FEDERICO MARIA GIULIANI
XXXXXXXX XXXXX XXXXXXXX
Simulazione e fisco
(sotto la specie dell’imposizione sui redditi) tra diritto civile e diritto tributario
SOMMARIO: 1. Premessa. – PARTE PRIMA: LO SCRUTINIO
GIURISPRUDENZIALE: 2. Piano del lavoro. - 3. Meri fatti come dati imprescindibili da isolarsi previamente: “ossimori” del dividend stripping. - 4. Segue: saggio di deporto nel dividend washing.- 5. Segue: diritti di sfruttamento della immagine ed e(s)tero-destinazione dei compensi.- 6. Segue: omessa consegna occulta nel leasing e leaseback anomalo. Costi e ricavi spropositati. “Tangenti” travestite. Ostensioni e nascondimenti ulteriori.- 7. Fattispecie e argomenti giudiziali sull’usufrutto azionario e sull’omonimo pronti contro termine: inapplicabilità dell’art. 37-bis.- 8. Segue: diritto reale di godimento e sua cessione non turbati dagli “ossimori” negoziali.- 9. Segue: assenza di sostituzione di redditi e, ancora, d’interposizione fittizia di persona. Rinvio finale.- 10. Caso Maradona: una sentenza emblematica e un ripiegamento in appello. Rinvio.- 11. Altri assunti (giudiziali) per altri fingimenti.-
12. Fallacie logiche (di collegi e commentatori) su dividend stripping e dividend washing: negozio voluto.- 13. Segue: negozio vero e scopo conforme alla causa (critica).- 14. Segue: apparenza che non c’è e verità cartolare che c’è (critica).- 15. Segue: contratto non aleatorio e suo scopo finanziario (critica).- 16. Segue: collegamento non simulabile (critica).- 17. Schiarimenti e discrimina su fingimenti ulteriori: esame del leasing “fantasma” e critica sul leaseback che viola l’art. 2744 c.c.- 18. Segue: inquadramento dogmatico di talune dichiarazioni non prescrittive, alla luce della essenza della simulazione.- 19. Segue: altre dichiarazioni false, ma con simulazioni sottostanti. Il soi disant compenso agli amministratori-soci (critica).- 20. Segue: impresa occulta e società occulta. Critica (circostanziata) sulle società di fatto. – PARTE SECONDA: LA TEORESI: 21. Simulazione verso il Fisco, senza fallacie volontaristiche, nel plesso della interpretazione. Linguaggio e categorie.- 22. Fallacie descrittivistiche (critica). Rilevanza del metodo. Emersione degli interessi.- 23. Simulazione come Aufhebung della contraddizione testuale, oltre che come annullamento delle contraddizioni volontaristiche e dichiarazionistiche. Simulazione e nomen juris.- 24. Azione ordinaria di simulazione esercitata dal Fisco: situazioni soggettive protette dall’art. 1415, comma 2, c.c. e interesse ad agire (critica parziale sull’interesse).- 25. Segue: dalla struttura propria alla carenza funzionale.- 26. Negozio simulato e accertamento officioso: il prevalere della realtà effettiva e la esigenza di effettività (critica e chiarimento). Centralità dell’art. 1415 cpv. c.c. e logica della rilevanza reddituale fra le irrilevanti patologie negoziali.- 27. Segue: unilateralità della ostensione dell’atto, riserva mentale e residui di
ontologismo (critica). Difetto di contraddittorio in accertamento e di litisconsorzio in giudizio (superamento di parte delle antinomie fra diritto privato e diritto tributario).- 28. Conferme e varianti gius-pubblicistiche: dalla legalità sostanziale del procedimento alla prova della simulazione nei metodi funzionali.- 29. Segue: precisazioni sul tòpos di centralità delle presunzioni.- 30. Segue: la dialettica negativa tra motivazione dell’avviso di accertamento e prova della simulazione.- 31. Critica della norma sulla interposizione: premesse, schemi, fallacia della lettura riduttiva in termini di soggettività.-
32. Segue: prosieguo dell’antischematismo a proposito di fittizietà e realtà.- 33. Segue: dalla lettura deontico-effettuale alla sua dinamica (prestanome, fiducia, trust). Emersione di un proprium dell’art. 37.- 34. Triade di questioni su simulazione e interposizione, fra accertamento officioso e giudizio tributario: conti bancari sotto nome altrui, qualifica delle presunzioni, rilevabilità d’ufficio. Il trapassamento della simulazione a garanzia del simulato possessore di reddito.- PARTE TERZA: LE SOLUZIONI: 35. I diritti reali (e cartolari) simulati nel dividend stripping e nel dividend washing.- 36. La simulazione “mista” nella e(s)terovestizione di compensi.- 37. Leaseback “anomalo”, leasing “fantasma”, e dichiarazioni non prescrittive. 38. Pagamento di “tangenti” travestite, società occulte e di fatto, compensi anomali agli amministratori-soci. – 39. Considerazioni finali. La sottovalutazione della simulazione nell’imposizione reddituale, anche a cagione dell’errata confusione con la (diversa) elusione. La falsa contraddizione della “legge Gallo”.
1. - Gli Autori, sovente, scrivono ampie introduzioni.
Noi, pur con tutta l’ammirazione, a dir lo vero non siamo molto inclini. Preferiamo scendere tosto in medias res.
Con un piccolo lavoro di maieutica, emerge chiara la ragione di questa inattitudine.
Il saggio, come autorevolmente lumeggiato, è – in guisa più o meno indiretta - una rappresentazione. E questa, per definizione, è preferibile al rappresentato. Sì che il saggio è viaggio, partenza, aventure. A queste cose non si antepongono chissà quali prologhi.
Più soggettivamente – ma è l’altra faccia della stessa medaglia – durante il saggio noi, invece che sentirci vivere, sentiamo – assai piacevolmente – di essere vissuti. Siamo al meglio di noi stessi, vorremmo che l’intera esistenza fosse come la stesura del saggio. E non abbiamo la benché minima voglia di fare ritorno a ciò che sta fuori da esso.
Non siamo proclivi a massicce <<introduzioni>>, per la stessa ragione per cui non si è soliti porre la parola <<fine>> quando uno scritto è conchiuso. Sarebbe un rimarcare il termine della bella situazione ordinata. La cesura di ciò che, sopra tutto – la scrittura -, vale la pena di essere esperito.
2. - <<Dissimulare>>, ancorché sia etimologicamente l’opposto di <<simulare>> - e nonostante dunque significhi rendere irriconoscibile e/o dissimile, all’opposto di rendere simile e per ciò fare finta o fingere (scil. simulare) - può finire col significare, specie in senso assoluto, proprio fingere o simulare (1).
Gli è infatti che, nel nascondimento, è insisto il fornire la parvenza di altro-dal-nascosto, laddove quest’ultimo può anche essere il nulla, inteso come lo status quo ante, o il tamquam non esset, o l’ordinary course dell’état des choses.
Si capisce che di una endiadi, au fond, trattasi (2).
Essa sta nell’essenza dell’uomo, o nella fenomenologia della sua ex-sistentia, se è vero come è vero che la troviamo ben nota nella nostra tradizione umanistica (3).
Nel teatro, poi, la dissimulazione è il centro di tutto, al punto che gli astanti (almeno due) debbono necessariamente sapere che il dissimulatore agisce simulando di credere di essere quel che simula di essere (4).
Per il genio pascaliano, medici e giureconsulti si mascherano nel loro ruolo, sì da ingenerare una <<immaginazione>> non sovrastata dalla ragione (5).
(1) Si consulti la “scheda” Treccani a
xxxx://xxx.xxxxxxxx.xx/xxxx/xxxxxx/xxxxxxxx/xxxxxx00.xxx
(2) Si noti che non vi è aporia logico-ontologica nella ostensione del nulla di cui sopra nel testo, ché non si tratta del nihil absolutum (il quale non è, e pure è posto nel principio di non contraddizione, donde appunto l’aporia), bensì di un certo non essere di enti. Cfr. XXXXXXXX, La struttura originaria, Milano, 1981, p. 209.
(3) Senza risalire alla dissimulazione come argomento espositivo nel De oratore ciceroniano, o alla lode della dissimulazione nel Convivio dantesco, rammentiamo qui che, della
dissimulazione come necessità esistenziale, si occupa XXXXXX, Elogio della follia, ed. it. a cura di Xxxxxxx, Milano, 1994, par. 29 e 45. Il concetto è poi ripreso – in alcuni tratti della “sprezzatura” – da XXXXXXXXXXX, Il libro del cortegiano, in ID., Opere, ne I classici del pensiero italiano (letteratura e vita civile), Biblioteca Treccani, Milano, 2006, p. 139 e 173. E non può non mentovarsi, ovviamente, il celeberrimo ACCETTO, Della dissimulazione onesta, Bari, 1928, passim. Ancora, nel libertinismo bruniano, la vis polemica adotta la dissimulazione come tecnica redazionale, in una sorta di tela dentro la quale sta un <<ordimento>> e nel contempo una <<tessitura>> (XXXXX, Il Calendaio, in ID., Opere, ne I classici, cit, Milano, 2006, p. 40 ss., su cui v. MONTEMEZZO, Polemica antireligiosa, libertinismo e dissimulazione nel “Candelaio”, in Riv. fil., 2003, 10 ss. e ivi spec. alla nota 21). Nella filosofia del primo Xxxxxx, ancora, la simulazione-dissimulazione coincide con la celebre condotta della malafede, vale a dire la pietrificazione o maschera di chi recita un ruolo stereotipo e si vede vivere in tale posa, fingendo – appunto – che la fluidità delle scelte si arresti ed escludendo - nella finzione (auto-)recitativa - quella possibilità del mutare e dello s-mentirsi che è l’(in)essenzialità dell’ex- sistere (XXXXXX, L’essere e il nulla, trad. it. del Bo riv.. a cura di Xxxxxxxx e Lazzari, Milano, 2000, p. 82-107).
(4) Xxx, autorevolmente, CODIGNOLA, Fa male il teatro, Premio Flaiano 1979, ora in ID.,
Teatro, Venezia, 1992, p 309. Sulla mimesi-catarsi alle origini della tragedia greca, v. X’XXXXX (S)., Storia del teatro drammatico, ed. rid. a cura di X’Xxxxx (A.), vol. I, Roma, 1982, p. 27.
In questo saggio però, attributi come il bello, il catartico, e l’immaginario sono eteronomi. Infatti, a differenza di quanto accade nell’umanismo, la dissimulazione è qui vista nel suo cercare il lucro fiscale.
Talché, se non un saggio sulla dissimulazione onesta, possiamo provare a fare una onesta trattazione della simulazione. A meno che questo saggio siccome tale sia inteso come dissimulazione – cosa che abbiamo visto non essere peregrina secondo gli stilemi classici (6) - e allora si può tentare una dissimulazione onesta sulla simulazione nella imposizione sui redditi.
Tema, quello della simulazione, già oggetto di attenzioni nel diritto penale tributario
(7) e nel diritto tributario tout court (8), ma sempre in guisa – quand’anche autorevolmente - particolare. Qui l’intento è più ampio, pur nello specifico settore impositivo reddituale, alla ricerca di uno schiarimento moderno della simulazione di cui trattasi.
A questo scopo riteniamo che sia bene prendere l’abbrivio, anziché dalle teorie, dalle condotte quali emergono dai casi giurisprudenziali, nonché dagli itinera logico- giuridici seguiti dai giudici. Ché, a bene vedere, è proprio sulle sentenze, che si sono costruite (o si sarebbero dovute costruire) le teorie per noi rilevanti (9).
Così, osservando anzitutto i fatti di causa e gli argomenti dei collegi, evitiamo di dipanare un esercizio di stile nell’hortus conclusus dell’astrazione, senza avere
(5) XXXXXX, Xxxxxxxx, trad. it. Nacci, Milano, 1994, p. 15. Sul punto si consulti, limpidamente, NACCI, L’immaginazione in Pascal, in AA. VV., Nella dispersione del vero. I filosofi: la ragione, la follia, a cura di Xxxxxxxx e Papparo, Atti seminariali a cura del Dipartimento di Filosofia della Università Xxxxxxxx XX di Napoli, s.d.
(6) Supra nota 3.
(7) SPAGNOLO, Diritto penale tributario, in AA.VV., Manuale di diritto penale dell’impresa, sec. ed. agg., Bologna, 2000, p. 758; XXXXXX, Sulla nozione di “mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l’accertamento” nell’ambito del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, in Rass. trib., 2002, p. 193 ss.; XXXXXXX, Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, in Rass. trib., 2004, p. 1337 ss.; DI XXXXX – PISANO, I reati tributari, in Tratt. dir. pen. impr., vol. VII, Padova, 2002, p. 658.
(8) Xxxxxxsi, per lo più, di lavori inerenti alla imposta di registro. In primis BATISTONI FERRARA, Xxxx simulati e invalidi nell’imposta di registro, Napoli, 1969. Xxxx XXXXXXXX, Gli atti simulati e l’imposta di registro e delle successioni, in Giur. it., 1959, IV, 97 ss. Ancora,
in epoca risalente e con specifico riguardo alla distinzione rispetto alla elusione, DAL PIAZ,
Aspetti del problema della simulazione in materia tributaria, in Temi trib., 1959, p. 330 ss.
(9) “La giurisprudenza, frutto dell’opera degli avvocati e dei giudici, è il vivaio, nel quale i teorici del diritto trovano, in germe o in germoglio, gran parte delle loro idee” (XXXXXXXXXX, Scienza del diritto, in Riv. dir. proc. civ., 1934, 5, p. 233 ss., e ora in ID., Discorsi intorno al diritto, Padova 1937, p. 76).
preventivamente (ri)percorso i sentieri della doverosa sussunzione, e senza avere su di essi esercitato un critica (10)
Questo lavoro essendo interamente – e per ora – dedicato soltanto alla imposizione reddituale, vedrà dunque una Parte Prima di scrutinio giurisprudenziale, con l’inquadramento formale di una parte dei fatti emersi. Dipoi esso volgerà, nella Parte Seconda, alla dogmatica, sospinto dalle imprescindibili esigenze della prassi, e lasciando pour cause sospesi taluni casi clou (dividend washing, dividend stripping, vestizione di compensi in diritto di sfruttamento della immagine). Al fine, con una sorta di movimento dialettico, la Parte Terza fornirà la soluzione dei casi insoluti, alla luce delle teorie costruite, e in una prospettiva euristica, a quello stadio avvolgente.
3.- Sarebbe ultroneo, in questa sede, descrivere le modalità operazionali del c.d.
dividend stripping, scil. l’usufrutto azionario Estero-Italia (11).
Lo scrutinio dell’attività giurisdizionale, tributaria e penale, svoltasi in relazione a tale operazione, pone all’attenzione dell’interprete alcuni dati che qui andiamo a riepilogare.
E’ assai ricorrente, da parte dei giudici, la presa d’atto del fatto che il corrispettivo del diritto di usufrutto è coincidente con l’ammontare complessivo dei dividenti previsti per il triennio di durata dell’accordo (12).
Un preciso accordo tra le parti, su quello che sarà l’importo dei dividendi distribuiti nel triennio, è particolarmente sottolineato da taluni collegi (13).
(10) Sulla essenzialità dei fatti, e dell’attività giudiziale donde essi emergono pel tramite di uno scrutinio per esteso delle sentenze, per tutti vedasi GORLA, Lo studio interno e comparativo della giurisprudenza e i suoi presupposti: le raccolte e le tecniche per la interpretazione delle sentenze, in Foro it., 1963, V, c. 73 ss. In angolatura più generale XXXXXXXXXX, Arte del diritto, Padova, 1949, p. 44-59. Sulla centralità dei fatti, in prospettiva tributaria anti-evasiva e anti-simulatoria, XXXX, I concetti strutturali del giudizio di fatto riferiti all’evasione fiscale, in Rass. trib., 2005, p. 1780 s.
(11) Si fa rinvio, per tutti, a SE.C.I.T., Relazione sull’usufrutto su azioni, del 6 ottobre 1993, in Rass. trib., 1994, p. 211 ss. e ivi al par. 2.
(12) Procura di Ravenna, richiesta di archiviazione, 3 settembre 1994, in Banca dati fisconline; Procura di Vicenza, richiesta di archiviazione, 22 agosto 1995, ivi; Comm. trib. 1° grado Ivrea, 28 giugno 1995, in Rass. trib., 1995, II, p. 1528, con nota di XXXX, Usufrutto di azioni: una norma antielusione non si può inventare ; Trib. Ivrea, sez. pen., 5 maggio 1997, in Banca dati fisconline; Comm. trib. prov. Torino, 3 luglio 1997, n. 180, ivi; Trib. Udine, sez.
pen., 3 ottobre 1996, n. 422, ivi; ID., 5 luglio 1997, n. 167, ivi; Comm. trib. 1° grado Udine, 12 luglio 1995, n. 79, in Riv. dir. trib., 1996, II, p. 53 ss., con nota di FALSITTA, Elusione fiscale illegittima, contratto travestito e società “contagocce”, e in Rass. trib.,1995, p. 1521 ss., con nota di LUPI; Usufrutto di azioni: una norma antielusione, cit.; Cass. 25 ottobre 2005, n. 22932, in Riv. dir. trib., 2006, II, p. 690 ss., con ns. nota Su talune categorie privatistiche, evocate da tre pronunce del Supremo Collegio in tema di elusione-evasione.
Altrove questi ultimi hanno individuato un diritto di recesso, concesso all’usufruttuario nella ipotesi di calo del dividendo - nel triennio - al disotto degli importi prefissati (14).
Quanto al regolamento di tale recesso, si è visto che il nudo proprietario deve restituire all’usufruttuario un importo pari al prezzo, diminuito dei dividendi dal secondo già percepiti (e aumentato di un interesse) (15).
In più casi, per altro, è stata individuata la permanenza del diritto di voto tout court
in capo al nudo proprietario (16).
Alle volte il diritto di voto, posto in capo al nudo proprietario, non comprende le delibere di distribuzione degli utili, per le quali il voto è attribuito all’usufruttuario; ma in questi casi sussiste un mandato fiduciario attribuito dall’usufruttuario medesimo a una società terza (17).
In altri casi, la società terza è depositaria dei titoli e mandatario irrevocabile di ambo le parti per l’esercizio dei diritti; con l’istruzione però, in caso di istruzioni contrastanti, di votare per la distribuzione di dividendi in tre importi predeterminati durante il triennio dell’usufrutto (18).
In questi stessi casi talora è una banca a liquidare il prezzo del recesso, dell’una o dell’altra parte, secondo formule predeterminate (19). Ancora, in una ipotesi di mandato fiduciario dato dall’usufruttuario a società terza (fiduciaria) per l’esercizio di voto nell’assemblea di distribuzione degli utili, è emerso che la società fiduciaria medesima riceveva istruzioni, anno per anno, sul quantum dei dividendi da deliberare (20).
(13) Trib. Milano, sez. pen,, 19 giugno 1996, n. 1124, in Banca dati fisconline; Trib. Ivrea, sez. pen., 5 luglio 1997, cit.; App. Trieste, sez. pen., 19 ottobre 1999, n. 866, in Banca dati fisconline
(14) Comm. Trib. 1° grado Ivrea, 28 giugno 1995, n, 159, cit.; App. Trieste, sez. pen., 15 luglio 1998, n. 696, in Banca dati fisconline.
(15) Procura di Ravenna, richiesta di archiviazione, 3 settembre 1994, cit.; Trib. Ivrea, sez. pen., 5 maggio 1997, cit.
(16) Procura Ravenna, richiesta di archiviazione, 3 settembre 1994, cit.; Comm. trib. 1° grado
Ivrea, 28 giugno 1995, n. 159, cit.; Trib. Milano, sez. pen., 19 giugno 1996, n. 1124, cit.; Trib. Ivrea, sez. pen., 5 maggio 1997, cit.; Comm. trib. prov. Roma, 25 maggio 2000, n. 553, in Banca dati fisconline; Cass., 25 ottobre 2005, n. 22932, cit.
(17) Trib. Ivrea, sez. pen., 5 maggio 1997, cit.; Trib. Pordenone, sez. pen., 12 luglio 1997, n. 125, in Rass. trib., 1997, II, p. 1318.
(18) Trib. Pordenone, sez. pen., 12 luglio 1997, n. 125, cit.; Cass., 25 ottobre 2005, n. 22932,
cit.
(19) Trib. Pordenone, sez. pen., 12 luglio 1997, n. 125, cit.
(20) App. Trieste, sez. pen., 15 luglio 1998, n. 696, cit.
Sulla scorta di queste rilevazioni oggettive, sovviene l’immagine altrove utilizzata per questi contratti (21): un usufruttuario, cioè, sterilizzato ma nutrito, e un nudo proprietario legato ma non bendato.
Prescindendo a ora, infatti, dalle teorie giuridiche – che sarebbero premature secondo il piano di questo lavoro –, è evidente che i contratti in parola “storicamente” (nella loro “oggettità”) sono stati costruiti in modo tale da eliminare ogni sorta di rischio quali-/quantitativo in capo a ciascuno dei contraenti.
L’usufruttuario senza poteri ha la certezza di un determinato ritorno pecuniario in forma di dividendi, in mancanza del quale tosto recede recuperando il prezzo pagato al netto dei dividendi incassati (oltre a un interesse sulla somma anticipata senza un ritorno). Il nudo proprietario, dal canto suo, è protetto da qualsivoglia iniziativa societaria dell’usufruttuario; sa di dovere procacciare a quest’ultimo determinati importi annuali quali dividendi, e sa altresì che l’usufruttuario medesimo nulla può fare né pretendere oltre a codesti importi pattuiti in anticipo.
In sostanza vi è un flusso di danaro a pronti dall’usufruttuario verso un flusso di dividendi a termine (al solito tre scadenze in un triennio) dal terzo (la società, le cui azioni sono l’oggetto del diritto reale); e ciò con una pressoché totale eguaglianza fra il primo e il secondo. Ciò resta immutato, peraltro, anche nel caso di recesso dell’usufruttuario o di uno dei contraenti, a seconda di quanto è previsto nel contratto.
4.- Sulla struttura operazionale del dividend washing, come si è fatto per l’omologo
stripping non ci si attarda, qui, in una descrizione (22).
Piuttosto, lo scrutinio dell’attività giudiziale evidenzia taluni tratti che possono essere esposti come segue.
L’arco temporale che intercorre tra l’acquisto a pronti e la rivendita a termine, oscilla fra uno e tre giorni (23). In un caso isolato tale lasso di tempo si allunga a quindici giorni (24).
(21) Ci riferiamo al ns. Su talune categorie privatistiche, cit.
(22) Si fa rinvio, per tutti, a NUSSI, Dividend washing e usufrutto azionario nell’imposozione sui redditi: in tema di principio di sostituzione e interposizione di persona, in Rass. trib., 1986, p. 45 ss. e ivi al par. 2.1.
(23) Comm. trib. prov. Cuneo, 8 ottobre 1997, n. 61, in Rass. trib, 1998, p. 575 ss., con nota di STEVANATO, Il dividend washing e l’applicabilità dello schema della “sostituzione dei redditi” al percettore dei dividendi: notazioni critiche; Comm. trib. prov,. Bologna, 19 febbraio 1998, n. 19, in Banca dati fisconline; Comm. trib. reg. Torino, 22 settembre 1998, n. 167, in
Rass. trib., 1999, p. 853 ss, con nota di STEVANATO, Dividend washing, nullità del contratto per contrarietà al buon costume e “giustizialismo fiscale”; Trib. Roma, sez. pen, 25 marzo 1999,
Mai consta un intervento dell’acquirente a pronti nell’assemblea dell’emittente, la quale delibera la distribuzione degli utili percepiti dallo stesso soggetto durante l’operazione (25).
Talvolta i giudici precisano che lo scambio titoli-danaro a pronti avviene nella imminenza della maturazione del dividendo (26). Talaltra essi rilevano che la distribuzione dei dividendi è deliberata (dall’assemblea dei soci della società emittente) prima dello scambio a pronti del dividend washing (27). E ancora in altro caso leggesi che l’acquisto a pronti avviene quando il titolo è “ancora gravido del dividendo” (28).
Per quanto concerne i flussi pecuniari delle due vendite (la prima a pronti e l’altra a termine), la giurisprudenza costante ravvisa un minore prezzo nel secondo scambio rispetto al primo (29).
Sulla base di questi dati fattuali, si può – prescindendo ancora da ogni teoria – rilevare che si è in presenza di un doppio scambio rapidissimo, all’interno del quale il soggetto rivenditore a termine incassa il dividendo e null’altro fa.
Esso non partecipa in alcun modo alla vita societaria dell’emittente e, realizzando un minor prezzo nel doppio scambio, acquista a pronti quando – vi è da ritenere – l’importo del dividendo possiede già l’attributo della certezza.
E’ un soggetto, questo, che subisce un saggio “di deporto”, cioè il minor prezzo nel secondo scambio fra titoli e danaro, in ragione di un determinato dividendo. Pur scontando codesto saggio, nel procacciarsi i titoli, il medesimo soggetto non acquista le azioni per partecipare a un’assemblea, ma per fare proprio un dividendo già deliberato. E’ un rivenditore a termine, che tale ruolo ricopre giusto per lo stacco della cedola e prima/poi nulla.
in Banca dati fisconline, con Commento di ADONNINO; Comm. trib. prov. Milano, 12 luglio 1999, n. 85, ivi.
(24) Comm. trib. prov. Torino, 18 dicembre 1997, n. 311, in Banca dati fisconline.
(25) Si usa qui il sostantivo “operazione” nel senso tecnico-prassistico di cui XXXXXXXXXX,
Arte del diritto, in memoria di Xxxxxxxx Xxxxxxxx, ora in ID., Discorsi intorno al diritto, cit. p. 55.
(26) Comm. trib. reg. Torino, 22 settembre 1998, n. 167, cit.
(27) Comm. trib. prov. Milano, 12 luglio 1999, n. 85, cit.
(28) Cass. 29 aprile 2005, n. 20398, in Riv, dir trib., 2006, II, p. 690 ss., con ns. nota Su talune categorie privatistiche, cit.
(29) Comm. trib. prov. Torino, 18 dicembre 1997, n. 311, cit.; Comm. trib. prov. Cuneo, 8 ottobre 1997, n. 61, cit.; Comm. trib. prov., Bologna, 19 febbraio 1998, n. 19, cit.; Comm. trib.
reg. Torino, 22 settembre 1998, n. 167; Comm. trib. prov. Milano, 23 ottobre 1998, n. 359, in Banca dati fisconline; Trib. Roma, sez. pen., 25 marzo 1999, cit.; Comm. trib. prov. Milano, 12 luglio 1999, n. 85, cit..; Cass., 26 gennaio 2000, n. 3979, in Rass. trib., 2000, p. 1267 ss., con nota di PAPARELLA, Primi punti fermi della Cassazione sull’art. 37, comma 3, d.p.r. n. 600 del 1973, e di XXXXX, Il dividend washing tra cessione temporanea di titoli azionari e dell’usufrutto su azioni ; Cass., 29 aprile 2005, n. 20398, cit..
5.- Dal mondo professionale sportivo, calcistico in particolare, provengono alcuni pronunciamenti giurisprudenziali d’interesse per il nostro tema.
Caratteristica comune è la esistenza di una società estera, la quale risulta essere cessionaria dei diritti pubblicitari e di sfruttamento della immagine del calciatore.
Nell’un caso il campione è eponimo della società estera in Vaduz e quest’ultima stipula un contratto direttamente con la società calcistica italiana, della quale il calciatore è dipendente (30). Nell’altro caso (31) la società dublinese stipula invece il contratto con una consociata del club calcistico milanese, per il quale lo sportivo gioca.
Il primo caso, celebre perché riguardante il fuoriclasse argentino Xxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxx, manifesta in pronunce alcuni dati che possono essere così enucleati: a) tutti i contratti, con i quali la società di Vaduz cede i diritti al club partenopeo, sono coevi all’ingaggio del campione da parte della medesima società calcistica; b) l’acquisto dei diritti da parte della società calcistica è completamente privo di garanzie specifiche in ordine alla stipulazione di nuove convenzioni pubblicitarie, nonché in ordine a comunicazioni e rendiconti e verifiche da parte della società di calcio; c) il corrispettivo dovuto dalla società calcistica alla società di Vaduz è altamente sproporzionato, sia rispetto ai possibili ricavi sia rispetto alle somme d’ingaggio; d) nel contratto tra la società calcistica e l’ente di Vaduz sono previsti “incentivi di successo sportivo”; e) la società calcistica si obbliga verso la società di Vaduz a fornire taluni benefici (villa in Napoli, automobile fuoriserie, numerosi biglietti aerei intercontinentali); f) la società di Vaduz si obbliga a che il calciatore non disputi partite amichevoli.
L’altra sentenza in vero è meno dettagliata nella esposizione delle risultanze, ma ciò dipende dal fatto che esistono “carte di lavoro” dei revisori della società italiana, donde emergono dati a sostegno della tesi dell’ente accertatore.
Quel che dunque emerge, in particolare dal caso Xxxxxxxx, è una e(s)tero- destinazione di somme e valori, dovuti da una società calcistica italiana a un calciatore residente in Italia per le sue prestazioni sportive.
(30) Comm. trib. 1° grado Napoli, 25 ottobre 1993, n. 3230, in Riv. dir. trib., 1996, II, p. 497 ss.; Comm. trib. 2° grado Napoli, 29 giugno 1994, n. 126, ivi, p. 498 ss., con nota di FALSITTA, L’interposizione fittizia e il dribbling al fisco.
(31) Comm. trib. reg. Napoli (sez. di Salerno), 14 gennaio 2004, n. 55, in Banca dati fisconline.
Nell’altro caso – come si è detto – la società dublinese stipula con una consociata italiana della società calcistica. Ma, assumendo che i fatti siano per lo meno analoghi, la e(s)tero-destinazione delle somme e dei benefits pagati per l’ingaggio sussiste inalterata.
6.- Il panorama giurisprudenziale, nel settore della imposizione reddituale, offre altri fatti e condotte alla nostra attenzione.
Recentemente, per cominciare, è tornata all’esame della Suprema Corte la patologia operazionale di quello che, anni fa, denominammo il “leasing fantasma” (32), contraddistinto dalla mancata consegna del bene dal supplier al lessee (33). I fatti emergenti da tale pronunciamento sono, per certi versi, estremi: nell’anno di stipulazione dei contratti e d’inizio dell’esborso dei canoni da parte dell’impresa utilizzatrice (assoggettata a verifica e poi ad accertamento), l’impresa fornitrice non svolge attività tout court, e per ciò non consegna il bene all’utilizzatore medesimo.
Ancora in materia di leasing la giurisprudenza tributaria (34), quasi contemporaneamente alle statuizioni del S.C. in ambito privatistico (35), ha affrontato il
c.d. lease-back anomalo. Qui emerge che il canone sostenuto dal seller-lessee nel leasing di ritorno eguaglia in un solo mese il prezzo testé pagatogli per l’acquisto del bene da parte del purchaser-lessor.
Xxxxxxxx, poi, casi giurisprudenziali nei quali i giudici hanno prestato peculiare attenzione alla incongruenza e sproporzione fattuale di costi e ricavi.
Si pensi a contratti di sponsorizzazione eccessivi rispetto alla realtà imprenditoriale della impresa propagandata (36), agli affitti oggettivamente remunerati in misura esigua (37), alle vendite immobiliari che risultano in sotto-prezzo (anche in rogito) sulla scorta di vari elementi (fra cui le movimentazioni bancarie sul conto corrente del coniuge del venditore) (38).
(32) Ci permettiamo di fare menzione del nostro Il “leasing fantasma” e il fantasma del “leasing fantasma”, in Giur. comm., 1992, II, p. 1037 ss.
(33) Cass., 5 luglio 2006, n. 23230, in Banca dati fisconline.
Su tale patologia operazionale, però dal punto di vista dell’IVA, vedi Cass., 4 giugno 2001,
n. 7498, in Banca dati fisconline; Cass., 24 maggio 1999, n. 5038, ivi.
(34) Comm. trib. 1° grado Treviso, 22 aprile 1995, n. 74, in Banca dati fisconline.
(35) Cass., 3 giugno 2003, n. 1149/33007, in Banca dati fisconline, con nota di XXXXX, Sui profili del contratto di lease-back rilevabili dalla giurisprudenza.
(36) Cass., 3 giugno 2003, n. 1149/33007, in Banca dati fisconline.
(37) Cass., 22 maggio 2002, n. 398, in Banca dati fisconline.
(38) Trib. Torino, sez. pen., 3 aprile 1997, in Banca dati fisconline.
In altri casi, ancora, la giurisprudenza ha preso atto del fatto che, stante l’assenza assoluta di una determinata merce e suoi residui nel magazzino dell’impresa acquirente, un acquisto di quella merce nella realtà delle cose non vi è stato (39). Ovvero, ancora, i giudici hanno rilevato il fatto che un esborso a società estera, a fronte di fattura, trovava la sua ragion d’essere soltanto nella “tangente” pagata a funzionari verificatori (40).
Sempre in presenza di pagamenti di “tangenti” da parte di imprese, è capitato che il relativo importo sia stato surrettiziamente imputato a maggiore – ed esorbitante – costo per l’acquisto di partecipazioni societarie destinate alla immobilizzazione (41).
Sono emerse, altresì, attività speculative nel commercio di beni mobili e immobili, svolte in forma di imprese occultate al fisco (42).
E non sono mancate ricevute bancarie rilasciate in relazione a fatture mai emesse e per cessioni di beni mai avvenute, onde portare in deduzione gli interessi passivi sui relativi sconti (43).
Infine è capitato di rilevare, ai collegi, l’esistenza di compensi ad amministratori soci, i quali risultavano esorbitanti rispetto al giro d’affari della società amministrata (44), ai ricavi della medesima (45), e a un ragionevole giudizio di congruità (46).
7.- A fronte del fenomeno operazionale del dividend stripping la giurisprudenza, sia tributaria sia penale, ha sovente escluso la esistenza di una simulazione.
Si è scritto che l’usufrutto azionario non è simulato dacché in esso le parti hanno voluto proprio e soltanto gli effetti indicati nell’atto (47), così come dichiarato e palese (48).
Altre volte si è osservato che la fittizietà della cessione di usufrutto non è stata dimostrata dall’Amministrazione finanziaria o dalla Pubblica Accusa (49).
(39) Comm. trib. reg. Potenza, 20 maggio 1999, in Banca dati fisconline.
(40) Cass., 24 gennaio 2001, n. 5796, in Banca dati fisconline, con Commento di MASTROGIACOMO.
(41) Cass., 7 maggio 2002, n. 11240, in Banca dati fisconline.
(42) Comm. trib. centr., 29 aprile 1994, n. 1978, in Banca dati fisconline.
(43) Comm. trib. centr., 13 ottobre 1997, n. 5747, in Banca dati fisconline.
Sulla ricevuta bancaria vedi CAVALLI, voce La ricevuta bancaria, in Dig. disc. priv., sez. comm., Torino, 1995, p. 493 ss.
(44) Cass., 17 maggio 2000, n. 12813, in Banca dati fisconline.
(45) Cass., 10 novembre 2000, n. 13478, in Banca dati fisconline.
(46) Cass., 30 novembre 2001, n. 6599, in Banca dati fisconline; Cass., 12 giugno 2006, n. 20748, ivi.
(47) Procura Repubblica Ravenna, richiesta archiviazione, 3 settembre 1994, cit.
(48) Procura Repubblica Vicenza, 22 agosto 1995, cit.; App. Trieste, sez. pen., 19 ottobre 1999, n. 866, cit. (ove all’agevole reperibilità dei patti collaterali si fa inter alia riferimento).
E, ancora, si è statuito che l’usufrutto non è simulato, in quanto “cartolarmente provato”, così facendosi riferimento sopra tutto all’annotazione sui titoli azionari (50).
Più diffusamente si è scritto che nel dividend stripping non vi è simulazione proprio perché le parti perseguono, attraverso la cessione del diritto reale di godimento verso corrispettivo, esattamente il credito d’imposta sui dividendi in capo all’usufruttuario (51). Soltanto in casi isolati la giurisprudenza ha rilevato una fattispecie simulatoria. Tale assunto è inequivoco in un contenzioso tributario (52), ove della cessione “di fatto” di dividendi tout court si fa esplicita menzione. Analogamente, in un’assai ampia sentenza penale (53), si sottolinea la patologia di un diritto reale di godimento per un verso svuotato e per altro verso garantito nel quantum dei dividendi; ma, piuttosto che alla simulazione, sembra ravvisarsi un nomen juris diverso da quello indicato dalle parti, e dunque un mutuo garantito dalla cessione di determinati dividendi futuri, piuttosto che
una cessione del diritto reale sui titoli azionari.
In alcune motivazioni, poi, i giudici si limitano a respingere la idea che di un diritto obbligatorio anziché reale possa trattarsi (54).
Oppure i collegi non affrontano espressamente il tema della simulazione e argomentano nel senso che l’art. 37-bis, d. p.r. n. 600 del 1973 è inapplicabile al caso di specie, stante l’avvenuta introduzione non retroattiva, con d.l. n. 372 del 1992, di una norma antielusiva o antievasiva ad hoc per il dividend stripping, posta nell’art. 14, comma 0-xxx, x.x.x. x. 000 del 1986 (55).
O, ancora, si è esclusa l’applicabilità al dividend stripping dell’art. 37, comma 3°,
d.p.r. n. 600 del 1973, affermando che tale norma concerne esclusivamente la
(49) Comm. trib. 1° grado Ivrea, 28 giugno 1995, n. 159, cit.; Trib. Udine, sez. pen., 3 ottobre 1996, n. 422, cit.; Comm. trib. 1° grado Udine, 12 luglio 1995, n. 79, cit.; Trib. Milano, sez. pen., 19 giugno 1996, n. 1124, cit.; Comm. trib. prov. Roma, 28 novembre 1997, n. 497, cit.
(50) Comm. trib. 1° grado Latina, 4 marzo 1996, n. 156, in Banca dati fisconline.
(51) Trib. Ivrea, sez pen., 5 maggio 1997, cit.; Trib. Udine, sez. pen., 5 luglio 1997, n. 167, cit.; App. Trieste, sez. pen., 15 luglio 1998, n. 696, cit.; Cass., 25 ottobre 2005, n. 22932, cit (ove si osserva che il comportamento conseguente alla stipula – ivi incluso il trattamento fiscale della operazione – ha confermato la comune intenzione delle parti di porre in essere un usufrutto azionario e non altro).
(52) Comm. trib. prov. Verona, 23 giugno 1998, n. 227, in Banca dati fisconline.
(53) Trib. Pordenone, sez. pen., 12 luglio 1997, n. 125, cit. (si noti che il provvedimento si chiude, poi, con formula assolutoria, in ragione dell’asserita inidoneità delle condotte ad ostacolare l’accertamento).
(54) Comm. trib. prov. Torino, 3 luglio 1997, n. 180, cit. Qui l’argomento logico-giuridico è tautologico: di cessione di diritto reale – e non già obbligatorio – trattasi, dacché per l’esercizio di un credito occorre la cooperazione di terzi, laddove invece ciò non accade nel caso di un
diritto reale.
(55) Comm. trib. prov. Roma, 1° dicembre 1998, n. 345, cit.
interposizione fittizia di persona, aggiungendo che sarebbe erroneo ravvisare una divaricazione simulatoria tra apparenza e realtà soltanto perché la sospettata prima comporta un vantaggio fiscale (56).
Il riferimento (negativo) all’art. 37, peraltro, si ritrova come rafforzativo in più di una sentenza escludente la fattispecie simulatoria (57).
Sono poi recenti e note le sentenze del Supremo Collegio che, in maniera esplicita, hanno ritenuto d’infirmare la pratica del dividend stripping ai fini della imposizione reddituale, piuttosto che mediante il ricorso all’art. 37, comma 3°, d.p.r. n. 600 del 1973, attraverso l’applicazione dell’art. 1344 c.c. (58) ovvero attraverso l’applicazione degli artt. 1325 e 1418, 2° comma, c.c. sub specie di assenza di causa in concreto (59).
8.- Ancora in tema di dividend stripping, la giurisprudenza ha dovuto affrontare, ovviamente, il fatto dell’usufruttuario “sterilizzato ma nutrito” e del nudo proprietario “legato ma non bendato” (60). E, per oltrepassare (quasi) sempre i tratti estremi di questo stato di cose, ha utilizzato argomenti vari, che possono enuclearsi come segue.
Si è osservato che, mentre la spettanza del dividendo deriva dalla cessione del diritto reale di godimento – effettivamente voluta dalle parti -, diversamente il credito d’imposta sui dividendi medesimi deriva dalla legge, sì che nella differenza fra questi due piani risiederebbe la fisiologia del tutto (61).
Oppure si è scritto che, nonostante le clausole limitative dei diritti dell’usufruttuario e a esso attributive di determinati dividendi, <<le parti hanno realizzato un comportamento fiscalmente “indifferente”, in quanto non vietato, né regolamentato da una specifica previsione di legge>> (62).
Oppure, proseguendo, si è rilevato che, quando il contratto limita il rischio dell’usufruttuario in ordine all’an e al quantum dei dividendi, il crinale tra usufrutto e cessione del credito si fa sottile; pur tuttavia – si è aggiunto - <<i dividendi non esauriscono l’utile che può essere tratto dalle azioni oggetto di usufrutto, poiché si tratta
cit.
(56) Comm. trib. prov. Roma, 24 maggio 2000, n. 553, cit.; Cass., 25 ottobre 2005, n. 22932,
(57) Trib. Milano, sez. pen., 19 giugno 1996, n. 1124, cit.; Trib. Ivrea, sez. pen., 5 maggio
1997, cit.
(58) Cass., 12 maggio 2005, n. 20816, cit.
(59) Cass., 25 ottobre 2005, n. 22932, cit.
(60) Su tale immagine, supra, par. 2.
(61) Trib. Xxxxx, sez. pen., 3 ottobre 1996, cit.
(62) Trib. Udine, sez. pen., 3 ottobre 1996, cit.
di un bene che assomma una serie di diritti e rappresenta un valore di per sé cedibile, utilizzabile per ottenere ad esempio un credito>> (63).
In altro caso, si è scritto che nulla di patologico vi è nella finalità di finanziamento sottesa alla operazione, poiché una cessione di usufrutto può ben assolvere a tale finalità (64).
Analogamente altro giudice (65) ha negato il carattere aleatorio della cessione di usufrutto in quanto tale, traendo il corollario della fisiologia di clausole che garantiscono importi di dividendi all’usufruttuario.
Xxxxxx, in sostanza, pare il rilievo secondo cui è del tutto <<normale>> che, nel determinare il prezzo di cessione dell’usufrutto, si determini il ritorno dell’investimento, talché vi sarebbe un necessario <<salto logico>>, dalle considerazioni sulla natura del negozio costitutivo del (diritto reale di) godimento, a quelle sul valore del godimento stesso (66).
E ancora, di recente, si è osservato (67) che, mediante la cessione dell’usufrutto – a differenza di quanto accade nella cessione di un credito -, si costituisce un diritto reale, opponibile anche agli aventi causa del socio e al di lui fallimento.
Va da sé poi che, per quanto concerne il diritto di voto mantenuto in capo al nudo proprietario, i giudici ne rilevano la fisiologia alla luce dell’art. 2352, primo comma (nuovo stile) (68).
9.- La giurisprudenza in materia di dividend washing si è per lo più occupata di due questioni, sollevate dalla Pubblica Amministrazione in accertamento o dalla Pubblica Accusa, e cioè l’art. 37, comma 3°, d.p.r. n. 600 del 1973 e l’art. 6, comma 2°, d.p.r. n.
917 del 1986.
La questione dell’art. 37 – come si è visto (69) – accomuna il dividend washing
all’omonimo stripping. Sì che non stupisce la comunanza di taluni argomenti dei giudici.
(63) Trib. Udine, sez. pen., 5 luglio 1997, n. 167, cit. .
(64) App. Trieste, sez. pen., 15 luglio 1998, n. 696, cit.
(65) App. Trieste, sez. pen., 19 ottobre 1999, n. 866, cit.
(66) Comm. trib. 1° grado Udine, 12 luglio 1995, n. 79, cit.
(67) Cass., 25 ottobre 2005, n. 22932, cit. Nello stesso senso Comm. trib. prov. Torino, 3 luglio 1997, n. 180, cit.
(68) Cass., 25 ottobre 2005, n. 22932, cit.
(69) Supra, par. 6.
Si è infatti scritto che l’art. 37 è inapplicabile, poiché il dividend washing è realmente avvenuto siccome voluto dalle parti (70), magari proprio in quanto esse hanno interesse a ciò per ragioni tributarie (71).
Si è anche scritto che l’art. 37, comma 3°, è estraneo poiché riguarda la interposizione fittizia di persona in senso stretto, sì che tale norma non è applicabile alla interposizione reale e meno che meno costituisce una sorta di norma generale antielusiva (72).
Altri giudici hanno ragionato sull’art. 37, comma 3°, in termini di norma antievasiva e antisimulatoria, ma ne hanno negato l’applicazione al dividend washing poiché il fisco stesso ha escluso in fatto la simulazione (73).
Né sono mancate pronunce, le quali hanno concluso nel senso della simulazione, invocando proprio l’art. 37, comma 3°, quale norma ampiamente orientata ad attribuire alla Pubblica Amministrazione il potere di disconoscimento delle simulazioni tout court (74).
Quanto all’art. 6 capoverso TUIR, ne è stata affermata la irrilevanza con riguardo al dividend washing, osservandosi che da un lato il fondo comune d’investimento - cedente a pronti – in nessun caso avrebbe conseguito un reddito d’impresa, e dall’altro lato che la società cessionaria a pronti altro non poteva percepire se non un reddito d’impresa (75).
Si è altresì reputato inapplicabile l’art. 6 in ragione del fatto che non è il diritto al dividendo a essere ceduto, bensì il diritto di proprietà delle azioni in un negozio fiduciario (76). Questa ricostruzione è stata espressamente preferita a quella facente riferimento al riporto, al più affermandosi l’applicazione analogica dell’art. 1351 c.c. (77).
E, di nuovo similmente a quanto argomentato in materia di dividend stripping, una volta esclusa la simulazione si è ragionato in termini di elusione, sottolineando la non-
(70) Comm. trib. prov. Torino, 18 dicembre 1997, n. 311, cit.
(71) Comm. trib. Torino, 22 settembre 1998, n. 167, cit.
(72) Comm. trib. prov. Milano, 23 ottobre 1998, n. 359, cit.; Trib. Roma, sez. pen., 25 marzo 1999, cit.; Cass. 26 gennaio 2000, n. 3979, cit.; Cass., 29 aprile 2005, n. 20398, cit.
(73) Comm. trib. prov. Milano, 12 luglio 1999, n. 85. cit.
(74) Comm. trib. prov. Roma, 16 aprile 1998, n. 187, cit.; Comm. trib. prov. Cuneo, 8 ottobre 1997, n. 61, cit.
(75) Comm. trib. prov. Torino, 18 dicembre 1997, n. 311; Comm. trib. prov. Milano, 23 ottobre 1998, n. 359, cit.; Comm. trib. prov. Milano, 12 luglio 1999, n. 85, cit.
(76) Comm. trib. reg. Torino, 22 settembre 1998, n. 167, cit.
(77) Ibidem.
retroattività dell’art. 14, comma 6-bis, TUIR, sì come introdotto ex lege 5 novembre 1992, n. 429 (78).
10.- Nella sentenza di primo grado del <<caso Xxxxxxxx>> (79) i giudici partenopei si dilungano su temi di nostro interesse, e per ciò a essi mette conto di prestare una certa attenzione.
Essi osservano che non è questione di legittimità o liceità dei contratti tra la società calcistica e la società estera, per lo sfruttamento dei diritti della immagine. Piuttosto, dai dati di fatto emerge una simulazione dei contratti stessi, i quali in realtà vanno a integrare i compensi di lavoro dipendente del calciatore.
Mentre nella imposta di registro – nota il collegio giudicante (80) – rileva l’atto nella sua struttura convenzionale, fatte salve le eccezioni o presunzioni di legge, l’oggetto della imposizione reddituale è il reale acquisto d’una ricchezza retta da un titolo giuridico, sì che non vi è reddito laddove manca l’incremento patrimoniale ovvero un titolo giustificatore.
Ad avviso della commissione partenopea (81) l’art. 38 del d.p.r. n. 600 del 1973 indica una procedura di rettifica, all’interno della quale la simulazione può assumere rilievo quale <<dato>> non proveniente dal contribuente, di guisa che
<<l’identificazione del contratto dissimulato rientra (..) nel processo logico di rilevamento del reddito in modo autonomo rispetto al dato fornito dal contribuente, come qualsiasi altro contratto che venga presunto, per cui la dissimulazione delle vere pattuizioni e l’inefficacia del contratto dissimulato costituiscono conseguenza logica, prima che giuridica, dell’argomentazione induttiva in cui la disciplina della simulazione assume valore strumentale della presunzione che se ne trae>> (82).
In questa prospettiva, l’art. 37, comma 3°, d. p.r. n. 600 del 1973 – introdotto ex lege
27 aprile 1989, n. 154 – è visto come norma che non ha aggiunto alcun potere all’Amministrazione finanziaria, confermando piuttosto il principio d’imputazione dei redditi al vero titolare quale risulta in base alle norme dell’ordinamento, ivi incluse quelle relative alla simulazione. Non solo: l’art. 37, comma 3°, non deve in questa luce
cit.
(78) Comm. trib. prov. Milano, 12 luglio 1999, n. 85, cit.; Cass., 26 gennaio 2000, n. 3979,
(79) Comm. trib. 1° grado Napoli, 25 ottobre 1993, n. 3230, cit.
(80) Ibidem.
(81) Ibidem.
(82) Ibidem.
essere visto in modo restrittivo e letterale, tale da applicarlo alla sola interposizione fittizia di persona, ma piuttosto deve essere riferito alla simulazione tout court, visto che quest’ultima è già contemplata dalla legge nella procedura d’accertamento in termini di poteri attribuiti alla Pubblica Amministrazione. L’art. 37 è, allora, norma interpretativa, orientata a dirimere ogni dubbio sul rimborso che spetta al titolare apparente qualora questi abbia subito una indebita imposizione (83).
Quanto al caso sub sudicio, per i giudici partenopei la sostituzione di un soggetto contrattuale – la società di Vaduz anziché il campione – ha comportato anche una diversa qualificazione del rapporto, dacché una causa diversa dalle prestazioni calcistiche è stata apprestata per rendere meno evidente la interposizione soggettiva (84).
In appello (85), invece, i giudici da un lato limitano la portata dell’art. 37, comma 3°, alla sola interposizione fittizia di persona, e dall’altro lato negano la sussistenza di quest’ultima in ragione della mancata prova dell’accordo trilatero e del <<diretto passaggio>> dei compensi dall’ipotizzato interponente al terzo.
Di qui la critica, al giudice di primo grado, di avere confuso la interposizione fittizia con quella reale, nonché la censura di non essersi avveduto della mancanza di prove – se pure a mezzo di presunzioni semplici – di una inteposizione fittizia nei termini su detti.
Osservano infine i giudici di secondo grado (86) che la società di estera, cessionaria dei diritti di sfruttamento della immagine del campione di calcio, è dotata di autonoma gestione, coi relativi obblighi di contabilità e di bilancio. La quale cosa, ad avviso del collegio, depone ulteriormente nella direzione della inteposizione reale anziché nella direzione della interposizione fittizia e della simulazione di contratti.
11.- Nel menzionato caso di superfetazione di contratti di sponsorizzazione (87), la
<<simulazione>> di componenti negative di reddito, attraverso l’uso in contabilità di fatture per operazioni inesistenti, è stata affermata dal giudice di legittimità come rettamente accertata a mezzo di presunzioni semplici, vale a dire in essenza la misura spropositata dei contratti.
Analogo è l’argomento – se pure in senso quali-/quantitativamente invertito – che lo stesso Supremo Collegio sviluppa – ex art. 39, 1° comma lett. d), d.p.r. n. 600 – con
(83) Ibidem.
(84) Ibidem.
(85) Comm. trib. 2° grado Napoli, 29 giugno 1994, n. 126, cit.
(86) Ibidem.
(87) Cass., 3 giugno 2003, n. 1149/3307, cit.
riferimento a irrisori ricavi dichiarati per affitti immobiliari, con il corollario della
<<simulazione relativa del prezzo>> dei contratti di affitto medesimi (88).
In altri casi la Corte Suprema, dovendo affrontare situazioni di costi (e fatture passive) a copertura di operazioni asseritamene inesistenti, ha affermato - sulla base dell’art. 21 d.p.r. n. 633 del 1972 – essere la fattura, come tale, documento idoneo a comprovare un costo della impresa, talché la prova della simulazione totale o parziale incombe tutta sulla Pubblica Amministrazione (89).
Nel lease-back anomalo le presunzioni semplici conducono i giudici tributari ad affermare la <<inesistenza>> della vendita al locatore “di ritorno” (90), laddove invece, nel caso del “leasing fantasma”, si è asserita in sede nomofilattica la non-deducibilità degli sborsati canoni in ragione della <<fittizietà>> del leasing privo di consegna (e finanche esistenza) del bene (91).
Altre ipotesi di costi <<inesistenti>> sono state accertate sulla scorta di accertamenti officiosi, facenti riferimento all’art. 39, 2° comma, d.p.r. n. 600 del 1973, i quali hanno attribuito rilevanza probante alle rilevanze negative di magazzino (92).
Con riguardo alle ricevute bancarie, i giudici tributari (93), preso atto della non- contestazione del fatto che esse riguardavano operazioni assolutamente <<inesistenti>>, negano la deduzione dei relativi interessi passivi in quanto <<scaturenti da attività illicita>>, laddove la illiceità della attività è fatta derivare appunto dalla
<<inesistenza>>.
Diversamente, l’emersione del fatto che determinati importi fatturati erano in realtà “tangenti” – e non, come apparentemente si voleva, operazioni commerciali – ha indotto il S.C. a negare la deduzione dei relativi importi per difetto della inerenza (94). Nel caso, poi, della “tangente” imputata a maggior costo per l’acquisto della partecipazione
(88) Cass. 22 maggio 2002, n. 398, cit. Simile, sul versante penale, è il caso di Trib. Torino, sez. pen., 3 aprile 1997, cit., riguardante la vendita di immobili a prezzo, indicato nei rogiti, inferiore a quello reale da parte di una società (le prove qui essendo il rilevamento di conti sociali non ufficiali e le movimentazioni bancarie sul conto corrente del coniuge del socio di riferimento della società alienante).
(89) Cass., 17 maggio 2005, n. 18710, in Banca dati fisconline, con nota di LEO (L.), Per la Cassazione la fattura è documento giustificativo di spesa. E’ onere dell’Amministrazione finanziaria dimostrare la insussistenza del costo ripreso a tassazione.
(90) Comm. trib. 1° grado Treviso, 22 aprile 1995, n. 74, cit.
(91) Cass., 5 luglio 2006, n. 23230, cit.
(92) Comm. trib. reg. Xxxxxxx, 00 xxxxxx 0000, x. 00 (x il caso dell’acquisto di olio d’oliva totalmente fasullo da parte di una impresa).
(93) Comm. trib. centr., 13 ottobre 1997, n. 5747, cit.
(94) Cass., 24 gennaio 2001, n. 5796, cit.
(destinata a diventare una immobilizzazione finanziaria), il S.C. ha affermato che l’Amministrazione finanziaria può sindacare la congruità dei ricavi e costi esposti in bilancio e in dichiarazione dei redditi, anche se non ricorrono irregolarità nelle scritture contabili o vizi degli atti giuridici nell’esercizio della impresa (95).
Nel caso della impresa individuale occultata al fisco, se ne è affermata la esistenza, dichiarando legittimo un accertamento induttivo in assenza di contabilità, basato sulla imponente movimentazione di danaro e merce in capo al soggetto (96).
Dipoi, similmente a quanto rilevato dai giudici di primo grado in un caso già visto (97), si è affermata la simulazione sia oggettiva sia soggettiva con riguardo a un contratto, stipulato tra soggetto italiano e soggetto estero e avente a oggetto i diritti di sfruttamento dell’immagine di un calciatore (98).
Infine, a fronte dei compensi esorbitanti agli amministratori soci, la Suprema Corte ha più volte affermato la sindacabilità dei costi da parte del fisco in base alle regole sull’accertamento e sulla tassazione del reddito d’impresa (99), precisando peraltro che ciò prescinde dalla invalidità di atti societari e contratti sotto il profilo civilistico (100). In un caso, però, lo stesso Supremo Xxxxxxxx si è espresso in senso opposto, affermando che, per potersi procedere a tale sindacato sui compensi, occorrerebbe una norma generale antielusiva che non c’è, ed aggiungendo che l’art. 37, comma 3°, d. p.r. n. 600 del 1973 non è in questa ipotesi applicabile (101).
12.- Un grumo di fallacie insidia gli argomenti dei giudici che si sono occupati di
dividend washing e di dividend stripping. Sono fallacie atte a disturbare una visione
(95) Cass., 7 maggio 2002, n. 11240, cit.
(96) Comm. trib. centr., 29 aprile 1994, n. 1978, cit.
Con riferimento alla società di fatto ai fini ILOR, che la P.A. ravvisa per lo più in ipotesi di attività illecite o non autorizzate, la giurisprudenza tributaria esige la prova del fondo comune con il conferimento di beni e servizi, insieme alla comune alea di guadagni e di perdite e alla intenzione pattizia di stringere un vincolo di collaborazione, allo scopo di un comune profitto (Comm. trib. 2° grado Ravenna, 21 maggio 1985, n. 309, in Banca dati fisconline).
(97) Supra, par. prec.
(98) Comm. trib. reg. Napoli, 14 gennaio 2004, n. 55. Non ha spostato i termini della questione, nella ricostruzione simulatoria complessiva, il fatto che il contratto con la società estera sia stato posto in essere non già direttamente dalla società calcistica datrice di lavoro, bensì da una consociata di quest’ultima.
(99) Cass., 17 maggio 2000, n. 12813, cit.; Cass., 10 novembre 2000, n. 13478, cit.; Cass., 12
giugno 2006, n. 20748, cit.
(100) Cass., 17 marzo 2000, n. 12813, cit.
(101) Cass., 30 novembre 2001, n. 6599, cit.
chiara del fenomeno simulatorio nel diritto tributario. Anche la dottrina ha fatto la sua parte in questo senso.
Cominciamo con l’argomento per cui il contratto – o il collegamento negoziale – non è simulato perché le parti lo hanno <<effettivamente voluto>>, tant’è che esse perseguono proprio quegli effetti fiscali che da esso derivano (102).
Questo argomento non è, come può apparire a una corriva critica, tautologico, giacché esso non afferma che il negozio non è simulato perché non è simulato. L’argomento, cioè, non contrappone, alla tesi di simulazione, puramente e semplicemente un attestato di non simulazione.
Piuttosto, questo argomento esclude la simulazione puntando l’indice sul fatto che il negozio, della cui simulazione trattasi, è stato effettivamente voluto.
Xxx, dicendo che avendo voluto il negozio le parti non possono averlo simulato, l’argomento recupera l’idea del negozio simulato come non voluto, cioè come espressione di una contraddizione intrinseca tra volontà e dichiarazione. Ma questa idea, pur senza qui riesumare la disputa tra volontaristi e dichiarazionisti, è il vero punto che si dà per oltrepassato a seguito della disputa medesima (103).
(102) Per la giurisprudenza, supra, par. 8, e ivi alla nota 70. In dottrina, sul dividend stripping: LUPI, L’elusione come strumentalizzazione delle regole fiscali, in Rass. trib., 1994, p. 229; ID., Usufrutto su azioni: una norma, cit., p. 1537; NUSSI, Dividend ashing e usufrutto azionario nell’imposizione sui redditi, cit., par. 3.1. In tema di dividend washing: STEVANATO, Le “ragioni economiche” nel dividend washing e l’indagine della “causa concreta” del negozio: spunti per un approfondimento, in Rass. trib., 2006, p. 309 ss. e ivi al par. 3; ADONNINO, Commento a Trib. Roma, sez. pen., 25 marzo 1999, cit., par. 5; XXXXXXXX, <<Dividend washing>> e norme antielusive, in Riv. giur. trib., 2006, p. 29. Adde, con riferimento sia al dividend washing sia dividend stripping, XXXXX, Il dividend washing tra cessione, cit, par. 3.
(103) Vedi: XXXXXXX-XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, nona ed., rist., Napoli, 1986, p. 151; SACCO, in SACCO, Le controdichiarazioni, in Tratt. dir. civ. dir. da Xxxxx, terza ed., rist., Torino, 2005, p. 647; XXXXXXXXX, Delle obbligazioni e dei contratti,
Milano, 1984, p. 420.
Nel senso, invece, della dicotomia tra <<l’interno volere>> e la dichiarazione avente attitudine ingannatoria, vedi: FERRARA sr., La simulazione assoluta, in Riv. dir. civ., 1908, I, p. 460 s.; XXXXXXX FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1948, p.
508. Diversamente orientato PUGLIATTI, La simulazione nei negozi unilaterali, in ID., Diritto civile. Metodo, teoria, pratica, Milano, 1951, p. 541, p. 541 (ove si ravvisa un vizio causale nel negozio simulato). In quest’ultima prospettiva, ancora, si afferma che il contratto simulato non è affetto da un vizio di volere, ma è piuttosto nullo per mancanza di causa (DISTASO, La simulazione dei negozi giuridici, Torino, 1960, p. 195 ss.) ovvero inefficace (ROMANO [S]., Contributo esegetico allo studio della simulazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1954, p. 15 ss.; XXXXXXXXX, La simulazione nel negozio giuridico, Napoli, 1957, passim).
Se è poi alla volontà “interna” che l’argomento in parola allude, va detto subito che a codesta volontà non attribuisce rilevanza (protettiva) neppure la dottrina volontaristica più pura, di ascendenza pandettistica e risalente (104).
Allora, al più l’argomento in parola, nella consapevolezza che la volontà investe anche il patto simulato, vuole significare che il negozio è voluto dalle parti non già come patto ostensibile e “ufficiale”, bensì come patto tout court nell’assenza di un patto “riservato” (105).
Nondimeno, siccome la simulazione su cui ci s’interroga sarebbe una ostensione verso quel terzo particolare che è il fisco (106), s’intravedono le crepe dell’argomento.
Gli è che, dicendo che il negozio è <<effettivamente voluto>>, si assume come implicita premessa sottintesa che, nella simulazione, vi sia una dichiarazione “non voluta”. Sennonché nella simulazione in generale – e in quella di cui trattasi in particolare – non c’è una dichiarazione “non voluta”, bensì piuttosto, se del caso, una dichiarazione “esibita” al fisco e una dichiarazione “non esibita”.
Donde, sul piano strettamente logico, una fallacia c.d. di (ir)rilevanza – o di presunzione - dell’argomento in parola, dacché esso presuppone implicitamente un assunto erroneo: che, cioè, se il contratto fosse simulato esso non sarebbe voluto e non si presenterebbe come tale.
E il dire, come abbiamo visto fare, che il negozio non è simulato perché le parti perseguono proprio la disciplina fiscale del negozio medesimo, è un argomento ulteriormente affetto da fallacia di rilevanza o presunzione, giacché in tale argomento si assume implicitamente come supposizione - in premessa maggiore - che nel negozio simulato verso il fisco le parti cerchino un regime fiscale diverso da quello proprio del negozio esibito, laddove il vero è esattamente l’opposto.
13.- Si è afermato alle volte – lo abbiamo visto (107) – che il negozio non è simulato perché <<vero>>.- Ma nella simulazione la questione clou non è la verità o la non- verità, bensì l’attitudine ingannatoria della dichiarazione, tale per cui gli artt. 1414 ss.
(104) FERRARA sr., op. loc. citt.
(105) I due attributi sono ripresi da TORRENTE – XXXXXXXXXXX, Manuale di diritto privato, diciassettesima ed., Milano, 2004, p. 177.
(106) Cfr. XXXXX, op. cit., p. 648; TORRENTE – XXXXXXXXXXX, op. loc. citt.
(107) Supra, all’inizio del par. prec.
c.c. respingono l’ambiguità menzognera nei rapporti sociali (108). Ciò è vero a tal punto che non rileva la volontà prava o il dolo dei simulatori, e finanche non rileva – in presenza di attitudine ingannatoria – la “reale” (e dunque “vera”) sussistenza di una controdichiarazione (109), dacché la simulazione – non definita dal codice come fattispecie – è una disciplina anti-menzognera (110).
L’affermare, dunque, che il negozio è <<vero>> a nulla serve se non se ne esclude l’attitudine ingannatoria.
Al più che il negozio sia vero, in sé e per sé, significa soltanto che esso non è fatto in una finzione scenica o per gioco (111).
Ma, esclusa questa irrilevante – nel contesto – significazione, il dire che il negozio è
<<vero>> esprime l’implicita assunzione (in premessa maggiore) che nella simulazione vi sia una dichiarazione “falsa”, il che non è vero ché semmai vi è una dichiarazione “esibita”. Non è vero, cioè, quanto si assume in premessa sottintesa, dicendo che non c’è simulazione perché il negozio è <<vero>>.
Il che importa che l’argomento è affetto ancora, in logica giuridica, da una fallacia di
c.d. non causa pro causa, xxx xxx si assume surrettiziamente una premessa maggiore errata, la quale non può sostenere il sillogismo.
(108) CASELLA (M.), voce Simulazione (dir. priv.), in Enc. dir., Milano, 1990, p. 958 ss.
(109) Cass., 25 ottobre 1965, n. 2236, in Banca borsa tit. cred., 1966, II, p. 35.
(110) Vi è così, evidentemente, un punto di congiunzione tra la c.d. simulazione apparente e la
c.d. apparentia juris . Xxxx XXXXX, op. loc. ultt. citt.
(111) Il contratto degli attori in scena è nullo per mancanza di accordo o di causa soggettivistica, ex artt. 1418 e 1325 c.c. (SACCO, op. cit., p. 431). Ma, nel momento stesso in cui si dice che manca una “dichiarazione”, anche la simulazione diventa “messa in scena , ché la “dichiarazione” sta tutta nella “controdichiarazione” (op. loc. ultt. citt.). E – si noti – nella simulazione la messa in scena è “seria”, e non “ludica” e astratta dai traffici. Quanto al contratto iocandi vel docenti causa, ivi è questione d’inesistenza come vuota apparenza per GAZZONI, Manuale di diritto privato, decima ed., Napoli, 2003, p. 963. Ma – viene da dire – dacché la recitazione è il gioco per antonomasia (si pensi a spielen, jouer, to play, e a quanto detto supra in corrispondenza della nota 4), allora si può ritenere che ogni rilevanza giuridica sia negata ai negozi sul palco o sul set, in ragione del fatto che il <<gioco>> siccome tale, a differenza della scommessa, sta in un rapporto di contrapposizione piena con il contratto (cfr. XXXXXXXXX, voce Giuochi e scommesse (dir. civ.), in Enc. dir., Milano, 1969, p. 51, ancorché l’A. – a onor del vero – riduca il giuoco per lo più alla gara di svago, priva dunque di <<interessi>> in senso tecnico). Nello scherzo extra-scenico, diversamente, vi può essere tutela del terzo interlocutore, donde l’applicazione dell’art. 1433 c.c. (SACCO, op. cit, p. 432). Ma una visione unitaria del teatro e del gioco extra-scenico è proposta da XXXXXXX, op. cit., p. 99, il quale vede un
<<distacco dalle manifestazioni stesse>>, una <<rappresentazione didattica o immaginativa>>, posta al di fuori della <<vita reale>>, e dunque un negozio non simulato in quanto riconoscibile per ciò che effettivamente è dai terzi.
E ancora, l’assunto di verità e realtà ed effettiva volizione, che abbiamo appena confutato nei suoi vari rispetti, è stato talora coonestato con ulteriori argomenti a supporto.
Così si è scritto, ad esempio, che nel dividend washing non vi è simulazione, in ragione della <<conformità dello scopo rispetto alla causa>>, aggiungendosi poi che la simulazione deve essere esclusa prendendo atto degli <<specifici effetti perseguiti attraverso quello specifico procedimento negoziale>> (112).
Cominciamo con lo scopo. Come è stato perspicuamente osservato (113), l’indagine sullo “scopo” in tema di simulazione – quale residuo di volontarismo – conduce alla improponibile comparazione tra nozioni incomparabili, cioè a dire da un lato lo scopo e dall’altro lato la causa. Questa è infatti prescrizione negoziale e quindi appartiene al dover essere, mentre il primo è asserzione e appartiene dunque all’essere. E non vi è comparabilità tra l’essere e il dover essere.
Per identificare lo <<scopo>>, in diritto altro non si può fare che guardare alle prescrizioni negoziali, alle quali dunque, in un modo o nell’altro, si ritorna (114).
Il che importa che il parlare di conformità dello scopo alla causa per negare la simulazione è, ancora, una fallacia non causa pro causa - o fallacia di falsa causa -, dacché pone a suo sostegno implicito un assunto non vero: che cioè si possa comparare – a scopo d’indagine sulla simulazione - lo <<scopo>> con le prescrizioni negoziali, mentre se mai è da queste che s’inferisce quello.
Passiamo agli effetti.
Qui lo scrutinio giurisprudenziale (115) ha evidenziato che le operazioni di dividend washing e di dividend stripping sono tutte concentrate e proiettate sul solo incasso del dividendo da parte del cessionario. Il che importa che il fare ricorso agli effetti negoziali per negare la simulazione è un argomento fallace per c.d. presunzione. Infatti, il sostegno implicitamente invocato – quello cioè degli “effetti” – è proprio il testo e il contesto da cui, se mai, si evincono gli indici simulatorii (116). Quanto meno si deve dire che il riferimento agli effetti, se non accompagnato da una indagine dettagliata sui medesimi alla luce dei patti e contratti, è semplicistica e per ciò stesso fallace.
(112) XXXXXXXXX, Primi punti fermi, cit., par. 4.
(113) XXXXXXX, Simulazione, in Tratt. dir. priv., dir. da Bessone, Torino, 2002, p. 521 s.
(114) XXXXXXX, op. cit, p. 521.
(115) Supra, par. 2 e 3.
(116) Infra, Parte II.
A meno che per <<scopi>> non s’intenda il trasferimento della titolarità o del diritto reale di godimento, nel qual caso l’argomento è fallace sotto l’aspetto della petitio principii, dacché assume la verità di quanto vuole dimostrare nel tentativo di dimostrarlo.
14.- Si è osservato (117) che, nel dividend washing e nel dividend stripping, non sarebbe applicabile l’art. 00-xxx xxx x.x.x. x. 000 xxx 0000, xxxxxx xx xxxx operazioni non sussisterebbe <<apparenza>> veruna.
Qui diciamo subito che la premessa implicita – che cioè nella simulazione vi sia necessariamente una “apparenza” – è falsa. Ché la teoria della simulazione come contrasto fra apparenza e realtà è superata, in termini di causa e intento – o fattispecie e autoregolamento –, laddove l’intento non è quello psichico, bensì quello di quei significanti che sono le dichiarazioni e le controdichiarazioni (118)
L’apparenza, come l’intento psicologico, è dato fenomenico e fenomenologico; mentre la simulazione emerge da quel codice di significanti che è il testo e il con-testo del contratto regolante (119).
Dunque l’argomento sull’assenza di una <<apparenza>> è fallace perché presuppone erroneamente che l’apparenza rilevi in un disamina sulla simulazione.
Ciò detto, passiamo all’ulteriore argomento, facente riferimento alla rilevanza della
annotazione cartolare e alla girata (120).
Al riguardo, giova ricordare che, per una parte della dottrina – la quale argomenta dalla unilateralità non recettizia della girata e dalla disciplina sui titoli di credito (spec. artt. 1994 e 2003 c.c.) – esclude la simulazione della girata (121). Di diverso avviso, però, è altra parte (autorevole) della dottrina (122), nonché la giurisprudenza (123).
(117) NUSSI, Dividend washing e usufrutto azionario, cit., par. 3.1.
(118) XXXXXXX, op. cit., p. 521-523.
(119) IRTI, Xxxxx e contesto, Padova, 1996, p. 120 (<<Qui non c’è problema di divario o di contrasto fra apparenza e realtà giuridica, poiché la letteralità è la realtà giuridica del terzo>>.
(120) E’ argomento giurisprudenziale di cui supra alla nota 45.
(121) DISTASO, op. cit., p. 274; XXXXXX, La simulazione negli atti unilaterali, Padova, 1974, p. 236.
(122) CHIOMENTI, Il titolo di credito. Fattispecie e disciplina, Milano, 1997, p. 435 (il quale attribuisce, all’acquirente dal giratario simulato, tutte le azioni vòlte a dimostrare l’assenza di acquisto della titolarità del titolo da parte del giratario medesimo); MENGONI, La regola del
<<possesso vale titolo>> nella circolazione dei titoli di credito e i rapporti fra l’art. 1994 e l’art. 1153 c.c., in Banca, borsa, tit. cred., 1949, I, p. 880; PELLICANO’, Il problema della simulazione nei contratti, Padova, 1988, p. 85-89.
Ora, se si assume che la girata possa essere simulata – dunque a fortiori l’annotazione dell’usufrutto, ché nel più sta il meno –, l’argomento è fallace perché implicitamente assume quale premessa maggiore un asserto giuridico falso: che, appunto, la girata non possa essere simulata.
Anche assumendo, però, che la girata e l’annotazione cartolari non possano essere simulati, è fuor di dubbio che la stessa possa essere meramente fiduciaria all’incasso (124).
E, se tale è la girata o l’annnotazione, il dato cartolare può essere stato effettuato proprio per ostensione al fisco, il quale è terzo sì, ma non certo giratario del cessionario temporaneo o dell’usufruttuario. Il fisco è terzo avente diritti, i quali nascono dai diritti dei soggetti privati che partecipano alla operazione.
L’argomento in parola dunque, nel coonestare l’assenza di simulazione facendo riferimento al dato cartolare, cade in una fallacia c.d. di presunzione o falsa causa. Infatti, nel costrutto si assume per certa una quanto meno dubbia premessa implicita (non può simularsi una girata), ovvero si prospetta una concatenazione causale che non c’è (non potendo simularsi una girata o annotazione, la cessione o l’usufrutto temporanei non sono simulati). Non c’è la concatenazione poiché il dato cartolare può ridursi a mera attribuzione della legittimazione a incassare dividendi, senza cessione della titolarità e del diritto reale.
Ma poi, come poco più sopra già accennato, gli è che il fisco – rispetto al quale qui la questione della simulazione si dà - non è, almeno in questi casi, interessato alle vicende dinamiche delle annotazioni cartolari (scil. successive cessioni a terzi, che nelle operazioni disaminate mancano), bensì alla situazione statica. In questa rileva non già la legittimazione nella circolazione, bensì la titolarità inter partes, rispetto alla quale – come è palmare – l’argomento qui confutato è fallace per falso presupposto implicito,
i.e. la rilevanza, appunto, del dato “cartolare” - e dunque della legittimazione – nel contesto (125).
(123) Cass., 23 febbraio 1931, n. 635, in Riv. dir. comm., 1931, II, p. 276; Cass., 16 novembre 1960, n. 3078, in Foro it Rep., 1960, voce Titoli di credito, n. 85.
(124) DISTASO, op. cit., p. 313-319.
(125) Sic già il nostro Su talune categorie privatistiche, cit. Sulla mancanza di cessione della titolarità pur in presenza di girata, vedi CHIOMENTI, Il titolo di credito, cit., p. 436, ove l’A. osserva che, nel rapporto diretto tra girante e giratario, <<il titolo di credito è mero accessorio del credito, e solo in quanto il diritto sia stato validamente trasmesso il titolo può dirsi irreversibilmente trasferito>>. Sulla distinzione fra titolarità (proprietà del titolo) e legittimazione (possesso del titolo nelle forme prescritte dalla legge per l’esercizio del diritto cartolare), per tutti ASQUINI, Titoli di credito, Padova, 1966, p. 65 s.; COTTINO, Diritto
15.- Si è opinato (126) che la certezza dei dividendi per l’usufruttuario, quale emerge dai patti (127) rappresenti un fenomeno del tutto fisiologico rispetto al “tipo” della cessione di usufrutto azionario temporaneo, essendo questo un contratto non aleatorio e potendo anzi svolgere funzione economica di finanziamento.
A tale riguardo, va detto che la giurisprudenza teorica, la quale si è occupata dei diritti reali minori, risulta divisa sulla natura aleatoria o meno della cessione di usufrutto vitalizio, nonostante – evidentemente – il rischio essenziale dell’evento morte (128).
Per parte sua, la dottrina sui contratti aleatori è orientata nel senso che la cessione di usufrutto temporaneo, siccome tale, è casualmente <<neutra>>, l’alea solo dipendendo dalle stipulazioni delle parti nel caso concreto (129).
Ora, siccome la questione dell’alea è stata posta per lo più con riferimento alla incertezza della durata dell’usufrutto vitalizio, e non già in relazione al rischio dell’an e del quantum dei frutti (130), viene da dire che prevedere (con le apposite tabelle statistiche) la durata della vita umana è operazione tanto incerta quanto prevedere la distribuzione di dividendi da parte di una società terza in un triennio.
E questa incertezza, se anche non fosse alea in senso tecnico (131), certo sarebbe un
rischio sia in male sia in bene (132), il quale può rilevare per la interpretazione e
commerciale, vol. II, t. 1, sec. ed., Padova 1992, p. 258 ss. (ove l’A. rammenta la rivendicabilità da parte del titolare contro il terzo possessore non in buona fede).
(126) E’ tesi giurisprudenziale, di cui supra par. 7. Sulla cessione di usufrutto azionario
temporaneo a scopo di finanziamento, in dottrina vedi STEVANATO, Dividend washing e usufrutto su azioni: riflessioni “a caldo” su sostituzione dei redditi, simulazione ed elusione tributaria, in Rass. trib., 1999, p. 1496 ss., e xxx par. 3.
(127) Supra, par. 2.
(128) PUGLIESE, Usufrutto (uso, abitazione), Torino, 1954, p. 144; XXXXXXXXX XXXX, Usufrutto, uso abitazione, in Tratt. dir. civ. comm., dir. da Cicu e Messineo, Milano, 1979, p.79. L’argomento è, essenzialmente, quello per cui le parti non cercano un particolare arricchimento pel tramite del rischio. Si aggiunge, però, che l’alea può essere impressa, dalle parti, al contratto stesso. Adde RUBINO, La compravendita, in Tratt. dir. civ. comm., dir. da Cicu e Xxxxxxxx, p. 81, nota 7-bis. Contra, nel senso dell’aleatorietà del contratto, XXXXXX’, Dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione, in Comm. cod. civ., dir. da X’Xxxxxx, Libro della proprietà, Firenze, 1942, p. 590, e XXXXXXX, L’assicurazione nella teoria dei contratti aleatori, Milano, 1964, p. 307.
(129) XXXXXX, voce Alea, in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, 1987, p. 258; XXXXXXXXXXXX, L’alea, in Tratt. dir. priv., dir, da Bessone, Torino, 2005, p. 75.
(130) Supra, nt. 128.
(131) Xx xxxx <<normale>> non sembra trattarsi, ché questa è la incertezza che deriva dal mero differimento (XXXXXXX, Eccessiva onerosità della prestazione e superamento dell’alea normale del contratto, in Riv. dir. comm., 1960, I, p. 442; ID., L’assicurazione nella teoria dei contratti aleatori, Milano, 1964, p. 82) o da un rischio estraneo allo scambio (XXXXXXX, voce
qualificazione del negozio ai fini tributari, indipendentemente dalla questione – tutta di diritto privato – della possibile rescissione o risoluzione per impossibilità sopravvenuta del medesimo in virtù degli artt. 1448, 4° comma, e 1469, c.c.
Può rilevare, codesto rischio, ma non è di per sé solo un dato determinante quale unico significante per l’anzidetta interpretazione e qualificazione del negozio, né per le valutazioni circa la sua simulazione (133). Tale è il nostro parere, suggerito da quella dottrina che abbiamo visto rimettere alle parti la determinazione dell’alea della cessione d’usufrutto.
E’ però fallace il dire che l’usufrutto azionario ben si piega a diventare contratto di finanziamento, con il diritto di voto posto all’uopo - e naturalmente - in capo all’usufruttuario (134). Ché la fissazione del dividendo - id est l’annientamento del relativo rischio in bene e in male -, unitamente alla mancata attribuzione di qualsiasi voto assembleare all’usufruttuario, svuota se mai il diritto reale dell’usufruttuario medesimo fino ai limiti del nulla (135), piuttosto che costituire un esito fisiologico (e fisionomico) dell’usufrutto stesso.
Alea, in Nov. Dig. it., Torino, 1957, p. 476). A meno di non pensare a un’alea normale illimitata per volontà delle parti (cfr. XXXXXXX, Xxxxxxx, alea ed alea normale del contratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1948, p. 794). Xxxxxxxxx, sul contratto aleatorio anche per volontà delle parti, quando nella causa concreta c’è un rischio necessario riferito a un evento esterno o di un terzo, sul quale la parte non ha controllo ovvero non ha un controllo pieno (e per l’effetto le prestazioni delle parti sono indeterminate e prive di reciproca correlatività alla stipula), vedi GIANDOMENICO, Il contratto e l’alea, Padova, 1987, p. 228 s.; XXXXXXXXX, Xxxx e rischio nel contratto, Urbino, 1997, p. 158.
(132) Un tempo si tendeva a ritenere, ancorati all’idioma, che <<rischio>> significasse solo
responsabilità di assunzione di un danno, mentre la <<alea>>, come endiadi nel senso degli eventi, designasse la probabilità di un vantaggio contro la probabilità di una perdita (CARAVELLI, voce Alea, in Nuovo Dig. it, Torino, 1937, p. 308). Oggi, però, la distinzione, nel senso del solo svantaggio ovvero della duplice possibilità del vantaggio e dello svantaggio, appare superata (x. XXXXXX, voce Alea, in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, 1987, p. 255).
(133) Sulla interpretazione del contratto (di cui sopra nel testo), quale attività strumentale alla qualificazione del medesimo, x. XXXXX, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1949, p. 11 ss. e, in giurisprudenza, Cass., 13 febbraio 1968, n. 488, in Foro pad., 1969, I, c. 305. Nel senso che interpretazione e qualificazione siano compenetrate indissolubilmente,
CASELLA (M.), Il contratto e l’interpretazione, Milano, 1961, p. 160 ss., cui xxxx XXXXXXXXX, L’interpretazione del negozio giuridico, Milano, 1938, p. 101 ss. e SCALFI, La qualificazione dei contratti nell’interpretazione, Milano-Varese, 1962, passim. Sulla individuazione (anche questa evocata sopra nel testo) della simulazione – come tutela dei terzi - nel contesto dell’attività di interpretazione del “testo e contesto” contrattuali, vedasi perspicuamente IRTI, Xxxxx e contesto, cit., p. 117 ss.
(134) STEVANATO, op. loc. ultt. citt., che sul punto riprende una dottrina aziendale (POTITO [L.], Le “valide ragioni economiche” di cui all’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, in Rass. trib., 1999, p. 3108).
(135) Cfr. FALSITTA, Usufrutto di azioni e contratto in maschera, del 13 settembre 1995, ora in ID., Per un fisco “civile”, Milano, 1996, p. 183 ss.
Invocare, a sostegno della opposta tesi, un breve brano di materia aziendale, non sembra essere né persuasivo né risolutore, se è vero come è vero che uno <<scopo di finanziamento>>, in senso meramente economico inteso, può ravvisarsi nei più disparati contratti (anche una vendita a termine, per esempio) e dunque non rileva gran che nella qualificazione del contratto in questione (136); laddove invece se al finanziamento in senso giuridico si vuole fare riferimento, allora vi è da ribadire che un contratto di credito e una cessione di usufrutto sono due cose difficilmente sovrapponibili. A meno di non cadere in un’auto-contraddizione palese, che è quella di divisare, in vero, un usufrutto su crediti, il quale è bensì contratto di credito, però mantiene la titolarità del credito ai frutti nel patrimonio del nudo proprietario (137).
Non a caso, l’argomento in confutazione mostra una fallacia c.d. di non sequitur, perché orienta la conclusione verso ciò che essa si propone a priori di dimostrare (di usufrutto trattasi e non d’altro), mentre uno degli elementi della dimostrazione stessa, cioè il voto, se isolatamente preso può sostenere una tale dimostrazione, ma se unito all’altro elemento, cioè la fissità del dividendo, depone per vero in una direzione tutt’affatto diversa; e ciò è del tutto messo in ombra nell’argomento stesso. In altre parole, il voto in capo al nudo proprietario è sì contemplato come possibilità consensuale dal codice civile (art. 2352, primo comma). Ma se ciò, nello specifico, accade unitamente alla totale eliminazione del rischio, in bene e in male, in capo all’usufruttuario in ordine all’an e al quantum dei dividendi, lo invocare il voto del nudo proprietario come instrumentum per lo scopo <<finanziario>> del contratto di cessione, trucca lo stato delle cose, ché proprio quel voto sì contemplato, in una con la predeterminazione numerica dei dividendi, pone seri interrogativi circa quel che resta esattamente, dell’asserito diritto reale, in capo all’usufruttuario medesimo - rectius pone interrogativi sui significanti complessivi del testo e del contesto, nella prospettiva di una possibile lettura simulatoria ai danni del fisco. Il che importa che il diritto di voto al nudo proprietario, se da un lato coonesta la funzione economica di finanziamento in una col dividendo predeterminato, dall’altro lato, con l’endiadi medesima, esprime un significante che chiaramente allude a un che di diverso dall’usufrutto. E sul punto, a tempo debito, dovranno concorrere ulteriori significanti (138).
(136) Cfr. XXXXXXXXX, I contratti di credito, Padova, 1953, x. 000 xx. (xxxxx molteplicità possibile del <<differimento>>); GALASSO, voce Credito (contratti di), in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, 1989, p. 34 s.
(137) XXXXXXXXX, op. cit., p. 25.
(138) Infra, Parte II.
16.- Si è scritto (139) che <<gli assetti fondati sul collegamento negoziale fuoriescono dalla sfera contrattuale della simulazione per l’assenza di divergenza tra la realtà effettiva e la realtà manifestata dal contribuente>>. Si è motivato un tale assunto facendo riferimento a una <<coerenza con la tesi civilistica di maggioranza che, facendo leva sulla funzione economico-sociale della causa, sottolinea che i fenomeni di collegamento negoziale debbono obiettivarsi, non reputando sufficiente la semplice volontà delle parti o qualsiasi elemento psicologico>> (140).
La tesi è suggestiva ma non condivisibile.
Che, ai fini del collegamento negoziale, debba esigersi un dato causale obiettivo, il quale non si esaurisca nel mero intento psicologico delle parti, è un dato che non stupisce, se è vero come è vero che la causa non si esaurisce mai nel predetto intento (141).
Ma da qui al dire che, per l’effetto, non può darsi fenomenologia simulatoria di contratti collegati, non vi è nessuna connessione logica.
Il vero è che la tesi in confutazione fa discendere da una proposizione, la quale contiene il riferimento al mero intento psicologico (per aversi collegamento negoziale non basta l’intento psicologico), una conclusione la quale è accomunata alla proposizione anzidetta non già dal medesimo riferimento, bensì dal riferimento al collegamento negoziale (non può esistere simulazione del collegamento negoziale).
Il che importa che la premessa (maggiore) implicita dell’argomento in parola altra non può essere che la seguente: la simulazione si esaurisce sul piano dell’intento psicologico dei contraenti. Premessa, questa, che è falsa.
(139) XXXXXXXXX, Primi punti fermi, cit., par. 4
(140) Op. loc. ultt. citt., nota 22.
(141) E infatti, sulla causa del collegamento negoziale come funzione oggettivatasi del collegamento perseguito, vedi GAZZONI, op. cit., p. 800 s. Si osserva altresì che il motivo compenetra la causa quando non solo è esteriorizzato (sic), ma risulta altresì incisivo sulla struttura negoziale (op. ult. cit., p. 811). Quanto alla causa soggettivistica, che dall’A. in confutazione è così aborrita, si noti che essa è ben lungi dal coincidere con gli elementi psicologici, essendo piuttosto la giustificazione degli spostamenti patrimoniali in concreto, cioè la ragione dell’affare, distinta non già dalla oggettità, ma se mai dal mero tipo legale (FERRI [G.B.], Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, p. 370; e XXXXXX, Diritto civile, vol. 3, Il contratto, Milano, 1984, p. 452, ove l’irrilevanza dell’intento psicologico è particolarmente sottolineata; PELLICANO’, Causa del contratto e circolazione dei beni, Milano, 1981, p. 99).
E’ falsa perché, come autorevolmente osservato già decenni or sono (142), la simulazione, piuttosto che con la volontà, ha a che fare con una disfunzione della causa, è un <<modo di essere dell’atto secondo la causa>> (143). E, quand’anche si ragiona della simulazione in termini d’intento d’apparenza, anzitutto trattasi d’intento quale emerge dalle dichiarazioni e pattuizioni negoziali, o dai dati contestuali rilevanti ex art. 1362 c.c.; inoltre, codesto intento comune altro non è se non un fine causale, che non corrisponde, in tutto o in parte, agli effetti del negozio di cui si cerca, appunto, la mera “messa in scena” (144). Uno scoordinamento tra gli effetti propri di un negozio e gli effetti per-/con-seguiti è significante di un’intesa simulatoria; ma l’intento psicologico, come si vede, è au dehors.
Nell’argomento in parola peraltro, a bene vedere, si afferma la estraneità del collegamento negoziale non soltanto all’elemento psicologico, ma altresì alla <<volontà delle parti>> (145).
Qui occorre chiarire. Se per volontà s’intende quella interiore, allora valgono le considerazioni appena scolte in ordine all’intento psicologico. Se invece per volontà s’intende quella che si estrinseca nelle dichiarazioni oggettivandosi in esse, allora quella, dacché rileva al fine della individuazione della causa (146), rileva sia per la individuazione del collegamento negoziale, sia per la individuazione della simulazione.
Il che importa che l’argomento in confutazione è fallace per falsa presupposizione implicita, anche sotto questo rispetto.
17.- La nostra rassegna giurisprudenziale (147) ha evidenziato, in più di un caso, la ricorrenza dell’assunto giusta il quale si è in presenza di operazioni, in tutto o in parte,
<<inesistenti>> o <<fittizie>>. Vediamo ora esattamente quando, al di là della
(142) CARNELUTTI, Sistema di diritto processuale civile, Padova, 1938, vol. II, p. 406.
Adde AURICCHIO, La simulazione, cit., p. 11 ss.
(143) Troviamo l’intuizione carneluttiana oggi perpicuamente sviluppata da GENTILI, Simulazione, cit., p. 544 (<<irrilevante resta la ragione che spinge a simulare; che invece una ragione, o causa simulandi, vi sia, è il dato che unico che legittima la sussunzione negli artt. 1414 ss., e dunque la loro applicazione>>).
(144) Ancora CARNELUTTI, Teoria generale del diritto, sec. ed., Roma, 1946, p. 230.
(145) Supra, all’inizio di questo par.
(146) Anche nella concezione binaria o dialettica della causa, secondo cui essa è nel contempo oggettiva (astratto assetto d’interessi della fattispecie) e soggettiva (scopo ultimo dell’auto-regolamento negoziale), la sola volontà rilevante è quella oggettivata, sì come disciplinata neii <<sembianti strutturali fissati dalla legge>> (LA PORTA, Il problema della causa del contratto, vol. I, La causa e il trasferimento dei diritti, Torino, 2000, p. 119, cui adde p. 25).
(147) Supra, Parte Prima, par. 5.
evocazione linguistica, in codesti casi vi è simulazione, verificando i dicta in una con le motivazioni.
Va premesso che, come noto, il sintagma <<operazioni, in tutto o in parte, inesistenti>> trova il suo referente normativo nelle disposizioni di diritto penale tributario, e segnatamente oggidì nell’art. 1, lett. a) e 8, d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74, il quale punisce l’emissione di fatture o altri documenti per le su dette operazioni, al fine di
consentire a terzi l’evasione dalle imposte sui redditi e dall’imposta sul valore aggiunto (148).
Ancora sul piano del lessico, la <<fittizietà>> richiama (oggi) alla mente la interposizione “fittizia” di persona, e dunque la simulazione relativa soggettiva (149), al solito sussunta nell’art. 37, comma 3, d.p.r. n. 600 del 1973 (150).
Ma, al di là – o a latere – delle parole, è ancora una volta ai fatti e ai casi che, se pure già con un impianto più teorico, mette conto di prestare l’attenzione.
Nel (da noi denominato) leasing “fantasma”, alla <<fittizietà>> della locazione finanziaria priva di consegna del bene – fittizietà divisata dal S. C. – non corrisponde, in vero, una inesistenza del contratto di leasing, né una sua simulazione oggettiva. Infatti, la intesa sulla omissione di traditio interviene tra fornitore e utilizzatore, ignaro rimanendo il concedente, il quale subisce un preciso inadempimento contrattuale dell’utilizzatore per non informarlo questi dello stato delle cose, come invece regola di buona fede nella esecuzione (art. 1375 c.c.) e clausole contrattuali (dei correnti formulari) impongono. Dal che discende che il contratto di leasing è risolubile su iniziativa del concedente – una volta scoperto l’arcano – ai sensi dell’art. 1453 c.c. (151).
(148) Adde art. 2, d. lgs. n. 74 del 2000, il quale sanziona penalmente la dichiarazione dei redditi resa fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti <<per operazioni inesistenti>>. Su tale fattispecie DI AMATO – PISANO, op. cit., p. 381 ss.
(149) La categoria è, ovviamente, privatistica ab imis. Al riguardo: DISTASO, op. cit., p. 385; XXXXXXX, Diritto civile e commerciale, Padova, 1993, vol. II, p. 343; XXXXX, L’interposizione di persona, Padova, 1990, p. 115 s.; XXXXXXXX, L’interposizione di persona nel rapporto cambiario, in Riv. dir. comm., 1961, II, p. 264-278. In giurisprudenza civile: Cass.,
19 dicembre 1986, n. 7728, in Riv. not., 1987, p. 564; Cass., 19 dicembre 1986, n. 7728, in Riv.
not. 1987, p. 564; Cass., 6 dicembre 1984, n. 6423, in Giur. comm., 1985, I, p. 719.
(150) Su tale norma funditus, infra, Parte III.
(151) Ci permettiamo di mentovare, sul punto, il nostro Il “leasing fantasma”, cit., p. 1042 ss.. Ivi, per altro, è posta la distinzione tra il caso in cui, a cagione della mancata consegna, opera una clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c., e il caso in cui nel contratto non vi è una clausola ad hoc per tale fatto. Se nella prima ipotesi nulla quaestio, nella seconda la conclusione di chi scrive fu nel senso di cui supra nel testo, ragionando sul piano degli interessi e cioè
<<considerando il fatto che la società di leasing, in seguito alla (..) mancata consegna, in tanto può sciogliersi dal vincolo contrattuale con il fornitore (che non ha consegnato), in quanto abbia certezza di non essere più debitrice nei confronti del cliente>> (op. ult. cit., p. 1045).
Come si vede, manca nei fatti anche una simulazione soggettiva – oltre che oggettiva –, poiché se è vero che lo schema contrattuale è trilatero, non è meno vero che non vi è un soggetto che ostenta di contrarre in luogo di un altro.
Detto altrimenti, l’intesa prava tra concedente e utilizzatore introduce un’anomalia nella esecuzione locazione finanziaria stipulata tra concedente e utilizzatore, nonché nella esecuzione della compravendita posta in essere tra fornitore e concedente. Nessuna disfunzione, invece, consta nella formazione dei predetti contratti.
Sì che l’assunto giurisprudenziale di <<fittizietà>> è improprio, o quanto meno forviante, dacché esso evoca una simulazione che non vi è.
Negare, per altro, la deducibilità dei canoni in capo all’utilizzatore – assunto giurisprudenziale anche questo – è sì corretto nell’an, ma non lo è sul coté motivazionale, ché tale indeducibilità, mancando l’inserimento del bene nel processo produttivo del lessee, ci pare dovere dipendere dalla mancanza d’inerenza ex art. 109, comma 5, TUIR, piuttosto che da un infelice menzione della natura fittizia del leasing
(152).
Ergo, oltrepassando il lessico giurisprudenziale e le suggestioni che questo può indurre, il leasing “fantasma” risiede al di fuori della sfera ontologico-giuridica della simulazione nel diritto tributario.
Ciò detto, passiamo al lease-back “anomalo”.
Qui una giurisprudenza tributaria di merito (153) ha divisato la <<inesistenza>> della vendita al soi disant locatore di ritorno. Ma gli è che tale assunto è contraddittorio.
Ché se è vero - come è vero - che nel lease-back anomalo si assiste al mascheramento di un’alienazione in garanzia aggirante il divieto del patto commissorio (154), un’alienazione appunto - dacché l’essere è ciò che non è il non-essere - deve pur
(152) Si osservi che, nonostante la truffa ordita da fornitore e utilizzatore, il costo in parola è, in sé e per sé – cioè siccome tale -, non già criminoso bensì lecito, poiché discende dalla truffa ma non remunera il crimine. Per esso dunque, piuttosto che una questione di deducibilità di componenti negativi sostenuti per integrare reati (su cui comunque in senso positivo FALSITTA, Manuale di diritto tributario.Parte speciale, quarta ed., Padova, 2005, p. 40), si pone appunto una questione d’inerenza, la quale sembra dovere essere risolta in senso negativo (ut supra nel testo), quando non vi è un ricavo tassabile, cui il costo stesso inerisce – ed è questo il caso dei canoni del leasing “fantasma” (cfr. LUPI, Redditi illeciti, costi illeciti, inerenza ai ricavi e inerenza all’attività, in Rass, trib., 2004, p. 1935 ss. e ivi al par. 4). Del resto, siccome questi costi del lessee sono ricavi imponibili in capo al lessor, il divieto di doppia imposizione economica esige la deducibilità in capo al primo.
(153) Vedila supra, alla nt. 90.
(154) Sic Cass., 12 maggio 1995, n. 10805, in Banca dati fisconline, con Commento di XXXXX. In generale sull’alienazione in garanzia con effetto immediato, aggirante il divieto del
esserci. E questa è proprio quella di cui trattasi, la quale per ciò non è <<inesistente>>, cioè non è un’assenza di (prescrittivo) dover essere negoziale, bensì è una esistenza di omologo dover essere, se pure colpito da nullità ex artt. 1344 e 2744 c.c. (155) (156).
Qui, piuttosto, si deve ragionare della possibile dissimulazione di un negozio illecito (ché contrario a norme privatistiche), con il mezzo di taluni significanti dell’auto- regolamento negoziale, che costituiscono appunto il sale-and-leaseback. Dal che poi la catena complessiva di significanti della rappresentazione negoziale – particolarmente il rapporto tra prezzo di vendita e canoni – fa emergere il <<tipo>> esatto, cioè l’alienazione in garanzia aggirante il divieto del patto commissorio (157).
Nulla è stato “occultato”. Ma ciò non rileva, ché la simulazione può contemplare nascondimenti ma non li esige (158), spesso dandosi come ancipite regolamento di negozio – e come questione di ermeneutica negoziale. Quando poco più sopra, dunque, a una <<dissimulazione>> si faceva riferimento, volevasi intendere – piuttosto che un occultamento – un ordito semantico(-simbolico) dei patti, tale da potere indurre prima
patto commissorio, ex multis Xxxx., Xxx. Un., 3 aprile 1989, n. 1611, in Giur. comm., 1989, II, p. 1569; Cass., 6 luglio 1990, n. 7161, in Corr. giur., 1990, p. 1137. In dottrina, vi è stato dibattito intorno al quesito se ogni alienazione in garanzia qua talis costituisca aggiramento del patto commissorio, ovvero se se occorrano allo scopo indici obiettivi di elusività (per una efficace rassegna al riguardo CRICENTI, I contratti in frode alla legge, Milano, 1996, p. 94 ss.).
(155) La distinzione non è capziosa né inane sul coté tributario, ché – come si dirà infra nel testo - vi è norma ad hoc che lascia intatti, sino a intervenute restituzioni, gli effetti reddituali del
negozio nullo pel diritto privato; ma tale norma non menziona il negozio inesistente. Sennò si entra nell’area degli arricchimenti da illecito, la cui tassazione è pure stabilita ex art. 14, legge 24 dicembre 1993, n. 537.
(156) Assunta recte la prospettiva di cui supra nel testo, risultano superflui gli argomenti spesi
dalla dottrina tributaria per criticare gli accertamenti officiosi sul lease-back non anomalo, in tanto in quanto puntati sulla liceità privatistica della operazione ovvero – quel che in sostanza è pari – sulla retta <<qualificazione>> della medesima (ex multis ZIZZO, Sul lease-back e l’elusione tributaria, in Dir. prat. trib., 1991, I, p. 235-237; FIORENTINO, Riflessioni sui rapporti tra qualificazione delle attività private e accertamento tributario, in Rass. trib., 1999,
p. 1055 ss. e ivi al par. 5; e il nostro Tace, forse, il grido <<dagli all’untore!>> in tema di lease back?, in Dir. prat. trib., 1992, II, p. 44 ss.). Ché se mai il punto clou dovrebbe essere se, assumendo che il lease-back costituisca frode al patto commissorio, siano deducibili in capo al purchaser-lessor il prezzo pagato per l’acquisto in garanzia e, in capo al seller-lessee, i suoi componenti negativi correlati. Solo apparentemente su questa linea è il LUPI (Lease back: qualcuno ci spieghi dov’è l’elusione, nota a Comm. trib. 1° grado Venezia, 12 febbraio 1994, n. 58, in Banca dati fisconline), il quale però, una volta superata la questione privatistica, si concentra sull’assenza di risparmio d’imposta del lease-back rispetto al leasing, là dove piuttosto
– in thesi di elusione – metteva conto di confrontare lease-back e alienazione in garanzia, a meno di non avere previamente escluso quest’ultima, cosa che l’A. non fa.
(157) Conf. XXXXX, Commento a Cass., 12 maggio 1995, n. 10805, cit., par. 8 (il quale recte esige la verifica di caso in caso). Sul rapporto tra lease back e frode all’art. 2744 c.c., in chiave critica rispetto a giur. e dottr. sul tema, x. XXXXXXXX, op. cit., p. 117-133.
(158) Per tutti, ora, GENTILI, Il contratto simulato. Teorie della simulazione e analisi del linguaggio, Napoli, 1982, p. 279.
xxxxx a non rilevare le elisioni intrinseche entro il tutto, le contraddizioni o incompatibilità che sono l’essenza logica della simulazione (159).
Quanto al diniego di deduzione del costo sostenuto dal purchaser-lessor, piuttosto che pervenire a una errata negazione basata sulla <<inesistenza>> (ché, come si è detto, un’alienazione [vi] è), ci si doveva piuttosto chiedere, ex art. 1415 cpv. c.c., se il prezzo di un’acquisto commissorio in garanzia sia deducibile siccome tale nella disciplina del reddito d’impresa.
Sul punto, il vero è che l’alienazione in parola riceve una rappresentazione contabile, nel bilancio del compratore sovveniente, la quale non contempla il bene ma soltanto il credito di restituzione del capitale a fronte della diminuzione di cassa, e nel conto economico contempla soltanto gli interessi passivi imputati secondo il criterio di competenza (160). Dipoi le entità di conto economico risultano, in questo caso, rispecchiate tout court nella imposizione reddituale, visti gli artt. 83 e 109, comma 1, TUIR.
Per ciò, nella ipotesi del lease-back “anomalo” – checché ne dicano taluni giudici tributari – vi è simulazione oggettiva e nient’affatto inesistenza. E, quanto al prezzo pagato dal soi disant locatore di ritorno, esso è bensì indeducibile, ma solo perché trattasi di somma data a mutuo con garanzia reale.
Sì che già si vede, in questo abbrivio di approccio critico (per tale intendendosi quello interpretativo e valutativo), che una inadeguata o mancata sussunzione di un regolamento negoziale sotto la nozione simulatoria, e/o un lessico improprio (<<inesistenza>>, o <<fittizietà>>), possono condurre a esiti giudiziali errati vuoi nella motivazione vuoi nel dispositivo. Non solo: una volta divisata rettamente la simulazione, gli effetti reddituali del negozio dissimulato debbono essere individuati come si conviene.
Quest è il senso della nostra “critica”, che non è mera rassegna. E’ la emersione della simulazione la dove essa davvero è, magari passando inosservata, e per converso la eliminazione di situazioni estranee alla medesima, ancorché in esse per lo più siano presenti elementi i quali evocano – in una guisa o nell’altra – la rappresentazione.
(159) Op. ult. cit., p. 281.
(160) Passi il fare rif. al ns. Il leasing nel bilancio, Milano, 1996, p. 137 s. e ivi alla n.
180. Adde, perspicuamente, ZIZZO, Sul lease back e l’elusione tributaria, cit., p. 231- 233 e 261 s.
18.- Si è visto (161) che la “tangente” è stata talora fatturata ad altro titolo, ovvero imputata a maggiore costo di un bene acquistato. Si è visto altresì (162) che, nell’accertamento e nel contenzioso tributari, la S. C. attribuisce alle fatture passive un peso probatorio non indifferente, se è vero come è vero che l’onere di provarne la falsità incombe tutto e solo sul Fisco (163). Va aggiunto, per inciso, che lo stesso S.C., con pronunzia di pochi mesi posteriore (164), ha succintamente ribaltatato la nomofilassi, suscitando qualche comprensibile sconcerto teorico-pratico.
In ogni caso, gli è che la fattura non è documento dispositivo bensì illustrativo, e infatti si discute della sua verità o falsità e non già del suo essere ancipite. La fattura, insomma, è dichiarazione di scienza e non di volontà (165).
Che poi si possano, in presenza di tale tipo di documenti, aversi casi in cui vi è un rapporto giuridico sottostante pur nella falsità di quelli (come quando la fattura è falsa sì ma sul titolo, ché quello vero è un altro) e casi in cui nessun titolo sottende la mera falsità ideologica (come quando si retrodata in frode ai creditori) (166), è distinzione che sul piano della simulazione poco apporta, ché se si tratta - come si tratta ab imis - di dichiarazioni non prescrittive bensì descrittive, vale comunque e in ogni caso quanto appresso.
Come felicemente intuito dal Carnelutti (167), e da più parti ripreso (168), alle dichiarazioni narrative-descrittive, e ai relativi documenti, non s’applicano gli artt. 1414
(161) Supra, par. 10, nt. 94 e 95.
(162) Ibidem, nt. 88.
(163) Questa inversione dell’onere della prova, di derivazione giurisprudenziale, è stata condivisa da taluni scrittori facenti riferimento all’art. 39 cpv., lett. d), d. p. r. n. 600, il quale notoriamente, per il reddito d’impresa, consente l’accertamento extra-contabile soltanto in presenza di gravi e reiterate irregolarità, tali da rendere inattendibili le scritture nel loro complesso (LEO, [L.], Per la Cassazione la fattura è documento giustificativo di spesa, cit.).
(164) Cass., 15 giugno 2005, n. 19109, in Riv. giur. trib., 2006, p. 40 s., con nota di XXXX, e in Corr. trib., 2006, p. 46, con nota di XXXXXXXX.
(165) PANUCCIO, voce Fattura, in Enc. dir., Milano, 1967, p. 1018 ss.
(166) Sic MONTECCHIARI, La simulazione del contratto, Milano, 1999, p. 19 (che sul punto riprende il Sacco). Nel primo caso di cui sopra nel testo si avrebbe uno schema comunque contraddistinto dal binomio tra una dichiarazione e una controdichiarazione, mentre nel secondo caso si avrebbero due soggetti che perseguono gli effetti dell’atto menzognero, il quale dunque diverrebbe <<velleitario>>, cioè ideologicamente falso.
(167) XXXXXXXXXX, Teoria del falso, Padova, 1935, p. 49.
(168) XXXXXX, Teoria del negozio giuridico, Padova, 1947, p. 123; DISTASO, op. cit., p. 225-230; XXXXXXX, Simulazione, cit., p. 660 s. Del resto, la dicotomia è semantica ed evoca, sì come tale, la distinzione tra il linguaggio del legislatore e quello dei giuristi (cfr. XXXXXXXX XXXXXX, Sul significato degli imperativi giuridici, in AA.VV., Diritto e analisi del linguaggio, a cura di Xxxxxxxxx, Milano, 1976, p. 215 ss.).
ss. c.c., ché viceversa si confonderebbe l’essere con il dover essere, la ragion pura con la ragion pratica (169).
D’altra parte, quand’anche si attribuisca alla fattura una natura di confessione stragiudiziale di avvenuto pagamento – ché ad esempio per i servizi essa è emessa al momento del pagamento (ex artt. 6, comma 3, e 21, comma 4, d.p.r. n. 633) -, l’art. 2372 c.c., col suo limitare la revoca di confessione ai casi di errore di fatto e violenza, non è ostacolo pei terzi nel provarne la falsità, cioè nel fare valere la esistenza di una sottesa confessione esattamente opposta alla prima (chiamare quella sottesa confessione controdichiarazione è inopportuno, onde evitare confusioni) (170).
E sorprende l’interprete allora, sotto l’angolo in discorso, che la giurisprudenza titubi un poco nello escludere l’applicazione, alla confessione stragiudiziale, delle norme sulla simulazione (171).
Sì che, esclusa la simulazione in fattura, la questione della deducibilità o meno della “tangente” fatturata a falso titolo – e quella della inerenza del relativo costo – risultano estranei a questa ricerca (172).
Del pari, alla luce di quanto appena visto, si deve escludere la simulazione nell’altro caso in rassegna, contraddistinto dalla mera indicazione, in contabilità e dichiarazione, di costi mai sostenuti per beni mai acquistati (173). Ché contabilità e bilancio sono fatti di documenti descrittivi e non già prescrittivi (174); e la dichiarazione tributaria è (per lo
(169) Cfr. GENTILI, Il contratto simulato, cit., p. 281.
(170) Conf. DISTASO, op. cit., p. 261. Si osservi che la scrittura privata, come “documento”, fa prova contro chi l’ha sottoscritta, argomentando a contrario ex art. 2702 c.c. (TORRENTE – XXXXXXXXXXX, op. cit., p. 277). Ma la fattura non deve ex lege essere sottoscritta, visto l’art. 00 xxx., x.x.x. x. 000 xxx 0000. Il che importa che la falsità della fattura può essere provata a fortiori dai terzi interessati – tra i quali ovviamente per noi spicca il Fisco -, senza bisogno di scomodare impropriamente le norme sulla simulazione.
(171) Nel senso della non-applicazione di dette norme: Cass., 16 aprile 1993, n. 4522, in Foro it. Mass, 1993, p. 431; Cass., 7 ottobre 1994, n. 8229, ivi, 1994, p. 772; Cass., 14 dicembre 1989,
n. 5623, in Foro it. Rep., 1989, voce Simulazione civile, n. 4. Contra Cass., 28 agosto 1993, n. 9135, in Foro it. Mass., 1993, n. 855.
(172) Sulla deduzione delle “tangenti” pagate, la giurisprudenza era orientata per la negativa già prima del comma 4-bis dell’art. 14, legge n. 537 del 1993, introdotto ex lege n. 289 del 27 dicembre 2002 (Cass., 19 aprile 2001, n. 2001, in Banca dati fisconline; Cass., 23 ottobre 1994,
n. 2001, ivi). Contra, perspicuamente, TINELLI, Il principio d’inerenza nella determinazione del reddito d’impresa, in Riv. dir.trib., 2002, I, p. 437, secondo cui vi è deducibilità, purché vi sia riferibilità a ricavi imponibili. Talché è tutto da vedere se la nuova norma appena citata – con la sua deroga ai principi sul reddito d’impresa – sia innovativa ovvero interpretativa (SCREPANTI, L’indeducibilità dei costi da reato, in Rass. trib., 2004, p. 958 ss. e ivi ai par. 7 e 8).
(173) Supra, par. 10, nt. 91.
(174) DISTASO, op. cit., p. 229 ss.
più) dichiarazione di scienza (175). Talché non v’è simulazione su codesti costi (né vi è d’altronde deducibilità dei medesimi, ché se non sono tout court non sono nemmeno deducibili).
Non dissimile, a dispetto della diversa parvenza, è il caso delle ricevute bancarie riferite a crediti che non esistono. Essendo infatti le ricevute bancarie in essenza quietanze (176), anche esse vanno annoverate nelle dichiarazioni assertive (non già prescrittive), e dunque in relazione a esse non ha senso parlare di simulazione (177).
Con il che può dirsi che bene ha fatto la giurisprudenza, a fronte di documenti non prescrittivi (ma descrittivi) – quali fatture, ricevute bancarie, scritture contabili e dichiarazioni tributarie –, a non invocare fuor di luogo l’istituto della simulazione, neppure sul piano del lessico.
Ciò non toglie che, d’altro canto, questo genere di dichiarazioni, spesso e volentieri, sia attuazione di una intesa simulatoria, esecuzione di un accordo simulatorio sottostante (178). Si pensi al caso dei canoni d’affitto artatamente ridotti, che originavano ricavi irrisori in fatturazione e dichiarazione, in relazione ai quali la giurisprudenza (179) ha accertato contratti sottostanti, con simulazione relativa al prezzo.
In altre parole, codeste dichiarazioni fasulle, totalmente dichiarative – ergo non simulabili – sovente non sono fini a se se stesse, ma costituiscono l’epilogo ostensionale di contratti simulati. Esse – per dirla con uno scrittore (180) – spesso non sono
<<puramente velleitarie>>.
(175) MAGNANI, voce Dichiarazione tributaria, in Dig. disc. priv., sez. comm., Torino, 1989, 281 ss.; XXXXXXXX, Il diritto tributario, Torino, 2003, p. 384; DE MITA, Principi di diritto tributario, Milano, 1999, p. 295. Adde LUPI, Diritto tributario. Parte generale, ottava ed., Milano, 2005, p. 115 s. (il quale opta per la dichiarazione “di giudizio”); XXXXXXX, La dichiarazione tributaria e la sua rettificabilità, Padova, 2005, p. 24 (la quale preferisce parlare di un contraddittorio, anche se poi, a p. 27, a una dichiarazione “di verità recettizia” fa riferimento).
(176) XXXXXXXXX, Lo sconto dei crediti e dei titoli di credito, Milano, 1984, p. 657 ss.; INZITARI, L’incasso delle ricevute bancarie da parte della banca nel corso del concordato preventivo, Padova, 1989, p. 890 ss.
(177) Sulle quietanze non suscettibili di simulazione, DISTASO, op. cit., p. 227 s: XXXXXXX, op. loc. ultt. citt. Infondato, a dire il vero, pare a chi scrive l’assunto giurisprudenziale di diniego di deduzione degli interessi passivi nati dal fido concesso a fronte delle ricevute false. Infatti, il riferimento alla illiceità dell’attività di concerto – sì come proposto dal S.C. – sembra andare alla truffa nel rilascio alla banca di dette ricevute; ma se il riferimento normativo - come pare dal
lessico - è il comma 4-bis dell’art. 14, legge n. 357 del 1993, non è dato di vedere il nesso strumentale tra gli interessi passivi in parola e le ricevute, ché se mai al contrario sono le ricevute – se pure indirettamente – che servono a scontare quegli interessi.
(178) Sic GENTILI, Simulazione, cit., p. 663.
(179) Supra, par. 10, nt. 88.
(180) SACCO, Le controdichiarazioni, cit., par. 4.
Diverso è il caso in cui dichiarazioni descrittive fasulle si collocano all’interno di un atti prescrittivi non simulati nella parte regolamentare. Qui si afferma estensivamente la simulazione (181); ciò però, prevalentemente, in tema di registro.
19.- Il contratto di sponsorizzazione, accompagnato dal rilascio di fatture eccedenti gli importi in effetto pagati (182) è, a seconda dei casi concreti, simulato o meno, a seconda che la evasione (183) sia o meno concertata fino a includere una mimesi di prezzo nell’accordo, ai danni del Fisco.
Come si osservava in chiusura del paragrafo precedente, qui le fatture false sono sovente l’attuazione di una intesa simulatoria quale documento contrattuale. Sul punto, il
S.C. ha divisato una <<simulazione di componenti negative>> di reddito, con un lessico infelice dacché il componente di reddito non è un negozio. Piuttosto si può dire che a monte della sottofatturazione sta la simulazione del contratto relativamente al prezzo, in danno al Fisco, dissimulato essendo il maggiore prezzo effettivo.
Quanto ai compensi esagerati agli amministratori-soci, sappiamo che la giurisprudenza, quando ha legittimato una ripresa a tassazione in presenza dei medesimi, ha chiarito di prescindere dalla validità degli atti societari (184).
In effetto, la delibera di determinazione del compenso dell’amministratore-socio, che l’assemblea ordinaria assume ex art. 2479 cpv. c.c., è stato reputato, quale atto unilaterale collettivo non ricettizio, essere insuscettibile di simulazione, ma al più passibile di riserva mentale (185).
Au fond sta l’art. 1414, comma 3, c.c., la cui interpretazione però sembra avere esteso la portata dello schema simulatorio anche agli atti unilaterali non ricettizi, nei
(181) Op. loc. ultt. citt. Qui l’A., con riferimento al patto sottinteso alla dichiarazione fasulla, preferisce usare la locuzione <<dichiarazione occulta>> invece che <<controdichiarazione>>, così sottolineando che si tratta appunto di dichiarazione non prescrittiva. Occorre, però, prestare attenzione all’occultamento, ché esso non è reputato essere una condizione necessaria della simulazione (fra gli altri Cass., 25 ottobre 1965, n. 2236, in Banca borsa tit. cred., 1966, II, p. 35 ss.); e per ciò è preferibile, comunque, delle <<controdichiarazioni>> fare la menzione, se del caso ivi aggiungendo un attributo quale <<dichiarative>> o <<descrittive>> o <<narrative>>.
(182) Supra, par. 10, nt. 85.
(183) In questi termini, recte, LUPI, I diversi motivi di “diffidenza” del fisco per la sponsorizzazione e la rappresentanza, in Rass. trib., 2002, p. 1566.
(184) Supra, par. 10, nt. 99.
(185) DISTASO, op. cit., p. 249.
quali compartecipi della finzione – anche se non della formazione dell’atto - sono i c.d. contro-interessati, ossia i compartecipi del rapporto (186).
Dunque, nel caso della delibera che fissa il compenso all’amministratore-socio, pare si debba ritenere che, esorbitante essendo l’importo sulla base dei vari parametri oggettivi che la giurisprudenza correttamente indica (187), sussiste una concorrenza semantica la quale vede il destinatario del compenso coinvolto inevitabilmente nel concepimento dell’atto, quand’anche egli sia formalmente estraneo alla formazione dello stesso sì come astenuto (188) .
In altre parole, la delibera dissimula in magna parte una distribuzione di dividendi in danno al Fisco, con buona pace della società e del socio, ché la prima deduce un dividendo travestito da compenso e il secondo, a suo tempo, evadeva l’ILOR sul dividendo in virtù del travestimento stesso (189).
Detta delibera, cioè, soffre della stessa patologia del negozio bilaterale simulato (190), specie perché assunta in ipotesi alla unanimità e dunque non ponendo remore ermeneutiche sul contemperamento degli interessi e sulla prova di resistenza (191). Sotto altro angolo, tutti i voti sono etero-destinati rispetto al contratto sociale, e dunque essa è contraria all’art. 1375 c.c., dal che discende, secondo un orientamento, la sua invalidità
(192) o, secondo altra opinione, la sua nullità (193). A chi obiettasse che il risparmiare
(186) Vedi già un barlume del concetto in GIAMPICCOLO, La dichiarazione recettizia, Milano, 1959, p. 248. Ma spec. vedilo in SACCO, Le controdichiarazioni, cit., par. 4; XXXXXXX, Simulazione, cit., p. 660, con riff. anche giurisprudenziali a margine.
(187) V., supra, par. 5, note 43-45.
(188) Su questo aspetto della disciplina, ci permettiamo di fare rinvio al nostro Interesse sociale e determinazione del compenso dell’amministratore-socio, in Giur. comm., 1991, II, p. 92 ss.
(189) Conf., perspicuamente, CARPENTIERI, Compensi ai soci amministratori e riqualificazione come dividendi: può ipotizzarsi il credito d’imposta?, in Rass. trib., 1994, p.
583 ss., la quale con acume, poi, risolve la questione del credito d’imposta sui dividendi all’epoca vigente - stante l’allora art. 14, comma 5, TUIR –, argomentando per analogia dai ricavi non contabilizzati di cui all’allora art. 75, comma 4, TUIR, e facendo altresì decorrere, dalla notifica dell’atto che incidenter accerta la simulazione, il termine di cui all’art. 18, d.p.r. n. 602 del 1973.
(190) Cfr,. FERRARA – CORSI, Gli imprenditori e le società, dec. ed., Milano, 1994, p. 535.
(191) ASCARELLI, Sulla simulazione di modificazione statutaria, in Riv. trim dir. proc. civ., 1950, p. 829 ss.; XXXXXXX, La simulazione, cit., p. 299 s.
(192) XXXXXX, L’interesse sociale, Milano, 1964, p. 193. In giurisprudenza, Cass., 26 ottobre
1995, n. 11151, in Giur. comm., 1996, II, p. 329; Alla illiceità del motivo, argomentando ex art. 1345, fa rif. XXXXXXX, Appunti per una revisione della teoria sul conflitto di interessi nelle deliberazioni di assemblea delle società per azioni, in Riv. soc., 1956, p. 460 ss. (sempre però con l’esito della annullabilità).
(193) Sic, per asserita illiceità dell’oggetto ex art. 2379, Cass., 6 maggio 1963, n. 511, in Riv. dir. comm., 1964, II, p. 93 ss.
imposte fa parte del contratto sociale replichiamo che sì, ma non col travestimento di dividendi in compensi ai soci gestori.
Qui allora si prescinde sì – per dirla con una giurisprudenza su richiamata – dalla invalidazione della delibera, perché non si esperisce l’azione, ma si rileva incidenter la sua messa in scena. E’ dunque un errore lo invocare, al riguardo, una non meglio precisata primogenitura del diritto privato sul diritto tributario (194), ovvero ragionare in termini di elusione (195), oppure di inerenza (196), o ancora di frapposizione tra società e legittima tassazione in capo alla medesima (197).
Tanto diciamo poiché quivi la società erogante e i soci e il percettore bifronte, amministratore e socio, sono (o erano) in lapalissiana combutta fra di loro, simulatoria ai danni dell’erario. Talché il fenomeno è evasivo e nient’affatto elusivo, ed esso è colpito sì come tale dall’ordinamento già esistente, id est quale simulazione relativa parziale (198).
20.- Vi è un fingersi ciò che non si è, o altro da ciò che si è, quando si nasconde al Fisco il fatto di essere imprenditore commerciale. Rispetto a tale finzione, sappiamo che la giurisprudenza (199) non ha menzionato la simulazione, e si tratta di capire il perché.
La teoria bigiaviana dell’imprenditore occulto, nonostante l’autorevolezza del suo ideatore e gli argomenti a spendibili in suo favore, non ha trovato accoglimento nella giurisprudenza teorico-pratica (200). Non solo ma, nonostante la suggestione lessicale e
(194) V. il ns. Sulla sindacabilità fiscale dei compensi agli amministratori (soci) di società di capitali, in Dir. prat. trib., 2002, II, p. 21 ss.
(195) LUPI, Compensi abnormi agli amministratori: antielusione sì, doppia imposizione no, in Rass. trib., 1994, p. 81; ID., Lease-back: qualcuno ci spieghi dov’è l’elusione, cit.; cui adde ns. Revirement della Cassazione in tema di compensi agli amministratori, in Dir. prat. trib., 2003, II, p. 923 s. Adde ns. notarella Ancora in tema di sindacabilità dei compensi agli
amministratori-soci, ivi, 2002, II, p. 560.
(196) XXXX, A proposito di inerenza…il fisco può entrare nel merito delle scelte imprenditoriali?, in Riv. dir. trib., 2002, II, p. 940 ss.; XXXXXXXXX, Davvero sindacabili i compensi agli amministratori?, ivi, 2003, I, p. 1145 s.; ID., L’indeducibilità dei compensi abnormi agli amministratori, in Corr. trib., 2002, p. 599 ss.; ID., Compensi a soci amministratori e interposizione di persona. Un’ipotesi da scartare, in Rass. trib., 1994, p. 77.
(197) DI XXXXXXXX, Compenso a socio amministratore di società di capitali a base ristretta. E’ applicabile l’art. 37, comma 3, del d.p.r. n. 600/1973, in Rass. trib., 1994, p. 73.
(198) Sulle modalità, infra, Parte II.
(199) Supra, par. 10, nt. 96.
(200) Ci riferiamo, in particolare, al superamento del principio di cui all’art. 1705 c.c., nell’applicazione dell’art. 147 l.f., a un soggetto di cui non v’è spendita di nome. Critici sull’orientamento menzionato sopra nel testo, XXXXXX – DENOZZA - TOFFOLETTO, Appunti di diritto commerciale, sesta ed., Milano, 2006, p. 30 s. Contra, in linea con detto orientamento, LIBONATI, Diritto commerciale, Milano, 2005, p. 205 s.; XXXXXXX, Diritto commerciale.
l’immagine da essa evocata, la nozione d’imprenditore occulto non s’attaglia al nostro caso, ché nello schema privatistico dell’imprenditore occulto quest’ultimo è coinvolto nel fallimento di altro imprenditore, il quale ha agito come suo prestanome, mentre nello schema tributario della persona fisica, che occulta al Fisco il suo proprio essere impresa individuale, non vi è per ipotesi alcun imprenditore che presta il nome.
Qui, se si osserva, ciò che si occulta al Fisco è precipuamente un’attività. E, sulle attività in quanto tali, già da tempo si è osservato (201) che esse possono essere al più apparenti o inesistenti ma non simulate, inquantoché la simulazione concerne sempre atti, mentre l’attività per parte sua non può essere qualificata se non in relazione alla imputazione di atti. Sì che, se un’attività non può essere simulata, per analoghe ragioni essa non può essere dissimulata, nel senso che si tratta di attività non manifestata per ciò che essa è (senza, per altro, alcun binomio soggettivo come nell’imprenditore occulto).
Per ciò va condivisa la giurisprudenza che non legge in chiave simulatoria la situazione dell’imprenditore individuale, il quale non si manifesta come tale al Fisco.
Quanto alla società di fatto, la declinazione, da parte della giurisprudenza tributaria (202), della triade di presupposti privatistici (fondo comune, alea comune, affectio), esige un inquadramento chiarificatore.
Soccorre così la osservazione di chi (203) accosta, per distinguerla, la società di fatto alla società occulta, là dove nella prima, esattamente all’opposto che nella seconda, vi è esteriorizzazione di un rapporto non formalizzato in un contratto orale o scritto, mentre nella seconda vi è occultamento ai terzi di un rapporto scritto (204). Altri osserva però che la società occulta è, normalmente, una società di fatto, ossia una società di persone (necessariamente tale), la cui esistenza non risulta da una pattuizione espressa, ma si ricava dal comportamento dei soggetti e dai loro facta concludentia (205). Sì che il contratto sociale nella società occulta di persone può essere, a seconda dei casi, scritto od orale.
L’imprenditore, dec. ed., Bologna, 2006, p. 83. Sul tema vedi anche COTTINO, Diritto commerciale. L’imprenditore, quarta ed., Padova, 2000, p. 199 ss.
(201) XXXXXXXXX, Società di persone tra società; imprenditore occulto; amministratore indiretto; azionista sovrano, in Foro it., 1956, I, 1, c. 405 ss. e spec. 411; FERRI, Socio sovrano, imprenditore occulto, e fallimento del socio nelle società per azioni, in Riv. dir. comm., 1955, p.
13 ss.; DISTASO; op. cit., p. 230 s.
(202) Supra, par. 10, nt. 96 cpv.
(203) XXXXXXX, Diritto commerciale. Le società, quindic. ed., Bologna, 2005, p. 49 ss.
(204) MOTTI, Le vicende della società di persone, in AA. VV., Diritto delle società, sec. ed., Milano, 2005, p. 67 s.
(205) COTTINO, Diritto commerciale. Le società,quarta ed., Padova, 1999, p. 20.
Sta di fatto che la corrente interpretazione, a differenza di quanto accade con l’imprenditore occulto (206), configura una responsabilità verso i terzi in capo all’ente non esteriorizzato e, in caso d’insolvenza del medesimo, applica analogicamente l’art. 147 l.f. (207).
Se quest’ultimo assunto possa essere ricavato o meno dalle norme sulla simulazione, e in particolare dall’art. 1415 c.c., è dubbio. Accanto ad autorevoli assertori della tesi positiva (208), constano chiare posizioni contrarie (209). E se non può non registrarsi, in favore dei primi, l’apertura crescente verso la simulazione del contratto di società (di persone) (210), a sostegno della tesi contraria sta la diversità speculare delle situazioni tra società occulta e simulazione assoluta, ché nella prima nulla appare di ciò che è, mentre nella seconda tutto ciò che appare non è. Una diversità speculare, questa, che complica le cose, costringendo, nel caso della società occulta, a un’analogia juris dell’art. 1415
c.c. (211).
In conclusione, la giurisprudenza tributaria sulla società di fatto – con la triade di requisiti usuali - può essere condivisa, quando manca un accordo sociale. Là dove invece un tale accordo vi sia, in una col patto di sottacerlo, allora piuttosto che di società di fatto bisognerebbe ragionare di società occulta (212), con possibile emersione analogica delle norme sulla simulazione poste a tutela dei terzi, tra cui il Fisco.
21.- Lo scrutinio giudiziale della Parte Prima ha manifestato più fingimenti, in varie guise atteggiati, per la cui lettura s’impone ora una dogmatica.
(206) Supra, nt. 200.
(207) Cass., 30 gennaio 1995, n. 1106, in Foro it., 1995, I, c. 3227; Cass., 7 dicembre 1989, n. 5408, in Società, 1990, p. 446). In dottrina XXXXXXX, op. loc. ultt. citt.; XXXXX, op. loc. ultt. citt.
(208) GRECO, Corso di diritto commerciale, Milano, s.d., (ma 1948-1952), p. 276 s.;
COTTINO, Diritto commerciale. L’imprenditore, cit., p. 200.
(209) BIGIAVI, L’imprenditore occulto, Padova, 1954, 129 ss.; XXXXXXXXX, op. loc. ultt.
citt.
(210) Favorevoli per le società di persone: XXXXXXX, Società in genere. Le società di
persone, in Tratt. dir. civ. comm., dir. da cicu e Messineo, Milano, 1982, p. 193; XXXXXXX, Simulazione, cit, p. 650; in giurisprudenza Trib. Verona, 14 ottobre 1986, in Fall., 1987, p. 1069, non nota di XXXXXXXXXX, Società e simulazione.
Ampiamente negativa è la posizione per le società di capitali. Vedi ANGELICI, La società nulla, Milano, 1975, p. 192; XXXXXXX, op. ult. cit., p. 193; BOCCHINI, I vizi della costituzione e la <<nullità della società per azioni>>, Napoli, 1977, p. 133; in giurisprudenza Trib. Milano, 12 giugno 1992, in Giur. it, 1993, I, 2, 536. Contra Cass., 1 dicembre 1987, n.
8979.
(211) Così, infatti, GRECO, op. loc. citt.
(212) Cfr. XXXXXXX, Diritto commerciale. Le società, cit., p. 49.
Al riguardo, va tosto detto che, mentre i privatisti più attenti (213) osservano come la simulazione sia, per lo più, posta in essere nei confronti del Fisco, per parte loro i tributaristi quasi fuggevolmente richiamano gli artt. 1415 s. c.c. (214), ovvero formulano l’assunto giusta il quale i simulatori non vogliono il negozio simulato, per ciò inefficace sia in diritto civile sia in diritto tributario (215).
Gli è che, piuttosto, le parti vogliono proprio il negozio simulato per l’ostensione al Fisco. D’altra parte, gli artt. 1415 e seguenti dovrebbero, in teoria, costituire un autentico significante in subiecta materia, sì che si tratta di capire il perché di detto riferimento quasi fuggevole. Né si deve dimenticare che il punto cruciale, per il diritto tributario, non è la simulazione consumata dai privati per ingannare altri privati, bensì quella concepita e realizzata proprio per l’esibizione all’Amministrazione Finanziaria.
Su questo terreno il dogma del volere va evitato con oculatezza, poiché esso induce a una dicotomia – quella tra negozio voluto e negozio dichiarato - concettualmente errata (216), nonché oggettivamente contraddetta dal fatto che, il più delle volte, una duplicità negoziale non esiste tout court, ché non esiste un testo alternativo più o meno occultato ai verificatori, i quali agiscono ex art. 33, d.p.r. n. 600 del 1973 (217). Eppure in tali casi vi è una autentica messa in scena, allestita al cospetto della Pubblica Amministrazione.
Mette allora conto di entrare, piuttosto, in una prospettiva di schema simulatorio, quale emerge dall’attività d’interpretazione del negozio.
Sul punto, autorevolmente, è stata prospettata una congiunzione fra gli artt. 1362 ss. e 1415 s. c.c , pervenendosi all’esito secondo cui le norme sulla simulazione fanno incombere, in capo ai contraenti, una responsabilità precisa in ordine a quel “significar
(213) XXXXXX, Teoria del negozio giuridico, Padova, 1947, p. 122; TORRENTE – XXXXXXXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., p. 177.
(214) XXXXXXXXX, Possesso di redditi e interposizione di persona. Contributo allo studio dell’elemento soggettivo nella fattispecie imponibile, Milano, 2000, p. 266, 279 s. e 321.
(215) XXXXXXX, Abuso del diritto ed elusione fiscale, Padova, 1995, p. 107; CONTRINO,
Elusione fiscale, evasione e strumenti di contrasto. Profili teorici e problematiche operative, Milano, 1996, p.109 s.; XXXXXXX, L’invalidità del contratto nelle imposte sui redditi, Padova, 2003, p. 70.
(216) XXXXXX, Teoria, cit. p. 122; XXXXXXXXXXXX (R.)., Xxxxxxxxx in generale, in Tratt. dir. civ., dir. da Grosso e Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, sec. ed., Milano, 1961, p. 38; DISTASO, La
simulazione dei negozi giuridici, Torino, 1960, p. 22 ss.; PUGLIATTI, La simulazione nei negozi unilaterali, ora in ID., Diritto civile Metodo, teoria, pratica, Milano, 1951, p. 541. Contra FERRARA, La simulazione assoluta, in Riv. dir. civ., 1908, I, p. 460; CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1948, p. 508.
(217) Cfr. GENTILI, Il contratto simulato. Teorie della simulazione e analisi del linguaggio, Napoli, 1982, p. 279.
per verba” del testo contrattuale siccome tale (218). Ché il testo medesimo, dai terzi interessati, è interpretato senza riferimento alle persone dichiaranti, con un primato della oggettività – garante dell’affidamento altrui e della socialità dei rapporti – e senza introspezioni di sorta (219). Ciò non significa però assoluto primato del testo (le parole, isolatamente prese) sul con-testo (ciò che sta prima e dopo di esse), giacché il terzo, nell’attività di scrutinio contrattuale fatta ex art. 1415 s. (in una con l’art. 1362), effettua altresì una ricognizione e valutazione dei contegni anteriori e posteriori al contratto, al fine della de-cifrazione di quest’ultimo (220). In ciò la <<langue>> prevale sulla
<<parole>>, la oggettività dei verba e il loro senso letterale sulle intenzioni, perché la disciplina della simulazione tutela la buona fede dei terzi (221). E se, da un lato, al centro della congiunzione fra gli artt. 1362 ss. e 1415 s. sta una protezione dei terzi in termini di codice linguistico – socialmente accettato e generalmente praticato -, dall’altro lato i terzi sono legittimati a s-coprire un significato diverso da quello letterale, quando vi è un uso fraudolento o pregiudizievole del linguaggio, e quando in capo ai terzi stessi vi sono situazioni protette (222). Rispetto a queste ultime, esiste una precisa responsabilità dei dichiaranti in ordine al linguaggio adottato, poiché la dichiarazione precettiva ha un suo significato sociale, sul quale i terzi in buona fede sono tutelati dagli artt. 1415 s. c.c. (223), sì che anche qui un dogma – quello dell’autoregolamentazione – lascia il posto alla oggettivazione, o commercializzazione che dire si voglia (224). Come già detto, in ciò – e per ciò – tabula presentiae e tabula absentiae (225), cioè testo e contesto, possono concorrere.
Per altro anche altri scrittori, contrari ai lasciti volontaristici, vedono nel negozio simulato qualche cosa di diverso da un che di non-voluto, e più precisamente: a) un quid il quale, esprimendo in parte qua l’impegno alla finzione come articolazione del patto
(218) IRTI, Xxxxx e contesto, Padova, 1996, p. 166.
(219) Op. ult. cit., p. 167.
(220) Op. ult. cit., p. 170.
(221) Op. ult. cit., x. 000 x., x xxx xxxx xx. 00x. (222) Op. ult. cit., p. 121-123.
(223) Op. ult. cit., p. 128. Sovvengono, qui, le icastiche parole di XXXXXX X XXXXXX, La ribellione delle masse, trad. it., Xxxxxxxxx – Greppi, Milano, 2001, p. 13: <<Troppo spesso si dimentica che ogni dire autentico non soltanto dice qualcosa, ma che qualcuno lo dice a qualcun altro. In ogni dire c’è un emittente e un ricevente, che non sono ininfluenti sul significato delle
parole. Questo muta quando mutano quelli>>.
(224) SALVI, Introduzione a AA.VV., Categorie giuridiche e rapporti sociali. Il problema del negozio giuridico, a cura di Xxxxx, Milano, 1978, p. 77-79; FERRI (G.B.), Il negozio giuridico, Padova, 2001, p. 213.
(225) La terminologia è di BORTOLUZZI, Forma e interpretazione nel negozio giuridico notarile (il giurista e la logica scientifica), Torino, 1998, p. 27.
dissimulato (226), è – logicamente e lessicalmente – esso stesso in sostanza controdichiarazione; b) un quid il quale, avendo in sé componenti logico-semiotiche reciprocamente incompatibili fra loro, costituisce un’area di convergenza di valori e giudizi che tra di loro si elidono (227).
Né dicasi che si tratta di prospettazione isolata.
Ché, anzitutto, si condivide che la controdichiarazione possa essere desunta da contegni, cioè da indici obiettivi esterni, per la tutela dei terzi interessati (228). Dipoi, per quel che riguarda la lettura semantico-tutelare della simulazione rispetto ai terzi, basti il mentovare le celebri pagine di un insigne giurista (229) sul <<punto di rilevanza ermeneutica>> del negozio, inteso come quello su cui – in aperta antitesi ai fautori della
<<volontà vera>> - convergono, socialmente e oggettivamente, le posizioni degli
interessati. Più di recente, per altro, si è acutamente dimostrato (230) che la ricerca dello
<<intento>> - come volontà <<vera>> - in tema di simulazione è una via verso il nulla, ché nell’accezione volontaristica della causa, essendo questa l’intento delle parti, il negozio simulato non è nemmeno un negozio (col che si prova troppo), e d’altra parte nell’accezione dichiarazionistica il negozio simulato c’è ma non coincide con l’intento dei contraenti, talché si è costretti a dare rilevanza all’intento, rinnegando così socialità e oggettività bettiane – e sopra tutto cadendo in auto-contraddizione rispetto alle premesse dichiarazionistiche.
Sì che, dal punto di vista della imposizione reddituale, prima di evidenziare che il negozio privatistico regredisce a mero fatto (231), è se mai questione di non affermare che il negozio simulato è non-voluto, e piuttosto di fare regredire a mero fatto il volere (232), così guardando al negozio simulato come a un patto dotato di una sua causa (233),
(226) SACCO, Le controdichiarazioni, cit., p. 639-702.
(227) XXXXXXX, Il contratto simulato, cit., p. 281; SACCO, Le controdichiarazioni, cit., p. 642.
(228) Cass., 25 ottobre 1965, n. 2236, in Banca borsa tit. cred., 1966, II, p. 35 ss.
(229) BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1949, p. 281 ss.
(230) XXXXXXX, Il contratto simulato, cit., p. 257.
(231) BATISTONI FERRARA, Atti simulati ed invalidi nella imposta di registro, Napoli, 1969, p. 50; XXXXXXXXX, Possesso di redditi, cit., p. 255.
(232) XXXXXXX, Il contratto simulato, cit., p. 281.
(233) Di una <<sovrapposizione>> della simulazione alla causa del negozio simulato, fa menzione MAJELLO, Il contratto simulato: aspetti funzionali e strutturali, in Riv. dir. civ., 1995, I, p. 644 s. Neutra è la giurisprudenza sulla c.d. causa simulandi (che, per i volontaristi, dovrebbe sovrapporsi alla causa del negozio simulato), reputandosi che essa sia superflua (Cass., 19 febbraio 1986, n. 7728, in Foro it. Rep., 1986, voce Simulazione civile, n.2; Cass., 11 maggio 1987, n. 4323, ivi, 1987, voce cit., n. 17). Alle esigenze di recupero dell’elemento simulatorio subiettivo, da taluno espresse (CERONI, La simulazione, in Giur. sist. civ. comm., fondata da
ché fra l’altro un negozio da interpretare è sempre un “fatto” prima della sua sussunzione (234).
Bisogna, cioè, pensare al negozio simulato come a un quid, anzitutto e per lo più, da decifrare, il che compete, fra l’altro, ai terzi interessati tra i quali vi è il Fisco, poiché se è vero – come è vero – che la disciplina della simulazione manifesta una riprovazione dell’ordinamento per le ambiguità nei confronti dei terzi (235), ciò vale in primis nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria, vittima principe delle simulazioni dei privati.
D’altronde, a chi obiettasse che quello di cui sopra è impropriamente un gergo privatistico in una sedes materiae tributaria, replichiamo – sulle orme del Xxxxx – che in materia di simulazione quello in questione è un linguaggio che non è parlato, ma che si fa parlare – che parla mediante lo scrivente in soggetta materia (236) – e che, come si vedrà a maggiore ragione, dischiude l’accesso a talune soluzioni di rilievo per la presente indagine.
Altrimenti detto, come è stato perspicuamente rilevato (237), fintantoché a ciò non ostino principi costituzionali o norme tributarie inferiori, codesto privatistico è lo humus della simulazione nella imposizione reddituale, la sua chiave di volta per la com- prensione della teoresi in itinere (238).
Tanto è più vero dacché notoriamente non si dà, nel codice civile, una fattispecie nozionale della simulazione ma soltanto una sua disciplina fra le parti e verso i terzi, talché il ragionare dei privatisti sullo schema simulatorio non è condizionato da un concetto dell’istituto potenzialmente incompatibile col diritto tributario.
Bigiavi, Torino, 1991, p. 658), si è risposto, affermando che rimane irrilevante lo scopo - pur dovendo esserci una ragione oggettiva o causa simulandi - onde potersi sussumere il patto sotto gli artt. 1414 ss. (XXXXXXX, Simulazione, in Tratt. dir. priv., dir. da Bessone, Torino, 2002, p. 544).
(234) IRTI, La ripetizione del negozio giuridico, Milano, 1970, p. 98.
(235) XXXXXXX (M.), voce Simulazione (dir. priv.), in Enc. dir., 1990, p. 598 s.
(236) Cfr. Cass., Sez. Un., 31 marzo 1941, n. 930, in Giur. imp. dir., 1941, p. 354 ss., con nota adesiva di VANONI, L’unità del diritto ed il valore per il diritto tributario.
(237) XXXXXXXXX, Possesso di redditi, cit., p. 248 ss., con ivi riff. giurisprudenziali a margine, tra cui Cass., 12 dicembre 1974, n. 4227, in Boll. Trib., I, p. 331.
(238) Più in generale, a sostegno di quanto detto supra nel testo, vedi BERLIRI, Corso istituzionale di diritto tributario, vol. I, Milano, 1985, p. 21 s.; XXXXXXXX, Il diritto tributario, Torino, 2003, p. 11; FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale, quinta ed., Padova, 2005, p. 183-185; XXXXXXXX, L’interpretazione della legge tributaria, in Tratt.dir.
trib., dir. da Xxxxxxxx, Padova, 1994, p. 587 (tutti nel senso della derivazione di termini e concetti sino a regola contraria).
22.- Se i residui del pandettismo volontaristico sono da evitare, non è men vero il medesimo criterio per gli eccessi opposti, tutti improntati alle <<dichiarazioni>>.
Non si ritiene, cioè, di condividere la prospettiva di chi (239) vede, alla base della simulazione nella imposizione reddituale, un possibile problema di <<apparenza>>. Xxxx si è, infatti, che un autorevole filone di pensiero privatista concepisce l’apparenza
– o finzione – come clou della simulazione (240). Ma è altresì vero che, come intuito da un esimio giurista (241), occorre tenere presente la dicotomia non confondibile tra il piano dell’essere e quello del dover essere.
La questione della epistéme, cioè della certezza vera, attiene alla sfera dell’essere (242). Intorno alla epistéme rotea ogni distinzione tra fenomeno e noumeno, tra ciò che sembra essere – ovvero appare – e ciò che è: tra ciò che è vero e ciò che è fasullo, solo in parvenza vero risultando essere, per errore di percezione o di esame (243). Diversamente, ogni questione su prescrizioni o regolamenti, pubblici o privati, attiene alla sfera del dover-essere (244), piuttosto che alla ermeneutica di ciò che è.
Sì che la simulazione, la quale per norme di legge (art. 1414 ss.) è anch’essa questione di dettato prescrittivo sub specie di contratto (e negozio unilaterale recettizio), non deve essere concepita in termini di apparenza, con ciò alludendosi a una presunta verità, che non c’è, o se c’è non è più vera di altra che si taccia surrettiziamente di falsità.
In quest’angolo, l’errore in cui s’incorre dipende , come è stato lumeggiato (245), da una <<fallacia descrittivistica>>, il che evoca l’acte apparente, e trascura che il dover- essere non è, né tanto meno appare. Questa erronea <<apparenza>> dell’atto simulato è, in vero, un vizio in esso insito, o più precisamente – onde non equivocare coi vizi del consenso – la inadeguatezza che il medesimo giudizio dispositivo, o dettato prescrittivo, rivela rispetto agli interessi delle parti (246).
(239) XXXXXXXXX, op. cit., p. 242 s.
(240) FALZEA, voce Apparenza, in Enc. dir., Milano, 1958, p. 682; CASELLA (M.), op. cit., p. 593.
(241) XXXXXXXXXX, Teoria del falso, Padova, 1935, p. 49, 138, 152.
(242) XXXXXXXX, La filosofia dai Greci al nostro tempo. La filosofia antica e medievale, Milano, 1994, p. 128 ss.; ID., La filosofia, etc., La filosofia moderna, Milano, 1996, p. 283 ss.
(243) Opp. locc. ultt. citt.
(244) DISTASO, Simulazione, cit., p. 218 ss.; XXXXXXX, La simulazione, cit. p. 519 ss.; XXXXX, Le controdichiarazioni, cit., par. 4.
(245) XXXXXXX, Il contratto simulato, cit., p. 257.
(246) Op. loc. ultt. citt. Adde, in punto d’interpretazione, OPPO, Profili dell’intepretazione oggettiva del negozio giuridico, Milano, 1943, p. 141; FERRI (G.B.), Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, p. 372.
Ciò non è punto una divagazione nella teoria generale. Ché in primo luogo ancora – come già è accaduto (247) – non è la dogmatica a imporre un linguaggio, bensì quest’ultimo che parla mediante quella. E alla obiezione per cui tutta la scienza giuridica, secondo il ragionamento di essere e dovere, sfuggirebbe alle categorie ontologiche (verità inclusa) – essendo essa interamente una scienza sul dovere –, si replica con un triplice argomento: a) non è punto astruso il giungere a tale conclusione, tanto che si distingue la logica formale dalla logica giuridica (o logica <<critica>>), in una con la ragion pura dalla ragion pratica (248); b) non è un caso che si parli della scienza giuridica come scienza del rigore descrittivo, piuttosto che come scienza formale o empirica, e tanto si faccia per lo più a partire dal linguaggio prescrittivo delle norme (249); c) ergo l’errore della simulazione vista come contrapposizione tra <<apparenza>> e <<verità>>, è più che mai evidente come emersione di un quid alii rispetto al con-testo di collocazione.
Inoltre – ancora sulla rilevanza della ricerca del concetto di simulazione –, non può sfuggire il fatto che, come emerso da poco (250), se si eliminano sia gli eccessi volontaristici sia quelli dichiarazionistici, si delinea un significato di <<simulazione>> il quale fa emergere gli interessi delle parti e dei terzi nella decifrazione del testo.
La ricerca degli interessi, in quanto tale, pone la teoria della simulazione sempre in dialettico rapporto col fatto (251). Nel caso della simulazione verso il Fisco, all’interesse delle parti a una corretta applicazione del tributo, si giustappone l’interesse del Fisco a una interpretazione del testo contrattuale priva di <<mistificazioni>> e di
(247) Supra, par. prec.
(248) XXXXXXXXXX, op. cit., p. 19 s. Contra GIANFORMAGGIO, In difesa del sillogismo pratico, ovvero alcuni argomenti kelseniani alla prova, Milano, 1987, passim e maxime p. 90 s., che critica l’assunto per cui non si darebbe inferenza sillogistica sulle/delle norme- E’ bensì vero
– osserva l’Autrice – che se l’uomo è mortale e Xxxxxxx è uomo ergo Xxxxxxx è mortale, mentre se i ladri debbono essere puniti e Xxxxx è ladro ergo Xxxxx deve essere sì punito come il ladro Caio ma non può inferirsi, dal fatto che Xxxxx e Caio debbono essere puniti, che tutti i ladri debbono essere puniti; è però anche vero – si aggiunge – che, se il pensiero giuridico inferisce deduttivamente in guisa logicamente corretta, esso non può non produrre asserzioni in termini di dover essere giuridico, cioè vere, cioè descrizioni del diritto valido.
(249) BOBBIO, Scienza del diritto e analisi del linguaggio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1950,
p. 342 ss. e ivi spec. ai par. 7 e 8; XXXXXXXX XXXXXX, Sul significato degli imperativi giuridici, in Riv. it. sc. giur., 1957-1958, par. 6; XXXXXX, Il problema del significato direttivo, in AA.VV., Diritto e analisi del linguaggio, a cura di Xxxxxxxxx, Milano, 1976, p. 158 ss.; XXXXXXXXXX, Una base semantica per la teoria dell’interpretazione giuridica, ivi, p. 348.
(250) Supra, in questo par.
(251) Cfr. CARNELUTTI, Arte del diritto (in memoria di Xxxxxxxx Xxxxxxxx), ora in ID.,
Discorsi intorno al diritto, Padova, 1937, p. 58.
<<esteriorizzazioni>> (252). Non solo, gli interessi delle parti alla conclusione di un determinato patto, piuttosto che di un altro, vengono in considerazione nel soppesare la ipotesi della simulazione.
23.- Le fallacie, vuoi volontaristiche vuoi dichiarazionistiche, debbono essere oltrepassate. Questa Aufhebung – lo abbiamo visto (253) – respinge l’idea del negozio voluto o non voluto, sì come la idea del negozio apparente o reale.
Tanto è per una idea, piuttosto, che pone la simulazione come questione, sopra tutto, di interpretazione, cioè come migliore adeguamento della valutazione legale al complesso dei giudizi posti a disposizione dell’interprete (dichiarazioni, contegni) (254) – con emersione, come pure si è visto, anche degli interessi (255).
In quest’angolo, la simulazione stessa diventa un annullare – un Aufheben appunto – quella contraddizione, che sta all’essenza di un testo ancipite da sciogliere univocamente (256).
Per superare la contraddizione del testo perplesso, si tratta di capirlo ovvero inferirne il senso dal contegno tenuto (257). A volte è la realtà stessa a contraddire la dichiarazione - è il dato di fatto che inficia il testo -, nel quale caso si può presumere una
c.d. contrrodichiarazione, non precettiva in vero, che ristabilisce la verità senza disporre rapporti giuridici (258).
Epperò si coglie l’essenza della simulazione mediante una doppia Aufhebung, annullando cioè i residui impropri di volontarismo e dichiarazionismo e dipoi
(252) Cfr. XXXXX, Le controdichiarazioni, cit., p. 642.
(253) Supra, in questa Parte II, par. 21 e 22.
(254) XXXXXXX, Il contratto simulato, cit. p. 258.
(255) Supra, par. prec.
(256) SACCO, Le controdichiarazioni, cit., p. 642; XXXXXXX, Simulazione, cit., p. 529. In questa prospettiva l’accordo simulatorio, cioè la intesa di fingere, è essenzialmente e giurididicamente atto negoziale, di accertamento mero (là dove fa prevalere il dissimulato), e piuttosto obbligatorio verso il prestanome che si deve astenere dal godimento della cosa, tenendo però in piedi l’inganno (op. ult. cit., p. 529 s.). Conf. BIANCA, Diritto civile, vol. 3°, Il contratto, Milano, 2000, 3° vol., p. 699. Contra, nel senso della natura non negoziale, AURICCHIO, La simulazione del negozio giuridico, Napoli, 1957, p. 38. Nel senso che sia patto, ma non contratto, SACCO, op. loc. ultt. citt. Per una panoramica sulla questione della natura negoziale o meno delle controdichiarazioni, DISTASO, voce Controdichiarazione, in Enc. dir., Milano, 1962, p. 281 ss. La giurisprudenza vede nelle controdichiarazioni, per lo più, uno strumento probatorio (Cass., 9 giugno 1992, n. 7084, in Nuova giur. civ. comm., I, 358 ss., con nota di XXXXXXXXX).
(257) IRTI, La ripetizione, cit., p. 112.
(258) XXXXX, op. cit., par. 4; XXXXXXX, Simulazione, cit., p. 533.
annullando, per conseguenza, la contraddizione testuale nella interpretazione, con emersione – tra l’altro – degli interessi in giuoco.
Ben si comprende, a questo punto, il più che legittimo interrogativo circa una possibile confusione tra simulazione e interpretazione mera (259), al quale si deve rispondere proprio sulla scorta di quanto sin qui detto intorno al fenomeno (senza noumeno!) simulatorio.
La simulazione emerge, dalla interpretazione-qualificazione, come autocontraddizione del testo e con-testo contrattuali. Nel caso in cui tale auto- contraddizione sia tutta limitata al nomen juris scelto dalle parti, rispetto al contenuto precettivo del negozio quale risulta dalla attività di intepretazione-qualificazione (260), la simulazione sussiste ed emerge qualora constino altri significanti simulatorii, e segnatamente l’ostensione al terzo – il Fisco per i nostri intenti – e del pari la
predisposizione di mezzi di prova, i quali depongano nella direzione del patto simulato (261).
24.- Che l’Amministrazione Finanziaria, in determinati casi, possa agire in simulazione per la tutela della sua pretesa tributaria, è jus receptum per gli autori tradizionali e nuovi, privatisti e tributaristi (262).
(259) Perspicuamente FALSITTA, Elusione fiscale illegittima, contratto travestito e società
<<contagocce>>, cit., ora in ID., Per un Fisco “civile”. Casi, critiche e proposte, Milano, 1996, p. 194 s. e ivi alla nt. 3.
(260) Sul rapporto tra interpretazione e qualificazione, la impostazione “classica” è del BETTI, Interpretazione, cit., p. 11 ss., secondo cui la <<interpretazione>> è la premessa alla
<<qualificazione>> come sussunzione nel tipo legale. Conf. in giur., ex multis, Cass., 13 febbraio 1968, n. 488, in Foro pad., 1969, I, 305. Altri (CASELLA [M.], Il contratto e l’interpretazione, Milano, 1961, p. 160 ss.) optano per una sorta di circolo unificante. Altri ancora (SACCO, L’elaborazione degli effetti del contratto, in Tratt. dir. civ., dir. da Xxxxx, Torino, 2004, p. 387) non condivide l’ultima impostazione. Critici, rispetto alla tesi bettiana, sono altresì GRASSETTI, L’interpretazione del negozio giuridico, Milano, 1938, p. 101 ss.; SCALFI, La qualificazione dei contratti nell’interpretazione, Milano-Varese, 1962, passim. Per una efficace sintesi del tema vedi MARICONDA, Delle obbligazioni e dei contratti, Milano, 1984, p. 322.
(261) Cfr. XXXXXXX, Il contratto simulato, cit., p. 279.
(262) FERRARA, Della simulazione dei negozi giuridici, terza ed., Roma, 1992, p. 380; DISTASO, La simulazione dei negozi giuridici, Torino, 1960, p. 716 ss.; BATISTONI FERRARA, Atti simulati e invalidi, cit., p. 53; GALLO, Prime riflessioni su alcune recenti norme antielusione, in Dir. prat. trib., 1992, I, p. 1769, nt. 7; XXXXXXXXX, Possesso di redditi, cit., p. 280; XXXXXXXX, Possesso di reddito ed interposizione di persona, in Dir. prat. trib., 1993, I, p. 1680.
Con il che tosto si pone, sotto il rispetto della imposizione reddituale, la questione di “leggere” la formula – invero un po’ vaga (263) – dell’art. 1415, comma 2, c.c., in una con la nozione processuale d’interesse ad agire.
I privatisti, con acume, sembrano avere còlto che il negozio simulato, ancorché di per se stesso non soggetto a un regime impositivo diverso dal negozio dissimulato – quando, per ciò, in particolare non si verte in materia d’imposta di registro –, può alterare uno o più elementi della fattispecie impositiva, talché in siffatte ipotesi il Fisco può dirsi pregiudicato in un proprio diritto ai sensi del capoverso dell’art. 1415 c.c. (264).
Sul punto, si registra una sostanziale adesione da parte di una dottrina tributaria recente (265).
Più in generale, va tosto detto che l’art. 1415, comma 2, c.c. è interpretato, dalla giurisprudenza teorico-pratica (266), come facente riferimento a quei soggetti i quali, pur non essendo né parti nell’atto né loro successori a titolo universale nel rapporto inciso dalla simulazione, sono titolari di una posizione giuridica pregiudicata , in modo attuale o quanto meno potenziale, dall’atto simulato. Talché il Fisco, al pari – per esempio – del simulato alienante defunto (267), è pregiudicato dalla simulazione in tanto in quanto, dallo scioglimento della contraddizione facente emergere la dissimulazione, vanta un (maggior) credito tributario nei confronti di una delle parti del negozio.
Sul coté del processo civile, è ben corretto il chiedersi se l’A.F. abbia interesse ad agire, in simulazione a prescindere dai casi nei quali la simulazione stessa, ove oltrepassata verso l’atto dissimulato, intacca sì fattispecie impositive ma non <<interessi economici>> dell’erario (sono situazioni, queste, in cui il ripristino di ciò che è dissimulato non origina maggiore prelievo) (268).
(263) Sic GENTILI, La simulazione, cit. p. 629.
(264) FERRARA, op. loc. citt.; DISTASO, op. loc. citt.
(265) XXXXXXXXX, op. cit., p. 281.
(266) Cass., 25 novembre 1982, n. 6381, in Riv. not., 1983, p. 777; Cass., 20 giugno 1962, n. 1590, in Foro it. Rep., 1962, voce Frode e simulazione, n. 55; in dottrina XXXXXX , Il contratto, cit., p. 704 ss.
(267) Sul legittimario del simulato alienante defunto, per la reintegrazione della quota lesa, Cass., 1 aprile 1974, n. 983, in Foro it. Rep., voce Simulazione in materia civile, n. 19; Cass., 23 gennaio 0000, x. 000, xxx,0000, xxxxxx xxxx, x. 00; Cass. 25 febbraio 1987, n. 1999, ivi, 1987,
voce Successione ereditaria, n. 105. Altre situazioni, anch’esse accostabili a quella del Fisco nel contesto dell’art. 1415 cpv. c.c., sono quella del titolare della prelazione agraria rispetto alla simulazione del prezzo (Cass., 9 agosto 1991, n. 8669, in Giust. civ., 1992, I, p. 443; Cass., 17 marzo 1990, n. 2479, ivi, 1990, I, p. 1200), nonché quella del titolare di prelazione urbana in analoghe circostanze (Cass., 17 luglio, 1991, n. 7947, in Foro it., 1991, I, c. 3215).
(268) XXXXXXXXX, op. cit., p. 283.
Pur condividendosi – come detto – la posizione del problema, non si ritiene di potere abbracciare la soluzione positiva.
Vero si è, infatti, che l’azione ordinaria da parte del Fisco deve ritenersi proponibile anche se il negozio simulato non ha ancora avuto attuazione (269), ma è altresì vero che ciò vale in tanto in quanto – come già detto - la potenziale attuazione del negozio assurga a (pericolo di) danno. Argomentare, dalla proponibilità dell’azione prima dell’attuazione del negozio simulato, nel senso dell’interesse ad agire anche quando il Fisco non vanta alcun interesse economico intaccato dalla simulazione (270), si risolve in una petizione di principio, ché la premessa maggiore del sillogismo – scil. l’azione è proponibile anche prima dell’attuazione del negozio simulato – è tutta da dimostrare, o quanto meno è ambigua, posto che essa è bensì vera ma si tratta di capire se lo è anche quando, dall’attuazione negoziale medesima, non deriva alcun pregiudizio, quanto meno potenziale. Il che, ad avviso di chi scrive, non è vero, dacché non si può fare rientrare nel
<<pericolo di danno>>, dinnanzi all’A.G.O., un interesse che non intacca, nemmeno in potenza, un diritto soggettivo verso i simulatori (271).
Gli è che l’azione in parola trova il suo fondamento sostanziale in una norma quale l’art. 1415 cpv. c.c., la quale tutela il credito – o al più l’aspettativa – incisi dalla messa in scena (272).
E, per parte sua, la tesi secondo cui - per <<danno>> intendendosi la mera incertezza sprigionata dalla simulazione – sempre i terzi, ancorché privi di danno, hanno interesse ad agire, risulta peregrina (273). Essa stride finanche con l’interesse ad agire in accertamento tout court, intendendosi per tale l’interesse al conseguimento di specifici diritti derivanti dall’azione vòlta all’ottenimento della sentenza dichiarativa (274).
(269) Op. ult. cit, p. 284.
(270) Così XXXXXXXXX, op. loc. ultt. citt.
(271) Così, in termini di legittimazione e interesse ad agire ex art. 1415, comma 2, c.c, SACCO, Le controdichiarazioni, cit., p. 689.
(272) Conf. Cass., 20 dicembre 1958, n. 3937, in Foro it. Mass., 1958, 815; Cass., 5 novembre
1997, n. 10848, ivi, 1997, 1074. Al pregiudizio far rif. Cass., 13 ottobre 1997, n. 9679, in Foro it. Rep., 1997, voce Prescrizione e decadenza, n. 51. Al pericolo di danno su di un credito, non ancora esigibile e liquido, fa invece rif. Cass., 17 settembre, 1981, n. 5154, in Giust. civ. Mass.,1981, voce Prescrizione e decadenza. Limiti restrittivi sul pericolo, in termini d’interesse, sono posti da Trib. Roma, 18 maggio 1982, in Temi romana, 1982, p. 181 ss.
(273) SACCO, Le controdichiarazioni, cit., p. 689; GAZZONI, Manuale di diritto privato, decima ed., Napoli, p. 952 (il quale, con riferimento all’art. 1415 cpv., utilizza la categoria di
<<terzi danneggiati>>); XXXXXXX, Simulazione, cit., p. 670.
(274) Cass., 29 novembre 1988, n. 6468, in Foro it., 1989, I, c. 724 ss. Nel senso che quella di simulazione sia sentenza dichiarativa negativa – e a latere di condanna, ma per i profili costitutivi che dalla simulazione può fare derivare la domanda, GENTILI, La simulazione, p.
Così, se pure in una prospettiva di pericolo di lesione di una posizione giuridica soggettiva, non pare acconcio affermare che l’A.F. può proporre azione ordinaria di simulazione anche per il soddisfacimento di principii quali quello della personalità ed effettività del tributo, là dove i principi stessi non si convertano in un (potenziale) danno all’erario (275), posto che di danno non patrimoniale è piuttosto difficile che si verta in materia di jus fiscale.
Con ciò non si vuole, però, escludere tout court l’azione dinnanzi all’A.G.O. nei casi di simulazione soggettiva, ché: a) non è punto detto che detta simulazione non determini un (pericolo di) danno per l’erario (si pensi alla diversa incidenza di un provento su Tizio anziché su Caio in ragione della progressività delle aliquote) ; b) il credito erariale verso l’effettivo beneficiario non viene meno in ragione del fatto che, attuato il negozio simulato, vi è stata imposizione del medesimo provento in capo all’interposto. Qui, come è stato bene rilevato (276), il divieto della doppia imposizione nell’accertamento, ex art. 67 d.p.r. n. 600 del 1973, prova troppo, poiché detto xxxxxxx si pone su di un diverso piano rispetto a quello dell’interesse ad agire nell’azione ordinaria di simulazione di cui all’art. 1415 cpv. c.c.
25.- Una <<diversità di piano>>, si diceva in chiusura del numero precedente. E in effetto, fra l’azione del Fisco dinnanzi all’A.G.O. e la esatta applicazione delle norme tributarie alle fattispecie imponibili, si delinea uno iato.
Non è però tanto – e soltanto – una questione di limiti già emersi, correlati all’interesse ad agire nell’azione civile.
E non è neppure questione – si osservi – di difficoltà operative, insite in detta azione civile, tali da renderla di fatto inattuabile (277), ché le arduità operazionali sono estranee alla teoresi.
668. Simile la posizione di CASELLA (M.), voce Simulazione (dir. priv.), cit., p. 609, secondo il quale l’azione di simulazione è di mero accertamento, negativo o positivo a seconda che la simulazione sia assoluta o relativa. Nel senso che le azioni di condanna correlate all’accertamento della simulazione includano preliminarmente quest’ultimo, senza però arrestarsi a esso, XXXXX, Xxxx’accertamento della nullità e della simulazione dei contratti come situazioni preliminari, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, p. 652 ss. Xxxx’interesse ad agire per una sentenza dichiarativa, nel senso di cui sopra nel testo, XXXX, voce Interesse ad agire, in Enc. dir., Milano, 1972, p. 28 ss.; XXXXXXXXXX, Note sull’interesse ad agire, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1972, p. 1093 ss.
(275) Così, invece, PAPARELLA, op. loc. ultt. citt.
(276) XXXXXXXXX, op. cit., p. 282 e ivi alla nt. 84; DAL PIAZ, Aspetti del problema della simulazione in materia tributaria, cit., p. 356.
(277) Così invece Cass., 27 luglio 1982, n. 4328, in Dir. prat. trib., 1983, II, p. 665.
Per analoga ragione, il punto non è nemmeno quello della mancanza d’immediatezza dell’azione civile in ordine alla posizione in luce della <<realtà dissimulata>> (278), poiché anzitutto non vi è “verità” da svelare né alcun velo di Maja da dis-ingannare (279), e in secondo luogo trattasi di un ulteriore rilievo di natura operazionale, cioè non teoretico.
Neppure pare centrato il rilievo di chi (280) vede il negozio simulato, nella imposizione reddituale, regredire a mero “fatto sul fatto” (281), dacché da un lato il negozio simulato come fatto (negozio non voluto) è residuo volontaristico da evitare (282), e dall’altro lato, pur non potendosi dare una fattispecie di fattispecie, i fatti economici sono assunti nel presupposto d’imposta in una dimensione giuridica, per lo più come fatti meri ovvero, a seconda, come fatti sub specie di atti negoziali (283).
Il punto è che, piuttosto, a regredire – in certo qual modo – è proprio la sentenza dell’A.G.O. adìta. Regredisce, essa, nel rapporto tra Xxxxx e contribuente, poiché nulla può essa disporre sul piano costitutivo – in ordine al rapporto stesso -, esaurendosi ad un accertamento mero, il quale non può nemmeno svolgere la sua funzione più propria di scongiurare successive azioni di altri basate sul contratto simulato (284).
Non si può, in effetto, pensare a una <<condanna>> emessa dal giudice ordinario nei confronti del contribuente simulatore, dacché ciò per un verso sarebbe in violazione degli artt. 1 e 2, d. lgs. n. 346 del 1992, e per altro verso l’azione travalicherebbe i limiti dell’azione simulatoria accertativa per diventare anche azione costitutiva per conseguenza (285).
(278) Così XXXXXXXX, op. loc. ultt. citt.
(279) Supra, in questa Sez., par. 21-23.
(280) XXXXXXXXX, op. cit., p. 285 s.
(281) Il sintagma è nostro.
(282) Supra, in questa Parte II, par. 21.
(283) Acutamente D’AMATI, Le basi teoriche del diritto tributario e altri saggi, Bari, 1993,
p. 21 e ivi alla nota 69: <<Queste osservazioni non sembrano superate sostenendo che gli istituti privatistici consistono in dati di fatto a cui il diritto tributario fa riferimento per disciplinare le situazioni che ad esso attengono in questo senso [..], in quanto il diritto privato è esso stesso sistema normativo in grado di qualificare i fenomeni della vita sociale>> (x.xx nostri). Contra BATISTONI FERRARA, Atti simulati ed invalidi, cit., p. 50. Si veda poi, perspicuamente, FALSITTA, Diritto tributario. Parte generale, cit., p. 211 e 192 s. nt. 26, il quale, in ordine alla
<<situazione di fatto>> posta a fondamento della imposizione, vede sì una rilevanza della
<<sostanza economica>>, ma soltanto in materia di art. 37-bis, d.p.R. n. 600 del 1973, il quale – a parer dell’A. – deve interpretarsi come norma di applicazione analogica, sì come tale da estendersi anche ai casi estranei al secondo comma della medesima.
(284) Cfr. XXXXXXX, Simulazione, cit., p. 669.
(285) V. supra, in questa Parte, nt. 274.
Sì che la sentenza dell’A.G.O., che dichiara la simulazione a domanda dell’A.F., regredisce a mero documento, a elemento di prova da valutarsi nello svolgimento del processo tributario. Così è non tanto perché, per le sentenze civili passate in giudicato, non si dà una norma quale quella sui “fatti”, di cui all’art. 654 c.p. (286), quanto piuttosto perché, nel giudizio tributario – per suo oggetto e competenza -, la questione pregiudiziale di merito della simulazione non assurge a materia di cognizione incidentale costitutiva, cioè a contenuto di una sentenza parziale, ma piuttosto influisce soltanto sulla formazione logica della sentenza nel merito (287). Ciò è tanto più vero dopo la entrata in vigore dell’art. 2, comma 3, d. lgs. n. 546 del 1992 (modificato a decorrere dall’anno 2002) (288). Sì che, non formandosi giudicato su tali questioni pregiudiziali (289), quand’anche l’A.F. esibisca nel giudizio tributario una sentenza definitiva dell’A.G.O., la quale accerta la simulazione, e la commissione dissenta da quella sul punto, non vi sarebbe spazio per la revocazione della sentenza definitiva del giudice
(286) Anzitutto, lo stesso giudicato extrapenale opera con riferimento ai fatti storici – o eventi materiali –, e non si estende alla qualificazione giuridica dei medesimi (XXXXXXX, Procedura penale, ottava ed., Milano, 1985, p. 1086 s.); talché, nel caso della simulazione, possono essere “fissate” le condotte, anteriori e posteriori al patto simulato, ma la loro sussunzione nello schema simulatorio è estranea al predetto giudicato quale operazione – e valutazione – prettamente giuridica. Inoltre, specie a seguito del d.lgs. n. 74/2000 – con abrogazione dell’art. 12, comma 1, legge n. 516 del 1982 –, si ritiene che il giudice tributario non sia vincolato dal giudicato penale nemmeno nell’accertamento dei fatti materiali (SCREPANTI, L’accertamento tributario conseguente al procedimento penale: recente giurisprudenza e ulteriori novità normative, in Rass. trib., 2006, p. 2035 ss.; CAMOGLIO, in AA. VV., Diritto e procedura penale tributaria, a cura di Xxxxxxxxxx, Giarda e Lanzi, Padova, 2001, p. 21 ss.; XXXXXXXX – MENCHINI – MICCINESI, Il nuovo processo tributario, sec. ed., Milano, 2004, p. 386 s., letto altresì l’art. 654 c.p.p. e visto il diverso regime della prova testimoniale e delle presunzioni nel processo tributario ).
(287) Nitidamente GLENDI, L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984, p. 568, 606- 610; RUSSO, Questioni preliminari e incidentali di competenza delle Commissioni tributarie, in
Riv. dir. trib., 2002, I, p. 1197 (ove si legge una acuta liaison con analoghe questioni decise incidentalmente dal giudice penale); BATISTONI FERRARA – BELLE’, Diritto tributario processuale, Padova, 2003, p. 44 e ivi nt. 30. In giur. x. Xxxxx xxxx., 00 febbraio 1998, n. 31, in Boll. trib., 1998, p. 633; Comm. trib. prov. Milano, 26 aprile 1999, in Fisco, 1999, p. 10435; e – proprio su di un caso di simulazione pregiudiziale al giudizio sul registro – Cass., 5 maggio 1988, n. 11424, in Banca dati fisconline.
(288) CONSOLO – GLENDI, Commentario al processo tributario, Milano, 2005, p. 16. Già prima di tale norma, per altro, la giurisprudenza – argomentando ex art. 39 del decreto sul
contenzioso – affermava la competenza del giudice tributario a conoscere incidenter situazioni giuridiche soggettive, di per sé devolute al giudice ordinario (Cass., Sez. Un., 29 aprile 2003, n. 6631, in Banca dati fisconline).
(289) GLENDI, L’oggetto, cit., p. 610, TURCHI, I poteri delle parti nel processo tributario,
Torino, 2003, p. 330; RUSSO, Manuale di diritto tributario. Il processo, Milano, 2005, p. 30. CONSOLO - GLENDI, op. loc. ultt. citt.
tributario orientata in tal senso, visti gli artt. 64, primo comma, d. lgs. n. 546 del 1992 e 395, n. 5, c.p.c. (290).
Ciò detto, in coerenza sistematica con il concetto di simulazione quale superamento della contraddizione insita in un testo e con-testo ancipiti, appare corretto il domandarsi se una tale impostazione non sia contraddetta dal fatto che la sentenza di simulazione, sì come dichiarativa, accerta il <<vero>> in contrapposizione al <<falso che appare>> (291).
Sul punto, delle due l’una: o si afferma che, in essenza, l’azione di simulazione mira ad accertare il fatto giuridico costituito dal patto simulatorio (292), e allora la temuta contraddizione si risolve con una collocazione concettuale dell’azione sul coté del
<<fatto>> inteso come intesa (passi l’allitterazione) ai confini del negozio; oppure si afferma che l’azione di simulazione non è di accertamento, bensì di <<scioglimento di una alternativa giuridica fra situazioni contraddittorie>> (293), e allora la temuta contraddizione si risolve con una collocazione concettuale dell’azione sul coté del
<<diritto>>.
La prima soluzione sembra cadere in contraddizione, là dove poi si afferma che la controdichiarazione, anche quando materialmente (in rerum natura) fatta altrove, sub specie juris è un frammento della dichiarazione e costituisce un tutt’uno con essa (294).
Certo si è, comunque, che ambedue le prospettazioni dell’azione di cui sopra evidenziano quanto non a caso è stato rilevato (295), e cioè che quella di simulazione, più che un’azione, in sede civile costituisce una eccezione, talché l’azione evita ex ante, in accertamento preventivo, l’eccezione medesima.
Sotto quest’angolo, anzitutto non v’è chi non veda come la eccezione di simulazione proposta dal Fisco dinnanzi all’A.G.O. sia difficilmente immaginabile in termini
(290) Sotto altro angolo, rispetto al non formarsi del giudicato tributario sulle questioni pregiudiziali incidenter decise, la non-proponibilità – nelle situazioni di cui sopra nel testo – della revocazione per contrasto del giudicato tributario col giudicato civile, può cogliersi in quel che segue. L’art. 64, primo comma, del decreto sul contenzioso fa riferimento alla <<sentenze che involgono accertamenti di fatto e che sul punto non sono ulteriormente impungnabili>>; sì che, secondo un filone interpretativo, la revocazione nel processo tributario è limitata alla mera declaratoria juris su accadimenti materiali, storicamente intesi - ivi incluse, al più, le valutazioni estimative (CONSOLO – GLENDI, Commentario, cit., p. 574). In questa logica non v’è chi non veda come non sia possibile ridurre la simulazione, siccome tale, a mero accadimento: a fatto materiale senza giuridica sussunzione.
(291) XXXXXXX, La simulazione, cit., p. 667.
(292) SACCO, Le controdichiarazioni, cit., p. 688.
(293) Acutamente GENTILI, Simulazione, cit., p. 669.
(294) XXXXX, Le controdichiarazioni, cit., p. 646.
(295) Tra gli altri MONTECCHIARI, La simulazione del contratto, cit., p. 163.
processuali, anche perché è proprio il Fisco il soggetto ai cui danni la simulazione è ordita. Inoltre, piuttosto che nei termini del binomio realtà-apparenza, può in questa luce sì condividersi la osservazione di chi (296) reputa inadeguata l’azione civile di simulazione promossa dal Fisco, similmente all’azione di nullità ex art. 1344 c.c. (297). E’ cioè, quella ordinaria di simulazione, un’azione funzionalmente impropria per la tutela del Fisco avverso le contraddizioni negoziali ad esso ostentate dai contribuenti.
Così pare doveroso concludere, sul punto. L’azione in parola è carente, in quanto non sempre proponibile e improduttiva di significanti, nel contenzioso tributario conseguente alla impugnativa dell’accertamento officioso, ai fini della corretta applicazione delle fattispecie imponibile e a seguito d’una simulazione ordita a nocumento del Fisco.
26.- Tagliando trasversalmente la storica diatriba sulla natura dell’accertamento nella imposizione reddituale – tra dichiarazionisti e costitutivisti, e ulteriori (298) – può dirsi che l’attività autoritativa di accertamento, quale meccanismo di qualificazione, assume nell’universo del diritto la realtà fenomenica (299).
Similmente, secondo un’autorevole dottrina amministrativistica (300), l’accertamento tributario provoca un’ablazione legale, la quale si basa su proposizioni normative, che a loro volta tengono in conto l’essersi verificato di determinati eventi, l’essere stati stipulati certi negozi.
(296) XXXXXXXX, op. loc. ultt. citt.
(297) Su questa inattitudine, ci si permette di fare rinvio al ns. Su talune categorie privatistiche, evocate da tre pronunce del Supremo Collegio in tema di elusione-evasione, in Riv. dir. trib., 2006, II, p. 690 ss.. con ivi riff.
(298) Per una efficace panoramica si consulti, perspicuamente, XXXXXXXX, Il diritto tributario, cit., p. 241-248, il quale poi conclude per l’abbandono del binomio, dacché l’accertamento, nella imposizione sui redditi, non è più fase necessaria di accertamento del
tributo, bensì piuttosto attività amministrativa di vigilanza (quale quella della CONSOB) sulla legittimità degli atti dei privati (op. ult. cit., p. 253, nt. 22). In senso analogo LA ROSA, Principi di diritto tributario, sec. ed., Torino, 2006, p. 332 s. (che fa rif. a una <<funzione amministrativa>>, quale tutela dell’interesse pubblico - ex art. 53 Cost. - alla compiuta realizzazione dei disegni distributivi previsti dalle norme); MAGNANI, Accertamento tributario e codificazione, in AA.VV., L’evoluzione dell’ordinamento tributario italiano, a cura di Uckmar, Padova, 2000, p. 559 (che fa rif. a una <<funzione pubblica modellata in conformità ai principi costituzionali che la governano>>). Fra i dichiarazionisti si consulti, per tutti, XXXXXXXX (A.D.), Elementi di diritto tributario, in ID., Opere giuridiche, vol. II, Milano, 1961,
p. 294 ss. Fra i costitutivisti (che dalla obbligazione civilistica, sorta col <<fatto imponibile>>, mossero alla interferenza con regole pubblicistiche, donde la nascita della <<obbligazione d’imposta>> con l’atto di accertamento), per tutti ALLORIO, Diritto processuale tributario, rist., Torino, 1942, p. 74 ss.; BERLIRI, op. cit., p. 180 ss.
(299) D’AMATI, Le basi teoriche, cit., p. 214.
(300) XXXXXXXX (M.S.), Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 1981, p. 342.
In un contesto sì fatto, ancora una volta, occorre prestare attenzione a non pensare che il negozio dissimulato sia fatto emergere dal Fisco, in accertamento officioso, come
<<realtà effettiva>> (301). Ché viceversa si attribuisce all’A.F. la doverosa potestà di reperire un “esser vero”, il quale esula – come si è visto (302) – dalla soggetta materia e dal diritto tout court. E la rassegna giurisprudenziale ci ha rammostrato a quali esiti conduca l’erroneità di una tale prospettiva: a fronte di una contestazione dell’A.F. per asserita simulazione, si replica che il negozio ri-costruito in accertamento non è punto simulato dacché non è affatto apparente (303), né tanto meno non voluto (304), la quale obiezione entra in un circuito di viziosità e di fallacia, dal quale più non si esce fintantoché non si abbandonano categorie ontologico-volontaristiche per abbracciare piuttosto una logica di dover-essere.
Sì che, in accertamento, il Fisco esplica piuttosto un’attività di interpretazione- qualificazione negoziale del testo ancipite, che sappiamo essere staticamente il clou dello schema simulatorio (305) e che costituisce un componente proprio dell’attività autoritativa in parola (306).
Quest’ultima, infatti, è normativa sotto più di un rispetto. E’ regolata dalla legge nella formazione delle prove (307), è volta al controllo dell’adempimento di un obbligo
(301) Così invece, CONTRINO, Elusione fiscale, evasione e strumenti, cit., p. 111. Adde, in buona sostanza, GALLO, Prime riflessioni, cit., p. 1769; XXXXXXXXX, op. cit., p. 295
(302) Supra, in questa Sez. II, par. 21-23. Del pari, va ovviamente evitata la idea giusta la quale l’A.F., in accertamento officioso, a fronte di una simulazione fa emergere ciò che è
<<voluto>>. Ché la ricerca del volere, oltre a essere scongiurabile per la sua connotazione psicologica e dunque vaga, ai fini reddituali rischia di finire con il dare rilevanza proprio all’atto simulato, cioè proprio quello massimamente <<voluto>> dalle parti verso il Fisco. E vedi, infatti, FALSITTA, Elusione fiscale illegittima, cit., il quale bene menziona un <<”voluto” dichiarato>> e un <<”voluto” dissimulato>>, e non già un “voluto” dissimulato contrapposto a un “non-voluto” dichiarato. Diversamente il LUPI, Usufrutto su azioni: una norma antielusione non si può inventare, in Rass. trib., 1995, II, p. 1537, incorre nella fallacia terminologica del contrapporre la <<verità fittizia>> alla <<verità reale>>, donde poi l’inevitabile corollario giusta il quale non c’è verità fittizia di sorta. Poste le premesse nell’ultima guisa, la conclusione è obbligata, dacché la verità, sì come tale, non si dà come finta (scil. l’essere è, cioè è ciò che non è il non essere), e comunque il regolamento negoziale, in quanto tale da essa prescinde, finanche sul piano lessicale del dovere. Nel senso che la volontà delle parti possa contribuire alla individuazione del presupposto, senza però elevarsi a elemento costitutivo della fattispecie imponibile, PAPARELLA, op. cit., p. 255.
(303) Xxxxx, Parte I, par. 13.
(304) Xxxxx, Parte I, par. 11.
(305) Supra, in questa Parte II, par. 21-23.
(306) Supra, all’inizio di questo par.
(307) XXXXXXX, Potere di accertamento e tutela del contribuente (nelle imposte dirette e nell’IVA), Milano, 1993, p. 154 ss.
(di auto-liquidazione) dettagliatamente disciplinato dalla legge (308), e opera la
imparziale qualificazione giuridica dei fatti e dei negozi occorsi al - e posti in essere dal
– contribuente (309).
Il che importa che, per quanto riguarda il negozio simulato, un ruolo centrale in accertamento officioso è svolto, ancora una volta, dall’art. 1415 cpv. c.c., ché tale disposizione fissa la inopponibilità della simulazione a chi ne subisce la ostensione, scil. sopra tutti l’Amministrazione delle Finanze. Così è, ovviamente, in una con gli artt. 1362 ss. c.c.
A chi obiettasse che l’art. 1415 cpv. è norma privatistica, sì come tale non significante nell’attività autoritativa di controllo dell’A.F., la replica è quella che segue. Si è visto che il Fisco trovasi nella funzionale inattitudine a fare valere tale norma dinnanzi all’A.G.O. (310), giusto in ragione del processo tributario quale giudizio sulla domanda di annullamento dell’atto, il quale costituisce l’esito statico dell’attività dinamica d’accertamento. Sì che, per forza di cose, è proprio all’interno dell’accertamento officioso che deve risiedere il potere-dovere di applicare l’art. 1415 cpv, viceversa avendosi che il negozio simulato in ostensione al Fisco, ancorché ripudiato dall’ordinamento (come si evince dalla norma stessa) perché anfibolo, ha la meglio proprio ai danni dell’A.F., destinataria antonomastica del medesimo quale ente in buona fede per definizione (311).
Che poi, come è stato acutamente osservato (312), ciò dia – e debba dare - origine alla tassazione sul reddito effettivo, è assunto prezioso e da condividersi.
(308) VIRGA, Diritto amministrativo, Milano, 1987, p. 22 s. (con residui poteri discrezionali, per vero limitati, in ordine alle valutazioni).
(309) Perspicuamente XXXXXXXX, Il diritto tributario, p. 481.
(310) Supra, in questa Sez., par. 25.
(311) Sulla buona fede a priori dell’A.F., si consulti, puntualmente, XXXXXXXX, I presupposti dell’accertamento sintetico induttivo, in Riv. not., 1977, I, p. 902, secondo il quale l’accertamento deve tendere alla ricostruzione del presupposto quanto più possibile oggettiva; nonché ID., Il diritto tributario, cit., p. 406, ove si fa rif. ai principi costituzionali di imparzialità, uguaglianza e capacità contributiva. Diversa, sul punto, la prospettiva di LA ROSA, Principi, cit., p. 332, il quale fa rif. alla esigenza del conseguimento del risultato ottimale da parte del Fisco. Sulla buona fede della P.A., come principio d’imparzialità ex art. 97 Cost., CERRI, Imparzialità e indirizzo politico nella pubblica amministrazione, Padova, 1973. Sulla “legalità” e sul “buon andamento” – connessi alla “imparzialità” nell’alveo della citata norma costituzionale
– XXXXXXXX (M.S.), op. cit., p. 261 ss. Sulla “buona fede”, come requisito per fare valere l’art. 1415 cpv. c.c., XXXXXXX (M.), voce Simulazione, cit., p. 597; CARBONE (V.), La simulazione e i terzi, in I contratti in generale, dir. da Xxxx e Xxxxxxx, x. XXX, in Giur. sist. dir. civ. comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1991, p. 690; in giurisprudenza Cass., 5 febbraio 1987, n. 1127, in
Foro it. Mass., 1987, p. 195.
(312) XXXXXXXXX, op. cit., p. 42 s.
Ma s’impone, ancora una volta, un’attenzione lessicale e per conseguenza concettuale.
Ché, in effetto, codesta <<effettività>> - posta rettamente in correlazione con l’omonimo principio del giudice delle leggi in tema di capacità contributiva (313) – non deve essere oggetto di commistione col fatto che il negozio simulato, sì come tale, non produce effetto (314). Altrimenti si rischia di fare delle petizioni di principio. Infatti, nel momento stesso in cui si dice che il negozio simulato non rileva ai fini della imposizione sui redditi in quanto inefficace (315), implicitamente si avanza una premessa maggiore giusta la quale, nella formazione del coacervo reddituale, rilevano soltanto i negozi che producono effetti, la quale cosa è contraddetta da una disposizione di legge quale l’art. 14, quarto comma, legge 24 dicembre 1993, n. 537 (316). Allora, se i negozi civilisticamente illeciti producono reddito – e se a questi si aggiungono i negozi nulli tout court –, i negozi inefficaci non produttivi di reddito finiscono con l’essere per lo più quelli simulati ai danni del Fisco, la quale cosa è ciò che si vuole dimostrare e invece è assunta implicitamente come premessa.
Il che importa che di effettività, a rigore, ha senso parlare in termini esclusivamente
reddituali, scongiurando ogni possibile commistione con l’efficacia negoziale.
Del pari, non può accettarsi l’assunto per cui il negozio simulato non rileva, ai fini della imposizione sul reddito, dacché esso è nullo (317).
Ciò per un verso è affermazione minoritaria nella teoria negoziale (318), e per altro verso è contraddittorio sul piano tributario, visto che il citato art. 14, legge n. 357 del
(313) Corte cost., 26 giugno 1965, n. 50 e ID., 28 luglio 1976, n. 200, in DE MITA, Fisco e costituzione, I, Milano, 1984, p. 206 e 483.
(314) XXXXXXXXX, op. cit., p.
(315) PISTONE, op. loc. citt.
(316) Xxxxxxsi, come noto, della norma sui c.d. <<proventi illeciti>>, a mente della quale concorrono alla formazione del reddito imponibile, nella categoria di rispettiva appartenenza, i
<<proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo>> (x.xx ns.). Al riguardo, si ritiene che siano imponibili i proventi derivanti da contratti nulli tout court, e non soltanto quelli derivanti da contratti con causa illecita (FEDELE, Imposizione fiscale od oblazione sanzionatoria per i proventi da illecito?, in AA.VV., L’evoluzione dell’ordinamento tributario italiano, a cura di Xxxxxx, Padova, 2000, p. 401; GIOVANNINI, Provento illecito e presupposto dell’imposta personale, Milano, 2000, p. 190- 196; e il ns. Su talune categorie privatistiche, cit., par. 8, con xxx rif al FALSITTA, Elusione, capacità contributiva, interpretazione della legge tributaria, rel. al convegno “L’elusione tributaria tra norme generali e speciali”, org. a Milano, hotel Cavalieri, 19 ottobre 2006). E ancora infra,in questo par.
(317) Così, invece, sembra orientato CONTRINO, Elusione fiscale, evasione, cit., p. 113.
(318) La nullità, per mancanza di causa, è sostenuta da PUGLIATTI, La simulazione nei negozi unilaterali, cit., p. 422 ss.; DISTASO, La simulazione, cit. p. 195 ss,
1997 assoggetta a imposizione i proventi dei negozi nulli, là dove invece si afferma la nullità del negozio simulato proprio onde affermarne anche la irrilevanza sul versante reddituale.
In vero, si tende ormai ad optare - visto anche il tenore dell’art. 1414, comma 1, c.c.
- per la inadeguatezza del negozio simulato ad avere una fase di attuazione (319), o per la sua inesistenza (320), il che – si diceva – infirma già alla base (cioè già prima di confrontarsi con la norma sui c.d. <<proventi illeciti>>) l’assunto tributario impostato sulla nullità.
Xxxxxx ancora, si rileva che né la nullità, né la inefficacia, e neppure la inesistenza, si conciliano con la disciplina di cui agli artt. 1414 ss. c.c., concludendosi per ciò nel senso che la simulazione dà luogo, segnatamente verso i terzi, a una <<impugnativa a sé stante>>, per certi versi simile all’annullabilità e pure da essa diversa (321).
Il vero è, infatti, che il diritto dei terzi di de-cifrare i sembianti negoziali ancipiti, ex art. 1415 cpv. c.c., è istituto assai peculiare nella materia contrattuale. E qui s’innesta l’esercizio autoritativo di tale diritto, in accertamento officioso, per trapassare ciò che si è fatto oggetto di ostensione nei confronti del Fisco.
Verso il terzo-Fisco, così, ragionare in termini di negozio simulato nullo o inefficace è doppiamente improprio, ché da un lato tali categorie a nulla rilevano – come si è visto - nella imposizione sul reddito (nel senso che non escludono punto la rilevanza tributaria del negozio), e dall’altro lato di regola il negozio è “efficace” soltanto fra le parti, là dove soltanto in materia di simulazione è prevista la “impugnativa ad hoc” di cui all’art. 1415 cpv. c.c. Quest’ultima è, dal Fisco, esperita all’interno dell’accertamento officioso, appoggiando il proprio potere autoritativo sull’istituto peculiare medesimo, posto che al Fisco stesso è, in buona sostanza, funzionalmente non atta l’azione ordinaria proposta sulla base della norma predetta (322).
(319) XXXXXX (S.), Contributo esegetico allo studio della simulazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1954, p. 15 ss.; XXXXXXXXX, La simulazione, cit, passim. Adde MARANI, La simulazione negli atti unilaterali, Padova, 1971, p. 27 ss. (nel senso che il patto di rispetto sia impiegato per scopi non negoziali, ossia per rendere inefficace il patto simulato); LA PORTA, Il problema della causa del contratto. La causa ed il trasferimento dei diritti, Torino, 2000, p. 21- 26.
(320) CARRESI, Il contratto, vol. I, Milano, 1987, p. 394.
(321) XXXXXXX, Simulazione, cit., p. 581-584.
(322) Supra, in questa Parte II, par. 25.
A chi ora, per avventura, obiettasse che resta ancora da dimostrare perché, ai fini della imposizione reddituale, debba rilevare il negozio dissimulato anziché quello simulato (323), si replica in due modi.
In primo luogo, a un allontanamento concettuale dalle categorie privatistiche – forvianti e/o contraddittorie – della inefficacia e della nullità, abbiamo testé provveduto con argomenti logico-sistematici, anche perché, fintantoché si resta nella fallace prospettiva delle patologie negoziali predette, è tutto da dimostrare che “il meno non stia nel più” e che per ciò il negozio (nullo e/o) inefficace sia inidoneo a generare reddito, stante la norma sui c.d. <<proventi illeciti>> (324). Ché, se si è cercato per contro di dimostrare che “il più” sono le invalidità e la norma sui proventi illeciti è “il meno” – non estendibile al predetto “più” (325) -, ne è sortito l’esito per cui l’asserita rilevanza reddituale dell’atto invalido è cagionata dalla sudditanza del diritto tributario dal diritto privato, il quale assunto però non solo è debole per le nullità, ma invoca un concetto (quello della sudditanza, appunto), il quale vive proprio una Krisis (326) con riferimento all’annullabilità negoziale.
In secondo luogo, nel frangente stesso in cui diciamo che il Fisco, in accertamento officioso, fa valere l’art. 1415 cpv. c.c., pensiamo a una P.A. la quale costruisce – a seguito di de-codificazione apposita – un significante negoziale non ancipite, ri-solvendo la mera ostensione del regolamento privato fatta a suo danno, ed attuando una
(323) Sul tema, in punto di simulazione soggettiva, vedansi ad es. le riflessioni di GALLO, Prime riflessioni, cit., p. 1769 s.; XXXXXXX, Commento all’art. 30 del d.l. n. 69/1989, in Nuove leggi civ. comm., 1990, p. 1247; PAPARELLA, op. cit., p. 291 ss.
(324) A conferma di quanto affermato nel testo, vedi POLLARI – XXXXXXXX, La tassazione dei proventi da attività illecite tra etica, diritto, economia, in Fisco, 1996, p. 4463 ss. e ivi al par.
5. Il punto è che, come è stato osservato (DELLA VALLE, Ancora in tema di imponibilità dei proventi derivanti da attività illecita, in Dir. prat. trib., 1991, I, p. 660), il diritto tributario, di regola, si dis-interessa della tematica delle “invalidità” privatistiche. Adde BATISTONI FERRARA, Atti simulati e invalidi, cit., p. 113, il quale osserva che la P.A., sì come terza, può considerare attuati gli effetti del negozio nullo, fino a che le parti non pervengano a una sentenza dichiarativa, dacché in mancanza, codesto terzo può ben assumere, in buona fede, che il negozio stesso, ancorché nullo, sia stato attuato. Nel senso che le invalidità negoziali siano irrilevanti ai fini della imposizione sui redditi, in una prospettiva di vantaggio economico conseguito, XXXXXXXX (A.D.), Istituzioni di diritto tributario, Milano, 1953, p. 363. E’, questa, la c.d. degradazione amministrativistica dell’atto a fatto, nel presupposto, su cui XXXXXX, Il fatto imponibile, Padova, 1987, p. 117; XXXXXXXXX, Possesso, cit., p. 255; DE MITA, Diritto tributario e diritto civile: profili costituzionali, in Riv. dir. trib., 1995, I, p. 52.
(325) CRICENTI, I contratti in frode alla legge, Milano, 1996, p. 291.
(326) Sul concetto di Krisis, HUSSERL, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale. Per un sapere umanistico, trad. it. Paci, Milano, 2002, p. 33 s., dove lo scacco è quello delle scienze rispetto alla esistenza.
interpretazione, la quale deve essere condotta in buona fede e secondo la legge (scil. artt. 1362 ss. c.c. in primis).
Il che importa, per logica deduzione, che detto “significante” negoziale ha un corretto “significato” reddituale, esattamente al pari di ogni altro negozio del tutto fisiologico sì come tale. Ché la simulazione in questo rispetto – quale impugnativa sui generis – costituisce, entro la interpretazione qualificante officiosa, una ortopedia
negoziale dell’A.F., per lo più a fronte di un marchingegno privato a suo danno esibito (327).
27.- Se nella ostensione simulatoria manca il consenso esplicito dell’altro contraente, ci si è domandati se l’intento ostensivo degradi a mera riserva mentale (328).
Il quesito non è, ai nostri fini, trascurabile in termini di disciplina applicabile, posto che, all’interno dell’attività autoritativa di accertamento officioso, può essere unilaterale la rappresentazione contrattuale fornita al Fisco dal contribuente, per lo più nella fase istruttoria di cui agli artt. 32 s., d.p.r. n. 600 del 1973.
Sulla questione, si è precisato che, nello schema simulatorio, è sufficiente una divergenza consapevole bilaterale tra dichiarazione e patto di rispetto (329); con il che ci si è trovati nella necessità di chiarire se detta bilateralità debba essere o meno integrata nell’intento d’ingannare il terzo – nel caso nostro il Fisco – o addirittura nell’intento specifico bilaterale di frodarlo, cioè di cagionare a esso un danno mediante l’inganno.
Dopodiché si è finito per un verso con lo spostare la questione sul piano probatorio, e per atro verso con l’affermare per assurdo che, se qualsivoglia divergenza fra dichiarazione e controdichiarazione assurgesse a simulazione, in questa rientrerebbero anche il contratto fatto in scena o per scherzo (330). Il tutto, poi, per argomentare dall’art. 1415 cpv. (e 1417) c.c., e affermare che le parti soggiacciono alla disciplina della simulazione, ancorché questa non sia intervenuta, ogniqualvolta la medesima sia stata colpevolmente indotta nella buona fede dei terzi, mediante indici di apparenza non successivamente chiarificati (331).
L’assunto finale, in parte condivisibile, suggerisce taluni commenti. Ché, fra l’altro, l’intero ragionamento coinvolge un aspetto – quello della “apparenza” –, su cui si è già
(327) Conf. CRICENTI, op. cit., p. 70.
(328) SACCO, Le controdichiarazioni, cit., p. 648.
(329) Op. loc. ultt. citt.
(330) Op. ult. cit.; p. 649.
(331) Op. ult. cit., p. 657.
svolta una critica (332). E dunque s’impone uno schiarimento ulteriore sotto questo angolo.
Anzi tutto, il problema della (mera) riserva mentale verso il terzo(-Fisco), è mal posto, sol che si consideri che la riserva mentale differisce dalla simulazione (nonostante le analogie strutturali e funzionali) proprio perché la prima intercorre solo fra le parti, là dove invece la simulazione intercorre anche nei rapporti coi terzi (333).
Mal posta, altresì, è la prova per assurdo facente riferimento alla finzione scenica e allo scherzo, dacché, a parte altre considerazioni che su questi due fenomeni possono farsi (334), sta di fatto che nella recitazione e nello scherzo l’agente confida nel fatto di essere fra-inteso, là dove nella simulazione accade esattamente l’opposto.
Quanto alla conclusione autorale su riportata, essa, pur essendo per taluni versi condivisibile, impone una rettifica là dove all’apparenza fa riferimento.
E’ bensì vero, infatti, che la teoria dell’apparentia juris è stata oggetto di perspicue indagini (335), ma è altresì vero che, sul coté della imposizione reddituale, ripudia il pensare che possa concorrere alla formazione del presupposto d’imposta l’apparenza negoziale siccome tale, poiché ciò sembra porsi in antitesi con il principio giurisprudenziale di effettività correlato alla capacità contributiva; o quanto meno trattasi di un assunto che pone interrogativi di non poco momento, in ordine alle interrelazioni tra teoria negoziale e imposizione sul reddito (336).
Nondimeno, prima di scavare inani solchi tra i due settori dell’ordinamento, s’impone una relativizzazione dell’apparenza con riguardo allo schema simulatorio.
Ché, anzi tutto, la teoria dell’apparenza giuridica conduce a esiti non poco incerti nella loro inevitabile complicazione (337). Ma sopra tutto – come il lettore avveduto ha già certamente intuito – la commistione tra simulazione e apparenza è da evitare dacché essa, ancora una volta, pecca di ontologismo, confondendo due piani tra loro in essenza diversi: quello dell’essere e quello – prettamente negoziale – del dover essere (338).
(332) Supra, in questa Parte II, par. 22.
(333) XXXXX, voce Riserva mentale, in Dig, disc. priv., sez. civ., Torino, 1998, p. 42 ss.; XXXXXXX, La simulazione, cit., p. 552.
(334) Xxxxx, Parrte I, par 13. Xxxx XXXXXXX-XXXX, Istituzioni di diritto romano, 14esima ed., Napoli, 1980, p. 99, secondo cui, nelle dichiarazioni fatte iocandi vel docenti causa, non
soltanto manca la volontà, ma altresì a rigore la dichiarazione, alla quale le circostanze tolgono ogni serietà.
(335) XXXXXXX, Il principio dell’apparenza giuridica, in Riv. dir. civ., 1997, p. 311 ss.
(336) Cfr., perspicuamente, XXXXXXXXX, op. cit., p. 240-256.
(337) XXXXXXX, op. cit., p. 540 e ivi nt. 50.
(338) PINTORE, Il diritto senza verità, Torino, 1936, passim.
Sì che si deve mutare in radice la logica di approccio, e piuttosto che il pensare a situazioni-fantasma, contrapposte a una verità ipostatizzata, è più appropriato il concepire la simulazione come <<l’effetto che una regola più complicata, di quella data a conoscere ai terzi, produce quando applicata tra le parti, a correzione di quanto vi è di incompatibile con essa nella regola ostensibile>> (339).
Piuttosto, degna di nota è un’altra notazione dello stesso Autore, da quale hanno preso le mosse queste riflessioni: che, cioè, nonostante il lessico degli artt. 1415 ss. c.c. appaia processuale (“opporre la simulazione”, “far valere la simulazione”), tali norme hanno natura strettamente sostanziale (340).
Tali disposizioni, dunque, attribuiscono diritti soggettivi ai terzi, conferendo piena efficacia a loro atti e diritti verso i simulatori. Di qui deriva una riprova dell’assunto (341), giusta il quale il fisco applica l’art. 1415 cpv. in accertamento officioso, con la vincolatezza legale propria della sua attività autoritativa (342).
Che poi, nello svolgimento dell’attività medesima, il contraddittorio sia imperfetto ed eventuale (343), è cosa per un verso insita nella natura pubblicistica del procedimento accertativo e per altro verso si correla alla peculiarità di quest’ultimo rispetto al procedimento amministrativo tout court, cui si applica per intero la legge n. 241 del 1990.
Nondimeno, nel processo tributario conseguente alla impugnativa del provvedimento, il fatto che non s’instauri un contraddittorio con l’altra parte dell’atto asseritamene simulato, non costituisce, a ben vedere, un dato dicotomico rispetto ad analoga situazione nel rapporto tra privati. Ché, in punto di litisconsorzio necessario delle parti simulatrici nel processo civile, è bensì vero che la giurisprudenza mostra taluni tentennamenti (344), ma è altrettanto vero che che si può ragionevolmente pervenire alla conclusione per cui, ogniqualvolta la simulazione è fatta valere come
(339) XXXXXXX, op. cit., p. 672.
(340) SACCO, Le controdichiarazioni, cit, p. 672.
(341) Supra, par. prec.
(342) Per tutti, su tale attributo dell’attività di accertamento, XXXXXXXX, Il diritto tributario, cit., p. 274-277. Poi vedsai, infra, par. seg.
(343) Si consultino, su questo aspetto, le ottime pagine di CIPOLLA, La prova tra procedimento e processo tributario, Padova, 2005, p. 270 ss.; XXXXXXX, La <<nuova>>
partecipazione del contribuente (dalla richiesta di chiarimenti allo statuto del contribuente e oltre), in Riv. dir. trib., 2000, I, p. 13 ss.; XXXXXX, Il diritto del contribuente al contraddittorio nella fase istruttoria, ivi, 2000,II, p. 371 ss.; FALSITTA, Diritto tributario. Parte generale, cit.,
p. 454 ss.; LUPI, Diritto tributario. Parte generale, ottava ed., Milano, 2005, p. 148 ss.
(344) Nel senso, in ogni caso del litisconsorzio necessario, Cass., 7 luglio 1987, n. 5898, in
Arch. civ., 1987, 1196; Cass., 27 febbraio 1985, n. 1727, ivi, 1985, 950.
eccezione mera – la quale non è volta al conseguimento, sul punto, di un giudicato – non sussiste litisconsorzio necessario, nel giudizio civile, relativamente a tutte le parti dell’atto della cui simulazione trattasi (345).
Ora, si è visto come, nel processo tributario, sulla questione pregiudiziale della simulazione – incidentalmente conosciuta dalle commissioni – non si formi il giudicato (346). Talché, sotto questo rispetto, se qualche cosa in soggetta materia di “apparente” vi è, esso consiste proprio nella necessità di scavare un solco di netta scissura tra le norme privatistico-sostanziali sulla simulazione e lo jus fiscale. E’ però altrettanto vero che, come sempre accade in logica dialettica, questo assunto subirà taluni ridimensionamenti
– invero doverosi - nel prosieguo della presente trattazione (347).
28.- Che l’A.F., in accertamento officioso, possa acclarare la simulazione dei negozi ai fini della corretta applicazione, al presupposto, della norma tributaria sostanziale, è un assunto che si rileva in parte della giurisprudenza (348) e della dottrina (349), le quali, in tema d’imposizione sui redditi, hanno argomentato anche al di fuori dai casi di applicazione dell’art. 37, comma 3, d.p.r. n. 600 del 1973.
(345) Cass., 16 settembre 1986, n. 5626, in Foro it. Mass., 1986, 987; Cass., 8 aprile 1989, n. 1708, ivi, 1989, 272; Cass., 18 ottobre 1985, n. 5128, in Fall., 1986, p. 495; Cass., 19 febbraio 1985, n. 1446, in Foro it. Mass., 1985, 283; in dottr. XXXXX, voce Simulazione, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1992, p. 7 s.; XXXXXXX, Simulazione, cit., p. 675 s. (345) Supra, in questa Parte II., par. 5.
(346) Supra, in questa Parte II, par. 25
(347) V, p.e., infra in questa Parte II, par. 28, in punto di prova testimoniale.
(348) Comm. trib., 1° grado Napoli, 25 ottobre 1993, n. 3230, in Riv. dir. trib., 1996, II, p. 497 ss.; Cass., 5 luglio 2006, n. 23230, in Banca dati fisconline; Comm. trib. reg. Potenza, 20 maggio 1999, n. 99, ivi; Cass. 22 maggio 2002, n. 398, ivi; Comm. trib. reg. Napoli, 14 gennaio 2004, n. 55, ivi; Comm. trib. prov. Bologna, 19 febbraio 1998, n. 19, ivi; Comm. trib. prov. Roma, 16 aprile 1998, n. 187, ivi; Cass., 29 febbraio 2005, n. 20398, in Riv. dir. trib., 2006, II, p. 690 ss.; Comm. trib. 1° grado Ivrea, 28 giugno 1995, n. 159, in Dir, prat. trib., 1995, II, p. 1291 ss.; Cass., 12 maggio 2005, n. 20816, in Riv. dir. trib., 1995, II, p. 1291 ss.; Cass., 12 maggio 2005,
n. 20816, xxx, in Riv. dir. trib., 2006, II, p. 690 ss.; Comm. trib. 1° grado Udine, 12 luglio 1995,
n. 79, in Riv. dir. trib., 1996, II, p. 53 ss., con nota di FALSITTA, e in Rass. trib., 1995, II, p. 1521 ss., con nota di LUPI, e in Dir. prat. trib., 1995, II, p. 1521 ss., con nota di D’AMBRA.
(349) FALSITTA, Elusione fiscale illegittima, cit.; ID., L’interposizione fittizia e il dribbling al fisco, cit., p. 522 ss.; ID., Diritto tributario. Parte generale, cit., p. 198; XXXXXXX, Compensi ai soci amministratori e riqualificazione come dividendi: può ipotizzarsi il credito d’imposta?, in Rass. trib., 1994, p. 583 ss.; FIORENTINO, Riflessioni sui rapporti tra qualificazione delle
attività private e accertamento tributario, in Rass. trib., 1999, p. 1055 ss. e ivi ai par. 1 e 5; FAVA, Apparenza ed effettività nel dividend stripping: profili penal-tributari, in Fisco, 1994, p. 10024 e ivi al par. 4; ID., Sostituzione dei redditi, interposizione soggettiva e patti d’imposta, fra dividend washing e usufrutto su azioni, in Fisco, 1993, p. 853 ss. e ivi al par. 3. Adde SE.C.I.T., Relazione del 6 ottobre 1993 (sull’usufrutto azionario), in Rass. trib., 1994, p. 211 ss. e ivi al par. 11.
Non sempre, nella casistica giurisprudenziale, il lessico usato fornisce un immediato riscontro. Nondimeno, dietro locuzioni improprie (ché ontologiste) quali <<operazioni [in tutto o in parte] inesistenti>>, ovvero <<false fatturazioni>>, è agevole il divisare, sol che si osservino i fatti, lo schema simulatorio. Alle volte, ancora, nella giurisprudenza l’assunto in parola è leggibile come obiter dictum, ma ciò non toglie la chiarezza del concetto.
Piuttosto, è degno di nota il fatto che, sia in giurisprudenza sia in dottrina, l’assunto medesimo è dato spesso per scontato (350), ergo non bisognoso di una dimostrazione ad hoc, ciò dipendendo dal fatto che, a onor del vero, il tema del presente saggio non è mai stato oggetto – per certi versi stranamente – di una disamina particolareggiata. Sì che, per parte nostra, oltre alle osservazioni già svolte a sostegno (351), rileviamo quel che segue sul coté gius-pubblicistico.
Con acume, decenni or sono, un’autorevole dottrina (352) identificava, nella ricerca in concreto del presupposto d’imposta – collocato all’origine del relativo debito – il dato essenziale del procedimento accertatore, con la constatazione e valutazione dei vari elementi costitutivi del presupposto stesso. E precisava tosto, il chiaro Autore, che in una siffatta attività (sì come tale) al Fisco incombe una <<ricerca>>, la quale alle volte
importa sofisticate indagini giuridiche, come quando si tratta di divisare una simulazione (353).
In senso analogo, sulla ricerca della integrazione del presupposto in fatto e diritto, - come proprium dell’accertamento officioso – si esprimono scrittori contemporanei (354), puntando l’indice talora sull’aspetto di <<controllo>> del procedimento – ad esempio in caso di falsa rappresentazione del fatto (355) - e talaltra sull’azione amministrativa volta a realizzare, nelle forme stabilite, i disegni distributivi delle norme sostanziali, particolarmente attraverso l’acquisizione e la valutazione di fatti (356).
Simile, per altro, l’angolo visuale nell’ordinamento germanico, con riferimento al quale si osserva che il diritto tributario <<formale>> è funzionale all’applicazione delle
(350) Fa eccezione, invero il FALSITTA, opp. locc. ultt. citt., al quale , in buona sostanza, è conforme il nostro argomentare.
(351) Supra, in questa Parte II, par. 26-27.
(352) XXXXXXXX (A.D.), Istituzioni, cit., p. 138.
(353) Op. loc. ultt. citt
(354) DE MITA. Principi di diritto tributario, Torino, 2005, p. 328.
(355) FEDELE, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005, p. 294.
(356) LA ROSA, Principi di diritto, cit., p. 333 s.; GALLO (S.) – CASERTANO, L’accertamento tributario e le garanzie dei contribuenti, Novara, 1977, p. 28.
norme tributarie sostanziali (in osservanza al § 85 AO) e, per ciò, esso determina e accerta i tributi, col rispetto dei criteri legali e con la garanzia che l’imposizione non sia diminuita né ingiustamente elevata (357).
Ma, se nella Repubblica Federale Tedesa – come noto (358) - esiste una norma tributaria fondamentale ad hoc per sventare le simulazioni in accertamento, in Italia l’esser strumentale del diritto funzionale al diritto sostanziale (359) non può trascurare una norma quale l’art. 1415 cpv. c.c., la quale non è certo tributaria, ma si applica anche alla posizione dell’A.F. rispetto ai regolamenti negoziali dei contribuenti.
Né, d’altronde, può ipotizzarsi una discrasia fra tale norma e il principio costituzionale della capacità contributiva. Ciò è vero non tanto perché, in virtù dell’art. 1415 cpv. x.x., xx xxxxxx xxxxxxx xxxxx xxxxxxxx, quanto piuttosto perché l’impianto complessivo degli artt. 1414-1416 c.c. esprime – in diritto sostanziale – una reiezione dell’ordinamento rispetto al negozio simulato su pressoché tutti i fronti (360); talché importerebbe violazione della legge, piuttosto, l’opinare che, quando un atto deve partecipare del presupposto a fini reddituali, in presenza di suo contenuto ancipite finisca col parteciparvi proprio quel regolamento privato – simulato, appunto – che l’ordinamento ripudia sì come tale. Ciò turberebbe proprio la capacità contributiva non tanto sub specie di necessità che il presupposto sia un fatto economico e che questo sia indicativo della situazione economica complessiva del contribuente, quanto piuttosto sub specie della necessità che il soggetto passivo abbia la titolarità giuridica delle fonti assoggettate a imposizione (361).
Soltanto una disposizione tributaria ad hoc – che infatti non c’è – potrebbe, per assurdo (ché sarebbe incostituzionale), condurre a un esito quale quello poco più sopra prospettato (scil. rilevanza del negozio simulato nel presupposto). Gli è infatti che –
(357) XXXX, Le procedure e i metodi di accertamento tributario alla luce dei principi costituzionali, in AA.VV., L’accertamento tributario nella Comunità Europea. L’esperienza della Repubblica Federale Tedesca, a cura di Xx Xxxxxx, Milano, 1997, p. 1s.
(358) Ci si riferisce, ovviamente, all’alla norma sul Scheingeschaeft di cui al par. 41, AO, su cui, ex multis, vedi: XXXXXXX, in XXXXXXXXXXX – HEPP – SPITALER, Kommentar zur
Abgabenordnung und zur Finanzordnung, Koeln, 1991/1993, par. 41, Rz. 173 ss.; XXXXXXX, Abuso del diritto ed elusione fiscale, Padova, 1995, p. 106.
(359) Sul punto DE MITA, Principi costituzionali e accertamento tributario in Italia, in AA.VV., L’accertamento tributario nella Comunità Europea, cit., p. 30 ss.
(361) Perspicuamente XXXXXXXX, Il diritto, cit. p. 40, che riprende la Consulta in una sua pronunzia.
come si è visto (362) – esiste sì una disposizione “speciale” che trascende a fini reddituali le invalidità negoziali, ma essa è strutturalmente estranea al negozio simulato.
Ora, se di accertamento in termini di legalità e vincolatezza si è fin qui detto, s’inserisce a questo punto la recente osservazione di chi (363) considera ormai datata la concezione che alla vincolatezza fa riferimento, talché l’accertamento – in codesta prospettiva – non potrebbe più essere concepito come <<fotografia>> del presupposto di fatto del tributo, ma dovrebbe se mai essere pensato come una decisione amministrativa governata dalle regole sulla relativa funzione.
E’ una riflessione, questa, che tosto ci proietta verso i mezzi di prova della simulazione, che l’ordinamento appresta alla P.A. in accertamento officioso, dacché è nella prova, in essenza, che si misura la modalità funzionale di accertamento procendimentale della simulazione.
Le presunzioni semplici, già contemplate ex congiunto disposto degli artt. 1417 e 2729 c.c., emergono altresì ex artt. 38, comma 3, nonché 39, comma 1, lett. d), d.p.r. n. 600 del 1973. Non a caso, il collegamento fra queste norme è stato prospettato in una perspicua motivazione giudiziale già emersa dallo scrutinio (364).
E in effetto, poiché secondo i dettami giurisprudenziali (365) la prova della simulazione consiste essenzialmente nella dimostrazione del patto simulatorio, la
(362) Supra, in questa Parte II, par. 26, ove rif. all’art. 14, comma 1, legge n. 357 del 1993.
(363) LA ROSA, Accertamento tributario e situazioni soggettive del contribuente, in Riv. dir. trib., 2006, I, p. 242 s.
(364) Trattasi di Comm. trib. 1° grado Napoli, 25 ottobre 1993, n. 3230, cit., su cui v., supra, Sez. I, par. 9.
A ben vedere, nonostante la similitudine fra modelli accertativi prospettata nel testo (accertamento analitico per le persone fisiche e accertamento “misto” per i soggetti tenuti alla contabilità) – similitudine in punto di utilizzabilità di partecipazioni qualificate, sì come detta la legge – si dà nondimeno una differenza strutturale. Ché, in accertamento contabile-induttivo (o analitico-induttivo), dette presunzioni possono essere dipanate per disattendere le scritture contabili; dopodiché, operata cotale pars destruens, nella pars construens successiva possono essere utilizzate anche presunzioni non qualificate, là dove si tratta di determinare le poste contabili riprese a tassazione (con limpidezza CIPOLLA, La prova, cit., p. 441 ss.). Sì che la prova presuntiva della simulazione – nel contesto dell’accertamento contabile-induttivo - sembra potere essere esperita sia nella prima sia nella seconda fase.
Un certo “stravolgimento”, piuttosto, deriva dalla incidenza degli studi di settore sull’accertamento analitico-induttivo in parola (FALSITTA, Diritto tributario. Parte generale, cit., p. 400 s.), ché con essi il c.d. metodo misto si trasforma in induttivo tout court, visto l’art. 62-bis, d.l. n. 331 del 1993, conv. in l. n. 427 del 1993, nonché l’art. 10, legge n. 146 del 1998 (cui adde, da ultimo, commi-13-27 dell’art.1, l. n. 296 del 2006). Non v’è chi non veda come la prova della simulazione, da parte dell’A.F., non ha più ragion d’essere nel modello funzionale totalmente induttivo (infra nel testo).
(365) Si fa rif. alle pronunzie di diritto civile: Cass., 16 dicembre 1993, n. 12428, in Foro it. Mass., 1993, 1129; Cass., 29 aprile 1980, n. 2854, in Foro it. Rep., voce Simulazione civile, n.
presunzione si presenta all’interprete come lo strumento più acconcio per il raggiungimento della prova stessa. Si tratta, cioè, di risalire – da fatti noti – al fatto (atto) ignoto, consistente nel patto di simulare. Se, viceversa, si ragionasse in termini di prova della simulazione come dimostrazione del fatto di non volere il negozio simulato, più che una presunzione si appresterebbe una inferenza zoppa, posto che il <<non volere>> più che un fatto è una disposizione interiore.
Sì che gli scrittori vedono, nella presunzione, la prova critica (o indiretta, o logica che dir si voglia) per antonomasia, sol che si voglia dimostrare l’esistenza di una simulazione per come essa è (366).
Xxxxxx, invece, è – in accertamento officioso e dipoi in contenzioso - la rilevanza probatoria delle dichiarazioni rese da terzi (la controparte negoziale, ad esempio) alla guardia di finanza in sede ispettiva ovvero, in atti di polizia giudiziaria, per sommarie informazioni ex artt. 350 s. c.p.p. (367). Qui, se da un lato può essere indubbia la utilità chiarificatrice di tali dichiarazioni onde trapassare la simulazione; dall’altro lato, dando rilevanza a tali esternazioni, stride il pur ancora (nonostante lo Statuto del contribuente e i modelli partecipativi ex lege) contraddittorio “debole” tra contribuente e A.F. nel procedimento accertatore (368), nonché il divieto di prova testimoniale nel processo ex
26. Si noti che, a rigor di logica, la dimostrazione del patto simulatorio – quale prova della simulazione – è da ritenersi più corretta rispetto all’alternativa, consistente nel ragionare in termini di prova del fatto di non volere il negozio simulato, dacché quest’ultima visione (fortunatamente scongiurata dalla S.C.) riesumerebbe per l’ennesima volta categorie volontaristiche anziché regolamentari (cfr. XXXXXXX, Simulazione, cit, p. 689).
(366) CRICENTI, I contratti in frode, cit., p. 22; MONTECCHIARI, La simulazione, cit., p.
144. Non sfugga che, per altro, la <<illimitatezza>> della prova per i terzi, di cui all’art. 1417 c.c., fa sì che sia senza limiti anche la prova per presunzioni semplici; epperò queste ultime possono essere impiegate anche quando non è ammessa la prova per testi ai sensi degli artt. 2721 ss. (CARBONE [V.], op. cit., p. 677). Ergo nessun limite vi è nel provare per presunzione la simulazione in accertamento e contenzioso tributari, dove la prova testimoniale è rispettivamente fuor di luogo e negata. Sulla rilevanza, in accertamento officioso, del regime delle prove di cui al codice, fintantoché non sussistano deroghe nelle norme tributarie, MANZONI, Potere di accertamento, cit., p. 161.
(367) Nel senso che si tratti di prove atipiche, con efficacia indiziaria, BATISTONI FERRARA, Processo tributario (riflessioni sulla prova), in Dir. prat. trib., 1983, I, p. 1634. Nel senso, invece, della efficacia probatoria, RUSSO, Il divieto della prova testimoniale nel processo
tributario: un residuato storico che resiste nel tempo, in Rass. trib., 2000, p. 575. Per la natura di meri argomenti di prova si pronuncia, a sua volta, CONSOLO, Legittima acquisizione delle risultanze di un’istruttoria penale (ex artt. 2 e 7, d.p.r. n. 473/82) e loro sufficienza, o meno, in particolare ove consistenti in prove orali, a sorreggere un accertamento tributario: una decisione di massimo interesse, ivi, 1987, p. 287.
(368) Per tutti, limpidamente, XXXXXXXX, Il diritto, cit., p. 415 s.
art. 7, comma 4, d. lgs. n. 546 del 1992. Ne va, infatti, del principio dialettico nel procedimento e nel rito; ma non è certo questa la sede per approfondire il tema (369).
Similmente, per quel che concerne i processi verbali di constatazione redatti dalla guardia di finanza presso terzi – e.g. presso la controparte contrattuale simulatrice –, non è del tutto certo se i fatti ivi riportati possano assurgere o meno, quali fatti noti, a premessa maggiore di prove presuntive (370).
Là dove, invece, l’accertamento può costruire prove con presunzioni non qualificate
– sì come accade ex art. 00 xxx., x.x.x. x. 000 xxx 0000 –, xx è osservato che il venir meno dei requisiti di chiarezza e precisione e concordanza, e per l’effetto l’adozione della induzione “pura”, non significa approssimazione, poiché restano fermi – ancora una volta – i principi di vincolatezza e legalità dell’azione della P.A. (371).
In un siffatto contesto (e modulo) extracontabile-induttivo – a differenza di quanto accade nell’accertamento sintetico per le persone fisiche di cui all’art. 38, comma 4, decreto sull’accertamento (372) –, vi è da reputare che la prova della simulazione possa trovare una sua cittadinanza, non soltanto al fine - con altri elementi - di disattendere le scritture contabili, ma anche nel momento - concettualmente successivo – della
(369) Cfr. XXXXXXXX XXXXXX, In tema di esercizio dei poteri istruttori delle commissioni tributarie, in Fisco, 2002, p. 6963 e ivi al par. 4). Sulle migliorie statutarie, ex multis MARONGIU, Lo statuto dei diritti del contribuente, in Fisco, 2006, p. 1 ss.
(370) Il punto, detto altrimenti, è la equiparazione o meno dei fatti verbalizzati presso terzi, a prova diretta quale contemplata dall’art. 39, comma 1, d.p.r. n. 600 del 1973. In senso negativo MOSCHETTI, Avviso di accertamento tributario e garanzie del contribuente, in Dir. prat. trib., 1983, I, p. 1918; LA ROSA, Amministrazione finanziaria e giustizia tributaria, Torino, 2000, p. 96; SCHIAVOLIN, Criteri interpretativi delle norme sulle indagini fiscali: a proposito dei limiti
soggettivi al potere di accesso presso abitazioni, in Riv. dir. trib., 1996, II, p. 1557; in giurisprudenza Comm. trib. centr., 3 luglio 1992, n. 6015, in Banca dati fisconline. Contra, nel senso che da tali verbali emergano fatti noti, Cass., 3 dicembre 1994, n. 10408, cit. da CIPOLLA, op. cit., p.488 e ivi alla nt. 320. Per la qualifica di meri indizi, da assoggettare a una valutazione complessiva, opta Comm. 2° grado Bolzano, 26 maggio 1982, n. 79, in Banca dati fisconline; Comm. trib. reg. Milano, 8 giugno 2000, n. 260, ivi; Cass., 18 ottobre 2006, n. 24200, ivi.
(371) CIPOLLA, op. cit., p. 374.
(372) Ché, in effetto, quivi è questione di parametri e di c.d. “redditometro”, sul quale vedansi le caustiche critiche di FALSITTA, Redditometro: uno strumento debole, rozzo e impreciso, del 25 settembre 1992, e ora in ID., Per un fisco “civile”, Milano, 1996, p. 321 s. Su tale modalità funzionale accertativa, si consulti l’ampio studio di TINELLI, L’accertamento sintetico del reddito complessivo nel sistema dell’IRPEF, Padova, 1993, passim; nonché il perspicuo saggio di PANSIERI, Nuovi orientamenti normativi e giurisprudenziale in materia di determinazione con metodo sintetico dei redditi delle persone fisiche, in Riv. dir. trib., 1992, II, p. 704 ss.
determinazione del reddito d’impresa, sulla base di atti e fatti comunque venuti a conoscenza dell’ente accertatore (373).
In coincidenza con quanto sin qui espresso, si ritiene infine che la prova della simulazione, con presunzioni peraltro non qualificate, può avere luogo anche nel contesto dell’accertamento d’ufficio – ex art. 41, d.p.r. n. 600 - per i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili, ché in tale caso il modulo diventa spesso – anche se non necessariamente - di natura extracontabile (374), e per ciò vale quanto detto in precedenza su tale funzione. Viceversa, nel caso delle persone fisiche, se il modulo assurge al tipo sintetico, la prova della simulazione perde un ruolo significante nell’assetto parametrico determinativo.
29.- Va da sé che ogni riflessione approfondita circa la formazione della prova esula dalla presente trattazione (375).
Una breve riflessione, però, s’impone ancora in tema di presunzione della simulazione.
Si può riflettere sul come determinati fatti debbano in effetto essere considerati premessa di presunzioni in materia di simulazione, con ciò che ne deriva sul versante dei vari moduli di accertamento, all’interno dei quali – come noto (376) – le presunzioni semplici sono disciplinate in diversa guisa .
(373) Conf. CIPOLLA, op. cit., p. 497, il quale osserva che le percentuali di ricarico possono coesistere con altri elementi probatori per rettificare singole poste contabili, la cui inattendibilità è stata dimostrata dall’ufficio accertatore per altra via. Si consulti, però, anche LUPI, Xxxxxx induttivi e presunzioni nell’accertamento tributario, Milano, 1988, p. 217 ss., secondo cui, in tale modalità funzionale, le ri-determinazioni dell’A.F. possono esser compiute attraverso dimostrazioni prive di attendibilità normativamente determinata, purché siano sufficientemente probabili in relazione al contesto conoscitivo del caso concreto. Sull’accertamento extracontabile-induttivo, si consulti ex multis l’ottimo saggio di XXXXXXX, Riflessioni sulla prova per presunzioni nell’accertamento del reddito d’impresa, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1986, I,
p. 489 ss.
(374) XXXXXXXX, Il diritto, cit, p. 464. Osserva, per altro, il FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale, cit., p. 361, che la ricostruzione reddituale, per non trasformare l’acceratamento d’ufficio in un improprio strumento punitivo, può essere sintetico - o induttivo – sol che non siano rinvenuti elementi idonei per una determinazione analitica; con il che, allo stadio analitico del modulo funzionale, ancor più ampio spazio – anche per le persone fisiche – si trova a riempire la prova della simulazione. Contra, nel senso che l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi comporti automaticamente l’adozione dei metodi induttivi, CIPOLLA., La prova tra procedimento, p. 458.
(375) Si consultino, nel settore, TESAURO, Le presunzioni nel processo tributario, in AA.VV., Le presunzioni in materia tributaria, a cura di Granelli, Rimini, 1987, p. 39 ss.; XXXXXXX, op. cit., p. 201 ss.; XXXXXXXXX, Le presunzioni tributarie, in Tratt. dir. trib., dir.
da Xxxxxxxx, vol. II, Padova, 1994, p. 81 ss.
(376) Supra, par. prec.
Verrebbe così da assoggettare a critica chi, per esempio, nel caso di un’alienazione immobiliare col soi disant venditore che resta nel godimento del bene ed è pregresso debitore del soi disant compratore e non trascrive la cessione, osserva che tali circostanze sono indizianti, e aggiunge che le medesime, piuttosto che fare presumere la simulazione della vendita, dimostrerebbero se mai l’intento delle parti di costituire la mera garanzia del credito (377).
Verrebbe da dire, qui, che la critica è duplice. Anzitutto – come il lettore ha ormai bene inteso – sono da evitare, in tema di simulazione, ragionamenti sugli intenti e sul volere, dacché essi generano confusioni ostili alla teoresi e menano facilmente, per altro, a scivolamenti ontologisti in termini di apparenza e realtà (378). In secondo luogo – verrebbe da obiettare - gli indici fattuali di cui sopra non sono fatti storici puramente tali, bensì elementi costitutivi delle fattispecie di cui agli artt. 1362 ss. c.c., in una con artt. 1414 ss. c.c.
Di questa ipotizzata critica va certo confermata la prima parte. La ricerca del volere è da evitare. Sull’altro punto, invece, la questione si fa interessante, sol che si consideri che il giudizio d’interpretazione del contratto, in quanto tale, è reputato essere di fatto (379), mentre notoriamente la qualificazione negoziale è giudizio di diritto (380); talché qualche complicazione nasce, quanto meno sul piano del lessico, posto che, nel caso emblematico assunto, alla base vi sono fatti in ordine ai quali ci si chiede se siano elementi di presunzioni ovvero di fattispecie astratte (381).
(377) XXXXXXX, Frode alla legge, Xxxxxx, 0000, Xxxxxx, 1969, p. 221; FRAGALI, Del mutuo, in Comm. cod. civ., dir. da Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1966, p. 244; LUMINOSO, La vendita con riscatto, in Comm. cod. civ., dir. da Xxxxxxxxxxx, Milano, 1987, p.
264. Contra SESTA, Le garanzie atipiche, Padova, 1988, p. 107 s.
(378) Supra, spec. in questa Parte II, par. 21-23.
(379) E’ massima consolidata nella giurisprudenza civile, talché la interpretazione del contratto non è censurabile in cassazione se detto giudizio di fatto è congruamente motivato. Ex multis Cass., 17 gennaio 1977, n. 221, in Giust. civ, Rep., 1977, voce Obbligazioni e contratti, n. 189; Cass., 9 ottobre 1982, n. 5190, ivi, 1982, voce cit., n. 153; Cass., 16 dicembre 1982, ivi, 1982, voce cit., n. 154. Sotto altro angolo, però, il giudizio d’intepretazione del contratto è considerato censurabile in cassazione per violazione degli artt. 1362 ss. V., infatti, Cass., 9 gennaio 1997, n. 99, in Giur. it., 1998, I, p. 929; e in dottrina GRASSETTI, L’interpretazione, cit., p. 15; XXXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., p. 1052.
(380) Nel senso che la qualificazione sia giudizio di diritto, sindacabile nel giudizio di legittimità, fra le altre Cass., 3 aprile 2003, n. 5110, in Giust. civ., 2003, I, p. 2003, I, p. 893; e in
dottrina MARICONDA, Delle obbligazioni, cit., p. 322 s.
(381) Cfr. XXXXXXX, Procedura, cit., p. 948 ss.
Certo si è che non bisogna confondere il sillogismo presuntivo per la individuazione dei fatti storici, con il sillogismo della interpretazione-qualificazione del contratto (382). Ma il vero punto è che, fra i fatti relativi alle parti - nell’esempio emblematico qui assunto – e la disciplina di cui agli artt. 1414 ss. cc., s’interpone altro fatto, che è il patto simulatorio (383). Sì che quegli stessi fatti, in quest’angolo, diventano elementi per presumere il patto simulatorio medesimo, o per escluderlo secondo la opinione su riferita.
Quanto alla interpretazione del contratto, bisogna osservare che quegli stessi fatti concorrono sì al relativo giudizio di fatto, ma con un esito parzialmente contraddittorio, dacché i fatti medesimi non concordano appieno con la (rap)presentazione di compravendita data dalle parti all’atto. Sì che, di nuovo, si torna alla questione se le parti abbiano concluso un patto simulatorio.
Pertanto, su di un piano formale, la critica su ipotizzata non può essere confermata, nel senso che è corretto interrogarsi sul significato di quei fatti in termini di patto simulatorio o meno, quale fatto giuridico che dagli stessi fatti può essere inferito.
A chi, d’altronde, obiettasse che non può darsi presunzione che conduce, anziché a un fatto storico, a un contratto e che ciò, per altro, contraddice la critica alla ipostasi ontologista della simulazione, si replica che non bisogna confondere il patto simulatorio, da provarsi per presunzioni, con il contratto dissimulato. Ché se il contratto dissimulato è bensì regolamento e non già fatto storico, il patto simulatorio è piuttosto la mera intesa di contraddire tout court l’atto ostensibile (384), sì come tale suscettibile di essere oggetto di accertamento presuntivo, ferma restando la necessità ulteriore di articolare i contenuti regolamentari del contratto dissimulato. Per altro, non essendovi fattispecie legale di simulazione, non si dà a rigore giudizio giuridico di sussunzione, anziché giudizio meramente storico, in ordine alla esistenza di quella.
Sì che in conclusione, con riferimento all’accertamento officioso, queste riflessioni inducono a oltrepassare, nel contesto, una visione del negozio simulato esclusivamente ancorata alle norme sulla interpretazione del contratto (385), introducendo, per l’accertamento della simulazione, la necessità che sia provato, per presunzioni il più
(382) Sul quale si consultino le celebri pagine del BETTI, Interpretazione della legge, cit., p. 11 ss.
(383) XXXXXXX, Simulazione, cit., p. 667.
(384) Limpidamente op. loc. ultt. citt.
(385) Supra, in questa Parte II., par. 21-23.
delle volte, il patto simulatorio. Il che conferma l’applicazione di norme le quali, nei vari moduli procedimentali, regolano la formazione della prova d’inferenza.
Non v’è chi non veda, allora, quanto i “fatti” siano significanti in materia di giudizio sulla simulazione in accertamento officioso (386). Ché i medesimi quivi rivestono un duplice ruolo: in un primo momento nel tentativo d’interpretare il contratto; e in un secondo momento, quando l’esito è ancipite, per accertare l’intesa simulatoria e decidere, dunque, se e come applicare gli artt. 1415 s. e in particolare l’art. 1415 cpv. c.c., nonché, se del caso, l’art. 37, comma 3, d.p.r. n. 600 del 1973.
30.- Secondo una prospettiva per lo più giurisprudenziale (387), alla motivazione obbligatoria dell’accertamento, in materia d’imposizione sui redditi, sarebbero estranee le prove poste a fondamento del medesimo, ché queste ultime avrebbero piuttosto nel processo il giusto luogo di dimostrazione e contraddittorio.
Sennonché un primo scossone a questa concezione deriva da quella che è stata efficacemente definita la <<circolarità esistente tra fatto e diritto>>, dacché <<anche la prova (..) è frutto di un giudizio, di un’interpretazione, di un ragionamento>> e poiché, altresì, in quest’angolo, <<non esistono, a livello strutturale, differenze tra la prova documentale, la prova testimoniale o quella presuntiva>> ché anzi <<tutte e tre le tipologie di prova (..) forniscono una versione di come sono andati i fatti e sono esse stesse il frutto di un’attività interpretativa>> (388).
Sul piano gnoseologico, in effetto, ciò è tanto più vero sol che si pensi a quanto osservato da un illustre pensatore contemporaneo (389), e cioè <<che il concetto sia concetto anche quando parla di un ente, non vuol dire che esso non sia intrecciato in un intero non concettuale da cui esso si isola solo attraverso la sua reificazione, che però lo istituisce come concetto>>.
(386) Sul “giudizio” endo-procedimentale, CIPOLLA, op. cit., p, 129 ss.. Sulla “decisione procedimentale”, invece, x. XXXXXXXX (M.S.), op. cit., p. 282 ss. Sulla rilevanza dei fatti nelle prospettiva anti-evasiva, XXXX, I concetti strutturali del giudizio di fatto, cit., p. 1775 ss.
(387) In materia d’imposizione sui redditi, ex multis, Cass., 10 giugno 2005, n. 18429, in Banca dati fisconline; Cass., 9 aprile 1991, n. 1382, ivi; Cass., 26 giugno 1996, n. 10812, ivi; Cass., 12 febbraio 1993, n. 8645, ivi; in dottrina MANZONI, Potere di accertamento, cit., p. 14;
MULEO, Contributo allo studio del sistema probatorio nel procedimento di accertamento, Torino, 2000, p. 345 ss.; MANCA, La prova nell’accertamento tributario, in Fisco, 2001, p. 12546 ss.; LUPI, Diritto tributario. Parte generale, cit., p. 62.s.
(388) CIPOLLA, La prova, cit., p. 304. Nel senso che, nell’esporre i fatti, già li si interpreta,
in apicibus e autorevolmente XXXXXXXX, Essenza del nichilismo, Milano, 1982, p. 265 ss.
(389) XXXXXX, La dialettica negativa, trad. it. Lauro, Torino, 2004, p. 13s.
Sì che, se cade lo iato netto tra fatto e diritto, anche lo iato tra motivazione e prova si colma, dacché diventa difficile il concepire la prova come riproduzione di fatti bruti. Ciò si acuisce, poi, nei casi di prove presuntive, dove legittimità e fondatezza appaiono, appunto, compenetrate l’una nell’altra (390).
Sul piano del dettato normativo, un punto importante è, per vero, costituito dall’applicazione, all’accertamento tributario, dell’art. 3, comma 1, legge n. 241 del 1990 (legge sul procedimento amministrativo) (391), il quale fa riferimento, oltre che alle
<<ragioni giuridiche>>, ai <<presupposti di fatto (..) in relazione alle risultanze dell’istruttoria>> (392).
Si aggiunge, naturalmente, l’art. 7, comma 1, legge n. 212 del 2000 (statuto del contribuente), che a sua volta – parimenti all’art. 42 cpv., d.p.r. n. 600 del 1973 – menziona i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche, con in più però il richiamo alla su citata norma del procedimento amministrativo nonché all’obbligo di allegazione dell’atto per relationem.
Sulla base di questi dati dettami, si è perspicuamente dimostrata (393) la irrilevanza del fatto che il predetto art. 42, in materia d’imposte sui redditi, non contempli la menzione degli <<elementi probatori>>, sì come invece accade nell’art. 56 cpv. , dp.r. n. 633 del 1972, in materia d’imposta sul valore aggiunto. Ché, appunto, il significante primario è costituito dall’art. 3 della legge sul procedimento amministrativo, pur nella consapevolezza del fatto che l’accertamento tributario è provvedimento vincolato e non già discrezionale (394).
(390) FALCONE, L’obbligo della motivazione nell’accertamento tributario, in Fisco, 2002,
p. 7113 ss. e ivi par. 1; CIPOLLA, Riflessioni sull’onere della prova nel processo tributario, in Rass. trib., 1998, p. 671 ss. e ivi par. 5.1; XXXXX, Le dichiarazioni di terzi nel processo tributario:“giusto processo” e struttura della motivazione dell’accertamento e della irrogazione delle sanzioni, in Fisco, 2002, p. 6729 ss. e ivi par. 3.
(391) GALLO (F.), Motivazione e prova nell’accertamento tributario: l’evoluzione del pensiero della Corte, in Rass. trib., 2001, p. 1088 ss. e ivi par. 2.4; XXXXXXX, La prova, cit., loc. ult. cit.; GRASSI, Motivazione, prove dei fatti e difesa in giudizio nell’accertamento delle
imposte sui redditi e sul valore aggiunto nella giurisprudenza del giudice di legittimità, in Fisco, 2005, p. 2196 ss. e ivi par. 4; XXXXXXX – MARINI, La motivazione degli atti emessi dall’Amministrazione finanziaria, ivi, 2000, p. 12134 ss.; GALLO (S.), Qualche considerazione sull’obbligo di motivazione dell’accertamento alla luce delle nuove regole e dei recenti orientamenti giurisprudenziali, ivi, 2001, p. 10890 ss.
(392) X.xx, ovviamente, aggiunti.
(393) GALLO (F.), Motivazione e prova, cit., par. 2.4.
(394) XXXXXXX, La prova, cit., p. 307-309. Adde FALSITTA, Manuale, cit., Parte generale, cit., p. 344. Adde, dubbioso a fronte del diverso tenore letterale delle norme sulla motivazione in materia d’imposte dirette e d’imposta sul valore aggiunto, LUPI, Diritto, cit., Parte generale, cit., p.63.
Sì che non è soltanto la dialettica negativa tra cogitazione e datità a incuneare l’elemento di prova nei presupposti di fatto e nelle ragioni di diritto motivazionali – ché assumere fatti a prove importa un giudizio, specie con la prova critica -, ma è altresì la legge sul procedimento amministrativo, quale archetipo (395) della motivazione proovvedimentale, a instaurare una dialettica negativa tra fatti e norme da un lato e (cominciamenti di) prove dall’altro lato, là dove per dialettica negativa s’intende – appunto - la endiadi necessaria della com-presenza, in relazione alla (ri)costruzione del presupposto o alla diversa prospettazione del medesimo.
E non è, così, tanto – o soltanto – una questione di garanzia della difesa del contribuente, ma anche – o piuttosto – una questione d’imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione, nel rispetto dell’art. 97 della Costituzione (396).
Sotto quest’angolo, l’assunto dichiarazionista dell’avviso di accertamento quale provocatio ad opponendum (397) – cioè quale atto processuale - può, in effetto, costituire un ostacolo al ragionamento sin qui svolto. Ma trattasi di tesi sulla quale è lecito nutrire serie perplessità (398).
Piuttosto, proprio in tema di quelle presunzioni, che abbiamo visto essere determinanti nella prova della simulazione quando la soluzione della contraddizione ancipite non è già testuale (399), si registra una certa convergenza di opinioni nel senso
(395) Sic GALLO (F.), op. loc. ultt. citt.
(396) GALLO (F.), op. loc. ultt. citt.; XXXXXXX – XXXXXX, op. cit.
(397) BERLIRI, Principi di diritto tributario, vol. III, Milano, 1964, p. 128 ss.; in giurisprudenza ex multis Cass., 14 luglio 1999, n. 14427, in Banca dati fisconline; Cass., 28 aprile 2000, n. 12986, ivi; Cass., 21 febbraio 2002, n. 12394, ivi; Cass., Sez. Un., 3 giugno 2004, n. 19854, ivi.
(398) XXXXXXXX, Il diritto, cit., p. 458 e 491 (il quale osserva che, ascendenza dichiarazionista a parte, la tesi della provocatio ad opponendum è oggi, per lo più strumentale alle prove nel processo, donde il discutibile esito della loro legittima integrazione nella fase eventuale); CIPOLLA, La prova, cit., p. 319 ss. (decisamente orientato per la negativa); GALLO
(F.), Motivazione e prova, cit., par. 6.1 (ad avviso del quale la giurisprudenza sulla provocatio ad opponendum contraddice la stessa giurisprudenza <<neo-dichiarazionista>> sull’oggetto del processo tributario come impugnazione-merito e sull’avviso di accertamento quale <<veicolo di accesso>> al giudizio sul rapporto); XXXXXXX, Giusto processo e processo tributario, in Rass. trib., 2006, p. 11 ss. e ivi par. 9.2; FALSITTA, Manuale, cit., Parte generale, cit., p. 520 (che, a parte l’azione di rimborso concernente il diritto del contribuente, vede nel processo tributario l’impugnativa dell’atto, vòlta all’annullamento, totale o parziale, del medesimo); XXXXXX, L’oggetto, cit., p. 31 ss. Nel senso neo-dichiarazionista della impugnazione-merito, RUSSO, Il nuovo processo tributario, Milano, 1974, p. 79 ss.; BAFILE, Motivazione dell’accertamento come atto processuale, in Rass. trib., 1987, p. 87; e ancora XXXXXXXX, op. cit., p. 706 s.
(399) Xxxxx, in questa Sez., par. 28-29
della necessaria messa in luce di tali prove critiche nella motivazione dell’accertamento (400).
Sulla questione, però, se si debba indicare in motivazione il fatto noto posto alla base della inferenza, ovvero anche l’esito della inferenza stessa, consta un divario di vedute, tra chi opta chiaramente per la prima soluzione (401) e chi, invece, autorevolmente esemplifica nella direzione della seconda (402).
Quest’ultima prospettiva sembra, a rigore di logica, preferibile, ché la mera indicazione dei fatti posti a premessa di sillogismi presuntivi, senza però la indicazione – in motivazione dell’accertamento – del sillogismo stesso, non instaura dialettica di sorta tra le ragioni di diritto e i fatti stessi – mancando appunto il collegamento originato dalla inferenza – e sembra, per ciò, contraddire gli stessi ragionamenti sulla impossibilità di concepire fatti senza giudicarli. Non è, per altro, l’isolamento del fatto noto a rilevare, vuoi per il diritto di difesa vuoi per la imparzialità e il buon andamento della P.A., quanto piuttosto il procedimento logico-induttivo d’inferenza, cioè quello della cui efficacia persuasiva trattasi.
Così ad esempio, aderendo in ipotesi alla tesi giusta la quale le dichiarazioni rese da terzi alla guardia di finanza hanno natura indiziaria (403), ne deriva che esse – sempre in una con fatti certi – possono concorrere alla formazione di una prova critica di simulazione (404). Ebbene, secondo la impostazione qui prescelta, non è sufficiente che l’accertamento indichi tali indizi (405) , ma occorre altresì che l’avviso stesso indichi in motivazione la prova critica di simulazione che su quelle dichiarazioni si è formata, nonché la massima d’inferenza applicata per risalire dall’indizio al fatto ignoto.
(400) GALLO (F.), op. ult. cit., par. 3.2; XXXXXXXX, op. ult. cit., p. 344; XXXXXXX,
Riflessioni, cit., loc.ult. cit.; ID., Prove, cit., p. 311.
(401) CIPOLLA, op. loc. ultt. citt.. Adde GALLO, op. loc. ultt. citt. (il quale infatti, come l’altro A., fa riferimento all’evidence piuttosto che alla proof).
(402) FALSITTA, op. loc. ultt. citt.
(403) V. supra, in questa Parte Seconda. Conf. al testo, in giurisprudenza, Corte cost., 21 gennaio 2000, n. 18, in Banca dati fisconline; Cass., 14 giugno 2002, n. 1625, ivi; Cass., 25 ottobre 2001, n. 4269, ivi; Comm. trib. reg. Milano, 8 giugno 2000, n. 260, ivi
(404) Sull’uso delle dichiarazioni di terzi quali indizi, da giustapporre a fatti, onde poi effettuare inferenze, vedi Comm. trib. reg. Potenza, 29 aprile 1999, n. 89, in Banca dati fisconline; Comm. trib. 1° grado Ragusa, 18 marzo 1989, n. 464, ivi.
(405) Cfr. QUERQUI, Cassazione: ammissibilità delle dichiarazioni rese da terzi. Riflessioni
sulla tipologia di “difesa” esercitabile dal contribuente, in Fisco, 2005, p. 7364 ss. e ivi par. 2. Poiché le dichiarazioni di terzi constano da p.v.c. o da verbali di sommarie informazioni, si pone la questione della conoscenza e/o allegazione dei medesimi, su cui SALVINI, La motivazione per relationem nelle più recenti pronunce della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, in Rass. trib., 2002, p. 847 ss.; PORCARO, Mancata allegazione del processo verbale di constatazione: effetti sulla motivazione e sulla prova dell’accertamento, ivi, 2001, p. 84 ss.;
Rammentando che, in punto di simulazione, il fatto da provare è il patto simulatorio (406), questo deve esser chiaramente indicato come sillogismo della prova critica, la cui premessa maggiore sono le dichiarazioni di terzi e/o altri fatti dai quali l’inerenza prende le mosse per poi, trasparentemente, svolgersi con l’impiego di una massima d’induzione persuasiva. Ad esempio, dichiarazioni di terzi rese alla polizia giudiziaria ex art. 351 c.p.p., in una coi movimenti bancari acclarati, fanno inferire una società occulta, stante la massima di esperienza sulle condotte usuali dei soci di società (di persone) occulta e dei terzi, che con essi stipulano contratti (407).
A chi, a questo punto, obiettasse che un sì fatto modo di vedere le cose è in contrasto con il diritto vivente, si replica come segue. E’ bensì vero che la concezione dialettica – o neo-dichiarazionista – del processo tributario come <<impugnazione-merito>>, e dell’avviso di accertamento come <<veicolo di accesso al processo>>, ha, tra i suoi corollari giurisprudenziali alla origine, l’assunto per cui la mancanza di motivazione del provvedimento è sanabile in sede contenziosa nell’esame del rapporto (408); ma è altresì vero che la predetta concezione si è poi evoluta nel senso di ritenere che la illegittimità
motivazionale del provvedimento non consente in sede contenziosa l’esame del rapporto (409).
Talché – come acutamente osservato (410) – è contraddittorio (al di là della possibile con-fusione) lo adottare da una parte una siffatta concezione dell’avviso quale veicolo di accesso al processo sul rapporto – ergo quale atto che, con tutti i crismi motivazionali del caso, introduce alla dialettica sostanziale – e dall’altra parte lo evocare la nozione dell’avviso quale provocatio ad opponendum (411), sì come tale integrabile in sede contenziosa.
Per ciò, anche in quest’angolo sensibile alla giurisprudenza, si ha che la prova – segnatamente quella presuntiva di simulazione – ha da essere posta, a pena
(406) Supra, in questa Parte Seconda, par. prec.
(407) Cass., 14 giugno 2002, n. 1625, in Banca dati fisconline. Nel senso che l’analogia su casi simili – ergo, con riguardo al testo supra, la usuale condotta dei soci occulti - sia un elemento proprio della inferenza induttiva, COPI – XXXXX, Introduzione alla logica, trad it. Xxxxx, Bologna, 1999, p. 463 ss. (e ivi a p. 466, ove rif. al diritto).
(408) Cass., Sez. Un., 16 maggio 1988, n. 5787, in Banca dati fisconline; Cass., 14 luglio 1989, n. 5117, ivi.
(409) Cass., 15 febbraio 2006, n. 8581, in Banca dati fisconline, cui xxxx Xxxx., 24 gennaio 2006, n. 15825, ivi; Cass., 16 maggio 2003, n. 3306, ivi.
(410) GALLO (F.), op. ult. cit., par. 6.
(411) Supra, in questo par.
d’illegittimità aprioristica insanabile, nel corpus motivazionale dell’avviso di accertamento.
31.- Come noto, la genesi storica dell’art. 37, comma 3, d.p.r. n. 600 del 1973 è piuttosto travagliata, o quanto meno anomala (412). Espunta dal progetto che condusse alla legge n. 516 del 1982, essa fu riproposta in atto parlamentare del 1986 (413). Xxxxx, con d.d.l. senatoriale del 1° settembre 1988 (414), all’art. 25 la norma in questione xxxxxx xxxxxxxx, là dove all’art. 31 era contemplata una disposizione genericamente antielusiva
– in termini di atti posti in essere per beneficiare di una disciplina più favorevole, e con il conseguimento di risultati economici eguali a quelli ottenibili con altri atti, soggetti a disciplina più onerosa. Caduto l’art. 31 del disegno di legge, il suo art. 25, quale art. 30 del d.l. n. 69 del 1989 (conv. in l. n. 154 del 1989), assunse la veste dell’odierno terzo comma dell’art. 37.
Taluni (415) opinano che, storicamente, l’attuale norma fosse il risvolto funzionale della disposizione antielusiva di cui all’art. 31 del d.d.l. senatoriale sopra mentovato. Altri (416), invece, afferma il contrario. Tale questione, però, non è influente, posto che, comunque, l’art. 37, in diritto positivo, non si collega specificamente a un’altra disposizione. Onde lo interrogarsi su ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, difficilmente può condurre a esiti interpretativi di rilievo.
Fatto si è che, concordemente, si ritiene che l’art. 37, comma 3, non abbia, al fine, finalità antielusiva bensì antievasiva (417). In quest’angolo, la norma in parola non si collega punto all’art. 37-bis dello stesso d.p.r. n. 600, ché infatti essa non propone paragone di sorta tra gli atti posti in essere e quelli che avrebbero potuto essere posti in
(412) Si consulti XXXXXXXXX, Primi punti fermi della Cassazione sull’art. 37, comma 3, del
d.p.r. n. 600 del 1973, in Rass. trib., 2000, p. 1267 ss. e ivi par. 6; SE.C.I.T., Relazione del 6 ottobre 1993 sull’usufrutto su azioni, ivi, 1986, p. 211 ss. e ivi par. 11 s.
(413) Xxxxxx, a iniziativa di Xxxx, Xxxxxxx et al., in Dir. prat. trib., 1988, I, p. 1385 ss.
(414) A.S. n. 1301 del 1988.
(415) GALLO, Prime riflessioni su alcune recenti norme antielusione, cit., p. 1769 s.; XXXXXXXX, Possesso di reddito, cit., p. 1676; XXXXXXXXX, op. loc. ultt. citt.; ID., Possesso di redditi, cit., p. 289.
(416) SE.C.I.T., op. loc. ultt. citt. (secondo cui l’art. 25, d.d.l. era collegato non tanto all’art. 31, quanto piuttosto all’art. 10 del medesimo atto parlamentare, il quale contrastava il fenomeno
della interposizione di soggetto estero nella percezione di plusvalenze su partecipazioni di s.r.l.,
s.n.c. e s.a.s.).
(417) Ex multis MAGNANI, Commento, cit.; GALLO, Trusts, interposizione ed elusione fiscale, in Rass. trib., 1996, p. 1043 ss.; XXXX, L’elusione come strumentalizzazione delle regole fiscali, ivi, 1994, p. 229 s.; XXXX, L’elusione tra forma giuridica e sostanza economica, ivi, 2002, p. 1606 ss. e ivi par. 1.
essere in alternativa (418). Non vi è cioè, nell’art. 37, un termine di paragone ideale sotto il rispetto dell’atto, che è piuttosto uno soltanto a venire in considerazione, se pure – come suole dirsi – quale flatus vocis.
Norma procedimentale, si osserva ancora (419): certo più funzionale che strutturale, non tanto per la collocazione, quanto piuttosto per il tenore letterale, tutto concentrato su di una potestà accertativa della Finanza.
E qui il discorso si fa più penetrante, ché si è altresì osservato, acutamente, che proprio siccome procedimentale – e visto il suo contenuto – la nostra disposizione è pleonastica, chiarificatrice, rafforzativa (dettata ad abundantiam, in somma) (420). Essa, infatti, è riferita a condotte simulatorie dei contribuenti (421).
Chi scrive – il lettore facilmente lo intende – non può che condividere l’assunto della norma pleonastica, se è vero come è vero che, secondo la nostra prospettiva, la Pubblica Amministrazione, in esercizio dei suoi poteri accertativi vòlti alla costruzione del presupposto secondo la legalità sostanziale – vista fra l’altro la carenza funzionale dell’azione ordinaria -, può rendere a sé inopponibile la simulazione in virtù degli artt. 1415 s. c.c. Nella visuale qui adottata, cioè, l’art. 37 è una – certo non inutile – conferma del fatto che l’ordinamento accantona l’ipotetico absurdum, costituito dal fatto che la simulazione, ripudiata da norme sostanziali quale l’art. 1415 cpv. c.c., rientrerebbe altrimenti dalla finestra, sì come non trapassabile, proprio nei rapporti tra Fisco e contribuente in accertamento officioso. E anzi, giusto riprendendo l’assunto di cui sopra sulla natura procedimentale dell’art. 37, viene fatto di dire che il suo pendent strutturale
– in termini di rapporti – è proprio l’art. 1415 cpv. c.c.
(418) Cfr., sul punto, FALSITTA, Manuale, cit., Parte generale, cit., p. 192 s. e ivi nt. 26; XXXX, L’elusione, cit., par. 4 s. Sull’analogo concetto in Germania, si fa rinvio, per ora, a PISTONE, op. cit., p. 137 ss. Xxxx XXXXX, Xxxxx spunti in tema di elusione e frode alla legge (nel reddito d’impresa), in Rass. trib., 1989, p. 11 ss.; TREMONTI, Autonomia contrattuale e normativa tributaria: il problema dell’elusione tributaria, in Riv. sc. fin. dir. fin., 1986, I, p. 369 ss.; TABELLINI, Libertà negoziale ed elusione d’imposta, Padova, 1995, passim; CIPOLLINA, La legge civile e la legge fiscale, Padova, 1992, passim; FIORENTINO, L’elusione tributaria, Napoli, 1996, passim.
(419) GALLO, Prime riflessioni, cit., p. 1770; XXXXXXXX, Xxxxxxxx, cit., p. 1681 (con, però, implicazioni sostanziali, osserva l’A.); XXXXXXXXX, Possesso di redditi, cit., p. 306 ss.
(420) GALLO, op. loc. ultt. citt.; XXXXXXXX, Il diritto, cit., p. 162. Conf., in giurisprudenza,
Comm. trib. 1° grado Napoli, 25 ottobre 1993, n. 3230. Contra, nel senso di una <<portata innovativa>>, consistente nella <<attribuzione di poteri istruttori e decisori che consentono all’A.F. di prescindere dall’accertamento giudiziale della realtà negoziale sottesa a quella apparente>>, XXXXXXX, op. ult.. cit., p. 1248.
(421) GALLO, Trusts, cit., par. 1; ID., Prime riflessioni, cit., p. 1769; XXXXXXXX, Xxxxxxxx, cit., p. 1678; PAPARELLA, op. loc ultt. citt.
Ciò detto – e ferma restando la ripresa futura del tema testé annunciato (422) -, bisogna cominciare a misurarsi con la idea per cui l’art. 37 riguarderebbe i casi di simulazione soggettiva (423). Qui cominciano i dubbi, per lo meno se si pensa che di simulazione solamente soggettiva possa trattarsi.
Ché, se si dice che la norma è pleonastica in materia di simulazione, ci si attenderebbe se mai l’assunto giusta il quale l’art. 37 esprime una potestà di trapassamento dell’atto, ogni qual volta esso risulti ancipite, contraddittorio e contraddetto, id est flatus vocis in ostensione al Fisco. Non solo, ma il riferire l’art. 37 alla interposizione soggettiva, significa invocare un binomio privatistico – quello, appunto, tra simulazione soggettiva e oggettiva –, quasi che si trattasse di una differenza ontologica (quasi fosse, mutatis mutandis, la differenza tra l’essere e l’ente - e anche lì un pensatore come Xxxxxxxx avrebbe di che ridire).
Onde è che, ragionando in termini di simulazione solo a parte subiecti, per un verso si fa una ipostasi dicotomica, e per altro verso si subisce una illusione ottica.
Certo si sa che, a parere di uno scrittore (424), la interposizione fittizia di persona sarebbe una simulazione sui generis, ché in essa mancherebbe un vero e proprio contratto dissimulato, essendovi piuttosto la (mera) designazione del vero contraente nella intesa simulatoria.
Nondimeno, il vero si è che la interposizione fittizia nasconde sì, in essenza, la posizione giuridica di un soggetto, ma la simulazione quivi non riguarda soltanto il soggetto, ma anche il rapporto che a questi fa capo, il quale rapporto, spesso e volentieri, non è identico a quello inscenato in capo allo interposto (425). Si duo idem faciunt non est idem (426). Inoltre, gli obblighi assunti dall’interposto sì come tale, onde tenere viva la simulazione, non appiattiscono mai la figura sul coté meramente subiettivo
(422) Infra, in questa Parte Seconda.
(423) GALLO, Prime riflessioni, cit., par. 2.1; ID., Trusts, cit., par. 4.1; XXXXXXXXX, Primi punti fermi, cit., par. 6; nonché il ns. Interposizione, frode e devianze societarie (Postille di diritto privato e tributario), in Dir. prat. trib., 2000, I, p. 1182; CREMONA – GROSSI – MONARCA – TARANTINO, L’elusione fiscale, Milano, 2006, p. 26.
(424) XXXXXXXX, L’interposizione fittizia di persona nel rapporto cambiario, in Xxx. xxx. xxx., 0000, XX, x. 000.
(425) Perspicuamente PAPARELLA, Possesso di redditi, p. 293.
(426) XXXXXXXXXXXXXX, La persuasione e la rettorica, ed. a cura di Xxxxxxxxxx, Milano, 1982, p 104.
(427), ché il simulato acquirente compie atti di gestione in esecuzione del patto dissimulato (428).
Traendo spunto ancora dal nostro scrutinio giurisprudenziale – pur senza anticipare la soluzione dei casi rimasti aperti -, non vi è chi non veda che, se si limitasse la portata dell’art. 37 al solo profilo soggettivo della simulazione, finirebbero con il restare fuori dalla sfera della sua portata situazioni nelle quali sussiste, simultaneamente, la interposizione di una società (estera) contraente – in luogo di una persona fisica -, nonché la mutazione del tipo di contratto in capo all’ente frapposto. Vero si è che, sul punto, la più attenta dottrina (429) soccorre, divisando l’applicazione dell’art. 6 TUIR. Ma resterebbe, al fondo, il paradosso di una norma procedimentale anti-simulatoria, la quale non sarebbe in grado di colpire quella trasmutazione contrattuale, la quale va di pari passo con la frapposizione simulatoria del soggetto contraente.
A chi, d’altronde, obiettasse che la lettera dell’art. 37 non consente un’applicazione alle forme di simulazione oggettiva connesse alla omologa figura soggettiva, replichiamo come segue: a) se è vero che la norma fa menzione della “interposta persona”, è anche vero che essa fa menzione del “reddito” e dello “effettivo possessore”, talché per attribuire il giusto reddito al suo titolare può essere che occorra trapassare non solo il prestanome, ma anche il flatus vocis in capo al medesimo esibito; b) una lettura solamente ancorata al coté subiettivo - e al sintagma “interposta persona” – della norma, finirebbe con l’applicare un presupposto falsato, ogni qual volta al prestanome si accompagni una ostensione negoziale, ché in tale prospettiva finirebbe con il rilevare, nella interpretazione/applicazione del diritto tributario sostanziale, un negozio – quello simulato, appunto -, il quale, ancorché riferito all’interponente anziché all’interposto, continua a essere, sì come tale, ripudiato dall’ordinamento; c) l’alternativa è di pensare, in tali casi, a una applicazione dell’art. 37 al dato meramente subiettivo, onde cioè trapassare il soggetto interposto, e poi applicare (a latere) l’art. 1415 cpv. a parte obiecti, onde trapassare il negozio simulato posto in capo all’interposto stesso – il che però, nella impostazione qui adottata, non muta i poteri dell’A.F.
Onde è che il primo schematismo in tema di art. 37 – quello, cioè, che fa capo alla simulazione meramente soggettiva – deve essere evitato.
(427) XXXXXXX, Simulazione, cit., p. 534.539.
(428) SACCO, Le controdichiarazioni, cit., p. 663.
(429) FALSITTA, L’interposizione fittizia e il dribbling al fisco, in Riv. dir. trib., 1996, II, p.
522 ss. Contra GALLO, Prime riflessioni, cit., p. 1763 (secondo cui l’art. 6 non sarebbe applicabile in presenza di fattispecie simulatorie).
32.- Restando, ora, sulla simulazione a parte subiecti – e più precisamente sul tipo d’interposizione – , si registra un tòpos giusta il quale l’art. 37, comma 3, si applicherebbe soltanto ai casi d’interposizione fittizia e non a quelli d’interposizione reale (430).
Sennonché anche qui, come nel caso della simulazione oggettiva e soggettiva, si rischia si ipostatizzare qualche cosa che deve, invece, essere sottoposto a critica.
Una parte di verità, ovviamente, risiede nel predetto tòpos. Ché, in linea di principio, il mandatario senza rappresentanza non ha ragione di essere trapassato, dal punto di vista reddituale, posto che in capo a esso si producono gli effetti del negozio posto in essere per conto del mandante (431).
Xxxxx, però, una esigenza di differenza s’impone per il mandatario (senza rappresentanza) ad acquistare beni mobili non registrati. Ché se da una parte si afferma l’acquisto automatico della proprietà a favore del mandante (argomentando ex art. 1706 c.c.) (432), dall’altra parte si opina esservi un doppio trasferimento automatico (433). Sì che, in questo ultimo angolo, il tòpos di cui sopra dovrebbe/potrebbe condurre alla rilevanza reddituale dell’istante ideale in capo al mandatario, il che già mette un po’ in crisi quella prospettiva.
Vero è anche che, come la dottrina tributaria rammenta, una impostazione privatistica invalsa vede nella interposizione simulatoria, a differenza di quanto accade nella interposizione reale, una intesa à trois (434).
(430) GALLO, Prime riflessioni, cit., p. 1769; ID., Trusts, cit., par. 1; XXXXXXXXX, Possesso di redditi, cit., p. 293 ss.; ID., Primi punti, cit., par. 6; FIORENTINO, Riflessioni sui rapporti, cit., p. 1055 ss. e xxx par. 4; PICCONE FERRAROTTI, Sull’applicabilità dell’art. 37, comma 3, del d.p.r. n. 600/1973 al cosiddetto dividend washing, in Rass. trib., 2000, p. 917 ss. e ivi par. 3.3; XXXXXXX, Abuso, cit., p. 38 e ivi nt. 66; XXXXXXXXX, La nozione di “beneficiario effettivo” nelle convenzioni internazionali e nell’ordinamento tributario italiano, in Rass. trib., 2006, p. 209 ss. e ivi par. 8.1.; UCKMAR – XXXXXXXX, Interposition in Italian Taxation on Incombe and International Transactions, in Intertax, 1994, p. 440 ss.; se pur dubbioso DUS, Dividend washing, Corte di Cassazione e profili di illegittimità della tesi del SE.C.I.T, in Rass. trib., 2000, p. 917 ss; nonché il ns. Interposizione, frode, cit., p. 1181. In giurisprudenza Cass., 26 gennaio 2000, n. 3979, in Rass, trib., 2000, p. 917 ss.
(431) GALLO, Trusts., cit., par. 1; XXXXXXXXX, Possesso di redditi, cit., p. 296.
(432) Per tutti TORRENTE – XXXXXXXXXXX, op. cit., p. 572; MENGONI, Gli acquisti <<a non domino>>, Milano, 1994, p. 5 s.
(433) LUMINOSO, Mandato, commissione, spedizione, in Tratt. dir. civ. comm., dir. da Cicu e Messineo, Milano, 1984, p. 78, 227 e 254.
(434) XXXXXXXXX, Possesso di redditi, cit., p. 275; TORRENTE – XXXXXXXXXXX, op.
cit., p. 178 s.; XXXXXXX, La simulazione, cit., p. 913; XXXXX, L’interposizione di persona, Padova, 1990, p. 38-40 e 115 s.; XXXXX, Le controdichiarazioni, cit., p. 654 s. e ivi nt. 11;
Ma è altresì vero che si può, sotto altro angolo, giungere a dire che non è vera la reciproca: che, cioè, la interposizione senza intesa trilatere esclude sempre la simulazione. Perocché, come è stato osservato dopo ampia dimostrazione (435), sono sostanzialmente simulatorie le ipotesi di fiducia che s’incentrano su di una proprietà doppia, o smembrata, o limitata, ovvero che si basano sulla dicotomia fra proprietà e legittimazione – ferma restando, d’altronde, la natura non simulatoria di quei rapporti fiduciari, nei quali la distribuzione dei diritti, in ordine ai beni investiti, non è in alcun modo dubbia, sì come accade nel contratto di mandato e affini (436).
Ora, sul versante tributario, si tende a ritenere che, di regola, l’interposizione fiduciaria non debba essere trapassata, a meno che non si versi in materia di dividendi su azioni, nel qual caso s’invocano gli artt. 1, r.d. n. 239 del 1942 e 9, legge n. 1745 del 1962 (sullo “effettivo proprietario”) (437), ovvero xxxxxxx in tema di amministrazione
MONTECCHIARI, La simulazione, cit., p. 58 s.; e il ns. Interposizione, fiducia e dichiarazioni dell’altrui appartenenza, sulle orme di un caso giurisprudenziale, in Giur. comm., 1994, II, p. 11; e in giurisprudenza Cass., 2 luglio 1990, n. 6764, in Xxx. xxx. xxx., 0000, XX, x. 000; Cass., 1
settembre 1993, n. 9251, in Foro it. Mass., 1993, 863.
(435) XXXXXXX, La simulazione, cit, p. 576 s.
(436) Che, in effetto, in presenza del mandato a gestire le cose mutassero, rispetto alla intestazione fiduciaria di mera amministrazione, nei rapporti tra società fiduciarie e loro sfiducianti, emergeva – sul coté civilistico – dal ns. Intestazione fiduciaria e servizi d’investimento, in Giur. comm., 1997, I, p. 45, ove si opinava che, con riferimento appunto alle fiduciarie-S.I.M., fosse necessario pensare alla fiducia romanistica piuttosto che a quella germanistica, epperò a una proprietà piena piuttosto che alla legittimazione su certi strumenti finanziari. Contra, nel senso che si tratti di puro mandato, DI MAIO, Le società fiduciarie nel contesto europeo, in AA.VV., Fiducia e trust, Rassegna a cura di Assofiduciaria dir. da Xx Xxxx, Roma, 2002, passim; XXXXXXX, Intestazione simulata di azioni, rapporto fiduciario e mandato senza rappresentanza. Note a margine di un caso giurisprudenziale, ivi, par. 4-6. Ma il dire – come si fa – che di fiducia romanistica non ha senso parlare, dacché manca la potestà di abuso delle società fiduciarie, è un assunto che deve poi fare i conti con il fatto che, secondo parte della dottrina [LUMINOSO, op. cit., p. 306; XXXXXXXXX, Del negozio fiduciario e della sua ammissibilità nel nostro ordinamento giuridico, in Riv. dir. comm., 1936, I, p. 378; contra MENGONI, op. cit., p. 331-334], non sussiste potestà di rivendica, in capo al mandante (al pari del fiduciante), nella ipotesi di vendita a terzi, da parte del mandatario, contro le istruzioni ricevute. E, infatti, conf. alla ns. opinione di allora, è XXXXX, Art. 21 – Criteri generali, in AA.VV., Testo unico della finanza, Comm. dir. da Campobasso, vol. 1, Torino, 2000, p. 180. Sì che, in punto di gestione fiduciaria, lo schema simulatorio, di cui supra nel testo, non sembra punto essere agevole da accantonare.
(437) XXXXXXXX, Possesso di reddito, cit., p. 1685 s. Sulle norme di cui supra nel testo, nell’angolo privatistico, per tutti si consulti lo JAEGER, La separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento, Milano, 1968, p. 393 ss., il quale da tale norma inferisce la natura
germanistica della proprietà fiduciaria (statica) delle omonime società, in un’accezione dichiaratamente diversa dal proprietario apparente della simulazione. In diritto tributario - e in epoca più recente rispetto alla norma citata supra nel testo -, v. art. 32, comma 1, n. 7, d.p.r. n. 600 del 1973, su cui XXXX, Intestazione fiduciaria e poteri di accertamento dell’Amministrazione finanziaria, in Rass. trib., 2006, p. 485 ss., e xxx par. 5, il quale, condivisa la ns. tesi di cui alla nt. prec., esclude l’applicazione del secondo periodo del citato art. 32 agli
statica (438). Altrimenti – si osserva (439) – vuoi la disponibilità effettiva del reddito (a titolo originario), vuoi la titolarità della fonte, fanno capo al fiduciario.
Qui, in presenza di una interposizione c.d. reale, si esclude l’art. 37, e nel contempo si ragiona in termini di possesso del reddito onde non trapassare l’interposto, il che, vista soltanto la lettera dell’art. 37 medesimo, risulta essere una operazione logica visibilmente forzata – quasi che, per tenere fede alla dieresi di partenza, quella cioè tra interposizione fittizia e reale, ci si ritrovi poi costretti alla contraddizione.
Che se poi dalla fiducia dicotomica si muove al prestanome, la dottrina privatistica vede una vicinanza rispetto alla interposizione fittizia (440), sì che va condiviso chi (441), in diritto tributario, afferma sul punto l’applicazione dell’art. 37. Siamo infatti in presenza, come nella intestazione fiduciaria, di una contraddizione regolamentare (netta) in punto di beni e diritti, ergo di uno schema simulatorio (442).
Certo che, fintantoché si rimane prigionieri dell’antinomia ontologista tra apparenza e realtà, si è indotti a distinguere il mero “fenomeno” sì come tale – ivi divisando la simulazione – da quel “noumeno” il quale, pur essendo assoggettato a un regime di riservatezza per volere delle parti, nondimeno, in tale ottica prospettica, è. Con il che, a questa stregua, s’ipotizza che la c.d. interposizione “reale” (pour cause), sub specie d’intestazione fiduciaria o al prestanome, non abbia a che fare con la simulazione, epperò con l’art. 37 (443).
intermediari finanziari, diversi dalle società fiduciarie, e pure investiti di una dissociazione tra proprietà formale e proprietà sostanziale nella gestione di strumenti finanziari per conto degli investitori.
(438) XXXXXXXXX, Possesso di redditi, cit., 188-203.
(439) V. le due prec nt.
(440) NANNI, op. loc ultt. citt. Rectius, tra le possibili situazioni d’intestazione sotto nome xxxxxx, vi è sia quella dell’interposto reale, sia quella dell’interposto fittizio nonché del simulato acquirente intestatario (op. ult. cit., p. 257 s.).
(441) LOVISOLO, Possesso di reddito, cit., p. 168 s.
(442) Nel senso dell’endiadi di fiducia e simulazione, XXXXXX, Teoria del negozio giuridico, cit., p. 121 ss., nt. 3; XXXXXXXXX, La simulazione, cit., p. 188 e ivi nt. 33; XXXXXXX, L’intestazione sotto nome altrui, Milano, 1958, p. 130 ss.; ID., Nuovi profili della simulazione e della fiducia, Milano, 1961, p. 238 ss. Contra, nel senso della netta distinzione tra simulazione e fiducia, FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1948, p. 244 ss.; XXXXXXX, Il negozio in frode alla legge, Padova, 1943, p. 124; XXXXXXXXX, Del negozio fiduciario, cit., p. 345; DISTASO, La simulazione, cit., p. 111; in giurisprudenza, xx xxxxxx, Xxxx., 00 xxxxxxxxx 0000, x. 0000, xx Xxxx xx. Mass., 1994, 747; Cass., 18 ottobre 1991, n. 1105, ivi, 1991, 976; Cass., 19 febbraio 1971, n. 435, in Foro it. Rep., 1971, voce Contratto in genere, n. 67.
(443) PICCONE FERRAROTTI, op. loc. ultt. citt.; XXXXXXX, op. loc. citt.; nonché il ns.
Interposizione, frode, cit., p. 1169.
La visione delle cose muta, tuttavia, sol che si pensi alla essenza della simulazione come netta contraddizione di precetti (444), la quale in sé sussume i regolamenti negoziali antitetici; talché l’intestatario fiduciario, assistito da obblighi verso il fiduciante che lo svuotano – su quel bene o rapporto – fin quasi al limite del nulla, non ha ragione di essere veduto diversamente, in termini reddituali, rispetto al prestanome, ovvero a chi si atteggia a contraente invece d’altri. Anche perché sappiamo che il prestanome, se da un lato è simile all’interposto fittizio (445), nondimeno non è totalmente passivo (446) come non lo è il fiduciario.
Che poi l’interposto ancipite – protagonista per un verso e svuotato per l’altro – sia una persona fisica nullatenente, ovvero una società di capitali italiana o estera, a rigore non fa punto differenza, con riferimento ai flussi reddituali coinvolti nella contraddizione (447).
E’ – come si diceva poco più sopra – la essenza simulatoria che rileva, cioè gli interessi perseguiti nella sintesi del regolamento ancipite (448), piuttosto che l’antitesi tra interposizione fittizia e interposizione reale. Ché quest’ultima antitesi, come si è visto, non è una dialettica negativa senza superamento.
All’interno di codesta essenza, si dischiude una lettura dell’art. 37, che potremmo definire deontico-effettuale. Ché si tratta di una interpretazione/applicazione del presupposto d’imposta, scevra delle contraddizioni pattizie, nonché capace di oltre- passarle (prima di oltrepassare i soggetti) in una prospettiva di effettività – quest’ultima essendo intesa non già come effettività negoziale contrapposta al velo di Maja dell’apparenza, bensì quale capacità economico-reddituale (449).
(444) Supra, in questa Parte II, par. 23.
(445) Supra, in questo par.
(446) Supra, par. prec.
(447) Conf., in buona sostanza, XXXXXXXX, Possesso di reddito, cit., p. 1701. Adde MARINO, Conferimento transfrontaliero di partecipazioni, elusione fiscale e strumenti di contrasto, in Rass. trib., 1999, p. 403 ss. e ivi par. 4, che rettamente distingue la società di comodo come non soggetta, sì come tale, all’art. 37, dalla società tout court che nell’art. 37 ricade in ragione del ruolo che essa svolge in un determinato assetto d’interessi.
(448) Sulla emersione degli interessi, supra, in questa Parte II, par. 22.
(449) Poca cosa si dice, secondo DE MITA, Interesse fiscale, cit., p. 81 ss., ragionando in termini di forza economica sull’art. 53 Cost.; e insoddisfacenti, a parere dell’A., sarebbero le risposte date dalla dottrina sul tema; sì che un passo in avanti sarebbe quello della oggettività strutturale della capacità contributiva in seno alla imposta, nel senso che la base imponibile deve essere incorporata nella fattispecie legale come valutazione di ricchezza. Poiché, però, l’angolo visuale è quivi quello della legittimità delle leggi, sembra che la critica demitiana non sposti i termini della questione di cui supra nel testo.
33.- Il diritto non è stasi. Non lo è nel ragionamento, e meno che meno nell’oggetto. Sì che un movimento s’impone, sulla congettura formulata in chiusura del numero precedente, osservando l’interporre non già staticamente, bensì nella dinamica di tutela dell’interponente e dei terzi.
Nella intestazione sotto nome altrui, il prestanome, quasi passivo in toto nel suo proprio atteggiarsi a titolare coi terzi – Fisco in primis -, se abusa del bene e lo vende, espone il di lui avente causa, ancorché in buona fede, agli effetti dell’azione di nullità dell’interponente sul trasferimento di questi all’abusante – fatti salvi, soltanto, gli effetti del possesso di beni mobili ex art. 1153 (450).
Qui la questione non è quella di decidere se l’abusante sia prestanome, o fiduciario, ovvero interposto fittizio o mandatario (451), per poi trarre automatismi tributari dalla formula privatistica; né più soccorre la idea statica dell’accordo bilatero anziché trilatero, ché il nostro soggetto, persona fisica o ente che sia, su quel bene – per lo più immobile – è dinamicamente “nudo”, per quello che si è detto. Sì che a esso imputare i redditi, che al bene medesimo pertengono, è in netto contrasto con l’art. 37, comma 3.
Lo è perché i patti tra l’interponente e il prestanome, in punto di bene, si elidono tra loro, e se si fa la somma algebrica il risultato è quasi zero. Xxxxx è il compenso, che spetta al prestanome per il suo essere intestatario; ma quand’anche si ipotizzi che la su detta nullità involga pure quello, qui si ritiene – come il lettore sa – che ciò non rilevi ai fini della tassazione in capo al percettore (452). Né dicasi che in ciò si annida una contraddizione, in ordine alla nullità della cessione al prestanome, ché tale nullità non è,
(450) Cfr. GENTILI, Simulazione, p. 633.L’alternativa alla (azione di) nullità, nella dinamica di cui sopra nel testo, è la risoluzione per inadempimento del prestanome, nel quale caso il terzo sub-acquirente non è pregiudicato, stante l’art. 1458 cpv. c.c. Se si aderisce a questo costrutto, la gracilità della posizione attiva dell’interposto (di cui infra nel testo) si riduce all’obbligo di risarcimento del danno all’interponente, che su quello inevitabilmente incombe. Sulla tutela del fiduciante secondo la impostazione “classica” della esecuzione coattiva ex art. 2932 c.c. (che si giustappone, appunto, all’anzidetta risoluzione del pactum fiduciae), TORRENTE – XXXXXXXXXXX, op. cit., p. 187. Sull’obbligo di risarcimento al fiduciante, con applicazione analogica dell’art. 1710 c.c., SACCO – DE NOVA, Il contratto, in Tratt. dir. priv., dir. da Xxxxxxxx, Torino, 1982, p. 327, ove dicesi anche dell’assenza di causa dell’attribuzione al fiduciario (punto, questo, che è alla base della nullità di cui sopra nel testo). Contra, nel senso di una causa d’inter-dipendenza - propria di tale attribuzione - notoriamente è il GRASSETTI, Del negozio, cit., p. 368 s. Sul punto si consulti anche xx XXXXXX, op. cit., p. 15, con riff.
(451) Netta la distinzione tra simulazione e intestazione sotto nome altrui, in TORRENTE – XXXXXXXXXXX, op. cit., p. 185. Contra, però, XXXXXXX, Simulazione, cit., p. 540 s., il quale pone l’accento sull’abbandono dell’ontologismo, sulla difficoltà casistica della distinzione, nonché – ut supra nel testo – sulla responsabilità diversa, da quella aquiliana, che si ha per
violazione di un patto dissimulato.
(452) Supra, in questa Parte II, par. 26.
di per sé sola, causa d’imputazione del reddito pertinente al bene, bensì evidenzia la vuotezza del ruolo del prestanome anche coi terzi e induce ad applicare l’art. 37.
Per altro – si sa – l’interposto può essere più attivo. Avere, cioè, da gestire le cose a lui intestate. Questa è la fiducia, senza dubbio. E pure – come è stato acutamente osservato (453) – au fond quivi si annida un patto, di tipo simulatorio, tale per cui il fiduciario, avente causa in ostensione al mondo, si obbliga fra l’altro a sopportare gli strali dell’azione del suo dominus - per il recupero dei beni indebitamente trasferiti a terzi –, sia verso sé stesso sia verso i terzi predetti. Onde è che di patto simulatorio trattandosi, in caso di abuso il terzo in buona fede non subisce ripercussioni (a differenza di quanto accade al prestanome puro), stante l’art. 1415, comma 1, c.c. Qui, diversamente da quanto accade all’intestatario passivo, il potere/dovere di gestione, in capo all’interposto/fiduciario, preserva dalla nullità il trasferimento fatto in suo favore dal fiduciante (454).
Si dirà che siamo, dall’angolo reddituale, nell’auto-contraddizione, se affermiamo – cosa che facciamo – che anche qui, stante piuttosto l’auto-contraddizione fra dettami pattizi, si applica l’art. 37. Ma così non è. Ché è bensì vero che qui, nella dinamica dei rapporti coi terzi, non vi è quella vuotezza dell’interposto che è stata vista prima in capo al prestanome; ma è altresì vero che, essendovi simulazione, è proprio quest’ultima a tutelare il terzo avente causa nell’abuso del dante causa, la quale simulazione, però, fa sì che si applichi l’art. 37, dacché questo a essa è dedicato (455).
Rispetto a un tale contesto, una posizione a sé stante è quella delle società fiduciarie (e degli altri intermediari autorizzati), nelle gestioni individuali di portafogli d’investimento. Per essi, non ostante gli addentellati alla tradizione della fiducia, si delinea una sorta di fiducia <<legale>>, settorialmente disciplinata, rispetto alla quale sembra incongruo ragionare in termini di simulazione ex art. 37 (456). Del resto, nel
(453) XXXXXXX, Simulazione, cit., p. 632.
(454) Op. ult. cit., p. 633.
(455) Se i beni trasferiti sono titoli di credito, duplice è – a parere di XXXXXXX, op. ult. cit., p. 635 - la tutela del terzo nel caso di cessione abusiva, ché si aggiunge la eccezione di valido possesso del titolo secondo le norme sulla circolazione.
(456) Op. ult. cit., p. 628, 632 e 634. Come detto supra alla nt. 436, in un ns. scritto di un decennio fa, se per un verso si era individuata la insufficienza del concetto di
legittimazione per le fiduciarie-S.I.M., per altro verso non si era ancora approdati al costrutto del quale qui nel testo. Tale costrutto, però, resta distinto da quello di chi opta semplicemente per il mandato, oltre che, appunto, per la fiducia germanistica. Dubbioso, sul punto, DI CHIO, Gestione fiduciaria di patrimoni mobiliari e servizi d’investimento, in AA.VV., La riforma dei mercati finanziari, dal decreto Eurosim al testo unico della finanza, a cura di Xxxxxxxxx e Xxxxxxxxx, Roma – Milano, 1998, p. 167-169, il quale lascia
senso che il reddito debba essere, in questi casi (a differenza che nelle gestioni “in monte”), attribuito agli investitori, depone (a contrario) l’art. 44, lett. g), TUIR, sì che per certi versi stupisce l’alone d’incertezza che ancora grava sul punto in dottrina (457).
Ancora diverso è il tenore del discorso per il trust, in relazione al quale il noto riconoscimento degli effetti ex lege non equivale certo a una disciplina settoriale domestica di diritto civile.
E pure, su di esso, si è autorevolmente esclusa l’applicazione dell’art. 37, invocando lo schema del contratto in favore di terzo nella struttura più lineare, e rilevando una mancanza di simulazione – intesa come apparenza contrapposta alla realtà – nei casi al limite, quali la coincidenza di disponente e beneficiario ovvero la revocabilità e finanche la intervenuta revoca (458).
Che se poi il settlor/beneficiario ha anche un pregnante potere d’indirizzo e di gestione, si opina che non sia questione di art. 37, bensì di ri-qualificazione del negozio e, per conseguenza, di attribuzione dei redditi al disponente, ché fra l’altro i beni stessi, se mobili, restano di proprietà di questo (459).
Trusts e simulazione, in somma, sarebbero eterogenei per definizione (460).
Gli è che, però, se il trust è revocabile, il dire che tutto dipende dalla natura simulatoria o meno del medesimo (461), si risolve in una petizione di principio, dacché è proprio codesta proprietà, sottoposta alla spada di Damocle della revoca, a manifestare
aperta la porta sia alla fiducia germanistica sia alla proprietà sui generis sui portafogli gestiti. Sulla proprietà fiduciaria peculiare, XXXXXXX, Trust e fiducia, in Contr. impr., 1995, p. 1002 ss. Per una critica alla distinzione tradizionale tra fiducia romanistica e la omonima germanistica, si consulti XXXXXX – XXXXXXX, Il negozio fiduciario, in AA.VV., I valori mobiliari, a cura di Alpa, Padova, 1991, p. 213 ss. Per una difesa, invece, della distinzione fra titolarità e legittimazione cartolare, vedasi COTTINO, Diritto commerciale, vol. II, t. 1, sec. ed., Padova, 1992, p. 256 ss., cui adde DE ANGELIS, Questioni di diritto sostanziale e tributario connesse al riconoscimento del trust nell’ordinamento italiano, in AA.VV., Fiducia e trust, cit., par.3.
(457) V., infatti, XXXXXXXXX, Xxxxxxxx, cit., p. 191.
(458) GALLO, Trusts, cit., par. 4.1.
(459) Op. loc. ultt. citt. Di ri-qualificazione parlano anche ZIZZO, Note minime in tema di trust e soggettività tributaria, in Fisco, 2003, p. 4658 ss. e ivi par. 3, nonché Agenzia Entrate, ris. 17 gennaio 2003, n. 8/E, xxx, 2003, p. 620, a proposito di trusts dominati da un settlor anche protector.
(460) PAPARELLA, Trust ed interposizione fittizia di persona nella disciplina delle imposte dirette, in Fisco, 1996, p. 4812 ss; TUNDO, Implicazioni connesse al riconoscimento del <<trust>>, in Dir. prat. trib., 1993, I, p. 1285 ss.; LUPOI, Trusts, sec. ed., Milano, 2001, p. 789.
(461) Così GRECO – BARBAGELATA, Osservazioni sulla trasparenza fiscale dei trusts di famiglia, in Fisco, 2003, p. 527 ss. e ivi par. 4.2.1
una contraddizione fiduciaria estrema, cioè una essenza simulatoria. Donde l’imputazione dei redditi del trust al settlor (462), in applicazione dell’art. 37.
Analogo il ragionamento per i trusts non discrezionali, con il trapasso nella direzione dei beneficiari determinati (463): in effetto qui c’è, dal punto di vista dei beneficiaries, un contratto in favore di terzi, con acquisto immediato dei frutti appena essi maturano (464), come se il bene fruttifero a essi appartenesse. Con il che la intestazione al trustee è di tipo simulatorio (465), donde l’applicazione dell’art. 37 (466).
Che se poi settlor e beneficiary coincidono (467), la tesi della non fittizietà, vòlta a escludere il trapasso del trust ai fini reddituali (468), è per un verso frusta, nonché, per altro verso, disattenta alla similitudine rispetto al trust non discrezionale ovvero a quello “nudo”, ché la titolarità del trust è quivi esautorata a vantaggio dello stesso disponente.
A nulla rileva per altro, in tutti i casi appena visti (bare trust a parte), la interposizione additiva di un protector – abusata, come panacea opinata, in prassi operazionale, risolutiva -, ché, se il guardiano del fondo, in fatto, finisce con il distribuire secondo copione, in forza dell’art. 37 codesta persona fisica è come se non fosse, in una con il trust, ai fini della imposizione reddituale italiana. Non è, cioè, il raddoppio interpositivo, a mutare necessariamente lo stato delle cose, se gli indizi della essenza simulatoria assurgono a prova.
(462) Conf. Agenzia Entrate, circ. 4 dicembre 2001, n. 99/E, in Fisco, 2001, p. 14776; CORASANITI, Il Modello OCSE di convenzione bilaterale contro la doppia imposizione e i trusts, in AA.VV., Corso di diritto tributario internazionale, a cura di Uckmar, sec. ed., Padova, 2002, p. 547.
(463) Conf. Agenzia Entrate, circ. 4 dicembre 2001, cit. E vedi XXXXX, op. loc. ultt. citt., secondo cui però nei fixed trusts non è tanto questione di art. 37, quanto piuttosto di
mancanza di soggettività passiva. Idem, con assimilazione alle società fiduciarie di un trust le cui attribuzioni sono decise dagli stessi beneficiari, per Agenzia delle Entrate, Dir. reg. Liguria, parere 24 luglio 2003, n. 19972/2003, in Banca dati fisconline.
(464) Cfr. FERRANTI, Causa e tipo nel contratto in favore di terzo, Milano, 2005, p.
227 s. E vedasi anche il nostro Su taluni aspetti dei trusts nella nuova imposizione reddituale, in Fiscalità internazionale, 2007, par. 2.
(465) Cfr. XXXXXXX, Simulazione, cit., p. 633.
(466) Xxxxx “trasparenza”, inoltre, del bare trust nella “direzione” dei beneficiari, si consultino Agenzia Entrate, Dir. reg. Liguria, parere 13 settembre 2004, n. 903-104/2000, in Banca dati fisconline; ZIZZO, op. loc. ultt. citt.; nonché SEMINO, Trust “nudo” e trasparenza fiscale, in Fisco, 2005, p. 1924 ss. e ivi par. 2.2. s. (il quale ravvisa anche similitudine, sul punto, con la tassazione nello U.K.).
(467) Cosa in sé non patologica pel trust, come si vede in GAMBARO, voce Trust, in
Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, 1999, p. 458; XXXXX, op. cit., p. 2.
(468) GRECO – BARBAGELATA, op. loc. ult. citt.
Sì che, a parere di chi scrive, non è innovativa, bensì additiva sul piano sostanziale, la nuova norma sul trust non discrezionale, di cui all’art. 73, comma 2 ultimo periodo, TUIR, sebbene non sia stata (469) salutata come tale (470).
Ora, è bensì vero che la dottrina, prima della legge Finanziaria del 2007, tendeva a ragionare in termini di soggettività passiva o meno del trust (471), argomentando ex art. 73 cpv vecchio stile TUIR, piuttosto che in termini di art. 37. Ora, però, che il trust è assurto a soggetto IRES ex lege (nel nuovo stile dell’art. 73, comma 1, lett. c, TUIR), se i trusts non discrezionali sono “trasparenti” ai sensi del nuovo comma 2 dello stesso articolo, ad avviso di chi scrive permane la peculiarità dei su detti casi. Ivi non è tanto la dinamica del tracing in favore dei beneficiari (472) ad assumere peso determinante – ché il tracing è insito in ogni trust sì come tale -, quanto piuttosto altri interessi negli effetti, che pesano nel giuoco della proprietà at law e in equity. Sì che, in codesti casi, si opina che lo stato dell’arte resti invariato, nel senso che, esclusa la soggettività passiva del trustee (473), il trust fund è oltre-passato nella sua contraddittorietà regolamentare, proprio ex art. 37, comma 3 (474). Qui la vecchia teoria della <<apparenza>> divide ancora, ché, se si dice che il trust è <<vero>>, in quell’angolo si chiude la questione simulatoria e si apre il capitolo del soggetto passivo; viceversa, con la lettura deontico- effettuale – quella, cioè, del dovere essere negoziale degli effetti -, la medesima questione si riapre e si compone.
(469) XXXXXXXXX – XXXXXXX, Trattamento fiscale del trust alla luce della legge Finanziaria per il 2007, in Fisco, 2007, p. 950 ss.; XXXXXXXXX – TOMASSINI, Trust e imposizione diretta alla luce della legge Finanziaria 2007, ivi, 2007, p. 1134
(470) Innovativo, piuttosto, appare il nuovo stile dell’art. 44, comma 1, lett. g-sexies) , TUIR, ai sensi del quale sono considerati in ogni caso - indipendentemente cioè dalla loro fonte – redditi di capitale quelli imputati ai beneficiari nel trust non discrezionale
(residente o meno), là dove è arduo il ritenere che si tratti di una tassazione che si aggiunge a quella del trust, quasi che questo fosse una società di capitali partecipata che distribuisce dividendi, senza però temperamento della doppia imposizione. E infatti vedi Ag. Entrate, circ. 6 agosto 2007, a xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx
(471) SALVATI, Profili fiscali del trust, Milano, 2004, p. 234 ss.; CONTRINO, Riforma IRES e trust: la maggiore realità e la patrimonializzazione come ulteriori argomenti per la soggettività <<definitiva>> dei trust, in Dial. dir. trib., 2004, p. 579; ZIZZO, L’imposta sul reddito delle società, in FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, quinta ed., Padova, 2005, p. 817, nt. 23.
(472) Su cui GAMBARO, op. cit., p. 454 ss.
(473) Che pure è titolare del trust fund (GAMBARO, op. cit., p. 453) e alle volte tassato nello UK (v. il ns. Taxation of trusts in the UK - Topics and outlines -, in Contr. impr. Europa, 2003, p. 984 ss).
(474) Di “inesistenza” del trust, in caso di sua revocabilità, parlano XXXXXXXXX – XXXXXXX, op. cit., p. 953.
Piuttosto, le divisate ipotesi di applicazione dell’art. 37 al trust fanno spiccare un significante essenziale della norma stessa. Difficilmente essendo applicabile, anche per il trust <<interno>> (475), l’art. 1415 cpv c.c. a un istituto di diritto estero quale il trust, il dettame sulla interposizione si erge a espressione piena, sul coté reddituale, del trapasso delle situazioni simulatorie nel senso deontico-effettuale che si è detto. Onde è che, per un verso, l’essenza della simulazione oltrepassa la tradizionale categoria privatistica della fittizietà della interposizione, e, per altro verso, in tanto in quanto vi sia interposizione, sarebbe più che mai assurdo (nel senso di diatonico) non applicare la norma stessa anche al coté oggettivo della essenza simulatoria. Verso questa ultima essenza, per altro, depone la lettera stessa dell’art. 37, ancorché impiegando la fraseologia tradizionale ancorata ad <<apparenza>> ed <<effettività>>.
34.- E’ stato sostenuto, da un Autore che si è occupato a fondo d’interposizione (476), che l’art. 37, comma 3, troverebbe applicazione soltanto al termine della fase istruttoria dell’accertamento, cioè a dire nella fase decisoria del medesimo. Tanto al fine di criticare, per lo più, la tesi (477) giusta la quale gli uffici potrebbero estendere gli accertamenti bancari anche a soggetti diversi, strumentalmente all’accertamento della interposizione, e in presenza di presunzioni qualificate. Se la norma, cioè, trova applicazione soltanto dopo che sono stati esercitati i poteri istruttori, l’A.F. non potrebbe invocare la disposizione medesima al fine di svolgere accertamenti bancari a carico di terzi.
Il tema è quello, evidentemente, dei conti intestati, in tutto o in parte, sotto nome d’altri. In argomento, altri scrittori (478) hanno osservato il contrario di quanto sopra, e cioè che, in corso di accertamento bancario a carico dell’intestatario di un conto, l’istituto di credito non è tenuto a rivelare alcunché sul sull’interponente (totale o parziale), talché l’A.F., onde procedere ad accertamento bancario (di riscontro) in capo
(475) In argomento, ex multis, il ns. Il trust <<interno>> (regolato da una <<legge trust>>) e la Convenzione dell’Aja, in Contr. impr., 2003, p. 433 ss., con ivi riff.
(476) XXXXXXXXX, Possesso di redditi, cit., p. 323.
(477) Per Comm. trib. 1° grado Forlì, 1 marzo 1996, n. 96, in Boll. trib., 1996, p. 231, nonché in Banca dati fisconline: << (..) si è dell’avviso che gli accertamenti bancari possano sì essere estesi anche a soggetti diversi dal contribuente sottoposto a verifica, ed i redditi accertati a lui imputati, purché l’ufficio dimostri, in base a presunzioni qualificate, ai sensi dell’art. 37, comma 3, d.p.r. n. 600/1973, che i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti siano attribuibili al contribuente stesso, e che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona>>.
(478) XXXXXXXX – XXXXXXXX, Gli accertamenti bancari ai fini fiscali, Padova, 2004, p. 206.
al supposto interponente, deve munirsi di autorizzazione - ex art. 32, comma 1, n. 7),
d.p.r. n. 600 – con la prova, ex art. 37, dell’asserita interposizione.
Ora, al cospetto di questa divergenza di opinioni, a chi scrive sovvengono le seguenti osservazioni.
Anzi tutto, l’art. 37 contiene notoriamente un inciso, facente riferimento alla prova (<<anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti>>). Sì che l’assunto, secondo cui essa non perviene alla formazione della prova (479) difficilmente si concilia, in logica, con l’altro assunto, giusta il quale la prova della interposizione simulatoria, quale che sia il modello di accertamento espletato, può essere fornita dall’A.F. con presunzioni sì, ma soltanto qualificate (480). Ché – almeno così pare – delle due l’una: o si reputa che l’inciso <<anche sulla base, ecc.>> - contenuto nell’art. 37, comma 3 – non s’impone sui diversi modelli di accertamento in punto di qualifica delle presunzioni, e allora ai può anche dire (anche se non si tratta di un corollario necessario) che l’art. 37 medesimo perviene soltanto alla fase decisoria dell’accertamento; oppure, nel momento stesso in cui si attribuisce al su detto inciso un connotato pre-valente, è difficile il negare che la norma in questione si applica anche nella fase (procedimentale) istruttoria di acquisizione/formazione delle prove.
Non solo: i fatti sono già interpretazioni – come lumeggiato in teoria della deontica e in diritto tributario (481) – epperò l’A.F., in istruttoria, reperisce risultanze che, progressivamente, la orientano (ed è un dovere) verso la prova della eventuale simulazione. Non si può porre la cesura tra la presa d’atto di condotte/patti e la loro ri- costruzione in chiave simulatoria, ché si tratta piuttosto di un circolo ermeneutico (482). Se il conto corrente di Xxxxx è enorme rispetto al di lui tenore di vita, e xxxxxxxx prelevamenti ingenti di Xxxxx, e Xxxxx stesso è in affari con Xxxx, il quale conduce una vita lussuosa rispetto al reddito dichiarato, il sillogismo induce alla verifica bancaria anche di Caio – anche per non attribuire a Xxxxx un reddito che invece è di Caio. Fatti e giudizio in itinere si compenetrano, indissolubilmente, anche se, ovviamente, rispetto al
(479) Supra, in questo par.
(480) XXXXXXXXX, Possesso di reddito, cit., p. 319, che sul punto riprende l’autorevole spunto di XXXXXXX, L’accertamento sintetico del reddito complessivo nel sistema dell’IRPEF, ed. provv., Xxxx, 0000, p. 64, nt. 27. Sul tema si tornerà poi, infra, in questo par.
(481) Supra, in questa Parte II, par. 20.
(482) In epistéme, rectius teoria della deontica, vedasi il ns. Essenza dell’interpretazione, in Contr. impr., 2002, p. 1366 ss., ripreso passim da XXXXXXXXXXX, Ermeneutica giuridica e tendenze evolutive nel diritto dell’impresa, ivi, 2006, p. 397 ss. e spec., sul punto, a p. 409.
giudizio in progress quello finale, in atto di accertamento, si cristallizza in forma autoritativa (483). Per tacere poi del fatto che – come è evidente – la fondata presunzione d’intestazione parziale di un conto sotto nome altrui, in accertamento bancario, pone la esigenza di fare riscontri e chiarezza, onde evitare di attribuire al prestanome un reddito che non gli compete, sì che l’art. 37, in siffatti casi, opera in favore del prestanome – né ciò deve stupire, ché la norma trapassa, senza pro e contra, la simulazione in sede di (ri)costruzione legale del presupposto, e dunque garantisce il simulato possessore di reddito da una tassazione contraria ai criteri legali.
Per ciò sembra doversi condividere la tesi della possibile estensione soggettiva dell’accertamento bancario, nei termini che si sono dianzi detti.
Si faccia ora ritorno all’inciso dell’art. 37 - <<anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti>> -, quale seconda questione entro la triade, cui è dedicato questo numero.
Qui è pregevolmente coerente chi (484) da un lato vede in detto inciso un dettato che sempre prevale – indipendentemente dal modulo accertativo – e dall’altro lato reputa che l’art. 37 sia norma innovativa. A chi scrive, non di meno, pare più acconcia la tesi del pleonasmo, della norma ad abundantiam (485). E ciò per una ragione che, a questo punto del percorso, appare chiara.
Vero si è, cioè, che l’art. 37, sebbene alla <<interposta persona>> faccia riferimento, si applica non soltanto alla interposizione simulatoria sul coté strettamente soggettivo (486), ma anche – per ragioni sistematiche – al coté oggettivo simulatorio che si accompagna a quello; vero si è, inoltre, che, oltre ai casi d’interposizione c.d. fittizia, la norma si applica altresì ai casi d’interposizione c.d. reale simulatoria (487); è però vero, per contro, che il dettato della norma non sempre attiene alla simulazione oggettiva tout court, la quale è bensì anche soggettiva all’essenza (488) – ché pone i contraenti in posizione ancipite, ma non sempre fra-ppone un soggetto tra la fonte di ricchezza e il
(483) Cfr., limpidamente, XXXXXXXX, Il diritto, cit., p. 455, ove la netta distinzione tra fase istruttoria e fase decisoria è posta, anzitutto e per lo più, in ragione del fatto che la fase istruttoria può anche mancare. Xxxx XXXXXXX, Corso di diritto tributario, cit., p. 160 s. e 241, il quale vede l’accertamento come atto finale di un procedimento. Sulle teorie dichiarative e costitutive dell’accertamento – e sul loro possibile superamento -, si consulti, ancora, XXXXXXXX, op. ult. cit., p. 244-249, con ivi ampi riff.
(484) Nitidamente PAPARELLA, Possesso di redditi, cit., p. 309.
(485) Supra, in questa Parte II, par. 41.
(486) Supra, in questa Partte II, par. 31.
(487) Supra, in questa Parte II, par. 32-33.
(488) Supra, in questa Parte II, par. 31.
percettore. Sì che, se si legge l’art. 37 come norma non pleonastica, ci si trova a dovere applicare l’art. 1415 cpv. alla simulazione oggettiva senza inter-posizione, e invece l’art. 37 alla interposizione simulatoria. Onde è che, in questa guisa, nel primo caso l’A.F. può/deve fare ricorso a tutte le presunzioni contemplate nel modulo di accertamento adottato, e invece nel secondo caso le presunzioni debbono essere, in punto di simulazione, qualificate.
Ora, anzitutto non va dimenticato che, secondo un autorevole studioso (489), le presunzioni, sì come tali, non sono mai gravi, precise e concordanti. In ogni caso, fuori da questo appunto, una disparità quale quella su divisata – cui si perviene concependo l’art. 37 come norma non ultronea – non ha senso, e pertanto, in ossequio al canone interpretativo del legislatore ordinato, l’art. 37 deve essere inteso, appunto, come norma pleonastica, da leggersi in armonia con l’art. 1415 cpv. c.c. – alla insegna del comune denominatore simulatorio. -, nonché in armonia con le norme che disciplinano i singoli moduli di accertamento.
Con il che l’inciso in questione – <<anche sulla base di presunzioni, ecc.>> - è pleonasmo, ché ciò che vale à propos di ciò che contiene vale a fortiori con riguardo a ciò che è contenuto. Ergo, di pleonasmo trattandosi, l’inciso stesso non è ostativo alla adozione di presunzioni semplici, in punto di simulazione, quando le regole del singolo procedimento lo consentono (490). Tanto per trapassare, appunto, la simulazione, di qualsivoglia natura essa sia, ché la legge ne ripudia gli effetti verso i terzi, tra i quali in primis sta il Fisco – anche quando, ovviamente, il trapassamento va a vantaggio del contribuente, ché l’accertamento è potere/dovere d’individuare il giusto reddito, cioè quello che promana dalla interpretazione/costruzione legale del presupposto (491). Sotto questo rispetto, la lettura in chiave squisitamente procedimentale dell’art 37 mostra le sue debolezze, ché essa per un verso è espressione di un principio di legalità immanente, e per altro verso, anche sul coté procedimentale, manifesta la sua incompletezza epperò il suo pleonasmo.
E si passi alla terza questione, che si intende vedere in questo numero.
Qui sia lecito fare una premessa. Anche alla luce di quanto appena divisato, la motivazione dell’avviso di accertamento, il quale rileva la simulazione, deve a questa fare chiaro riferimento. Ché la medesima, nella versione/(ri)costruzione legale del
(489) XXXXXXX, op. ult. cit., p. 204. Conf. sembra essere XXXXXXX, Guida alla procedura penale, Torino, 1986, p. 333.
(490) Supra, in questa Parte II, par. 28.
(491) Con nitore XXXXXXXX, Il diritto, cit., p. 275.
presupposto in atto autoritativo (492), gioca per sua natura un ruolo determinante. In quest’angolo, si può accettare il riferimento – secondo un ontologismo operazionale e però univoco – a categorie quali quella della fittizietà, o in-esistenza, o mera apparenza. Sì come può accettarsi il riferimento all’art. 37, comma 3, piuttosto che all’art. 1415 cpv c.c., stante il fatto della reciproca com-penetrazione – e posto che in tale guisa il diritto di difesa del contribuente, per dirla con la giurisprudenza (493), non è precluso. Resta,
d’altronde, fermo quanto in precedenza osservato in punto di prova nell’accertamento (494).
Il punto, piuttosto, è se, nel giudizio tributario, la simulazione possa essere rilevata d’ufficio.
Nel processo civile, accanto a una opinione positiva (sulla rilevabilità ex officio della simulazione), facente leva sulla nullità del contratto simulato – onde l’applicazione dell’art. 1421 c.c. (495), si registra l’opinione contraria (496), fondata sull’assunto per cui il contratto simulato, a differenza del contratto nullo, non è in contrasto né con la realtà delle cose né col sistema legale in assoluto, dacché – si osserva – una cosa è il dire che all’ordinamento ripudia la simulazione quale contraddizione irrisolta (dando così un senso agli artt. 1414 ss. c.c.), e un’altra cosa è la rilevabilità d’ufficio in assenza di norma in tal senso, quando né la domanda né le eccezioni a questa introducono la simulazione nel processo.
(492) Sic, sull’accertamento sì come tale, perspicuamente FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale, cit, p. 340; XXXXXXXX, Il diritto, cit., p. 406, 453 e 486. Nel senso che, in un siffatto contesto, il negozio degradi a mero fatto, XXXXXX, Il fatto imponibile, Padova, 1987, p. 117; BATISTONI FERRARA, Atti simulati, cit., p. 49; DE MITA, Diritto tributario e diritto civile, cit., p. 52; XXXXXXXXX, Possesso, cit., p. 255. Contra, autorevolmente – e ad avviso di chi scrive preferibilmente -, GALLO, Prime riflessioni, cit., p. 1763, secondo cui <<il negozio fonte del reddito, lungi dal regredire a fatto, viene assunto come essenziale elemento qualificativo del presupposto, che viene interpretato e costruito attraverso il parametro negoziale>>.
(493) Nel senso che tale sia la esigenza clou della motivazione accertativa, vedasi ex multis
Cass., Sez. Un., 26 ottobre 1988, n. 5786, in Boll. trib., 1988, p. 1828; Cass., Sez. Un., 26
ottobre 1988, n. 5787, in Fisco, 1988, p. 6320 ss.; Cass., Sez. Un., 4 luglio 1991, n. 7332, in
Corr. trib., 1991, p. 2710; Cass., Sez. Un., 4 luglio 1991, n. 7333, ivi, 1991, p. 6490. Conf., in dottrina, FALSITTA, op. ult. cit., p. 343.
(494) Supra, in questa Parte II, par. 30.
(495) XXXXXX, op. cit., p. 709; e in giurisprudenza Cass., 14 gennaio 1985, n. 32, in Foro it. Rep., 1985, voce Simulazione civile, n. 6.
(496) DISTASO, La simulazione, cit, p. 376; XXXXXXX, La simulazione, cit., 673 s.; e, in giurisprudenza, Cass., 29 maggio 1993, n. 6024, in Giur. comm., 1994, II, p. 5 ss., con ns. nota
Interposizione, fiducia e dichiarazioni dell’altrui appartenenza, sulle orme di un caso giurisprudenziale; Cass., 13 agosto 1982, n. 4607, in Giust. civ. Mass., 1982.
Nel giudizio tributario, però, l’oggetto del medesimo e i poteri delle commissioni spostano il baricentro (497). Quivi, come si è visto (498), la simulazione, sì come tale di pertinenza dell’A.G.O., è questione preliminare di merito, da sussumersi nell’art. 2, comma 3, d. lgs. n. 546 del 1992. Talchè sul punto il giudice, con un tipo d’intervento desumibile anche a contrario ex art. 39 dello stesso decreto, risolve senza efficacia di giudicato un antecedente logico della decisione (499).
E se le parti non possono domandare l’accertamento incidentale in tema di falso e capacità delle persone (500), ciò pare vero a fortiori per quegli antecedenti logici della decisione di cui si è detto. Onde è che, in linea di principio, la simulazione è rilevabile d’ufficio nel processo tributario, al fine d’individuare correttamente le norme tributarie da applicare ai fatti, sì come essi risultano nell’oggetto del contendere (501).
Non di meno la dottrina - per lo più argomentando ex art. 111, nuovo stile, Cost. – tempera la rilevabilità ex officio delle questioni preliminari di merito, osservando che, in ossequio alla esigenza del contraddittorio, il giudice deve evitare le c.d. decisioni a sorpresa, cioè quelle emesse senza che, previamente, siano stati resi noti ai contendenti i
(497) Ciò vale, ex lege (v., infra, nel testo), sia che si concepisca il processo tributario come impugnazione-annullamento (MICHELI, op. cit., p. 241; FALSITTA, op. ult. cit., p. 520; XXXXXX, L’oggetto, p. 209 ss.), sia che lo si concepisca come una impugnazione-merito che, nei limiti dei motivi, devolve il rapporto (BERLIRI, Corso, cit., p. 410; RUSSO, Manuale di diritto tributario. Il processo., cit., p. 36; XXXXXXXX, Il diritto, cit., p. 706). In questo secondo senso è la giurisprudenza: Xxxx., Sez. Un., 5 marzo 1980, n. 1471, in Riv. leg. fisc., 1980, p. 1588; Comm. trib. centr., Sez. Un., 27 marzo 1981, n. 3011, in Boll. trib., 1981, p. 799; Xxxxx xxxx., 0 aprile 1982, n. 63, ivi, 1982, p. 729; Cass., 19 aprile 1982, n. 2407, in Riv. leg. fisc., 1983, p. 343; Cass., Sez. Un., 4 gennaio 1993, n. 8, in Fisco, 1993, p. 1658; Cass., Sez. Un., 4 luglio 1991, n. 7333, ivi, 1991, p. 6490; Cass., Sez. Un., 13 febbraio 1991, n. 1507, in Riv. dir. trib., 1991, II, p. 491 ss.; Cass., Sez. Un., 26 ottobre 1988, n. 5786, in Boll. trib., 1988, p. 1828.
(498) Supra, in questa Sez., par. 5, all’altezza di nt. 73 ss.
(499) Cfr. Cass., Sez. Un., 24 aprile 2003, n. 6631, in Banca dati fisconline. In dottrina, oltre agli Autori citati nel luogo richiamato alla nt. prec., XXXXXXXX – MENCHINI – MICCINESI, Il nuovo processo tributario, cit., p. 19 s.; CAMPEIS – DE PAULI, Il manuale del processo tributario, Padova, 2002, p. 36; e, già prima della l. finanziaria 2002 (che ha introdotto la norma di cui all’art. 2, comma 3), perspicuamente GLENDI, L’oggetto, cit., p. 568 e 607. Si noti che trattasi di questione preliminare, nel linguaggio degli artt. 187 e 279 c.p.c., ché non attiene al rito
– ma riguarda fatti-situazioni giuridiche le quali stanno, con la decisione nel merito del giudice tributario, in un nesso di pregiudizialità-dipendenza tra fattispecie sostanziali: nel senso che la fattispecie pregiudiziale rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie pregiudicata o dipendente (RUSSO, op. ult. cit., p. 30). Contra TURCHI, Considerazioni in merito all’unificazione della giurisdizione delle Commissioni tributarie, in Riv. dir. trib., 2002, I, p. 520, secondo cui, sulle questioni di natura non tributaria, il giudice tributario avrebbe un’autentica cognizione incidentale, in forza del principio della separazione delle giurisdizioni e della non-dipendenza di un giudizio dall’altro.
(500) RUSSO, op. ult. cit., p. 31, argomentando dal diverso tenore dell’art. 39, d. lgs. n. 546 del 1992, rispetto all’art. 34 c.c.p.c.
(501) Cfr. PISTOLESI, L’appello nel processo tributario, Torino, 2002, p. 382.
punti di fatto, ritenuti rilevanti ai fini della pronuncia di merito (502). Non solo: anche con riferimento al giudizio di legittimità, la stessa esigenza di evitare le Ueberraschungsentscheidungen è autorevolmente divisata con riguardo alle questioni di diritto (503). Sì che, in cotale guisa, il brocardo iura novit curia soccombe alla esigenza di una dialettica puntuale tra le parti e verso lo iudex (504). In effetto, a questa ratio s’ispira
chiaramente, nel processo dinnanzi all’Alta Corte, il novello art. 384, comma 3, c.p.c. (505).
Non mancano, però, opinioni divergenti, là dove - argomentando ex artt. 99 e 112
c.p.c. - si osserva che, se la eccezione di diritto, d’ufficio rilevata, inficia la domanda attoria, nulla quaestio, sì che nella prospettiva costitutivista del processo tributario il giudice può sollevare ex officio la questione in diritto se – e soltanto se – questa è ragione di rigetto della domanda del contribuente, anziché vizio dell’atto impositivo non dedotto dal contribuente stesso (506).
In questa ultima direzione sembra orientata la giurisprudenza (507). Mentre resta da verificare, nella prassi dinnanzi all’Alta Corte, l’applicazione del nuovo art. 384, comma 3, del codice di rito.
35.- Come si è avuto modo di vedere nella Parte Prima di questo articolo, la più parte della giurisprudenza teorico-pratica si è indaffarata, nelle più varie guise – e con le più disparate tesi e soluzioni -, per negare ab imis che dividend washing e dividend stripping costituiscano simulazioni verso il Fisco.
Senza ripercorrere, ovviamente, quanto già sopra scritto, basta qui il ricordare che si è insistito, non senza un certo quale smarrimento, su argomenti quali quello del negozio
(502) TURCHI, I poteri delle parti, cit., p. 417.
(503) GLENDI, L’oggetto, cit., p. 530 s., con ivi riff.; ID., Elusione tributaria e bisogno di certezza giuridica, in Riv. giur. trib., 2006, p. 926.
(504) GLENDI, op. loc. ultt. citt. Contra, in linea di principio, XXXXXXX, Procedura, cit. p. 976 s., che rimarca: <<da mihi factum, dabo tibi ius>>.
(505) GLENDI, Dividend washing e oggetto del processo tributario, in Riv. giur. trib., 2006,
p. 650.
(506) TESAURO, La rilevabilità d’ufficio della nullità dei contratti elusivi nel processo tributario, in Corr. trib., 2006, p. 3131 s.
(507) Per lo più in punto di nullità negoziali: Cass., 12 maggio 2005, n. 20816; Cass., 29 aprile 2005, n. 20398; Cass., 25 ottobre 2005, n. 22932, tutte in Riv. dir. trib., 2006, II, p. 690 ss., con ns. nota Su talune categorie privatistiche, evocate da tre pronunce della Suprema Corte in tema di elusione – evasione. In diritto civile, sulla rilevabilità d’ufficio della nullità, quando la
domanda attoria è fondata sugli effetti del contratto, Cass., 20 ottobre 2004, n. 20548, in Banca dati BIG Ipsoa; Cass., 29 marzo 2004, n. 6191, ivi.