Contract
xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx, 12 luglio 2013
Le xx.xx.xxx. nelle Organizzazioni aventi finalità socio/assistenziali e sanitarie dopo la Circolare del Ministero del lavoro n. 7/2013
di Xxxxxxx Xxxxxxx
Come noto, il Ministero del Lavoro, con la Circolare n. 7 del 20 febbraio 2013, ha fornito alcuni chiarimenti in merito alla possibilità di utilizzo del contratto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto nei seguenti ambiti settoriali:
- organizzazioni non governative (ONG/ONLUS);
- organizzazioni aventi finalità socio/assistenziali e sanitarie;
- società che operano nel settore commerciale tramite i c.d. promoter.
A seguito di tale Circolare, le ONG sono state oggetto di accordo specifico siglato il 24 aprile 2013 tra l’AOI (Associazione ONG Italiane), link2007 (Associazione di coordinamento consortile tra le maggiori ONG italiane) e Felsa Cisl, Xxxxx Xxxx e Uil Tem.p. (sul punto si veda Xxxxxxx X., I rapporti di collaborazione a progetto nelle ONG dopo l’accordo del 24 aprile 2013, in Boll.
ADAPT, 2013, n. 24).
Ancora si attendono, invece, accordi analoghi nel settore delle organizzazioni aventi finalità socio/assistenziali e sanitarie.
In mancanza di un esplicito riferimento normativo, innanzitutto è però necessario chiarire cosa debba intendersi per “organizzazioni socio assistenziali”: in generale si ritiene possano rientrare in tale definizione le organizzazioni che operano nell’ambito di piani di intervento strutturali (in strutture private, anche convenzionate, nonché nell’ambito domiciliare) con l’obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute. Stante la Circolare in oggetto, in tali organizzazioni i collaboratori sono chiamati a svolgere prestazioni finalizzate al pieno soddisfacimento delle esigenze degli utenti beneficiari (disabili, malati terminali, anziani, etc.).
Ciò premesso, con riferimento al contenuto della prestazione resa dai collaboratori coordinati e continuativi a progetto presso tali organizzazioni, posto che esse sono richiamate dalla Circolare n. 7/2013, ad avviso di chi scrive, non a caso (data la non agevole utilizzazione di questa tipologia contrattuale in tale ambito), sarebbe utile procedere con la stipula di accordi quadro tra le parti sociali. In particolare, l’accordo potrebbe essere utile, da un lato, a correggere le criticità messe in luce dalla Circolare e, dall’altro, ad argomentare in dettaglio alcuni elementi dalla stessa meramente accennati: primo fra tutti, appunto, la caratteristica che deve avere in concreto il progetto affinché si possa porre in essere un genuino rapporto di collaborazione.
Al riguardo, la Riforma Fornero (l. 92/2012), ferme le eccezioni già vigenti, ha previsto la possibilità di utilizzare i contratti di collaborazione coordinata e continuativa soltanto per lo svolgimento di attività connotate dal raggiungimento di uno specifico risultato obiettivamente riscontrabile e non coincidente con l’oggetto sociale della committente. Di conseguenza, come anche ribadito dalla circolare ministeriale n. 29/2012, a decorrere dal 18 luglio 2012, il progetto non
può più identificarsi con l’oggetto sociale dell'impresa, ma deve “essere caratterizzato da una sua specificità, compiutezza, autonomia ontologica e predeterminatezza del risultato atteso e rappresentare una vera e propria “linea guida” contenente le modalità di esplicitazione dell’obbligazione del collaboratore”.
Ciò nonostante, il Ministero, mediante la Circolare n. 7/2013 (emanata a seguito delle numerose richieste di chiarimenti formulate dagli operatori del settore), oltre a ribadire quanto in precedenza statuito, ha tenuto a chiarire che - nell'ambito delle strutture socio-assistenziali - è possibile individuare “specifici progetti che, pur contribuendo al raggiungimento dello scopo sociale, se ne distinguono per una puntuale declinazione di elementi specializzanti”. Quindi, l’attività svolta dal collaboratore, se pure necessariamente coincidente e funzionalmente correlata, nei suoi elementi essenziali, alla finalità sociale dell’organizzazione presso cui il medesimo è chiamato ad operare, non deve coincidere totalmente con la stessa, né ad essa sovrapporsi. Al contrario, tale attività deve essere compiutamente determinata con riguardo agli aspetti specifici, tramite l’individuazione di puntuali progetti che, se pure atti appunto a raggiungere lo scopo sociale, possano distinguersene ed essere finalizzati al conseguimento di un antonomo risultato per mezzo dello svolgimento di un’attività che presenti elevati margini di autodeterminazione, essendo il progetto delimitato in modo specifico a determinati soggetti. A mero titolo esemplificativo, quindi, se l’oggetto sociale di una casa di accoglienza è accogliere i soggetti affetti da dipendenze croniche, il collaboratore dovrà avere un progetto “dedicato” ad un determinato portatore di specifiche esigenze.
La Circolare, sempre riprendendo le fila del dettato normativo, specifica, inoltre, che il risultato che il collaboratore deve raggiungere deve essere compreso in un predeterminato arco temporale con autonoma gestione delle varie fasi di realizzazione dell’obiettivo finale e dei tempi di lavoro; ciò, presupponendo che il collaboratore abbia adeguate competenze e professionalità. Per tale via, posto che l’attività resa dal collaboratore non può rispondere a puntuali direttive o specifiche indicazioni operative, è possibile rinvenire margini di autonomia laddove il collaboratore in questo settore si coordini, nell’espletamento della prestazione lavorativa, non con i responsabili delle strutture (o non solo con loro, dovremmo sottintendere) quanto piuttosto con il destinatario finale della prestazione. Quindi, in sostanza, il progetto, nel suo quotidiano svolgimento, dovrà essere concordato con il soggetto da assistere ed il collaboratore dovrà di volta in volta organizzarsi con il medesimo in merito “alla tipologia di intervento, gli orari di assistenza, nonché le concrete modalità di erogazione del servizio”. Tale elemento era stato già individuato dal Ministero in occasione della risposta all’interpello n. 5 del 2 aprile 2010, avente ad oggetto i presupposti di legittimità per l’utilizzo di rapporti di collaborazione nel settore dell’assistenza domiciliare ed ospedaliera. In tale occasione si era statuito, infatti, che, a conferma della natura autonoma della prestazione lavorativa, è necessario che “il collaboratore concordi direttamente con il fruitore ultimo del servizio ogni profilo attinente la tipologia delle prestazioni necessarie, gli orari dell’assistenza, la durata presumibile della stessa, come pure che il collaboratore possa accettare o meno gli incarichi proposti” dalla committente. Questo, così come ripreso anche dalla Circolare n. 7/2013, “a condizione ovviamente che il collaboratore stesso unilateralmente e discrezionalmente determini senza necessità di preventiva autorizzazione e successiva giustificazione, la quantità di prestazione da eseguire e la collocazione temporale della stessa”. In definitiva, la Circolare n. 7/2013 pare limitarsi a confermare quanto già espresso tre anni prima.
Se per “quantità” della prestazione dobbiamo, poi, intendere il numero degli assistiti, e per la collocazione temporale fare sostanzialmente riferimento ad una organizzazione dei “turni” di lavoro (la mattina piuttosto che la sera), pare di potersi desumere che, solo ove entrambi tali due elementi, l’uno imprescindibile dall’altro, siano lasciati alla libera determinazione del collaboratore, nell’ambito di un mero coordinamento con la committente, si possa realizzare una genuina collaborazione. A riguardo, molteplici possono essere gli spunti di riflessione. In primo luogo, preme rilevare che la tipologia di attività svolta nelle organizzazioni socio assistenziali richiede continuità di assistenza, talché, nei fatti, il rischio è che in tale ambito l’autonomia del collaboratore si estrinsechi nella mera possibilità di determinare la calendarizzazione delle attività (mensile,
settimanale o giornaliera), limitandosi quindi il medesimo a scegliere la fascia oraria in cui rendere la propria prestazione, se pure in accordo con gli altri collaboratori, qualora presenti. Ove ciò in effetti avvenga, la linea di demarcazione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato appare piuttosto attenuata. Infatti, se è pur vero che, negli ordinari modelli organizzativi previsti per i lavoratori subordinati, è il datore di lavoro che si occupa della predisposizione dei turni di lavoro, d’altra parte, però, apparirebbe davvero minima l’autonomia posta in capo al prestatore di lavoro se essa fosse esclusivamente riconducibile alla libera – o meglio coordinata – determinazione di tale profilo e non anche ad altri fattori (come, appunto, la libera scelta del numero di assistiti).
Quindi, un eventuale accordo tra le parti sociali dovrebbe prevedere che il collaboratore non sia soggetto ad un “orario di lavoro” in senso proprio ma che, una volta fornita la propria disponibilità a rendere la prestazione, sia vincolato solo a rendere servizi che, spesso, risultano ricollegati ad esigenze orarie del destinatario finale (e non della committente).
Ipotizzando una prestazione lavorativa nel suo concreto svolgimento, la mancanza di un vincolo orario nei confronti della committente dovrà risultare, in sostanza, dal fatto che il collaboratore non sia obbligato allo svolgimento di un certo numero di ore giornaliere, talché, nel caso di svolgimento del servizio con tempistiche inferiori rispetto a quelle normalmente ipotizzabili, non dovrà essere adibito ad ulteriori attività o servizi né, comunque, dovrà essere tenuto a comunicarlo (in particolare, nel caso di prestazioni rese nel domicilio dell’assistito). Il collaboratore sarà, altresì, libero di accettare o meno gli incarichi proposti dalla committente, ovvero, all’interno dell’arco temporale di durata della collaborazione, di accettare l’affidamento di ulteriori e diversi progetti di assistenza rispetto a quelli dedotti in contratto, previa formalizzazione per iscritto di quanto in precedenza concordato. Viste, poi, le caratteristiche del rapporto, collaboratore e committente potrebbero incontrarsi, con cadenza tendenzialmente settimanale, al fine di valutare l’andamento del servizio reso.
In tale contesto, la mancanza dell’assoggettamento del collaboratore al potere direttivo, di controllo e disciplinare del committente (che presupporrebbero, come noto, la presenza del vincolo di subordinazione), dovrà essere valutata, così come ribadito anche dalla citata risposta all’interpello n.5/2010, tenuto conto in concreto della specificità dell’attività resa dal collaboratore e delle relative modalità di svolgimento. Mentre, continua il Ministero, “altri elementi, quali l’assenza di rischio, la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario e la forma della retribuzione assumono natura meramente sussidiaria e non decisiva (cfr. Cass. 12 dicembre 2001, n. 15657 e risposta ad interpello n. 8/2009)”.
Si segnala, sul punto, che il Tribunale di Livorno, con sentenza del 22 gennaio 2013, si è espresso in merito alla illegittimità della stipula del contratto a progetto per lo svolgimento delle mansioni di operatore sanitario nel caso in cui queste, da un lato, coincidano con l’oggetto sociale del committente e, dall’altro, non siano legate all’esecuzione di uno specifico progetto. Inoltre l’illegittimità è prevista anche nell’ipotesi in cui l’attività del collaboratore sia svolta di fatto alle dirette dipendenze del committente, il quale impartisca minuziose direttive, facendo venire meno, quindi, ogni possibile margine di autonomia. Il Tribunale, riprendendo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, ha dichiarato che il progetto non deve essere caratterizzato dalla mera descrizione delle mansioni che il collaboratore è chiamato a svolgere, né essere identificato “puramente e semplicemente” con l’obiettivo aziendale nel suo complesso, posto che così si finirebbe col vanificare la specificità progettuale voluta dall’art. 69 del d.lgs 276/2003.
Posto quanto fin qui evidenziato, riassumendo la Circolare, gli elementi che contraddistinguono una genuina collaborazione “a progetto” per attività resa nell’ambito delle organizzazioni socio assistenziali, e che dovrebbero essere meglio dettagliati da un eventuale accordo tra le parti sociali, sono:
Progetto ed oggetto sociale della committente | Il progetto, che deve essere gestito autonomamente dal collaboratore, non può identificarsi con l’oggetto sociale dell’organizzazione ma deve essere caratterizzato da una sua specificità, compiutezza, autonomia ontologica e predeterminatezza del risultato atteso e rappresentare una vera e propria “linea guida” contenente le modalità di esplicitazione dell’obbligazione del collaboratore. |
Oggetto dell’attività del collaboratore | L’oggetto dell’attività, inteso anche come parte integrante del più generale obiettivo perseguito dall’organizzazione, deve essere caratterizzato da una assoluta determinatezza. |
Arco temporale di svolgimento dell’attività | L’arco temporale per l’espletamento dell’attività progettuale deve essere individuato in maniera circoscritta ed in funzione dello specifico risultato finale. |
Modalità di svolgimento dell’attività | Devono rinvenirsi apprezzabili margini di autonomia, anche di tipo operativo, da parte del collaboratore, obiettivamente riconoscibili nelle modalità di svolgimento della prestazione stessa ossia per lo svolgimento di compiti non meramente esecutivi. |
Verifiche sull’attività svolta | Devono prevedersi momenti di obiettiva verifica circa il raggiungimento dei risultati attesi. |
In conclusione, pare che con tale Circolare il Ministero, nel tentativo di chiarire le modalità di attuazione delle collaborazioni in questo ambito così peculiare, finisca col ripetere argomentazioni generali già esposte, soltanto in parte ampliandole. Ciò ha senza dubbio l’effetto di non chiarire adeguatamente i confini del ricorso al lavoro a progetto nel settore in esame, perdendo al contempo l’occasione di contribuire ad una deflazione del contenzioso sul punto, che da parte degli organismi ispettivi e previdenziali assume dimensioni considerevoli.
Dall’analisi fin qui effettuata emerge, inoltre, la necessità che la regolamentazione del settore per mezzo di un accordo quadro sia orientata a distinguere le collaborazioni rese all’interno delle strutture (organizzazioni socio assistenziali o sanitarie che siano) da quelle rese presso il domicilio dell’assistito. Infatti, un elemento di criticità peculiare è certamente rinvenibile con riferimento alle prestazioni socio assistenziali rese all’interno delle prime. Si pensi, ad esempio, della collocazione della propria prestazione per quanto concerne l’organizzazione dei pasti. Appare quanto meno di difficile attuazione il fatto che, all’interno delle strutture, il collaboratore coordini la prestazione unicamente con il destinatario finale, come previsto dalla Circolare, dato che solitamente gli orari dei pasti sono predeterminati dalla committente per evidenti esigenze organizzative. Inoltre, anche con riferimento ai tempi per lo svolgimento della prestazione, le condizioni individuate dalla Circolare appaiono incompatibili con le esigenze delle strutture socio-assistenziali, le quali, spesso, sono tenute, in virtù degli standard regionali per l'autorizzazione e l'accreditamento, a garantire la presenza in servizio degli operatori per un numero minimo di ore settimanali (c.d. minutaggio), ed inoltre necessitano della presenza in servizio dei collaboratori al fine di soddisfare le esigenze assistenziali e riabilitative degli ospiti.
Infine, emerge un dubbio interpretativo anche con riguardo alle figure professionali alle quali potrebbe essere applicata la formula contrattuale descritta dalla Circolare. Infatti, in realtà che operano nel settore socio assistenziale e sanitario si trovano figure professionali (es. medici, psicologi, infermieri, etc.) per le quali, trattandosi di prestazioni di elevata professionalità, deve necessariamente essere prevista l’iscrizione in albi professionali. Inoltre, visto che non è possibile stipulare contratti di collaborazione per compiti meramente esecutivi e ripetitivi (che devono però essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale), saranno esclusi i profili professionali riguardanti le prestazioni di lavoro caratterizzate da tali elementi (ad esempio, personale che svolge attività segretariali, addetti alle pulizie, etc.). Pertanto, si dovrà ritenere possibile, come di fatto parrebbe da quanto indicato dalla Circolare, l’instaurazione di genuini rapporti di collaborazione esclusivamente per coloro i quali assistono soggetti terzi. Ciò, senza dimenticare le problematicità sopra esposte.
Xxxxxxx Xxxxxxx
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo