dell’azione amministrativa.
57 A questo proposito, occorre ricordare che gli Stati membri, in considerazione del margine di discrezionalità di cui dispongono per quanto riguarda l’organizzazione delle loro amministrazioni pubbliche, possono, in linea di principio, senza violare la direttiva 1999/70 o l’accordo quadro, stabilire le condizioni per l’accesso alla qualifica di dipendente di ruolo nonché le condizioni di impiego di tali dipendenti di ruolo, in particolare qualora costoro fossero in precedenza impiegati da dette amministrazioni nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato (v., in tal senso, sentenza Xxxxxx Xxxxxxx, cit., punto 76).
58 Pertanto, come sottolineato dalla Commissione in udienza, l’esperienza professionale dei lavoratori a tempo determinato, rispecchiata dai periodi di servizio da essi compiuti presso l’amministrazione pubblica nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato, può costituire – così come previsto dalla normativa oggetto dei procedimenti principali, che subordina la stabilizzazione, segnatamente, al compimento di un periodo di servizio di tre anni nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato – un criterio di selezione ai fini di una procedura di assunzione come dipendente di ruolo.
59 Tuttavia, nonostante tale margine di discrezionalità, l’applicazione dei criteri che gli Stati membri stabiliscono deve essere effettuata in modo trasparente e deve poter essere controllata al fine di impedire qualsiasi trattamento deteriore dei lavoratori a tempo determinato sulla sola base della durata dei contratti o dei rapporti di lavoro che giustificano la loro anzianità e la loro esperienza professionale (v. sentenza Xxxxxx Xxxxxxx, cit., punto 77).
60 A questo proposito, occorre riconoscere che talune differenze invocate dal governo italiano riguardanti l’assunzione dei lavoratori impiegati a tempo determinato nell’ambito di procedure di stabilizzazione quali quelle oggetto dei procedimenti principali rispetto ai dipendenti di ruolo assunti al termine di un concorso pubblico, nonché concernenti le qualifiche richieste e la natura delle mansioni di cui i predetti devono assumere la responsabilità, potrebbero, in linea di principio, giustificare una diversità di trattamento quanto alle loro condizioni di impiego (v., in tal senso, sentenza Xxxxxx Xxxxxxx, cit., punto 78).
61 Qualora tale trattamento differenziato derivi dalla necessità di tener conto di esigenze oggettive attinenti all’impiego che deve essere ricoperto mediante la procedura di assunzione e che sono estranee alla durata determinata del rapporto di lavoro che intercorre tra il lavoratore e il suo datore di lavoro, detto trattamento può essere giustificato ai sensi della clausola 4, punto
1 e/o 4, dell’accordo quadro (v., in tal senso, sentenza Xxxxxx Xxxxxxx, cit., punto 79).
62 Nella specie, per quanto riguarda l’asserito obiettivo consistente nell’evitare il prodursi di discriminazioni alla rovescia in danno dei dipendenti di ruolo assunti a seguito del superamento di un concorso pubblico, occorre osservare che tale obiettivo, pur potendo costituire una «ragione oggettiva» ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell’accordo quadro, non può comunque giustificare una normativa nazionale sproporzionata quale quella in questione nei procedimenti principali, la quale esclude totalmente e in ogni circostanza la presa in considerazione di tutti i periodi di servizio compiuti da lavoratori nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato ai fini della determinazione della loro anzianità in sede di assunzione a tempo indeterminato e, dunque, del loro livello di retribuzione. Infatti, una siffatta esclusione totale e assoluta è intrinsecamente fondata sulla premessa generale secondo cui la durata indeterminata del rapporto di lavoro di alcuni dipendenti pubblici giustifica di per sé stessa una diversità di trattamento rispetto ai dipendenti pubblici assunti a tempo determinato, svuotando così di sostanza gli obiettivi della direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro.
63 Quanto alla circostanza ribadita in udienza dal governo italiano, secondo cui, nell’ordinamento nazionale, la procedura di stabilizzazione instaura un nuovo rapporto di lavoro, occorre ricordare che, indubbiamente, l’accordo quadro non fissa le condizioni alle quali è consentito fare ricorso ai contratti di lavoro a tempo indeterminato e non è finalizzato ad armonizzare l’insieme delle norme nazionali relative ai contratti di lavoro a tempo determinato. Infatti, detto accordo quadro mira unicamente, mediante la fissazione di principi generali e di prescrizioni minime, a istituire un quadro generale per garantire la parità di trattamento ai lavoratori a tempo determinato, proteggendoli dalle discriminazioni, e a prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di rapporti di lavoro o di contratti di lavoro a tempo determinato (v. sentenza Huet, cit., punti 40 e 41 nonché la giurisprudenza ivi citata).
64 Tuttavia, il potere riconosciuto agli Stati membri per definire il contenuto delle loro norme nazionali riguardanti i contratti di lavoro non può spingersi fino a consentire loro di rimettere in discussione l’obiettivo o l’effetto utile dell’accordo quadro (v., in tal senso, sentenza Huet, cit., punto 43 e la giurisprudenza ivi citata).
A ciò si aggiunga, per non tediare ulteriormente il lettore la recente sentenza della Corte di cassazione n. 558/15 (Pres. Curzio, est. Marotta) che applica esattamente tali principi.
Da quanto sopra, consegue il diritto di parte ricorrente alla ricostruzione della propria carriera, con il riconoscimento ai fini economici e normativi dell’intero periodo in cui ha lavorato alle dipendenze del Comune convenuto con rapporti di lavoro a tempo determinato, con l’inserimento nelle fasce retributive corrispondenti a quelle del personale a tempo indeterminato con pari anzianità di servizio e con riconoscimento di ogni beneficio di natura economica e giuridica, ivi compresi gli avanzamenti di carriera negati al personale a tempo determinato, con conseguente condannagenerica dell’Amministrazione convenuta al pagamento delle corrispondenti differenze retributive, da quantificarsi in separata sede ove l’amministrazione non ottemperi spontaneamente alla statuizione di condanna generica, formulando riserva di agire ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. 368/2001 e della clausola 4 della Direttiva 1999/70/CE per le somme non espressamente richieste in questo giudizio.
Consegue inoltre il pieno diritto del ricorrente a partecipare alla selezione di cui all’allegato bando (doc. I), con inserimento nella graduatoria sulla base dei titoli vantati.
In subordine andrà risarcito il danno per la perdita di chance che consegue alla mancata partecipazione alle predette selezioni.
P.Q.M.
si chiede che il Giudice, previa fissazione dell’udienza ex art. 415 c.p.c., previa sospensiva del provvedimento e previa eventuale rimessione del fascicolo alla Corte Costituzionale nei termini di cui sopra o a quella Europea, occorrendo nei termini di cui al paragrafo G), voglia accogliere le seguenti domande, in ogni caso con sentenza parziale in merito alla conversione del rapporto:
1. Accertare e dichiarare che l’amministrazione convenuta ha, in violazione della Direttiva UE 1999/70, posto in essere un abuso nell’utilizzazione dei contratti a termine stipulati con la parte ricorrente;
2. Per l’effetto condannare la stessa al risarcimento del danno subito dal ricorrente in forma specifica, ordinando la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dalla data del compimento del 36° mese di lavoro alle dipendenze dell’ente convenuto;
3. In subordine - salvo gravame ed azione nei confronti dello Stato italiano per violazione della Direttiva UE – condannarsi l’Amministrazione convenuta al risarcimento del danno in forma monetaria nei termini specificati in ricorso;
4. In ulteriore subordine, condannarsi lo Stato italiano in via gradata al risarcimento in forma specifica, ordinando che proceda, nell’ambito dei suoi poteri ex art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e dall’articolo 41 della legge 234/2012 alla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’ente convenuto in giudizio, ovvero, in via gradata, a risarcire il danno in forma monetaria nei termini specificati in ricorso;
5. Condannarsi inoltre l’Amministrazione convenuta, in applicazione dell’art. 6 D.Lgs. 368/2001, dell’art. 45 D.Lgs. 165/2001 e, comunque, della clausola 4 della Direttiva UE 1999/70, a retribuire e trattare sotto il profilo giuridico il ricorrente nella stessa misura di un lavoratore a tempo interminato suo dipendente con la medesima anzianità di servizio;
6. Accertare e dichiarare il diritto della ricorrente a partecipare alla progressione economica prevista dalla “selezione interna per soli titoli, riservata ai dipendenti dell’ente a tempo indeterminato appartenenti alle categorie A, B, C, D finalizzata alla formazione di una graduatoria per l’attribuzione di una nuova posizione economica con decorrenza dal 01.01.2008”;
7. Ordinare all’amministrazione convenuta di immettere la ricorrente in graduatoria nella posizione che gli sarebbe spettata se avesse partecipato alla selezione e di riconoscere sotto il profilo giuridico-economico l’inquadramento così spettantegli, nonché di risarcirgli il danno nella misura indicata in ricorso a far data dal 16.09.2009, data nella quale veniva approvata la graduatoria di merito della suddetta selezione.
8. Spese rifuse.
In via istruttoria:
Si chiede ammettersi prova per testi sui fatti tutti di cui in ricorso, opportunamente capitolati, precedute dalle parole “Vero che” ed espunta ogni eventuale valutazione di merito.
Si indicano a testimoni, con espressa riserva di integrare la lista:
1. Xxxxx Xxxxxxxx Xxxxxx
2. Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx
3. Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxx
4. Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx
5. Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx
Si produce:
A. Prospetto dotazione organica Comune di Trabia
X. Xxxxxxxx n. 197 del 18.10.2005
C. Contratto di lavoro a tempo determinato del 28.10.2005
D. Contratto di lavoro a tempo determinato del 26.10.2010
E. Contratto di lavoro a tempo determinato del 11.12.2011
F. Lettera di impugnazione dei contratti del 09.12.2014
X. Xxxxxxxxx n. 1360 del 22.11.2011
H. Provvedimenti di integrazione oraria
I. Selezione per la progressione economica orizzontale per i dipendenti delle categorie A, B, C, D per l’anno 2009
Documenti generali
1. Ordinanza Affatato del 1.10.2010;
2. Osservazioni dell’Avvocatura di Stato nella Causa Affatato;
3. Interrogazione Xxxx Xxxxxxxxxx e risposta Commissione UE;
4. Accordo AGES del 22.12.2009;
5. Nota della Funzione Pubblica del 21.12.2009;
6. Accordo ARAN del 29.09.2010 art.5 comma 4bis;
7. Accordo Comune di Milano del 20.02.2012;
8. Accordo quadro del 27.12.2011;
9. Richiesta della Commissione Europea del 13.02.2014;
10. Ordinanza Papalia del 12.12.2013;
11. Tribunale Trapani- sentenza 89/2013;
12. Sentenza Scheefer – Tribunale Funzione Pubblica;
13. Libro “Flessibilmente Giovani” di Xxxxx Xxxxxxxxx;
14. Sentenza Montalto CEDU del 14.01.14;
15. Sentenza Samohano – UniversitatPompeuFabra;
16. Conclusioni dell’avvocato generale Xxxxxxx in causa C 22/13;
17. CCNL Comparto Regioni ed Enti Locali.
18. Sentenza Fenoll del 26.03.15
Ai sensi del D.P.R. n. 115/2002 e successive modifiche, si dichiara che la parte ricorrente è titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, inferiore ad € 34.107,72, come da dichiarazione sostitutiva di atto notorio che si allega, pertanto nulla è dovuto ai fini del contributo unificato.
Milano, lì 9 Luglio 2015
Xxxxxx Xxxxxxxx
TRIBUNALE DI TERMINI IMERESE SEZIONE LAVORO
RICORSO EX ART. 414 c.p.c.
XXXXXXXXXX XXXXXXXX(C.FMTL LSN 63S01 L317 N) nato a Trabia il
01.11.1963 e ivi residente alla via Giardini n.28, con gli avv.ti Xxxxxx Xxxxxxxx (C.F. GLL SGN 52E18 F205N) del Foro di Milano, con studio in Xxxxxx Xxxxx Xxxx 00, il quale ai fini della ricezione di notifiche di avvisi e di atti indica il fax n. 02/00000000 e l’indirizzo di posta elettronica certificata xxxxxxxxxxxxxx@xxxxxxxx.xx e Avv. Xxxxx Xx Xxxxxxxxx (C.F. DBN MRA 00X00 X000 L) del Foro di Agrigento con studio in Canicattì, Via Xxxxxxx, 5 , il quale ai fini della ricezione di notifiche di avvisi e di atti indica il fax n. 0000000000 e l’indirizzo di posta elettronica certificata xxx.xxxxxxxxxxxxxxxx@xxx.xx, delega a margine del presente atto
contro
COMUNE DI TRABIA in persona del Sindaco pro tempore, con l’Avvocatura Comunale, Xxx Xxxxxx x. 00 - 00000 Xxxxxx (XX).
e contro
STATO ITALIANO – PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in
persona del Presidente del Consiglio pro tempore, con l’Avvocatura dello Stato di Palermo,Via Xxxxxx Xx Xxxxxxx, 81 - C.A.P. 90100
a)Xxxxx sulla struttura dell’ente convenuto 2
b)La Situazione lavorativa della ricorrente 2
a)Sulla violazione dell’art. 1 D. lgs. 368/2001 e dell’art. 36 D. Lgs. 165 /2001 5
b)il quadro normativo di riferimento- la direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’unice, dal ceep e dal ces 5
c)la richiesta di risarcimento del danno in forma specifica- l’applicazione dell’art. 5, comma 4bis 9
d)Le sentenze Xxxxxxx e Granducato del Lussemburgo della Corte europea 10
e)la sentenza carratù della corte europea 15
f)ulteriori conferme dell’applicabilità dell’art. 5 comma 4 bis 18
g)sulla specifica disciplina degli enti locali 25
h)l’azione residuale diretta nei confronti dello stato italiano 39
j)sul risarcimento del danno 43
k)sulla misura del risarcimento 46
l)questione di costituzionalità 50
m)La legge sulla responsabilità civile dei magistrati come vulnus alla corretta applicazione del diritto dell’Unione europea nei confronti dello Stato e della regione parte del processo 50
n)sull’equiparazione del trattamento economico 54
1. FATTO
a) CENNI SULLA STRUTTURA DELL’ENTE CONVENUTO
1. Trabia è un Comune siciliano già facente parte della provincia di Palermo.
2. La popolazione del Comune di Trabia ammonta a 10.590abitanti.
3. Per quanto possa rilevare nella presente causa, l’Amministrazione Comunale dichiara che la propria dotazione organica si compone di n.104 posti totali, di cui 55 unità a tempo indeterminato e n. 49 unità di personale a tempo determinato, con rapporti di lavoro reiteratamente rinnovati, così come si evince dal prospetto inserito sul sito internet dello stesso Comune di Trabia e aggiornato al 22.07.2011, ultimo aggiornamento disponibile ( doc. A).
b) LA SITUAZIONE LAVORATIVA DELLA RICORRENTE
1 Secondo quanto previsto dall’art. 3 del Decreto Assessoriale n. 744/97/A dell’Assessorato Regionale al Lavoro le graduatorie sono distinte per titoli di studio. L’art. 3 disciplina anche i criteri per il posizionamento all’interno delle stesse del singolo lavoratore.
5. In data 18.10.2005, la Giunta Municipale del Comune di Trabia emanava la delibera n.197 avente ad oggetto “Modifica delle misure di stabilizzazione- Atto ricognitivo” (Doc. B) e nel quale l’amministrazione approvava il piano di stabilizzazione ( assunzione a tempo determinato) di 49 lavoratori socialmente utili, con contratto quinquiennale di diritto privato.
6. In data 28.10.2005, quindi,per effetto della L.R. n.21 del 29 dicembre 2003 e della precedente delibera, parte ricorrente veniva assunta con un contratto a tempo determinato dal Comune di Trabiacon decorrenza dal 01.11.2005 e fino al 31.10.2010, inquadrata in categoria C, posizione economica C1 con il profilo Istruttore Amministrativo e/o contabile presso gli Affari Generali (doc. C);
7. In data 26.10.2010, per effetto dell’art. 2, comma 3, della Legge Regionale 31.12.2007 n. 27 e della il Comune di Trabia, con deliberazione n.57 del 02.04.2010 prorogava il suo contratto di lavoro per altri cinque anni a partire dal 01.11.2010 fino al 31.10.2015con inquadramento in categoria C, posizione economica C 1con il profilo Istruttore Amministrativo e/o contabile presso gli Affari Generali(doc. D);
8. In data 13.04.2012, con delibera n. 76, il Comune di Trabiapredisponeva l’avvio delle procedure per la stabilizzazione del personale precario ex art. 6 della L. Regionale 24/2010 per 47 unità di personale con contratto di diritto privato e valutava l’attivazione di un tavolo tecnico con le Organizzazioni Sindacali(doc. E);
9. Si precisa che ad oggi, il processo di stabilizzazione promosso con la precedente delibera n. 76/2012 non è mai stato portato a termine. Nessuno dei 47 dipendenti a tempo determinato è stato finora stabilizzato.
10. In data 23.02.2015, la parte ricorrente, per quanto possa occorrere, inviava lettera di impugnazione ex art. 32 L. 183/10, al Comune di Trabia in data 09.12.2014. (doc. F)
11. La parte ricorrente ha dunque prestato servizio presso il Comune convenuto in forza di contratti a termine per ben 117mesi (a luglio2015) fino al deposito del presente ricorso. Alla scadenza del periodo lavorativo inserito nel contratto a termine,ovvero il 31.10.2015,i mesi di lavoro come contrattista a termine alle dipendenze del Comune di Trabia saranno 121.
12.I contratti sottoscritti dalla ricorrente non facevano riferimento ad alcuna ragione oggettiva che giustificasse l’apposizione del termine al contratto, essendo essa motivata unicamente da una normativa regionale che autorizzava l’Ente convenuto alla stipula di contratti a termine sulla base della mera messa a disposizione di fondi ad hoc da parte della Regione Siciliana.
00.Xx lavoratore ha operato su posizioni facenti parte del ruolo dell’Ente convenuto o, comunque, essenziali allo svolgimento della sua normale ed ordinaria attività istituzionale, e comunque vacanti nella dotazione organica.
14. Laricorrente ha svolto tutte le mansioni riconducibili al proprio profilo professionale di Categoria C, posizione economica C1, profilo Istruttore amministrativo/contabile, ai sensi del CCNL del Comparto Regioni e Autonomie Locali, che di volta in volta glisono state assegnate.
15. Più in particolare la ricorrente ha, nel corso degli anni, svolto le seguenti mansioniall’interno del settore Affari Generali e Gabinetto ( doc. G- Determina n. 1360 del 22.11.2011)
- Responsabile dell’informazione e della trasparenza dell’azione amministrativa
- Gestione bollettino comunale
- Rapporti con la stampa
- Cura della rassegna stampa
- Gestione sito web, raccolta, redazione e pubblicazione informazioni
- Sostituzioni per servizio allo sportello prenotazioni visite specialistiche
- Aggiungere dati della lettera inviata
16. All’atto della firma del primo contratto a tempo determinato, la parte ricorrente è stata cancellata dal bacino di appartenenza ASU e dalle liste di collocamento. Nel corso del rapporto come XXX, la parte lavoratrice è stata adibita alle medesime mansioni svolte da contrattista e appena citate.
17. Durante il rapporto di lavoro, l’amministrazione ha ritenuto più volte necessario integrare l’orario di lavoro dei dipendenti a tempo determinato a causa di urgenti carenze di personale ( doc. H)
18. Il riconoscimento del superamento dei 36 mesi lavorativi comporterà pertanto un risarcimento del danno in forma specifica consistente nel riconoscimento del rapporto di lavoro a tempo indeterminato nella categoria C, posizione economica 1 o, comunque, ad un risarcimento in forma monetaria, “equivalente” ed “energico” come stabilito dalla sentenza Xxxxxxx della Corte europea.
19. La ricorrente inoltre ha ricevuto un trattamento giuridico- economico difforme rispetto ai suoi colleghi di pari grado ma con contratti a tempo indeterminato. Per tali ragioni si formula espressa riserva di agire ai sensi dell’art. 6 del d. lgs. 368/2001 e della clausola 4 della Direttiva 1999/70/CE al fine dell’equiparazione del trattamento economico-normativo della stessa.
20. A titolo esemplificativo, nel corso del rapporto, il ricorrente – come dipendente a tempo determinato - non ha beneficiato ad esempio delle progressioni economiche orizzontali, nelle quali sono stati coinvolti i soli lavoratori con contratto a tempo indeterminato come il bando di “selezione interna per soli titolo, riservata ai dipendenti dell’ente a tempo indeterminato appartenenti alle categorie A,B, C,D finalizzata alla formazione di una graduatoria per l’attribuzione di una nuova posizione economica con decorrenza dal 1.01.2008” ( doc. I)
2. IN DIRITTO
a) SULLA VIOLAZIONE DELL’ART. 1 D. LGS. 368/2001 E DELL’ART. 36 D. LGS. 165 /2001
Il D.lgs. 368/2001 - norma attuativa della Direttiva, certamente applicabile al rapporto di cui è causa al momento della sua costituzione e dei suoi rinnovi2 - consentiva, rationetemporis, l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato, in deroga alla regola generale per cui quest’ultimo deve essere stipulato a tempo indeterminato, solo a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.
A sua volta l’art. 36, comma 2, dispone tuttora che le pubbliche amministrazioni possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa per rispondere ad esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale.
E’ evidente che tali ragioni devono essere caratterizzate da effettività, non potendosi ritenere idonee generiche formule di stile, essendo invece necessario il riferimento alla specifica situazione concreta che richiede l'utilizzo di lavoratori a termine.
Nel caso di specie, nei contratti individuali che si producono, o non è indicata alcuna ragione di natura temporanea che giustifichi la stipulazione di un contratto a tempo determinato, ovvero la ragione è del tutto slegata dalla realtà di svolgimento del rapporto, appalesandosi come una mera scusa per l’assunzione del lavoratore in causa. In ogni caso risulta per tabulas la violazione dell’art. 5 comma 3 e 4 D.Lgs 368/01. Con ogni conseguenza.
Del resto l’attività svolta dalla parte ricorrente coincide con l’oggetto sociale e l’attività istituzionale dell’ente, risolvendosi nello svolgimento dell’attività propria del convenuto, ovvero l’espletamento di servizi tipici dell’ente locale, attraverso l’utilizzo di beni strumentali e di risorse umane delle quali la parte ricorrente è elemento essenziale.
b) IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO- LA DIRETTIVA 1999/70/CE DEL CONSIGLIO DEL 28 GIUGNO 1999 RELATIVA ALL’ACCORDO QUADRO SUL LAVORO A TEMPO DETERMINATO CONCLUSO DALL’UNICE, DAL CEEP E DAL CES
L’attuale disciplina del contratto a tempo determinato è quella contenuta nel D.Lgs.n.368/20013 di “Attuazione della direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28.6.1999 relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES”, il cui obiettivo è indicato nella clausola 1, che recita:
“Obiettivo del presente accordo quadro è:
migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione;
2Vedi art. 36, comma 4 ter, X.Xxx. 165/2001. Comma aggiunto dall'art. 4, comma 1, lett. b), D.L. 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dallaL. 30 ottobre 2013, n. 125, ma è evidente la sua natura di interpretazione autentica. Per quanto riguarda il divieto di conversione contenuto nella norma, si dirà di seguito.
3 Oltre che, come detto, nell’art. 36 D.Lgs. 165/2001.
creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivante dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”.
La clausola 2 ne individua poi il
Campo di applicazione:
“Il presente accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o le parti sociali stesse possono decidere che il presente accordo non si applichi ai: a) rapporti di formazione professionale iniziale e di apprendistato; b) contratti e rapporti di lavoro definiti nel quadro di un programma specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale pubblico o che usufruisca di contributi pubblici”.
Dalla lettura della norma testé riportata emerge che la direttiva non prevede alcuna esclusione dal proprio campo di applicazione relativamente al lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione.
Sull’applicabilità della disciplina del contratto a termine alla P.A. si è più volte pronunciata la Corte di Giustizia Europea (ex multis sentenza Xxxxxxxx (sentenza 4 luglio 2006 in causa C- 212/04) e specificatamente per la legislazione italiana le sentenze Xxxxxxx-Xxxxxxx (sentenza 7.9.2006 in causa C-53/04) e Xxxxxxxx e l’ordinanza Affatato (sentenza 1.10.2010 in causa C-3/10, sulla cui rilevanza si tornerà).
La clausola 4 si occupa del principio di non discriminazione, cardine della normativa comunitaria in tema di lavoro, stabilendo:
“1. Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o un rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive”.
2. Se del caso, si applicherà il principio del pro rata temporis.
3. Le disposizioni per l'applicazione di questa clausola saranno definite dagli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali
4 E sul punto non va scordato che, come si legge nella sentenza Commissione c/ Italia del 26.10.2006 (in causa C-371/04) : 18. Dall’insieme di tale giurisprudenza si evince che il rifiuto di riconoscere l’esperienza professionale e l’anzianità acquisite nell’esercizio di un’attività analoga preso un’amministrazione pubblica di uno stato membro da cittadini comunitari successivamente impiegati nel settore pubblico italiano, con la motivazione che i detti cittadini non avrebbero superato alcun concorso prima di esercitare la loro attività nel settore pubblico di tale altro Stato, non può essere ammesso dato che, come ha osservato l’avvocato generale al paragrafo 28 delle sue conclusioni non tutti gli Stati membri assumono i dipendenti del settore pubblico in questo solo modo ….
e/o dalle parti sociali stesse, viste le norme comunitarie e nazionali, i contratti collettivi e la prassi nazionali.
4. I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive.
La clausola 5 individua poi le
Misure di prevenzione degli abusi:
“1. Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un nodo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:
ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato:
devono essere considerati “successivi;
devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato”.
L’immediata applicabilità della disposizione di cui alla clausola 5 – quanto meno ai fini dello scopo da perseguire – è fuori discussione. Tutti gli Stati membri debbono necessariamente adottare una disciplina che prevede misure preventive e successive.
Non è ipotizzabile una disciplina che preveda o consenta, sotto qualsiasi forma, la reiterazione infinita di contratti a termine, senza ragioni oggettive5.
In merito alla clausola 5, la Corte di Giustizia di Lussemburgo si è più volte pronunciata. Si legge infatti, in generale, nella sentenza Xxxxxxxx:
“84. Xxxxxx, si deve constatare al riguardo che una disposizione nazionale che consideri successivi i soli contratti di lavoro a tempo
5O anche, se si preferisce, senza la fissazione di un termine massimo nell’utilizzo dei contratti a tempo determinato e, comunque, in verificata assenza di ragioni oggettive che escludano l’abuso nell’utilizzo di contratti a tempo determinato: v. K e, del resto, in senso conforme, Cass. 61/2015, sul lavoro marittimo, di cui si farà cenno nel prosieguo..
determinato separati da un lasso temporale inferiore o pari a 20 giorni lavorativi deve essere considerata tale da compromettere l’obiettivo, la finalità nonché l’effettività, dell’accordo quadro. 85. Infatti, come hanno rilevato sia il giudice del rinvio sia la Commissione, nonché l’avvocato generale nei paragrafi 67-69 delle sue conclusioni, una definizione così restrittiva del carattere successivo di diversi contratti di lavoro che si susseguono consentirebbe di assumere lavoratori in modo precario per anni, poiché, nella pratica, il lavoratore non avrebbe nella maggior parte dei casi altra scelta che quella di accettare interruzioni dell’ordine di 20 giorni lavorativi nel contesto di una serie di contratti con il suo datore di lavoro. (…). 88. Al datore di lavoro sarebbe quindi sufficiente, al termine di ogni contratto di lavoro a tempo determinato, lasciare trascorrere un periodo di soli 21 giorni lavorativi prima di stipulare un altro contratto della stessa natura per escludere automaticamente la trasformazione dei contratti successivi in un rapporto di lavoro più stabile, e ciò indipendentemente sia dal numero di anni durante i quali il lavoratore interessato è stato occupato per lo stesso impiego sia della circostanza che i detti contratti soddisfino fabbisogni non limitati nel tempo, ma al contrario “permanenti e durevoli”. Pertanto, la tutela dei lavoratori contro l’utilizzazione abusiva dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, che costituisce la finalità della clausola 5 dell’accordo quadro, viene rimessa in discussione. 89. Tenuto conto delle argomentazioni che precedono, si deve rispondere alla terza questione che la clausola 5 dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, quale quella controversa nella causa principale, la quale stabilisce che soltanto i contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato non separati gli uni dagli altri da un lasso temporale superiore a 20 giorni lavorativi devono essere considerati “successivi” ai sensi di detta clausola”.
In merito al carattere temporaneo o permanente e duraturo del fabbisogno alla base della stipula di un contratto a termine, la Corte di Giustizia sempre nella sentenza Xxxxxxxx ha osservato ai punti 99 e 105:
“99. Inoltre, dalla decisione di rinvio risulta che, nella prassi, l’art.21 della legge n.2190/1994 rischia di essere distolto dalla sua finalità per il fatto che, invece di servire come base giuridica limitatamente alla stipulazione dei contratti a tempo determinato volti a far fronte a fabbisogni di carattere esclusivamente temporaneo, sembra che esso venga utilizzato per concludere siffatti contratti allo scopo di soddisfare di fatto “fabbisogni permanenti e durevoli”. Anche il Giudice del rinvio, nella motivazione della sua decisione, ha già constatato il carattere abusivo, ai sensi dell’accordo quadro, del ricorso, nella fattispecie di cui alla causa principale, al detto art.21 per giustificare la conclusione di contratti di lavoro a tempo determinato volti, in realtà, a rispondere a “fabbisogni permanenti e durevoli”. Tale giudice si limita pertanto a chiedere se, in una tale ipotesi, il divieto generale stabilito dalla detta disposizione di trasformare in contratti a tempo indeterminato siffatti contratti a tempo determinato pregiudichi lo scopo e l’efficacia pratica dell’accordo quadro. …..105. Alla quarta questione si deve di conseguenza rispondere che, in circostanze quali quelle di cui alla causa principale, l’accordo quadro deve essere interpretato nel senso che, qualora l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro
interessato non preveda, nel settore considerato, altra misura effettiva per evitare e, nel caso, sanzionare l’utilizzazione abusiva di contratti a tempo determinato successivi, l’accordo quadro osta all’applicazione di una normativa nazionale che vieta in maniera assoluta, nel solo settore pubblico, di trasformare in un contratto di lavoro a tempo indeterminato una successione di contratti a tempo determinato che, di fatto, hanno avuto il fine di soddisfare “fabbisogni permanenti e durevoli” del datore di lavoro e devono essere considerati abusivi”.
Da ultimo si vedano le sentenze della Corte europea Kukuc (punto 36) e Samohano (punto 55 doc. 15) che approfondiscono e sviluppano principi analoghi ed alle quali si rinvia, al fine di non appesantire al presente esposizione.
c) LA RICHIESTA DI RISARCIMENTO DEL DANNO IN FORMA SPECIFICA- L’APPLICAZIONE DELL’ART. 5, COMMA 4BIS
La richiesta di conversione infra svolta è qui giustificata sulla scorta di una ben precisa norma di legge nazionale (l’art. 5 comma 4 bis), approvata in applicazione della Direttiva e che si ritiene pienamente applicabile al rapporto di cui è causa.
Tale richiesta trova fondamento nell’ordinanza Affatato (doc. 1), che decide la questione sottopostale dal Tribunale di Xxxxxxx Xxxxxxx sulla base delle difese della Avvocatura italiana.
Xxxxxx, l’Avvocatura dello Stato nella memoria depositata nella causa Affatato (doc. 2), al punto 67 afferma:
67. Infatti, da un lato, i commi 4-bis, 4-quater 4-quinquies e 4- sexies aggiunti all’art. 5 del decreto legislativo n. 368 del 2001 dalla legge n. 247 del 2007 hanno fissato ulteriori paletti per evitare la reiterazione di contratti a termine, stabilendo una durata massima al di là della quale il contratto si considera a tempo indeterminato e introducendo un diritto di precedenza di chi abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi nelle assunzioni a tempo indeterminato, dall’altro, l’art. 36, comma
5 del decreto legislativo n.165 del 2001, come modificato dal decreto-legge n. 112 del 2008 convertito dalla legge n. 133 del 2008 ha previsto, oltre al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative e alla responsabilità per dolo e colpa grave dei dirigenti nei confronti dei quali l’amministrazione deve recuperare le somme erogate a tale titolo, anche due ulteriori conseguenze a carico dei predetti dirigenti, consistenti nell’impossibilità di rinnovo dell’incarico dirigenziale e nella considerazione della predetta violazione nell’ambito della valutazione dell’operato del dirigente medesimo. Inoltre, il comma 3 del predetto art. 36 come modificato dall’art. 17, comma 26 del decreto-legge n. 78 del 2009 convertito dalla legge n. 102 del 2009 prevede che “al dirigente responsabile di irregolarità nell’utilizzo del lavoro flessibile non può essere erogata la retribuzione di risultato”.
L’affermazione qui, al di la della forse voluta ambiguità che contraddistingue il complesso della memoria ed il comportamento dello Stato italiano in materia, è chiarissima.
L’art. 5 comma 4 bis si applica anche al pubblico impiego.
Del resto questa ricostruzione è esattamente quella fatta dalla Corte europea al punto 48 della Ordinanza Affatato, con espresso riferimento, appunto, alle affermazioni contenute nella memoria dell’Avvocatura:
48 A tale proposito, nelle sue osservazioni scritte il governo italiano ha sottolineato, in particolare, che l’art. 5 del d. lgs. N. 368/2001, quale modificato nel 2007, al fine di evitare il ricorso abusivo ai contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico, ha aggiunto una durata massima oltre la quale il contratto di lavoro è ritenuto concluso a tempo indeterminato e ha introdotto, a favore del lavoratore che ha prestato lavoro per un periodo superiore a sei mesi, un diritto di priorità nelle assunzioni a tempo indeterminato. Inoltre, l’art. 36, quinto comma, del d. lgs. N. 165/2001, come modificato nel 2008, prevedrebbe, oltre al diritto del lavoratore interessato al risarcimento del danno subìto a causa della violazione di norme imperative e all’obbligo del datore di lavoro responsabile di restituire all’amministrazione le somme versate a tale titolo quando la violazione sia dolosa o derivi da colpa grave, l’impossibilità del rinnovo dell’incarico dirigenziale del responsabile, nonché la presa in considerazione di detta violazione in sede di valutazione del suo operato.
Come si vede, la Corte europea fa espresso richiamo alla modifica di cui all’art. 5 comma 4 bis con voluto riferimento al “ricorso abusivo ai contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico”.
Infatti, è significativo che il 16 aprile 2010 fosse stata presentata alla Commissione Ue l’interrogazione scritta n. E-2354/10 della parlamentare europea Xxxx Xxxxxxxxxx, che segnalava che - all’epoca - in Italia esistevano più di 70.000 ausiliari tecnici amministravi (personale ATA) che si occupano a diverso titolo del funzionamento della scuola pubblica e che operavano da diversi anni con contratti a tempo determinato, reiterati negli anni, dando vita a una forma di precariato di lunga durata, senza che venissero riconosciuti a questa fascia di lavoratori gli stessi diritti derivanti dall'assunzione a tempo indeterminato (doc. 3).
Qualche giorno dopo il deposito delle osservazioni scritte del Governo italiano nella causa Affatato e attingendo evidentemente dalla stessa fonte, la Commissione europea, nel rispondere il 10 maggio 2010 all’interrogazione scritta, ne ha recepito le indicazioni, confermando l’applicazione dell’art.5, comma 4-bis, D.lgs. n.368/2001 e la trasformazione a tempo indeterminato dei rapporti a termine “successivi” di durata superiore a trentasei mesi con lo stesso datore di lavoro anche pubblico, con particolare riferimento alla scuola e al personale ATA. Tuttavia, prudentemente, l’Istituzione Ue si è riservata di scrivere alle autorità italiane per ottenere informazioni e chiarimenti sull'applicazione della normativa italiana agli ausiliari tecnici amministrativi delle scuole pubbliche.
d) LE SENTENZE XXXXXXX E GRANDUCATO DEL LUSSEMBURGO DELLA CORTE EUROPEA.
Tali conclusioni sono poi state pienamente confermate dalla pronuncia della Corte europea Xxxxxxx del 26.11.20146, resa con riferimento sia al settore
scolastico sia al pubblico impiego non scolastico (v. ordinanza Russo del Tribunale di Napoli in causa C-63/13): si tratta di rapporti di lavoro precari alle dipendenze di asili comunali, cioè di precariato degli enti locali come nella fattispecie di causa - le cui conclusioni sono:
La clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell’allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che autorizzi, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l’espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo. Risulta, infatti, che tale normativa, fatte salve le necessarie verifiche da parte dei giudici del rinvio, da un lato, non consente di definire criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di tali contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine, e, dall’altro, non prevede nessun’altra misura diretta a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
Come appare di immediata evidenza, il principio stabilito dalla Corte è applicabile meccanicamente alla situazione della parte ricorrente, posto che risulta pacifico, per quanto detto, che egli occupa stabilmente un posto di lavoro in organico e che – a quanto ci risulta – nessun ente pubblico siciliano, ivi compreso quello convenuto in causa, da decenni, svolge alcun concorso per la copertura di tali posti.
E’ quindi pacifico che nella fattispecie si è verificato un abuso nell’utilizzo dei contratti a termine, che osta alla clausola 5 della direttiva.
Resta dunque da determinare – da parte del giudice nazionale - l’applicazione delle misure sanzionatorie previste dalla norma comunitaria al fine di eliminare l’abuso commesso.
In merito, sempre la Corte europea fornisce nella medesima pronuncia utili indicazioni, proprio in risposta all’ordinanza Russo sugli asili comunali in causa C-63/13:
55 Lo stesso Tribunale di Napoli, infatti, constata, nella sua ordinanza di rinvio nella causa C63/13, che la ricorrente nel procedimento principale beneficia, a differenza delle ricorrenti nei procedimenti principali nelle cause C22/13, C61/13 e C62/13, dell’applicazione dell’articolo 5, comma 0 xxx, xxx xxxxxxx legislativo n. 368/2001, disposizione che prevede la trasformazione dei contratti a tempo determinato successivi di durata superiore a 36 mesi in contratto di lavoro a tempo indeterminato. Da tale constatazione detto giudice xxxxxx, giustamente, che la citata disposizione costituisce una misura che, nei limiti in cui previene il ricorso abusivo a siffatti contratti e implica l’eliminazione definitiva delle conseguenze dell’abuso, è
conforme ai requisiti derivanti dal diritto dell’Unione (v., in particolare, sentenza Fiamingo e a., C362/13, C363/13 e C407/13, EU:C:2014:2044, punti 69 e 70, nonché giurisprudenza ivi citata).
Dalle sottolineature che si sono fatte risulta chiaro che la Corte europea valuta positivamente (…giustamente…) l’applicazione dell’art. 5 comma 4 bis del D.Lgs. 368/2001 che prevede la trasformazione a tempo indeterminato dei rapporti a termine al superamento del 36° mese.
Analogamente, al punto 79, dopo avere accertato l’abuso, la Corte afferma:
79 Da ciò discende che, quando si è verificato un ricorso abusivo a una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso e cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione (sentenza Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 64 nonché giurisprudenza ivi citata).
Tale indicazione risulta pienamente recepita dalla recente sentenza 27363 del 23 dicembre 2014 della Corte di cassazione (Presidente Xxxxxxxxx, est. Balestrieri), in materia di precariato sanitario (infermiera professionale) dove si legge:
3.1 Il motivo è inammissibile. Ed invero, a prescindere dall’irrilevanza delle norme irretroattive e successive ai fatti per cui è causa, deve evidenziarsi che nella specie non risulta scalfita la decisione impugnata che ha ritenuto legittimi i contratti in questione, che peraltro non risultano prodotti.
Ciò già precluderebbe, invia di principio, un diritto al risarcimento dei danni.
Tuttavia, dovendo esaminarsi la questione anche sotto il profilo dell’abuso dei contratti a termine legittimi, deve in ogni caso ribadirsi che C.G.E (ordinanza Papalia, C-5013, e sentenza Carratù, C-361/12) ha chiarito che: ”L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev’essere interpretato nel senso che esso osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell’ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all’obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego, se detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, da parte del citato lavoratore, dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione.
Spetta al giudice del rinvio valutare in che misura le disposizioni di diritto nazionale volte a sanzionare il ricorso abusivo, da parte
della pubblica amministrazione, a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato siano conformi a questi principi”, rendendo effettiva la conversione dei contratti di lavoro da determinato ad indeterminato di tutti i rapporti a termine successivi con lo stesso datore di lavoro pubblico, dopo 36 mesi anche non continuativi di servizio precario, in applicazione dell’art. 5, comma 4 bis, del D.Lgs. 368/2001.
Nella specie, come sopra visto, non risulta l’illegittimità dei contratti in esame, neppure sotto il profilo dell’abuso, trattandosi di soli tre contratti a tempo determinato della durata di pochi mesi, così come in sostanza ritenuto dalla Corte di merito.
La sentenza citata, poi prosegue affermando:
3.2 per completezza espositiva, e valutato l’art. 384 cpc, deve rilevarsi che seppure la disciplina comunitaria impedisca di rendere eccessivamente difficoltoso al lavoratore illegittimamente assunto a termine da una pubblica amministrazione il diritto ad ottenere il risarcimento dei danni, nella fattispecie difetta, assorbentemente, la prova, anche presuntiva, del danno in tesi subito, dovendosi chiarire che anche in caso di illegittima assunzione a termine da parte di una pubblica amministrazione, il danno non può ritenersi in re ipsa, ma provato, secondo i principi sull’onere probatorio e dunque anche per presunzioni gravi, precise e concordanti, tali dunque da non rendere eccessivamente difficoltoso l’esercizio del diritto, da parte del lavoratore.
Nella fattispecie difetta qualsivoglia elemento o argomento di prova al riguardo, come accertato dal giudice di appello.
Dalla ricostruzione del sistema operata dall’Avvocatura nella causa Affatato, dalla Corte europea nella sentenza Xxxxxxx e dalla Corte di cassazione nella sentenza 27363/14, emerge quindi il seguente quadro:
Da un lato, la nullità del termine comporta il diritto al risarcimento del danno e la responsabilità del dirigente (nel pubblico impiego, a differenza che nel privato, dove tale evenienza comporta, invece, la conversione).
Dall’altro, opera in ogni caso la norma di cui all’art. 5 comma 4 bis: ovvero quella della durata massima. Questa norma si applica a tutti i rapporti, privati e pubblici e prevede la costituzione-trasformazione di un rapporto a tempo indeterminato al superamento del 36° mese di rapporto (a parità di mansioni, qui fuori discussione).
In altri termini, l’esclusione della trasformazione a tempo indeterminato dei contratti a termine successivi, ovvero la misura sanzionatoria monetaria, è limitata alle ipotesi di vizio genetico del termine apposto al singolo contratto (art.1, commi 1 e 2, d.lgs. n.368/2001 e/o art. 36 D.Lgs. 165/2001).
Diversamente deve farsi riferimento alla durata complessiva dei rapporti – nel qual caso, infatti, si prescinde dalla legittimità o meno del termine stesso – ovvero alla disciplina sanzionatoria “tipica” (risarcimento in forma specifica) del d.lgs. n.368/2001, cioè quella contenuta nell’art.5, che prevede al riqualificazione del rapporto superati i 36 mesi di rapporto.
Alle pronunce qui citate si aggiunga poi la recente sentenza Commissione c/ granducato del Lussemburgo del 26.02.157. In questa decisione, la Corte europea sancisce che lo Stato membro ha violato la Direttiva 1999/70, clausola 5 non avendo previsto misure di prevenzione contro la reiterazione abusiva di contratti a termine nel settore dello spettacolo.
Si noti che il Granducato, in tutti gli altri settori, prevede tutte le misure indicate nella clausola 5 (ragioni obiettive, durata massima dei contratti per due anni, numero massimo di contratti a termine: cfr. punti da 6 a 13 della sentenza) escludendo, appunto, solo i lavoratori dello spettacolo.
La Corte così rileva:
51 Sebbene, certamente, come già rilevato al punto 40 della presente sentenza, uno Stato membro sia legittimato, nel recepire la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro, a tenere in considerazione esigenze particolari di un settore specifico, tale diritto non può, però, essere inteso nel senso che consente ad esso di dispensarsi dal rispettare, nei confronti di tale settore, l’obbligo di prevedere una misura adeguata volta a prevenire e, eventualmente, a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Infatti, la circostanza di consentire a uno Stato membro di invocare un obiettivo come la flessibilità che deriva dall’utilizzo di contratti di lavoro a tempo determinato, al fine di dispensarsi da tale obbligo, contrasterebbe con uno degli obiettivi perseguiti dall’accordo quadro, rammentato ai punti 35 e 36 della presente sentenza, vale a dire la stabilità dell’impiego, concepita come un elemento portante della tutela dei lavoratori, e potrebbe anche ridurre in maniera significativa le categorie di persone che possono beneficiare delle misure di tutela previste alla clausola 5 dell’accordo quadro.
Tale essendo il contesto, sulla scorta di tali pronunce già diversi giudici di merito hanno provveduto a convertire i rapporti, tra essi il Tribunale di Napoli, in sede di rinvio dalla Corte di Giustizia, il Tribunale di Bari, con sentenza del 13.02.15, il Tribunale di Locri, con sentenza del 15.04.15.
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Tra l’altro il divieto di conversione si presenta violativo del divieto di discriminazione alla rovescia, come da pregiudiziale comunitaria che segue e sula quale ci si riserva di meglio intervenire in sede di discussione
Se la clausola 5, punti 1 e 2 e la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato stipulato il 18 marzo 1999, figurante nell’allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato in connessione con i principi generali di divieto di trattamenti discriminatori tra lavoratori transfrontalieri come sanciti, in particolare, nelle sentenze del 1° giugno 2010, BlancoPérez e ChaoGómez, C570/07 e C571/07, Racc. pag. I4629, punto 39; del 22 dicembre 2010, Omalet, C245/09, Racc. pag. I13771, punto 15, nonché del 21 giugno 2012, Xxxxxxxx e a., C84/11, punti 17 e 20, debbono essere interpretati nel senso che tali disposizioni ostano ad una normativa come quella di cui all’art. 36, commi 5, 5 ter e 5 quater del D.Lgs. 165/2001, che vieta di considerare a tempo indeterminato un rapporto di lavoro oggetto
di reiterazioni costituenti un abuso ai sensi della citata clausola 5 della Direttiva 1999/70 (sentenza Xxxxxxx del 26.11.14, C-22/13), per il sol fatto che detto rapporto risulti costituito con un ente pubblico o con una pubblica amministrazione, come ripetutamente stabilito dalla normativa nazionale (cfr. Corte di cassazione italiana, sentenza 10127/2012, punto 20 della motivazione e Corte costituzionale n. 89/2003), laddove invece la legislazione italiana, con la legge 120/1955, emessa in applicazione delle sentenze 30 maggio 1989 Allué, C-33/88 e 2 agosto 1993, Xxxxx e altri X- 000/00, X-000/00 x X-000/00, xxx xxxxxxxxxx x’Xxxxxx per la discriminazione operata nei confronti dei lettori universitari transfrontalieri, dispone l’applicazione integrale della legge 230/1962, ora sostituita dal D.Lgs. 165/2001, normative, queste ultime, che prevedono espressamente che si considera a tempo interminato il rapporto di lavoro a termine irregolare o, comunque, che superi complessivamente i 36 mesi di lavoro, ove questo sia intercorso tra i lettori universitari di altri paesi comunitari assunti dalle Università italiane, pacificamente ritenute enti pubblici, in palese violazione, per di più, dell’art. 53 della legge comunitaria 234/2012 (ma anche, in precedenza, dell’art. 14 bis legge 11/2005) che regola la parità di trattamento tra cittadini dell’Unione disponendo che: “nei confronti dei cittadini italiani non trovano applicazione norme dell'ordinamento giuridico italiano o prassi interne che producano effetti discriminatori rispetto alla condizione e al trattamento garantiti nell'ordinamento italiano ai cittadini dell'Unione europea”.
e) LA SENTENZA CARRATÙ DELLA CORTE EUROPEA
Rileva poi, in questo quadro,il nuovo testo dell’art.36 D.lgs. n.165/2001, in vigore dal 1° settembre 2013, è stato così integrato:
«5-ter. Le disposizioni previste dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 si applicano alle pubbliche amministrazioni, fermi restando per tutti i settori l'obbligo di rispettare il comma 1, la facoltà di ricorrere ai contratti di lavoro a tempo determinato esclusivamente per rispondere alle esigenze di cui al comma 2 e il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato.
5-quater. I contratti di lavoro a tempo determinato posti in essere in violazione del presente articolo sono nulli e determinano responsabilità erariale. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono, altresì, responsabili ai sensi dell'articolo 21. Al dirigente responsabile di irregolarità nell'utilizzo del lavoro flessibile non può essere erogata la retribuzione di risultato.».
Come si vede, nello stesso articolo – art.36 D.Lgs. n.165/2001 – in ben due commi è prevista, da un lato, l’applicazione del D.Lgs. n.368/2001 e, dall’altro, accanto alla mancata trasformazione in contratto a tempo indeterminato derivante dal (nuovo) comma 5-ter,anche la sanzione della
Al di là della contraddizione interna tra contratti a termine legittimi ma senza sanzione (comma 5-ter) o illegittimi e quindi nulli ma sempre senza sanzione (comma 5-quater: la responsabilità erariale e dei dirigenti non può mai scattare, senza il risarcimento del danno, che non è più previsto) – si ha la gravissima conseguenza, già evidenziata dalla Corte costituzionale nell’ordinanza 207/14 di rinvio pregiudiziale per i contratti della scuola9, che l’ordinamento interno non prevede nessuna misura idonea a prevenire gli abusi in caso di successione di contratti a tempo determinato per quanto riguarda tutto il pubblico impiego
A tal proposito occorre considerare la sentenza Xxxxxxx, resa il 12.12.13 dalla Corte europea in causa C-361/12, su una diversa questione, ovvero la verifica della compatibilità dell’art. 32 del Collegato lavoro (legge 183/2010).
In quel caso, i quesiti posti alla Corte europea dal Tribunale di Napoli erano i seguenti:
1) Se sia contrario al principio di equivalenza una disposizione di diritto interno che, nella applicazione della direttiva 1999/70/Ce preveda conseguenze economiche, in ipotesi di illegittima sospensione nella esecuzione del contratto di lavoro, con clausola appositiva del termine nulla, diverse e sensibilmente inferiori rispetto ipotesi di illegittima sospensione nella esecuzione del contratto di diritto civile comune, con clausola appositiva del termine nulla;
2) Se sia conforme all’Ordinamento europeo che, nell’ambito di sua applicazione, la effettività di una sanzione avvantaggi il datore di lavoro abusante, a danno del lavoratore abusato, di modo che la durata temporale, anche fisiologica, del processo danneggi direttamente il lavoratore a vantaggio del datore di lavoro e che
8Ivi compresi, quindi, quelli regolati dal regime di cui all’art. 35 comma 1, lett. b) che pur la Cassazione, con la sentenza n. 9555 del 22 aprile 2010 (Pres. Vidiri, rel. Xxxxx), pronunciandosi sulla vicenda dei portieri dell’Inail, aveva ritenuto soggetti alla ordinaria disciplina dei contratti a termine in ragione della loro non assoggettabilità all’obbligo del concorso di cui all’art. 97 Costituzione.
9Così si legge nella citata ordinanza:
che l’art. 4, comma 1, della legge n. 124 del 1999 – oggetto del giudizio davanti a questa Corte – nella sua parte principale, non appare censurabile, in quanto regola la tipologia di supplenze – previsione necessaria per assicurare la copertura dei posti vacanti di anno in anno – non disponendo, di conseguenza, questa norma né il rinnovo dei contratti a tempo determinato prolungati nel tempo, né l’esclusione del diritto al risarcimento del danno;
che, peraltro, detta disposizione contiene, nella proposizione finale, la previsione per cui il conferimento delle supplenze annuali su posti effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre abbia luogo «in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente non di ruolo»;
che la previsione sopra richiamata, contenuta nell’ultima proposizione del comma 1 dell’art. 4 della legge n. 124 del 1999, potrebbe configurare la possibilità di un rinnovo dei contratti a tempo determinato senza che a detta possibilità si accompagni la previsione di tempi certi per lo svolgimento dei concorsi;
che questa condizione – unitamente al fatto che non vi sono disposizioni che riconoscano, per i lavoratori della scuola, il diritto al risarcimento del danno in favore di chi è stato assoggettato ad un’indebita ripetizione di contratti di lavoro a tempo determinato – potrebbe porsi in conflitto con la citata clausola 5, punto 1, della direttiva n. 1999/70/CE;
pare evidente che la situazione preso l’ente convenuto è identica a quella scrutinata dalla Corte con riferimento al sistema scolastico.
l’efficacia ripristinatoria sia proporzionalmente ridotta all’aumentare della durata del processo, sin quasi ad annullarsi;
3) Se, nell’ambito di applicazione dell’Ordinamento europeo ai sensi dell’art 51 della Carta di Nizza, sia conforme all’art 47 della Carta ed all’art 6 Cedu che la durata temporale, anche fisiologica, del processo danneggi direttamente il lavoratore a vantaggio del datore di lavoro e che l’efficacia ripristinatoria sia proporzionalmente ridotta all’aumentare della durata del processo, sin quasi ad annullarsi;
4) Se, tenuto conto delle esplicazioni di cui all’art 3, comma 1, lett. c, della direttiva 2000/78/Ce ed all’art. 14, comma 1, lett. c, della Direttiva 2006/54/Ce nella nozione di condizioni di impiego di cui alla Clausola 4 della direttiva 1999/70/Ce siano comprese anche le conseguenze della illegittima interruzione del rapporto di lavoro;
5) In ipotesi di risposta positiva al quesito che precede, se la diversità tra le conseguenze ordinariamente previste nell’Ordinamento interno per la illegittima interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed a tempo determinato siano giustificabili ai sensi della clausola 4;
6) se i princìpi generali del vigente diritto comunitario della certezza del diritto, della tutela del legittimo affidamento, della uguaglianza delle armi del processo, dell’effettiva tutela giurisdizionale, a un tribunale indipendente e, più in generale, a un equo processo, garantiti dall’art. 6, n. 2, del Trattato sull’Unione europea (così come modificato dall’art. 1.8 del Trattato di Lisbona e al quale fa rinvio l’art. 46 del Trattato sull’Unione) – in combinato disposto con l’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e con gli artt. 46, 47 e 52, n. 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, come recepiti dal Trattato di Lisbona – debbano essere interpretati nel senso di ostare all’emanazione da parte dello Stato italiano, dopo un arco temporale apprezzabile (9 anni), di una disposizione normativa, quale il comma 7 dell’art 32 della legge n. 183/10 alteri le conseguenze dei processi in corso danneggiando direttamente il lavoratore a vantaggio del datore di lavoro e che l’efficacia ripristinatoria sia proporzionalmente ridotta all’aumentare della durata del processo, sin quasi ad annullarsi;
7) ove la Corte di Giustizia non dovesse riconoscere ai principi esposti la valenza di principi fondamentali dell’Ordinamento dell’Unione europea ai fini di una loro applicazione orizzontale e generalizzata e quindi la sola una contrarietà di una disposizione, quale l’art 32, commi da 5 a 7, della legge n. 183/10 agli obblighi di cui alla direttiva 1999/70/Ce e della Carta di Nizza se una società, quale la convenuta, avente le caratteristiche di cui ai punti da 55 a 61 debba ritenersi organismo statale, ai fini della diretta applicazione verticale ascendente del diritto europeo ed in particolare della clausola 4 della direttiva 1999/70/Ce e della Carta di Nizza.
La soluzione adottata dalla Corte europea è interessante anche ai nostri fini.
Si legge infatti nella citata decisione:
46 Ciò nondimeno va precisato che la clausola 8, punto 1, dell’accordo quadro dispone che «[g]li Stati membri e/o le parti sociali possono mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli per i lavoratori di quelle stabilite nel presente accordo».
47 Più specificamente, se la formulazione della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro non consente di ritenere che l’indennità che sanziona l’illecita apposizione di un termine ad un contratto di lavoro e quella corrispondente all’interruzione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato si riferiscano a lavoratori che si trovano in situazioni comparabili, dal combinato disposto delle summenzionate clausole 4, punto 1, e 8, punto 1, risulta che queste legittimano gli Stati membri che lo desiderino a introdurre disposizioni più favorevoli ai lavoratori a tempo determinato e, pertanto, ad assimilare, in un’ipotesi come quella in discussione nel procedimento principale, le conseguenze economiche della illecita conclusione di un contratto di lavoro a tempo determinato a quelle che possono derivare dalla illecita interruzione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Proprio in considerazione di tale ragionamento la Corte europea ritiene, al punto 49 che considerata la soluzione fornita alla quarta e alla quinta questione, non è necessario pronunciarsi sulle questioni prima, seconda, terza e sesta, che, appunto, riguardavano la applicazione retroattiva della norma e sulle quali, dunque, al Corte europea avrebbe dovuto pronunciarsi se non avesse già risolto la questione nei termini qui indicati.
Infatti, leggendo la motivazione della CGUE, pare evidente che, poiché il legislatore aveva provveduto, in linea del resto con i principi generali del diritto civile, a regolamentare in modo sostanzialmente identico le conseguenze in caso licenziamento e di cessazione di contratto a termine illegittimo, la relativa disciplina viene automaticamente “coperta” dalla clausola 4 e la nuova normativa di cui all’art. 32 del Collegato lavoro non può, quindi, essere applicata dal giudice nazionale in quanto costituisce un peggioramento del livello di tutela precedentemente garantito dall’ordinamento e, come tale, contrario ai principi della Direttiva.
f) ULTERIORI CONFERME DELL’APPLICABILITÀ DELL’ART. 5 COMMA 4 BIS
Si riporta di seguito il testo dell’art. 5 comma 4 bis D.Lgs. 368/2001, come modificato dal D.L. 25 giugno 2008 n. 112 e prima delle modifiche del 2011 e del 2013, si cui si tratterà oltre:
4-bis. Ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti e fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni
10V. comunque, infra, la subordinata istanza di rimessione alla Corte costituzionale.
equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi del comma 2; ai fini del computo del periodo massimo di trentasei mesi si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti, svolti fra i medesimi soggetti, ai sensi del comma 1-bis dell’articolo 1 del presente decreto e del comma 4 dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, inerente alla somministrazione di lavoro a tempo determinato. In deroga a quanto disposto dal primo periodo del presente comma, un ulteriore successivo contratto a termine fra gli stessi soggetti può essere stipulato per una sola volta, a condizione che la stipula avvenga presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio e con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale stabiliscono con avvisi comuni la durata del predetto ulteriore contratto. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché nel caso di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, il nuovo contratto si considera a tempo indeterminato.
Il comma 4 ter della stessa legge prevede innanzi tutto espressamente un’ipotesi di esenzione dell’applicazione del comma 4 bis che non riguarda la P.A. (attività stagionali definite dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963 n. 1525 …., nonché di quelle che saranno individuate dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle Organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative): il legislatore quindi, quando ha ritenuto di escludere l’applicazione della misura della conversione automatica per il decorso della durata massima lo ha fatto esplicitamente.
Occorre poi considerare che il legislatore, contestualmente alla modifica dell’art. 5, con l’introduzione del comma 4 bis, ha contemporaneamente modificato l’art. 36 del D.Lgs. 165/2001 con la legge n. 244, sempre del 24 dicembre 2007, disponendo il divieto assoluto di procedere alla stipula ed al rinnovo di contratti a termine.
Il testo, come modificato dalla ricordata norma di legge (art. 3 comma 79) era il seguente:
1. Le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato e non possono avvalersi delle forme contrattuali di lavoro flessibile previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa se non per esigenze stagionali o per periodi non superiori a tre mesi fatte salve le sostituzioni per maternità relativamente alle autonomie territoriali. Il provvedimento di assunzione deve contenere l’indicazione del nominativo della persona da sostituire.
2. In nessun caso è ammesso il rinnovo del contratto o l’utilizzo del medesimo lavoratore con altra tipologia contrattuale.
3. Le amministrazioni fanno fronte ad esigenze temporanee ed eccezionali attraverso l’assegnazione temporanea di personale di altre amministrazioni per un periodo non superiore a sei mesi, non rinnovabile.
4. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 non possono essere derogate dalla contrattazione collettiva.….
6. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l’obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. Le amministrazioni pubbliche che operano in violazione delle disposizioni di cui al presente articolo non possono effettuare assunzioni ad alcun titolo per il triennio successivo alla suddetta violazione.
7. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano agli uffici di cui all’articolo 14, comma 2, del presente decreto, nonché agli uffici di cui all’articolo 90 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Sono altresì esclusi i contratti relativi agli incarichi dirigenziali ed alla preposizione ad organi di direzione, consultivi e di controllo delle amministrazioni pubbliche, ivi inclusi gli organismi operanti per le finalità di cui all’articolo 1 della legge 17 maggio 1999, n. 144.
8.( …)
9. Gli enti locali non sottoposti al patto di stabilità interno e che comunque abbiano una dotazione organica non superiore alle quindici unità possono avvalersi di forme contrattuali di lavoro flessibile, oltre che per le finalità di cui al comma 1, per la sostituzione di lavoratori assenti e per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto, sempreché nel contratto di lavoro a termine sia indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione.
10. Gli enti del Servizio sanitario nazionale, in relazione al personale medico, con esclusivo riferimento alle figure infungibili, al personale infermieristico ed al personale di porto alle attività infermieristiche, possono avvalersi di forme contrattuali di lavoro flessibile, oltre che per le finalità di cui al comma 1, per la sostituzione di lavoratori assenti o cessati dal servizio limitatamente ai casi in cui ricorrano urgenti e indifferibili esigenze correlate alla erogazione dei livelli essenziali di assistenza, compatibilmente con i vincoli previsti in materia di contenimento della spesa di personale dall’articolo 1, comma 565, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
11. Le pubbliche amministrazioni possono avvalersi di contratti di lavoro flessibile per lo svolgimento di programmi o attività i cui oneri sono finanziati con fondi dell’Unione europea e del Fondo per
le aree sottoutilizzate. Le università e gli enti di ricerca possono avvalersi di contratti di lavoro flessibile per lo svolgimento di progetti di ricerca e di innovazione tecnologica i cui oneri non risultino a carico dei bilanci di funzionamento degli enti o del Fondo di finanziamento degli enti o del Fondo di finanziamento ordinario delle università. Gli enti del Servizio sanitario nazionale possono avvalersi di contratti di lavoro flessibile per lo svolgimento di progetti di ricerca finanziati con le modalità indicate nell’articolo 1, comma 565, lettera b), secondo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. L’utilizzazione dei lavoratori, con i quali si sono stipulati i contratti di cui al presente comma, per fini diversi determina responsabilità amministrativa del dirigente e del responsabile del progetto. La violazione delle presenti disposizioni è causa di nullità del provvedimento.
Come si vede, la modifica operata dal legislatore del 2007 all’art. 36 del D.Lgs. 165/2001 non può che essere interpretata in connessione con l’introduzione dell’art. 5 comma 4 bis.
La versione dell’art. 36 dell’epoca era infatti collegata all’introduzione del limite dei 36 mesi (e della conseguente conversione); diversamente non avrebbe avuto senso che venisse improvvisamente vietata la stipulazione di contratti a termine, salvo che per esigenze eccezionali, e venisse altresì introdotto il divieto della loro proroga e, in particolare, della reiterazione dell’assunzione, sotto qualsiasi forma flessibile, dello stesso lavoratore.
Il collegamento tra le due norme è poi ancor più chiaro dove si consideri che con il D.L. 112 del 2008, il comma 3 dell’art. 36 è stato sostituito con il seguente:
3. Al fine di evitare abusi nell’utilizzo del lavoro flessibile, le amministrazioni, nell’ambito delle rispettive procedure, rispettano principi di imparzialità e trasparenza e non possono ricorrere all’utilizzo del medesimo lavoratore con più tipologie contrattuali per periodi di servizio superiori al triennio nell’arco dell’ultimo quinquennio.
Infine, con la (ulteriore) modifica operata sull’art. 36 da parte dell’art. 17 L. 109/2009, è stato inserito il comma 5 bis allo stesso art. 36 che recita:
5-bis. Le disposizioni previste dall’articolo 5, commi 4-quater, 4- quinquies e 4-sexies del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 si applicano esclusivamente al personale reclutato secondo le procedure di cui all’articolo 35, comma 1, lettera b), del presente decreto.
Dunque, nel coordinamento tra l’art. 5 del D.Lgs. 368/2001 e l’art. 36 del D.Lgs. 165/2001, il legislatore ha escluso unicamente la operatività di alcune delle disposizioni dell’art. 5 D.Lgs. 368/01, tra le quali non figura il comma 4 bis che risulta quindi pienamente applicabile al pubblico impiego.
L’applicabilità è poi confermata dai successivi interventi legislativi.
L’art. 1 del D.Lgs. 124/1999, come modificato dal D.L. 134/09, convertito con modificazioni dalla legge di conversione 167/2009, dispone che:
I contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze previste dai commi 1, 2 e 3, in quanto necessari per
garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo, possono trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato solo nel caso di immissione in ruolo, ai sensi delle disposizioni vigenti e sulla base delle graduatorie previste dalla presente legge e dall’articolo 1, comma 605, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n.296, e successive modificazioni.
Pare evidente che le regole per la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato nel settore scuola vengono dettate dal legislatore del 2009 al solo scopo di evitare l’applicazione dell’art. 5 comma 4 bis.
Se così non fosse la norma si presenterebbe del tutto inutile, ove si volesse ritenere che il divieto di conversione, anche in caso si superamento dei 36 mesi, fosse comunque già stato vietato dall’art. 36 del D.Lgs. 165/2001.
Ma se ancora risultasse qualche dubbio sul punto, è sufficiente leggere l’art. 2, comma 6, del D.L. 225/2010, relativo alla disciplina degli addetti agli uffici immigrazione, che dispone:
Per garantire l’operatività degli sportelli unici per l’immigrazione nei compiti di accoglienza e integrazione e degli uffici immigrazione delle Questure nel completamento delle procedure di emersione del lavoro irregolare, il Ministero dell’interno, in deroga alla normativa vigente, è autorizzato a rinnovare per un anno i contratti di lavoro di cui all’articolo 1, comma 1, dell’ordinanza del Presidente del Consiglio 29 marzo 2007, n. 3576. Ai fini di cui al presente comma non si applica quanto stabilito dall’articolo 5 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, dall’articolo 1, comma 519, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e dall’articolo 3, comma 90, della legge 24 dicembre 2007, n. 244. Agli oneri derivanti dal presente comma, pari a 19,1 milioni di euro per l’anno 2011, si provvede ai sensi dell’articolo 3.
Ed infine (ma certamente ci sarà sfuggita qualche altra norma) il recente, ennesimo, intervento nel settore scuola, costituito dall’art. 9, comma 18, del D.L. n. 70 del 13.7.2011:
18. All’art. 10 del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, dopo il comma 4 è aggiunto il seguente: “4 bis. Stante quanto stabilito dalle disposizioni di cui all’art. 40, comma 1 della legge 27 dicembre 1997 n. 449, e successive modificazioni, all’art. 4, comma 14 bis, della legge 3 maggio 1999 n. 124 e all’art. 6, comma 5, del Decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, sono altresì esclusi dall’applicazione del presente decreto i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA, considerata la necessità di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso doi assenza temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato. In ogni caso non si applica l’art. 5 comma 4 bis del presente decreto.
Ora, chiunque comprende come la necessità di precisare, dopo avere disposto l’inapplicabilità tout court di tutto il D.Lgs. 368/2001 al settore scuola che “in ogni caso” non si applica l’art. 5 comma 4 bis, non fa altro che confermare che una cosa è l’ipotesi generale di divieto di conversione conseguente all’illegittimità del termine apposto al contratto, altra è quella prevista dall’art. 5 comma 4 bis.
Tale ultima norma, infatti, come già si è rilevato, prescinde dalla validità o meno del – o dei – contratti a termine e, dunque, è ipotesi che opera su un piano diverso dal divieto di conversione dell’art. 36 del D.Lgs. 165/2001 che, invece, lega il divieto alla violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte della pubblica amministrazione.
Nel solco di tali inequivocabili provvedimenti si inseriscono ulteriori comportamenti dello Stato italiano e della sua amministrazione che pare opportuno versare in causa.
Rilevanti sono, innanzi tutto, la fattispecie delle Agenzie dei segretari comunali11: in quel settore infatti, su specifica indicazione della Funzione pubblica, in data 21.12.2009 le parti sociali raggiungevano un accordo ai sensi, appunto, dell’art. 5 comma 4 bis del Decreto legislativo 368/2001, autorizzando la proroga dei contratti in corso con gli assunti a termine in deroga, a loro dire, della previsione della trasformazione automatica del contratto a tempo indeterminato, proroga dei contratti in effetti poi concordata individualmente (doc. 4).
A loro dire, si specificava, perché in realtà, l’”accordo” è di dubbia validità al fine indicato, ma la questione non è qui rilevante.
Interessa, invece, che la ricognizione del quadro legislativo fatta dalla Amministrazione statale, come risultante dalla citata nota 21.12.2009 (doc. 5), e dalle parti sociali è chiarissima: l’art. 5 comma 4 bis si applica de plano ai rapporti di lavoro pubblici, con la conseguenza che, per evitare la conversione automatica del rapporto occorre una specifica deroga da parte della contrattazione collettiva.
A tale atto segue poi addirittura un accordo sindacale raggiunto dall’ARAN (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni italiane) che è l’organo istituzionale che sigla i contratti collettivi di comparto nel settore del pubblico impiego.
Tale ente, infatti, ha espressamente raggiunto un accordo, in data 29.09.2010 (doc. 6), con le Organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative in applicazione dell’art. 5 comma 4 bis, finalizzato a non conteggiare l’ulteriore proroga del proprio personale ai fini del raggiungimento del periodo di 36 mesi previsto dalla norma.
A ciò si aggiunge il Comune di Milano, il quale ha stipulato nel febbraio 2012 un accordo sindacale,- doc. 7- (peraltro siglato da una sola delle tre XX.XX. maggiormente rappresentative, unitamente ad un piccolo sindacato autonomo) in applicazione di un’intesa quadro raggiunta nel dicembre 2011 (doc. 8). Accordo con il quale, in applicazione della prima parte dell’art. 5 comma 4 bis del decreto legislativo 368/2001, si dispone che i 36 mesi previsti dalla norma per la trasformazione automatica del rapporto a tempo indeterminato vanno conteggiati con riferimento ai contratti a termine conclusi a seguito di apposito concorso, mentre non si conteggiano, al fine del raggiungimento dei 36 mesi i contratti stipulati in forza di una graduatoria redatta sulla base di un successivo concorso/selezione.
Pare evidente lo scopo dell’accordo: all’approssimarsi del raggiungimento dei 36 mesi è sufficiente che il comune di Milano disponga l’effettuazione di un altro concorso e le successive assunzioni non sono sommabili a quelle precedenti. E così via all’infinito sterilizzando, di fatto, la norma in questione e rendendo priva di effettività la misura preventiva imposta agli Stati membri dalla clausola 5 della direttiva. Tanto senza riferimento alcuno
11Ente recentemente accorpato al Ministero degli Interni in sede di conversione del Decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010.
alla specificità del settore che, ai sensi della clausola 2, punto 2 della Direttiva legittimerebbe, in ipotesi, la sua non applicazione.
Pare qui sufficientemente chiaro come non si possa prescindere da tali atti e comportamenti delle amministrazioni dello Stato italiano, centrali e locali, che si muovono inequivocabilmente nel senso dell’applicazione dell’art. 5 comma 4 bis, con la conseguente, necessaria conseguenza della conversione, in omaggio al disposto dell’art. 97 Costituzione il quale prevede l’obbligo del concorso salvi i casi previsti dalla legge (appunto, l’art. 5 comma 4 bis)12.
A ciò si aggiunga che il quadro legislativo e giurisprudenziale, nazionale ed europeo, che si è descritto rende dubbia l’applicabilità o meno della normativa che vieta la conversione, almeno in ipotesi di reiterato abuso nella successione dei contratti, con la conseguenza che il giudice nazionale ben può motivare la decisione di applicare l’art. 5 comma 4 bis, anche in connessione con il comma 01 del D.Lgs. 368/200113 e l’art. 1344 cod. civ14., decidendo, ai sensi dell’art. 12 preleggi, con riferimento a casi analoghi e, comunque, applicando i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato, qui legittimamente interpretato in conformità dei principi comunitari oramai stabilmente definiti dalla Corte europea, con una serie ininterrotta di sentenze rese con riferimento alla situazione italiana15, di cui la Xxxxxxx pare essere l’ultimo atto, venendo così a costituire lo iussuperveniens da prendere a base per la decisione, come ritenuto dalla Corte costituzionale16.
La quale, peraltro, nella sentenza 81/1983 (Pres. Xxxx - Xxx. Xxxxxxxxx) aveva avuto già modo di osservare come:
3. - Quanto alla prima osserva la Corte che non può negarsi al legislatore un'ampia discrezionalità nello scegliere i sistemi e le procedure per la costituzione del rapporto di pubblico impiego e per la progressione in carriera; il limite a questa discrezionalità è
12Come è noto la giurisprudenza costituzionale afferma che tali casi debbono consistere in eventi particolari ed eccezionali debitamente motivati dal legislatore: a noi pare che quanto già cennato, circa l’esigenza di adeguare l’ordinamento nazionale a quello europeo, con l’incombenza anche di vari procedimenti da parte dalla Commissione europea, costituisca un caso, appunto, particolare ed eccezionale.
13“01. Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro.”: il comma citato, circa la cui applicabilità anche al pubblico impiego è fuori di dubbio, dovrà pur avere una ragione, ovvero che, in presenza di determinate condizioni, il rapporto fittiziamente a termine, ma sostanzialmente utilizzato per esigenze stabili e permanenti, si converte inevitabilmente a tempo indeterminato.
14Cfr., sul punto, la Cass. 61/2015 (Peres. Stile, est. Xxxxx) sul lavoro marittimo, resa a seguito della sentenza Fiamingo della Corte europea, su cui si tornerà infra.
15 Ivi compresa Poste italiane spa, che nella sentenza Carratù del 13.12.13 (in causa C- 361/13)è stata equiparata allo Stato italiano. Su tale pronuncia si veda su tale pronuncia si veda X. Xx Xxxxxxx: La sentenza “integrata” Carratù-Papalia della Corte di giustizia sulla tutela effettiva dei lavoratori pubblici precari, cit.
16 Si veda Corte costituzionale 252/2006: … che, ad oltre un anno dall'ordinanza di rimessione e dalle rispettive memorie di costituzione delle parti nel giudizio, è intervenuta la sentenza della Corte di giustizia 22 novembre 2005, in causa n. C-144/04, che, nel fornire una lettura complessiva della direttiva in questione, descrivendone l'ambito di applicazione, ha affermato che «una reformatio in pejus della protezione offerta dalla legislazione nazionale ai lavoratori nel settore dei contratti a tempo determinato non è, in quanto tale, vietata dall'accordo quadro quando non sia in alcun modo collegata con l'applicazione di questo» (punto 52 della motivazione);che, pertanto è necessario restituire gli atti al rimettente, al precipuo fine di consentirgli la soluzione del problema interpretativo alla luce della sopravvenuta sentenza della Corte di giustizia, la quale - in ragione della sua natura - assume nella fattispecie valore di xxxxxxxxxxxxxxx (ordinanze numeri 241 del 2005, 125 del 2004 e 62 del 2003, tra le più recenti).
dato essenzialmente dall'art. 97, primo comma, Cost., dal quale discende la necessità che le norme siano tali da garantire il buon andamento della P.A.; il che, per quanto attiene al momento della costituzione del rapporto d'impiego, consiste nel far sì che nella
P.A. siano immessi soggetti i quali dimostrino convenientemente la loro generica attitudine a svolgere le funzioni che vengono affidate a chi deve agire per la P.A. e, per quanto attiene alla progressione, consiste nel valutare congruamente e razionalmente la attività pregressa del dipendente, sì da trarne utili elementi per ritenere che egli possa bene svolgere anche le funzioni superiori.
A tal fine lo stesso art. 97, terzo comma, ritiene che il sistema preferibile per la prima ammissione in carriera, e cioè per l'accertamento della predetta generica attitudine sia quello del pubblico concorso: ma non lo eleva a regola assoluta, lasciando libero il legislatore di adottare sistemi diversi, purché anch'essi congrui e ragionevoli in rapporto al fine da raggiungere ed all'interesse da soddisfare.
g) SULLA SPECIFICA DISCIPLINA DEGLI ENTI LOCALI
E’ certamente pacifico che la gran parte dei contratti a termine in essere presso gli enti locali siano finalizzati alla copertura di posizioni lavorative stabili e permanenti, anche in considerazione dei reiterati blocchi delle assunzioni a concorso nel settore17, dove però, ai sensi dell’art. 36 del D.Lgs. 165/2001, le amministrazioni locali devono fare assunzioni a tempo determinato solo tramite procedure concorsuali18 e laddove poi la conversione di tali rapporti è inibita, paradossalmente, proprio per l’asserito mancato superamento di un concorso da parte degli interessati.
Sicché, in applicazione di tale complessa e caotica situazione normativa, si è di fatto concretizzata anche in questo caso l’ipotesi esaminata dalla Corte europea di un abuso nella reiterazione dei contratti a termine, con la conseguente necessaria applicazione delle misura sanzionatorie finalizzate
17 Con riferimento al comparto delle Regioni e degli enti locali, negli ultimi anni e in particolare con le modifiche contenute nel DL 78/2010, il legislatore ha irrigidito i limiti in materia di personale con l’intento di assicurare maggiori e strutturali risparmi di spesa. Anche in probabile contrasto con la giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di coordinamento di finanza pubblica, il legislatore non si è preoccupato solo di fissare un limite alla spesa complessiva di personale, concetto sempre più ampliato dalle ultime disposizioni, ma ha fissato vincoli di spesa puntuali, come con il riferimento per le regioni al comma 28 dell'art. 9 del DL 78/2010 in materia di contenimento al costo dei contratti di lavoro flessibili (il 50% della spesa sostenuta nell'anno 2009) oppure con il comma 7 dell'art. 76, ove si prevede che la spesa per il personale per gli enti sottoposti al Patto di stabilità non possa superare il 40 per cento della spesa corrente e che nel rispetto di tale limite è possibile procedere ad assunzioni di personale entro il 20 per cento della spesa equivalente alle cessazioni. Tale limite del 20 per cento voluto dal legislatore per controllare in particolare le assunzioni a tempo indeterminato e quindi la spesa strutturale riduce fortemente l'autonomia organizzativa degli enti locali e trova un'esplicita deroga solo con riferimento alle assunzioni del personale di polizia locale in caso di rispetto di un rapporto più virtuoso, del 35 per cento, tra spesa per il personale e spesa corrente. Permane per gli enti non sottoposti al Patto di stabilità l'obbligo di rispettare il comma 562 dell'art. 1 della legge 296/2006, al quale si aggiunge il tetto complessivo di spesa per il personale limitato al 40 per cento della spesa corrente. Permane infine il divieto di assunzione assoluto sia in caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno sia in caso di superamento del tetto di spesa del personale sulla spesa corrente del 40 per cento, di cui all'art. 76, comma 7, del DL 112/2008.
18 Salvo attingere alle loro graduatorie vigenti per concorsi pubblici a tempo indeterminato, ovvero ricoprire i posti disponibili, nei limiti della propria dotazione organica, utilizzando gli idonei delle graduatorie di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni del medesimo comparto di contrattazione. Inoltre, ai sensi dell'articolo 3, comma 61, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, le medesime amministrazioni pubbliche, possono utilizzare le graduatorie di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni, previo accordo tra le amministrazioni interessate.
all’eliminazione definitiva delle conseguenze dell’abuso, per parafrasare l’espressione della Corte europea utilizzata nella sentenza Xxxxxxx.
Ed infatti risulta che gran parte degli enti locali non abbiano proceduto alla indizione dei concorsi per coprire i posti vacanti in organico, continuando ad utilizzare, nonostante la normativa lo vieti esplicitamente19, il personale a termine per periodi che superano certamente i 36 mesi, giungendo anche a decenni: in tal senso, il caso di Xxxxx Xxxxxxx00 - direttore della banda municipale di Aosta, restato in servizio per 29 anni e sei mesi e poi cacciato dopo che, avendo lavorato per sei giorni dopo la scadenza del contratto, il comune decise di non rinnovarlo - non costituisce affatto un caso isolato, unendo così idealmente il paese da nord a sud, visto cheproprio in Sicilia, dove vi è una delle più alte percentuali di precariato pubblico, è dal 1952 che non viene effettuato alcun concorso21.
Anche qui è quindi ipotizzabile, come del resto si è visto, che il giudice possa ritenere che la misura sanzionatoria finalizzata alla rimozione degli effetti dell’abuso sia la trasformazione del rapporto.
*
Né osta, a tale soluzione la specifica normativa in tema di enti locali, recentemente rivitalizzata da un parte della giurisprudenza della Corte di cassazione.
19 L’art. 36 del D.Lgs. 165/2001 prevede il ricorso ai contratti flessibili solo ed esclusivamente per ragioni “temporanee od eccezionali Ovvero “temporanee ed eccezionali” sino all’approvazione dell'art. 4, comma 1, lett. a) e a-bis), D.L. 31 agosto 2013, n. 101, “se non per esigenze stagionali o per periodi non superiori a tre mesi, fatte salve le sostituzioni per maternità relativamente alle autonomie territoriali” nel testo in vigore dal 1 gennaio 2008 al
24 giugno 2008 e “secondo i contratti collettivi” nel testo precedente. Il ccnl Enti locali dell’epoca (14.09.2000), all’art. 7, prevedeva che:
In applicazione e ad integrazione di quanto previsto dalla legge n.230/1962 e successive modificazioni e dall’art.23, comma 1, della legge n.56/1997, gli enti possono stipulare contratti individuali per l’assunzione di personale a tempo determinato nei seguenti casi:
a) per la sostituzione di personale assente con diritto alla conservazione del posto, ivi compresi i casi di personale in distacco sindacale e quelli relativi ai congedi previsti dagli articoli 4 e 5 della legge n.53/2000; nei casi in cui si tratti di forme di astensione dal lavoro programmate (con l’esclusione delle ipotesi di sciopero), l’assunzione a tempo determinato può essere anticipata fino a trenta giorni al fine di assicurare l’affiancamento del lavoratore che si deve assentare;
b) per la sostituzione di personale assente per gravidanza e puerperio, nelle ipotesi di astensione obbligatoria e facoltativa previste dagli articoli 4, 5, 7 della legge n.1204/1971 e dagli articoli 6 e 7 della legge n.903/1977, come modificati dall’art.3 della legge n.53/2000; in tali casi l’assunzione a tempo determinato può avvenire anche trenta giorni prima dell’inizio del periodo di astensione;
c) per soddisfare le esigenze organizzative dell’ente nei casi di trasformazione temporanea di rapporti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, per un periodo di sei mesi;
d) per lo svolgimento di attività stagionali, nell’ambito delle vigenti disposizioni;
e) per soddisfare particolari esigenze straordinarie, anche derivanti dall’assunzione di nuovi servizi o dall’introduzione di nuove tecnologie, non fronteggiabili con il personale in servizio, nel limite massimo di nove mesi;
f) per attività connesse allo svolgimento di specifici progetti o programmi predisposti dagli enti, quando alle stesse non sia possibile far fronte con il personale in servizio,nel limite massimo di dodici mesi;
g) per la temporanea copertura di posti vacanti nelle diverse categorie, per un periodo massimodi otto mesi e purché siano avviate la procedure per la copertura dei posti stessi
La norma, ancorché superata dal D.Lgs. 368/2001, è stata richiamata in tutti i ccnl successivi.
20 Si veda, in questo settore: xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxx-xx-xxxxxxxxx-xx---xx- pronunce-carratu-e-papalia.html.
21 Come dichiarato nel convegno "Posto fisso o posto variabile ?" organizzato dall’Agi Sicilia a Messina il 22 novembre 2014 dal rappresentante della Presidenza della Regione Siciliana, xxxx. Xxxxxxx Xxxxxx, nella sua relazione storica sulla normativa di questa regione.
Ci riferiamo, in particolare, alla legge 702 del 1978 che impone l’assunzione tramite concorso per i comuni, per le loro aziende e consorzi unicamente a mezzo di concorso pubblico e ritenuta, da Cass. 19112/2014 (Pres. Xxxxx Xxxxxxxx, est. Berrino), tuttora in vigore in quanto non abrogata dal D.lgs. 368/2001, con la conseguenza che la pretesa obbligatorietà del concorso, comporterebbe l’applicazione del divieto di conversione di cui all’art. 36 del D.Lgs. 165/2001.
A questa pronuncia si aggiungono le recenti sentenze della Corte di appello di Genova22 che ritengono applicabile l’art. 18, comma 2 bis del D.L. 112/2008, che impone alle società che gestiscono servizi pubblici locali e comunque a tutte quelle a partecipazione o controllo pubblico, di procedere alle assunzioni di personale a mezzo di procedure selettive, richiamando l’art. 35, comma 3, del D.Lgs. 165/200123.
Senza contare le ordinanze della Suprema Corte24 che rimettono alle Sezioni unite la questione della convertibilità dei rapporti costituiti con gli Enti pubblici siciliani – discusse da chi scrive all’udienza del 19 dicembre 2014 e decise con sentenza 4685/15 (Pres. Xxxxxxx, est. Mammone) - in assenza di una norma nazionale ma unicamente sul presupposto di alcune norme regionali25 e degli statuti degli enti pubblici economici che impongono lo svolgimento di un concorso per le assunzioni, ripetiamo: concorsi che non si sono mai fatti da oltre cinquant’anni.
A parte l’opinabilità della ritenuta vigenza della legge 702/197826, soprattutto con riferimento alle aziende ed ai consorzi, ovvero soggetti che operano sul libero mercato, resta che la normativa e la giurisprudenza citate non sembrano comunque attenere alla fattispecie dell’abuso (che superi i 36 mesi), essendo incentrate più sulla ritenuta nullità del singolo contratto a termine, sicché in ipotesi di reiterato utilizzo dei contratti a termine in assenza di ragioni oggettive, dovrà ritenersi operante la conversione quale misura sanzionatoria.
Inoltre la normativa a cui si è fatto cenno è, sostanzialmente, analoga a quella di cui all’art. 36 del D.Lgs. 165/2001, sicché vale qui quanto sino detto circa il superamento del divieto di conversione nel pubblico impiego in generale, dopo la pronuncia xxxxxxx e la cassazione 27363/2014.
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22 Tra le tante: Corte appello Genova 29 novembre 2014, Pres. De Angelis, est. Aicardi.
23 Per il vero, sul punto si era espressa in modo difforme Cass. 18 ottobre 2013 n. 23702 (Pres. Xxxxxxx, rel. Berrino) sulle farmacie comunali di Grosseto.
24 Una per tutte: Cass. 21831 del 15.10.2014, Pres. Vidiri, est. Patti.
25 Che non sembrerebbero consentire il divieto di conversione stabilito dal D.Lgs. 368/2001, posto che l’art. 17 dello Statuto della Regione siciliana limita la podestà legislativa regionale nel settore lavoro e previdenza nel rispetto dei minimi stabiliti dalla legge dello Stato. E non vi è dubbio che la stabilizzazione del rapporto è la protezione più intensa che possa essere riconosciuta ad un lavoratore precario (così Corte costituzionale 303/2001, punto 3.3.1. della motivazione). In tal senso di veda anche la nota sentenza “comunitaria” 18925/2008 (Pres. Mattone, est. Nobile). Del resto gli enti pubblici economici non rientrano neppure tra i destinatari del D.Lgs. 165/2001, ex art. 1 comma 2 del decreto.
26 Che, ad avviso di chi scrive è certamente venuta meno in forza del combinato disposto di cui all’art. 10 del D.Lgs. 368/2001 (che ha disposto l’abrogazione di ogni norma incompatibile in tema di contratto a termine) e dell’art.1, comma 2 del D.Lgs. 165/2001 (dove sono individuate le pubbliche amministrazioni a cui si applica l’art. 36 dello stesso decreto che vieta la conversione: tra queste non vi sono gli enti pubblici economici). Entrambe le norme sono state ripetutamente modificate con l’inserimento di settori a cui estendere il divieto di conversione (scuola, asili nido, enti ricerca, ecc.).