Contratto di mutuo e non configurabilità dell’usura sopravvenuta
S T U D I O L E G A L E
Osservatorio della giurisprudenza in materia di factoring
N. 4 / 2017
INDICE:
1. Cassazione Civile, SS.UU., 19 ottobre 2017, n. 24675 2
Contratto di mutuo e non configurabilità dell’usura sopravvenuta
2. Cassazione Civile, sez. I, 7 luglio 2017, n. 16850 15
Contratto di factoring e onere probatorio
3. Tribunale di Milano, sez. XII, 6 ottobre 2017, n. 10015 21
Contratto di factoring e recesso
4. Cassazione Civile, sez. I, 2 novembre 2017, n. 26063 27
Cassazione Civile, sez. I, 3 maggio 2017, n. 10721 30
Cessione di crediti e azione revocatoria fallimentare
Osservatorio della giurisprudenza in materia di factoring N. 4 / 2017
1.
Cassazione Civile, SS.UU., 19 ottobre 2017, n. 24675
Contratto di mutuo – Interessi – Usura – Usura sopravvenuta – Non configurabilità
(Codice Civile, art. 1815; Codice Penale, art. 644; L. 7 marzo 1996, n. 108; D.l. 29 dicembre 2000,
n. 394)
Allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della l. 108/1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto.
* * *
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Xxxx. XXXXXXX Xxxxxx - Primo Presidente f.f. -
Xxxx. XXXXXXX Xxxxxxxx - Presidente di Sezione -
Xxxx. XXXXXXXXXXX Xxxxxxx - Presidente di Sezione - Xxxx. XXXXXXXXX Xxxxxx - Consigliere -
Dott. DI XXXXXXXX Xxxx Xxxxx - Xxxxxxxxxxx -
Xxxx. XXXXXXXX Xxxxxx - Consigliere -
Xxxx. XXXXX Xxxxxx - Consigliere -
Xxxx. XXXXXXX Xxxxxx - Xxxxxxxxxxx -
Dott. DE XXXXXX Xxxxx - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente: SENTENZA
sul ricorso 22972/2010 proposto da:
[Società mutuante], in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (omissis), presso lo studio dell’avvocato (omissis), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (omissis) ed (omissis);
- ricorrente -
contro
[Banca], in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in (omissis), presso lo studio dell’avvocato (omissis), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (omissis) ed (omissis);
- controricorrente - avverso la sentenza (omissis) della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il (omissis).
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del (omissis) dal Consigliere Dott. (omissis); udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Xxxx. (omissis), che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso o, in subordine, sollevarsi eccezione di illegittimità costituzionale;
uditi gli avvocati (omissis) e (omissis).
Fatto
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1. La [Società mutuante] convenne in giudizio la [Banca] chiedendo dichiararsi nulla la previsione del tasso d’interesse del 7,75 % fisso semestrale, contenuta nel mutuo decennale di 14 miliardi di lire concluso con la convenuta il 19 gennaio 1990, perché detto xxxxx era superiore al tasso soglia determinato secondo le previsioni dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, in materia di usura, entrata in vigore nel corso del rapporto. Chiese, conseguentemente, la condanna della convenuta al rimborso degli interessi già riscossi, dovendo il mutuo considerarsi gratuito, o comunque al rimborso della parte di tali interessi eccedente il tasso legale o quello ritenuto giusto, nonché al risarcimento dei danni, anche morali, conseguenti al reato di usura commesso dalla banca, rifiutatasi di rinegoziare il tasso a seguito dell'entrata in vigore della Legge n. 108, cit..
La convenuta resistette e il Tribunale di Milano accolse la domanda, condannando la banca al rimborso degli interessi riscossi per la parte eccedente il tasso soglia.
2. La sentenza di primo grado è stata integralmente riformata dalla Corte d’appello su impugnazione della banca soccombente.
Qualificato il rapporto come mutuo fondiario, la Corte ha ritenuto applicabile il D.P.R. 21 gennaio 1976,
n. 7, sulla disciplina del credito fondiario; dal che deriva, a suo giudizio, la legittimità del contratto di mutuo, con la relativa determinazione del tasso d’interesse, e l’assorbimento di ogni altra questione.
3. La [Società mutuante] ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi. La [Banca] si è difesa con controricorso.
Il ricorso è stato assegnato alle Sezioni Unite a seguito dell’ordinanza interlocutoria 31 gennaio 2017, n. 2484 della Prima Sezione, con cui, premessa l’applicabilità della legge n. 108 del 1996 anche ai mutui fondiari, è stato rilevato un contrasto di giurisprudenza, all’interno di quella Sezione, sulla questione – qui rilevante in conseguenza della premessa appena indicata dell’incidenza del sistema normativo antiusura, introdotto dalla richiamata legge, sui contratti stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore, anche alla luce della norma di interpretazione autentica di cui al D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, art. 1, comma 1, conv. dalla Legge 28 febbraio 2001, n. 24.
Le parti hanno anche presentato memorie.
Diritto
1. Con il primo motivo di ricorso, denunciando vizio di motivazione e violazione di norme di diritto, si contesta la qualificazione del mutuo oggetto di causa come fondiario sulla base del solo richiamo, nel contratto, del D.P.R. n. 7 del 1976, cit., a prescindere dall’accertamento dei necessari requisiti oggettivi.
2. Con il secondo motivo, denunciando violazione di norme di diritto e vizio di motivazione, si contesta che, comunque, la qualificazione del mutuo come fondiario comporti l’inapplicabilità delle disposizioni della L. n. 108 del 1996. In base a tali disposizioni si soggiunge - il tasso d’interesse che al momento della pattuizione non ecceda la soglia dell’usura determinata secondo il meccanismo previsto dalla medesima legge, ma che superi poi tale soglia nel corso del rapporto, è comunque illegittimo e comporta la nullità della relativa clausola contrattuale. Il che fa sorgere la necessità di individuare un tasso sostitutivo ai sensi degli artt. 1419 e 1339 c.c., non essendo invocabile la previsione di gratuità del mutuo di cui all’art. 1815, comma 2 - come modificato dalla stessa legge che è esclusa dall’interpretazione autentica di tale isposizione imposta dal D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1, cit. Il tasso sostitutivo va individuato - si conclude - quantomeno in quello meno favorevole al mutuatario, ossia il tasso soglia, come ritenuto dal giudice di primo grado.
3. I due motivi, da esaminare congiuntamente data la loro connessione, non possono trovare accoglimento, anche se la motivazione della sentenza impugnata va corretta nei sensi che seguono (art. 384 c.p.c., u.c.).
3.1. È infatti privo di fondamento - come denunciato nella prima parte del secondo motivo di ricorso - l’assunto, da cui muove la Corte d’appello, che il carattere fondiario del mutuo dispensi dall’osservanza delle disposizioni della richiamata legge n. 108 sull’usura. Basterà osservare, in proposito, che nessuna disposizione o principio normativo (del resto non specificato nella sentenza impugnata) giustifica tale assunto e che non v’è, del resto, alcuna ragione per sottrarre l’importante settore del credito fondiario al divieto di usura e ai meccanismi approntati dalla legge per renderlo effettivo.
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3.2. Conseguentemente il primo motivo di ricorso, attinente alla qualificazione del mutuo come fondiario, è assorbito.
3.3. Il fondamento, però, della prima parte del secondo motivo di ricorso non è sufficiente a far cadere la decisione impugnata, essendo infondata, invece, la seconda parte dello stesso motivo, avente ad oggetto la questione per la quale la Prima Sezione ha ritenuto necessario l’intervento di queste Sezioni Unite. Essa riguarda l’applicabilità o meno delle norme della Legge n. 108 del 1996, ai contratti di mutuo stipulati prima dell’entrata in vigore di quest’ultima e consiste, più precisamente, nel chiarire quale sia la sorte della pattuizione di un tasso d’interesse che, a seguito dell’operatività del meccanismo previsto dalla stessa legge per la determinazione della soglia oltre la quale un tasso è da qualificare usurario, si riveli superiore a detta soglia.
Peraltro la questione della configurabilità di una “usura sopravvenuta” si pone non soltanto con riferimento ai contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge n. 108 del 1996, come nel caso in esame, ma anche con riferimento a contratti successivi all’entrata in vigore della legge recanti tassi inferiori alla soglia dell’usura, superata poi nel corso del rapporto per effetto della caduta dei tassi medi di mercato, che sono alla base del meccanismo legale di determinazione dei tassi usurari: meccanismo basato, appunto, secondo la L. n. 108, art. 2, sulla rilevazione trimestrale dei tassi medi praticati per le varie categorie di operazioni creditizie, sui quali viene applicata una determinata maggiorazione. E si pone, in teoria, con riguardo sia ai tassi contrattuali fissi che a quelli variabili, anche se in pratica sono essenzialmente i primi a fornire la casistica sinora nota, dato che la variabilità consente normalmente di assorbire gli effetti del calo dei tassi medi di mercato. La questione sorse immediatamente all’indomani dell’entrata in vigore della L. n. 108. La giurisprudenza di legittimità iniziò ad orientarsi nel senso dell’applicabilità della legge ai rapporti pendenti alla data della sua entrata in vigore, con conseguenze sul tasso d’interesse contrattuale, sia pure riferite alla sola parte del rapporto successiva a tale data (cfr. Cass. Sez. 3^ 02/02/2000, n. 1126; Cass. Sez. 1^ 22/10/2000, n. 5286; Cass. Sez. 1^ 17/11/2000, n. 14899).
Ciò indusse il legislatore ad intervenire appunto con la già richiamata norma d’interpretazione autentica di cui al D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1, che recita: “Ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p., e dell’art. 1815 x.x., xxxxx 0, xx intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.
Si determinò, quindi, nella giurisprudenza delle sezioni semplici di questa Corte (quasi tutta riferita a contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della L. n. 108 del 1996) il contrasto tra due orientamenti richiamato nell’ordinanza di rimessione.
Un primo orientamento (cfr. Cass. Sez. 3^ 26/06/2001, n. 8742; Cass. Sez. 1^ 24/09/2002, n. 13868; Cass. Sez. 3^ 13/12/2002, n. 17813; Cass. Sez. 3^ 25/03/2003, n. 4380; Cass. Sez. 3^ 08/03/2005, n. 5004; Cass. Sez. 1^ 19/03/2007, n. 6514; Cass. Sez. 3^ 17/12/2009, n. 26499; Cass. Sez. 1^ 27/09/2013,
n. 22204; Cass. Sez. 1^ 19/01/2016, n. 801) dà alla questione della configurabilità dell’usura sopravvenuta risposta negativa. Ciò in quanto la norma d’interpretazione autentica attribuisce rilevanza, ai fini della qualificazione del tasso convenzionale come usurario, al momento della pattuizione dello stesso e non al momento del pagamento degli interessi; cosicché deve escludersi che il meccanismo dei tassi soglia previsto dalla legge n. 108 sia applicabile alle pattuizioni di interessi stipulate in data precedente la sua entrata in vigore, anche se riferite a rapporti ancora in corso a tale data (pacifico essendo, peraltro, nella giurisprudenza di legittimità, che la L. n. 108 del 1996, non può trovare applicazione quanto ai rapporti già esauritisi alla medesima data).
In altre decisioni, al contrario, è stata affermata l’incidenza della nuova legge sui contratti in corso alla data della sua entrata in vigore, omettendo tuttavia di prendere in considerazione la norma d’interpretazione autentica di cui al D.L. n. 394 del 2000, cit.:
- Cass. Sez. 3^ 13/06/2002, n. 8442; Cass. Sez. 3^ 05/08/2002, n. 11706 e Cass. Sez. 3^ 25/05/2004, n. 10032 si sono semplicemente richiamate alla giurisprudenza precedente al decreto legge;
- Cass. Sez. 1^ 25/02/2005, n. 4092; Cass. Sez. 1^ 25/02/2005, n. 4093; Cass. Sez. 3^ 14/03/2013, n. 6550; Cass. Sez. 3^ 31/01/2006, n. 2149 e Cass. Sez. 3^ 22/08/2007, n. 17854 hanno precisato (le prime tre in obiter dicta) che la clausola contrattuale recante un tasso che poi superi il tasso soglia non diviene, in
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conseguenza di tale superamento, nulla, bensì inefficace ex nunc, e tale inefficacia non può essere rilevata d’ufficio;
- Cass. Sez. 1^ 11/01/2013, n. 602 e n. 603 hanno affermato che nei casi di superamento della soglia del tasso usurario per effetto dell’entrata in vigore della L. n. 108, cit., opera la sostituzione automatica, ai sensi dell’art. 1319 x.x., x xxx. 0000 x.x., xxxxx 0, xxx xxxxx xxxxxx del tempo al tasso convenzionale;
- Cass. Sez. 1^ 17/08/2016, n. 17150 sostiene la rilevabilità d’ufficio dell’inefficacia di cui sopra.
Invece Cass. Sez. 1^ 12/04/2017, n. 9405, nell’affermare l’applicabilità del tasso soglia in sostituzione del tasso contrattuale che sia divenuto superiore ad esso, fa espresso riferimento alla richiamata norma d’interpretazione autentica, escludendone però la rilevanza in quanto essa non eliminerebbe l’illiceità della pretesa di un tasso d’interesse ormai eccedente la soglia dell’usura, ma si limiterebbe ad escludere l’applicazione delle sanzioni penali e civili di cui all’art. 644 c.p., e art. 1815 x.x., xxxxx 0, xxxxx restando le altre sanzioni civili.
Quest’ultima tesi riprende in sostanza i contributi di una parte della dottrina, secondo la quale, mentre sarebbe sanzionata penalmente - nonché, nel mutuo, con la gratuità - la pattuizione di interessi che superino la soglia di legge alla data della pattuizione stessa, viceversa la pretesa di pagamento di interessi a un tasso non usurario alla data della pattuizione, ma divenuto tale nel corso del rapporto, sarebbe illecita solo civilmente. Le conseguenze di tale illiceità sono diversamente declinate (nullità, inefficacia ex nunc) nelle varie versioni della tesi in esame, ma comprendono in ogni caso la sostituzione automatica, ai sensi dell’art. 1339 c.c., del tasso contrattuale o con il tasso soglia (secondo una versione), o con il tasso legale (secondo un’altra versione).
3.4. È avviso di queste Sezioni Unite che debba darsi continuità al primo dei due orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati, che nega la configurabilità dell’usura sopravvenuta, essendo il giudice vincolato all’interpretazione autentica dell’art. 644 c.p., e art. 1815 c.c., comma 2, come modificati dalla
L. n. 108 del 1996, (rispettivamente all’art. 1 e all’art. 4), imposta dal D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1, cit.; interpretazione della quale la Corte costituzionale ha escluso la sospetta illegittimità, per violazione degli artt. 3,24,47 e 77 Cost., con la sentenza 25/02/2002, n. 29, e della quale non può negarsi la rilevanza per la soluzione della questione in esame.
È priva di fondamento, infatti, la tesi della illiceità della pretesa del pagamento di interessi a un tasso che, pur non essendo superiore, alla data della pattuizione (con il contratto o con patti successivi), alla soglia dell’usura definita con il procedimento previsto dalla L. n. 108, superi tuttavia tale soglia al momento della maturazione o del pagamento degli interessi stessi.
3.4.1. La ragione della illiceità risiederebbe, come si è visto, nella violazione di un divieto imperativo di legge, il divieto dell’usura, e in particolare il divieto di pretendere un tasso d’interesse superiore alla soglia dell’usura come fissata in base alla legge.
Sennonché il divieto dell’usura è contenuto nell’art. 644 c.p.; le (altre) disposizioni della L. n. 108, cit., non formulano tale divieto, ma si limitano a prevedere (per quanto qui rileva) un meccanismo di determinazione del tasso oltre il quale gli interessi sono considerati sempre usurari a mente, appunto, dell’art. 644 c.p., comma 3, novellato (che recita: “La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”). La L. n. 108, art. 2, comma 4, cit. (che recita: “Il limite previsto dall’art. 644 c.p., comma 3, oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso...”) definisce, sì, il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, ma si tratta appunto del limite previsto dall’art. 644 c.p., comma 3, essendo la norma penale l’unica che contiene il divieto di farsi dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità.
Una sanzione (che implica il divieto) dell’usura è contenuta, per l’esattezza, anche nell’art. 1815 c.c., comma 2, - pure oggetto dell’interpretazione autentica di cui si discute - il quale però presuppone una nozione di interessi usurari definita altrove, ossia, di nuovo, nella norma penale integrata dal meccanismo previsto dalla L. n. 108.
Sarebbe pertanto impossibile operare la qualificazione di un tasso come usurario senza fare applicazione dell’art. 644 c.p.; “ai fini dell’applicazione” del quale, però, non può farsi a meno perché così impone la norma d’interpretazione autentica - di considerare il “momento in cui gli interessi sono convenuti, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.
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Non ha perciò fondamento la tesi che cerca di limitare l’efficacia della norma di interpretazione autentica alla sola sanzione penale e alla sanzione civile della gratuità del mutuo, perché in tanto è configurabile un illecito civile, in quanto sia configurabile la violazione dell’art. 644 c.p., come interpretato dal D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1. E non è fuori luogo rammentare che anche la giurisprudenza penale di questa Corte nega la configurabilità dell’usura sopravvenuta (cfr. Cass. Sez. 5^ pen. 16/01/2013, n. 8353).
Tale esegesi delle disposizioni della L. n. 108, non contrasta, inoltre, con la loro ratio.
Una parte della dottrina attribuisce alla L. n. 108, una ratio calmieratrice del mercato del credito, che imporrebbe il rispetto in ogni caso del tasso soglia al momento del pagamento degli interessi.
Va però osservato che la ratio delle nuove disposizioni sull’usura consiste invece nell’efficace contrasto di tale fenomeno, come si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge e come ha affermato anche la Corte costituzionale nella sentenza sopra richiamata. Il meccanismo di definizione del tasso soglia è basato infatti - lo si è accennato più sopra - sulla rilevazione periodica dei tassi medi praticati dagli operatori, sicché esso è configurato dalla legge come un effetto, non già una causa, dell’andamento del mercato.
Con tale ratio è senz’altro coerente una disciplina che dà rilievo essenziale al momento della pattuizione degli interessi, valorizzando in tal modo il profilo della volontà e dunque della responsabilità dell’agente. Un ulteriore argomento utilizzato dei sostenitori della configurabilità dell’usura sopravvenuta e ripreso anche da Xxxx. Sez. 1^ 9405/2017, cit., è basato su un passaggio della motivazione della richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 29 del 2002, in cui i giudici, dopo avere escluso l’irragionevolezza dell’interpretazione autentica e la sua incompatibilità con il dato testuale, osservano: “Restano, invece, evidentemente estranei all’ambito di applicazione della norma impugnata gli ulteriori istituti e strumenti di tutela del mutuatario, secondo la generale disciplina codicistica dei rapporti contrattuali”. Poiché, si è osservato, tale affermazione non è un mero obiter dictum, bensì parte della ratio decidendi, essa è vincolante per l’interprete e impone di considerare illecita - ancorché non penalmente, né a pena della gratuità del contratto ai sensi dell’art. 1815 x.x., xxxxx 0, - xx xxxxxxx xxx xxxxxxxxx di interessi a un tasso convenzionale divenuto nel tempo superiore al tasso soglia.
Non conta qui approfondire se il passaggio in questione rientri o meno nella ratio della decisione dalla Corte costituzionale. Basterà osservare che esso contiene un’affermazione indubbiamente esatta, ma non contrastante con le conclusioni sopra raggiunte circa la validità ed efficacia della previsione contrattuale di un tasso d’interesse che finisca poi col superare il tasso soglia nel corso del rapporto. È evidente, infatti, che far salva la validità ed efficacia della clausola contrattuale non significa negare la praticabilità di altri strumenti di tutela del mutuatario previsti dalla legge, ove ne ricorrano gli specifici presupposti; significa soltanto negare che uno di tali strumenti sia costituito dalla invalidità o inefficacia della clausola in questione.
Deve perciò concludersi che è impossibile affermare, sulla base delle disposizioni della L. n. 108 del 1996, diverse dall’art. 644 c.p., e art. 1815 c.c., comma 2, come da essa novellati, che il superamento del tasso soglia dell’usura al tempo del pagamento, da parte del tasso convenzionale inferiore a tale soglia al momento della pattuizione, comporti la nullità o l’inefficacia della corrispondente clausola contrattuale o comunque l’illiceità della pretesa del pagamento del creditore.
3.4.2. L’illiceità della pretesa, tuttavia, è stata argomentata da una parte della dottrina anche su basi diverse, ossia valorizzando, piuttosto che il meccanismo della sostituzione automatica di clausole ai sensi dell’art. 1339 c.c., e art. 1419 x.x., xxxxx 0, xx xxxxxxxxx xx xxxxx xxxx oggettiva nell’esecuzione dei contratti, di cui all’art. 1375 c.c., per il quale sarebbe scorretto pretendere il pagamento di interessi a un tasso divenuto superiore alla soglia dell’usura come determinata al momento del pagamento stesso, perché in quel momento quel tasso non potrebbe essere promesso dal debitore e il denaro frutterebbe al creditore molto di più di quanto frutti agli altri creditori in genere.
Benché non sia questa la tesi sostenuta dalla ricorrente, di essa occorre tuttavia darsi carico per completezza.
Neppure detta tesi persuade.
Viene a suo sostegno richiamata la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il principio di correttezza e buona fede in senso oggettivo impone un dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 Cost., per il quale ciascuna delle parti del rapporto è tenuta ad agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a
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prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o da quanto stabilito da singole norme di legge (Cass. Sez. 3^ 30/07/2004, n. 14605; Cass. Sez. 1^ 06/08/2008, n. 21250; Cass. Sez. U. 25/11/2008, n. 28056; Cass. Sez. 1^ 22/01/2009, n. 1618; Cass. Sez. 3^ 10/11/2010, n. 22819).
Va però osservato che la buona fede è criterio di integrazione del contenuto contrattuale rilevante ai fini dell’“esecuzione del contratto” stesso (art. 1375 c.c.), vale a dire della realizzazione dei diritti da esso scaturenti. La violazione del canone di buona fede non è riscontrabile nell’esercizio in sé considerato dei diritti scaturenti dal contratto, bensì nelle particolari modalità di tale esercizio in concreto, che siano appunto scorrette in relazione alle circostanze del caso. In questo senso può allora affermarsi che, in presenza di particolari modalità o circostanze, anche la pretesa di interessi divenuti superiori al tasso soglia in epoca successiva alla loro pattuizione potrebbe dirsi scorretta ai sensi dell’art. 1375 c.c.; ma va escluso che sia da qualificare scorretta la pretesa in sé di quegli interessi, corrispondente a un diritto validamente riconosciuto dal contratto.
3.4.3. Va pertanto enunciato il seguente principio di diritto: “Allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto”.
4. Con il terzo e il quarto motivo di ricorso viene censurata, rispettivamente sotto i profili del vizio di motivazione e della violazione di norme di diritto, la qualificazione data dalla Corte d’appello al mutuo per cui è causa come finanziamento agevolato.
4.1. I motivi sono inammissibili. Tale qualificazione, infatti, non è di per sé rilevante ai fini della decisione sul carattere usurario degli interessi, né sono indicate nel ricorso le ragioni della sua eventuale rilevanza.
5. Il ricorso va in conclusione respinto.
Le oscillazioni giurisprudenziali registrate a proposito della principale questione oggetto del ricorso stesso giustificano la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 luglio 2017. Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2017
* * *
IL CASO
Il caso da cui prende le mosse la sentenza qui in commento concerne una controversia tra una Società ed una Banca. Nel 1990, dette parti hanno concluso un contratto di mutuo fondiario, di durata decennale, con tasso d’interesse pari al 7,75% fisso semestrale. A seguito dell’entrata in vigore della l. 7 marzo 1996, n. 108 (e, dunque, con la riforma della normativa anti-usura), il tasso convenuto è divenuto superiore al tasso soglia di cui all’art. 644 c.p. (novellato dalla anzidetta legge di riforma del 1996). Pertanto, la società ha convenuto in giudizio la Banca chiedendo: il riconoscimento della nullità della clausola contenente il tasso di interessi per usurarietà c.d. sopravvenuta e, conseguentemente, la condanna della Banca al rimborso degli interessi già riscossi (dovendosi il mutuo considerarsi gratuito) o, comunque, al rimborso della parte di tali interessi eccedente il tasso legale o quello ritenuto di giustizia, nonché al risarcimento dei danni (anche morali) conseguenti al reato di usura.
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In primo grado, il Tribunale ha accolto la domanda del mutuante, condannando la Banca al rimborso degli interessi riscossi per la parte eccedente il tasso soglia.
La sentenza di primo grado è stata dipoi integralmente riformata dalla Corte d’Xxxxxxx: qualificato il rapporto come mutuo fondiario, i giudici di secondo grado hanno ritenuto applicabile il D.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7 sulla disciplina del credito fondiario; dal che deriva, a giudizio della Corte d’Xxxxxxx, la legittimità del contratto mutuo, con la relativa determinazione del tasso d’interesse (e l’assorbimento di ogni altra questione).
La Società mutuante ha dunque proposto ricorso per Cassazione (e la Banca si è difesa con controricorso).
Il ricorso è stato assegnato alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria di rimessione (del 31 gennaio 2017) della Prima Sezione della Suprema Corte, con cui – premessa l’applicabilità della l. 7 marzo 1996, n. 108 anche ai mutui fondiari, non essendovi ragioni per sottrarre il settore del credito fondiario al divieto di usura ed ai meccanismi approntati dalla legge per renderlo effettivo – è stato ravvisato un contrasto giurisprudenziale, in seno alla Corte di Cassazione stessa, sulla incidenza del sistema normativo antiusura (introdotto dalla sopra menzionata legge del 1996) sui contratti stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore, anche alla luce della norma di interpretazione autentica di cui alla l. 28 febbraio 2001, n. 241.
La sentenza delle Sezioni Unite in commento è volta appunto a risolvere suddetto contrasto giurisprudenziale.
In sintesi: la clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della legge sull’usura, nonché quella stipulata successivamente per un tasso originariamente non eccedente detta soglia ma successivamente divenuto usurario, non sono affette da nullità o invalidità. In altri termini: non è configurabile (e comunque non rileva dal punto di vista civilistico) la così detta usura sopravvenuta.
COMMENTO
La sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione qui in commento è volta a dirimere un contrasto giurisprudenziale – ormai più che ventennale – concernente l’impatto della normativa anti-usura del 1996 in campo civilistico e, più in dettaglio, la configurabilità e la rilevanza (o meno) della così detta usura sopravvenuta.
Come noto, la l. 7 marzo 1996, n. 1082 ha dettato nuove disposizioni in materia di usura; in particolare (per quanto qui rileva):
(i) Tale legge ha anzitutto novellato l’art. 644 c.p.3; in forza della nuova formulazione, commette il delitto di usura, inter alia, chiunque si faccia dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, “interessi
1 Cass. civ., ordinanza 31 gennaio 2017, n. 2484, in Corr. giur., 2017, 5, 608.
2 Pubblicata in Gazz. Uff., Serie Generale, n. 58 del 9 marzo 1996 - Suppl. Ordinario n. 44.
3 L’art. 1 della legge 7 marzo 1996, n. 108, dispone infatti che:
“1. L’articolo 644 del codice penale e sostituito dal seguente:
“Art. 644 - (Usura) - Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per se o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da lire sei milioni a lire trenta milioni.
Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma procura a taluno una somma di denaro od altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario.
La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari.
Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria.
Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito. Le pene per i fatti di cui al primo e secondo comma sono aumentate da un terzo alla metà: 1) se il colpevole ha agito nell’esercizio di una attività professionale, bancaria o di intermediazione finanziaria mobiliare; 2) se il colpevole ha richiesto in
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usurari” o altri vantaggi come corrispettivo di una prestazione di denaro o di altre utilità4. Ai fini della consumazione del reato, è dunque necessario che gli interessi5 (o i vantaggi) siano “usurari”. La riforma del 1996 specifica altresì quando gli interessi sono senz’altro usurari: gli interessi sono “sempre usurari” (a mente del terzo comma dell’art. 644 c.p., come novellato dalla riforma del 1996) qualora superino una soglia definita per legge6; ed è la stessa legge del 1996 che, all’art. 2, identifica tale soglia di usurarietà (ossia il c.d. tasso soglia) nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà7.
(ii) La l. 108/1996 ha altresì introdotto rilevanti modifiche alla disciplina civilistica in tema di mutuo, aggiungendo un comma (l’attuale secondo comma) all’art. 1815 c.c., che sanziona con la nullità ogni clausola che preveda interessi usurari (specificando altresì che qualora siano contrattualmente previsti interessi usurari, “non saranno dovuti interessi”)8.
Sin dai primi anni di vigenza, la l. 108/1996 è stata fonte di accese dispute dottrinali ed oggetto di rilevanti dubbi interpretativi ed applicativi. In particolare, dottrina e giurisprudenza hanno ampiamente dibattuto circa la applicabilità o meno della nuova normativa ai contratti stipulati precedentemente al 1996 e che siano ancora in corso di svolgimento9.
garanzia partecipazioni o quote societarie o aziendali o proprietà immobiliari: 3) se il reato è commesso in danno di chi si trova in stato di bisogno;
4) se il reato è commesso in danno di chi svolge attività imprenditoriale, professionale o artigianale; 5) se il reato è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale durante il periodo previsto di applicazione e fino a tre anni dal momento in cui è cessata l’esecuzione.
Nel caso di condanna, o di applicazione di pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti di cui al presente articolo, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni ed utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari, salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento dei danni”.
2. L’articolo 644-bis del codice penale è abrogato.”
4 Quella sopra descritta (che rappresenta la fattispecie delittuosa rilevante ai fini del presente commento) è una delle due forme di usura previste dall’art. 644 c.p., ossia la c.d. “prestazione usuraria”. Solo a fini di completezza, va ricordato che l’art. 644 c.p. dispone (al secondo comma) una ulteriore forma di condotta usuraria (la c.d. “mediazione usuraria”), consistente nel procurare a taluno una somma di denaro o altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, un “compenso usurario”.
5 Sulla tipologia degli interessi rilevanti e che, pertanto, debbono essere sottoposti al controllo di usurarietà (e, in particolare, sulla cumulabilità o meno degli interessi corrispettivi con quelli moratori), si veda questo Osservatorio, n. 1/2017, 34 ss.
6 Delle ragioni della scelta del Legislatore di porre una soglia oltre cui gli interessi son da considerarsi senz’altro usurari (novità della riforma del 1996) vi è più che cospicua traccia nei lavori preparatori, nel corso dei quali l’innovazione fu giustificata al fine di: “indicare criteri oggettivi per l’individuazione del reato” (v. II Commissione Giustizia del Senato, seduta del 14 settembre 1995); “fornire agli operatori del settore un ben preciso punto di riferimento” (v. II Commissione Giustizia del Senato, seduta del 24 gennaio 1996).
7 Lo stesso art. 644 c.p. chiarisce che sono usurari anche gli interessi inferiori alla soglia di usurarietà stabilita dalla legge, nonché gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi versi in condizioni di difficoltà economica o finanziaria. È pertanto qualificabile come usura anche una mera sproporzione del rapporto sinallagmatico, purché la vittima si trovi in una situazione economica difficile.
8 Come risulta chiaramente dai lavori preparatori della suddetta legge, la modifica dell’art. 1815 c.c. è stata essenzialmente dettata da due esigenze: (i) da un lato, quella di rafforzare gli strumenti di tutela contro il fenomeno dell’usura, attraverso una norma di contenuto afflittivo; (ii) dall’altro, quella di privilegiare l’esigenza di conservazione del contratto ed evitare la declaratoria di nullità, che avrebbe, altrimenti, imposto al mutuatario l’immediata restituzione del capitale percepito aggravando, così, la posizione proprio del soggetto bisognoso di tutela.
9 A livello giurisprudenziale, in una fase iniziale, sembra emergere l’orientamento favorevole all’applicazione della legge di riforma del 1996 anche ai contratti stipulati prima della sua entrata in vigore, limitatamente alle obbligazioni non ancora eseguite. In particolare, secondo tale orientamento, il momento consumativo dell’illecito andrebbe individuato nella riscossione degli interessi e non quello della stipula del contratto (ciò si evincerebbe anche dall’’art. 644 ter c.p., in base al quale la prescrizione del reato di usura decorre dal giorno dell’ultima riscossione sia degli interessi che del capitale). In tal senso, x. Xxxx. civ., 2 aprile 2000, n. 5286, in Banca borsa tit. cred., II, 2000, 620 (con nota di DOLMETTA, Le prime sentenze della Cassazione
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Il dubbio sopra citato rappresenta una delle possibili declinazioni della c.d. usura sopravvenuta: l’ipotesi, appunto, in cui un contratto stipulato prima della riforma del 1996 preveda interessi che, a seguito dell’entrata in vigore della l. 108/1996, superando la soglia di legge, diventino usurari. Analoghe riflessioni, come meglio infra riferito, sono riscontrabili con riferimento ad una seconda declinazione di usura sopravvenuta: l’ipotesi dei contratti di mutuo successivi al 1996 che prevedano interessi originariamente infra-usurari ma che – a seguito dell’abbassamento dei tassi d’interesse e, pertanto, della soglia di usurarietà rilevata trimestralmente – diventino ultra-usurari10.
Considerate la rilevanza della problematica sopra riferita e le importanti ricadute pratiche della sua soluzione11, il Legislatore è intervenuto con una norma di interpretazione autentica, ossia il D.l. 29 dicembre 2000, n. 39412, convertito nella l. 28 febbraio 2001, n. 2413. Detta normativa di interpretazione autentica dispone tra l’altro che “ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento” (art. 1; enfasi aggiunta). Su questa disposizione è intervenuta la Corte Costituzionale (con la sentenza del 25 febbraio 2002, n. 29), riconoscendone la legittimità costituzionale14.
Si potrebbe immaginare che la normativa di interpretazione autentica (riconosciuta costituzionalmente legittima dalla Corte Costituzionale) abbia chiarito ogni profilo di dubbio in tema di conseguenze civilistiche del superamento
civile in materia di usura ex lege n. 108/1996). L’Autore, ai fini della individuazione del tempo della valutazione di usurarietà, reputa rilevante non il momento della stipulazione né quello della dazione, bensì quello della maturazione degli interessi.
Sulla medesima sentenza, v. altresì nota (critica) di XXXXXXX, Xxxxx sopravvenuta e tutela del debitore, in Riv. not., 2000, 1445. L’Autore, esprimendo non poche perplessità sull’utilizzo del meccanismo di sostituzione automatica operato dalla Cassazione, afferma tra l’altro che “ammessa, quindi, con ogni riserva, la nullità sopravvenuta parziale del contratto di mutuo, essa discenderebbe, secondo la Cassazione, dalla violazione dell’art. 1815, comma 2, c.c. Sennonché, invece di applicare poi tale norma, che prevede quale sanzione la eliminazione della clausola usuraria e la non debenza di alcun interesse, si richiamano gli artt. 1339 e 1419, comma 2, c.c. con un vero e proprio salto logico”.
Per un inquadramento di più ampio respiro delle varie posizioni inizialmente sostenute, ex multis, v. QUADRI, Usura (diritto civile), in Enc. giur. Treccani, XXXII, 1999, 5.
10 Sulle diverse declinazioni di usura sopravvenuta, v. in particolare SALVI, L’usura sopravvenuta al vaglio delle Sezioni Unite tra negazionismo e correzione del contratto, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2017, 797; nonché DOLMETTA, Al vaglio delle Sezioni Unite l’usura sopravvenuta, in xxx.xxxxxx.xx, 28 febbraio 2017, 2.
Per completezza, va segnalato che a tali due declinazioni della usura sopravvenuta – prese frequentemente in considerazione sia in dottrina sia in giurisprudenza (incluso nella sentenza delle Sezioni Unite qui in commento) – alcuni Autori aggiungono altresì anche altre fattispecie, altre ipotesi, quali quella dell’improvvisa moltiplicazione delle spese concretamente caricate sul rapporto in opera, o l’ipotesi del crescere incontrollato di commissioni (in tal senso, x. XXXXXXXX, Al vaglio delle Sezioni Unite l’usura sopravvenuta, cit., 2).
11 Come è stato osservato, gli effetti dell’applicazione della normativa del 1996 ai contratti di finanziamento in corso rischiavano di rendere l’intero mercato creditizio instabile (sul punto, x. XXXXX, L’usura sopravvenuta al vaglio delle Sezioni Unite tra negazionismo e correzione del contratto, in La nuova giurisprudenza civile commentata, cit., 797).
12 Pubblicato in Gazz. Uff., Serie Generale, n. 303 del 30 dicembre 2000.
13 Pubblicata in Gazz. Uff., n. 49 del 28 febbraio 2001.
14 Su tale sentenza, in dottrina, in particolare x. XXXXXXXX, Al vaglio delle Sezioni Unite l’usura sopravvenuta, cit., 4. Secondo l’Autore, tra l’altro, la Corte Costituzionale avrebbe chiarito, nelle motivazioni di tale sentenza, che la norma dell’art. 1, l. 24/2001 si occupa solo delle sanzioni che sono state “inasprite” dalle normativa generale della l. 108/1996.
Per completezza, va segnalato che la Corte Costituzionale ha, tra l’altro, rilevato che: “restano evidentemente estranei all’ambito di applicazione della norma impugnata gli ulteriori istituti e strumenti di tutela del mutuatario, secondo la generale disciplina codicistica dei rapporti contrattuali”. Nell’interpretare questo passaggio della sentenza, il Collegio di Coordinamento ABF (10 gennaio 2014, n. 77), ha osservato: “si deve assumere che la norma [dell’art. 1 l. n. 24 del 2001] è conforme alla Costituzione nei limiti in cui non pregiudichi l’esperibilità di altri rimedi civilistici posti a tutela della posizione del mutuatario, diversi dalla nullità di cui all’art. 1815, comma 2 c.c.”.
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dei tassi usurari. Così non è stato. Difatti, in giurisprudenza – incluso in quella, anche recente, della Corte di Cassazione (chiamata a valutare prevalentemente casi di contratti precedenti al 1996 e di superamento della soglia usuraria a seguito dell’entrata in vigore della legge di riforma) – sono individuabili, anche successivamente alla suddetta normativa, due orientamenti contrastanti15 e in particolare:
(i) un orientamento contrario alla configurabilità e rilevanza dell’usura sopravventa; secondo tale orientamento, la norma di interpretazione autentica attribuirebbe rilevanza, ai fini della qualificazione del tasso convenzionale come usurario, al momento “genetico” del contratto (e dunque al momento della sottoscrizione del contratto di mutuo) e non a quello “funzionale” (ossia al momento del pagamento, o della maturazione degli interessi); conseguentemente, viene escluso che il meccanismo di cui alla l. 7 marzo 1996, n. 108 sia applicabile alle pattuizioni di interessi stipulate in data precedente alla sua entrata in vigore16;
(ii) un orientamento (eterogeneo) che, al contrario, attribuisce rilevanza all’usura sopravvenuta; in particolare
– come pure ricostruito dalle Sezioni Unite nella sentenza qui in commento – sono individuabili diverse soluzioni:
⮚ alcune pronunce si sono semplicemente richiamate alla giurisprudenza precedente alla normativa d’interpretazione autentica17;
⮚ secondo altre pronunce, la clausola recante un tasso che poi superi il tasso soglia non diverrebbe nulla (in conseguenza di tale superamento), bensì inefficace ex nunc18;
⮚ secondo altre ancora, nei casi di superamento della soglia usuraria per effetto dell’entrata in vigore della legge di riforma del 1996 vi sarebbe la sostituzione automatica (ex artt. 1319 e 1419 c.c.) del tasso di soglia del tempo al tasso convenzionale19;
⮚ una recente pronuncia – secondo cui sarebbe applicabile il tasso soglia in sostituzione del tasso contrattuale divenuto superiore ad esso – richiama la normativa di interpretazione autentica di cui sopra, escludendone la rilevanza (in quanto essa non eliminerebbe l’illiceità della pretesa di un tasso d’interesse ormai eccedente la soglia dell’usura, ma si limiterebbe ad escludere l’applicazione delle sanzioni penali e civili di cui all’art. 644 c.p., e art. 1815 x.x., xxxxx 0, xxxxx restando le altre sanzioni civili)20.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte – con funzione nomofilattica e con l’autorità (e autorevolezza) loro propria
– aderiscono all’orientamento sub (i); in estrema sintesi, le Sezioni Unite negano la configurabilità dell’usura
15 Per una disamina (recente ed aggiornata) delle argomentazioni dei due indirizzi, ex multis, x. XXXXX, L’usura sopravvenuta al vaglio delle Sezioni Unite tra negazionismo e correzione del contratto, cit., 797; DOLMETTA, L’usura sopravvenuta in Cassazione, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx.
16 Cass. civ., 19 gennaio 2016, n. 801, in Rep. Xxxx xx., 0000 (xxxx “Usura”, n. 18); Cass. civ., 27 settembre 2013, n. 22204, in
Foro it., 2014, 1, 128; Cass. civ., 19 marzo 2007, n. 6514, in Giust. civ., 2008, 10, I, 2252; Cass. civ., 25 marzo 2003, n. 4380, in
Giust. civ. Mass., 2003, 600; Cass. civ., 13 dicembre 2002, n. 17813, in Giust. civ. Mass., 2002, 2188; Cass. civ., 24 settembre 2002,
n. 13868, in Giust. civ. Mass., 2002, 1707; Cass. civ., 26 giugno 2001, n. 8742, in Giust. civ., 2002, 116. Come sopra accennato, tale orientamento risulta essersi formato prevalentemente su fattispecie consistenti in contratti stipulati prima della riforma del 1996.
17 Cass. civ., 25 maggio 2004, n. 10032, in Obbligazioni e contratti, 2005, 14; Cass. civ., 13 giugno 2002, n. 8442, in Giust. civ., 2002, I, 2109. Secondo tali pronunzie, l’inefficacia non sarebbe rilevabile d’ufficio. Secondo altre pronunce, invece, tale inefficacia sarebbe rilevabile d’ufficio (x. Xxxx. civ., 17 agosto 2016, n. 17150, in xxx.xxxxxx.xx, 27 ottobre 2016).
18 Cass. civ., 14 marzo 2013, n. 6550, in Guida al diritto, 2013, 23, 54; Cass. civ., 25 febbraio 2005, n. 4092 e n. 4093, in Giust.
civ. Mass., 2005, 4.
19 Cass. civ., 11 gennaio 2013, n. 602 e n. 603, in Foro it., 2014, 1, 128.
20 Cass. civ., 12 aprile 2017, n. 9405, in Giust. civ. Mass., 2017, 194.
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sopravvenuta, sull’assunto che il giudice è vincolato all’interpretazione autentica imposta dal sopra citato D.l. 29 dicembre 2000, n. 394 (secondo cui, ai fini dell’applicazione degli artt. 644 c.p. e 1815 c.c., rileva il momento in cui gli interessi sono promessi o convenuti, e non quello del pagamento o della maturazione).
Giova sottolineare che, come espressamente specificato dalla Corte stessa, la questione della configurabilità o meno dell’usura sopravvenuta (e dei conseguenti effetti in campo civilistico) si pone – così come il principio espresso dalle Sezioni Unite vale – non soltanto con riferimento ai contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della riforma del 1996 (come nel caso sottoposto alla Corte), ma anche con riferimento a contratti successivi all’entrata in vigore della stessa recanti tassi inferiori alla soglia dell’usura, superata poi nel corso del rapporto per effetto della caduta dei tassi medi di mercato (che sono alla base del meccanismo legale di determinazione dei tassi usurari: meccanismo basato, appunto, sulla rilevazione trimestrale dei tassi medi praticati per le varie categorie di operazioni creditizie).
Con riferimento dunque ad entrambe tali declinazioni dell’usura sopravvenuta, è ritenuto dalle Sezioni Unite che sia priva di fondamento la tesi dell’illiceità della pretesa del pagamento di interessi ad un tasso che, pur non essendo superiore alla data della pattuizione alla soglia dell’usura, superi tuttavia tale soglia al momento della maturazione o del pagamento degli interessi stessi.
La ragione di tale posizione, come sopra accennato, risiede essenzialmente in quanto disposto dal D.l. 29 dicembre 2000, n. 394, ossia nella norma di interpretazione autentica sopra richiamata che, come riferito, specifica che si debbano intendere usurari gli interessi che superano il limite normativamente fissato nel momento “genetico” (ossia nel momento in cui essi sono promessi o convenuti) e non in quello “funzionale” (ossia al momento del loro pagamento o della loro maturazione).
Nella motivazione della decisione, la Suprema Corte – anche nella prospettiva di confutare l’opposta corrente giurisprudenziale – constata che i sostenitori della configurabilità e rilevanza civilistica dell’usura sopravvenuta fanno discendere l’illiceità della pretesa del pagamento di interessi (ad un tasso originariamente non usurario e divenuto successivamente usurario) dalla violazione di un divieto imperativo di legge, il divieto di usura (e, in dettaglio, il divieto di pretendere un tasso di interessi superiore al tasso soglia come determinato in base alla legge). Viene però osservato che tale divieto è, in realtà, disposto esclusivamente dall’art. 644 c.p. (come novellato dalla riforma del 1996): né le altre disposizioni della l. 108/1996 concernenti la soglia usuraria (che, appunto, si limitano a fissare un meccanismo di determinazione di un tasso soglia oltre cui gli interessi sono sempre usurari) né l’art. 1815, comma 2, c.c. (che presuppone la nozione di interessi usurari definita nella norma penale) sanciscono il divieto di usura21. Tale divieto, pertanto, è posto soltanto ed esclusivamente dall’art. 644 c.p.
Sarebbe dunque impossibile operare la qualificazione di un tasso come usurario senza fare applicazione dell’art. 644 c.p.; ai fini dell’applicazione del quale, però, la norma di interpretazione autentica impone di considerare il momento in cui gli interessi sono convenuti, indipendentemente dal momento del loro pagamento (ovvero – come è stato osservato22 – della loro maturazione).
21 In altri termini, le Sezioni Unite rilevano che, a parte il novellato art. 644 c.p., le altre norme antiusura di cui alla l. 7 marzo 1996, n. 108 non formulano il divieto di usura, ma si limitano a prevedere un meccanismo di determinazione del tasso soglia (che richiama, appunto, l’art. 644, terzo comma, c.p.) ovvero dettano specifiche conseguenze in caso di superamento della soglia usuraria.
22 Cfr. sul punto DOLMETTA, Le prime sentenze della Cassazione civile in materia di usura ex lege n. 108/1996, cit., 620.
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Sulla base di tale argomentazione, la Suprema Corte – richiamata l’opposta corrente giurisprudenziale al fine di confutarla e superarla – sottolinea che “non ha perciò fondamento la tesi che cerca di limitare l’efficacia della norma di interpretazione autentica alla sola sanzione penale e alla sanzione civile della gratuità del mutuo, perché in tanto è configurabile un illecito civile, in quanto sia configurabile la violazione dell’art. 644 c.p., come interpretato dal D.l. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1”23.
Posto dunque che un contratto di mutuo con interessi (originariamente non usurari o infra-usurari ma) divenuti ultra-usurari nel corso dell’esecuzione del rapporto non è, di per sé, nullo o inefficace, la Corte di Cassazione non esclude – e anzi fa espressamente salva – la validità ed efficacia degli altri strumenti di tutela del mutuatario previsti dalla legge, ove ne ricorrano gli specifici presupposti. In dettaglio. Richiamatasi ad un passaggio della sopracitata sentenza della Corte Costituzionale24 – nel quale quest’ultima (dopo avere escluso l’irragionevolezza dell’interpretazione autentica operata dal D.l. 29 dicembre 2000, n. 394 nonché la sua incompatibilità con il dato testuale) osserva che “restano, invece, evidentemente estranei all’ambito di applicazione della norma impugnata gli ulteriori istituti e strumenti di tutela del mutuatario, secondo la generale disciplina codicistica dei rapporti contrattuali” – le Sezioni Unite, ritenuto tale passaggio in linea con la sentenza in commento, specificano che “far salva la validità ed efficacia della clausola contrattuale non significa negare la praticabilità di altri strumenti di tutela del mutuatario previsti dalla legge, ove ne ricorrano gli specifici presupposti; significa soltanto negare che uno di tali strumenti sia costituito dalla invalidità o inefficacia della clausola in questione” (enfasi aggiunta).
Il riferimento agli “ulteriori strumenti di tutela del mutuatario previsti dalla legge” (senza che tali strumenti siano espressamente individuati) sembra poter rappresentare uno dei possibili – limitati – spazi di apertura interpretativa lasciati dalle Sezioni Unite.
Un secondo spazio interpretativo pare essere rappresentato dal principio di buona fede oggettiva, nei limiti – invero piuttosto angusti – specificati dalla Suprema Corte, come di seguito riferiti. In tal riguardo, la Suprema Corte respinge anzitutto l’orientamento giurisprudenziale25 secondo cui l’illiceità della pretesa deriva – non tanto e non solo dal combinato tra gli artt. 644 c.p. e 1815 c.c., ovvero dal meccanismo della sostituzione automatica di clausole ai sensi degli artt. 1339 e art. 1419 c.c., quanto piuttosto – dal principio di buona fede oggettiva nell’esecuzione dei contratti, di cui all’art. 1375 c.c.; però, contemporaneamente, le Sezioni Unite sembrano concedere una qualche (limitata) apertura in tal proposito: “La violazione del canone di buona fede non è riscontrabile nell’esercizio in sé considerato dei diritti scaturenti dal contratto, bensì nelle particolari modalità di
23 In tal proposito, le Sezioni Unite richiamano inter alia la giurisprudenza penale della Corte di Cassazione medesima, che nega la configurabilità dell’usura sopravvenuta (in particolare, x. Xxxx. pen, 16 gennaio 2013, n. 8353, in Infoutet, 2013).
24 Xxxxx Xxxxxxxxxxxxxx, x. 00 del 2002, cit.
25 Cass. civ., SS.UU., 25 novembre 2008, n. 28056, in Foro it., Rep., 2008; Cass. civ., 10 novembre 2010, n. 22819, in Resp. Civ.,
2011, 333; Cass. civ., 22 gennaio 2009, n. 1618, in Giust. civ. Mass., 2009, 1, 100; Cass. civ., 6 agosto 2008, n. 21250, in Giur.
comm., 2010, II, 229; Cass. civ., 30 luglio 2004, n. 14605, in Giur. it. Mass., 2004.
Secondo tale orientamento, il principio di correttezza e buona fede in senso oggettivo nell’esecuzione dei contratti (di cui all’art. 1375 c.c.) – che impone un dovere di solidarietà (fondato peraltro sull’art. 2 Cost.) per il quale ciascuna delle parti del rapporto è tenuta ad agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o da quanto stabilito da singole norme di legge – porta a ritenere scorretto il pretendere il pagamento di interessi ad un tasso divenuto superiore alla soglia usuraria come determinata al momento del pagamento stesso, perché in quel momento quel tasso non potrebbe essere promesso dal debitore ed il denaro frutterebbe al creditore di più di quanto frutti agli altri creditori in genere.
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tale esercizio in concreto, che siano appunto scorrette in relazione alle circostanze del caso. In questo senso può allora affermarsi che, in presenza di particolari modalità o circostanze, anche la pretesa di interessi divenuti superiori al tasso soglia in epoca successiva alla loro pattuizione potrebbe dirsi scorretta ai sensi dell’art. 1375 c.c.; ma va escluso che sia da qualificare scorretta la pretesa in sé di quegli interessi, corrispondente a un diritto validamente riconosciuto dal contratto” (enfasi aggiunta).
Senz’altro, la sentenza delle Sezioni Unite ha il pregio di individuare con chiarezza, tra gli orientamenti riscontrabili a livello giurisprudenziale, quello ad oggi ritenuto il preferibile26. Va segnalato che, tra i primi commentatori, alcuni si sono espressi in senso critico sulla posizione assunta dalle Sezioni Unite27. È ipotizzabile che – fermo il ruolo e l’autorevolezza delle Sezioni Unite – il dibattito (a livello dottrinale e forse anche giurisprudenziale) si possa concentrare prevalentemente sui limitati spazi di apertura concessi all’interprete dalla sentenza qui in commento, come da ultimo segnalati.
Avv. Xxxxxxxx Xxxxxxxxx
xxxxxxxx.xxxxxxxxx@xxxxxxxxxxxx.xx
Dott.ssa Xxxxxxxxxx Xxxxxxx
xxxxxxxxxx.xxxxxxx@xxxxxxxxxxxx.xx
26 Alcuni tra i primi commentatori ad oggi espressisi sulla sentenza delle Sezioni Unite hanno plaudito il nitore argomentativo e la inequivocità della pronuncia. Tra gli altri, x. XXXXXX, Le Sezioni Unite ed il tramonto della “usura sopravvenuta”, in Dir. Civ. cont., anno IV, numero IV, ottobre/dicembre 2017; in tal direzione sembra orientato pure SCALERA, Le sezioni unite negano l’usurarietà sopravvenuta, in Il Quotidiano giuridico, Sezione Commerciale – Contrasti giurisprudenziali, 20 ottobre 2017. Neutro ed oggettivo (e comunque non critico) pare XXXXXXXX, Per le Sezioni Unite non c’è spazio per l’usura sopravvenuta: rileva soltanto il momento della pattuizione, in Diritto&Giustizia, 2017, 166, 11.
27 RICCIO, La portata eversiva della sentenza a Sezioni Unite che nega l’usurarietà sopravvenuta. È abrogato l’art. 644 e 644ter? La sussistenza dell’usurarietà originaria nel mutuo e nel contratto di conto corrente, in DeJure, 2017, 2. Autorevolmente – e quasi “profeticamente” (avendo l’Autore, all’indomani dell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, ma prima della sentenza stessa, già individuato i possibili limiti della soluzione poi effettivamente adottata dalle Sezioni Unite) – DOLMETTA, Al vaglio delle Sezioni Unite l’usura sopravvenuta, cit., 2.
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2.
Cassazione Civile, sez. I, 7 luglio 2017, n. 16850
Factoring – Definizione – Contratto atipico – Cessione crediti
(L. 21 febbraio 1991, n. 52)
Il factoring è un contratto atipico complesso, il cui nucleo fondamentale prevede sempre un accordo in forza del quale un’impresa specializzata (il factor) si obbliga ad acquistare (pro soluto o pro solvendo), per un periodo di tempo determinato e rinnovabile salvo preavviso, la totalità o una parte dei crediti di cui un imprenditore è o diventerà titolare; in esso è di regola prevista la facoltà del factor di pagare all’imprenditore i crediti ceduti secondo il loro importo nominale, decurtato di una commissione che costituisce il corrispettivo dell’attività da esso prestata, oppure gli concede delle anticipazioni sui crediti ceduti, nel qual caso spettano al factor, oltre alla commissione, anche gli interessi sulle somme anticipate.
Factoring – Anticipazioni – Onere probatorio creditore – Prova certa
(Codice Civile, art. 2697)
La anticipazioni versate dal factor si collocano non già dal versante del fatto modificativo, impeditivo o estintivo della pretesa creditoria, ai sensi dell’art. 2697, comma 0, x.x., xxxxx xxx xxxxx xxxxxxxxxxx xx xxxx, con l’ulteriore conseguenza che la relativa prova grava sul factor, a fronte della contestazione della pretesa creditoria spiegata dalla società creditrice cedente, senza che quest’ultima fosse in proposito onerata della formulazione di un’eccezione in senso stretto, ossia di una eccezione per la quale la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte ovvero in cui il fatto integratore dell’eccezione corrisponda all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio solo da parte del titolare.
* * *
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Xxxx. XXXXXXXX Xxxxxxxxx - Presidente -
Xxxx. XXXXXXXX Xxxxxxxxx Xxxxxxx - Xxxxxxxxxxx - Xxxx. DI XXXXXX Xxxxx - rel. Consigliere -
Xxxx. XXXXXXXXX Xxxxxxx - Consigliere -
Xxxx. XXXXXXXX Xxxx Xxxxxx - Consigliere -
ha pronunciato la seguente: ORDINANZA
sul ricorso 1892/2012 proposto da:
[Factor] (c.f. (omissis)), non in proprio ma in nome e per conto della (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (omissis), presso l’avvocato (omissis), rappresentata e difesa dall’avvocato (omissis), giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
Osservatorio della giurisprudenza in materia di factoring N. 4 / 2017
[Creditore] Società (omissis) in Liquidazione Coatta Amministrativa, in persona del Commissario Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in (omissis), presso l’avvocato (omissis), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (omissis), giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso il provvedimento del TRIBUNALE di LIVORNO, depositato il (omissis);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del (omissis) dal cons. (omissis).
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. - Con decreto del 17 novembre 2011 il Tribunale di Livorno ha respinto il ricorso proposto da [Factor] nei confronti del [Creditore] in liquidazione coatta amministrativa contro il provvedimento con cui il commissario liquidatore aveva disatteso l’istanza di ammissione della banca allo stato passivo per l’importo di Euro 297.506,60, in chirografo, credito derivante da operazioni di anticipo su fatture eseguite in forza di un contratto di factoring stipulato con la società collocata in liquidazione coatta amministrativa, in conseguenza del mancato pagamento da parte del debitore ceduto degli importi fatturati.
A fondamento della decisione il Tribunale ha osservato che la banca non aveva fornito la prova dell’effettiva erogazione al [Creditore] delle somme oggetto della richiesta di ammissione, giacché la dichiarazione proveniente dalla banca di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 50 non era idonea allo scopo, così come non lo era l’ulteriore documentazione dalla medesima prodotta, trattandosi di documentazione da essa stessa proveniente dalla quale non si evinceva la dimostrazione dell’avvenuto pagamento, né una lettera del 9 giugno 2008 inviata dalla società alla banca, lettera che nulla diceva in relazione alle fatture specificamente indicate dalla pretesa creditrice.
2. - Per la cassazione della sentenza [Factor] non in proprio ma in nome e per conto di (omissis), ha proposto ricorso per due motivi illustrati da memoria.
[Creditore] in liquidazione coatta amministrativa ha resistito con controricorso.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. - Il ricorso contiene due motivi.
1.1. - Il primo motivo è rubricato: “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e violazione dell’art. 112 c.p.c. per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato”. Sostiene la ricorrente che il Tribunale avrebbe respinto l’opposizione promossa dalla banca ritenendo mancante la prova dell’erogazione delle somme oggetto della richiesta di ammissione sebbene una tale eccezione non fosse stata mai sollevata dalla controparte nella fase di insinuazione, all’esito della quale il credito non era stato ammesso sulla base di una motivazione differente, ossia “per mancanza di idonea documentazione probatoria a supporto della domanda con riferimento agli importi richiesti, in quanto non prodotti: documentazione attestante gli insoluti pervenuti ed i crediti ancora in scadenza da porre all'incasso corredati dai titoli sottostanti”, tanto più che il [Creditore] in liquidazione coatta amministrativa si era costituita in giudizio tardivamente, non potendo pertanto formulare eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio.
1.2. - Il secondo motivo è rubricato: “Omessa, insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5”.
Sostiene la ricorrente di aver prodotto, oltre alla certificazione di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 50 “moltissima altra documentazione... da cui risulta con tutta certezza l’esistenza e l’esatto ammontare del credito vantato dalla ricorrente”, documentazione, proveniente da un istituto bancario soggetto a vigilanza, da cui emergerebbe l’esistenza dell’esatto ammontare del credito. Né si trattava interamente di documentazione proveniente dalla banca, essendo stata prodotta una lettera da cui risultava il suo inserimento nell’elenco delle passività del concordato preventivo della debitrice ceduta di (omissis), lettera riferita alle fatture in discorso.
2. - Il ricorso va respinto.
2.1. - Il primo motivo, erroneamente ricondotto all’art. 360 c.p.c., n. 3 trattandosi evidentemente di ipotetico vizio di attività inquadrabile entro la previsione del n. 4 della menzionata norma, è infondato.
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In generale il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione, attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell’ambito del petitum, rilevi d’ufficio un’eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fatto valere in giudizio dall’attore, può essere sollevata soltanto dall’interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo (causa petendi) nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda (Xxxx. 19 giugno 2004, n. 11455; Cass. 6 ottobre 2005, n. 19475; Cass. 11 gennaio
2011, n. 455; Cass. 24 settembre 2015, n. 18868).
Occorre poi ancora rammentare che nella prassi commerciale il contratto di factoring presenta una serie di varianti e clausole differenziate in relazione alle particolari esigenze dei contraenti, ma il suo nucleo fondamentale e costante è costituito da un accordo complesso in forza del quale un’impresa specializzata, il factor, si obbliga ad acquistare (pro soluto o pro solvendo), per un periodo di tempo determinato e rinnovabile salvo preavviso, la totalità o parte dei crediti di cui un imprenditore è o diventerà titolare; il factor paga i crediti ceduti secondo il loro importo nominale decurtato di una commissione che costituisce il corrispettivo dell’attività da esso prestata o, talvolta, si stabilisce che al cedente il factor conceda delle anticipazioni sui crediti ceduti, nel qual caso al factor spetteranno, oltre alla commissione, anche gli interessi sulle somme anticipate (Cass. 18 gennaio 2001, n. 684; Cass. 24 giugno 2003, n. 10004; Cass. 27 agosto
2004, n. 17116; Cass. 8 febbraio 2007, n. 2746).
Nel caso di specie, secondo la prospettazione della banca, essa avrebbe effettuato anticipazioni alla società collocata in liquidazione coatta amministrativa per il complessivo importo di Euro 297.506,60, e ciò sulla base di fatture emesse da detta società nei confronti del [Xxxxxxxx ceduto].
Tanto premesso, è di tutta evidenza che il versamento degli anticipi al [Creditore] si colloca non già dal versante del fatto modificativo, impeditivo o estintivo della pretesa attrice, ai sensi dell’art. 2697 x.x., xxxxx 0 xxxxx xxx xxxxx xxxxxxxxxxx xx xxxx, con l’ulteriore conseguenza che la relativa prova gravava sulla banca, a fronte della contestazione della pretesa creditoria spiegata dalla società, senza che quest’ultima fosse in proposito onerata della formulazione di un’eccezione in senso stretto, ossia di una eccezione per la quale la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte ovvero in cui il fatto integratore dell’eccezione corrisponda all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio solo da parte del titolare.
Va da sé che il Tribunale, nel ritenere l’infondatezza della domanda attrice per mancanza di prova del fatto costitutivo, ha evidentemente operato nei limiti fissati dall’art. 112 c.p.c., il cui significato è stato in precedenza rammentato.
Né rileva alcunché - occorre per completezza aggiungere, tenuto conto del tenore del motivo – l’ipotizzata differenza tra la motivazione addetta dal commissario liquidatore e quella svoltasi dinanzi al Tribunale, ove si consideri che la fase di ammissione al passivo dinanzi al commissario liquidatore ha natura meramente amministrativa (da ultimo Cass. 15 febbraio 2016, n. 2917), mentre la fase giurisdizionale ha il suo esordio in sede di opposizione, la quale dà luogo ad un giudizio di primo grado, sicché il giudice dell’opposizione non è vincolato dalla motivazione svolta dal commissario liquidatore nell’ammettere o no un credito.
2.2. - Il secondo motivo è inammissibile.
Il Tribunale ha scrutinato la lettera proveniente dal [Creditore] del 9 giugno 2008, posta dalla banca, assieme ad altra documentazione, a fondamento della domanda proposta, ed ha ritenuto che essa “nulla ci dice circa il dovuto in relazione alle fatture specificamente indicate dal creditore ed oggetto del presente procedimento”.
A fronte di ciò la ricorrente ha trascritto il contenuto della lettera ed ha sostenuto che essa dovesse ritenersi riferita alle fatture in discorso, che vi erano state allegate: ma, a parte il fatto che il motivo è carente del requisito di autosufficienza, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., giacché la trascrizione della lettera si conclude con la dicitura: “Allegato: elenco delle fatture cedute che si intende azionare”, ma poi le fatture non sono indicate, è agevole osservare che la lettera effettivamente non indica le fatture, sicché la motivazione svolta in proposito dal Tribunale è plausibile e come tale insindacabile in questa sede.
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3. - Le spese seguono la soccombenza.
PQM
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, il 12 aprile 2017. Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2017
* * *
IL CASO
Il Factor ha proposto ricorso davanti il Tribunale di Livorno nei confronti del provvedimento con il quale il commissario liquidatore della società creditrice cedente aveva disatteso l’istanza di ammissione al passivo formulata dal Factor. In conseguenza del mancato pagamento da parte del debitore ceduto degli importi fatturati, si chiedeva, con l’istanza, l’ammissione al passivo per i crediti derivanti da operazioni di anticipo su fatture eseguite in forza del contratto di factoring.
Il Tribunale di Livorno aveva respinto il ricorso osservando che il Factor non aveva fornito prova della effettiva erogazione delle anticipazioni per cui era richiesta l’ammissione al passivo.
Avverso la sentenza del Tribunale di Livorno, il Factor ha proposto riscorso per Cassazione.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso, ribadendo la definizione e la natura giuridica del contratto di factoring
e la necessità di una rigorosa prova piena del credito di cui si chiede l’ammissione al passivo concorsuale.
In particolare, la Corte Suprema definisce il factoring come contratto atipico complesso, tramite il quale il Factor si obbliga ad acquistare, per un periodo di tempo determinato e rinnovabile, la totalità o una parte dei crediti di cui un imprenditore è o diventerà titolare.
Tendenzialmente, il Factor ha la facoltà di pagare all’imprenditore i crediti ceduti, e dunque presta la propria disponibilità a finanziare il fornitore anche tramite il pagamento anticipato dei crediti.
A tal proposito, la Corte di Cassazione si pronuncia in relazione all’onere probatorio delle anticipazioni versate dal Factor, le quali, come chiarito dalla Corte, si collocano sul versante del fatto costitutivo, con la conseguenza che la prova grava sul Factor, senza che quest’ultimo fosse in proposito onerato della formulazione di un’eccezione per la quale la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte titolare del diritto.
COMMENTO
Le questioni di diritto affrontate nella sentenza in commento sono: i) il nucleo fondante del contratto di factoring; e ii) l’onere probatorio del credito.
i) Rispetto alla natura del contratto di factoring, la Suprema Corte precisa che si tratta di un accordo atipico complesso in forza del quale un’impresa specializzata, il Factor, si obbliga ad acquistare pro soluto o pro solvendo, per un periodo di tempo determinato e rinnovabile salvo preavviso, la totalità o parte dei crediti di cui un imprenditore è o diventerà titolare. Il Factor paga i crediti ceduti e, in tal caso, al medesimo spetteranno, oltre alla commissione, anche gli interessi sulle somme anticipate. La Corte di Cassazione conferma e ribadisce, in via
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generale, la definizione maggioritaria e consolidata del contratto di factoring1 che, anche dopo l’entrata in vigore della l. 21 febbraio 1991, n. 52, continua ad essere considerato un contratto atipico – la cui disciplina, integrativa dell’autonomia negoziale, è contenuta negli artt. 1260 e ss. c.c.2 – e il cui nucleo essenziale è costituito dall’obbligo assunto da un imprenditore di cedere ad altro imprenditore (Factor) la titolarità dei crediti derivati o derivanti dall’esercizio della sua impresa. A fronte del pagamento di un corrispettivo rappresentato da una commissione, il Factor si obbliga a presentare al fornitore una molteplicità di servizi differenti a seconda delle esigenze e consistenti per lo più nella contabilizzazione, gestione, incasso e recupero dei crediti. L’effetto traslativo della cessione si ha
(a) al momento dello scambio dei consensi tra i medesimi se la cessione è globale e i crediti sono esistenti, oppure
(b) è differito al momento in cui i crediti vengono ad esistenza se i crediti sono futuri, ma in ogni caso derivante dal perfezionamento della cessione tra cedente e cessionario, indipendentemente dalla volontà e dalla conoscenza del debitore ceduto3.
Nella prassi, il contratto di factoring riveste natura finanziaria, tenuto conto che il Factor presta spesso la propria disponibilità a finanziare il fornitore mediante il pagamento, anche anticipato, dei crediti ceduti4.
Nel caso di specie, il Factor ha effettuato delle anticipazioni alla società collocata in liquidazione coatta amministrativa sulla base di fatture emesse dalla stessa nei confronti del debitore ceduto.
ii) La Suprema Corte si pronuncia anche in relazione all’onere probatorio delle anticipazioni versate dal Factor. In particolare, la disamina verte sulla disciplina dell’art. 2697 c.c., che distingue fra (a) i fatti costitutivi e (b) i fatti impeditivi, modificativi ed estintivi del diritto che si vuol far valere in giudizio. Nello specifico, l’art. 2697
c.c. prevede che “Chi vuol fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”. Ne consegue che l’art. 2697 c.c. pone l’onere della prova a carico di chi allega i fatti,
1 SACCO, Trattato di diritto civile. I singoli contratti. Contratti moderni – Factoring – Franchising – Leasing, vol. 4, Torino, 2004, 63 ss. Mediante la l. 21 febbraio 1991, n. 52, il legislatore non si è posto l’obiettivo di procedere ad una regolamentazione organica e specifica del rapporto di factoring, ma si è limitato ad intervenire su alcuni specifici aspetti della disciplina della cessione dei crediti dettata dal codice civile. Ciò, al precipuo fine di rimuovere determinati ostacoli che gli operatori incontravano nella normale operatività della circolazione dei crediti, sì da rendere più agevole la diffusione di una nuova prassi contrattuale meritevole di tutela per gli indubbi benefici derivanti al sistema economico. La l. 21 febbraio 1991, n. 52 opera, pertanto, in un ambito più ristretto rispetto alle disposizioni del codice civile in materia di cessione del credito, sia sotto il profilo soggettivo
– per la previsione della qualità di imprenditori di entrambi i contraenti e del requisito del particolare assetto organizzativo del factor – sia sotto il profilo oggettivo, dovendo avere ad oggetto crediti pecuniari derivanti da contratti stipulati nell’esercizio dell’impresa (in tal senso ALBANESE – ZEROLI, Leasing e factoring, Milano, 2011, 234); in questo Osservatorio, n. 2/2017, 16 ss.
2 Cass. civ., 8 febbraio 2007, n. 2746, in Giust. civ. Mass., 2007, 2, che ha precisato come la legge speciale non configuri un istituto diverso da quello previsto dal codice civile, con la conseguenza, a parte quanto previsto nella legge medesima, che la disciplina fondamentale della cessione deve intendersi rimanere sempre la medesima; così CIAN – TRABUCCHI, Commentario breve al Codice Civile, Milano, 2016, sub art. 1260 c.c., 1336 ss.
3 Nell’ambito di un contratto di factoring, l’effetto traslativo della cessione globale dei crediti presenti e futuri si produce a seconda che si tratti di crediti già esistenti o futuri, e, rispettivamente, al momento della convenzione di factoring ovvero al momento in cui vengono ad esistenza i crediti ceduti: la cessione si perfeziona, dunque, con il consenso dei contraenti, ma al perfezionamento non segue necessariamente l’effetto traslativo – come appunto nel caso in cui oggetto della cessione sia un credito futuro -, laddove tale effetto è rimandato al momento della nascita del credito, svolgendo il contratto prima di allora efficacia puramente obbligatoria.
In giurisprudenza si veda, Cass. civ., 15 febbraio 2013, n. 3829, in Giust. civ. Mass., 2013; Cass. civ., 6 luglio 2009, n. 15797, in
Diritto&Giustizia, 2009; Cass. civ., 7 marzo 2008, n. 6192, in Giust. civ. Mass., 2008, 3, 377 ss.; Cass. civ., 28 febbraio 2008, n.
5302, in Foro it., 2008, 1095; Cass. civ., 11 maggio 2007, n. 10833, in Giust. civ. Mass., 2007; Cass. civ., 8 febbraio 2007, n. 2746, cit.; Cass. civ., 27 agosto 2004, n. 17116, in Giust. civ. Mass., 2004; Cass. civ., 24 giugno 2003, n. 10004, in Nuova Giur. Civ. comm., 2001, I, 464; Cass. civ., 2 febbraio 2001, n. 1510, in Diritto e Pratica delle Società, 2002, 65; Cass. civ., 18 gennaio 2001, n.
684, in Contratti, 2001, 564 (con nota di VAGLIO); Trib. Benevento, 7 febbraio 2017, n. 199, in DeJure.
4 ALBANESE – XXXXXX, Leasing e factoring, cit., 230 ss.
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contrapponendo, l’allegazione dei fatti che costituiscono il fondamento della domanda, all’allegazione dei fatti che hanno reso inefficaci tali fatti o modificato il diritto5.
Sul fronte dell’onere probatorio, la Suprema Corte qualifica il versamento degli anticipi al cedente non sul versante del fatto modificativo, impeditivo o estintivo della pretesa attrice, ai sensi dell’art. 2697, comma 2, x.x., xxxxx xxxxx xxxxx xxxxxxxxxxx xx xxxx0, con la conseguenza che la relativa prova grava sul Factor-cessionario, a fronte della contestazione della pretesa creditoria spiegata dalla cedente, senza che quest’ultima sia in proposito onerata della formulazione di un’eccezione in senso stretto, ossia di una eccezione per la quale la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte ovvero in cui il fatto integratore dell’eccezione corrisponda all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio solo da parte del titolare.
La Suprema Corte ha stabilito dunque che il versamento degli anticipi rientrano nella fattispecie di fatti costitutivi e tali sono i fatti contemplati da una fattispecie normativa che produce l’effetto giuridico fatto valere in giudizio. La fattispecie costitutiva si scompone in una serie di fatti giuridici oggetto dell’onere dell’allegazione, ma non tutti anche dell’onere della prova, in quanto l’onere della prova opera in un ambito fattuale più ristretto, stabilito utilizzando criteri ispirati a esigenze logiche e tecniche che, quali espressione di un principio di semplificazione della fattispecie, consentono di alleggerire gli oneri probatori sui fatti costitutivi. Ne deriva altresì una semplificazione dell’onere probatorio gravante su quanti fanno valere in giudizio un diritto, poiché la “normalità” del fatto esonera chi agisce di darne la prova; spetta poi all’altra parte non soltanto affermarne l’insistenza ma anche offrirne la relativa prova7.
Altresì, in caso di inadempimento, è onere del creditore, che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento, provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e la sua esigibilità, limitandosi poi ad allegare il fatto dell’inadempimento ma non anche quello di darne la prova, mentre grava sul debitore l’onere di provare il fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento8.
Secondo l’interpretazione offerta dalla Cassazione, pertanto, il versamento degli anticipi rientra nella fattispecie di fatti costitutivi, per cui l’onere della prova è a carico di chi allega i fatti, inoltre rientra nella categoria di eccezioni in senso stretto, ossia di eccezioni per le quali la legge espressamente riserva il potere di rilevazione alla parte titolare del diritto.
Avv. Xxxxxxxxxx Xxxxxxx
xxxxxxxxxx.xxxxxxx@xxxxxxxxxxxx.xx
Dott.ssa Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxxx
xxxxxxxxxx.xxxxxxxxxx@xxxxxxxxxxxx.xx
5 MANDRIOLI, Diritto processuale civile, vol. 1, Torino, 2012, 150.
6 Un diritto viene in essere quando si determina una volontà concreta di legge, ciò che avviene quando si verificano in concreto uno o più di quei fatti che nella norma, o volontà astratta di legge, sono astrattamente previsti come idonei a costituire quel diritto, si veda MANDRIOLI, Diritto processuale civile, cit., 149.
7 Cass. civ., SS.UU., 15 giugno 2015, n. 12307, in Foro it., 2016, 3, 986 ss. (con nota di XXXXXXXX); Cass. civ., 18 settembre 2015, n. 18307, in Foro it., 2016, 1, 180 ss. (con nota di DAVOLA); XXXXXX, Il riparto dell’onere probatorio nelle due specie di responsabilità civile, in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, 2017, 1, 228.
8 Xx xxxxxx, xxx. Xxxx. xxx., XX.XX., 00 ottobre 2001, n. 13533, in Giust. civ. Mass., 2001, 1826; Cass. civ., 21 novembre 2017, n.
27572, in DeJure; Cass. civ., 21 novembre 2017, n. 27677, in DeJure 2017; Trib. Milano, 27 luglio 2017, n. 8400, in Redazione
Xxxxxxx, 2017; Trib. Roma, 29 maggio 2017, in Redazione Xxxxxxx, 2017; Trib. Arezzo, 7 marzo 2017, n. 287, in Redazione Xxxxxxx,
2017; Trib. Roma, 24 gennaio 2017, n. 1157, in Redazione Xxxxxxx, 2017; Cass. civ., lav., 9 giugno 2008, n. 15162, in Giust. civ.
Mass., 2008, 6, 897.
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3.
Tribunale di Milano, sez. XII, 6 ottobre 2017, n. 10015
Contratto di factoring – Contratto a esecuzione continuata o periodica – Recesso unilaterale dal contratto
(Codice Civile, art. 1373)
La clausola che prevede per entrambe le parti una facoltà di recesso senza obbligo di motivazione o di preavviso, quanto alla posizione del factor, trova giustificazione nell’esigenza di riservare alla valutazione discrezionale dello stesso factor la decisione di continuare o meno un rapporto finanziario di durata che può presentare rischi, e, ciò, alla stregua di valutazioni sull’andamento del rapporto e sul merito creditorio della controparte, valutazioni da aggiornarsi costantemente nel tempo.
* * *
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO DODICESIMA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxx
ha pronunciato la seguente SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 69305/2014 promossa da:
[le Case di Cura], ivi inclusa la [Cedente], rappresentate e difese dall’avv. (omissis) ed elettivamente domiciliate a (omissis) presso lo studio dell’avv. (omissis), come da procura in atti.
ATTRICI
contro
[Factor], rappresentata e difesa dall’avv. (omissis) e dall’avv. (omissis) ed elettivamente domiciliata in (omissis) presso i predetti difensori.
CONVENUTA
OGGETTO: Factoring
CONCLUSIONI: I procuratori hanno precisato le rispettive conclusioni a verbale dell’udienza del 22/3/2017.
FATTO E DIRITTO
Va premesso quanto segue:
- che le parti attrici [le Case di Cura], ivi inclusa la [Xxxxxxx], in relazione al contratto di factoring stipulato in data 3/6/2010 dall’attrice [Xxxxxxx] con la convenuta [Factor] (contratto sviluppatosi con cessioni di credito pro solvendo di tutti i crediti vantati dalla cedente (omissis) nei confronti dell’Azienda Sanitaria Locale (omissis)), deducendo l’illegittimità del recesso esercitato dalla convenuta con propria lettera datata 8/10/2013 e lamentando una scorretta gestione del rapporto di factoring da parte della convenuta, hanno introdotto la presente causa perché: a) fosse accertata l’illegittimità e/o invalidità e/o inefficacia del recesso esercitato dalla convenuta; b) fosse dichiarato risolto il contratto di factoring e di cessione di credito in essere alla data del suddetto recesso per grave inadempimento della convenuta; c) fosse condannata la convenuta al risarcimento dei danni in favore delle attrici quantificabili nell’importo di euro 18.898.678,70; d) in ogni caso, fosse accertato il grave inadempimento della convenuta con riferimento
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alla riscossione delle somme, anche a titolo di interessi, nei confronti dell’ASL (omissis); e) per l’effetto, fosse dichiarato risolto per grave inadempimento il contratto di factoring e di cessione di credito in essere alla data del suddetto recesso; f) fosse condannata la convenuta al risarcimento dei danni in favore della [Xxxxxxx] nella misura di euro 87.715,19;
- che, costituendosi in giudizio, la convenuta [Factor], contestando gli assunti di parte attrice, ha chiesto il rigetto delle domande formulate dalle parti attrici nei suoi confronti;
- che la causa è giunta in decisione in assenza di attività istruttoria.
Ad avviso di questo giudice le domande attrici sono infondate e vanno respinte per i seguenti motivi. Va, anzitutto, richiamato che buona parte delle domande di parte attrice muove dall’assunto dell’illegittimità del recesso esercitato dalla convenuta [Factor] con lettera datata 8/10/2013 in relazione al contratto di factoring intercorso con l’attrice [Xxxxxxx], avendo, in proposito, dedotto le parti attrici che [Factor] si sarebbe avvalsa della facoltà di recesso (contrattualmente prevista) solo a seguito di pressanti richieste di anticipazioni della [Xxxxxxx] a cui la convenuta si era immotivatamente sottratta per mesi; che, pertanto, il recesso aveva rappresentato un “espediente utilizzato dalla convenuta per sottrarsi all’adempimento delle obbligazioni contrattualmente assunte”; che l’esercizio del recesso aveva, quindi, assunto un carattere arbitrario, specie alla luce del normale andamento del rapporto commerciale; che la “chiusura delle linee di credito alla [Cedente] da parte del [Factor], con rientro di tutto il capitale anticipato entro il mese di settembre 2013”, aveva portato ad una brusca interruzione, nel periodo di fine luglio ed agosto 2013, al programma di acquisizione della (omissis) da parte del Gruppo di società di cui faceva parte la [Cedente]; che la rinuncia alle strategie di espansione del Gruppo aveva determinato “notevoli danni economici derivanti dalla mancata realizzazione di economia di gestione del Gruppo, mancati ricavi, mancato accrescimento di valore del Gruppo, anche in termini di immagine”.
Tali assunti devono ritenersi infondati, non ricorrendo le condizioni per poter affermare l’illegittimità del recesso esercitato dalla parte convenuta con propria lettera in data 8/10/2013 e non potendosi configurare una qualche responsabilità della convenuta per i danni lamentati in causa dalle parti attrici con riguardo alla mancata acquisizione di una Casa di Cura cui avrebbero avuto interesse le parti attrici in una prospettiva di espansione del Gruppo.
Al riguardo, va considerato che è pacifico che il contratto di factoring per cui è causa prevede, per entrambe le parti, la facoltà di recesso senza obbligo di motivazione o di preavviso, laddove, all’art. 19 delle condizioni generali di contratto, in punto di “durata – recesso”, è previsto che “Il presente contratto ha durata indeterminata. Ciascuna delle parti potrà esercitare la facoltà di recesso dandone comunicazione all’altra parte a mezzo di raccomandata A.R., telegramma o telefax, senza obbligo di motivazione né di preavviso” (doc. 1 parte attrice e doc. 7 parte convenuta); che a fronte del chiaro tenore di tale clausola non pare che possa essere ritenuto illegittimo il recesso esercitato dal Factor, trattandosi, in generale, dell’esercizio di una facoltà prevista e disciplinata dal contratto; che, del resto, trattasi di una clausola presente nella generalità dei contratti di factoring e che, quanto alla posizione del Factor, trova giustificazione nell’esigenza di riservare alla valutazione discrezionale dello stesso Factor la decisione di continuare o meno un rapporto finanziario di durata che può presentare rischi, e, ciò, alla stregua di valutazioni sull’andamento del rapporto e sul merito creditorio della controparte, valutazioni da aggiornarsi costantemente nel tempo; che, del pari, deve ritenersi infondato l’addebito di inadempimento contrattuale mosso dalla parte attrice alla parte convenuta per avere questa omesso di dare riscontro alle richieste di anticipazioni indirizzate al Factor nel mese di agosto 2013; che, al riguardo, va richiamato che l’art. 9 delle condizioni generali di contratto, in punto di “pagamento anticipato del corrispettivo – effetti dell’inadempimento del debitore”, prevede che “su richiesta del Fornitore, il Factor potrà anticipare il pagamento di tutto o parte del corrispettivo dovuto rispetto all’incasso dei crediti oggetto di cessione o alla diversa data convenzionalmente stabilita”; che, anche in questo caso, la possibilità di effettuare anticipazioni al Fornitore sui crediti ceduti corrisponde ad una facoltà che il Factor poteva decidere se e in che misura esercitare, dipendendo le anticipazioni da una valutazione che il Factor si era riservato di effettuare volta per volta; che, pertanto, essendo stata rimessa al Factor, in base alla regolamentazione pattizia del rapporto, la valutazione sulla opportunità e convenienza della concessione di anticipazioni, potendo vantare il Fornitore in relazione a queste solo un’aspettativa, deve ritenersi infondata la doglianza di inadempimento alle obbligazioni contrattuali in proposito svolta da parte attrice, non potendosi trasformare la facoltà (del Factor) in un obbligo e l’aspettativa (del Fornitore) in un diritto.
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Contrariamente a quanto sostenuto da parte attrice, va, poi, escluso che le condotte di recesso e di mancato riscontro alla richiesta di anticipazioni, per come poste in essere dalla parte convenuta, siano qualificabili come arbitrarie, contrarie alla buona fede negoziale e produttive degli ingenti danni lamentati dalle parti attrici.
Al riguardo, va considerato che la parte convenuta (pur a fronte della possibilità di recesso ad nutum) ha fornito adeguata giustificazione della propria condotta facendo riferimento ai gravi fatti di natura penale pacificamente addebitati dalla Procura della Repubblica di (omissis) al gruppo (omissis) ed al suo dominus dott. (omissis) per i reati di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e truffa aggravata ai danni di enti previdenziali; che tali contestazioni avevano condotto (dopo l’iniziale sequestro dei beni personali degli indagati) al sequestro preventivo penale disposto in data 26/7/2013 della totalità delle quote della (omissis) detenute da (omissis) per un valore di circa 4,5 milioni di euro, pari all’ammontare delle somme che la Procura di (omissis) riteneva essere state dolosamente sottratte all’Erario ed agli Enti Previdenziali (doc. 17 convenuta); che di tali fatti era stata data notizia negli organi di stampa, da cui era emerso che i rilievi di carattere penale facevano riferimento alla gestione di altra società del gruppo che, come nel caso, aveva ceduto i crediti verso il Servizio Sanitario Nazionale ad una società di factoring (doc. 19 convenuta); che, comunque, è pacifico in causa che nella seconda decade di luglio 2013 il [Factor] aveva convocato presso i propri uffici di (omissis) gli esponenti del gruppo (omissis) per chiedere chiarimenti sulla vicenda apparsa sui giornali; che, in tale contesto, pare comprensibile che la nuova situazione venutasi a creare abbia indotto la società di factoring, odierna convenuta, ad effettuare una nuova valutazione del valore della garanzia prestata da (omissis) in favore della [Xxxxxxx] e, quindi, del merito creditorio di questa, a riconsiderare il rapporto di factoring in essere con [Cedente] e ad effettuare una valutazione del rischio reputazionale anche alla luce degli atti del gruppo (omissis) oggetto di indagine da parte dell’autorità giudiziaria.
Quanto alle modalità del recesso esercitato dalla convenuta [Factor] ed agli effetti dello stesso sul rapporto in essere, va detto che non risulta che, nel caso, il Factor abbia nemmeno richiesto il rientro immediato dalle anticipazioni (come infondatamente affermato da parte attrice), essendosi limitato a segnalare, nella citata lettera di recesso, l’ammontare dell’esposizione ed avendo quindi atteso il rientro dell’esposizione per effetto dei pagamenti via via effettuati dalla debitrice ceduta ASL di (omissis).
Già per tali motivi deve ritenersi infondata la pretesa risarcitoria avanzata dalle parti attrici in causa, potendosi aggiungere che, nel caso, difetta anche il nesso causale tra la condotta (infondatamente) addebitata alla parte convenuta e gli ingenti danni genericamente lamentati dalle parti attrici per la mancata acquisizione della Casa di Cura (omissis) da parte del gruppo, non sembrando che la mancata acquisizione di detta società possa dirsi sia stata determinata proprio dal venir meno dei finanziamenti attesi nell’ambito del contratto di factoring per cui è causa, specie se si considera che la parte attrice, in sede di replica alla comparsa di costituzione e risposta, ha affermato che “anche dopo gli eventi del luglio 2013, diversi istituti bancari hanno confermato le linee di credito in favore del Gruppo (omissis), accordando altresì nuove facilitazioni creditizie anche di rilevante importo”.
(omissis)
Per le ragioni esposte, vanno respinte le domande attrici.
Secondo il criterio della soccombenza le parti attrici vanno condannate a rimborsare alla parte convenuta le spese di lite come liquidate in dispositivo.
PQM
Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando nella causa come in epigrafe promossa, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede:
1) rigetta le domande proposte dalle parti attrici [le Case di Cura], ivi inclusa la [Xxxxxxx], nei confronti della parte convenuta [Factor];
2) condanna le parti attrici predette a rimborsare alla parte convenuta le spese di lite liquidate in euro 40.000,00 a titolo di compenso, oltre 15% per rimborso spese forfettarie, oltre IVA e C.P.A. come per legge.
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Milano, 6/10/2017.
IL CASO
Il giudice unico xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxx
* * *
Nel quadro di un contratto di factoring di durata pluriennale, dopo alcuni anni di durata del rapporto il Factor
decide di avvalersi della facoltà di recesso contrattualmente prevista.
La Cedente (una Casa di Cura), unitamente alle altre società del suo Gruppo (costituito da vari istituti di cura e cliniche), decide di promuovere un’azione nei confronti della società di factoring, lamentando l’arbitrarietà dell’esercizio di recesso, che sarebbe stato un espediente utilizzato dal Factor per sottrarsi alle proprie obbligazioni contrattuali. La chiusura delle linee di credito, secondo la Cedente, avrebbe altresì comportato l’impossibilità di procedere con l’acquisizione di un’altra casa di cura, con conseguenti danni costituiti da mancati ricavi e mancato accrescimento di valore del Gruppo, anche in termini di immagine.
Il Tribunale di Milano, con una pronuncia estremamente netta, respinge le domande delle attrici, muovendo dall’assunto secondo cui il contratto di factoring in disamina, di durata indeterminata, prevedeva per ciascuna delle parti la facoltà di recesso, senza obbligo di motivazione o preavviso. Tale clausola, presente nella generalità dei contratti di factoring, è già di per sé tale da rendere del tutto legittimo il recesso.
Nel caso di specie, peraltro, il comportamento del Factor era stato improntato a massima correttezza e buona fede: il Factor non solo aveva motivato in maniera adeguata l’esercizio del recesso (gravi fatti di natura penale avevano indotto la società di factoring a effettuare una nuova valutazione del merito creditorio della Cedente e a effettuare una valutazione del rischio reputazionale), ma addirittura non aveva neppure richiesto il rientro immediato delle anticipazioni erogate, attendendo invero il rientro dall’esposizione da parte del Debitore ceduto. Quanto all’ulteriore richiesta di risarcimento dei danni pari ai mancati ricavi e mancato accrescimento di valore del Gruppo, il Tribunale ritiene che difetti un nesso di causalità tra la condotta (infondatamente) addebitata al Factor e i danni genericamente lamentati dalla Cedente: proprio quest’ultima aveva riconosciuto nel giudizio di avere ulteriori linee di credito da parte di diversi istituti bancari.
I giudici meneghini, pertanto, rigettano le domande delle Case di Xxxx, riconoscendo la legittimità del recesso e condannando le attrici a pagare le spese di lite.
COMMENTO
Con una decisione pienamente condivisibile, il Tribunale di Milano offre un’interessante applicazione pratica della disciplina in tema di diritto di recesso dal contratto di factoring da parte del Factor.
In termini generali, il recesso rappresenta l’atto mediante il quale una delle parti manifesta la volontà di sciogliere il contratto1. Norma di riferimento è l’art. 1373 c.c., secondo il quale “Se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione.
Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, tale facoltà può essere esercitata anche successivamente, ma il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione […]”.
1 Così XXXXXX, Contratto e terzi, in ROPPO, Trattato del contratto, vol. III, Effetti (a cura di COSTANZA), Milano, 2006, 113. In generale, sull’istituto del recesso v. per tutti DE NOVA, Il recesso, in SACCO – DE NOVA, Il contratto, II, 3a ed., Torino, 2004, 729 ss.
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La norma deroga il generale principio secondo cui, avendo il contratto forza di legge tra le parti ex art. 1372 c.c.2, potrà essere sciolto solo per concorde volontà delle parti stessi. Il recesso pattizio conferisce a una delle parti la facoltà di sciogliere unilateralmente il contratto con effetti che, nel caso di contratto di durata (quale è il contratto di factoring), opereranno per il futuro, senza incidere sulle prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione3.
La previsione di una facoltà di recesso in un contratto di durata è lasciata alla libertà contrattuale delle parti. Qualora sia previsto dall’accordo un termine finale di durata, si ritiene che il diritto di recedere possa essere esercitato solo a fronte di un’espressa previsione legislativa o pattizia4; al contrario, nei contratti a tempo indeterminato, si ritiene sia applicabile in via analogica il recesso anche in assenza di un’espressa previsione in tal senso5.
Nel caso in disamina, le condizioni generali di contratto effettivamente prevedevano l’espressa facoltà di recedere a favore di entrambe le parti.
Con riferimento alla posizione del Factor, la sentenza opportunamente chiarisce come la previsione della facoltà di recesso trovi “giustificazione nell’esigenza di riservare alla valutazione discrezionale dello stesso Factor la decisione di continuare o meno un rapporto finanziario di durata che può presentare rischi, e, ciò, alla stregua di valutazioni sull’andamento del rapporto e sul merito creditorio della controparte, valutazioni da aggiornarsi costantemente nel tempo”. Il Xxxxxxx ritiene pertanto giustificata e del tutto coerente con l’assetto di interessi delineato dal rapporto contrattuale la clausola di recesso inserita nelle condizioni generali di contratto, confermandone la piena validità.
Chiariti i contorni della clausola di recesso, la sentenza approfondisce un ulteriore profilo, riconoscendo come il Factor – nell’esecuzione del contratto – abbia tenuto una condotta improntata a correttezza e buona fede, in ossequio al generale principio di cui all’art. 1375 c.c.6
Tale principio, di generale applicazione, trova conferma anche con riferimento all’esercizio del diritto di recesso, come affermato da autorevole giurisprudenza: “La parte titolare del diritto di recesso è tenuta ad esercitarlo in modo conforme ai principi di buona fede e correttezza, anche al fine di non arrecare pregiudizio ovvero danno ingiusto all’altro contraente”7.
In altri termini, l’ordinamento, pur riconoscendo un determinato diritto o facoltà a una delle parti, vuole al contempo evitare che si verifichino abusi di siffatto diritto o facoltà. Così, anche se un contratto prevede un diritto
2 Si vedano per tutti DE NOVA, Il contratto ha forza di legge, 1993, 8 ss.; XXXXXXXX, Contratto I) In generale, in Enc. Giur. Treccani, VIII, 1998, 28 ss.
3 L’atto di recesso rappresenta un negozio unilaterale recettizio, che non richiede formule sacramentali, essendo sufficiente che l’atto sia conosciuto dalla controparte (Cass. civ., 21 aprile 1983, n. 2741, in Giust. civ. Mass., 1983, 4) e abbia la medesima forma prescritta per il contratto costitutivo del rapporto (Cass. civ., 14 novembre 2000, n. 14730, in Contratti, 2000, 2317; Cass. civ., 18 febbraio 1994, n. 1609, in Giust. civ. Mass., 1994, 1818; Cass. civ., 7 giugno 1990, n. 5454, in Foro it., 1991, I, 172). In dottrina v. DE NOVA, Il recesso, cit., 734.
4 BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, 2a ed., Milano, 2015, 741. In giurisprudenza, cfr. Cass. civ., sez. lav., 7 marzo 2002, n. 3296, in Giust. civ., 2003, I, 196, secondo cui “Presupposto per l’esercizio del recesso unilaterale è l’attribuzione, da parte della legge o del contratto, della relativa facoltà, poiché in difetto dell’attribuzione vale la previsione dell’art. 1372 c.c. Tuttavia, nei contratti stipulati senza determinazione di durata, è riconosciuta la possibilità di farne cessare l’efficacia, pur in mancanza di una previsione legale, in virtù del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto”.
5 È diffusa l’opinione secondo cui, nei contratti a tempo indeterminato, il recesso sarebbe finalizzato a evitare l’instaurarsi di vincoli perpetui, che peserebbero in maniera intollerabile sulla libertà delle parti (v. per tutti XXXXXXXX, Contratto I) In generale, cit., 21). Per una diversa ricostruzione x. XXXXXX, Contratto e terzi, cit., 117, secondo il quale la previsione del recesso sarebbe finalizzata a conservare il contratto nonostante l’indeterminabilità dell’oggetto, non definito dai contraenti in una delle sue parti essenziali, vale a dire la durata (per la qualificazione della durata come nota individuatrice della prestazione v. OPPO, I contratti di durata, in Scritti giuridici, III, Obbligazioni e negozio giuridico, Padova, 1992, 240 ss.).
6 L’art. 1375 c.c. esprime un generale dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 Cost., che, operando come un criterio di reciprocità, impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge: Cass. civ., 30 luglio 2004, n. 14605, in Giust. civ., 2005, I, 1566.
7 Cass. civ., 8 gennaio 2013, n. 227, in Diritto&Giustizia online, 2013 (con nota di XXXXXXXXX). Nel medesimo senso v. anche Cass. civ., sez. lav., 30 ottobre 2012, n. 24533, in Guida al diritto, 2013, 49-50, 47; App. Bari, sez. II, 24 ottobre 2012, n. 1104, in DeJure.
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di recesso ad nutum in favore di una delle parti, il giudice del merito sarà chiamato a valutare se l’esercizio di tale facoltà sia stato effettuato nel pieno rispetto delle regole di correttezza e di buona fede cui deve improntarsi il comportamento delle parti8.
A riprova della pretesa arbitrarietà dell’atteggiamento del Factor e, quindi, della contrarietà a correttezza e buona fede della condotta della società di factoring, la controparte cerca di addebitare a quest’ultima la mancata accettazione delle richieste di anticipazioni avanzate. Anche sotto questo profilo i giudici milanesi richiamano le condizioni generali di contratto, che disciplinano in maniera chiara e netta la fattispecie: non sussiste alcun obbligo, ma solo una facoltà in capo al Factor di anticipare il pagamento del corrispettivo dovuto rispetto all’incasso dei crediti oggetto di cessione. Il Factor è libero di determinare, in base a proprie valutazioni di opportunità e convenienza, se e in che misura esercitare la facoltà di concedere anticipazioni.
Dal complessivo tenore letterale del contratto, nonché dalla generale condotta del Factor, il Tribunale di Milano conclude per la legittimità del recesso, esercitato nel rispetto dei doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto.
Da ultimo, i giudici milanesi negano la sussistenza di qualsiasi nesso di causalità tra recesso del Factor (che comunque viene considerato legittimo) e i danni che le attrici affermano di avere subito all’esito di tale condotta. Danni, peraltro, genericamente lamentati dalla Cedente e dalle altre case di cura appartenenti al suo Gruppo, ma in ogni caso non provati.
Anche sotto questo aspetto la sentenza merita piena adesione: i danni, infatti, avrebbero dovuto essere oggetto di specifica prova da parte delle attrici. La più recente giurisprudenza esclude che da un illegittimo recesso (peraltro non presente nel caso di specie) possa ritenersi che discenda ex se un danno in capo all’altra parte: chi lamenta l’illegittimità del recesso, per poter ottenere un risarcimento del danno, sarà tenuto a dimostrare l’effettiva diminuzione patrimoniale derivante dal recesso stesso, oltre nesso di causalità tra condotta e danno9.
Avv. Xxxxx Xxxxx
8 Così Cass. civ., 18 settembre 2009, n. 20106, in Diritto&Giustizia, 2009, che ulteriormente specifica che “La mancanza della buona fede in senso oggettivo, espressamente richiesta dagli art. 1175 e 1375 c.c. nella formazione e nell’esecuzione del contratto, può rivelare, infatti, un abuso del diritto, pure contrattualmente stabilito, ossia un esercizio del diritto volto a conseguire fini diversi da quelli per i quali il diritto stesso è stato conferito. […] Tale sindacato, da parte del giudice di merito, deve pertanto essere esercitato in chiave di contemperamento dei diritti e degli interessi delle parti in causa, in una prospettiva anche di equilibrio e di correttezza dei comportamenti economici”.
Naturalmente, per potere ottenere il risarcimento del danno, deve essere fornita anche la prova dell’abuso stesso: App. Roma, sez. II, 13 gennaio 2005, n. 136, in Redazione Xxxxxxx, 2010.
9 Cass. civ., 8 gennaio 2013, n. 227, cit. Contra, Cass. civ., 24 maggio 2004, n. 9996, in Giust. civ. Mass., 2004, 5, secondo cui “Il recesso ingiustificato dal contratto di una delle parti (nel caso di specie, del professionista mandatario incaricato di svolgere una perizia contrattuale) giustifica la condanna generica di questa al risarcimento del danno, indipendentemente dal concreto accertamento di uno specifico pregiudizio patrimoniale, posto che l’anticipato scioglimento del rapporto è di per sè un evento potenzialmente generatore di danno, avendo turbato e compromesso le aspettative economiche della parte adempiente, anche se fatti specifici di violazione contrattuale non abbiano, in ipotesi, prodotto direttamente alcun pregiudizio patrimoniale al contraente incolpevole”.
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4.
Cassazione Civile, sez. I, 2 novembre 2017, n. 26063
Fallimento – Azione revocatoria fallimentare – Atto a titolo oneroso – Cessione di credito in funzione solutoria – Sussistenza di debiti scaduti ed esigibili – Mezzo anormale di pagamento – Configurabilità – Conseguenze – Eccezione – Pagamento mediante cessione previsto contestualmente al sorgere del credito – Insussistenza
(Codice Civile, art. 1260; L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2)
La cessione di credito si caratterizza come anomala, rispetto al pagamento effettuato in denaro o con titoli di credito considerati equivalenti, e come tale è assoggettabile a revocatoria fallimentare, a norma dell’art. 67, comma 1, n. 2, L. Fall., se compiuta in funzione solutoria, cioè per estinguere un debito pecuniario ed esigibile. Resta unicamente salva l’ipotesi – eventualità non ricorrente nella fattispecie – in cui la cessione sia stata nel concreto prevista come mezzo di estinzione contestuale al sorgere del credito.
Fallimento – Azione revocatoria fallimentare – Atto a titolo oneroso – Cessione di credito in funzione solutoria – Mezzo anormale di pagamento – Conoscenza dello stato di insolvenza – Presunzione
(Codice Civile, art. 2697; L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2; L. Fall., art. 67, comma 2)
In caso di pagamento mediante cessione di credito volto alla estinzione di preesistenti debiti scaduti ed esigibili, in considerazione della sussistenza di un pagamento anormale, torva applicazione la disciplina di cui all’art. 67, comma 1, n. 2, L. Fall. – e non quella di cui al secondo comma della medesima disposizione relativa a pagamenti normali – con la conseguenza per cui la scientia decoctionis dell’accipiens si presume, con onere a carico di quest’ultimo di provare la non conoscenza dello stato di insolvenza del debitore.
* * *
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Xxxx. XXXXXX Xxxxxxx - Presidente -
Xxxx. XXXXXXXXX Xxxxx - Xxxxxxxxxxx -
Xxxx. XXXXX Xxxxxxx - Consigliere -
Dott. DI XXXXXX Xxxxxxxx - Xxxxxxxxxxx -
Xxxx. XXXXXXXX Xxxx Xxxxxx - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente: ORDINANZA
sul ricorso 20798/2011 proposto da:
[Società] s.r.l., in liquidazione, in persona del curatore dott. (omissis), elettivamente domiciliato in (omissis), presso l’avvocato (omissis), rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis), giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
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[Banca], in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (omissis), presso l’avvocato (omissis), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (omissis), giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza (omissis) della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il (omissis);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/06/2017 dal cons. (omissis) (est.).
Fatto
1.- Il Fallimento della [Società] ricorre per cassazione nei confronti della [Banca], esponendo due motivi avverso la sentenza resa dalla Corte di Appello di Torino il 9 giugno 2010.
In riforma della pronuncia emessa nel primo grado del giudizio dal Tribunale di Alessandria in data 7 gennaio 2007, la Corte piemontese ha escluso, in particolare, la revocabilità L. Fall., ex art. 67, di due cessioni di credito pro solvendo poste in essere dalla Società di poi fallita in favore della Banca, che all’epoca era sua creditrice.
[Banca] resiste nei confronti del ricorso, depositando apposito controricorso.
2.- I motivi del ricorso denunziano i vizi che qui di seguito vengono richiamati.
Il primo motivo lamenta, in specie, “violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 1, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.
Il secondo motivo rileva, inoltre, “violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.
3.- Il ricorso presentato dal Fallimento contesta, in via segnata, la considerazione che la Corte territoriale ha riservato alle due operazioni di cessioni del credito e che è sostanzialmente consistita nell’avere essa negato che tali cessioni abbiano costituito dei mezzi anormali di pagamento, in quanto tali revocabili ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1 (secondo la versione vigente al tempo dei fatti, che è quella anteriore alla riforma legislativa del 2005). La Corte piemontese ha trascurato - così rileva il ricorrente - che nella specie concreta le cessioni di credito non erano contestuali a nuove erogazioni di credito da parte della [Banca], ma risultavano semplicemente intese a ripianare una esposizione debitoria da sconfinamento di conto corrente, preesistente e scaduta.
Il ricorso altresì rileva, nel corpo del suo secondo motivo, come la sentenza della Corte d’Xxxxxxx abbia del tutto omesso di esaminare la sussistenza del requisito della scientia decoctionis nella prospettiva probatoria che la norma della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, fissa per la materia dei pagamenti anormali. E pure assume che, comunque, tale conoscenza risultava nel concreto assicurata da una serie di elementi di oggettiva evidenza (bilancio di esercizio; verbali dell’assemblea ordinaria e straordinaria; verbali del consiglio di amministrazione; andamento dei conti correnti in essere con lo stesso Istituto; testimonianze).
4.- Il primo motivo di ricorso si manifesta fondato.
Dopo avere rilevato che la “funzione solutoria” delle cessioni in questione “non pare possa essere contestata” in fatto, come pure il suo utilizzo in funzione di “ripianamento” del debito già in essere, la sentenza impugnata ne ha peraltro escluso il carattere di anormalità sulla base dell'assunto che le stesse “non hanno carattere straordinario, perché si inseriscono in modo del tutto normale nel quadro degli affidamenti concessi alla società fallita”.
Ora, tale ultimo assunto si manifesta estraneo alla nozione di “pagamento anormale” che è stato fatto proprio dalla norma della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, con peculiare riferimento alla figura della cessione di credito. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, infatti, la cessione di credito, quando “effettuata in funzione solutoria di un debito scaduto ed esigibile, si caratterizza come anomala rispetto al pagamento effettuato in danaro od altri titoli di credito equivalenti, in quanto il relativo processo satisfattorio non è usuale, alla stregua delle ordinarie transazioni commerciali”. Resta unicamente salva - si aggiunge – l’eventualità che la cessione sia stata nel concreto prevista come mezzo di “estinzione contestuale al sorgere del credito” al cui specifico soddisfacimento venga per l’appunto destinata (cfr., tra le ultime, Cass., 20 settembre 2013, n. 21610; Cass., 29 luglio 2009,
n. 17683). Eventualità, quest’ultima, non ricorrente nel caso di specie.
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5.- All’accoglimento del primo motivo segue poi l’accoglimento pure del secondo motivo di ricorso.
In effetti, l’analisi compiuta sul punto della scientia decoctionis dalla Corte territoriale si fissa propriamente sul presupposto dell'eventuale applicazione della revocatoria dei pagamenti normali, di cui alla L. Fall., art. 67, comma 2, e non già di quella dei pagamenti anormali, di cui al primo comma della disposizione quindi viene svolta secondo tale prospettiva esclusiva. Secondo quanto, del resto, la stessa sentenza impugnata riconosce espressamente (“escluso... che la società abbia eseguito un pagamento anormale, viene a cadere quello che il Tribunale... ha definito l’indizio dirimente dell’effettiva conoscenza posseduta dalla banca in ordine allo stato di insolvenza della società qui fallita”).
6.- In conclusione, il ricorso va accolto e cassata la sentenza impugnata. Con rinvio della controversia alla Corte di Appello di Torino che, in diversa composizione, giudicherà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, con rinvio della controversia alla Corte di Appello di Torino che, in diversa composizione, provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 7 giugno 2017. Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2017
* * *
IL CASO
Una Società cede pro solvendo due crediti in favore di una Banca che, all’epoca della cessione, risultava già sua creditrice. La Società, prima dello spirare dei due anni dalla cessione (essendo applicabile il termine del periodo sospetto previsto anteriormente alla riforma di cui al D.l. n. 35/2005 convertito nella l. 80/2005), fallisce e il Curatore esercita azione revocatoria fallimentare in relazione alle due cessioni in esame.
In primo grado, il Tribunale di Alessandria revoca gli atti di cessione. La decisione viene tuttavia ribaltata dalla Corte d’Appello di Torino, che ritiene da un lato insussistente la anormalità dei pagamenti e, dall’atro, ritiene non raggiunta la prova della scientia decoctionis della Banca.
Il Curatore ricorre quindi in Cassazione, deducendo che il Giudice d’Xxxxxxx avrebbe trascurato di conferire il dovuto rilievo alla circostanza per cui le due cessioni di credito non erano contestuali a nuove erogazioni di credito da parte della Banca, ma risultavano semplicemente volte a ripianare una preesistente esposizione debitoria da sconfinamento di conto corrente. Ancora, secondo la Curatela, da una parte la Corte piemontese avrebbe trascurato di esaminare il requisito della scientia decoctionis nella prospettiva probatoria di cui all’art. 67, comma 1, n. 2, l. fall. e, dall’altro, non avrebbe considerato una serie di elementi di fatto (quali bilancio di esercizio, verbali dell’assemblea ordinaria e straordinaria, verbali del consiglio di amministrazione, andamento dei conti correnti in essere con la stessa Banca, testimonianze) dai quali in ogni caso emergeva la effettiva conoscenza dello stato di insolvenza da parte della convenuta.
La Corte di Cassazione, in accoglimento del ricorso, ribadisce il principio per cui la cessione del credito, quando effettuata in funzione solutoria di un debito scaduto ed esigibile, si caratterizza come anormale rispetto al pagamento effettuato in denaro od altri titoli di credito equivalenti, in quanto il relativo processo satisfattorio non è usuale, alla stregua delle ordinarie transazioni commerciali, salva l’eventualità – non ricorrente nella fattispecie concreta – in cui la cessione sia stata nel concreto prevista come mezzo di estinzione contestuale al sorgere del credito, al cui specifico soddisfacimento venga per l’appunto destinata.
Anche con riferimento all’elemento soggettivo della scientia decoctionis, la Corte di Cassazione reputa conseguentemente fondata la censura della ricorrente, nella misura in cui la Corte d’Appello ha effettuato l’analisi circa la sussistenza di tale presupposto con esclusivo riferimento alle ipotesi di pagamento normale, anziché – come invece correttamente avrebbe dovuto – con riferimento all’ipotesi dei pagamenti anormali.
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Cassazione Civile, sez. I, 3 maggio 2017, n. 10721
Fallimento – Azione revocatoria fallimentare – Difetto di produzione della sentenza di fallimento – Difetto di contestazione in ordine al contenuto e alla data della sentenza di fallimento – Principio di non contestazione – Applicabilità
(Codice di Procedura Civile, art. 115, comma 1; L. Fall. art. 67, comma 1)
In caso di mancata produzione della sentenza dichiarativa di fallimento da parte della Curatela attrice in revocatoria fallimentare, può trovare applicazione il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., non rilevando a tal fine la circostanza per cui la sentenza di fallimento sia dotata di necessaria forma scritta. A fini dell’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare, infatti, la sentenza di fallimento non è che un presupposto di fatto dell’azione e, come fatto, ben può essere – ove come nella specie non specificamente contestato in ordine al suo contenuto (ivi compresa la data) – essere ritenuto provato a norma dell’art. 115, comma 1, c.p.c.
Fallimento – Azione revocatoria fallimentare – Atto a titolo oneroso – Cessione di credito in funzione solutoria – Sussistenza di debiti scaduti ed esigibili – Mezzo anormale di pagamento – Configurabilità – Conseguenze
(Codice Civile, art. 1260 L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2)
La cessione di credito si caratterizza come anomala, rispetto al pagamento effettuato in denaro o con titoli di credito considerati equivalenti, e come tale è assoggettabile a revocatoria fallimentare, a norma dell’art. 67, comma 1, n. 2, l. fall., se compiuta in funzione solutoria, cioè per estinguere un debito pecuniario ed esigibile.
Fallimento - Azione revocatoria fallimentare - Atto a titolo oneroso - Mezzi anormali di pagamento - Prova della mancata conoscenza dello stato di insolvenza - Apprezzamento di fatto sorretto da idonea motivazione - Incensurabilità - Superamento della presunzione di conoscenza - Assenza di protesti, esecuzioni e istanze di fallimento - Insufficienza - Revoca di affidamenti e fatture per lavori non eseguiti o importi superiori ai lavori eseguiti - Adeguatezza della motivazione - Sussistenza
(Codice di Procedura Civile, art. 360 comma 1, n. 5, ante D.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7
agosto 2012, n. 134; L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2)
In tema di revocatoria fallimentare avente a oggetto pagamenti anormali, l’accertamento in ordine alla sussistenza di elementi di fatto idonei a escludere la consapevolezza dello stato di insolvenza da parte dell’accipiens si risolve in un apprezzamento di fatto che, se sorretto da motivazione congruamente supportata da elementi probatori e non priva di logica e coerenza, è incensurabile in sede di legittimità (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto che correttamente il giudice di merito abbia escluso che il beneficiario del pagamento – deducendo la mera insussistenza di protesti, procedimenti esecutivi e istanze di fallimento – abbia assolto all’onere probatorio, su di esso gravante, di dimostrare circostanze tali da far presumere, in un soggetto operante professionalmente con la connessa prudenza e avvedutezza, che la fallenda si trovasse in una situazione normale di esercizio della sua attività; ciò considerando inoltre la sussistenza di contrari indici, quali la revoca degli affidamenti a opera della maggior parte degli istituti di credito e l’emissione di fatture – poi stornate – per lavori non eseguiti o per importo superiore a quello dei lavori eseguiti).
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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Xxxx. XXXXX Xxxxxxx - Presidente -
Xxxx. XXXXXXXXXXX Xxxxxx - rel. Consigliere -
Xxxx. XXXXX Xxxxxxx - Consigliere -
Xxxx. XXXXXXXXX Xxxxx - Xxxxxxxxxxx -
Xxxx. XXXXXXX Xxxxxxxxx - Xxxxxxxxxxx -
ha pronunciato la seguente: SENTENZA
sul ricorso 12560/2011 proposto da:
[Società] S.r.l., già S.p.a., in persona liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in (omissis), presso l’avvocato (omissis), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (omissis), giusta procura a margine del ricorso;
Fallimento del [Fallito];
contro
- ricorrente -
- intimato -
avverso la sentenza (omissis) della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il (omissis); udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/02/2017 dal cons. (omissis);
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale (omissis), che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
1. Il Curatore del Fallimento della ditta individuale del [Fallito], dichiarata fallita dal Tribunale di Forlì con sentenza del 10 luglio 1997, conveniva in giudizio la [Società], per sentire, in via principale, revocare L. Fall., ex art. 67, comma 1, n. 2 alcuni atti solutori compiuti dal [Fallito] nel biennio anteriore alla declaratoria di fallimento in favore della convenuta. [Società], costituendosi, contestava la domanda sia sotto il profilo oggettivo concernente la natura degli atti compiuti sia sotto quello soggettivo concernente la sua conoscenza dello stato di insolvenza del [Xxxxxxx].
2. Il Tribunale di Forlì, istruita la causa mediante prove testimoniali e consulenza tecnica d’ufficio, accoglieva la domanda principale, condannando la società convenuta alla restituzione in favore della massa di tutte le somme da essa incassate nel biennio anteriore al fallimento in virtù delle cessioni in suo favore di crediti maturati dal [Fallito], nei confronti di Pubbiche Amministrazioni, cessioni ritenute mezzi anormali di pagamento ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2.
3. Proponeva appello la [Società] s.r.l. in liquidazione, lamentando tra l’altro che il primo giudice aveva omesso di considerare, da un lato, che la cessione del credito era stata prevista dalle parti, sin dal sorgere della obbligazione, come normale mezzo di estinzione di un debito contestualmente creato, dall’altro che la revocatoria non era nella specie esperibile stante il disposto della L. n. 52 del 1991 regolante il contratto di factoring, cui erano riconducibili le operazioni compiute dalle parti. Si doleva inoltre della ritenuta sussistenza del requisito soggettivo dell'azione revocatoria.
4. La Corte d’appello di Bologna, con sentenza depositata il 7 ottobre 2010 e notificata il 15 aprile 2011, ha rigettato il gravame. Quanto al requisito oggettivo dell’azione, la Corte ha, in primo luogo, rilevato come la struttura generale delle operazioni di finanziamento poste in essere dalle parti si articolasse, per ogni rapporto, in due tempi, nel primo dei quali la [Società], al momento della stipula di ciascun contratto di appalto da parte dell’impresa del [Fallito] con le varie Amministrazioni pubbliche, erogava all’impresa stessa somme di denaro diverse di volta in volta a fronte del rilascio da parte del finanziato di un mandato irrevocabile all’incasso; e nella seconda, al momento della emissione delle fatture in relazione agli stati di avanzamento lavori emessi, l’impresa stessa rilasciava a [Società] una lettera avente ad oggetto la
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ricognizione di una apertura di credito di importo corrispondente a quello della fattura a fronte della cessione del credito documentato, ricevendo peraltro dalla [Società] importi sempre inferiori a quelli delle aperture di credito. Ha quindi osservato la Corte che, pur prescindendo dal ravvisare una funzione solutoria (oltre che di garanzia) anche nei mandati irrevocabili all'incasso rilasciati nella prima fase, debbono ritenersi senz’altro atti solutori anomali le successive cessioni dei crediti operate nel biennio anteriore al fallimento, giacché queste costituivano il mezzo attraverso il quale la [Società] riceveva il pagamento dei crediti (capitale ed interessi) per restituzione delle anticipazioni, già maturati nei confronti del [Xxxxxxx] al momento delle cessioni stesse. Ne ha quindi confermata l’inefficacia nei confronti del fallimento della impresa cedente, rilevando peraltro l’inammissibilità, ex art. 345 c.p.c., della nuova deduzione (peraltro infondata), contenuta nell'atto di appello, circa la sussistenza di un contratto di factoring tra le parti. Infine la Corte ha rilevato, quanto al requisito soggettivo dell’azione revocatoria, come la dedotta insussistenza di protesti, procedimenti esecutivi ed istanze di fallimento fosse inidonea a vincere la presunzione semplice di conoscenza posta dalla L. Fall., art. 67, comma 1, tanto più in un contesto nel quale esistevano, all’epoca delle operazioni in questione, altri elementi chiaramente indicativi di una situazione di crisi dell’impresa del [Xxxxxxx].
Avverso tale sentenza la [Società] s.r.l. in liquidazione, con atto spedito per la notifica a mezzo posta il 2 maggio 2011, ha proposto ricorso a questa Corte, formulando sette motivi, illustrati anche con memoria. L’intimata Curatela fallimentare non ha svolto difese.
Diritto
1. Il primo motivo lamenta che la corte distrettuale abbia ritenuto infondato, in violazione di norme di diritto (artt. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c.), il motivo di appello diretto a sentir dichiarare improponibile la domanda di revocatoria in mancanza di produzione della sentenza dichiarativa di fallimento da parte della Curatela, che avrebbe precluso la possibilità di individuare il c.d. periodo sospetto in relazione alle varie ipotesi previste dalla L. Fall., art. 67 e richiamate nell’atto di citazione.
La doglianza è priva di fondamento. Rettamente la corte distrettuale ha evidenziato come la data di deposito della sentenza di fallimento (10.7.1997) fosse rimasta incontestata per tutto il corso del giudizio di primo grado, ed anzi risultasse indicata anche dalla stessa [Società] nella domanda di insinuazione al passivo prodotta dalla Curatela, sì che non era necessaria la produzione in giudizio della sentenza dichiarativa al fine indicato dalla odierna ricorrente in atto di appello. A tale argomentazione non vale opporre la tesi, sostenuta confusamente in ricorso, secondo la quale nella specie il principio della insussistenza dell’onere della prova relativamente ai fatti incontestati non potrebbe trovare applicazione perché la sentenza di fallimento “deve provarsi per iscritto ad substantiam”. La sentenza di fallimento invero non è che un presupposto di fatto della azione revocatoria, e come fatto ben può essere, ove come nella specie non specificamente contestato in ordine al suo contenuto (ivi compresa la data), essere ritenuto provato a norma dell'art. 115, comma 1 (come modificato dalla L. n. 69 del 2009).
2. Non merita accoglimento neppure il secondo motivo, con il quale la ricorrente si duole, sotto il profilo della violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 67, della funzione, attribuita dalla corte di merito alle cessioni di credito in questione, di anomali atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili. L’illustrazione del motivo si limita invero a richiamare alcuni precedenti arresti di questa Corte che non affermano principi di diritto in contrasto con la ratio che sostiene la statuizione impugnata, secondo cui con le cessioni di credito erano stati estinti i crediti già maturati a carico della cedente per la restituzione delle anticipazioni precedentemente effettuate dalla cessionaria in suo favore. A tale accertamento la ricorrente non contrappone specifiche censure, bensì la generica - e quindi inapprezzabile - affermazione, racchiusa in un quesito di diritto, secondo cui non possono essere qualificate come anomale le cessioni di credito qualora non siano state stipulate per estinguere un debito preesistente e scaduto bensì siano funzionalmente contestuali al sorgere del credito.
3. Con il terzo motivo la ricorrente si duole della motivazione esposta a sostegno della ritenuta novità – e conseguente inammissibilità, ex art. 345 c.p.c. - della deduzione, contenuta nell’atto di appello, circa la sussistenza di un contratto di factoring tra le parti, alla cui causa ricondurre le cessioni in questione onde escluderne o limitarne la revocabilità a norma della L. n. 52 del 1991, artt. 5 e 7. Lamenta la ricorrente che la motivazione sarebbe “contraddittoria”, avendo la corte di merito omesso di considerare: a) che,
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nella comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado, essa [Società] aveva rilevato di essere “società finanziaria, iscritta nell’elenco degli intermediari finanziari, che sin dal 1986 compie ogni e qualsiasi attività di carattere finanziario ed amministrativo che per legge può essere consentito effettuare: factoring con anticipo crediti, garanzia su crediti, operazioni di leasing, acquisto o cessione di crediti pro soluto e pro solvendo, fideiussioni, intermediazione finanziaria”; b) che, in assenza di contestazioni di controparte al riguardo, si era ormai formato un giudicato interno sulla qualificabilità delle operazioni di causa come operazioni di factoring.
Va tuttavia osservato che la denuncia di vizio di motivazione, in relazione ad una statuizione concernente (come nella specie) il processo, è inammissibile, dal momento che, in relazione a tali statuizioni, questa Corte è giudice anche del fatto processuale e non può dunque limitare la sua cognizione alla sussistenza nella motivazione dei requisiti previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma è investita del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, sempre che la censura sia proposta dalla parte ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (cfr. ex multis: Cass. sez. L n. 8069/2016; Sez. 2 n. 1545/2016; Sez. 1 n. 16164/2015; S.U. n. 8077/2012). D’altra parte, la doglianza della ricorrente, ove mai interpretabile come diretta sostanzialmente a denunciare un error in procedendo nel quale sarebbe incorsa la corte di merito nel qualificare come nuova la prospettazione in appello delle cessioni di credito quali operazioni di factoring sottratte (in tutto o in parte) alla revocabilità, si paleserebbe comunque priva di fondamento, stante la evidente diversità intercorrente tra tale prospettazione e la mera allegazione svolta in primo grado - pur non contestata - circa la qualifica soggettiva della [Società], di società di intermediazione finanziaria, come tale abilitata a compiere tutte le molteplici attività previste al riguardo dalla normativa in materia.
In ogni caso, dunque, il motivo non merita accoglimento.
4. Resta assorbita in tale rigetto l’ulteriore censura, esposta nel quarto motivo, di violazione o falsa applicazione della nozione di factoring di cui alla L. n. 52 del 1991, nella quale sarebbe incorsa la corte di merito nel ritenere comunque priva di fondamento la (nuova) prospettazione formulata al riguardo in appello, la cui inammissibilità rende ultronea l'ulteriore verifica richiesta nel quarto motivo.
5. Parimenti assorbita deve ritenersi la doglianza, esposta nel settimo motivo, di omessa pronuncia circa la richiesta subordinata di limitare la revocatoria ai pagamenti eseguiti nell’anno anteriore alla sentenza di fallimento. Doglianza che, disponendo l’art. 67, comma 1, n. 2 (nel testo nella specie applicabile ratione temporis) la revocabilità dei pagamenti anormali eseguiti nei due anni anteriori al fallimento, va intesa come presupponente la applicabilità nella specie della normativa sulla revocabilità delle operazioni di factoring, che per l’appunto (L. n. 52/1991, art. 7) limita tale rimedio ai pagamenti eseguiti dal cessionario al cedente nell’anno anteriore al fallimento. Sì che la doglianza stessa resta travolta dalla inammissibilità, rettamente dichiarata dalla corte distrettuale, della introduzione nel giudizio di merito della eccezione relativa alla inerenza delle cessioni ad un contratto di factoring con le conseguenze derivanti dalla normativa richiamata.
6. Con il quinto ed il sesto motivo, esaminabili congiuntamente stante la stretta connessione, la ricorrente denuncia il vizio di motivazione contraddittoria nel quale sarebbe incorsa la corte distrettuale nel ritenere inidonea a vincere la presunzione semplice di consapevolezza, da parte di essa ricorrente, dello stato di dissesto della impresa del [Fallito] (L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2) la dedotta insussistenza, all’epoca delle cessioni, di inadempimenti, protesti, procedimenti esecutivi, istanze di fallimento a carico della impresa stessa.
Tali doglianze sono inammissibili, in quanto si risolvono nella richiesta di riesame nel merito delle valutazioni espresse dalla corte distrettuale. La quale ha, con motivazione congruamente supportata da elementi probatori e non priva di logica e coerenza, rilevato come, deducendo la mera insussistenza di quegli elementi, la odierna ricorrente non abbia assolto all’onere, su di essa gravante, di dimostrare circostanze tali da far presumere, ad un soggetto (quale l’impresa ricorrente) operante professionalmente con la connessa prudenza ed avvedutezza, che l’impresa del [Fallito] si trovasse in una situazione di esercizio normale della sua attività. Le circostanze di fatto indicate dalla corte distrettuale, sulla base di precisi riscontri, a supporto di tale valutazione (secondo cui a partire dal giugno 1995 la maggior parte degli Istituti di credito avevano revocato gli affidamenti alla Impresa del [Fallito], e quest’ultima, al fine di procurarsi credito, era ricorsa alla cessione di fatture per lavori ancora non eseguiti o per importo superiore a quello dei lavori eseguiti, fatture poi stornate) risultano, da un lato, inammissibilmente criticate
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dalla ricorrente nel significato ad esse attribuito dalla corte stessa, dall'altro genericamente contestate in ricorso con il solo richiamo alla circostanza - che di per sé non appare decisiva - secondo la quale i rapporti tra la [Società] ed il [Fallito] sarebbero iniziati nel 1994.
7. Il rigetto del ricorso si impone dunque.
Non vi è luogo per provvedere sulle spese di questo giudizio, non avendo la parte intimata svolto difese.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2017
* * *
IL CASO
Una ditta individuale, appaltatrice della Pubblica Amministrazione, pone in essere con una società di intermediazione finanziaria una complessa operazione di finanziamento. In primo luogo, al momento della sottoscrizione dei contratti di appalto con la Pubblica Amministrazione, la società finanziatrice erogava alla ditta individuale somme di denaro di volta in volta diverse, a fronte del rilascio da parte della impresa finanziata di un mandato irrevocabile all’incasso. Successivamente, in corrispondenza della redazione degli Stati di Avanzamento lavori e della emissione delle relative fatture da parte della ditta appaltatrice, quest’ultima rilasciava alla società finanziaria, a fronte della cessione del credito, una lettera avente a oggetto la ricognizione di una apertura di credito corrispondente a quello della fattura, ricevendo peraltro importi sempre inferiori a quelli delle cessioni del credito. Il 10 luglio 1997, il Tribunale di Forlì dichiarava fallita la ditta individuale e il Curatore – reputate le cessioni dei crediti effettuate in corrispondenza dell’emissione delle fatture pagamenti anomali – esercitava poi azione revocatoria fallimentare ai sensi dell’art. 67, comma 1, n. 2 l. fall.
Il Tribunale di Forlì, istruita la causa mediante prove testimoniali e consulenza tecnica d’ufficio, accoglieva la domanda della Curatela, per l’effetto condannando la società finanziaria a versare alla massa le somme incassate nel biennio (essendo applicabile il termine del periodo sospetto previsto anteriormente alla riforma di cui al D.l. n. 35/2005 convertito nella l. 80/2005) anteriore al fallimento.
La Corte d’Appello di Bologna confermava la sentenza di primo grado, condividendo con il Tribunale la valutazione circa la natura di pagamento anormale delle cessioni di credito, in quanto, tramite tali cessioni, la società finanziaria aveva ricevuto il pagamento di crediti (per capitale e interessi) già maturati in conseguenza di precedenti anticipazioni (par di intendere: delle anticipazioni effettuate al momento della sottoscrizione dei contratti di appalto). Né avrebbe potuto rilevare la qualificabilità – peraltro in concreto ritenuta insussistente – del rapporto in termini di factoring, nella misure in cui questa allegazione era stata prospettata per la prima volta solo con l’atto di appello e doveva dunque ritenersi inammissibile.
La Corte d’Xxxxxxx ha infine confermato il difetto di prova relativo alla inscientia decoctionis del cessionario dei crediti, sul punto confermando la valutazione di fatto del Tribunale di Forlì circa l’esistenza di adeguati indici sintomatici dell’insolvenza, tali da rendere gli elementi in senso contrario allegati dall’appellante non idonei al superamento della presunzione di consapevolezza posta dall’art. 67, comma 1, l. fall.
Con l’articolata decisione in oggetto, la Corte di Cassazione respinge tutte le censure proposte della società cessionaria e conferma la sentenza di primo grado.
E’ innanzitutto respinta la censura relativa al difetto di prova della decorrenza del periodo sospetto, derivante dalla circostanza per cui la Curatela non aveva tempestivamente prodotto la sentenza di fallimento. Sul punto la Corte di Cassazione ha agevolmente replicato che l’esistenza della sentenza di apertura della procedura – e la relativa data – non era mai stata oggetto di specifica contestazione, con conseguente applicazione del principio della
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fuoriuscita dal thema probandum del fatto non oggetto di specifica contestazione da parte del convenuto costituito.
Parimenti sono respinte tutte le censure svolte dalla ricorrente con riferimento alla qualificazione in termini di contratto di factoring dell’operazione negoziale posta in essere dalle parti. La Cassazione condivide infatti il rilievo di tardività già effettuato dal Giudice a quo, con la conseguenza di ritenere inammissibile la relativa censura proposta sotto il profilo del vizio di motivazione (laddove sull’error in procedendo la Corte, in funzione di giudice del fatto, può esaminare direttamente atti e documenti sui quali l’eventuale vizio si fonda) e di ritenere inammissibile la doglianza subordinata con la quale si invocava quantomeno l’applicabilità del minor termine annuale di periodo sospetto stabilito dall’art. 7 della legge n. 52 del 1991.
Infine, in relazione al presupposto soggettivo della revocatoria fallimentare di pagamenti anormali, la Corte reputa un apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità la valutazione della Corte bolognese per cui gli indici di insolvenza riscontrati renderebbero non decisiva, ai fini della prova della inscentia decoctionis, l’insussistenza di protesti, procedure esecutive o istanze di fallimento. Come affermato dal Giudice a quo – nell’ambito di una motivazione logica e congrua – la circostanza per cui a partire dal giugno 1995 la maggior parte degli Istituti di credito avevano revocato gli affidamenti alla ditta individuale e quest’ultima, al fine di procurarsi credito, era ricorsa alla cessione di fatture per lavori non ancora eseguiti (fatture poi stornate) non poteva far presumere a un soggetto operante professionalmente, con la connessa prudenza e avvedutezza, che la ditta individuale si trovasse in una situazione di esercizio normale della sua attività.
COMMENTO
Le due pronunce della Suprema Corte in commento tornano sul tema dei presupposti e delle condizioni per la qualificazione della cessione del credito alla stregua di un pagamento anomalo – con le relative conseguenze in materia di revocatoria fallimentare – a conferma della attualità del tema e della ricchezza delle ipotesi che l’esperienza giurisprudenziale offre.
Come noto, la cessione dei crediti è disciplinata dagli artt. 1260 – 1267 c.c. alla stregua di una modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio, senza che predetta normativa indichi la causa del trasferimento della posizione attiva del rapporto. Superate le teorie che avevano configurato la cessione del credito quale negozio astratto1, la giurisprudenza2 e la dottrina3 oggi dominanti ritengono che si tratti di un negozio a causa variabile, da ricercarsi in concreto attraverso l’individuazione della reale finalità perseguita dalle parti (es. vendita, donazione, adempimento, garanzia), con la conseguenza per cui la disciplina di cui all’art. 1260 c.c. deve essere integrata con la disciplina del tipo negoziale in cui il trasferimento del credito abbia il proprio titolo, nonché con riferimento alle norme relative alla disciplina generale del contratto4.
Tra le più rilevanti conseguenze determinate dal concreto assetto causale che sottende al negozio di cessione del credito spicca proprio il trattamento della cessione ai fini della disciplina della revocatoria fallimentare.
La giurisprudenza si è infatti ormai definitivamente orientata nel consolidato principio per cui la cessione del credito si caratterizza come anomala rispetto al pagamento effettuato in denaro o con titoli di credito considerati equivalenti e, pertanto, è soggetta all’azione revocatoria fallimentare in tema di pagamenti effettuati con mezzi anormali, se compiuta in funzione solutoria, e cioè per estinguere un debito preesistente, scaduto ed esigibile5. La stessa
1 MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, III, Milano, 1959, 189 ss.
2 Ex plurimis, Cass. civ., 31 luglio 2012, n. 13691, in Giust. civ. Mass., 2012, 1004; Cass. civ., 10 giugno 2011, n. 12736, in Giust.
civ. Mass., 2011, 993; Cass. civ., 3 luglio 2009, n. 15677, in Giust. civ. Mass., 2009, 1033; Cass. civ., 3 aprile 2009, n. 8145, in
Giust. civ. Mass., 2009, 582; Cass. civ., 3 dicembre 2002, n. 17162, in Giust. civ. Mass., 2002, 2109.
3 Ex multis DISTASO, Le obbligazioni in generale, in Giurispr. Sist. di diritto civile e comm., fondata da BIGIAVI, Torino, 1970, 765 ss.; GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2000, 607; AMBROSINI, La vendita del credito con garanzia di solvenza, 20003, 18 ss;
4 VALENTINO, sub 1260, Codice civile annotato con la dottrina e la giurisprudenza (a cura di XXXXXXXXXX), IV, 1, Napoli, 2010, 188 ss.
5 Cass. civ., 11 novembre 2013, n. 25284, in Guida al dir., 2013, 48, 67; Cass. civ., 10 giugno 2011, n. 12736, cit.; Cass. civ., 27
aprile 2011, n. 9388, in Giust. civ. Mass., 2011, 660; Cass. civ., 29 luglio 2009, n. 17683, in Giust. civ. Mass., 2009, 1244; Cass.
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giurisprudenza ha peraltro cura di precisare che la predetta anomalia non è invece riscontrabile qualora la cessione sia stata stipulata a scopo di garanzia di un debito sorto contestualmente, dovendo peraltro intendersi la contestualità in senso eminentemente sostanziale e causale6.
L’applicazione pratica di questi principi si è in primo luogo concretata nella elaborazione di una serie di regole applicative – non prive di margini di incertezza – con riferimento alla cessione dei crediti e ai mandati all’incasso che accompagnano i contratti bancari con funzione di finanziamento alle imprese regolati in conto corrente (il c.d. autoliquidante). In questi casi la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che la cessione è revocabile anche se costituita contestualmente alla concessione di un ulteriore credito al cedente che versi già in posizione debitoria verso il cessionario, dovendosene escludere la revocabilità solo quando sia stata prevista come mezzo di estinzione contestuale al sorgere del debito che venga così estinto7.
Non sussistono invece dubbi sulla circostanza per cui la cessione di credito d’imprese inserita in un rapporto di factoring sia, in via generale, sottratta alla scure della valutazione in termini di anomalia del pagamento, tanto che – talvolta – l’ipotesi della cessione di crediti ex l. 52/1991 è espressamente contemplata quale una delle ipotesi di insussistenza della anomalia del pagamento8.
Ciò appare evidente qualora si ritenga il contratto di factoring caratterizzato da una causa di scambio9: in questo caso la cessione del credito costituisce la controprestazione del versamento del prezzo/anticipazione e trova ragione non nell’estinzione di un preesistente debito, ma nella attuazione della causa di scambio.
Tuttavia le conclusioni non cambiano anche qualora si ritenga il factoring caratterizzato da una causa, esclusiva o prevalente, di finanziamento: in tale ricostruzione, se è vero che la cessione del credito avviene in funzione di garanzia della anticipazione versata, resta inteso che il trasferimento del credito in garanzia costituisce un trasferimento effettivo e reale10, che avviene contestualmente alla erogazione del finanziamento11.
civ., 22 gennaio 2009, n. 1617, in Giust. civ. Mass., 2009, 100; Cass. civ., 20 gennaio 2006, n. 1187, in Giust. civ. Mass., 2006, 1;
Cass. civ., 10 novembre 2005, in Fall., 2006, 779; Cass. civ., 8 luglio 2004, n. 12556, in Giust. civ. Mass., 2004, 7-8; Cass. civ., 23
aprile 2002, n. 5917, in Giust. civ., 2003, I, 461; Cass. civ., 5 luglio 1997, n. 6047, in Fall., 1997, 1220; Cass. civ., 25 febbraio
1993, n. 2330, in Fall., 1993, 1013; Cass. civ., 12 luglio 1991, n. 7794, in Fall., 1992, 27; App. Bologna, 7 febbraio 2003, in Fall.,
2004, 222; Trib. Milano, 30 aprile 2003, in Fall., 2003, 1231; Trib. Genova, 21 giugno 1999, in Dir. fall., 2000, II, 1262.
6 Cass. civ., 10 giugno 2011, n. 12736, cit.; Cass. civ., 22 gennaio 2009, n. 1617, cit.; Cass. civ., 6 dicembre 2006, n. 26154, in
Guida al dir., 2007, 15, 51.
7 Cass. civ., 27 aprile 2011, n. 9388, cit.; Cass. civ., 8 luglio 2004, n. 12556, cit.; v. anche Cass. civ., 29 luglio 2009, n. 17683,
cit.; App. Bologna, 14 marzo 2003, in Fall., 2004, 109; App. Bologna, 7 febbraio 2003, cit.; Trib. Milano, 30 aprile 2003, cit.;
Trib. Udine, 14 marzo 1994, in Dir. fall., 1994, II, 546; Trib. Milano, 16 dicembre 1993, in Giur. comm., 1995, II, 252.
8 Cass. civ., 11 novembre 2013, n. 25284, cit. Resta ferma tuttavia la possibilità del Curatore del fallimento del cedente di agire ai sensi dell’art. 7, comma 1, della l. 52/1991 per la dichiarazione di inopponibilità della cessione, tuttavia dovendo provare che il factor conosceva lo stato di insolvenza del cedente quando ha eseguito il pagamento, e sempre che il pagamento sia stato eseguito nel periodo sospetto e prima della scadenza del credito; tale azione rientra nel secondo comma dell’art. 67 l. fall., relativo a disposizioni patrimoniali del fallito non inique, ma comunque idonee a turbare la consistenza della massa attiva destinata al concorso (cfr. Cass. civ., 23 giugno 2015, n. 12994, in Giur. civ. Mass., 2015; Cass. civ., 5 luglio 2013, n. 16828,
Giust. civ. Mass., 2013; Cass. civ., 13 febbraio 2004, n. 2782, in Fall., 2004, 762).
Inoltre la cessione del credito, pure se prevista in un contratto di factoring, può costituire pagamento anomalo qualora si inserisca in un rapporto unitario e trilaterale in forza del quale l’anticipazione del factor sia in ultima analisi destinata a consentire il rientro del cedente da una esposizione di una banca collegata alla società di factoring: In questo caso l’unitarietà dell’operazione comporta che l’anticipazione sia considerata pagamento dell’esposizione consolidata (cfr. Cass. civ., 27 gennaio 2017, n. 15943, in questo Osservatorio, n. 3/2017, 2).
9 ALBANESE – XXXXXX, Leasing e factoring, Milano, 2011, 230 ss; XXXXXXX, Contratti moderni. Factoring, franchising e leasing, in Tratt. dir. civ. (diretto da SACCO), Torino, 2004, 91 ss.; DE NOVA, Nuovi contratti, Torino, 1999, 126; ID., La nuova disciplina della cessione dei crediti (factoring) in MUNARI (cur.), Sviluppi e nuove prospettive della disciplina del leasing e del factoring in Xxxxxx, Xxxxxx, 0000, 83. In giurisprudenza v. da ultimo Cass. civ., 2 ottobre 2015, n. 19716, in questo Osservatorio, n. 1/2017, 18; Cass. civ., 15 febbraio 2013, n. 3829, in Giust. civ. Mass., 2013; Cass. civ., 28 febbraio 2008, n. 5302, in Foro pad., 2008, 303; Cass. civ., 11 maggio 2007,
n. 10833, in Foro it., 2008, I, 1220.
10 Cass. civ., 3 luglio 2009, n. 15677, cit.; Cass. civ., 16 aprile 1999, n. 3797, in Giust. civ. Mass., 1999, 868; Cass. civ., 19 gennaio
1995, n. 575, in Fall., 1995, 838; Cass. civ., 5 novembre 1980, n. 5943, in Giust. civ. Mass., 1980, 11.
11 Sulla causa di finanziamento caratterizzante il factoring v. tra i molti CLARIZIA, Contratti di factoring, in I contratti del mercato finanziario (a cura di XXXXXXXXX-XXXXX), II, Torno, 2010, 1674; XXXXXXXXX, Problemi giuridici del factoring, in Riv. dir. civ., 1978, 310; FOSSATI – PORRO, Il factoring, Milano, 1985, 143.
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E anche infine a ritenere un determinato contratto di factoring, per le sue caratteristiche concrete, inquadrabile tipologicamente nel contratto di mandato12, sussisterebbero ragioni per ritenere insussistente l’anomalia del pagamento, laddove la giurisprudenza ha avuto occasione di precisare che il pagamento del terzo conseguente a un mandato irrevocabile all’incasso con funzioni di garanzia di un credito contestualmente sorto non costituisce un pagamento anomalo13.
In questo panorama giurisprudenziale, le due sentenze in commento si inseriscono suggerendo differenti riflessioni. Nel primo dei casi sopra indicati (Cassazione, 2 novembre 2017, n. 26063), la motivazione della Corte appare lineare e non lasciare rilevanti spazi a dubbi interpretativi. In una ipotesi in cui nessuna delle parti aveva inferito l’esistenza di un rapporto di factoring, la Corte d’Xxxxxxx aveva ritenuto il pagamento mediante cessione del credito un mezzo di pagamento normale, rigettando la revocatoria in assenza di prova della effettiva14 consapevolezza dell’accipiens dello stato di insolvenza della società fallenda. La Corte di Cassazione ha di converso valorizzato la circostanza – non contestata agli atti di causa – per cui la cessione del credito era avvenuta in assenza del versamento di un corrispettivo o di un contestuale finanziamento da parte dell’Istituto di credito, ma al solo scopo di ridurre una pregressa esposizione. Ne è seguita, secondo la Corte, la qualificazione in termini di pagamento anormale della cessione del credito. Questo inquadramento oggettivo ha portato, nel contempo, a una diversa valutazione in tema di requisito soggettivo della scientia decoctionis, che - costituente oggetto di un onere della prova a carico del Curatore per l’ipotesi di pagamento normale - si presume invece in caso di pagamento anomalo.
Alcuni spunti di riflessione possono invece sorgere dalla lettura della seconda pronuncia in commento (Cassazione, 3 maggio 2017, n. 10721).
Tali dubbi non riguardano gli aspetti in rito oggetto della decisione. Pur in difetto di precedenti in termini, appare condivisibile la valutazione della Corte relativa alla irrilevanza, nella fattispecie, del difetto di produzione della sentenza di fallimento da parte del Curatore (con contestazione di un difetto di prova anche in tema di decorrenza del periodo sospetto).
E invero, nel caso di specie, il convenuto in revocatoria non aveva mai contestato la data della sentenza di fallimento (né quindi la decorrenza del periodo sospetto dedotta dalla Curatela) e aveva altresì prodotto in giudizio la propria insinuazione al passivo del fallimento, che riportava come data quella indicata dal Fallito.
Secondo la prospettiva adottata dalla Corte, la sentenza di fallimento, pur costituendo un atto necessariamente scritto, non viene in considerazione nel processo relativo a revocatoria quale fonte di effetti negoziali tra le parti (con conseguente necessità di prova scritta ex artt. 1350 e 2725 c.c.), bensì quale presupposto di fatto, che – se non oggetto di contestazione dal parte del convenuto costituito – rientra nel perimetro di applicazione dell’art. 115, comma 1, c.c., in forza del quale il Giudice deve porre a fondamento della decisione non solo le prove proposte dalle parti, ma anche i fatti non specificamente contestati dalle parti costituite15.
Applicazione di un consolidato principio giurisprudenziale è quella per cui la denuncia di un error in procedendo non può essere proposta sotto il profilo del divieto di motivazione16: poiché con riferimento al rispetto
12 Per l’assimilazione del factoring alla causa mandati cfr. ad es. PICCININI, Qualificazione giuridica delle operazioni di factoring, funzione della cessione dei crediti e revocabilità dei pagamenti effettuati dai debitori ceduti al factor in caso di fallimento dell’impresa cedente, in Banca borsa tit. cred., 2008, II, 614 e, prima della l. 52/1991, ALPA, Qualificazione dei contratti di leasing e di factoring e suoi effetti nei confronti della procedura fallimentare, in Dir. fall., 1989, I, 190; XXXXXXXX, Il factoring, in Riv. dir. comm., 1981, I, 317.
13 Cass. civ., 6 dicembre 2006, n. 26154, cit.; contra Cass. civ., 16 luglio 2004, n. 13165, in Giust. civ. Mass., 2004; Cass. civ., 13
aprile 2000, n. 4754, in Giust. civ. Mass., 2000, 796.
14 Cfr. sulla circostanza per cui la prova deve tendere alla dimostrazione della conoscenza effettiva e non meramente potenziale: Xxxx. civ., 14 gennaio 2016, n. 526, in Giust. civ Mass., 2016; Cass. civ., 30 ottobre 2015, n. 22184, in Diritto&Giustizia, 2015;
Cass. civ., 19 febbraio 2015, n. 3336, in Giust. civ Mass., 2015; Cass. civ., 24 ottobre 2012, n. 18196, , in Giust. civ Mass., 2012,
1240; Cass. civ., 19 gennaio 2011, in Fall., 2011, 877.
15 Cfr. ex multis Cass. civ., 6 ottobre 2015, n. 19896, in Giust. civ. Mass., 2015.
16 Si ricorda, peraltro, che la deducibilità del vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione quale vizio autonomo della sentenza ai fini del ricorso in Cassazione è stata abrogata dalla riforma di cui al D.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7
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della legge processuale la Cassazione procede all’esame diretto di atti e documenti processuali, il Giudice di legittimità è sul punto eccezionalmente giudice del fatto, al quale deve dunque richiedersi una diretta valutazione del fatto e non l’esame della congruità della motivazione relativa al trattamento giuridico di quel fatto17.
Con riferimento alla esclusione della prova della inscientia decoctionis derivante dalla assenza di protesti, procedure esecutive e istanze di fallimento, la Corte ritiene ragionevole il rilievo conferito dalla Corte d’Appello alla presenza di revoche di affidamenti a opera di una parte degli Istituti di credito e alla circostanza per cui la fallenda, al fine di procurarsi credito, era ricorsa alla cessione di fatture per lavori non ancora eseguiti (fatture poi stornate). Non essendo note le motivazioni della Corte d’Appello, non possono sul punto svilupparsi ulteriori riflessioni; tuttavia, qualora la società finanziatrice non fosse stata a conoscenza, al momento della cessione dei crediti, dell’esistenza di fatture emesse anche in assenza di compimento di lavori, potrebbero nutrirsi perplessità circa la sufficienza del solo dato della revoca di alcuni (ma non tutti) affidamenti ai fini di una effettiva conoscenza dello stato di insolvenza.
La sentenza tuttavia pare soprattutto suscitare alcune perplessità nei passaggi in cui ha escluso recisamente la qualificabilità in termini di factoring del rapporto e l’esistenza di una funzione di garanzia della cessione del credito.
Con riferimento alla qualificazione in termini di factoring dell’operazione negoziale, la Corte ha esaurito la questione sotto il profilo processuale, ritenendo tardive le deduzioni effettuate solo in appello dalla società finanziaria. Appare in ogni caso opportuno ricordare che la qualificazione dei fatti giuridici sulla base delle norme di diritto è effettuata d’ufficio dal Giudice (per il principio iura novit curia) che può quindi – fermo il principio dispositivo che impedisce la pronuncia su fatti o effetti non invocati dalle parti18 – ravvisare l’applicabilità della disciplina in materia di cessione dei crediti d’impresa anche nel caso in cui la stessa non sia invocata dalle parti. Né peraltro, in generale, la qualificazione di un contratto dipende dal nomen juris attribuito dai paciscenti19, potendo dunque il Giudice qualificare in termini di factoring l’operazione di cessione di crediti ogni qual volta il cedente sia un imprenditore, il credito sia relativo all’esercizio dell’impresa e il cessionario abbia i requisiti di cui all’art. 1, lett. c) della l. 21 febbraio 1991, n. 52.
Quanto al secondo punto sopra richiamato, la cessione dei crediti pare inserirsi, secondo le brevi informazioni che è dato trarre dalla motivazione, in una complessa ma unitaria operazione negoziale, che partiva con il versamento di una anticipazione al momento della sottoscrizione con la Pubblica Amministrazione di un contratto di appalto (contestuale al rilascio di mandato all’incasso) e prevedeva successivi atti di cessione del credito in corrispondenza della prosecuzione dei lavori. L’unitarietà della operazione negoziale20 potrebbe far supporre che la cessione dei crediti debba essere collegata, sotto il profilo causale, alla funzione di garanzia delle precedenti anticipazioni, peraltro già garantite da mandati all’incasso relativi ai medesimi crediti: il principio per cui la contestualità tra garanzia e finanziamento deve essere valutata sotto il profilo sostanziale e causale piuttosto che cronologico21 avrebbe dunque potuto condurre a diverse conclusioni.
Avv. Xxxxxxx Xx Xxxx
xxxxxxx.xxxxxx@xxxxxxxxxxxx.xx
agosto 2012, n. 134. Resta deducibile, oltre alla omessa o apparente motivazione quale vizio costituente violazione della legge processuale (art. 132, comma 2, c.p.c.), l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (vigente art. 360, comma, 1, n. 5, c.p.c.).
17 Cass. civ., 21 aprile 2016, n. 8069, in Giust. civ. Mass., 2016; Cass. civ., 30 luglio 2015, n. 16164, in Giust. civ. Mass., 2015; Cass.
civ., 28 gennaio 2015, n. 1615, in Giuda al dir., 2015, 20, 76; Cass. civ., 4 luglio 2013, n. 16748, in Guida al dir., 2013, 36, 94.
18 XXXXXXXXX – ARIETA, Trattato di diritto processuale civile, I, 1, Padova, 2001, 359; Cass. civ., I, 2 febbraio 1995, n. 1222, in
Giust. civ. Mass., 1995, 260.
19 Cfr. Cass. civ., SS.UU., 30 giugno 2008, n. 17767, in Foro it., 2009, I, 465; Cass. civ., 3 agosto 2012, n. 13945, in Giust. civ.
Mass., 2012, 1017; Cass. civ., 16 ottobre 2007, n. 21260, in Guida al dir., 2007, 49, 58.
20 In tema di collegamento negoziale, cfr. da ultimo, Cass. civ., 10 ottobre 2014, n. 21417, in Guida al dir., 2015, 2, 62.
21 Cfr. supra nt. 6.
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