Due diligence pre-contrattuale e due diligence post-stipula e pre- closing, gli obblighi del soggetto attuatore
Due diligence pre-contrattuale e due diligence post-stipula e pre- closing, gli obblighi del soggetto attuatore
Tribunale di Torino, 3 marzo 2015. Presidente. Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx.
Convenzione per l’attuazione di investimenti pubblici – Inquadramento giuridico – Valutazione (in concreto) degli obblighi del soggetto attuatore – Appalto di servizi – Insussistenza
– Mandato – Sussistenza.
Convenzione per l’attuazione di investimenti pubblici – Due diligence del soggetto attuatore – Tipologie e contenuti della due diligence – Due diligence “pre-contrattuale” e due diligence “post- stipula e pre-closing” – Sussistenza – Obbligo di rilevare il carattere “finanziariamente non sano” dell’impresa target – Sussistenza.
La Convenzione per l’attuazione di investimenti pubblici è inquadrabile nella categoria giuridica del mandato se il suo oggetto prevalente consiste nel compimento di atti giuridici di investimento da parte del soggetto attuatore, in nome proprio e per conto dell’ordinante. Gli obblighi di ricerca, selezione, gestione delle partecipazioni che gravano sul soggetto attuatore possono considerarsi accessori rispetto all’obbligazione principale del mandatario. Tale contratto è ad esecuzione continuata, perché delinea un programma di attuazione dell’investimento pubblico da realizzarsi attraverso l’attività continuativa del soggetto attuatore (individuazione, selezione, investimento, rendicontazione, disinvestimento, nuovi investimenti) e non in un unico atto.
La due diligence richiesta al soggetto attuatore deve avere quale oggetto, almeno principale, i dati dei bilanci e delle situazioni contabili messe a disposizione dal venditore. Il mandatario è tenuto ad esaminare tali documenti con la diligenza di un operatore professionale, onde verificare, per quanto possibile, la verità e correttezza dei dati esposti (e, quindi, della situazione rappresentata dal venditore). La due diligence c.d. “precontrattuale” è focalizzata sui profili salienti della negoziazione; è intrapresa dal potenziale acquirente e viene svolta in contraddittorio e con la collaborazione del venditore. I suoi esiti influiscono in modo diretto e rilevante sulla scelta di concludere l’affare e sulle sue condizioni (incluse le clausole di garanzia). La due diligence c.d. “post-stipula e pre-closing”, viene esperita quando già sussiste un vincolo contrattuale che lega le parti, ancorchè non definitivo; in questo caso l’attività di indagine è volta a verificare i dati acquisiti e ad orientare le successive trattative. Il soggetto attuatore era tenuto ad una due diligence sia di tipo “precontrattuale” che di tipo “post-stipula e pre-closing”; la previsione di ulteriori attività precedenti la sottoscrizione dell’investimento e l’obbligo assunto dai soci di fornire una situazione patrimoniale
aggiornata, rendono chiaro che l’attività di due diligence non si poteva arrestare al momento dell’accordo, ma doveva proseguire fino all’attuazione dell’investimento.
(Massime a cura di Xxxxxx Xxxxxxxxx - Riproduzione riservata)
CONVENUTO
Motivi della decisione
1. La Convenzione
del 1 luglio 1999 va inquadrata nell’ambito del contratto di mandato.
1.1 Posizione delle parti. Le parti controvertono sull’inquadramento giuridico della Convenzione. La Regione sostiene infatti trattarsi di un contratto di mandato, avente ad oggetto l’acquisto di partecipazioni societarie (quindi il compimento di atti giuridici) per conto della Regione. Le società convenute affermano invece che si tratti di un appalto di servizi, che si caratterizza non tanto per l’acquisto della partecipazione azionaria (necessariamente realizzato attraverso lo schema del mandato), quanto per l’espletamento, da parte del soggetto attuatore, di servizi antecedenti e successivi ai singoli acquisti di partecipazioni, quali la individuazione delle società target, la loro valutazione, la selezione, la gestione della partecipazione, l’attività informativa, etc. L’esame della questione è preliminare, poiché si riverbera sulla valutazione delle eccezioni di decadenza e prescrizione sollevate dai convenuti; ed anche sulla corretta individuazione degli obblighi gravanti sul soggetto attuatore.
1.2 Mandato e appalto di servizi. In termini generali è pacifico che il mandato e l’appalto (d’opera o di servizi) - pur avendo in comune un’attività di facere - si distinguono per l’oggetto che, nel primo caso, è rappresentato da una attività qualificata di conclusione di negozi giuridici per conto e nell'interesse del mandante, e, nel secondo caso, da un'attività di cooperazione estranea alla sfera negoziale, consistente nel compimento di un'opera o di un servizio (materiale od intellettuale) (x. Xxxx. 2965/87, 3803/95). La giurisprudenza ha chiarito altresì che il mandato, “può concretarsi anche nel compimento di atti volontari non negoziali aventi rilevanza esterna, diretti alla conclusione ed al regolare adempimento di contratti tra le parti” (Cass. 15607/05). Sotto il profilo strettamente negoziale poi, il mandato comprende non solo gli atti per i quali è stato conferito, ma anche quelli che sono necessari al loro compimento (art. 1708 c.c.). Il discrimine fra le due figure negoziali consiste quindi nella possibilità di individuare un’opera (o piuttosto, nel nostro caso, un servizio) ulteriore e autonomo rispetto al negozio di investimento. Occorrerà poi valutare se questo servizio, laddove presente, risulti “prevalente” (nell’economia del contratto da interpretare) rispetto alla attività di compimento di atti giuridici. Se infatti i servizi previsti a carico del soggetto attuatore risultino secondari e strettamente strumentali al compimento dei negozi giuridici, si potrà essere – al più – in presenza di un contratto misto in cui prevalgono gli elementi del mandato (con conseguente applicazione della relativa disciplina).
1.3 L’interpretazione della Convenzione. Per interpretare la Convenzione occorre anzitutto fare riferimento al suo tenore testuale e sistematico (art. 1362 e 1363 c.c.); in secondo luogo si potrà ricorrere anche alla valutazione di atti “preparatori” e “successivi” ad essa. Sotto il primo
profilo si osserva che l’elemento disciplinato in modo assolutamente prevalente (se non esclusivo) dalla Convenzione è l’acquisto di partecipazioni da parte della Regione attraverso il soggetto attuatore. Si richiamano al riguardo:
• art. 1 (oggetto): “La presente Convenzione ha ad oggetto la regolamentazione dell’attività di investimento nel capitale di rischio …”;
• art. 4 (remunerazione del soggetto attuatore): è calcolata sull’ammontare delle risorse conferite nell’investimento sia dalla Regione che dal soggetto attuatore stesso; si tratta quindi di una remunerazione parametrata al valore dell’atto giuridico compiuto e non ai servizi prestati;
• art. 6 (ripartizione dei proventi): la Regione e il soggetto attuatore si ripartiranno i proventi con criteri legati al risultato degli investimenti (e non all’entità dei servizi resi dal soggetto attuatore);
• art. 7 (limiti di investimento): disciplina il modo in cui debbono essere investite le risorse conferite; riguarda quindi l’atto giuridico e non i servizi richiesti;
• art. 9 (caratteristiche delle imprese partecipate): anche questa clausola
- che assume rilievo centrale nel caso di specie – è diretta a individuare gli atti che può compiere il soggetto attuatore (in quali imprese può investire).
La Convenzione prevede ulteriori attività in capo al soggetto attuatore, che non sono strettamente riconducibili al compimento degli atti negoziali: l’art. 11 prevede l’obbligo di redigere semestralmente una relazione informativa sugli investimenti (attività svolta, imprese partecipate, rendiconto); l’art. 12 disciplina l’attività promozionale richiesta al soggetto attuatore. Si tratta però, all’evidenza di contenuti e obblighi strumentali all’esecuzione degli investimenti; il primo, peraltro, chiaramente riconducibile all’obbligo di rendiconto del mandatario disciplinato dall’art. 1713 c.c.
In senso parzialmente contrario all’inquadramento della Convenzione nell’ambito del mandato parrebbe deporre la lettera di invito alla licitazione privata (doc. 5 attore), dove si legge che “l’appalto è aggiudicato a favore dell’offerta economicamente più vantaggiosa”; e si individuano, quali criteri di valutazione delle offerte, le modalità di ricerca e selezione delle opportunità di investimento e le modalità che saranno seguite nella gestione della partecipazione. Si tratta però di elementi non decisivi. Sia perché contenuti in un documento diverso da quello oggetto di interpretazione; sia perché il principale elemento per la selezione del soggetto attuatore resta legato all’ammontare di risorse finanziarie aggiuntive messe a disposizione dell’offerente (rispetto al minimo obbligatorio definito nel bando di gara).
Vanno anche richiamati – quali ulteriori elementi utili per l’inquadramento giuridico della Convenzione – l’accordo del 28.12.01 tra Investire Partecipazioni e Silver Diesse (doc 16 attore) e gli ordini di bonifico a firma Investire Partecipazione (doc. 19 attore). In entrambi questi documenti Investire Partecipazione dichiara di agire in nome proprio e per conto (o anche per conto, nell’accordo del 28.12.01) della Regione Piemonte. Espressione tipica (in nome proprio e per conto altrui) di chi agisce in forza di mandato senza rappresentanza.
Infine, la sentenza della Corte d’Appello di Torino n. 1593 del 14.8.2014 (richiamata dai convenuti nei loro scritti conclusivi), pur se non censura la qualifica della Convenzione in termini di appalto di servizi operata dal primo giudice (sentenza Tribunale di Torino n. 1071 del 15.2.2011, anch’essa richiamata dai convenuti), tuttavia esamina e valuta la attività del soggetto attuatore (Investire Partecipazioni) in termini (in)adempimento agli obblighi derivanti dal mandato (p. 21 e 22 della sentenza).
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1.4 Conclusioni. Alla luce di queste considerazioni, il contratto che lega le parti e del cui adempimento qui si discute va inquadrato nell’ambito del mandato, poiché il suo oggetto di gran lunga prevalente consiste nel compimento di atti giuridici di investimento da parte del soggetto attuatore, in nome proprio e per conto della Regione Piemonte. Gli obblighi di ricerca, selezione, gestione delle partecipazioni che gravano sul soggetto attuatore – e che sono trattati solo marginalmente nella Convenzione – possono considerarsi accessori rispetto all’obbligazione principale del mandatario. O, tutt’al più, possono indurre a qualificare la Convenzione come un contratto misto (di mandato e appalto di servizi), nel quale tuttavia gli elementi prevalenti sono quelli propri del mandato.
2. Le eccezioni di decadenza e prescrizione sono infondate.
2.1 Inapplicabilità della disciplina dell’appalto. Discende dall’inquadramento della Convenzione nell’ambito del mandato la non applicabilità della disciplina relativa alle difformità e vizi dell’opera (art. 1667 c.c.). Dunque, in primo luogo, la Regione Piemonte non era tenuta ad alcuna “denuncia” dei vizi (vizi che I. e consorti ravvisano nel carattere “non sano” dell’impresa SEFI); denuncia che peraltro – sia detto incidentalmente – è ritenuta inapplicabile dalla prevalente giurisprudenza all’appalto di servizi. In secondo luogo non si applica la prescrizione biennale di cui all’art. 1667 3° comma, ma quella ordinaria decennale.
2.2 Sulla eccezione di prescrizione decennale. I convenuti sostengono però che, anche facendo applicazione del termine ordinario, il diritto fatto valere dalla Regione alla risoluzione del contratto e al risarcimento dei danni sarebbe comunque prescritto, perché:
• quanto alla domanda di risoluzione, il dies a quo deve individuarsi nel 29.10.2001, giorno della delibera del Comitato Tecnico con cui si è deciso di dare esecuzione all’investimento in SEFI; e fra tale giorno e la introduzione del presente giudizio (con citazione notificata il 16.12.2011) sono trascorsi più di 10 anni;
• quanto alla domanda di risarcimento, il dies a quo va collocato nel momento in cui è avvenuta la selezione di SEFI da parte del soggetto attuatore, e dunque in epoca anteriore all’agosto 2001, come emerge dal verbale di riunione del Comitato Tecnico del 20.4.2001; fra tale momento e quello in cui è stata notificata la domanda di mediazione (31.8.2011) sono trascorsi più di 10 anni.
L’eccezione è infondata. Al riguardo occorre premettere che la Regione Piemonte ha introdotto la domanda di mediazione con atto depositato presso la CCIAA il 3.8.2011 (doc. 45-47 attore). Sugli effetti interruttivi della prescrizione della domanda di mediazione si veda Xxxx. S.U. 17781/13 (in cui viene puntualizzato che tale effetto si produce anche se la mediazione non costituisce condizione di procedibilità della domanda). Dunque il dies ad quem a cui fare riferimento è in ogni caso quello sopra indicato. Ora, tanto rispetto alla domanda di risoluzione per inadempimento, quanto rispetto a quella di risarcimento del danno, il dies a quo non può essere anteriore al giorno in cui è avvenuto l’investimento in SEFI. E’ in questo momento infatti che il soggetto attuatore (mandatario) ha eseguito la prestazione tipica del contratto che lo legava alla Regione (sottoscrizione dell’investimento); ed è in questo giorno che si è, al tempo stesso, verificato l’inadempimento del soggetto attuatore e il danno per la Regione mandante. L’investimento di I.
nel capitale di SEFI è avvenuto con bonifici bancari del marzo e aprile 2002 (doc. 19 attore); essi sono stati preceduti dalla determinazione della Regione
n. 22 del 27.2.02 (doc. 17 attore), con cui si è deliberato di liquidare la somma di € 2.538.752 a favore di Società Investire Partecipazioni per la sottoscrizione dell’aumento di capitale di SEFI; e dall’ordine alla Ragioneria di liquidare tale somma a Investire Partecipazioni (doc. 18). E’ attraverso questa serie di atti che è stato posto in essere l’investimento. La pretesa dei convenuti di “retrodatare” il dies a quo a quello della delibera del Comitato Tecnico del 29.10.01, con cui si è deliberato di dar corso (fra gli altri) all’investimento in SEFI, non è condivisibile (e ciò a prescindere dal fatto che, anche in questo modo, la prescrizione decennale non potrebbe dirsi maturata, perché la domanda di mediazione è stata introdotta nell’agosto 2011). Basti pensare che fino a quando non è avvenuta la effettiva sottoscrizione del capitale di SEFI, non potevano certo dirsi adempiuti gli obblighi del soggetto attuatore; e dunque nessuna valutazione di esatto/inesatto adempimento era possibile. D’altra parte la semplice delibera del Comitato Tecnico (organo interno dell’ATI) non avrebbe potuto arrecare alcun pregiudizio alla Regione se non fosse stata seguita dall’effettivo investimento. Sotto diverso profilo, la “retrodatazione” dell’inadempimento alla data di delibera del Comitato contrasta anche con le affermazioni della società sul momento in cui ha svolto la due diligence in funzione dell’investimento in SEFI: “l’esponente, nel corretto e diligente svolgimento dell’attività di valutazione, selezione e investimento, non solo ha esaminato il business plan con i bilanci allegati, ha provveduto alle verifiche sia con riguardo alla situazione contabile al 31 ottobre 2001 sia con riferimento alla situazione di sussistenza del capitale sociale e del patrimonio netto della Sefi di almeno € 5.164.000 alla data di sottoscrizione …” (comparsa conclusionale p. 57). Ora, se la stessa I. dichiara di aver svolto la sua prestazione fino alla data di sottoscrizione dell’investimento, non si vede come il dies a quo per far valere il suo inadempimento (con domanda di risoluzione e/o di risarcimento danni) possa essere collocato in epoca precedente.
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Dunque la Regione Piemonte ha azionato i propri diritti (proponendo prima domanda di mediazione e poi notificando l’atto di citazione) prima del maturare della prescrizione decennale. E’ quindi irrilevante valutare se la comunicazione della Regione del 13.1.09 fosse idonea a interrompere la prescrizione.
3. L’eccezione di carenza di legittimazione attiva (o di titolarità del rapporto o di interesse ad
agire) in capo alla Regione è infondata.
I convenuti sostengono che, poiché le somme investite dalla Regione Piemonte in SEFI provenivano da fondi comunitari e statali ottenuti in base al DOCUP 1997/1999, l’ente attore sarebbe privo di legittimazione o quantomeno di interesse a far valere pretese restitutorie o risarcitorie conseguenti alla perdita di questi fondi. Evidenziano che l’intervento previsto dal DOCUP è stato pienamente realizzato e che ogni eventuale iniziativa per il recupero dei contributi compete alla Commissione delle Comunità europee (la quale però, nel caso di specie, non ha rilevato alcuna irregolarità nell’esecuzione della misura).
Le eccezioni sono infondate. La Regione agisce per far valere un inadempimento del soggetto attuatore agli obblighi derivanti dalla Convenzione del luglio 1999; Convenzione della quale sono parti la Regione Piemonte e Italia Investimenti (oggi I. Partecipazioni). E’ irrilevante stabilire
se in questa convenzione la Regione abbia agito in veste di mandataria (senza rappresentanza) degli enti che avevano fornito i fondi per l’attuazione del DOCUP. In verità, da nessuno degli elementi acquisiti agli atti risulta che la Regione abbia stipulato in questa veste; ma anche se fosse così, essa avrebbe pur sempre titolo ad agire per far valere i diritti derivanti dal contratto (art. 1705 c.c.).
Per quanto riguarda poi l’asserita carenza di interesse, va ricordato che l’attuazione del DOCUP era funzionale a realizzare interessi e finalità dell’ente regione. E che la perdita dell’investimento (a causa del default di SEFI) ha arrecato un evidente danno alla Regione Piemonte, consistente nel fatto che i fondi stanziati per l’attuazione del DOCUP sono stati distratti dalla loro finalità, non hanno potuto essere impiegati per ciò a cui erano destinati (investire in imprese finanziariamente sane e dotate delle altre caratteristiche previste nella Convenzione). Senza dire che, se le somme investite in SEFI non fossero andate perdute, una volta terminato il periodo previsto (5 anni), avrebbero dovuto essere restituite alla Regione, che ne avrebbe fatto uso attuando nuovi investimento.
Sono quindi evidenti sia la titolarità del rapporto dedotto in giudizio (poiché la Regione è parte del contratto), sia l’interesse a proporre le domande di risoluzione e di risarcimento.
4. La Convenzione del 1 luglio 1999 e gli obblighi gravanti sul soggetto attuatore.
4.1 Contenuti del mandato conferito al soggetto attuatore. La Convenzione stipulata fra la Regione Piemonte e Italia Investimenti dà attuazione alla misura 1.5 del DOCUP (servizi finanziari alle imprese), sottomisura A (acquisizione di partecipazioni di minoranza, destinate alla dismissione entro 5 anni dall’acquisto, in piccole e medie imprese piemontesi, per finanziarne l’avvio e lo sviluppo, in aree regionali caratterizzate da difficoltà strutturali e dalla necessità di un processo di riconversione economica). Essa individua con precisione i termini del mandato conferito al soggetto attuatore:
• le risorse conferite dalla Regione (oltre che dallo stesso soggetto attuatore) ai sensi dell’art. 3 devono essere investite in partecipazioni al capitale di rischio (titoli azionari, quote di s.r.l., obbligazioni convertibili), secondo la misura percentuale individuata (fra il 20 e il 49%) e per la durata prevista (devono essere cedute entro il quinto anno dalla data di acquisto) (art. 7);
• le imprese partecipate devono essere ubicate in una determinata zona e svolgere una specifica attività; devono essere piccole o medie imprese; devono essere selezionate in base a precisi criteri: elevate prospettive di crescita, programmi di nuovi investimenti o di ampliamento, devono essere “imprese finanziariamente sane”; a parità delle altre condizioni, costituiscono titoli preferenziali l’essere in fase di avvio, l’esistenza di concreti progetti di internazionalizzazione e l’esistenza di produzioni a elevato contenuto tecnologico (art. 9);
• le operazioni di investimento devono essere valutate da un Comitato tecnico istituito presso il soggetto attuatore (tenuto ad attenersi ai criteri preferenziali sopra indicati), alle cui riunioni la Regione può far assistere un proprio rappresentante;
• il soggetto attuatore è tenuto a redigere, ogni semestre, una relazione sull’attività svolta (numero e tipologia delle imprese contattate, acquisizioni in corso, acquisizioni perfezionate e disinvestimenti effettuati); deve inoltre
redigere una relazione per ciascuna delle imprese partecipate, indicando i dati di bilancio del semestre di riferimento; deve, infine, predisporre un rendiconto (corredato da relazione di primaria società di revisione) indicativo degli investimenti, dei proventi, delle plusvalenze.
E’ opportuno sin d’ora evidenziare che il contratto concluso fra Regione e ATI è ad esecuzione continuata, perché delinea un programma di attuazione dell’investimento pubblico da realizzarsi attraverso l’attività continuativa del soggetto attuatore (individuazione, selezione, investimento, rendicontazione, disinvestimento, nuovi investimenti) e non in un unico atto.
4.2 L’obbligo di diligenza del mandatario (nel caso concreto). Sotto diverso profilo va chiarito che l’obbligo di diligenza a cui è tenuto il mandatario è, nel caso di specie, quello dell’operatore professionale (art. 1176 2° comma c.c.), e non solo quello, generico, del buon padre di famiglia (art. 1710 c.c.). Le obbligazioni che derivano dalla Convenzione ineriscono infatti l’attività professionale tipica del soggetto attuatore, che è stato individuato proprio in ragione delle sue competenze. Il bando di gara per l’affidamento dei servizi finanziari di attuazione del DOCUP (doc. 4 attore) consentiva la partecipazione unicamente alle banche, alle società finanziarie che svolgono attività di assunzione di partecipazioni, alle società di gestione dei fondi comuni di investimento (art. 2). Fra i requisiti di ammissibilità era inoltre prevista “una struttura interna adeguata dedicata all’attività di investimento nel capitale di rischio”, da valutarsi sulla base delle risorse umane dedicate a questa attività, del numero e dell’ammontare degli investimenti e del loro tasso di rendimento (art. 3). In altri termini: per la attuazione del DOCUP la Regione ha inteso individuare un soggetto altamente qualificato, di comprovata esperienza, dotato di strutture interne e di capitali adeguati all’investimento in capitale di rischio e che avesse conseguito in passato risultati misurabili e positivi (tasso di rendimento interno).
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E’ dunque rispetto ai limiti del mandato come definiti dalle parti e con riferimento al grado di diligenza concretamente dovuta che deve essere valutato l’adempimento di I. Partecipazioni.
diligence del soggetto attuatore.
5. Gli obblighi di due
5.1 Le deduzioni della Regione. La Regione Piemonte allega che I. sia stata inadempiente all’obbligo di effettuare l’investimento esclusivamente in società finanziariamente sane (art. 9.3 Convenzione). Sostiene al riguardo che, sia in base al tenore del contratto, sia in forza dei doveri di correttezza e buona fede che integrano il contenuto negoziale (art. 1374 e 1375 c.c.), il soggetto attuatore era tenuto a verificare la effettiva situazione della società target, e ad accertare la corrispondenza della realtà con la rappresentazione contabile che emergeva dai bilanci. La Regione richiama la consolidata prassi – nota come due diligence – nel settore di acquisizioni di capitale di rischio, che richiede all’investitore una serie di indagini preliminari dirette alla più approfondita conoscenza della società in cui investire. Sostiene che la due diligence richiesta a un investitore professionale debba focalizzarsi su molteplici aspetti: il mercato in cui opera l’azienda e il suo posizionamento; la valutazione degli aspetti economico-finanziari dell’impresa; le problematiche di natura legale; l’analisi degli aspetti legati alla fiscalità. Queste indagini, proprio perché definite da una consolidata prassi del settore, integrerebbero il contenuto del contratto e costituirebbero la misura della diligenza cui è tenuto il mandatario.
5.2 Tipologie e contenuti della due diligence (in genere). Con l’espressione due diligence – mutuata dall’ordinamento dei paesi anglosassoni e ormai comunemente utilizzata, senza traduzione, anche nel nostro ordinamento – ci si riferisce all’attività di investigazione e approfondimento di dati e informazioni relative all’oggetto di una trattativa. Il fine di questa attività è quello di valutare la convenienza di un affare e di identificarne i rischi e le problematiche: sia per negoziare termini e condizioni del contratto, sia per predisporre adeguati strumenti di garanzia, di indennizzo o di risarcimento. Questa attività si può collocare temporalmente in fasi diverse della trattativa: prima, durante o anche dopo la conclusione dell’affare. La due diligence c.d. “precontrattuale” è focalizzata sui profili salienti della negoziazione; solitamente è intrapresa dal potenziale acquirente e viene svolta in contraddittorio e con la collaborazione del venditore. I suoi esiti influiscono in modo diretto e rilevante sulla scelta di concludere l’affare e sulle sue condizioni (incluse le clausole di garanzia). Esiste però anche una due diligence c.d. “post-stipula e pre-closing”, che viene esperita quando già sussiste un vincolo contrattuale che lega le parti, ancorchè non definitivo; in questo caso l’attività di indagine è volta a verificare i dati acquisiti e ad orientare le successive trattative. Infine, la due diligence può essere svolta dopo la conclusione del contratto (c.d. “post-closing”) ed essere orientata, in questo caso, a consentire all’acquirente una più approfondita conoscenza del bene acquisito e a verificare la rispondenza di dati o fatti a quanto garantito dal venditore. E’ importante (per quanto forse ovvio) sottolineare che il soggetto che ha il maggiore interesse allo svolgimento della due diligence è l’acquirente. Ed infatti la prassi conosce le c.d. check-list, cioè l’elenco di informazioni e di dati che il futuro acquirente (direttamente o per il tramite dei suoi professionisti) chiede al venditore di poter consultare. L’omissione della due diligence può essere fonte di responsabilità contrattuale in capo al soggetto che era tenuto a svolgerla. E frequenti sono i casi in cui l’omissione o il negligente svolgimento di questa attività vengono imputati agli amministratori di società per aver (con negligenza o imprudenza) acquisito partecipazioni in capitale di rischio di altri emittenti, che si siano rivelate fonte di danno per la società amministrata.
5.3 La due diligence richiesta nel caso concreto. Nel caso di specie la Regione sostiene che l’attività di due diligence fosse di competenza del soggetto attuatore, rientrando fra le attività dovute in forza dello specifico mandato conferitogli. I. Partecipazioni non contesta che, in virtù degli accordi che la legavano alla Regione (Convenzione del luglio 1999) era tenuta a svolgere una attività di due diligence. Xxxx, implicitamente lo riconosce, perché sostiene di averla effettivamente svolta (e ne dettaglia i contenuti alle
p. 57 e seguenti della comparsa conclusionale); ed afferma di aver individuato, proprio all’esito di questa attività, una società (apparentemente) sana. Si può aggiungere che la due diligence a cui era tenuto il soggetto attuatore era sia di tipo “precontrattuale” che di tipo “post-stipula e pre-closing”. Essa infatti si è svolta sia prima che dopo l’accordo del 28.12.2001 tra Investire Partecipazioni e Iniziativa Piemonte da un lato e Silver Diesse e Xxxxxxxx Xxxxxx dall’altro (doc. 16 attore). Questo accordo costituisce, per un verso, il punto di arrivo della attività di individuazione dell’impresa in cui investire e della verifica (ad opera del soggetto attuatore) circa il possesso, in capo a tale impresa, dei requisiti previsti dalla Convenzione; e, per altro verso, contiene impegni e garanzie finalizzati alla chiusura della trattativa, cioè all’acquisto delle partecipazioni in SEFI. I doveri di verifica e approfondimento del soggetto attuatore dovevano abbracciare anche questa seconda fase. Basti pensare che
l’accordo del 28.12.01 prevedeva l’obbligo dei soci (Silver Diesse e Ciraso) di fornire una situazione patrimoniale, economica e finanziaria di SEFI aggiornata alla data di esecuzione dell’accordo (art. 2.3). I soci garantivano altresì (art. 4.11) che questa situazione patrimoniale, al pari del bilancio SEFI al 31.12.2000, erano “reali, vere e complete” e rispondenti al contenuto delle scritture contabili, a loro volta “complete e regolarmente tenute”. Proprio la previsione di ulteriori attività precedenti la sottoscrizione dell’investimento e l’obbligo assunto dai soci di fornire una situazione patrimoniale aggiornata rendono chiaro che l’attività di due diligence non si poteva arrestare al momento dell’accordo (28.12.2001), ma doveva proseguire fino all’attuazione dell’investimento. I soci infatti garantivano che non vi sarebbero stati “mutamenti nelle condizioni finanziarie, nelle attività e passività, nei ricavi, nelle operazioni o nei rapporti con fornitori e clienti” (art. 4.17); e la situazione patrimoniale che si obbligavano a fornire al momento dell’esecuzione era appunto diretta a verificare questo stato di cose. Essa doveva quindi costituire oggetto di puntuale verifica ad opera del soggetto attuatore.
5.4 (segue): i contenuti della due diligence del soggetto attuatore. Le considerazioni che precedono riguardano il “tipo” di due diligence richiesta o, più esattamente, la sua collocazione temporale rispetto al contratto finale (acquisto di partecipazioni). Occorre ora approfondire quale dovesse essere il contenuto di questa due diligence. Si è detto infatti che l’attività di investigazione, ricerca, verifica può essere molto varia e abbracciare ambiti diversi (mercato di riferimento, situazione finanziaria, contabile, fiscale, legale, …). In difetto di uno specifico accordo fra la Regione e il soggetto attuatore in ordine al tipo di indagini richieste, il contenuto di questa attività
– che, si ribadisce, i convenuti mai hanno contestato di dover svolgere – deve essere determinato interpretando la Convenzione del luglio 1999 e tenendo conto altresì del comportamento tenuto dalle parti successivamente (comportamento che, per quanto riguarda Investire Partecipazioni, traspare principalmente proprio dall’accordo concluso il 28.12.2001 con i soci di SEFI). In questa prospettiva va rilevato che:
• l’art. 11 della Convenzione prevedeva l’obbligo di relazione e informativa sugli investimenti; e richiedeva al mandatario una breve relazione su ciascuna impresa partecipata, in cui dovevano essere indicati “i principali dati e indicatori di bilancio”;
• le garanzie fornite dai soci di XXXX con l’accordo del 28.12.01 riguardavano principalmente la correttezza e verità delle informazioni risultanti dai bilanci e dalle situazioni patrimoniali consegnate agli investitori;
• più in generale, si può dire che le clausole di cui al punto 4 dell’accordo in questione si atteggiano quali “clausole di garanzia”: sono infatti dirette a tutelare gli investitori dal rischio che il valore delle partecipazioni acquisite non risponda a quello che emerge dai documenti contabili esaminati; esse “illuminano” il contenuto della due diligence che il soggetto attuatore doveva svolgere come una indagine essenzialmente mirata sull’aspetto patrimoniale della società target, sulla rispondenza dei dati di bilancio (da cui emergeva una certa patrimonializzazione) alle scritture contabili, sulla regolarità di queste ultime, sulla coerenza fra le varie situazioni patrimoniali sottoposte agli investitori.
Non va poi dimenticato che il soggetto attuatore era un investitore professionale, perfettamente in grado di comprendere e valutare i dati di bilancio, di apprezzarne le manchevolezze e i punti oscuri e di domandare –
cosa che costituisce altra attività caratteristica della due diligence – alla società venditrice i dati e i chiarimenti ritenuti necessari o opportuni.
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Così individuato, nel caso concreto, il contenuto della due diligence, occorre valutare se e in che misura il soggetto attuatore abbia adempiuto a tale obbligo.
6. L’inadempimento
6.1 Premessa. La Regione Piemonte sostiene che I. sia stata inadempiente perché, in violazione della Convenzione (art. 9.3), ha investito in una impresa non finanziariamente sana; e l’ha fatto perché non ha posto in essere la due diligence a cui era tenuta. Occorre quindi anzitutto accertare se SEFI, al momento dell’investimento, fosse una impresa finanziariamente sana; e, in caso negativo, occorre poi verificare se il fatto di aver investito in questa società costituisca un inadempimento del soggetto attuatore.
6.2 Sul quesito affidato al CTU. Prima di affrontare tali questioni è opportuno un chiarimento sulla portata del quesito affidato al CTU. Al perito d’ufficio è stato chiesto di accertare se SEFI “potesse considerarsi, alla data dell’investimento da parte della Regione Piemonte, “impresa finanziariamente sana”, tenendo conto delle prospettive di continuità aziendale e di ogni altro elemento ritenuto rilevante secondo la normale accezione tecnico-economica di questo termine” (punto a del quesito). Gli è stato poi chiesto se “alla luce dei documenti disponibili al 31.10.01, 28.12.014,
14.3.02 fosse rilevabile (all’esame di un operatore professionale) la condizione di SEFI di impresa non finanziariamente sana” (punto b). Il CTU ha correttamente interpretato il quesito nel senso che i punti a), c) richiedono una valutazione oggettiva, sulla base di tutti gli elementi oggi disponibili, in ordine al fatto che SEFI fosse o meno “finanziariamente sana”; i punti b), d) pertengono invece alla valutazione di diligenza del mandatario e chiedono quindi al CTU di valutare se la situazione di impresa non sana potesse essere percepita in base ai documenti all’epoca disponibili, esaminati da un operatore professionale (v. relazione p. 41). Non si condividono quindi le critiche alla relazione (alla stessa interpretazione dei quesiti da parte del CTU) mosse dai consulenti delle parti convenute, i cui rilievi sul punto vanno disattesi. In definitiva: il capo a) del quesito non impone alcun vincolo di indagine circa la conoscibilità dell’effettiva e reale situazione di SEFI; il capo
b) chiede invece al perito di accertare se la situazione effettiva di impresa non sana (qualora esistente) potesse essere accertata da un operatore professionale e sulla base dei documenti disponibili alle date specificamente indicate.
6.3 Sul carattere di “impresa finanziariamente sana” di SEFI. Sul fatto che SEFI, al momento dell’investimento, non fosse una impresa finanziariamente sana, non vi possono essere seri dubbi. Valgano le seguenti considerazioni.
a) I. indica gli accertamenti e le indagini effettuate su SEFI (dà conto quindi della due diligence svolta) e dà conto di una serie di elementi (esperienza di SEFI nel settore merceologico, analisi del fatturato, reputazione del Ciraso, esame dei processi produttivi) tali da giustificare l’affidamento sul fatto che SEFI fosse una impresa finanziariamente sana (si vedano le difese in comparsa di risposta p. 38-44; e quelle in comparsa conclusionale p. 57-68). Poi però riconosce che questa situazione era solo apparente, frutto degli occultamenti, delle falsificazioni e degli artifizi contabili posti in essere dal
Ciraso; e conseguenza della alterazione dei dati di bilancio relativi agli esercizi 1999 e 2000. Ammette dunque di essere stata indotta in errore da queste falsificazioni, che hanno rappresentato una situazione notevolmente diversa da quella reale. Dunque, il cardine della difesa di I. non è che SEFI fosse finanziariamente sana; ma che il soggetto attuatore fosse stato incolpevolmente tratto in inganno dalle falsificazioni e non disponesse degli elementi per accorgersi delle sue reali condizioni. Analoghe difese svolgono gli altri convenuti (F. e IP). Queste difese comportano un sostanziale riconoscimento circa il carattere di società non finanziariamente sana di SEFI.
b) Il concetto di impresa finanziariamente sana, prima ancora che a specifiche indicazioni tecnico-economiche, più o meno autorevoli, provenienti da operatori del settore, ha – secondo la comune percezione del significato di questo termine – un contenuto evidente (tant’è vero che la Convenzione del luglio 1999 non si preoccupava di specificare quando una impresa dovesse considerarsi sana). Questo significato comune può essere sinteticamente colto come assenza di importanti elementi di crisi, che possano mettere a rischio la sopravvivenza dell’impresa o possano imporre mutamenie significativi (e peggiorativi) della sua situazione. Secondo questa “comune accezione”, deve escludersi che possa considerarsi finanziariamente sana una impresa che abbia subito perdite per oltre la metà del capitale sociale. Non perché questa impresa sia necessariamente (o sia prossima a diventare) insolvente; ma perché queste perdite impediscono all’impresa di continuare a operare senza importanti interventi previsti dalla legge (riduzione del capitale e/o ricapitalizzazione). Quando poi – come è accaduto nel caso di SEFI – queste perdite vengano occultate (e, di conseguenza, vengano omesse le misure previste dalla legge), ci si trova davanti a una patologia di per sé incompatibile con la condizione di impresa sana. Questa è esattamente la situazione che si è venuta a creare in SEFI che, all’epoca dell’investimento della Regione, vantava un capitale di 10 miliardi di lire, ma aveva subito e occultato perdite per oltre 5 miliardi.
c) Il CTU, per valutare se SEFI fosse finanziariamente sana, ha fatto riferimento al modello di valutazione della circolare Medio Credito Centrale (MCC) n. 645 del 6.6.2013 (capitolo A parte VI), che richiede di calcolare 4 indici sugli ultimi due bilanci. Gli indici sono: la copertura finanziaria delle immobilizzazioni, la indipendenza finanziaria, la incidenza degli oneri finanziari sul fatturato, la incidenza della gestione caratteristica sul fatturato. Al CTU era stato chiesto di far riferimento al bilancio al 31.12.2000 e alle situazioni patrimoniali al 31.10.01, 28.12.01 e 14.3.02. Queste situazioni – rispetto alle quali è stato emesso a carico dei convenuti ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., sul presupposto che, in base all’accordo del 28.12.01, esse avrebbero dovuto essere fornite dai soci di SEFI agli investitori – non sono state però prodotte dalle parti onerate, che hanno dichiarato di non esserne in possesso. Il perito ha quindi provveduto adeguando pro rata tempore i bilanci al 31.12.01 e al 31.12.02. La conclusione a cui giunge il CTU è che SEFI, alla data dell’investimento (fra ottobre 2001 e marzo 2002), non era una società finanziariamente sana. Inoltre anche la sussistenza di “elevate prospettive di crescita” (altro requisito previsto dalla Convenzione per individuare le società target) erano incerte, per la mancanza di una solidità patrimoniale e finanziaria che potesse supportare adeguatamente la crescita della società. I convenuti hanno contestato il fatto che il CTU abbia preso a riferimento un modello di valutazione che, all’epoca dei fatti, non era stato ancora elaborato (la circolare MCC è dell’anno 2013). Tuttavia non hanno indicato altri,
alternativi modelli di valutazione; e non hanno criticato la validità dei parametri assunti dalla circolare MCC.
6.4 Se la condizione di SEFI potesse e dovesse essere rilevata dal soggetto attuatore. Poiché dunque SEFI non era un’impresa finanziariamente sana, avrebbe dovuto essere esclusa dal novero delle imprese potenzialmente destinatarie degli investimenti (art. 9.3 della Convenzione). Tuttavia i convenuti sostengono che, pur avendo posto in essere la due diligence prevista dalla Convenzione, non hanno potuto (e non avrebbero potuto) percepire le effettive condizioni di SEFI, perché occultate da numerosi artifici e falsificazioni. Ora, richiamate le finalità e le modalità di svolgimento della due diligence come sopra descritte, occorre domandarsi se il soggetto attuatore disponesse, all’epoca in cui ha selezionato SEFI ed effettuato l’investimento, di elementi idonei a verificare che l’impresa non era finanziariamente sana; o comunque se rientrasse fra i suoi doveri di diligenza chiedere agli amministratori di SEFI documenti e informazioni ulteriori dai quali sarebbe stato possibile rilevare le effettive condizioni in cui essa versava. A questa domanda va data risposta positiva alla luce delle considerazioni che seguono.
a) Il bilancio dell’esercizio 2000 di SEFI indica un utile di € 156.783; questo dato tuttavia stride con quanto emerge dal verbale di assemblea dei soci di SEFI al 30.1.2001, in cui veniva accertata una perdita al 30.11.2000 (solo un mese prima della chiusura dell’esercizio) di € 4.894.171. E’ evidente che questo verbale di assemblea era un documento disponibile all’epoca in cui è stata effettuata la due diligence e che il soggetto attuatore avrebbe dovuto aver cura di acquisire. Si concorda con il CTU laddove afferma “è imprescindibile che un operatore professionale, con un incarico analogo a quello ricevuto dal soggetto attuatore, proceda ad un esame approfondito del contenuto dei libri sociali ex art. 2421 c.c.”. La differenza fra la perdita e l’utile era talmente anomala da esigere che ne venisse data immediata e circostanziata giustificazione; e le informazioni chieste e ricevute avrebbero lasciato emergere almeno alcuni fra gli elementi poi evidenziati nella relazione del curatore fallimentare.
b) Il CTU ha dato conto (v. tabella A allegata alla relazione) che negli esercizi 1999, 2000 e 2001 SEFI ha attuato una illecita contabilizzazione dei contributi, indebitamente accreditati in conto economico mentre avrebbero dovuto essere oggetto di risconto passivo pluriennale. Questa contabilizzazione “non sarebbe sfuggita alla lettura dei bilanci, anche superficiale, da parte di un operatore professionale qualificato, con un incarico analogo al soggetto attuatore” (relazione p. 17).
c) In verità l’attenzione del soggetto attuatore avrebbe dovuto essere richiamata anche dalle relazioni ai bilanci 1999 e 2000 da parte del Collegio sindacale di SEFI. Nella prima si evidenziavano “situazioni di forte tensione della liquidità per l’attuale incapacità delle attività correnti di far fronte alle passività correnti”. Il Collegio riteneva tale situazione sanabile attraverso il richiamo dei residui decimi di capitale sociale ancora non versati dopo l’aumento. Tuttavia, nella relazione al bilancio 2000 il Collegio sindacale segnalava che, nonostante l’integrale versamento del capitale, “permangono degni della massima attenzione l’analisi dei margini e degli indici finanziari, che evidenziano situazioni di forte tensione della liquidità per l’incapacità delle attività correnti di far fronte alle passività correnti”. Queste relazioni potevano (dovevano) essere lette ed esaminate dal soggetto attuatore.
d) La relazione del Collegio sindacale al bilancio dell’esercizio 2001 (quello nel corso del quale Investire Partecipazioni ha fatto ingresso in SEFI),
non poteva essere esaminata prima dell’investimento. Essa però lascia emergere situazioni agevolmente rilevate dall’organo sindacale di SEFI nell’ambito dei suoi controlli interni, e che avrebbero dovuto essere colte, nell’ambito della due diligence, anche dal soggetto attuatore. Il Collegio evidenziava infatti “un preoccupante sbilancio finanziario ed un significativo incremento dell’indebitamento in generale rispetto all’esercizio precedente, che ha creato una forte tensione della liquidità, tale da non consentire all’impresa di far fronte alle passività correnti”. E osservava ancora: “Non trova giustificazione alcuna il mancato regolamento del pregresso debito tributario dovuto all’omesso versamento delle ritenute di acconto operate sui compensi di lavoro subordinato e autonomo ammontanti a lire 1.835.912.100”.
e) I convenuti, a sostegno dell’affermazione di aver operato con la diligenza dovuta, richiamano le relazioni sulla situazione contabile di SEFI rilasciate dalla società di revisione Xxxxx Xxxxxxxx. Nella lettera di Investire Partecipazioni alla Regione in data 3.3.09 (doc. 35 attore) la convenuta afferma che “la relazione della società di revisione, espressamente posta a fondamento dell’ingresso di Investire Partecipazioni in Sefi, ha rappresentato un quadro tranquillizzante della società … Investire partecipazioni fu indotta all’ingresso nella Sefi dalla positiva certificazione della società di revisione …”. Ora, se si esaminano le relazioni della Xxxxx Xxxxxxxx alle date 31.10.01 (doc. 21 I.), 28.12.2001 e 12.7.2002 (doc. 22, 23 attore), risulta evidente (perché espressamente dichiarato dal revisore) che le più significative procedure di revisione sono state omesse. La verifica del revisore è stata effettuata “al solo fine di attestare il valore del patrimonio netto” alle date considerate; sono state omesse le procedure di inventario fisico delle immobilizzazioni materiali e delle rimanenze di magazzino; le richieste di conferme saldi e informazioni ai terzi; l’analisi, valutazione e relativi sondaggi riguardanti il ciclo attivo e passivo; la valutazione dei sistemi informativi utilizzati dalla società. Al riguardo pare del tutto condivisibile l’osservazione del CTU, secondo cui: “alla luce delle procedure di revisione omesse, un operatore qualificato – con un incarico analogo a quello ricevuto dal soggetto attuatore – giunge alla conclusione che le relazioni Xxxxx Xxxxxxxx attestano esclusivamente la corrispondenza del bilanci coi saldi della contabilità”.
*
6.5 Conclusioni. In definitiva: la due diligence richiesta al soggetto attuatore doveva avere quale oggetto, almeno principale, i dati dei bilanci e delle situazioni contabili messe a disposizione dalla società SEFI. Il compito del mandatario era quello di esaminare questi documenti con la diligenza di un operatore professionale, onde verificare, per quanto possibile, la verità e correttezza dei dati esposti (e, quindi, della situazione rappresentata dal venditore). I bilanci forniti presentavano anomalie che non sarebbero dovute sfuggire a un operatore qualificato. Queste anomalie risultavano ancor più significative se messe in relazione ad altri elementi che un operatore professionale avrebbe dovuto richiedere e acquisire (ci si riferisce in particolare alle perdite risultanti dal verbale di assemblea del 30.1.01 in relazione all’utile di bilancio al 30.12.00). Se I. avesse esaminato questi documenti avrebbe concluso che SEFI, alla fine dell’anno 2001, non era una impresa finanziariamente sana.
causalità fra l’inadempimento e il danno.
7. Il nesso di
Una volta accertato che SEFI non era un’impresa finanziariamente sana e che questo suo carattere avrebbe dovuto essere rilevato dal soggetto attuatore, non possono esservi dubbi sull’esistenza di rapporto causale fra l’inadempimento di I. e il danno lamentato dalla Regione. Secondo le previsioni della Convenzione (e, ancor prima, del DOCUP) le imprese in cui investire dovevano essere finanziariamente sane; quindi se fosse stato accertato che SEFI non lo era, la Regione non avrebbe acquistato quote del suo capitale (e, quindi, non avrebbe perso il proprio investimento a seguito del fallimento di SEFI). Le difese di I. – secondo cui il mancato investimento in SEFI non comporta che la Regione Piemonte avrebbe oggi conservato, nel proprio patrimonio, un valore pari a € 2.538.752, poiché essa avrebbe potuto trovarsi nella situazione di dover restituire i fondi assegnati per la misura 1.5 del DOCUP – sono manifestamente infondate. La circostanza che le somme perdute a causa dell’inadempimento del soggetto attuatore avrebbero potuto, in via di mera ipotesi, andare perdute per altra ragione, non elide evidentemente il nesso causale fra l’inadempimento e il danno di cui concretamente si discute. Parimenti inconsistente è l’affermazione secondo cui la perdita di valore della partecipazione troverebbe causa non nell’inadempimento di I., ma nel fallimento di SEFI. E’ evidente che senza l’inadempimento di I. la Regione non avrebbe investito alcuna somma in SEFI e non avrebbe quindi subito la perdita di valore del proprio investimento. Perdita peraltro dovuta non al fallimento in quanto tale, ma al fatto che il patrimonio reale di SEFI non corrispondeva a quello risultante dai bilanci (rispetto ai quali era stata valorizzata la partecipazione acquistata dalla Regione).
8. Le eccezioni di responsabilità o corresponsabilità della Regione Piemonte e di rinuncia della
Regione a far valere l’inadempimento: infondatezza.
8.1 L’eccezione di concorso colposo della Regione. Secondo I. la Regione avrebbe condiviso la scelta di investimento in SEFI, poiché essa è sempre stata presente alle riunioni del Comitato tecnico, assumendo in diverse occasioni un ruolo decisionale e di impulso. Queste difese non possono essere condivise. Secondo la Convenzione, le operazioni di investimento dovevano essere valutate e decise dal soggetto attuatore. D’altra parte la stessa ragion d’essere di individuare un operatore professionale sarebbe scarsamente comprensibile se la scelta degli investimenti (e le responsabilità legate a tale scelta) dovessero ricadere sulla stessa Regione. Quanto al Comitato Tecnico, previsto dall’art. 10 della Convenzione, esso è istituito presso il soggetto attuatore con il compito di valutare le operazioni di investimento. Di questo Comitato la Regione non fa parte. Essa ha solo il diritto di far assistere un proprio rappresentante alle riunioni del Comitato. Da nessun elemento risulta che il rappresentante della Regione, oltre a una attività di presa di conoscenza e di controllo, potesse ingerirsi utilmente in valutazioni e decisioni che non facevano capo alla Regione stessa. In definitiva: la partecipazione del rappresentante regionale alle riunioni in cui il Comitato ha deciso l’investimento in SEFI non costituisce sicuramente una condotta colposa rilevante ai sensi dell’art. 1227 c.c. D’altra parte non si vede in che cosa possa consistere la “colpa del creditore”, posto che gli elementi da cui poteva emergere la condizione effettiva di SEFI (di impresa “non sana”) avrebbero dovuto essere acquisiti e valutati esclusivamente dal soggetto
attuatore. Né mai I. ha dedotto che la Regione fosse a conoscenza di specifici elementi da cui una simile situazione avrebbe potuto essere rilevata.
8.2 L’eccezione di rinuncia della Regione a far valere l’inadempimento. Infondato è anche l’assunto secondo cui la Regione, attraverso comportamenti concludenti, avrebbe rinunciato a far valere l’inadempimento di I. e ad avvalersi della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 13 lettera b) della Convenzione nonché ad azionare il risarcimento dei danni. A prescindere dalla fondatezza della domanda di risoluzione – di cui si dirà subito infra – non risulta da alcun documento una condotta concludente e significativa (di tale portata) tenuta dalla Regione. La proroga della Convenzione non assume alcun rilievo, posto che un contratto di durata ben può essere mantenuto in vita senza rinuncia a far valere l’inadempimento alle prestazioni già eseguite. Va anche ricordato che la Convenzione disciplinava tutti gli investimenti effettuati dal soggetto attuatore, non solo quello in SEFI. Da nessuno dei documenti richiamati da I. (verbale di riunione del Comitato Tecnico del 10.10.03, in cui venne decisa la liberazione del deposito cauzionale; lettera della Regione del 21.9.2009) emerge alcuna volontà di abdicare ai propri diritti contrattuali.
9. La domanda di risoluzione della Convenzione 1 luglio 1999: infondatezza.
La Regione chiede pronunciarsi la risoluzione della Convenzione 1 luglio 1999 o, in subordine, la sua risoluzione parziale limitatamente all’investimento effettuato in SEFI, con conseguente condanna dei convenuti alla restituzione della somma di € 2.538.752. Va detto che la Convenzione aveva ad oggetto una attività continuativa del soggetto attuatore che, nel corso del tempo, ha portato alla individuazione di diverse società e alla effettuazione di diversi investimenti da parte della Regione. Ora, una volta che la Regione ha erogato al mandatario le somme per l’acquisto delle partecipazioni, e il mandatario ha versato tali somme alle società partecipate, la prestazione del soggetto attuatore è, rispetto a tali società, del tutto esaurita. A quanto consta, non vi sono allo stato “posizioni aperte”, cioè investimenti in corso di valutazione. Tutte le somme erogate dalla Regione a I. sono state impiegate per dar corso a investimenti ormai conclusi. Le parti danno conto che per altra vicenda (relativa all’investimento nella Sys s.p.a.) si è verificato un diverso inadempimento del soggetto attuatore, consistente nell’aver individuato una impresa operante in zona non compresa fra quelle indicate nel DOCUP. Tuttavia in relazione a questo investimento, la Corte d’Appello (sentenza n. 1593/2014, richiamata dalle parti) ha ritenuto che, una volta effettuata l’erogazione, la posizione di Sys s.p.a. fosse già definita, e non si potesse dunque risolvere la convenzione neppure limitatamente a questo investimento (ritenendo anche irrilevante, a tal fine, la successiva revoca del finanziamento da parte della Commissione Europea). In altri termini: una volta chiarito che la Convenzione costituisce un contratto ad esecuzione continuata, e rilevato che tutte le prestazioni eseguite dalle parti in attuazione della Convenzione sono ormai esaurite, va fatta applicazione dell’art. 1458 c.c., secondo cui nei contratti ad esecuzione continuata o periodica l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite. Non può dunque trovare accoglimento la domanda di risoluzione, neppure limitatamente al singolo investimento di cui qui si tratta.
10. La domanda di
10.1 L’entità dei danni. E’ invece fondata la domanda di risarcimento danni commisurata all’entità delle somme impiegate dalla Regione per l’investimento in SEFI. Va richiamato quanto esposto al punto 7 in ordine al rapporto di causalità fra l’inadempimento agli obblighi di due diligence e il pregiudizio subito dalla Regione. E va ulteriormente evidenziato che i fondi erogati alla Regione per l’attuazione del DOCUP erano funzionali alla realizzazione delle finalità istituzionali di tale ente. Il fatto che, a causa dell’inadempimento, parte di questi fondi siano stati distratti dalla loro destinazione (supporto alle piccole e medie imprese del territorio dotate di certe caratteristiche) comporta un pregiudizio per l’ente regione, indipendentemente e a prescindere dal fatto che la Commissione Europea revochi parzialmente il finanziamento. L’entità del danno subito è quindi pari a quanto erogato al soggetto attuatore per l’investimento in SEFI, e dunque € 2.538.752 (doc. 19 attore).
10.2 Gli interessi. Su questo importo, che è dovuto a titolo di risarcimento danni, sono dovuti gli interessi legali dalla data della domanda; non – come chiesto dall’attore – gli interessi di cui al Reg. CE n. 794/2004, che riguardano il tasso previsto per il recupero degli aiuti di stato.
di F. s.p.a. e di I.P.I. s.r.l.
11.1 Le difese di F.. La convenuta F. s.p.a. ha eccepito la propria carenza di legittimazione attiva (o, più esattamente, di titolarità del rapporto dedotto in giudizio) per aver conferito il ramo d’azienda “Private Equity”, comprensivo della Convenzione 1 luglio 1999, alla società I.P.I. s.r.l., informandone tempestivamente la Regione Piemonte con lettera del 23.12.2008. Sostiene quindi che tutti i rapporti attivi e passivi afferenti alla Convenzione siano proseguiti, a far data da novembre 2008, in capo alla IP. Richiama infatti l’art. 2558 c.c., secondo cui l’acquirente dell’azienda, salvo patto contrario, subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale. Nel caso di specie – secondo F. – poiché la Convenzione con la Regione Piemonte era ancora in essere alla data di cessione dell’azienda, in tale contratto sarebbe subentrata I.P.I. s.r.l. La Regione, alla luce di queste difese del convenuto, pur ribadendo la responsabilità di F., ha chiesto e ottenuto di poter chiamare in giudizio la società IP, ed ha proposto nei suoi confronti le stesse domande, in via alternativa o cumulativa.
11.2 Non applicabilità dell’art. 2558 c.c. Occorre chiarire, in primo luogo, quale fra tali due società debba (astrattamente) rispondere per i fatti dedotti in giudizio. Ora, pur se è vero che al momento della cessione d’azienda da F. a IP la Convenzione del 1 luglio 1999 era ancora in vita (perché era stata prorogata), tuttavia la Regione fa valere un inadempimento che si era già interamente verificato al momento della cessione d’azienda; e aziona un diritto al risarcimento danni che, sempre in tale momento, era già esistente nel suo patrimonio. In altri termini: non si discute qui di dare adempimento alla Convenzione e di individuare il soggetto tenuto a farlo; si tratta invece di vedere chi debba rispondere di un inadempimento precedentemente verificatosi, e che aveva già interamente prodotto i suoi effetti (basti pensare che le attività di due diligence sono state effettuate nel 2001, l’investimento in SEFI è avvenuto nel 2002, il fallimento di tale società è stato dichiarato nel 2004, mentre la cessione d’azienda da F. a IP è dell’anno 2008). Non trova
quindi applicazione l’art. 2558 (successione nei contratti), ma l’art. 2560 c.c., che disciplina la sorte dei debiti relativi all’azienda ceduta; e prevede che dei debiti anteriori al trasferimento risponda l’alienante, salvo che i creditori abbiano consentito alla sua liberazione. E prevede poi che di essi risponda anche l’acquirente se i debiti risultano dai libri contabili obbligatori. Nel caso di specie, poiché è pacifico che la Regione non ha mai liberato F. dal debito di cui si tratta, e poiché non risulta che tale debito risultasse dai libri contabili di
F. al momento della cessione (anzi, è presumibile che non vi risultasse, perché
F. lo ha sempre contestato), della pretesa della Regione deve essere chiamata a rispondere unicamente la s.p.a. F..
11.3 Sulla responsabilità solidale di F.. F. tuttavia contesta la propria responsabilità solidale rispetto alle obbligazioni derivanti dalla Convenzione. Sostiene infatti che l’A.T.I. fra Itainvest e Iniziativa Piemonte fosse di tipo “verticale” o (almeno) di tipo “misto”; e osserva che nelle integrazioni di impresa di questo tipo sussiste una responsabilità solidale delle imprese raggruppate solo per l’effettuazione dell’attività prevalente, mentre per le attività scorporabili l’attività è riferibile esclusivamente all’impresa che la deve effettuare. Nel caso di specie, l’attività principale o prevalente dell’ATI era la ricerca di opportunità di investimento (svolta in comune dalle imprese associate); mentre la responsabilità fatta valere in giudizio dalla Regione deriva dall’inadempimento ad attività “scorporabili e secondarie” di spettanza esclusiva di Italinvest: l’effettuazione delle due diligences per la validazione del business plan dell’azienda in cui investire; l’istruttoria presso il Comitato Tecnico; la negoziazione col terzo dell’operazione di investimento; la definizione dei patti parasociali; il monitoraggio gestionale e finanziario dell’impresa partecipata. Queste difese non sono condivisibili. In primo luogo, perché non è vero che l’attività principale dell’ATI fosse la ricerca di opportunità di investimento. L’ATI era il “soggetto attuatore” della misura 5.1 del DOCUP, che doveva essere attuata attraverso la partecipazione al capitale di rischio di imprese aventi particolari caratteristiche. La Convenzione è – come si è visto sopra – un contratto di mandato (o, almeno, è un contratto misto con gli elementi prevalenti del mandato); e il compito del soggetto attuatore è il compimento di atti giuridici (acquisto di partecipazioni) in nome proprio e per conto del mandante. In secondo luogo, l’ATI fra Itainvest e Iniziativa Piemonte è stata costituita “ai sensi e per gli effetti dell’art. 10 d.lgs. 358/92” (art. 4 dell’atto di costituzione dell’ATI, doc. 1 F.). Tale norma prevede che le imprese raggruppate debbano formulare una offerta congiunta, in cui siano specificate le parti della fornitura di competenza delle singole imprese; e dispone che l'offerta congiunta comporta la responsabilità solidale nei confronti dell'amministrazione di tutte le imprese raggruppate. Ed infatti l’offerta presentata dalle imprese raggruppate (doc. 6 attore) è stata congiunta, senza la previsione di attività scorporate o scorporabili.
*
In definitiva, ferma la possibilità per ciascuna delle imprese raggruppate di far valere nei confronti delle altre gli accordi interni, anche al fine di essere parzialmente manlevata, tuttavia la responsabilità nei confronti del committente (o, come nel caso di specie, del mandante) è solidale. Pertanto, dei danni subiti dalla Regione Piemonte – come sopra accertati e quantificati – devono rispondere in solido I. Partecipazioni s.p.a. e F. s.p.a.
12. Spese del
12.1 Fra Regione Piemonte, I. Partecipazioni e F.. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vanno poste interamente a carico dei convenuti I. Partecipazioni e F. s.p.a. Esse vengono liquidate come segue, sulla base dei parametri di cui al D.M. Giustizia n. 55/2014, tenendo conto della complessità in fatto e in diritto della vicenda e dell’ampiezza e del pregio delle difese svolte:
• fase di studio € 6.000
• fase introduttiva € 4.000
• fase istruttoria € 8.000
• fase decisoria € 10.000
E dunque in totale € 28.000, oltre € 1.600 per spese vive; spese generali, IVA e CPA come per legge.
12.2 Fra Regione Piemonte e IP. Si ritiene di dover interamente compensare le spese fra la Regione e il terzo chiamato I.P.I. s.r.l.: sia perché la sua chiamata si è resa necessaria a causa delle infondate difese di F. in punto titolarità del rapporto; sia perché IP ha proposto, in via preliminare e di merito, una serie di eccezioni (identiche a quelle sollevate da F.) che sono state respinte.
12.3 Spese di CTU. Vanno poste in via definitiva a carico dei convenuti
I. Partecipazioni s.p.a. e F. s.p.a. le spese di CTU, già liquidate con provvedimento del 22.2.2014.
P.Q.M.
Il Tribunale di Torino, definitivamente pronunciando sulla domanda come sopra proposta, così provvede:
dichiara tenute e condanna I. PARTECIPAZIONI SPA e F. SPA, in solido, al pagamento in favore della REGIONE PIEMONTE di € 2.538.752, oltre interessi legali dalla domanda al saldo;
rigetta le domande proposte nei confronti di I.P.I. SRL;
dichiara tenute e condanna I. PARTECIPAZIONI SPA e F. SPA all’integrale rimborso delle spese del giudizio in favore della REGIONE PIEMONTE, liquidandole in € 28.000, oltre € 1.600 per spese vive; spese generali, IVA e CPA come per legge;
compensa interamente le spese fra REGIONE PIEMONTE e I.P.I. SRL;
pone in via definitiva le spese di CTU, liquidate come da provvedimento del 22.2.2014, a carico solidale di I. PARTECIPAZIONI SPA e F. SPA.
Torino, 2 marzo 2015