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provided by Archivio della ricerca - Università degli studi di Xxxxxx Xxxxxxxx XX
Argomenti
I singoli contratti
Contratti di distribuzione
L’abuso del potere negoziale nel contratto di distribuzione della stampa quotidiana e periodica
di Xxxxxxx xx Xxxxx (*)
La regolamentazione della complessiva operazione negoziale che conduce alla consegna e messa in vendita, presso le edicole, dei giornali quotidiani e periodici deriva da una pluralità di fonti legi- slative e pattizie, che rende difficilmente inquadrabile il fenomeno e riconducibile entro schemi pre- determinati. Trattasi, in verità, di un settore del tutto peculiare, che si connota propriamente per la presenza di una disciplina vincolistica, a carattere imperativo, che limita fortemente l’autonomia privata e la libertà d’impresa delle parti in funzione del perseguimento dei superiori principi della li- bera manifestazione del pensiero, della libertà di stampa e del pluralismo e facile accesso al “be- ne-informazione”. Tale settore imprenditoriale - caratterizzato, di fatto, da una serie di “esclusive di zona” in favore dei singoli distributori locali - costituisce terreno elettivo di possibili abusi contrat- tuali, essendovi un evidente squilibrio di forze tra le varie parti della filiera distributiva (editori, distri- butori, edicolanti). Xxxxxxxxxx che finisce, in ultima analisi, con il ripercuotersi sul soggetto posto “a valle” della catena, ossia sull’edicolante, il quale, di fatto, per poter ricevere e porre in vendita i giornali, si trova a dover “interloquire” necessariamente con un unico partner, ossia il distributore locale incaricato dagli editori di diffondere il prodotto nella zona di pertinenza. Elevato è dunque il rischio della predisposizione unilaterale, da parte del distributore, di un contratto fortemente “sbi- lanciato” in proprio favore, con la conseguenza che l'edicolante, ove rifiuti la stipula ed in assenza di alcun potere di negoziazione, si trovi privo della fornitura di giornali. Fatte queste premesse, e ri- costruita l'operazione economica complessa, l'autore si interroga circa la possibilità di rinvenire, nel nostro ordinamento positivo, strumenti giuridici attraverso i quali, in un’ottica di giustizia dei rapporti contrattuali di mercato, operare un sindacato sull'equilibrio contrattuale al fine di correg- xxxx le asimmetrie esistenti tra le parti ed offrire tutela alla parte debole del rapporto.
La struttura dell’operazione negoziale di distribuzione e messa in vendita della stampa quotidiana e periodica: le fonti legislative
La regolamentazione della complessiva operazione negoziale mediante la quale i giornali quotidiani e periodici vengono portati nelle edicole ed offerti in vendita al pubblico deriva da una pluralità di fonti legislative e, soprattutto, pattizie, che rende difficilmente inquadrabile il fenomeno e riconduci- bile entro schemi predeterminati. In particolare, i rapporti tra le diverse parti che compongono la fi- liera distributiva sono disciplinati da una serie plu-
rima di rapporti contrattuali - a volte stipulati nep- pure in forma scritta - che, nel rispetto di norme imperative dettate a livello statale, si integrano a vicenda in base alle peculiarità delle singole zone geografiche di riferimento.
Tale inquadramento sistematico - sul quale, forse un po’ colpevolmente, non paiono essere stati indi- rizzati adeguati sforzi ricostruttivi da parte della dottrina e della giurisprudenza - seppur non agevo- le, appare assolutamente preliminare alla soluzione dei problemi che quotidianamente si parano in- nanzi agli operatori del settore.
Più nel dettaglio, va innanzi tutto evidenziato che questo peculiare settore si connota propriamente
(*) N.d.R.: il presente contributo è stato sottoposto, in for- ma anonima, al vaglio del Comitato di Valutazione.
per una forte presenza di una disciplina vincolisti- ca, a carattere imperativo, che - a differenza di quanto avviene per la maggior parte delle altre at- tività commerciali - limita fortemente l’autonomia privata e la libertà d’impresa delle parti in funzione del perseguimento dei superiori principi della libera manifestazione del pensiero, della libertà di stampa e del pluralismo dell’informazione. Il settore in og- getto è dunque un settore del tutto “speciale”, re- golato da una serie di regole e criteri derogativi alla libertà di concorrenza e d’impresa e volti precipua- mente alla tutela del “bene”, considerato primario e prevalente, del pluralismo dell’informazione e del libero ed uniforme accesso allo stesso da parte di tutti i cittadini, in capo ai quali è riconosciuto il diritto di essere informati sulla base di una rete di vendita uniformemente sviluppata e di facile “rag- giungibilità” in ogni zona del territorio nazionale. Così, la legislazione nazionale vede la presenza di una normativa che detta i caratteri essenziali del processo distributivo della stampa quotidiana e pe- riodica in funzione del rispetto dei principi di mas- sima diffusione del prodotto editoriale e di “parità” di trattamento, attuati nei vari “stati” in cui si arti- cola l’operazione negoziale in esame. Esemplifican- do, si consideri, innanzi tutto, l’art. 16 della l. n. 416/81, c.d. “Legge sull’editoria”, ove si pone l’ob- bligo, in capo alle imprese che operano nel settore della distribuzione dei giornali, di garantire il rela- tivo servizio “a tutte le testate giornalistiche che ne facciano richiesta” ed altresì di rispettare un principio di “parità di condizioni rispetto ai punti vendita serviti e al numero di copie distribuite”.
Similmente, la legge di riforma del settore della ven-
dita della stampa quotidiana e periodica, ovvero il D.Lgs. n. 170/01 - recante appunto il “Riordino del sistema di diffusione della stampa a norma dell’art. 3 della legge 13 aprile 1999, n. 108” - proprio in consi- derazione della non disponibilità del “bene” informa- zionee dell’esigenza di perseguire un obiettivo di uni- forme distribuzione della stampa e di facile accessibi- lità alla stessa su tutto il territorio nazionale, pone:
a) da un lato, agli artt. 2 e 6, specifici obblighi di programmazione e pianificazione tanto in capo alle Regioni, obbligate ad emanare specifici indirizzi in materia, quanto in capo ai Comuni, tenuti, nel ri- spetto dei predetti indirizzi, a dotarsi di appositi
piani di localizzazione dei punti vendita, sulla base dei quali rilasciare poi le singole autorizzazioni per l’esercizio dell’attività (1);
b) da un altro, agli artt. 4 e 5, disposizioni volte ad assicurare che la stampa quotidiana e periodica venga “trattata” nel suo complesso in maniera uni- forme su tutto il territorio nazionale.
Così, accanto ad un generale obbligo per tutti i ri- venditori (c.d. edicolanti) di assicurare parità di trattamento a tutte le testate ricevute, nonché di prevedere un adeguato spazio espositivo per ciascu- na di esse (2), viene posto un generale dovere, per i soggetti che operano nella distribuzione, di non variare il prezzo di vendita stabilito dall’editore/- produttore, e, più in generale, di rispettare l’identi- tà delle condizioni economiche e delle modalità di cessione delle pubblicazioni, “comprensive di ogni forma di compenso riconosciuta ai rivenditori”.
Da tali premesse normative, si ricava da subito che in capo ai rivenditori di giornali quotidiani e periodi- ci - sulla cui posizione giuridica si concentrerà il pre- sente lavoro - sono posti una serie di limiti alla pro- pria libertà di impresa, consistenti essenzialmente: - nel divieto di variare il prezzo di vendita delle pubbli- cazioni (art. 5, punto a); - nel divieto di negoziare il prezzo di acquisto delle pubblicazioni (art. 5, punto b); - nel divieto di negoziare e scegliere la tipologia o la quantità del prodotto da ricevere, essendo obbligati a porre in vendita tutti i giornali che gli vengono for- niti, assicurando altresì la “parità di trattamento tra le diverse testate” (art. 4); - nel divieto di decidere quale prodotto esporre in vendita (art. 5, punto c).
Una timida, quanto discussa e dagli incerti conno- tati, apertura verso una maggior autonomia im- prenditoriale degli edicolanti, si è avuta con il re- cente art. 39 del D.L. n. 1/2012, conv. in L. n. 148/2011, poi sostituito dall’art. 34 del D.L. n. 179/2012, conv. in L. n. 221/2012, che ha inserito, tra l’altro, la lett. d ter) al comma 1 dell’art. 5 cita- to, riconoscendo agli edicolanti la possibilità di “praticare sconti sulla merce venduta”.
Le fonti negoziali di disciplina: pluralità di parti e differenti livelli distributivi
Entro gli “angusti” spazi lasciati dallo stringente quadro normativo cui si è appena accennato, deve muoversi l’autonomia privata. Autonomia privata
(1) Anche per i c.d. punti vendita non esclusivi (ossia per quegli esercizi che “in aggiunta ad altre merci, sono autorizzati alla vendita di quotidiani ovvero periodici”), in relazione ai quali non sussiste obbligo di inserimento nei piani di localizzazione, vale l’ultimo comma dell’art. 2 della norma citata, ai sensi del quale: “Il rilascio dell’autorizzazione, anche a carattere stagio- nale, per i punti di vendita esclusivi e per quelli non esclusivi deve avvenire in ragione della densità della popolazione, delle
caratteristiche urbanistiche e sociali delle zone, dell’entità delle vendite di quotidiani e periodici negli ultimi due anni, delle condizioni di accesso, nonché dell’esistenza di altri punti ven- dita non esclusivi”. Sussiste comunque, dunque, un obbligo di pianificazione in capo agli enti comunali.
(2) Con la sola eccezione del materiale di carattere porno- grafico, che, al contrario, non può essere esposto.
che vede la partecipazione, al processo di distribu- zione e messa in vendita della stampa quotidiana e periodica, di una pluralità di soggetti, formalmente tutti giuridicamente autonomi tra di loro.
All’origine del fenomeno ed al vertice della “cate- na” si collocano i produttori dei giornali quotidiani o periodici, ossia gli editori - che indiscutibilmente sono e restano i proprietari del prodotto editoriale fino al momento della vendita al pubblico dello stesso - i quali godono della più ampia autonomia d’impresa nella determinazione della strategia di “posizionamento” sul mercato e di commercializza- zione dei prodotti, potendo, in particolare, stabilire la politica di “copertura” sul territorio nazionale e la conseguente “tiratura” degli stessi. Tali soggetti - in una logica di “integrazione verticale” ed all’evidente fine di riduzione dei costi, operando nel contempo una più capillare “penetrazione” sul mercato - nella maggior parte dei casi conferiscono l’incarico di di- stribuire e commercializzare il proprio prodotto ad imprese di distribuzione (c.d. D.N., acronimo di di- stributori nazionali), le quali, pur rimanendo sogget- ti autonomi e distinti ed operando a proprio rischio, cooperano con l’impresa “affidataria” al fine di con- sentire un adeguato “sbocco finale” all’attività, rag- giungendo il consumatore finale di tali beni.
Queste imprese di distribuzione nazionale, a loro
volta, possono svolgere l’attività di distribuzione dei prodotti o consegnandoli direttamente presso i singoli punti vendita, oppure, come accade nella generalità dei casi, rivolgendosi a imprenditori ter- zi, dislocati nelle varie aree del territorio nazionale, ai quali viene esternalizzato il compito di una di- stribuzione al dettaglio, ossia della materiale conse- gna del prodotto presso i punti vendita “finali” po- sti all’interno dell’area geografica di competenza. Tali accordi di distribuzione di “secondo livello” sono dunque caratterizzati da una clausola di esclu- siva, nel senso che il territorio nazionale viene di- viso in singole zone geografiche omogenee, ciascu- na delle quali viene “assegnata” ad un distributore locale (c.d. D.L.), il quale provvede alla individua- zione dei singoli punti vendita ubicati nella zona di competenza ed alla materiale consegna della stampa quotidiana e periodica.
Ciò non toglie, è bene precisarlo, che vi sono zone
del territorio nazionale in cui operano contestual- mente più distributori locali; ma anche in questi casi tali soggetti non agiscono in regime di concorrenza tra di loro, bensì sempre come “esclusivisti” di zona, essendo deputati alla distribuzione di prodotti diffe- renti. Per esemplificare: si faccia il caso in cui, nel-
l’ambito della medesima provincia, l’impresa Alfa di- stribuisca solo i quotidiani e l’impresa Beta solo pe- riodici; oppure, nell’ambito di questa seconda tipolo- gia di prodotti, l’impresa Alfa solo i periodici della RCS Media Group (es: “Amica”; “Oggi”; “Dove”), e l’impresa Beta solo i periodici Mondadori (es: “Pano- rama”; “TV Sorrisi e canzoni”; “Focus”), e così via. Si realizza così una cooperazione ed integrazione verticale tra più imprenditori, fondata su differenti livelli distributivi.
A valle del processo distributivo vi sono poi i sin- goli edicolanti, sostanzialmente deputati alla rice- zione e messa in vendita di tutti i giornali quotidia- ni e periodici ricevuti.
Tanto premesso, va ulteriormente precisato che l’operazione negoziale complessiva - che, per quan- to detto, vede la partecipazione da un minimo di due (editore e rivenditore), ad un massimo di quat- tro (editore, distributore nazionale, distributore lo- cale, rivenditore), parti - rinviene la sua regola- mentazione pattizia in una pluralità di modelli ne- goziali, per lo più atipici, alcuni “eventuali”, altri “necessari”, spesso divergenti tra di loro e, comun- que, a volte di difficile coordinamento.
A “monte” vi è sicuramente l’”Accordo nazionale
sulla vendita dei giornali quotidiani e periodici” (brevemente: A.N.), contratto atipico siglato tra le più rappresentative associazioni di categoria degli editori, dei distributori nazionali e degli edicolanti in data 19 maggio 2005, ed entrato in vigore il suc- cessivo 1° gennaio 2006.
Tale testo, di natura contrattuale, offre sicuramen- te la disciplina più completa ed organica rinvenibi- le in materia: esso infatti - dopo un preambolo in cui vengono enunciati i caratteri essenziali del set- tore ed una parte relativa alle definizioni dei termi- ni utilizzati, al dichiarato fine di facilitare l’attività interpretativa del testo - contiene una dettagliata disciplina in tema di “agibilità” della rete di vendi- ta (3), di classificazione dei diversi prodotti edito- riali, di remunerazione dell’attività e tempi di pa- gamento delle forniture, di “permanenza” dei pro- dotti presso i punti vendita, occupandosi finanche dei casi di cambio, cessazione dell’attività e falli- mento dell’impresa di distribuzione locale. Partico- larmente pregnante, in quest’ottica, è la parte rela- tiva alla definizione dei ruoli, delle funzioni e degli obblighi dei vari soggetti che partecipano all’attivi- tà di produzione, distribuzione e vendita al detta- glio del prodotto editoriale quotidiano e periodico.
(3) Intesa essenzialmente come disciplina delle ferie e dei giorni ed orari di apertura dei punti vendita.
(Segue) dal mandato in rem propriam
al mandato con xxxxxxxx in favore del terzo
La normativa appena ricordata, che rappresenta una sorta di “accordo quadro” per la disciplina in generale dell’attività di distribuzione e messa in vendita dei giornali, viene affiancata ed integrata da una variegata moltitudine di ulteriori negozi, i quali regolano ancor più nel dettaglio i rapporti tra le singole parti della filiera distributiva.
In primo luogo, come detto, vi è il rapporto tra il proprietario del prodotto, ossia l’editore, ed il sog- getto cui viene demandato il compito di occuparsi della distribuzione dello stesso a livello nazionale, ossia il distributore nazionale. Tale relazione, pur nella specificità della singola prassi applicativa, è stata generalmente ricondotta allo schema del mandato, ovvero al contratto mediante il quale un soggetto, ossia il distributore nazionale, si obbliga a compiere uno o più atti giuridici, e in generale un’attività gestoria, per conto dell’editore (4).
Nell’esecuzione di tali incarichi distributivi, il di- stributore nazionale stipula di regola una serie di ulteriori contratti con i singoli distributori locali, mediante i quali viene attribuito, a questi ultimi, il potere-dovere di procedere alla instaurazione di ul- teriori rapporti con i singoli punti vendita dislocati all’interno dell’area geografica di competenza. Il rapporto tra distributore nazionale e locale è essen- zialmente riconducibile alla nozione del submanda- to, in esecuzione del quale il submandatario-distri- butore locale stipula, con i vari punti vendita, con- tratti di fornitura del prodotto editoriale (5).
Più precisamente, trattasi, tutti, di mandati e sub- mandati - per lo più conferiti senza potere rappre- sentativo - stipulati in esecuzione di quanto previ- sto, in sede di Accordo nazionale, dall’art. 10, comma 2, n. 4, ove si sancisce il potere degli edito- ri di fornire i prodotti editoriali o all’impresa di di- stribuzione locale, oppure direttamente al singolo punto vendita, al quale viene, a sua volta, ricono- sciuto, dal precedente n. 3 della medesima disposi-
zione, il diritto di ricevere i prodotti editoriali se- condo le proprie “esigenze diffusionali” (6).
Proprio quest’ultimo aspetto, si ritiene, permea di sé il rapporto di mandato in essere, connotandolo di una rilevante peculiarità: se è vero che ai singoli edicolanti viene in qualche modo garantito un di- ritto a ricevere i giornali - se è vero cioè che è dato rinvenire nell’Accordo nazionale uno specifico im- pegno, c.d. patto d’obbligo, ad eseguire il servizio di distribuzione ai punti vendita (7) - ecco che al- lora i mandati ed i submandati conferiti in esecu- zione degli obblighi assunti in sede di contrattazio- ne nazionale, sono assimilabili alla figura del man- dato in rem propriam (8), ossia al mandato conferito anche nell’interesse del terzo, a mezzo del quale il mandatario (distributore nazionale) - ed eventual- mente il sub mandatario incaricato della distribu- zione in sede locale (distributore locale) - s’impe- gnano ad eseguire una serie di negozi gestori esecu- tivi (es: trasporto dei prodotti, distribuzione del materiale pubblicitario, emissione della bolla di consegna, emissione del documento di richiamo re- sa, ritiro delle copie invendute, incasso dei paga- menti, ecc.) nell’interesse, non solo del mandante (e cioè, in ultimo, dell’editore), ma anche nell’in- teresse del terzo (e cioè dell’edicolante). Ciò in quanto può ritenersi che, con la stipula dell’Accor- do nazionale le parti abbiano inteso dare rilievo e cristallizzare l’interesse dell’edicolante-terzo alla realizzazione finale dell’attività gestoria, oggetto del mandato a distribuire; in tale modo, il fenome- no gestorio, pur dovendo essere compiuto per con- to del mandante, per effetto del collegamento fun- zionale con la normativa “quadro” contenuta nel- l’accordo di categoria finisce con il contemplare anche la realizzazione di interessi ulteriori, che, per questa via, entrano a far parte e, per così dire, ven- gono “oggettivizzati”, nel complessivo regolamento di interessi posto in essere.
Così, ragionando in questi termini, si porrebbe più
correttamente riconoscere al mandato la natura di
(4) Cfr., Cass. 17 luglio 2003, n. 11196, in Gius, 2004, 2, 176 ss. Circa invece la riconducibilità del rapporto editore-di- stributore allo schema dell’agenzia, si veda X. Xxxxxxxxx, Dei singoli contratti, in AA.VV., Commentario del codice civile, Libro IV, Delle Obbligazioni, III, Torino, 1968, 654 ss.
(5) Così ancora Xxxx. 17 luglio 2003, n. 11196, cit.
(6) In particolare, così recita l'art. 10, co. 2, nn. 3 e 4, del- l'Accordo nazionale: “In questo quadro l'Azienda Editoriale e/o il Distributore nazionale svolge i seguenti compiti ( ) 3. deter-
mina autonomamente la fornitura da inviare in sede locale per soddisfare le esigenze diffusionali dei singoli punti vendita, com- patibilmente con le esigenze di economicità dell'Azienda stessa, utilizzando oltre i dati del fornito anche quelli di resa ove possibi- le comunicati dall'Impresa di distribuzione locale; 4. fornisce i prodotti all'Impresa di distribuzione o direttamente ai punti di vendita (in quest'ultimo caso l'Editore svolge i compiti del Distri-
butore Locale)”.
(7) In questo senso si sono espressi, seppur in sede di sum- xxxxx xxxxxxxx, il Trib. Roma, ord. 21 ottobre 2014; Trib. Roma, ord. 12 agosto 2014; Trib. Ferrara, ord. 11 luglio 2013. Tutte inedite. Contra Trib. Ferrara, ord. 26 agosto 2013, inedita.
(8) Sul quale, ex plurimis: X. Xxxxxxx, Mandato (dir. priv.), in Enc. dir., XXV, Milano, 1975, 372 ss.; X. Xxxxxxx, Note sull’irre- vocabilità del mandato, in Riv. dir. comm., 1952, II, 19 ss.; X. Xxxxxxxx, Mandato, commissione, spedizione, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da X. Xxxx - X. Xxxxxxxx, XXXII, Milano, 1984; X. Xxxxxxxxx, Contributo alla dottrina della procura irrevo- cabile, in Ann. dir. compar., 1949, XXV, 38 ss.; X. Xxxxxx, Il ne- gozio giuridico indiretto, Milano, 1937, 147 ss. In giurispruden- za, si possono ricordare, tra le molte: Cass. 26 gennaio 1966, n. 337, in Foro it., 1966, I, 429 ss.; Cass. 13 marzo 1964, ivi, 1965, I, 866 ss., con nota di X. Xxxxxxxx.
“mandato con xxxxxxxx a favore del terzo” - fatti- specie in parte diversa dal mandato in rem propriam e riconducibile al contratto a favore del terzo (9) - espressione con la quale si fa riferimento a quel contratto mediante il quale il mandatario, pur ri- manendo obbligato ad agire per conto del mandan- te, assume tuttavia il distinto obbligo di attribuire ad un terzo, invece che al mandante, uno o più ri- sultati favorevoli derivanti dall’atto gestorio; ipote- si nella quale quindi, pur continuando ad “apparte- nere” al mandante l’affare nel suo complesso, il soggetto destinatario finale dei beni ricevuti in ese- cuzione dell’atto di gestione, e come tale titolare di un vero e proprio diritto all’esecuzione del manda- to, è un soggetto terzo.
(Segue) contratto estimatorio ed edicole: la caduta di un “mito”
In ultimo, a “valle” dell’operazione negoziale di commercializzazione del prodotto editoriale, vi sono sicuramente i singoli contratti - stipulati in forma scritta o anche solo orale - tra i distributori di zona e i vari edicolanti, mediante i quali, in esecuzione della disciplina di cui all’Accordo nazionale, vengo- no disciplinati in concreto ulteriori aspetti dell’atti- vità di consegna e messa in vendita dei giornali.
Contratti, questi ultimi, che - al contrario di quanto semplicisticamente si legge nella pressoché totalità dei manuali di “Istituzioni di diritto privato” - non
possono affatto essere ricondotti sic et simpliciter al negozio estimatorio di cui agli artt. 1556 ss. c.c. (10). Ed infatti, come noto, elemento essenziale di questa fattispecie contrattuale è rappresentato dalla c.d. “clausola di pagamento al venduto”, in virtù della quale viene riconosciuto all’accipiens la facoltà di re- stituire le cose mobili ricevute, ovvero di corrispon- derne il prezzo (11). Nella fattispecie tipizzata dal le- gislatore, dunque, l’obbligo di pagare il prezzo dei be- ni consegnati diviene attuale ed immediato soltanto nel momento in cui, decorso il termine (12), l’acci- piens decida di non restituire gli stessi (13).
Viceversa, nel settore della distribuzione dei gior- nali quotidiani e periodici, a norma dell’art. 14 del- l’Accordo nazionale (14) (mai derogato in sede di contrattazione locale), il prodotto editoriale viene di regola pagato dall’edicolante al momento della consegna (15) (c.d. “conto assoluto”) e soltanto una parte quantitativamente marginale di giornali
- precisamente: i prodotti con periodicità uguale o superiore al bimestre, i c.d. “ridistribuiti” (16) e i
c.d. “ricopertinati” (17) - viene pagata in un mo- mento successivo, ossia quando, decorso il termine di “permanenza” in edicola contrattualmente pre- visto (18), il prodotto stesso viene dal distributore richiamato in resa e, quindi, allo stesso restituito (c.d. “conto deposito”) (19).
Per essere ancora più chiari: le pubblicazioni con- segnate in edicola hanno forme diverse di paga-
(9) Per approfondimenti si rinvia a X. Xxxxxxxx, Mandato, commissione, spedizione, cit., 106 ss.; X. Xxxxx, Xxxx’xxxxxxxxxx del mandato, in Commentario del codice civile Scialoja - Bran- ca, artt. 1722-1730, Xxxxxxx - Xxxx, 0000, 101 ss.
(10) Ritiene invece si tratti di vero e proprio contratto esti- matorio la giurisprudenza tributaria. Tra le molte, si vedano: Comm. Trib. Centrale 23 settembre 2002, n. 6651, in Fisco, 2002, 6279 ss.; Comm. Trib. Centrale 12 giugno 1995, n. 2379, in Riv. giur. trib., 1996, 51 ss.; Comm. Trib. Centrale 21 feb- braio 1995, n. 610, in Riv. dir. trib., 1995, II, 719 ss.; Comm. Trib. Centrale 7 novembre 1994, n. 3647, in Fisco, 1995, 5433 ss.; Comm. Trib. Centrale 21 marzo 1994, n. 778, ivi, 1994, 6738 ss. In questo senso anche una risalente giurisprudenza di legittimità. Si fa riferimento a Xxxx. 6 maggio 1987, n. 4188, in Mass. Giust. civ., 1987, 1181.
(11) Così, ex plurimis, Cass. 26 aprile 1990, n. 3485, in Giur. it., 1991, I, 1, c. 68 ss.; Cass. 21 aprile 1979, n. 2235, ivi, 1980, I, 1, c. 113 ss.
(12) Termine pattuito espressamente, oppure, in assenza, determinato facendo riferimento alle regole desumibili dall’art. 1183 c.c. (cfr., ex plurimis: Cass. 20 ottobre 1991, n. 11504, in Giur. it., 1992, I, 1, c. 446 ss.) con l’unica avvertenza che, im- portando la natura dell’affare che tra la consegna del bene ed in pagamento intercorra un certo lasso di tempo, si deve escludere un’esigibilità immediata (così Xxxx. 4 gennaio 1974, n. 9, in Giust. civ., 1974, I, 893 ss.).
(13) Così chiaramente X. Xxxxxxx, Del contratto estimatorio. Della somministrazione, in Commentario del codice civile Scialo- ja - Branca, artt. 1556-1570, Xxxxxxx - Xxxx, 0000, 25.
(14) Secondo cui: “Il prodotto, di norma, deve essere pagato contestualmente alla consegna, con le modalità ed entro i termi- ni pattuiti tra il soggetto che effettua l'attività di distribuzione lo-
xxxx e la Rivendita, scomputando l'equivalente delle copie inven- dute e documentate come rese”.
(15) Salvo poi “scomputare”, nell’estratto conto emesso settimanalmente dal distributore, il valore delle copie invendu- te e documentate come rese; valore che viene riaccreditato in favore dell’edicolante nell’estratto conto successivo.
(16) Si precisa che per prodotto ridistribuito si intende, ai sensi dell’art. 2 dell’Accordo nazionale sulla vendita dei giorna- li quotidiani e periodici, “il prodotto immesso nuovamente nel circuito distributivo nella medesima area geografica. A tale ca- tegoria appartiene anche il prodotto costituito da confezioni (busta o altro contenitore) di diversi numeri della stessa pubbli- cazione o di pubblicazioni diverse già immessi precedente- mente nel circuito distributivo in forma commerciale singola o accorpata”.
(17) Si precisa che per prodotto ricopertinato si intende, ai sensi dell’art. 2 dell’Accordo nazionale sulla vendita dei giorna- li quotidiani e periodici, “un prodotto editoriale singolo o com- posto da un insieme di diversi numeri della stessa testata fisi- camente legali o assemblati e dotato di una nuova copertina”.
(18) Cfr., art. 13 dell’Accordo nazionale sulla vendita dei giornali quotidiani e periodici.
(19) In questo caso l’edicolante, al momento del richiamo della resa, dovrà restituire al distributore le copie invendute e corrispondere allo stesso il prezzo delle copie vendute, de- traendo ovviamente, in questo secondo caso, una determinata somma (c.d. aggio), calcolata in percentuale sul prezzo di co- pertina defiscalizzato, che rappresenta il suo guadagno. Le percentuali di guadagno (dette anche: “sconti”) sono indicate all’art. 8 dell’Accordo nazionale sulla vendita dei giornali quoti- diani e periodici.
mento a seconda della periodicità: quelle con pe- riodicità fino al mensile (e quindi tutti i quotidiani e gran parte delle pubblicazioni periodiche) vengo- no pagate dall’edicolante al momento della conse- gna, mentre quelle con periodicità superiore al mensile vengono pagate al momento della resa del- l’invenduto. Ciò significa che l’edicolante paga im- mediatamente - con conseguente anticipazione fi- nanziaria a suo esclusivo carico - l’assoluta maggio- ranza dei prodotti consegnatigli, ossia i quotidiani, i settimanali, i quindicinali ed i mensili e, solo nel momento in cui li rende (sempre a seconda della periodicità e quindi all’uscita del numero successi- vo) gli viene accreditato l’importo corrispondente alle copie rimaste invendute e restituite.
Viceversa, se si fosse trattato di contratto estimato- rio “tipico”, il pagamento da parte dell’edicolante- accipiens sarebbe dovuto avvenire sempre e soltanto al momento della restituzione del prodotto rimasto invenduto.
Altra rilevante differenza tra le due figure negoziali sta nel fatto che l’edicolante, a differenza dell’acci- piens nel contratto estimatorio, non può disporre liberamente dei giornali ricevuti, ma, per quanto sopra detto, ha l’obbligo di porli in vendita e di ga- rantire loro un adeguato spazio espositivo (20); ele- menti, questi, che, fondando una sorta di obbligo a carico dell’edicolante di attivarsi al fine della ven- dita del prodotto, parrebbero avvicinare la fattispe- cie in esame al c.d. mandato a vendere.
Tanto premesso, può allora concludersi che il rap- porto tra distributore e singolo edicolante costitui- sce un negozio atipico, con elementi propri di dif- ferenti tipologie contrattuali (dal contratto di mandato a vendere, al contratto di agenzia, fino a quello di somministrazione) e solo in minima parte assimilabile al contratto estimatorio, dal quale se ne differenzia per i determinanti profili che: a) il pagamento della merce da parte dell’edicolante non avviene al momento della restituzione (come sarebbe se si trattasse di contratto estimatorio), bensì al momento della consegna stessa, salvo le eccezioni appena viste; b) a carico dell’edicolante sussiste un vero e proprio obbligo di porre in ven- dita il prodotto.
L’inserimento, nei rapporti tra distributori e rivenditori, di clausole difformi da quanto previsto in sede di contrattazione collettiva: la clausola relativa alle spese di trasporto. Impostazione del problema
Ricostruita in questi termini l’operazione negoziale di distribuzione e posa in vendita della stampa quo- tidiana e periodica, va ora posto in evidenza che il settore in esame - caratterizzato, come visto, da una serie di “esclusive di zona” - costituisce terreno elettivo di possibili abusi contrattuali, essendovi un evidente squilibrio di forze tra le varie parti del- la filiera distributiva. Squilibrio che finisce, in ulti- ma analisi, con il ripercuotersi sul soggetto posto “a valle” della catena, ossia l’edicolante, il quale, come detto, per poter ricevere e porre in vendita i giornali, si trova a dover “interloquire” con un uni- co partner - ossia il distributore locale incaricato dagli editori o dai distributori nazionali di diffonde- re il prodotto all’interno del territorio di riferimen- to - dotato di un indiscusso potere di supremazia, derivante, se non altro, dalla situazione di mono- polio di fatto in cui opera.
Tale potere si manifesta, il più delle volte, nella predisposizione unilaterale del testo contrattuale da sottoporre all’edicolante, il quale si trova - nella totalità dei casi - nell’unica alternativa tra stipulare il contratto “preconfezionato” ed avviare il rappor- to di fornitura, oppure rifiutare la conclusione e ri- manere privo di giornali quotidiani e periodici. Tertium non datur. Ciò che è certo, e la realtà ap- plicativa lo dimostra in maniera inequivocabile, è l’assoluta impossibilità per l’edicolante di negoziare il testo contrattuale proposto (rectius: imposto) dal distributore “assegnatogli” e, dunque, di incidere sul contenuto di un regolamento predisposto in xxx xxxxxxxx xx xx xxxxx (x xxxxx) di ogni garanzia di equo bilanciamento tra interessi contrapposti.
Tale situazione di squilibrio porta ovviamente con sé il rischio di abusi contrattuali e, dunque, il peri- colo di trovarsi di fronte a testi negoziali formal- mente accettati dall’edicolante aderente, ma com- pletamente “sbilanciati” in favore del predisponen- te.
L’ipotesi di gran lunga più diffusa nella realtà dei traffici vede l’inserimento, in taluni dei contratti conclusi tra società di distribuzione e rivenditore, di un’apposita clausola che preveda l’obbligo, per quest’ultimo, di corrispondere al primo una somma aggiuntiva di compenso, variamente denominata e
(20) Sull’inesistenza, nel contratto estimatorio, di un obbli- gazione dell’accipiens di adoperarsi per la vendita delle cose - nel senso che il tradens “non può pretendere che il libro o l’a- bito o il gioiello siano esposti in vetrina anziché essere confina-
ti nel retro o in un magazzino o stabilire un confronto tra i pro- pri prodotti e quelli altrui” - si veda X. Xxxxxxx, Del contratto estimatorio. Della somministrazione, cit., 55.
motivata, a titolo di “spese di trasporto”, o “spese di gestione”, o “spese di lavorazione”, o ancora “spese di imballaggio” o con formule equipollenti. In sostanza, e a prescindere dal nomen juris utilizza- to, mediante tale pattuizione il distributore si assi- cura - accanto al compenso rappresentato da una percentuale sul prezzo dei prodotti venduti - un quid pluris, collegato a vario titolo al servizio di tra- sporto del prodotto editoriale.
Questa clausola, si badi bene, viene apposta in espressa deroga rispetto a quanto previsto all’art. 10, comma 5, n. 3, dell’Accordo nazionale, ove si legge testualmente che l’attività di distribuzione deve essere eseguita senza che il rivenditore sia te- nuto “a corrispondere al soggetto che svolge l’atti- vità di distribuzione alcun compenso, qualora non sussistano consuetudini determinate da oggettive difficoltà di accesso al punto vendita medesimo”. Nello spirito dell’accordo di categoria, dunque, il distributore locale è tenuto a provvedere al traspor- to dei prodotti ed al ritiro delle rese “franco punto vendita”, con organizzazione di servizi in xxx xxxx- xxxx, xxxxx che i rivenditori siano tenuti a corri- spondere alcun compenso aggiuntivo per tale servi- zio (21).
Viceversa, spesso i singoli contratti tra distributore locale ed edicolante richiamano espressamente l’Accordo nazionale per tutta la regolamentazione in esso contenuta, salvo poi, guarda caso, derogarvi con riferimento soltanto a questo peculiare aspet- to.
Tale deteriore trattamento, è bene evidenziarlo - lungi dall’essere giustificato da una disagiata loca- lizzazione del punto vendita - è spesso riservato o ai new comers del settore, oppure ai punti vendita economicamente meno vantaggiosi, ossia a quelli che presentano volumi di affari particolarmente modesti e che quindi, in un’ottica di profitto, ven- gono considerati dal distributore in qualche modo “antieconomici”.
La sopra descritta situazione, proprio per la sua am- pia diffusione nella realtà economica del nostro Paese, impone all’interprete la necessità, in un’otti- ca di giustizia dei rapporti contrattuali di mercato, di ricercare strumenti giuridici attraverso i quali riequilibrare le asimmetrie esistenti tra le parti ed espellere tale clausola dal testo negoziale.
L’abusività della condotta del distributore alla luce della ricostruzione del globale assetto di interessi delle parti
Preliminare a tale operazione è però l’indagine cir- ca la valutazione della condotta della società di di- stribuzione, al fine di verificare se sia ravvisabile, nell’inserimento di una clausola onerosa per il ri- venditore come quella descritta, una condotta con- traria ai precetti di buona fede e correttezza con- trattuale. E ciò a prescindere da eventuali profili relativi alla necessità di assicurare la parità di trat- tamento tra diversi punti vendita, di cui all’art. 5, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 170/2001 (22); princi- pio che sarebbe facilmente “aggirabile” attraverso un’imposizione generalizzata su tutto il territorio nazionale del pagamento dei costi di trasporto.
Per tentare di offrire un’ipotesi di discussione, oc- corre necessariamente operare una ricostruzione, anche dal punto di vista storico, della regolamen- tazione dell’attività di distribuzione della stampa quotidiana e periodica, al fine di coglierne la ratio e gli aspetti salienti.
Si è già detto che l’Accordo nazionale del 2005, al- l’art. 10, prevede che, salvo casi eccezionali, “la Ri- vendita non è tenuta a corrispondere al soggetto che svolge l’attività di distribuzione alcun compen- so”. Il precedente art. 8, rubricato “Remunerazione per l’attività di vendita”, prevede, per tutti i pro- dotti immessi per la prima volta nel circuito distri- butivo, una remunerazione per l’edicolante pari al 19% del prezzo defiscalizzato di vendita al pubblico del prodotto stesso (c.d. “sconto”) (23).
Dal combinato disposto di queste due norme, risul- ta che: a) il distributore è tenuto a consegnare le pubblicazioni presso il punto vendita senza richie- dere alcun costo aggiuntivo (c.d. “franco punto vendita”); b) l’edicolante, per ogni copia venduta, ha diritto di ricevere un importo pari al 19% del prezzo defiscalizzato di copertina.
Facendo un passo indietro, si consideri che, in ori- gine, con l’Accordo nazionale del 1985, le parti fir- matarie avevano previsto di riconoscere all’edico- lante, per la vendita delle pubblicazioni, una per- centuale pari al 20% (per i quotidiani, i settimana- li, i quindicinali e i mensili) e, al tempo, la predet- ta remunerazione era prevista “oltre che nelle piaz- ze di distribuzione e nelle aree di distribuzione che
(21) Principio ribadito di recente da Trib. Tempo Pausania, ord. 20 dicembre 2012, inedita.
(22) Al riguardo, giova segnalare che l’art. 5, D.Lgs. n. 170/2001 prevede espressamente l’obbligo delle parti di osser- vare assoluta parità di trattamento nella predisposizione ed ap- plicazione di tutte le “condizioni economiche” e le “modalità di cessione” delle pubblicazioni (art. 5, comma 1, lett. b); ob-
bligo la cui violazione è espressamente sanzionata con la com- minatoria di nullità della clausola in deroga (art. 5, comma 1, lett. d quinquies).
(23) Fanno eccezione a tale regola soltanto i c.d. “supple- menti autonomi”,i “ridistribuiti” ed i “ricopertinati”, per i quali è prevista una “scontistica” maggiore.
si costituiranno, a quei rivenditori che, pur eserci- tando la loro attività fuori piazza, si riforniscono si- stematicamente e direttamente presso il distributo- re esistente nella piazza di distribuzione” (art. 9 Accordo nazionale del 1985). La percentuale di guadagno del 20% trovava dunque giustificazione nella circostanza che gli edicolanti dovessero recar- si direttamente presso la sede del distributore a riti- rare i prodotti editoriali.
Dunque: - ritiro delle pubblicazioni presso la sede del distributore; - ma guadagno del 20% del prezzo defiscalizzato di copertina (in luogo del minore at- tuale 19%).
Con il successivo Accordo nazionale del 1994, le parti firmatarie addivenivano ad una diversa regola per la distribuzione dei prodotti editoriali e precisa- mente:
- ai sensi dell’art. 6, “Le Aziende Editoriali si impe- gnano (...) ad effettuare direttamente o tramite le imprese di distribuzione locale, il servizio di porta- tura e relativo ritiro resa delle pubblicazioni franco punto vendita, salvo situazioni particolari nelle quali le Organizzazioni Sindacali locali richiedano il mantenimento del servizio al banco”. Viene dun- que contrattualmente sancita la regola, opposta a quella in vigore in epoca precedente, secondo cui le pubblicazioni editoriali devono essere consegna- te direttamente presso i singoli punti vendita, “franco punto vendita”, ossia senza applicazione di costi aggiuntivi di trasporto, salvo casi eccezionali in cui le Organizzazioni sindacali di categoria do- vessero richiedere in loco il “mantenimento del servizio a banco” (ossia l’opposta regola del ritiro delle pubblicazioni, da parte dei singoli edicolanti, direttamente presso la sede dell’impresa di distribu- zione);
- ai sensi del successivo art. 9, la regolamentazione dei compensi riconosciuta ai rivenditori veniva di- sciplinata diversamente in base alla differente mo- dalità di distribuzione prevista: mentre nel caso di consegna delle pubblicazioni presso il singolo pun- to vendita (regola) lo sconto era previsto nella mi- sura del 19% (art. 9, comma 1); nel caso di ritiro “al banco” (ossia presso la sede del distributore. Ec- cezione), la misura percentuale riconosciuta era pa- ri al 20% (art. 9, comma 2).
Con il vigente Accordo nazionale del 19 maggio 2005, come detto, le parti hanno confermato la re- gola prevista nel precedente Accordo del 1994, e dunque: a) che la consegna deve avvenire presso il singolo punto vendita e senza costi aggiuntivi di trasporto (art. 10); b) di converso, che la remune- razione per il rivenditore è pari al 19% e non al 20% sul prezzo defiscalizzato di cessione al pubblico (art. 8).
È dunque di palmare evidenza che la diminuzione della percentuale di sconto dall’originario 20% (Accordo nazionale del 1985) all’attuale 19% (Ac- cordo nazionale oggi in vigore) - e, quindi, la ri- nuncia di ciascun edicolante all’1% di guadagno sul prezzo defiscalizzato di copertina di ciascun pro- dotto editoriale - è “controbilanciata” e trova di- retta “remunerazione”, sul piano del sinallagma contrattuale, nella previsione dell’obbligo, per i di- stributori, di consegnare il prodotto presso le edi- xxxx senza costi aggiuntivi di trasporto, ossia “fran- co punto vendita”.
Questa regola, confermata anche dall’Organo col- legiale istituito ai sensi dell’art. 17 dell’Accordo nazionale al fine di dirimere le controversie tra le parti (24), non pare possa essere sic et simpliciter di- sapplicata per il solo fatto che i distributori locali - a differenza delle altre parti della “catena” distribu- tiva - non sono più parti dell’Accordo nazionale, avendovi in passato receduto. Ed infatti, tale disci- plina pattizia, nell’ottica di un equo contempera- mento di interessi, se da un lato comprime ulte- riormente (rispetto alla disciplina legale) l’autono- mia imprenditoriale dell’edicolante, dall’altro, qua- le “contropartita”, gli riconosce il diritto di riceve- re le pubblicazioni senza dover corrispondere alcun compenso in favore del soggetto che svolge l’attivi- tà di distribuzione.
In altri termini, da un’analisi del globale assetto di interessi sotteso all’operazione negoziale complessa posta in essere, può ritenersi che gli obblighi assun- ti dai rivenditori di giornali - e precisamente quello di ricevere e porre in vendita tutti e solo i giornali fornitigli direttamente dall’editore o, per suo trami- te, dal distributore da questi scelto, evitando di ri- fornirsi “altrove” (25) - nonché l’accettazione della riduzione della percentuale di guadagno riconosciu-
(24) Ci si riferisce alle decisioni n. 8/2006 e n. 17/2008 a mezzo delle quali l’Organo di Conciliazione e Garanzia istituito ai sensi dell’art. 17 dell’Accordo nazionale ha condannato un distributore locale che aveva applicato costi di trasporto ad una rivendita, sottolineando testualmente che “è interdetto al distributore di gravare la Rivendita di tutti o parte dei costi di trasporto delle merci, le quali debbano pervenire alla rivendita al solo loro costo di acquisito”.
(25) Si veda in particolare l’art. 10, comma 4, n. 1 dell’Ac-
cordo nazionale sulla vendita dei giornali quotidiani e periodici, ai senso del quale l’edicolante “riceve e mette in vendita al dettaglio tutti i prodotti forniti esclusivamente dall’Azienda Edi- toriale o dalla Impresa di distribuzione locale incaricata dalla stessa con la tempestività, la continuità e l’impegno professio- nale adeguati per favorire lo sviluppo della loro diffusione, as- sicurando nella vendita parità di trattamento alle diverse testa- te”.
ta, trovano adeguata e diretta “remunerazione” an- che nella gratuità del servizio di distribuzione. Così che, venuto meno tale ultimo aspetto, con l’appli- cazione di costi di trasporto, si determina un’evi- dente alterazione dell’equilibrio sinallagmatico del- l’operazione voluta dalla parti in sede di contratta- zione collettiva.
In altri termini, cercando di tirare le fila del discor- so, può concludersi sul punto evidenziando che la gratuità del servizio di distribuzione è controbilan- ciata:
- dalla rinuncia, da parte dell’edicolante, all’1% di guadagno sul prezzo defiscalizzato dei prodotti, ri- dotto dal 20% al 19%;
- dall’accettazione, da parte dell’edicolante, di una serie di obblighi ulteriori a quelli derivanti ex lege, primo tra tutti quello di rifornirsi “esclusivamente” dall’editore o dal distributore da questi incaricato, ponendosi così in una situazione di strutturare su- balternità nei confronti della controparte.
Ed allora, appare sicuramente “in odore” di abusi- vità una condotta, quale quella posta in essere da alcuni distributori locali, consistente nell’inserire, nei singoli contratti stipulati con i rivenditori, una clausola di rinvio integrale al regolamento conte- nuto nell’Accordo nazionale, con richiamo espres- so a tutti gli aspetti relativi alla regolamentazione del rapporto di fornitura - e dunque, in primis, agli aspetti economici (con guadagno per l’edicolante ridotto dal 20% al 19% del prezzo defiscalizzato di copertina del prodotto) ed all’obbligo di esclusiva - salvo poi derogarvi unicamente con riferimento al- la parte relativa alla regolamentazione dei costi di trasporto, disconoscendo il diritto dell’edicolante di ricevere il prodotto “franco punto vendita”.
Abusività tanto più palese, se solo si considera che la Federazione Italiana Editori Giornali (F.I.E.G.) - cui aderiscono le aziende editrici di giornali quoti- diani e periodici, le agenzie nazionali di stampa, l’”Associazione stampatori italiana giornali”, la “Federazione delle concessionarie di pubblicità a mezzo stampa” e l’”Associazione distributori nazio- nali” - con comunicazione del 9 maggio 2013, rite- nendo “condivisibile l’affermazione circa la persi- stente vigenzae applicabilità dell’Accordo Nazio- nale ai rapporti tra imprese di distribuzione locale e rivendite”, ha con chiarezza affermato che resta “fermo il compito dei singoli operatori di applicare il disposto dell’Accordo nazionale, tanto più che
vincoli in tal senso sono generalmente presenti nei contratti sottoscritti tra rivenditori e distributori locali e tra distributori locali e distributori naziona- li/editori”, per poi concludere per l’illegittimità della richiesta di costi aggiuntivi ai singoli rivendi- tori, salvo che vi siano “consuetudini determinate da oggettive difficoltà di accesso al punto vendita” o che tali costi riguardino “servizi non specifica- mente previsti, nello stesso Accordo, come a carico del distributore”.
Alla ricerca di strumenti giuridici per operare un sindacato sull’abusività del comportamento. Il ruolo della buona fede contrattuale
La conclusione in termini di abusività e contrarietà a correttezza della clausola contenente l’obbligo del pagamento, in capo al rivenditore, dei costi di trasporto pone all’interprete l’ulteriore e succeda- neo problema circa l’individuazione, all’interno del nostro sistema di diritto civile, degli strumenti at- traverso i quali poter sindacare la clausola e deter- minare la sanzione da applicare.
Così procedendo, e tralasciando eventuali profili di illecito anticoncorrenziale (26), ci si deve chiedere, in prima battuta, se possa essere all’uopo utilmente richiamato il principio di buona fede e correttezza contrattuale.
Tale ipotesi si scontra però con l’impostazione tra- dizionale, secondo la quale la rilevanza dei principi di buona fede e correttezza contrattuale deve essere circoscritta alla fase dell’esecuzione del rapporto - oltre che a quella delle trattative precontrattuali e dell’interpretazione ed integrazione negoziale - e non a quella della sua stipulazione. Parte consi- stente della giurisprudenza, in particolare, sembra ancorata al principio secondo cui i canoni di cor- rettezza e buona fede introducono regulae iuris che attengono alla fase precedente alla stipula ed a quella esecutiva del contratto, ma non incidono sul contenuto dello stesso, nel senso che - fatta sal- va l’ipotesi in cui la violazione di detti doveri inte- gri anche una delle specifiche ipotesi previste in tema di annullabilità o nullità dei contratti - “i contraenti possono comporre i loro contrapposti interessi concordando del tutto liberamente il pre- detto contenuto negoziale, senza poi potere, pro- prio in ragione di tale libertà, invocare, a stipula- zione avvenuta, l’asserita contrarietà di una o più
(26) Ci si riferisce all’istituto del divieto di abuso di posizio- ne dominante di cui all’art. 3, L. n. 287/1990, che, per quel che in questa sede può interessare, vieta di “imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizio- ni contrattuali ingiustificatamente gravose” (art. 3, comma 1,
lett. a), nonché di “applicare nei rapporti commerciali con altri contraenti condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantag- gi nella concorrenza” (art. 3, comma 1, lett. c).
xxxxxxxx convenute ai doveri in questione (salvo che nei casi esplicitamente previsti dal legislato- re)” (27).
Trattasi di un principio risalente nella tradizione civilistica del nostro Paese (28) e di recente confer- mato dalla giurisprudenza di legittimità, che, ri- prendendo il proprio precedente orientamen- to (29), ha ribadito che la violazione dell’obbligo di buona fede e correttezza “sebbene possa esser fonte di responsabilità risarcitoria, non inficia però il contenuto del contratto con il quale le parti ab- biano composto i rispettivi interessi, nel senso che, ove non venga in rilievo una causa di nullità o di annullabilità del contratto medesimo specificamen- te stabilita dal legislatore, tali vizi invalidanti non sono invocabili a fronte della inadeguatezza delle clausole pattuite a garantire l’equilibrio delle pre- stazioni o le aspettative economiche di uno dei contraenti” (30).
La clausola di buona fede, in altri termini, secon- do questa impostazione, non potrebbe costituire uno strumento attraverso cui operare un riequili- brio ab esterno del regolamento negoziale, ciò al- meno fin quando si intenderà mantenere fermo il principio di non interferenza tra regole di validità e regole di comportamento, alla stregua del quale, come noto, la violazione delle regole di comporta- mento, tanto nella fase prenegoziale quanto in quella attuativa del rapporto, determina responsa- bilità e può essere fonte di risoluzione del rappor-
to - ove si traduca in una forma di non corretto adempimento del generale dovere di buona fede e protezione e degli specifici obblighi di prestazione gravanti sul contraente - ma giammai incide sulla genesi dell’atto negoziale, quanto meno nel senso che non è idoneaa provocarne la radicale nullità, salvo ovviamente il caso in cui sia diversamente previsto da una specifica norma di legge. Non è possibile, in altri termini, considerare nullo un contratto o una sua specifica pattuizione in ragio- ne della semplice violazione di divieti o obblighi legali, come quello in oggetto, che riguardano la condotta delle parti in fase precontrattuale o ese- cutiva. E questo ancorché l’obbligo di buona fede e correttezza abbia indiscutibilmente carattere im- perativo (31).
(Segue) buona fede e controllo sulla formazione del contratto: prospettive per una ricostruzione alternativa
Pur potendo, in questa sede, soltanto lambire la questione, può dirsi che, avverso l’impostazione sopra esposta è possibile ragionare diversamente, riflettendo sulla circostanza che i principi di buo- na fede e correttezza, in virtù della loro oramai avvenuta “costituzionalizzazione” in rapporto al- l’inderogabile dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., costituiscono un canone oggettivo ed una clausola generale valevoli non solo in fase di esecuzione, interpretazione ed integrazione del
(27) Cfr., ex plurimis, Cass. 30 dicembre 1997, n. 13131, in Giur. it., 1998, I, 1, 1644 ss.; Cass. 19 gennaio 1995, n. 558, in Giur. it., 1996, I, 1, 671 ss.
(28) Nella dottrina tradizionale, è principio generalmente diffuso quello della non interferenza delle regole di comporta- mento con quelle di validità. Per citare i contributi più autore- voli, si possono ricordare, a titolo esemplificativo: X. Xxxxxxxx- na, Intervento statale e autonomia privata nella disciplina dei rapporti economici, Milano, 1969, 234 ss.; Id., Profili della teoria dell’errore nel negozio giuridico, Milano, 1962, 209 ss.; L. Ca- riota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Na- poli, 1961, 28 ss.; X. Xxxxxxx, Il valore attuale della massima “fraus omnia corrumpit”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1949, 797 ss.; X. Xxxxxxx, Autonomia privata e Costituzione, in Banca, borsa, tit. cred., 1997, 9 ss.; X. Xxxxxxxxx, Il dovere generale di buona fede, Padova, 1969, 51 ss.; Id., L’errore nella dottrina del negozio giuridico, Padova, 1963, 104 ss. Da ultimo si veda X. Xxxxxxxx, Regole di condotta e regole di validità nell’attività d’intermediazione finanziaria: quale tutela per gli investitori delu- si?, in Corr. giur., 2008, 107 ss.
(29) A partire quantomeno da Xxxx. 18 ottobre 1980, n. 6610, in Arch. civ., 1981, 133, secondo cui “La disposizione dell’art. 1337 c.c. - che impone alle parti l’obbligo di compor- tarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto - è (al pari di quelle degli art. 1175 e 1375 c.c.) norma meramente precettiva o imperativa positiva, dettata a tutela ed a limitazione degli interessi privati- stici nella formazione ed esecuzione dei contratti, e non può, perciò, essere inclusa tra le norme imperative, aventi invece contenuto proibitivo, considerate dal comma 1 dell’art. 1418
c.c., la cui violazione determina la nullità del contratto anche quando tale sanzione non sia espressamente comminata”. Molte le pronunce di legittimità che hanno riaffermato il princi- pio della autonomia funzionale tra regole di validità e regole di comportamento. Tra queste, oltre a quelle citate supra, a titolo esemplificativo si vedano: Xxxx. 3 giugno 2010, n. 13477, in Guida dir., 2010, 33-34, 66; Cass. 27 novembre 2009, n.
25047, in Mass. Giust. civ., 2009, 1635-1636; Cass., SS.UU.,
19 dicembre 2007, n. 26724, in Foro it., 2008, I, 784 ss., con nota di X. Xxxxxxxx, La violazione delle regole di comportamento dell’intermediario finanziario; Xxxx. 29 settembre 2005, n. 19024, ivi, 2006, I, 1105 ss., con nota di X. Xxxxxxxx, Regole di comportamento e regole di validità: i nuovi sviluppi della respon- sabilità precontrattuale; Cass. 15 marzo 1999, n. 2284, ivi, 1999, I, 1165 ss., pronunciatasi in materia di conseguenze del comportamento scorretto di un istituto di credito che aveva in- dotto il fideiussore a ritenere estinto il contratto pur in assenza di un formale atto di recesso (questa la massima: “In tema di fideiussione prestata a garanzia di un’apertura di credito in conto corrente, la violazione da parte della banca del dovere di correttezza e buona fede, per avere fornito informazioni inesat- te, può dar luogo a responsabilità contrattuale della stessa e all’obbligo di risarcire il danno, ma non può determinare l’inef- ficacia del contratto”).
(30) Cfr., Cass. 27 novembre 2009, n. 25047, cit.
(31) Se questa dunque è la regola generale, nulla toglie, si ripete, che il legislatore possa isolare specifiche fattispecie comportamentali ed elevare la relativa proibizione al rango di norma di validità dell’atto.
contratto, ma anche in fase di formazione del vincolo, potendo essere intesi quali strumenti di limitazione all’esercizio dell’autonomia negoziale e di controllo della ragionevolezza e dell’equili- brio del contenuto negoziale. Il principio di buo- na fede e correttezza, in quest’ottica, costituireb- be un efficace strumento, nelle “mani” del giudi- ce, atto a sindacare la ragionevolezza dello “statu- to contrattuale” in tutte le sue fasi, prima tra le quali quella della determinazione del contenuto del vincolo.
Tale nuova lettura, ponendo l’accento sulla valuta- zione “secondo buona fede” del regolamento nego- ziale, comporta che la violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede, ove si risolva nel- l’imposizione, da parte del predisponente, di un contenuto visibilmente squilibrato a danno della controparte - come tale in contrasto con il dovere costituzionale di solidarietà sociale di cui la buona fede costituisce espressione - potrebbe determinare la nullità del contratto o delle singole clausole le quali, in un’ottica di balancing test, siano immerite- voli di tutela, in quanto ingiustificatamente gravo- se.
Questa impostazione trova riscontro - oltre che in recenti interventi legislativi posti a protezione del contraente debole (32) ed in autorevole recente
dottrina (33) - nella più moderna giurisprudenza di legittimità, che ha ad esempio ritenuto la necessità di valutare, sotto il profilo della meritevolezza degli interessi tutelati, la validità di una clausola - con- tenuta in un contratto di mutuo di scopo collegato ad un contratto di vendita avente ad oggetto l’ac- quisto di un bene da parte del mutuatario - la quale preveda l’obbligo del mutuatario di effettuare i sin- goli pagamenti a favore del mutuante nei modi e nei termini convenuti (anche nel caso di inadem- pimento di qualsiasi genere da parte del venditore, ivi compresa la mancata consegna del bene richie- sto), alla luce del principio di buona fede, la cui violazione determina la invalidità della pattuizio- ne (34).
E, prima ancora di tale importante arresto, posso-
no segnalarsi una serie di pronunce che, a vario titolo, hanno sostanzialmente fondato l’invalidi- tà dell’atto o di una sua singola clausola sulla norma che impone alle parti di agire secondo buona fede e correttezza: così è avvenuto, per esemplificare, in materia di leasing (35), di deli- bere assembleari di società di capitali (36), di contratti “per la conduzione e l’esercizio delle concessioni delle sorgenti di acqua minerale” e “per la locazione degli stabilimenti termali” (37),
(32) Si pensi, ad esempio, alle normative in tema di usura, di clausole vessatorie nei contratti del consumatore, di abuso di dipendenza economica nel rapporto di subfornitura, di tran- sazioni commerciali, di violazione degli obblighi informativi nei contratti di prestazione a distanza nei servizi finanziari e così via.
(33) Si veda X. Xxxxxxxxxx, La clausola claims made tra abu- so del diritto ed immeritevolezza, in Danno e resp., 2013, 712- 713. Prima ancora, per autorevoli utili spunti, si rinvia a F. Xxx- xxxx, Squilibrio contrattuale e mala fede del contraente forte, in Contr. e impr., 1997, 424; X. Xxxxx, Il contratto, Torino, 2004, 242 ss.; X. Xxxxxxx, Anomalie e tutele nei rapporti di distribuzio- ne fra imprese. Diritto dei contratti e regole di concorrenza, Mi- lano, 1983, 83 ss. Accanto a tali illustri studiosi sia consentito il rinvio, per un’applicazione del principio in tema di fideiussio- ne omnibus, a A. di Biase, La fideiussione omnibus a ventu- n’anni dalla legge sulla trasparenza bancaria: alla ricerca dei “li- miti” all’impegno del garante, in Nuove leggi civ., 2014, 183 ss.
(34) Cfr., Cass. 19 luglio 2012, n. 12454, in Arch. giur. circ. e sin. strad., 2012, 1093 ss., ove si puntualizza altresì che “la meritorietà della tutela, nella interpretazione della Corte di Cas- sazione, si è evoluta fino ad acquisire un ruolo determinante come ratio decidendi della controversia; nel senso che non può essere accordata protezione ad una pretesa priva di meri- torietà”; Xxxx. 11 febbraio 2011, in Mass. Giust. civ., 2011,
228. Al riguardo, si segnala anche Xxxx. 16 maggio 2013, n. 11979, in DVD Xxxxxxx “Juris Data”, che, pur non affrontando funditus il problema delle conseguenze della violazione dell’ob- bligo di buona fede e correttezza, ritiene che “sussiste sicura- mente nullità della garanzia fideiussoria, in caso di scorrettezza e mala fede della banca” nella gestione del rapporto.
(35) Cfr., Cass. 2 novembre 1998, n. 10926, in Foro it., 1998, I, 3081 ss., secondo cui le clausole che facultizzino il concedente a pagare il fornitore prima che questi abbia conse- gnato il bene sono nulle, e tale nullità deriva “dal contrasto in
cui le stesse si pongono rispetto all’obbligo del concedente di eseguire in buona fede il contratto (art. 1375 cod. civ.) e quindi di salvaguardare l’interesse dell’utilizzatore”.
(36) Cfr., Cass. 26 ottobre 1995, n. 1151, in Nuova giur. civ. comm., 1997, I, 449 ss., che - dopo aver precisato che la nor- ma di cui all’art. 1375 c.c. si applica anche ai contratti plurila- terali - ha statuito che la delibera assembleare, adottata a pro- prio esclusivo vantaggio dai soci di maggioranza di una socie- tà di capitali in danno di quelli di minoranza (nella specie, si as- sumeva che la delibera di scioglimento anticipato della società fosse stata adottata al solo scopo di estromettere un socio), è illegittima ed impugnabile a norma dell’art. 2377 c.c., essendo applicabile in materia l’art. 1375 c.c., in base al quale il con- tratto deve essere eseguito secondo buona fede, atteso che le determinazioni dei soci durante lo svolgimento del rapporto associativo debbono essere considerate, a tutti gli effetti, co- me veri e propri atti di esecuzione, perché preordinati alla mi- gliore attuazione del contratto sociale.
(37) Cfr., Cass. 20 aprile 1994, n. 3775, in Foro it., 1995, I, 1296 ss., con nota di C.M. Barone, che ha ritenuto contraria a buona fede la clausola, inserita in tali contratti conclusi dal co- mune di Fiuggi con un privato, che, attribuendo “la piena liber- tà” di determinare il prezzo in fabbrica delle bottiglie, consenti- va al medesimo privato di bloccare tale prezzo nonostante la svalutazione monetaria, impedendo allo stesso comune di conseguire anche l’adeguamento del canone correlato al ripe- tuto prezzo. Interessante, al riguardo, è il passaggio in motiva- zione in cui si legge testualmente che: “ammesso che la legge pattizia attribuisse davvero all’Ente Fiuggi ‘piena libertà’ nel determinare il prezzo in fabbrica delle bottiglie, essa non po- trebbe, comunque, ritenersi svincolata dall’osservanza del do- vere di correttezza (art. 1175 c.c.), che si porge nel sistema co- me limite interno di ogni situazione giuridica soggettiva, attiva o passiva, contrattualmente attribuita, concorrendo, quindi, al- la relativa conformazione in senso ampliativo o restrittivo ri-
di contratti di compravendita di valori mobilia- ri (38), e così via.
Ed allora:
- seè vero che l’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce un autonomo dovere giuridi- co, espressione di un generale principio di solida- rietà sociale, la cui costituzionalizzazione ex art. 2 Cost. è ormai pacifica (39);
- se è vero che il principio della buona fede ogget- tiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve accompagnare il contratto nel suo svolgimento, dalla formazione all’esecuzione, ed, essendo espres- sione del dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 Cost., impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di agire nell’ottica di un bilanciamen- to degli interessi vicendevoli, a prescindere dall’e- sistenza di specifici obblighi contrattuali o di nor- me specifiche (40);
- seè vero che la buona fede serve a mantenere il rapporto giuridico nei binari dell’equilibrio e della proporzione (41);
- se è vero che il criterio della buona fede costitui- sce uno strumento, per il giudice, finalizzato al controllo - anche in senso modificativo o integrati- vo - dello statuto negoziale in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi (42);
- se lo stesso Giudice delle leggi, nei suoi più re- centi arresti, ha statuito chiaramente circa la possi- bilità di una rilevabilità d’ufficio della nullità di una clausola per contrasto con il precetto di cui al- l’art. 2 Cost., norma che “entra direttamente nel contratto, in combinato contesto con il canone della buona fede, cui attribuisce vis normativa, fun- zionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tute- la anche dell’interesse del partner negoziale nella misura in cui non collida con l’interesse proprio dell’obbligato” (43);
- allora forse non vi è motivo per continuare a li- mitare la vis expansiva del principio in esame, im- pedendo che lo stesso possa costituire utile criterio generale per sindacare la validità di pattuizioni contrattuali intervenute tra soggetti posti in una posizione di rilevante e palese squilibrio di forze tra di loro.
Concludendo sul punto, è allora un dato non facil- mente contestabile quello che nel nostro ordina- mento, anche in seguito all’impatto determinato dalla normativa di derivazione comunitaria, la di- stinzione tra norme di comportamento e norme di validità, mantenuta a lungo come ferma e graniti- ca, sia andata progressivamente “scolorando” per lasciare il passo ad un fenomeno di “trascinamen- to” del principio di buona fede sul terreno del giu- dizio di validità del contratto, dal momento che la buona fede, concorrendo insieme alla volontà pri- vata a determinare ed integrare il regolamento ne- goziale, finisce in definitiva con l’incidere sulla struttura dell’atto stesso. La clausola generale di buona fede, così intesa, non sarebbe solo fonte di integrazione di un contratto incompleto, ma opere- rebbe anche in funzione “correttiva” o “demolito- ria”, nel senso di fungere da vero e proprio limite all’autonomia privata, in grado non solo di adegua- re il contenuto negoziale all’interesse delle parti ed anche ad esigenze di carattere generale, ma persino di condizionane la validità (44).
Ragionando in questi termini, dunque, se non può essere accordata dall’ordinamento tutela ad una pretesa priva di meritorietà, potrebbe ipotizzarsi una declaratoria di originaria e radicale nullità del- la clausola, inserita in un contratto tra distributore e rivenditore, contenente l’obbligo per quest’ulti- mo di pagare, in tutto o in parte, i costi di traspor- to.
spetto alla fisionomia apparente, per modo che l’ossequio alla legalità formale non si traduca in sacrificio della giustizia so- stanziale e non risulti, quindi, disatteso quel dovere (inderoga- bile) di solidarietà, ormai costituzionalizzato (art. 2 Cost.), che, applicato ai contratti, ne determina integrativamente il conte- nuto agli effetti (art. 1374 c.c.) e deve, ad un tempo, orientare l’interpretazione (art. 1366 c.c.) e l’esecuzione (art. 1375), nel rispetto del noto principio secondo cui ciascuno dei contraenti è tenuto a salvaguardare l’interesse dell’altro, se ciò non com- porti un apprezzabile sacrificio dell’interesse proprio”.
(38) Interessanti al riguardo sono Trib. Avezzano 23 giugno 2005 e Trib. Palermo 16 marzo 2005, entrambe in Foro it., 2005, I, 2536 ss., con nota di X. Xxxxxxxx, Prestiti obbligazionari, “default” e tutela “successiva” degli investitori: la mappa dei pri- mi verdetti, che hanno fatto derivare dalla violazione degli ob- blighi di informazione la nullità del contratto.
(39) Cfr., ex plurimis, Cass. 15 febbraio 2007, n. 3462, in Il civilista, 2011, 6, 41 ss.
(40) Cfr., ex plurimis, Cass. 18 settembre 2009, n. 20106, in
Mass. Giust. civ., 2009, 1331.
(41) Si veda ancora Xxxx. 18 settembre 2009, n. 20106, cit.
(42) Così si esprime Cass., SS.UU., 15 novembre 2007, n.
23726, in Giust. civ., 2008, I, 2807 ss., con nota di X. Xxxx, La tormentata vicenda del frazionamento della tutela giudiziaria del credito.
(43) Cfr., ex plurimis: Xxxxx xxxx., xxx. 0 aprile 2014, n. 77, in Foro it., 2014, I, 2035 ss., con note di X. Xxxxxxxx, Il diritto dei contratti tra costruzione giuridica e interpretazione adeguatrice,
X. Xxxxxxxxx, Un nuovo super-potere giudiziario: la buona fede adeguatrice e demolitoria e X. Xxxxx, Quale sorte per la caparra confirmatoria manifestamente eccessiva? ed ivi richiami di giuri- sprudenza. Similmente: Corte Cost., ord. 24 ottobre 2013, n. 248, in Foro it., 2014, I, 382 ss., con nota di F.P. Xxxxx.
(44) In quest’ottica, allora, la tradizionale dicotomia tra re- gole di validità e regole di comportamento andrebbe quanto- meno riletta e reinterpretata alla luce del mutato (anche se non univoco) quadro normativo e pretorio di riferimento. Che tale compenetrazione di regole assurga a principio generale nel sistema civilistico italiano, però, è un dato tutto da dimo- strare e, per la verità, ancora negato dall’impostazione preva- lente, che, come detto, continua a postulare l’esistenza di un principio di non interferenza, da cui ricavare l’autonomia degli effetti di ciascun ordine di regole.
Un’opzione alternativa: l’applicabilità della normativa in tema di divieto
di abuso di dipendenza economica
A prescindere dalla tematica circa il “ruolo”, in una moderna economia di scambi, da riconoscere ai generali principi di buona fede e correttezza con- trattuale (45), la nullità radicale della clausola in esame potrebbe essere comminata anche alla luce della normativa in tema di divieto di abuso di di- pendenza economica nei rapporti tra imprese di cui all’art. 9, L. n. 192/1998. È circostanza nota quella secondo cui tale disciplina - che, dopo aver sancito il generale divieto di “abuso di dipendenza economica” da parte di un‘impresa nei confronti di un‘altra, sanziona con la nullità il patto attraverso cui si realizza tale abuso - per la prima volta riferi- sce la situazione di “debolezza contrattuale” ad un soggetto diverso dal “consumatore”, e cioè all’im- prenditore. Il legislatore, in altri termini, prende
atto che situazioni di squilibrio contrattuale posso- no verificarsi pure al di fuori dell’ambito consumie- ristico e, dunque, anche nei rapporti contrattuali tra le imprese.
Ebbene, a ben vedere, coerentemente con tali pre- messe, nella fattispecie in esame paiono integrati tutti gli elementi previsti dalla disposizione da ulti- mo citata.
In primo luogo, sussistono i requisiti di applica- zione soggettiva della normativa, potendo oggi ragionevolmente dare per acquisito, in uno con la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, che la disposizione in parola configuri una fattispecie di carattere generale, che può ben prescindere dall’esistenza di un rap- porto di subfornitura, come individuato dall’art. 1 della legge citata (46). Il divieto di abuso di di- pendenza economica, dunque - in quanto espres- sione dei principi generali di divieto di abuso del
(45) In generale, circa il problema relativo ai poteri ricono- sciuti al giudice nella determinazione della “proporzionalità in termini economici del contratto”, nonché sui limiti e sui para- metri sui quali si fonda questo potere, si rinvia, ex plurimis, a
X. Xxxxxxxxxx, Considerazioni sui poteri officiosi del giudice nella riconduzione ad equità dei termini economici del contratto, in Contr. e impr., 2006, 215 ss.
(46) Il riferimento è a Cass., SS.UU., ord. 25 novembre 2011, n. 24906, in Foro it., 2012, I, 805 ss., con nota di A.L. Oliva. In precedenza, si erano espressi in senso analogo, tra le altre: Trib. Torino 11 marzo 2010, in Giur. comm., 2011, II, 1471 ss.; Trib. Roma 30 novembre 2009, in Foro it., 2011, I, 256 ss.; Trib. Roma 5 febbraio 2008, in Giur. mer., 2008, 2249 ss.; Trib. Trieste, ord. 21 settembre 2006, in Foro it., 2006, I, 3513 ss., con nota di X. Xxxxxxxxx - X. Xxxxxxxx, e in questa Ri- vista, 2007, 112 ss., con nota di X. Xxxxxxxxxxx; Trib. Isernia, sent. 12 aprile 2006, in Giur. mer., 2006, 2153 ss., con nota di
X. Xxxxx Xxxxxxxx, Il divieto di abuso di dipendenza economica nel franchising, fra principio di buona fede e tutela del mercato; Trib. Bari, ord. 22 ottobre 2004, in Foro it., 2005, I, 1604 ss.; Trib. Catania, ord. 5 gennaio 2004, ivi, 2004, I, 262 ss., con no- ta di X. Xxxxxxxxx. Trib. Bari, ord. 6 maggio 2002, in Corr. giur., 2002, 1036 ss., con nota di X. Xxxxxxxxx, Rifiuto di contrarre, interruzione arbitraria delle relazioni commerciali e abuso di di- pendenza economica; ed in Danno e resp., 2002, 765, con nota di X. Xxxxxxx, Non solo moda (ma anche “rewriting” contrat- tuale): commento alla prima decisione in materia di abuso di di- pendenza economica. Tale decisione è stata annotata anche da
X. Xxxxxxxx, Rifiuto (tardivo) di fornitura, vessazione del propo- nente ed eliminazione delle alternative: un caso limite di dipen- denza economica, e da C. Osti, Primo affondo dell’abuso di di- pendenza economica, entrambi su Foro it., 2002, I, 2178 ss. Così anche la dottrina maggioritaria. Cfr., tra molti: X. Xxxxx - X. Xxxxxxxx, La disciplina della subfornitura nelle attività produttive, Milano, 2003, 182 ss.; R. Caso - X. Xxxxxxxxx, La nuova discipli- na del contratto di subfornitura (industriale): scampolo di fine millennio o prodromo di tempi migliori?, in Riv. dir. priv., 1998, 733; X. Xxxxxxxxx, L’abuso di dipendenza economica tra disci- plina della concorrenza e diritto dei contratti, Torino, 2004, 50 ss.; A. di Biase, La “vocazione allargata” del divieto di abuso di dipendenza economica nei rapporti tra imprese: limiti e presup- posti applicativi, in Riv. dir. impr., 2007, 543 ss. X. Xxxxxx, L’a- buso di dipendenza economica, Milano, 2006, 91 ss.; V. Fran- ceschelli, Un nuovo contratto commerciale: la subfornitura, in Dir. prat. soc., I, 30 novembre 1998, 15 ss.; X. Xxxxxxx, Xxxxx-
le di diritto privato, Napoli, 2001, 1178; X. Xxxxxxxx, Il contratto di subfornitura industriale. I contenuti, le fonti, le formule, Roma, 1998, 92 ss.; X. Xxxxxxx, Subfornitura, in Dig. it., XV, Torino, 1998, 241 ss.; X. Xxxxxxx, Abuso di dipendenza economica, in AA.VV., La subfornitura, Milano, 1998, 78; X. Xxxxxxx, Note in tema di subfornitura nelle attività produttive, in Nuova giur. civ. comm., 2000, II, 115; X. Xxxxxxxxx di Xxxxx, sub art. 9. La sub- fornitura. Commento alla legge 18 giugno 1998, n. 192, a cura di X. Xxxx - X. Xxxxxxxx, Milano, 1999, 244 ss.; X. Xxxxxxxx, Sub- fornitura e attività produttive, Milano, 1999, 122 ss.; X. Xxxxxxxx, Abuso di dipendenza economica: battuta d’arresto o pausa di ri- flessione?, in Xxxxx e resp., 2004, 430 ss.; X. Xxxxx - X. Xxxxxxx, I rapporti di subfornitura, Milano, 1999; X. Xxxxx, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asim- metria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo para- digma, in Riv. dir. priv., 2001, 777 ss.; X. Xxxxxxxx, Attività d’impresa e dipendenza economica, Salerno, 2000, 21. Contra si vedano, in giurisprudenza: Trib. Roma 17 marzo 2010, 19 feb- braio 2010, 24 settembre 2009 e 5 maggio 2009, tutte in Foro
it., 2011, I, 255 ss.; Trib. Bari, ord. 17 gennaio 2005, in questa Rivista, 2005, 893 ss., con nota di L. C. Natali; Trib. Taranto, ord. 22 dicembre 2003, in Foro it., 2004, I, 262 ss., con nota di
X. Xxxxxxxxx; Trib. Roma, ord. 16 agosto 2002; Trib. Bari, ord. 2 luglio 2002, entrambe in Foro it., 2002, I, 3207 ss., con nota di X. Xxxxxxxx, Aduso di dipendenza economica: dal “caso limi- te” alla (drastica) limitazione dei casi di applicazione del divieto?; Trib. Torino, ord. 19 novembre 2002; Trib. Taranto, ord. 28 set- tembre 1999 e 13 dicembre 1999, id., 2000, 624 ss., con note di X. Xxxxxxxx, La minorità tecnologica quale presupposto essen- ziale per l’applicazione degli strumenti di protezione previsti dalla legge sulla subfornitura; e di M. Granatieri, Qualche ulteriore considerazione sulla dipendenza progettual-tecnologica del sub- fornitore (industriale). Sull’ambito di applicazione della L. n. 192/1998 si vedano anche Trib. Bologna 14 aprile 2006, in Obbl. e contr., 2006, 748 ss.; Trib. Udine, ord. 27 aprile 2001, in Foro it., 2001, I, 2677, con nota di X. Xxxxxxxx. In dottrina, tra gli altri: X. Xxxxxxxx, La subfornitura internazionale. Profili di diritto della concorrenza, in Dir. comm. int., 2000, 683 ss.; X. Xxxxx, La subfornitura, Bologna, 2003, 466 ss.; L.C. Xxxxxx, Nota a Trib. Bari, ord. 17 gennaio 2005, in questa Rivista, 2005, 900; X. Xxxxxxx - X. Xxxxxxx, L’abuso di dipendenza economica, in
P. Sposato - X. Xxxxxx, La disciplina del contratto di subfornitu- ra nella legge n. 192 del 1998, Torino, 1999, 121; X. Xxxxx - X. Xxxxx, La subfornitura in Italia: sette anni di applicazione della legge 18 giugno 1998, n. 192, in Riv. dir. priv., 2006, 112.
diritto (47), di correttezza, giustizia ed equità nei rapporti contrattuali (48) e, più in generale, di solidarietà sociale ex artt. 2 e 41 Cost. (49) - può oggi ritenersi avente portata generale e quindi ap- plicabile, per identità di ratio, ad ogni rapporto contrattuale tra imprenditori connotato, in via diretta o indiretta, da logiche di decentramento produttivo o distributivo e da uno squilibrio tra un soggetto “forte” e uno “debole”.
La disciplina legislativa in oggetto può dunque pa- cificamente trovare accesso nei rapporti in esame, in cui si realizza una tipica situazione di coordina- mento tra imprese, di diversa forza e dimensioni, per la realizzazione di un unico processo economi- co, consistente nella distribuzione e nella messa in vendita al dettaglio di giornali quotidiani e perio- dici, così da dar luogo ad una integrazione verticale di attività poste in essere da soggetti formalmente autonomi tra di loro ed operanti in diversi livelli dello stesso “segmento” di mercato.
Sgombrato il campo da questa questione prelimina- re, occorre ora chiedersi se, nella situazione descrit-
ta, siano ravvisabili tutti gli altri presupposti per l’applicazione della norma. La risposta, invero, ad un attento esame della fattispecie, dovrebbe essere positiva.
Appare evidente, in primo luogo, l’esistenza di una “strutturale” situazione di dipendenza econo- mica del rivenditore nei confronti del distributo- re, il quale, come più volte evidenziato, opera in un regime di monopolio di fatto, costituendo il partner commerciale unico e “necessitato” per la fornitura dei giornali quotidiani e periodici di pro- prietà degli editori “affidatari”. In tal modo l’edi- colante, per poter porre in vendita quei giornali, non ha altra via che rivolgersi al “suo” distributo- re incaricato, che è l’unico che svolge il servizio nell’area geografica di riferimento: sussiste dun- que, a carico dell’edicolante, una reale impossibi- lità di fatto di “reperire sul mercato alternative soddisfacenti”, elemento che di per sé costituisce, per espressa dizione legislativa, utile “spia” pre- suntiva per accertare una situazione di dipendenza economica (50).
(47) Sui rapporti tra il divieto di dipendenza economica e il divieto di abuso del diritto, si vedano, tra gli altri, X. Xxxxx Pri- scoli, Il divieto di abuso di dipendenza economica nel franchi- sing, fra principio di buona fede e tutela del mercato, in Giur. mer., 2153 ss.; X. Xxxxx, La subfornitura nelle attività produttive, in Corr. giur., 1998, 887; X. Xxxxxxxx, Buona fede ed equità tra le fonti di integrazione del contratto, in Contr. e impr., 1999, 88;
X. Xxxxx, La buona fede contrattuale, in I grandi orientamenti di giurisprudenza civile e commerciale diretta da X. Xxxxxxx, Pa- dova, 1988, 599 ss. Per una diversa impostazione si veda X. Xxxxxxx, Diritto civile e commerciale, II, Le obbligazioni e i con- tratti, 1, Padova, 1997, 495 ss. Quanto al problema relativo alla configurabilità di un “abuso di libertà” nell’esercizio dell’auto- nomia privata si vedano X. X’Xxxxx, Libertà di scelta del tipo contrattuale e frode alla legge, Milano, 1992, 96 ss.; P. Resci- gno, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, I, 234; S. Roma- no, Abuso del diritto, in Enc. dir., I, Milano, 1958, 167 ss.
(48) Per un approfondimento sul punto si vedano, ex pluri- mis, X. Xxxxx, in X. Xxxxx - G. De Nova, Il contratto, II, Torino, 3 ss.; X. Xxxxx, La giustizia contrattuale tra autonomia e merca- to, Napoli, 2004, 125 ss.
(49) Per ampi riferimenti si vedano X. Xxxx, Libertà contrat- tuale e tutela costituzionale, in Riv. crit. dir. priv., 1995, 33 ss., che evidenzia l’esigenza di sottoporre la libertà negoziale a ri- gidi controlli volti ad impedire che un incondizionato esercizio dell’autonomia privata possa pregiudicare l’utilità sociale e le libertà altrui. Quanto alla necessità che l’iniziativa economica sia improntata a principi di moralità e di correttezza, si veda X. Xxxxxxxxx, Etica dell’imprenditore e abuso del diritto: a propo- sito dell’attualità di un libro di sessant’anni fa, in Jus, 1998, 9 ss.; X. Xxxx, Diritto dell’impresa e morale sociale, in Riv. dir. civ., 1992, I, 24, il quale rileva che l’equilibrio e la giustizia dei termini dello scambio negoziale nei rapporti tra imprese in- fluenzati da situazioni di dipendenza “interessano sommaria- mente l’intera collettività”. Sulla generale esigenza che il mer- cato sia retto in funzione della realizzazione dei valori persona- listici e solidaristici posti a base dell’ordinamento giuridico co- stituzionale, cfr. X. Xxxxxx, Riflessioni di un giurista sul rapporto tra mercato e solidarietà, in Rass. dir. civ., 1995, 24 ss.; P. Per- lingieri, Mercato, solidarietà e diritti umani, ivi, 1995, 84 ss. Sul- la nuova lettura del concetto di “utilità sociale” ex art. 41
Cost., intesa oggi quale funzione di protezione della stessa autonomia privata da possibili abusi derivanti da una disparità di potere contrattuale, cfr., in particolare, X. Xxxxxxxx, La disci- plina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in X. Xxxxxx (a cura di), Trattato di diritto privato europeo, III, L’attività e il contratto, Padova, 2003, 60 ss.; X. Xxxxxxx, Autonomia privata e costituzione, in Banca, borsa, tit. cred., 1997, I, 1 ss.
(50) Sul punto la giurisprudenza ha precisato che il criterio della mancanza di alternative soddisfacenti “rinvia al mercato nel quale l’impresa opera ed alla situazione contingente nella quale essa viene a trovarsi, in conseguenza dell’abuso subito, al fine di verificare la reale possibilità di far fronte all’imprevisto mediante il ricorso ad altro interlocutore commerciale: deve trattarsi non di una mera possibilità, astratta e ipotetica, ma di opportunità che in concreto il mercato offre per il raggiungi- mento di un risultato comunque utile per l’impresa (il termine ‘soddisfacente’ - sinonimo di esauriente - va riferito alla realiz- zazione dell’interesse dell’imprenditore, vanificato dall’abuso)”. Così Trib. Bari, ord. 6 maggio 2002, cit. Per valutare se sussi- sta dipendenza economica, pertanto, non basta che vi sia, per l’impresa, una possibilità reale di un’alternativa sul mercato, ma è necessario che l’alternativa sia anche soddisfacente e praticabile: è evidente infatti che potrà sussistere dipendenza economica tutte le volte in cui, pur essendoci in astratto delle alternative soddisfacenti, le stesse, per qualsiasi motivo, non siano praticabili in concreto. In senso analogo si veda A. Bar- ba, L’abuso di dipendenza economica, in La subfornitura nelle attività produttive, a cura di X. Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 333, il quale pone in evidenza che “l’esistenza nel mercato di una sensibile concorrenza nell’offerta di beni o di servizi astratta- mente sostituibili è compatibile, nel caso concreto, con una valutazione negativa circa l’attitudine satisfattiva delle alterna- tive reperibili per la considerazione che, ad esempio, la sostitu- zione del prodotto o del servizio determina una diminuzione della capacità competitiva dell’impresa dovuta all’assenza di quel prodotto nel suo assortimento”. Per ampi spunti si veda
X. Xxxxx, La subfornitura, in Comm. cod. civ., a cura di X. Gal- gano, Bologna - Roma, 2003, 496, il quale rileva come “non basta (…) la mera idoneità per determinare un rapporto ecces- sivamente squilibrato e nemmeno la sua effettiva determina-
Ed allora può dirsi, senza particolare difficoltà, che la situazione del mercato di riferimento, caratteriz- zato da mancanza assoluta di alternative per l’im- presa posta “a valle”, determina ex se uno stato di dipendenza economica della stessa.
Ma vi è di più: si consideri infatti la circostanza che l’edicolante, incentrando la propria attività nei confronti di un unico fornitore, sopporta inve- stimenti specificamente “dedicati”, cioè rivolti allo svolgimento dell’attività medesima e, quindi, di difficile reimpiego all’interno di differenti mercati e organizzazioni commerciali. Si pensi, a titolo esemplificativo, ai costi di acquisto del c.d. chio- sco, alle spese per ottenere l’autorizzazione ammi- nistrativa per lo svolgimento dell’attività (51) ed a quelle per ottenere e mantenere, eventualmente, la
concessione di occupazione di suolo pubblico. Co- sì, in presenza di investimenti “idiosincratici”, cioè specificamente finalizzati allo svolgimento della at- tività e, come tali, speciali e difficilmente “recupe- rabili” (c.d. sunk costs) - forte è la dipendenza eco- nomica nei confronti della controparte e, conse- guentemente, elevato è il rischio di un approfitta- mento da parte del soggetto “forte”, il quale, vio- lando gli obblighi di correttezza al cui rispetto è te- nuto, può facilmente ottenere condizioni contrat- tuali gravemente inique (52). Gli investimenti “ad alta specificità” effettuati dal rivenditore, nonché il rilevante rischio per lo stesso di sopportare, in caso di cessazione o mancata attivazione del rap- porto commerciale (53), significativi switching costs (ovvero “costi di commutazione”) (54), com-
zione in atto, ma occorre che tale sbilanciamento sia ‘anche’ il frutto della concreta mancanza di alternative sul mercato - se- condo la tipica situazione di ‘prendere o lasciare’ già presente nella ratio dell’articolo 1341 cod. civ. - e non piuttosto di più superficiali o perfino erronee valutazioni ‘costi-benefici’ da par- te degli operatori commerciali o, comunque, di altre cause di- verse dall’accettazione di clausole eccessivamente sfavorevoli ‘imposte’ all’impresa più ‘debole’; ne deriva che l’assenza di concrete alternative sul mercato - con la corrispondente sussi- stenza di un partner ‘obbligato’ - resta, in realtà, l’essenziale parametro costitutivo della fattispecie, rispetto al quale even- tuali criteri residuali, sopra ipotizzati sulla base della congiun- zione ‘anche’ (come la lunga durata del rapporto, la dimensio- ne dell’impresa, l’entità del fatturato), integrano semmai circo- stanze più specifiche od accessorie, ma non alternative, al cri- terio nominato”.
(51) Autorizzazione prevista dall’art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 170/2001.
(52) In generale, sull’idoneità degli investimenti specifici a creare situazioni di vera e propria “prigionia”, si vedano in par- ticolare i contributi di M.W. Klass - R.T. Rapp, Litigatine the key economic issues under Kodak, Antitrust 14, 17, Spring, 1993, 21 ss.; X. Xxxxx - R.G. Xxxxxxxx - A.A. Alchian, Vertical integra- tion, Appropriable Rents, and the Competitive Contracting Pro- cess, 21 J.L. & Econ., 1979, 141 ss.; C. Osti, L’abuso di dipen- denza economica, in Mercato, concorrenza, regole, 1999, 21 ss. Per ulteriori approfondimenti cfr. O.E. Xxxxxxxxxx, I meccani- smi del governo. L’economia dei costi di transazione: concetti, strumenti, applicazioni, Milano, 1998, 116 ss., il quale individua sei tipi differenti di specificità, e precisamente: specificità ubi- cativa, ovvero degli impianti localizzati in vicinanza; specificità delle risorse fisiche, come particolari macchinari utilizzati per la produzione; specificità delle risorse umane; specificità deri- vante da investimenti effettuati in impianti polivalenti; specifici- tà del capitale rappresentato dalla marca; specificità di tempo. Si vedano anche X. Xxxx, Abuso di potere contrattuale e sub- fornitura industriale. Modelli economici e regole giuridiche, cit., 21 e X. Xxxxxxx - X. Xxxxxxx, Economia, organizzazione e ma- nagement, Bologna, 1994, 212, i quali sottolineano che il gra- do di specificità corrisponde alla percentuale di valore dell’in- vestimento che va perduta nel caso in cui lo stesso investi- mento venga utilizzato al di fuori della relazione contrattuale per la quale è stato impiegato. Al massimo grado di specifici- tà, concludono gli autori citati, l’interruzione della relazione tra- sforma gli investimenti in costi irrecuperabili. La dottrina ha al- tresì evidenziato che l’importanza degli investimenti specifici tende a crescere nel corso della relazione commerciale. Si ve- da O.E. Xxxxxxxxxx, Teoria dei costi di transazione: il controllo delle relazioni contrattuali, in O.E. Xxxxxxxxxx, L’organizzazione
economica. Imprese, mercati e controllo politico, Bologna, 1991, 147 ss.
(53) È appena il caso di ricordare che la situazione descritta non presuppone necessariamente l’avvenuta stipulazione di un contratto, ma può verificarsi anche “a monte”, cioè prima, dello stesso; tale conclusione si ricava dalla lettura dell’art. 9, ove si precisa che può costituire “abuso” anche un mero rifiu- to di vendere o di comprare, così come la “arbitraria interruzio- ne delle relazioni commerciali in atto”. L’istituto in esame, quindi, non trova applicazione soltanto in ambito contrattuale, quale strumento di riequilibrio delle prestazioni effettuate dalle parti, ma anche “al di fuori” e “al di là” del contratto. Sul pun- to, ex plurimis, X. Xxxxxxx, Prime riflessioni sull’abuso di dipen- denza economica nei contratti agro-industriali, in Riv. dir. agr., 1999, I, 161 ss.; X. Xxxxx, Xxxxxxxxxxxx xxxxxxxxx x xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 357 ss.; X. Xxxxx, L’abuso di dipendenza economica “fuori dal contratto” tra diritto civile e diritto antitrust, in Riv. dir. civ., 2000, II, 389 ss.; X. Xxxxx - X. Xxxxxxx, I rapporti di subfornitura, Milano, 1999, 167 ss.; X. Xxxxxxx, “Unconscionability” e abuso di dipendenza economica, in Riv. dir. priv., 2001, 558 ss. Con- tra X. Xxxxxxxxx di Xxxxx, Sub art. 9. La subfornitura. Commento alla legge 18 giugno 1998, n. 192, cit., 346 ss. Sempre in senso contrario si veda anche Xxxx., SS.UU., ord. 25 novembre 2011, n. 24906, cit., secondo cui “Poiché l’abuso in questione si concretizza nell’eccessivo squilibrio di diritti e obblighi tra le parti nell’ambito di rapporti commerciali, esso presuppone che tali rapporti siano regolati da un contratto, tant’è che il comma terzo dell’art. 9 cit. statuisce la nullità del ‘patto che realizza l’abuso’ di dipendenza economica”.
(54) Per “costi di commutazione” si intendono quei “costi aggiuntivi che un soggetto dovrebbe sostenere o i benefici ai quali dovrebbe rinunciare se egli si spostasse su un altro forni- tore al netto dei vantaggi risultanti dallo scambio”: così M.W. Klass - R.T. Rapp, Litigatine the key economic issues under Ko- dak, cit., 21. L’espressione switching costs, dunque, compren- de “tutti i tipi di costo che consumatori o imprese devono fron- teggiare a seguito di un cambiamento (anche forzoso) di tec- nologia o di un partner contrattuale”: così X. Xxxx, Abuso di potere contrattuale e subfornitura industriale. Modelli economici e regole giuridiche, Ristampa digitale, Trento, 2006, 43. Si ve- dano anche X. Xxxxxxxxx, Competition when consumers have switching costs: an overview with applications to industrial orga- nization, macroeconomics and international trade, 62 Review of Economics Studies, 515, 1995; X. Xxxxxxx - H.R. Varian, Infor- mation Rules. Le regole dell’economia dell’informazione, Mila- no, 1999, 14, 125 ss.; C. Osti, L’abuso di dipendenza economi- ca, cit., 9, secondo cui per definire il rapporto che dà luogo alla dipendenza, ci si può, in via alternativa, riferire “all’elemento dei costi di commutazione, che (…) caratterizza la dipendenza
portano, in altri termini, un elevato pericolo di hold up, cioè di un “vantaggio di minaccia” (55), ovvero una situazione di potenziale “estorsio- ne” (56) o ricatto da parte del soggetto “forte”.
È il “potere di estorsione” o di ricatto, dunque, così come il rischio dell’”incastro da investimenti speci- fici” (c.d. lock in) (57), che può generare dipenden- za economica.
Situazione che non può ragionevolmente negarsi che sussista nel caso in esame.
(Segue) il divieto di abusare della situazione di dipendenza economica
Sussistendo nel rapporto in analisi, si ritiene, i pre- supposti per configurare una situazione di dipen- denza economica, la norma in esame impone, al- l’impresa di distribuzione che si trova in una posi- zione di forza, il divieto di abusare, cioè di approfit- tare, della stessa. L’abuso, ossia il risultato ultimo della situazione di dipendenza, può quindi identifi- carsi con il comportamento dell’impresa che, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, deter- mina, per violazione del principio di buona fede, un eccessivo squilibrio di diritti e doveri. In defini- tiva il contraente “forte” non realizza alcun com- portamento illecito, se, nonostante la sua posizione
di preminenza sul mercato, non abusa della stessa, ma, al contrario, adotta standars contrattuali equi nel settore di riferimento, oppure, attraverso il li- bero “gioco” della contrattazione tra le parti, riesce a “spuntare” condizioni negoziali, a lui favorevoli, non eccessivamente “sperequate”.
Perché si possa considerare verificata la situazione abusiva vietata dall’art. 9 della legge in esame, è necessario, quindi, che l’interprete operi a posterio- ri una valutazione, alla stregua dei principi di buo- na fede e correttezza, circa il comportamento com- plessivo tenuto dalle parti e gli interessi coinvolti nel caso sottoposto al suo esame, al fine di verifica- re se effettivamente sussistano condizioni contrat- tuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie: se la dipendenza economica nasce al cospetto della mera possibilità di determinare un eccessivo squili- brio normativo, l’abuso, inteso come “fatto com- piuto”, non è altro che il risultato dell’eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. Attraverso il giu- dizio di buona fede, in sostanza, il giudice conosce del comportamento non corretto di una delle im- prese, “capace di denunciare un’inammissibile sfa- satura tra gli interessi coinvolti nella singola vicen- da” (58). L’abuso, dunque, non consiste in un’ina- deguatezza strutturale o funzionale del contratto
stessa - nel senso che il rapporto di cui è questione è quello per l’appunto che genera tali costi -, ovvero ad una nozione del tipo di quella che la dottrina germanica definisce, nell’am- bito dell’interpretazione della clausola generale di buona fede, ‘relazione speciale’ (Sonderverbindung), intendendosi per tale ogni contatto sociale qualificato, e ricomprendendovi, oltre i rapporti contrattuali o obbligatori, quelli che nascano da un negozio giuridico nullo, da negoziazioni, da rapporti economici di lunga durata, dal protrarsi degli effetti di un rapporto giuridi- co risolto, dal rapporto tra dipendenti di una stessa impresa, tra azionisti di una stessa società, tra proprietari di uno stesso fondo, tra vicini, e così via dicendo”. In generale, sul concetto di disparità di potere contrattuale appaiono particolarmente si- gnificative le parole di X. Xxxxx, Istituzioni di diritto privato, Bo- logna, 1994, 484, il quale rileva che “la diseguaglianza econo- mico-sociale fra le parti si traduce infatti in una disparità di po- tere contrattuale, per cui la parte ‘debole’ non avrebbe l’effetti- va possibilità di salvaguardare adeguatamente i suoi interessi attraverso il contratto. Per rimediarvi, la legge tratta in modo diverso le due parti: ma la differenza di trattamento non è inco- stituzionale perché è ragionevole”; secondo X. Xxxxxxxxx, I contratti di distribuzione, Napoli, 1979, 311, la formula “dispari- tà di potere contrattuale” esprime “l’incapacità del contraente più ‘debole’ (qualunque sia la ragione di questa sua minorità) di ottenere l’assetto contrattuale che gli riuscirebbe di spunta- re in condizioni, diciamo, naturali; (…) Il concetto diventa ope- rativo nel momento in cui assume carattere di generalità. E il problema sta tutto nel dimostrare su quale terreno si alimenti il processo distorsivo che impedisce ad una classe di con- traenti di salvaguardare i propri interessi all’interno di un mec- canismo deputato, in teoria, ad assicurare la massimizzazio- ne”.
(55) Cfr. X. Xxxxx, Esito di contrattazione e abuso di dipen- denza economica: un orizzonte più sereno o la consueta “pie in the sky”?, in Riv. dir. impr., 2002, 243. Si vedano anche Klein -
X. Xxxxxxxx - X. Xxxxxxx, Integrazione verticale, rendite appro-
priabili ed il processo di contrattazione competitiva, in AA.VV., Razionalità, impresa e informazione. Letture di microeconomia, Torino, 1993, 115 ss.; O.E. Xxxxxxxxxx, Teoria dei costi di tran- sazione: il controllo delle relazioni contrattuali, cit., 144 ss. Nella letteratura italiana, ex plurimis, X. Xxxxxxxxx, Analisi economica e diritto dei contratti, in AA.VV., Interpretazione giuridica e anali- si economica, Milano, 1982, 416 ss.; Id., I contratti di distribu- zione, cit., 324 ss.
(56) Cfr. C. Osti, L’abuso di dipendenza economica, cit., 22. Per approfondimenti si veda anche X. Xxxxxxxxx, Storia di una dipendenza abusata, nota a Trib. Taranto 17 settembre 2003, in Danno e resp., 2004, 69 ss.; X. Xxxxxxx, “Unconscionability” e abuso di dipendenza economica, cit., 544 ss.
(57) Questa situazione si verifica tutte le volte in cui sia sta- to effettuato “un investimento che, una volta fatto (sommerso) da una o entrambe le parti di un rapporto commerciale in cor- so, ha un valore inferiore in usi alternativi rispetto all’uso cui è destinato, di sostegno allo specifico rapporto commerciale bi- laterale”. Così P.L. Xxxxxx, Asset specificity and vertical inte- gration, in Palgrave Dictionary of law and Economics, Xxxxxxx, 0000, I, 107-108.
(58) Cfr. T. Xxxxx, Il divieto dell’abuso di dipendenza econo- mica nei rapporti tra imprese, in Riv. dir. civ., 2000, 352. Per ampi riferimenti sul tema si vedano anche X. Xxxxx, L’abuso di dipendenza economica, cit., 328, il quale rileva come, mediante il riferimento all’eccessivo squilibrio di diritti e di doveri, il legi- slatore abbia introdotto un elemento valutativo della situazione di abuso di dipendenza economica strettamente connesso alla situazione di potere economico dell’impresa cui è riferibile il comportamento abusivo, “conservando però rilevanza giuridi- ca esclusivamente al risultato (contrattualmente) realizzato dell’eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi”; X. Xxxxxxx, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Na- poli, 1996, 323, evidenzia l’opportunità, nei contratti caratteriz- zati dalla dipendenza economica di una parte nei confronti di un’altra, di una valutazione economico-giuridica del principio
ma in un uso “deviato” dell’autonomia contrattuale da parte del c.d. contraente forte.
Il criterio di valutazione dello squilibrio e del rela- tivo abuso è dunque costituito dalla buona fede, intesa in senso oggettivo, che costituisce un limite di ordine generale all’esercizio dell’autonomia pri- vata, limite il cui superamento determina appunto un abuso di dipendenza economica (59). Così con- cepito, l’abuso di dipendenza economica potrebbe determinarsi attraverso la realizzazione di un ampio ventaglio di comportamenti contrari al principio di buona fede e correttezza.
Ebbene, nel caso in esame può correttamente rite- nersi che l’abuso della situazione di dipendenza economica in cui si trova il rivenditore si concreti nell’imposizione unilaterale di una clausola - quella relativa ai costi di trasporto - che altera in maniera significativa, a danno dell’edicolante, l’equilibrio tra diritti e doveri delle parti nel rapporto di distri- buzione, così come determinato, su tutto il territo- rio nazionale, dall’accordo collettivo di categoria. A mezzo dell’inserimento di tale pattuizione, infat- ti, il soggetto “forte” finisce con l’appropriarsi di “quasi-rents” della parte dipendente, conseguendo un ingiusto e rilevante profitto e realizzando van- taggi che, in una libera contrattazione “tra eguali”, non avrebbe ottenuto (60). Vantaggi distonici ri- spetto agli standars del settore di riferimento ed al- tresì spesso “eccessivi”, in quanto diminuiscono in maniera proporzionalmente significativa il reddito dell’edicolante.
Né, si ritiene, il distributore possa “paralizzare” l’applicazione della norma richiamata giustificando l’applicazione dei costi aggiuntivi con una presunta “antieconomicità” del singolo punto vendita. Infat-
ti, ricostruendo ed analizzando la complessiva ope- razione negoziale di distribuzione dei giornali quo- tidiani e periodici, può agevolmente ricavarsi che l’economicità del servizio di distribuzione ad un punto vendita debba essere valutato nell’insieme di tutta l’area distributiva assegnata. Le zone distribu- tive vengono infatti assegnate al distributore locale nel loro complesso: esse contengono aree ad alto potenziale di vendita, che vengono assegnate a condizione che vengano fornite anche aree perife- riche, svantaggiate o meno redditizie. Solo così si garantisce la “copertura” dell’intero territorio na- zionale; solo così si persegue anche l’interesse pub- blico sotteso alla paritaria diffusione della stampa sull’intero territorio nazionale. In breve, il sub- mandante affida al distributore locale l’area distri- butiva nella sua interezza (e quindi sia zone ad alto potenziale di vendita, che zone a basso potenziale) con l’impegno - derivante, se non da specifiche pattuizioni, sicuramente dai già ricordati principi imperativi di massima diffusione della stampa - a fornire tutte le edicole ubicate nei comuni indicati nel contratto di mandato. Da ciò deriva che l’eco- nomicità o meno debba essere valutata tenuto con- to dell’intera area assegnata e dunque anche dei margini derivanti dalla gestione delle aree ad alto potenziale.
Conclusivamente, ragionando in questi termini, nell’ipotesi in oggetto potrebbe trovare applicazio- ne il terzo comma dell’art. 9 della L. n. 192/1998, con conseguente nullità della clausola che pone a carico dell’edicolante l’obbligo di pagare, in tutto o in parte, i costi per il trasporto, presso il proprio punto vendita, dei giornali quotidiani e periodici.
di buona fede che consenta di concretizzare gli specifici obbli- ghi di collaborazione da cui possa derivare la conservazione delle utilità economico-giuridiche perseguite dalle parti. In altri termini, “carattere centrale dovrebbe, quindi, assumere, nella valutazione in merito all’esistenza di un abuso, un’analisi basa- ta sulla consapevolezza dell’operazione economica sottostante e delle aspettative di profitto sperate, volta ad attribuire con- cretezza e tutela agli interessi commerciali ragionevoli dei con- traenti ed a determinare, di conseguenza, la misura del com- portamento esigibile”: così X. Xxxxxxxx, Sub art. 9 della L. n. 192 del 1998, in Nuove leggi civ., 2000, 443-444. Ritiene il ri- chiamo al concetto di buona fede di scarsa utilità pratica, oltre che di difficile compatibilità con la lettera dell’art. 9 (in cui non vi è alcun riferimento espresso alla buona fede), C. Osti, L’abu- so di dipendenza economica, cit., 45 ss.
(59) Per osservazioni critiche alla tesi che fa perno sulla buona fede oggettiva per determinare il contenuto del divieto di abuso si veda M.R. Xxxxxxx, Abuso di dipendenza economi- ca e autonomia privata, cit., 149 ss.
(60) In tal modo il soggetto “forte” utilizza il proprio potere “per diminuire, a proprio vantaggio, la fetta di surplus che sca- turisce dagli investimenti specifici effettuati da controparte e, soprattutto, fa ciò senza alcun riguardo per le sue legittime aspettative relative al recupero degli investimenti effettuati”. Così X. Xxxxxxx, “Unconscionability” e abuso di dipendenza economica, cit., 557. L’abuso consiste dunque “in un uso de- viato dell’autonomia contrattuale da parte di chi viene ritenuto esponente di una classe di contraenti forti”: così X. Xxxxxxxxxx, sub art. 1469 quinquies, comma 2°, in Nuove leggi civ., 1997, 1234.