CAPITOLO I
Dipartimento di Giurisprudenza Cattedra di Diritto del lavoro
GLI INTERVENTI DI CONTRASTO AL LAVORO SOMMERSO
RELATORE
Xxxx. Xxxxxxx Xxxxx
CANDIDATA
CORRELATORE
Prof. Xxxxxxxx Xxxxxxx
ANNO ACCADEMICO 2016 – 2017
Xxxx Xxxxxx Matr. 119633
CAPITOLO I
LAVORO SOMMERSO
1. Definizione di lavoro sommerso e caratteristiche generali
2. Lavoro irregolare
2.1. Lavoro in nero e lavoro grigio
2.2. Lavoro in elusione
3. I soggetti del lavoro sommerso
3.1. Datore di lavoro
3.2. Lavoratore
4. Quadro generale del lavoro sommerso in Italia
5. Dove si concentra il sommerso?
5.1. Analisi geografica: maggiore concentrazione nelle regioni del sud
5.2. Impatto sul sistema economico: settori e soggetti più a rischio
5.2.1. Agricoltura: legge contro il caporalato
5.2.2. Lavoro sommerso nel terzo settore e nell’artigianato
5.2.3. Edilizia
6. Le Cause e le conseguenze del sommerso
CAPITOLO II
INTERVENTI DI EMERSIONE DEL LAVORO SOMMERSO
1. Definizione di economia sommersa
2. Le fonti normative e le politiche di regolarizzazione
2.1. Contratti di riallineamento: modello normativo e campo di applicazione
2.2. Legge 448/1998 istitutiva del Comitato per l’emersione del lavoro non regolare
2.3. I piani di emersione: legge 18 ottobre 2001 n° 383
2.4. La riforma del Titolo V della Costituzione: il ruolo delle regioni nel contrasto al lavoro sommerso
2.5. Tentativo di regolarizzazione dei contratti di collaborazione a progetto di cui agli art. 61 e ss. D.lgs. 276/2003
2.6. Il lavoro occasionale accessorio come strumento di emersione del lavoro sommerso: ambito di applicazione e soggetti beneficiari
2.6.1. Le criticità inerenti al lavoro accessorio ed abolizione dei buoni lavoro
3. Attività ispettiva e regime sanzionatorio
3.1. Il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale: evoluzione normativa
3.1.1. La disciplina vigente: presupposti, efficacia, effetti e revoca del provvedimento
3.2. La maxisanzione per il lavoro irregolare
3.3. La fattispecie del lavoro irregolare sanzionabile
3.4. Modifica del regime sanzionatorio ad opera del Jobs Act
3.5. Regime intertemporale della maxisanzione
CAPITOLO III
PIATTAFORMA EUROPEA CONTRO IL LAVORO
SOMMERSO
1. Possibili interventi per far fronte alla crisi economica, causa principale del sommerso
2. Indagine della commissione europea sul lavoro sommerso: dimensioni del problema
3. Interventi di soft law
4. La strategia europea per l’occupazione
5. Proposta di decisione al Parlamento Europeo e al Consiglio
5.1. Base giuridica della proposta
6. Contesto della decisione: natura e obiettivi
7. Valutazioni d’impatto
INTRODUZIONE
Il presente elaborato è frutto di un’accorta ricerca in merito ad un fenomeno, oggi sempre più diffuso, che necessita di interventi concreti, di una forte attività di prevenzione e di una maggiore sensibilizzazione dell’opinione pubblica. L’obiettivo del presente lavoro è quello di dimostrare come il fenomeno del lavoro sommerso sia una vera e propria piaga sociale nel nostro paese, sempre più vicino a tutti noi. L’elaborato, incentrato maggiormente sugli interventi di contrasto al lavoro sommerso, si articola in tre capitoli che in blocco dovrebbero dare l’idea complessiva della crescita del fenomeno del lavoro sommerso e della complessità di introdurre una misura tale da poter, concretamente, determinare un appiattimento dello stesso.
Nel primo capitolo si è cercato di descrivere le caratteristiche generali del lavoro sommerso. Si tratta di un fenomeno che presenta “species” difficilmente distinguibili tra loro. Spesso i termini “irregolare”, “informale”, “sommerso”, “grigio”, “nero” associati al lavoro vengono utilizzati senza alcuna distinzione, ma in realtà presentano caratteristiche differenti. Nell’elaborato sono analizzati singolarmente i principali aspetti di questi fenomeni, partendo, innanzitutto, dalla definizione di lavoro sommerso data dalla Commissione Europea nella Comunicazione del 2008. Il lavoro sommerso non si presenta in egual misura in tutta Italia, bensì incide, in maniera diversa, a seconda delle regioni in cui esso si sviluppa. Prima di procedere all’analisi delle politiche efficaci finalizzate al contrasto del fenomeno, sono stati analizzati gli aspetti regionali che lo caratterizzano e i settori in cui, principalmente, esso si concentra. In particolare, a seguito delle ricerche condotte, è emerso che il settore agricolo è un settore particolarmente esposto al lavoro sommerso, soprattutto per il fatto di essere legato alla stagionalità del lavoro. E’ un settore in cui, a seconda delle
caratteristiche territoriali, del ciclo delle attività connesse ai vari periodi dell’anno, offre differenti opportunità di lavoro. E’ un settore difficilmente controllabile, dove vi è spesso il ricorso al lavoro a giornata non dichiarato e sono soprattutto gli immigrati clandestini ad essere impiegati nell’attività agricola, sfruttati e pagati a basso costo, privi di tutele. In relazione a ciò è stato approfondito il fenomeno del caporalato, favorito dal crescente numero di immigrati, anche irregolari, in cerca di lavoro.
La presenza nel nostro paese di immigrati sfruttati dai datori di lavoro a basso costo, dà anche luogo alla presenza di irregolarità nel settore dell’edilizia. L’edilizia è un settore caratterizzato, sia dal punto storico che strutturale, dalla presenza di piccole imprese che, a causa della discontinuità della domanda di mercato, spesso traggono proficui nella non regolarizzazione dei rapporti di lavoro.
Dopo un’esamina della diffusione e dei settori in cui maggiormente si sviluppa tale fenomeno, sono state esaminate le cause e le conseguenze generate da tale piaga sociale. Il sommerso ha subito una maggiore crescita a causa, soprattutto, della clandestinità del lavoro e ciò ha determinato un’alterazione delle statistiche riguardo l’occupazione. Uno dei principali motivi di tale diffusione è da ricollegare al processo di allargamento dell’Unione Europea e all’incremento dei fenomeni di immigrazione extracomunitaria. Situazione che non riguarda solo l’Italia, ma coinvolge anche altri Stati membri e nello specifico quei Paesi con un elevato debito pubblico.
Il secondo capitolo è incentrato sui vari interventi realizzati nel corso degli anni per contrastare il lavoro sommerso. Le politiche di emersione, che sono state intraprese nel corso degli anni, hanno reso evidente l’assenza nel nostro paese di una definita strategia giuridica attraverso la quale contrastare tale fenomeno. Ciò è da ricollegare alla fragilità politica delle istituzioni, al continuo alternarsi dei governi che ha comportato strategie diverse, dettate da differenti ideologie. Oggetto di questo capitolo è l’analisi
dei contratti di riallineamento, introdotti con la legge 28 novembre 1996 n. 608, aventi come obiettivo quello di favorire l’emersione del lavoro sommerso e salvaguardare i livelli occupazionali nelle aree deboli nel mezzogiorno. Essi prevedevano una riduzione della retribuzione rispetto agli “standard” fissati dal Ccnl, con poi un successivo graduale riallineamento allo stesso contratto collettivo nazionale di lavoro.
In seguito, è stata analizzata la legge 448/1998 istitutiva del Comitato per l’emersione del lavoro non regolare. A partire dal 2001 è l’imprenditore o il singolo lavoratore che può decidere di dichiarare l’emersione, mentre prima di tale anno il contrasto al lavoro sommerso era caratterizzato da una logica negoziale in cui, un ruolo rilevante, era ricoperto dalle parti sociali.
Oltre al lavoro nero e lavoro grigio si parla anche di lavoro in elusione, che è una tipologia di lavoro irregolare, legata ai contratti atipici e in quest’ultimo caso un esempio, analizzato nell’elaborato, che ha dato luogo a vari dibattiti, è quello dell’occultamento di contratti di lavoro subordinato attraverso l’utilizzo di contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Uno degli interventi più recenti è il lavoro occasionale accessorio come strumento di emersione del lavoro irregolare, che attraverso i cosiddetti “voucher”, consente di utilizzare manodopera per attività lavorative di breve durata. In riferimento ai “voucher” sono sorte molte criticità, che hanno portato, di recente, alla conseguente loro abolizione.
La parte conclusiva del secondo capitalo è dedicata al tema del regime ispettivo e sanzionatorio, facendo riferimento tanto alla sospensione dell’attività imprenditoriale, quanto all’introduzione della nuova maxisanzione.
Nel terzo capitolo ci si è soffermati sugli interventi posti in essere dalle istituzioni europee per contrastare il fenomeno del sommerso, poiché si tratta di un problema che non riguarda solo l’Italia, ma anche gli altri paesi dell’Unione Europea e del resto del mondo. Molto importante risulta essere la recente istituzione di una piattaforma europea con partecipazione
obbligatoria di tutti gli Stati membri, diretta a promuovere il miglioramento dell’applicazione della normativa dell'UE e nazionale, la riduzione del lavoro sommerso e la creazione di posti di lavoro ufficiali. Tali obiettivi dovrebbero essere conseguiti mediante lo “scambio di pratiche e di informazioni” e lo “sviluppo di competenze e di analisi”.
Capitolo I
IL LAVORO SOMMERSO
SOMMARIO: 1. Definizione di lavoro sommerso e caratteristiche generali. - 2. Lavoro irregolare. - 2.1. Lavoro in nero e lavoro grigio. - 2.2. Lavoro in elusione. -
3. I soggetti del lavoro sommerso. - 3.1. Datore di lavoro. - 3.2. Lavoratore. - 4. Quadro generale del lavoro sommerso in Italia. - 5. Dove si concentra il sommerso? - 5.1. Analisi geografica: maggiore concentrazione nelle regioni del sud. - 5.2 Impatto sul sistema economico: settori e soggetti più a rischio. - 5.2.1. Agricoltura: legge contro il caporalato. - 5.2.2. Lavoro sommerso nel terzo settore e nell’artigianato. - 5.2.3 Edilizia. - 6. Le Cause e le conseguenze del sommerso.
1. Definizione di lavoro sommerso e caratteristiche generali
E’ difficile individuare una definizione precisa di lavoro sommerso, così com’è complesso inquadrare tale fenomeno all’interno di un quadro unitario. Tali difficoltà derivano dalle dimensioni dello stesso e dalle varie espressioni utilizzate per descriverlo. Non esiste, dunque, una nozione giuridica di lavoro sommerso, così come non esiste una norma che disciplina tale fenomeno.
Bisogna partire dalla nozione di sommerso in generale: “ciò che non è ufficialmente, che sfugge ad ogni accertamento o rilevazione”, per poter poi dare una definizione specifica di lavoro sommerso. Iniziamo dicendo che il lavoro sommerso è una parte della categoria dell’economia sommersa, la quale ha ad oggetto quelle attività economiche che non ottemperano all’applicazione di regole istituzionali. E’ opportuno sottolineare che esistono differenze ben precise tra il sommerso dal punto di vista giuridico e il sommerso analizzato sul piano economico e sociale. Infatti, quando si parla di sommerso nella sua dimensione socio economica, a seguito della revisione dei manuali di contabilità nazionali, operata dalle Nazioni Unite, dal SNA93 (System of National Account 93)1 e da Eurostat con il SEC952(Sistema Europeo di Contabilità Nazionale), si distingue tra
1 Il Sistema dei conti nazionali 1993 è stato adottato dalla commissione statistica delle Nazioni Unite, durante la sua ventisettesima edizione nel 1993, come standard internazionale per la compilazione delle statistiche di contabilità nazionale e internazionale per la segnalazione dei dati contabili nazionali comparabili. Il Sistema dei conti nazionali è costituito da un insieme integrato di conti macroeconomici, bilanci e tabelle basate su concetti concordati a livello internazionale, definizioni, classificazioni e regole contabili. Questi principi forniscono insieme un quadro contabile completo all'interno del quale i dati economici possono essere compilati e presentati in un formato che è stato progettato per scopi di analisi economica, decisionale e politica.
2 Nel 1970 l'Istituto Statistico delle Comunità Europee (Eurostat) ha adottato un sistema armonizzato dei conti: il SEC. Nel 1995 tale sistema è stato modificato, coerentemente con il nuovo sistema dei conti nazionali SNA 93, redatto dall'ONU e da altre istituzioni internazionali, tra cui lo stesso Eurostat.
Il SEC 95, approvato come regolamento comunitario (Regolamento del Consiglio, CE, 2223, 25 giugno 1996), permette una descrizione quantitativa completa e comparabile dell'economia dei paesi membri dell'attuale Unione europea (UE), attraverso un sistema integrato di conti di flussi e di conti patrimoniali definiti per l'intera economia e per raggruppamenti di operatori economici ( settori istituzionali). A partire da settembre 2014, con la pubblicazione di una nuova versione dei conti nazionali è stato adottato dagli Stati membri dell’Unione europea il nuovo sistema europeo dei conti nazionali e regionali – Sec 2010 – in sostituzione del Sec 95. Il nuovo sistema, definito nel Regolamento Ue n. 549/2013 pubblicato il 26 giugno 2013, è il risultato di una stretta collaborazione fra l’Ufficio statistico della Commissione (Eurostat) e i contabili nazionali degli Stati membri. Il Sec 2010 definisce i principi e i metodi di Contabilità nazionale a livello europeo.
economia sommersa, illegale e informale. L’economia sommersa, a sua volta, si distingue in sommerso economico e sommerso statistico.
Si parla di economia sommersa quando si manifesta l’intento di violare la legge e di non adempiere agli oneri contributivi e tributari; si parla, invece, di sommerso statistico quando questo deriva da problemi relativi ai dati statistici e amministrativi, come, ad esempio, l’omessa compilazione di questionari statistici da parte delle imprese o di moduli amministrativi. Con il termine economia informale si indica un insieme di processi di produzione di beni e servizi che sfuggono alla contabilità nazionale. L’economia informale si differenzia dall’economia formale che è legata alla produzione di beni e servizi leciti, secondo modalità che non violano le disposizioni di legge. L’economia informale può riguardare, ad esempio, la produzione familiare ed è caratterizzata dalla mancanza di retribuzione, da una bassa organizzazione del lavoro, da una serie di aspetti che non consentono di inquadrare tale tipo di attività nell’ambito dell’attività imprenditoriale e per questo non accomunabile all’economia sommersa.
L’economia illegale ha invece ad oggetto la produzione e lo scambio di beni e servizi illeciti, come ad esempio il traffico di stupefacenti o di armi.
In ambito giuridico, invece, per poter dare una definizione in un certo senso unitaria di “lavoro sommerso” è opportuno, innanzitutto, partire dalla “Comunicazione sul lavoro sommerso” del 7 aprile 1998 della Commissione delle Comunità Europee.
Fissa in maniera sistematica e dettagliata il modo in cui si misurano le grandezze che descrivono il funzionamento di un’economia, in accordo con le linee guida internazionali stabilite nel Sistema dei conti nazionali delle Nazioni Unite (2008 SNA).Rispetto alla precedente versione del 1995 (in vigore dal 1999), il Sec 2010 presenta alcune importanti differenze riguardo sia l’ambito di applicazione sia i concetti. Il nuovo sistema riflette, infatti, gli sviluppi e i progressi metodologici conseguiti nella misurazione delle economie moderne che si sono consolidati a livello internazionale e, allo stesso tempo, viene incontro alle esigenze degli utilizzatori, migliorando in alcuni casi la tempestività nella diffusione dei risultati. (Fonte ISTAT).
Tale comunicazione è il risultato di una serie di ricerche sul lavoro sommerso avviate in ambito comunitario, con l’obiettivo principale di avviare un dibattito tra gli stati membri della CE sui modi attraverso i quali tali stati possano far fronte a tale problema.
Importante ricordare il Libro Bianco, elaborato dalla Commissione nel 1993. Tale documento, inerente alla “crescita, competitività, occupazione”, è diretto a spingere gli stati della CE a reintegrare nel mercato del lavoro quei soggetti che prestano lavoro in nero o che eseguono prestazioni di lavoro marginali.
Ritornando alla comunicazione della COM, è opportuno porre attenzione al fatto che la Commissione individua misure volte a contrastare il sommerso, sottolineando la priorità di individuare le cause e le dimensioni del problema e qualificando la lotta contro il sommerso come “elemento di strategia complessiva per l’occupazione”.
La Commissione definisce il lavoro sommerso come “qualsiasi attività retribuita lecita di per sé ma non dichiarata alle autorità pubbliche, tenendo conto della diversità dei sistemi giuridici vigenti negli stati membri”, il che sta a significare che alcune attività sono considerate lecite in alcuni paesi e illecite in altri. In ogni caso la COM ha definito il lavoro sommerso come il lavoro non dichiarato, da non confondere con le attività criminali. Ciò che contraddistingue il lavoro sommerso da tali attività è la liceità dell’oggetto. Le attività criminali sono attività illecite; mentre il lavoro sommerso ha ad oggetto attività lecite che, in tutto o in parte, non ottemperano agli obblighi normativi disposti a riguardo.
Dunque, la COM ha avuto modo di evidenziare come il ricorso al lavoro non dichiarato costituiva un aspetto ostativo al corretto funzionamento del mercato del lavoro europeo3.
3 BUFFA F., “Lavoro nero”, Torino, 2008, p.4
Questa considerazione è stata ulteriormente ampliata da una risoluzione del Consiglio d’Europa del 29 ottobre 2003 e poi, successivamente, dalla Comunicazione della Commissione Europea dell’ottobre del 2007 (COM 628/2007).
La Commissione del 2007 ha definito il lavoro sommerso come “il principale fattore alla base del “dumping sociale”4 e, di conseguenza, uno dei temi chiave per la modernizzazione del diritto del lavoro europeo”. Inoltre, la Commissione ha messo in relazione il fenomeno del lavoro sommerso con il funzionamento critico della sicurezza sociale, della segmentazione patologica del paese e il problema dell’immigrazione clandestina.
2. Lavoro irregolare
Il lavoro sommerso presenta molte species difficilmente distinguibili tra loro. Spesso i termini “irregolare”, “informale”, “sommerso”, “grigio”, “nero” associati al lavoro vengono utilizzati senza distinzione, ma in realtà presentano caratteristiche differenti. Nel paragrafo precedente si è fatto riferimento alla distinzione nell’ambito dell’economia sommersa, tra sommerso economico e sommerso statistico. Il sommerso economico si distingue in sommerso di lavoro e sommerso d’azienda. Il sommerso di lavoro si ha quando l’impresa assume dei comportamenti tali da far sì che essa sia definita come “impresa grigia”, giacché essa dichiara l’attività alle autorità pubbliche, ma compie delle irregolarità, nascondendo, ad esempio, alle autorità pubbliche manodopera aggiuntiva o parte delle prestazioni
4 Il “dumping sociale” è un’espressione con cui viene indicata la pratica di alcune imprese, in particolare multinazionali, di localizzare la propria attività in determinate aree in cui le disposizioni in materia di lavoro sono meno restrittive o in cui il costo del lavoro è inferiore. In tal modo, l’impresa, che deve sostenere un minor costo, può trasferire il minor costo sul prezzo finale del bene e, di conseguenza, risulta più concorrenziale.
effettuate dai dipendenti dichiarati. Il sommerso d’azienda si ha, invece, quando sia l’attività sia i dipendenti siano sconosciuti alle autorità pubbliche.
All’interno del sommerso di lavoro si distingue a sua volta tra lavoro nero e lavoro grigio, che vanno a costituire il cosiddetto lavoro irregolare. Il lavoro irregolare si ha quando il lavoro è dichiarato ma il contenuto della dichiarazione non corrisponde all’attività effettivamente svolta. Ciò ha come conseguenza, tanto per il datore di lavoro quanto per il lavoratore, l’evasione fiscale e contributiva. Vi sono vari casi in cui è possibile parlare di lavoro irregolare. Un esempio semplice è quello del pagamento non dichiarato dello straordinario o casi in cui è dichiarata solo una parte delle ore svolte dal lavoratore, sicché non vi è il versamento dei contributi in riferimento alle ore ulteriori svolte dal lavoratore. Un altro caso cui possiamo far riferimento è quello del “falso lavoro bianco”, in cui il rapporto di lavoro apparentemente è in regola, ma nella realtà il datore di lavoro non eroga la retribuzione dichiarata, bensì trattiene una parte della stessa per poter versare i contributi che, di conseguenza, solo in astratto risultano versati dal datore di lavoro, perché di fatto essi sono detratti dalla retribuzione che spetterebbe interamente al lavoratore.
Dunque, il lavoro nero e il lavoro grigio sono manifestazioni del lavoro irregolare, che riguarda tanto l’occupazione irregolare tanto l’occupazione non registrata e mentre il lavoro nero è completamente sconosciuto alle autorità pubbliche, quello grigio lo è solo in parte, perché pur essendo dichiarato, non ottempera alle leggi che lo regolamentano.
2.1 Il lavoro nero e il lavoro grigio
Come detto pocanzi, il lavoro nero è quell’attività lavorativa sconosciuta allo Stato. Il datore di lavoro si avvale della prestazione lavorativa di un lavoratore, senza stipulare un contratto e non garantendogli nessun tipo di tutela, nessun tipo di copertura previdenziale. Il lavoro nero può manifestarsi in varie forme. Si pensi al caso di un lavoratore che pur di avere una retribuzione, accetti di prestare la propria attività lavorativa presso un’impresa che non intende assumerlo, senza la regolarizzazione della stessa attività e dunque accetta di essere assunto in nero. Un altro caso è quello dello stesso lavoratore autonomo che trae interesse ad essere pagato in nero, come ad esempio chi è in cassa integrazione o pensionati.
Quando, invece, si parla di lavoro grigio, deve intendersi un tipo di attività che è regolarizzata parzialmente. L’irregolarità si riscontra nel fatto che non vengano, ad esempio, rispettate alcune norme relative ai versamenti previdenziali o assicurativi. Può parlarsi di lavoro parzialmente irregolare quando non si rispetti quanto previsto dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (Ccnl) riguardo a ferie, orari di lavoro, straordinari, riposi settimanali.
2.2. Lavoro in elusione
Il lavoro in elusione è una tipologia di lavoro irregolare, legato ai contratti atipici. I contratti atipici sono contratti che, attraverso l’uso di tipologie contrattuali tipiche, raggiungono uno scopo diverso, meritevole di tutela sul piano giuridico.
Spesso gli imprenditori fanno uso di contratti atipici in modo da evitare spese e obblighi (tredicesima, contributi, ecc.). Esempio classico è quello del datore di lavoro che assume un soggetto come lavoratore autonomo, ma in realtà l’attività che egli svolge, i vincoli cui è sotteso, eludono una forma
di lavoro subordinato. Bisogna tener ben presente la distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo. L’art. 2094 c.c. definisce prestatore di lavoro subordinato chi “si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro, intellettuale o manuale, alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. Ciò significa che il lavoratore è inserito nell’organizzazione del datore di lavoro e il lavoratore è soggetto alle direttive e alle disposizioni tecnico-organizzative disposte dal datore di lavoro5.
La dottrina ha cercato di individuare un criterio che permettesse di indentificare il vincolo di subordinazione e di distinguere il lavoro subordinato dal contratto d’opera di cui all’art. 2222 c.c. Tuttavia, nessuno dei criteri individuati dalla dottrina è risultato da solo sufficiente all’identificazione del lavoro subordinato6.
Il lavoro autonomo non è disciplinato dal codice civile, ma ad esso è dedicato il titolo III del libro V del c.c., che disciplina il contratto d’opera, affermando che si ha: “quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente…”. Il rapporto di lavoro autonomo è dunque esente dall’eterodirezione e i requisiti del contratto d’opera sono l’onerosità, la consensualità, la commutatività e l’istantaneità del rapporto di lavoro.
Tenendo presente le difficoltà relative alla distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, è opportuno sottolineare che, spesso, il datore di lavoro al fine di sottrarsi ai costi più elevati per la stipula di un contratto di lavoro
5 L’espressione “sotto la direzione” deve essere interpretata come il potere che l’imprenditore ha, al momento della costituzione del rapporto di lavoro e durante il corso dello stesso, le modalità di esecuzione della prestazione di lavoro, in modo tale che il prestatore di lavoro eserciti una prestazione “alle dipendenze” dello stesso imprenditore e sia tale da poter garantire il soddisfacimento dei suoi interessi. X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX G., Diritto dei lavori e dell’occupazione, Torino, 2015
6 Cass., Sez. Un., 30 giugno 1999, n. 379, in Rep. Foro it., 1999, voce Lavoro, n.655
subordinato, si avvale della prestazione di un lavoratore autonomo, che, però, nei fatti esercita un’attività lavorativa secondo incarichi e orari ben definiti dal datore di lavoro e per questo si parla di lavoro in elusione.
3. I soggetti del lavoro sommerso
Dopo aver analizzato le caratteristiche principali del lavoro sommerso, è opportuno individuare le categorie di soggetti che nel mondo del lavoro sono coinvolti in tale fenomeno. Come abbiamo visto il lavoro sommerso è un’attività lavorativa non dichiarata o dichiarata solo in parte, dunque, automaticamente, i soggetti che sono “responsabili” di tale fenomeno sono da una parte il lavoratore che presta la propria attività lavorativa, sia esso subordinato o autonomo e dall’altra parte il datore di lavoro che riceve la prestazione. E’ opportuno analizzare singolarmente queste categorie di soggetti.
3.1 Datore di lavoro
Per datore di lavoro sommerso si intende la persona fisica o giuridica che, per l’espletamento di una determinata attività, utilizzi manodopera in nero o non regolare, non rispettando la normativa vigente.
Le imprese sommerse si distinguono in:
- imprese trasgressive, pienamente visibili e conformi alle principali incombenze normative, ma con una marcata propensione a forme di evasione ed elusione fiscale contributiva adottando impropriamente strumenti di flessibilità lavorativa e sistemi di retribuzione salariale;
- imprese minimaliste che rispettano al minimo i requisiti di regolarità (es. iscrizione al registro ditte, posizione fiscale e previdenziale ecc.) e contemporaneamente utilizzano una quota dei lavoratori totalmente in nero,
con un diffuso occultamento fiscale dei diversi obblighi connessi all’attività produttiva (es. sicurezza, igiene ecc.);
- imprese mimetiche che di solito sono di piccole dimensioni (5-10 addetti) totalmente sommerse, anche grazie al tipo di attività (servizi, edilizia) che non richiede una sede visibile;
- il formicaio, ossia micro imprese o unità di lavoro individuali, con o senza partita IVA, operanti in settori che per le caratteristiche del lavoro (lavoro domestico o di cura presso famiglie) o per i contenuti del servizio (nuove tecnologie, attività professionali ecc.) sono facilmente occultabili agli organismi di vigilanza7;
- lavoratori autonomi e professionisti irregolari.
Esistono una serie di vincoli (culturali, formativi, relazionali e tecnologici) che accomunano le imprese che ricorrono al lavoro nero o irregolare. Tali vincoli impediscono un esercizio conforme alle prescrizioni normative che disciplinano il sistema economico. I vincoli culturali e formativi si traducono nello scarso investimento nella qualificazione del personale. I vincoli relazionali sono rappresentati dall’assenza o debolezza di partnership o di collaborazione duratura con altri soggetti imprenditoriali nell’accesso al credito e nella catena clienti/fornitori e per l’estraneità da contatti con le istituzioni pubbliche (es. mancato accesso a programmi di formazione e di sostegno pubblico ecc.). I vincoli tecnologici si caratterizzano per l’utilizzo di tecnologie arretrate, per la sottocapitalizzazione, il basso profilo qualitativo dei beni e servizi prodotti, per competenze e strategie indipendenti dalle dinamiche di mercato e si traducono in una serie di svantaggi competitivi.
7 V. CENSIS, Promuovere regolarità e trasparenza nel mercato del lavoro. Manuale di supporto conoscitivo agli operatori dei Servizi per l’Impiego, Unione Europea – FSE, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Roma, 2003.
3.2 I lavoratori sommersi
I lavoratori sono i soggetti maggiormente coinvolti in questo fenomeno. Si parla, infatti, di lavoratori sommersi da intendersi come lavoratori subordinati o autonomi che percepiscono una retribuzione, violando, parzialmente o totalmente, la legge. I lavoratori sommersi rappresentano un vantaggio per il datore di lavoro, perché il lavoratore non regolare comporta un minor costo.
Esistono diverse categorie di lavoratori sommersi. Innanzitutto i primi soggetti coinvolti sono coloro che non hanno una formazione professionale qualificante, i giovani con poca esperienza lavorativa, coloro che hanno perso il lavoro.
Nella comunicazione del ’98 della Commissione Europea sul lavoro sommerso, si distinguono quattro tipi di persone nell’ambito dell’economia sommersa: le persone che hanno un secondo lavoro o che hanno più lavori la popolazione “economicamente inattiva”, i disoccupati e i cittadini di paesi terzi che risiedono illegalmente nell’UE.
Per quanto riguarda coloro che svolgono un secondo lavoro o coloro che hanno più lavori, si tratta di persone che svolgono già un’attività regolare e per lo più sono lavoratori dipendenti, dal momento che i lavoratori autonomi, svolgendo autonomamente la propria attività, anche in campi e settori diversi, non hanno interesse a svolgere un secondo lavoro.8 Il doppio lavoro è il caso più diffuso in cui può venire a presentarsi il lavoro sommerso. Il motivo che spinge questi lavoratori a svolgere un ulteriore lavoro è legato all’intenzione di integrare il proprio reddito. Infatti, non dichiarando il secondo lavoro si omette anche di pagare le imposte sul reddito e i contributi sociali relativi al tipo di attività svolta.
8SALA CHIRI M., Il lavoro sommerso e il diritto del lavoro. Le politiche di contrasto di emersione dal contesto internazionale a quello locale, Napoli, 2014, pg.38-39.
Le persone “economicamente inattive” sono: studenti, pensionati e casalinghe. Gli inattivi sono soggetti a minori vincoli temporali e hanno una maggiore facilità di entrare nel sommerso. Tra gli inattivi rientrano anche i giovani e studenti. Sono due i motivi che spingono questi soggetti a prestare un lavoro non dichiarato. Il primo è il disinteresse ad avere un’occupazione fissa, perché ancora studenti e dunque il lavoro sommerso viene a qualificarsi come un modo per mantenersi durante il percorso di studio. Il secondo motivo si ricollega all’alto tasso di disoccupazione e alla difficoltà per i giovani di trovare un lavoro regolare; ciò li spinge, dunque, ad accettare un lavoro non regolare.
Lavoratori sommersi sono anche i disoccupati. Si tratta di soggetti che hanno perso il lavoro e che ricevono un sussidio da parte dello stato, quale l’indennità di disoccupazione e l’indennità di mobilità e per non rinunciare a tale sussidio ricorrono al lavoro sommerso.
Quando si parla di cittadini di paesi terzi ci si riferisce agli immigrati clandestini. I migranti privi di permesso di soggiorno sono sicuramente i più esposti al lavoro sommerso, in quanto, non avendo il permesso di soggiorno non possono stipulare regolari contratti di lavoro. Il permesso di soggiorno è un titolo rilasciato a cittadini extracomunitari che soggiornano in Italia da un lungo periodo e che rientrano dunque nel contesto economico e sociale del nostro Paese. Il fenomeno del lavoro sommerso coinvolge, però, non solo gli immigrati clandestini, ma anche gli immigrati con regolare permesso di soggiorno. Questi accettano insopportabili condizioni di sfruttamento pur di avere un lavoro e fino a poco tempo fa correvano anche il rischio di perdere il permesso di soggiorno. Originariamente il permesso di soggiorno non veniva rinnovato nel caso in cui lo straniero non avesse maturato un reddito durante il periodo di soggiorno. Innanzitutto, occorre sottolineare che il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo è disciplinato dal’ art. 9 del T.U. sull’immigrazione, come modificato dal d.lgs. n. 8 del 2007 in attuazione della Direttiva Europea n.
2003/109/CE e dagli articoli 16 e 17 del Regolamento di attuazione D.P.R. 394 del 1999.
La revoca può essere disposta solo nei casi previsti dal suddetto art. E’ importante far riferimento ad una recente sentenza del TAR della Lombardia. Il Tribunale Amministrativo Lombardia, con la sentenza
n.1.477 del 26 giugno 2015, ha accolto il ricorso presentato da un cittadino straniero al quale era stata revocata la carta di soggiorno per soggiornante di lungo periodo, a causa dell’assenza di reddito.
Il TAR Lombardia ha dichiarato illegittimo l’operato dell’Amministrazione in quanto in contrasto con quanto previsto dalla direttiva 2003/109/CE e dall’art.9 del d.lgs. n.286/98 che stabilisce che lo status di soggiornante di lungo periodo è permanente. Il TAR ha dichiarato che il permesso di soggiorno può essere revocato solo nei casi in cui il cittadino straniero sia stato considerato pericoloso per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato nel caso della mancanza di reddito.
4. Quadro generale del lavoro sommerso in Italia
Dalle indagini effettuate sul lavoro sommerso in Italia è emerso che il sommerso ha subito nel corso degli anni profondi cambiamenti. Negli anni settanta era caratterizzato, principalmente, da imprese fantasma che non risultavano in nessun censimento. Oggi, invece, le imprese fantasma rappresentano casi isolati e sono presenti solo in territori depressi, infatti il sommerso si concentra in aziende visibili, che sono regolarmente iscritte al registro delle imprese con lavoratori regolari, ma parallelamente utilizzano anche quote di lavoro irregolare o sommerso.9
9 DOVERE S., XXXXXXX A., Xxxxxx “nero” e irregolare. Percorsi giurisprudenziali, Milano, 2011.
E’ possibile individuare le irregolarità con riferimento a dimensioni strutturali e dimensioni giuridiche. Per quanto riguarda le dimensioni strutturali le irregolarità possono essere:
- fisico/ territoriali: la maggiore o minore visibilità del luogo fisico, in cui è presente il sommerso, rappresenta uno dei principali indicatori del fenomeno; chi lavora nel sommerso cerca di nascondere il luogo in cui l’attività non regolare viene prestata e la mancanza di un territorio incentiva il lavoro sommerso;
- di prodotto: la maggiore o minore visibilità di quanto prodotto dall’attività è un dato che può incentivare lo svolgimento dell’attività irregolare. Il rischio del sommerso è più alto se l’attività ha ad oggetto la produzione di un semilavorato destinato all’assemblaggio; è più alta se ha ad oggetto la vendita diretta del prodotto;
- di mercato: un’ulteriore dato che può favorire la crescita del sommerso è la maggiore o minore visibilità dell’attività di mercato. Più l’azienda è visibile sul mercato ed ha un proprio marchio più è difficile che essa propenda al lavoro sommerso; meno è visibile sul mercato e più è alto il rischio di immersione;
Sotto il profilo giuridico, l’irregolarità può riguardare l’aspetto:
- fiscale: in riferimento a questa dimensione l’attività di impresa può risultare totalmente o parzialmente visibile (dall’assenza di partita iva e mancata dichiarazione fiscale, al ricorso occasionale a sottofatturazione o altre forme di evasione). L’evasione può anche riguardare gli obblighi fiscali del singolo rapporto.
- nazionale: in questo casi si verifica il mancato rispetto delle procedure connesse al regolare esercizio dell’attività, come l’iscrizione al Registro imprese, la formalizzazione dei rapporti di lavoro con registrazione presso gli uffici del lavoro, il rispetto del contratto collettivo nazionale;
- contributivo: vi è il mancato adempimento degli obblighi assicurativi e previdenziali (dalla mancata denuncia del titolare e dipendenti ad INPS e
INAIL, al parziale adempimento degli obblighi contributivi attraverso una serie di pratiche sommerse, quali la dichiarazione di un numero di giornate lavorative inferiore a quante effettivamente lavorate o il mancato rispetto dei minimi retributivi e contributivi previsti dal CCNL);
- retributivo: l’invisibilità si riscontra nella parte retributiva del costo del lavoro, a causa della mancata registrazione della retribuzione nel libro paga dell’azienda (“retribuzione di fatto”), della registrazione di una retribuzione superiore a quanto effettivamente percepito (“doppia busta paga”) o dell’erogazione di fuoribusta (in genere per il pagamento del lavoro straordinario o quando il dipendente risulta inquadrato in un livello inferiore e parte della retribuzione effettiva figura come fuoribusta).
Un’ulteriore distinzione riguarda i profili ideali di impresa; si distingue tra:
- impresa sommersa: rientrano in questa categoria le prestazioni di lavoro che non necessitano di un luogo di lavoro fisso e stabile (attività di ristrutturazione, autoriparazioni, manutenzione, servizi a domicilio di cura e di assistenza alla persona). Le imprese che rientrano nel caso di specie hanno un massimo di tre addetti e non risultano nel Registro delle imprese, di conseguenza sono privi di posizione previdenziale e assicurativa;
- impresa quasi sommersa: differisce dalla prima sotto il profilo delle condizioni strutturali di svolgimento della prestazione lavorativa. Solitamente l’attività ha ad oggetto la produzione di un semilavorato destinato ad entrare nel mercato per il tramite di figure intermedie. Questo tipo di attività necessita di un luogo fisico per il suo svolgimento e tale luogo viene intenzionalmente occultato (si pensi ad esempio all’attività tessile che viene svolta presso garage o scantinai con un massimo di tre addetti occupati in modo del tutto irregolare);
- impresa semi sommersa: in questo caso la realtà imprenditoriale è più strutturata. Riguarda, principalmente, i settori del tessile, agroalimentare, meccanica, falegnameria che sono attività che hanno ad oggetto un prodotto che sarà poi venduto ad imprese terze. L’attività avviene in luoghi di lavoro
visibili, però, spesso, si verifica il mancato rispetto della L. 626/96 relativamente alla sicurezza sul luogo di lavoro. L’impresa comprende un numero di addetti che non supera le venti unità. Inoltre, essa è iscritta nel registro delle imprese e la maggioranza degli addetti è assunta con regolare contratto di lavoro. L’irregolarità si verifica sotto il profilo fiscale, normativo e contributivo, come, ad esempio, il mancato rispetto del CCNL, evasione fiscale, doppia busta paga, dichiarazione di giornate di lavoro inferiori rispetto a quelle effettivamente prestate;
- impresa semi emersa: si tratta di un’impresa con dimensioni variabili, generalmente oltre i dieci dipendenti, la cui attività è svolta presso luoghi di lavoro che sono in regola sotto il profilo della sicurezza nei luoghi di lavoro. L’impresa ha, in genere, un marchio proprio e il prodotto è destinato alla vendita diretta. I lavoratori hanno un contratto regolare, l’impresa è iscritta al registro imprese e la regolarità risulta anche sotto il profilo contributivo. Tuttavia sussistono fenomeni di evasione fiscale e retributiva (sottofatturazione e pagamento di straordinari fuoribusta).
Per poter valutare le dimensioni del sommerso è necessario ricorrere a delle fonti. Secondo il CENSIS10 il lavoro nero e irregolare comprende più di 4 milioni di lavoratori; secondo le stime prodotte dalla Banca d’Italia il numero dei lavoratori irregolari supererebbe i 2 milioni e mezzo; l’ISTAT, invece, stima circa 5 milioni di unità di lavoro non regolare. E’ chiaro, quindi, che è difficile avere una stima precisa del sommerso in Italia. La fonte sui cui maggiormente possiamo fare affidamento è costituita dall’ISTAT che nel corso degni anni ha elaborato un metodo di stima delle unità di lavoro irregolari, facendo ricorso ad una determinata metodologia. Il metodo impiegato dall’ISTAT è quello indiretto della discrepanza tra fonti statistiche. Esso ha ad oggetto una procedura di integrazione e confronto di informazioni provenienti, sul lato dell’offerta, da una stima
10 Il Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) è un istituto di ricerca socio-economica italiano fondato nel 1964.
nelle famiglie del numero degli occupati (regolari e irregolari) e sul lato della domanda, da una stima nelle imprese del numero delle posizioni lavorative regolari. Le stime dell’Istat si fondano sulle “Unità di lavoro”11cioè sulle unità di lavoro a tempo pieno equivalenti all’insieme delle posizioni lavorative ricoperte da ogni occupato non regolare.12
Nel 1996-1997 l’Istat ha stimato un sommerso pari al 13,4% e 15,2%. Nel rapporto del 2001 l’Istat afferma che i lavoratori sommersi sono prevalentemente coloro che svolgono un secondo lavoro e queste caratteristiche del lavoro sommerso alla fine degli anni‘90 sono state confermate anche da un'altra ricerca, secondo cui i settori e i comparti “sommersi” sono: l’agricoltura; i servizi della comunità, sociali e personali; le attività edili.
Nel 2007 una ricerca condotta da Eurobarometer13 ha rilevato come in base a 1000 intervistati, il 20% di loro ha dichiarato che il lavoro irregolare è
11 L’unità di Lavoro (ULA) è un’unità di misura del volume di lavoro prestato nelle posizioni lavorative. Tale unità di misura è utilizzata dall’ISTAT ed è calcolata apportando una riduzione al valore unitario delle posizioni lavorative a tempo parziale in equivalenti a tempo pieno. Il calcolo per la stima delle ULA si è reso necessario poiché la persona può assumere una o più condizioni occupazionali in funzione dell’attività lavorativa svolta. L’attività lavorativa prestata da un soggetto, può essere unica, principale o secondaria, della posizione nella professione di lavoratore dipendente o indipendente, della durata continuativa o non continuativa della prestazione, dell’orario di lavoro a tempo pieno o a tempo parziale e della regolarità o irregolarità contributiva e fiscale. L’ULA rappresenta la quantità di lavoro prestato nell’anno da un occupato a tempo pieno oppure quella prestata da lavoratori a tempo parziale o da lavoratori che svolgono un doppio lavoro. Dunque, questo concetto non è più legato alla singola persona fisica, ma è collegato al numero di ore annue corrispondenti ad un’occupazione esercitata a tempo pieno. In sintesi, le ULA sono utilizzate come unità di misura del volume di lavoro impiegato nella produzione dei beni e servizi rientranti nelle stime del Prodotto Interno Lordo di un determinato Paese in uno specifico periodo di riferimento.
12 V. Indagine sul “Il lavoro nero”, Cnel.
13 Eurobarometer si occupa di sondaggi di opinione condotti regolarmente per conto della Commissione Europa dal 1973. Si tratta di indagini concernenti questioni di attualità relative all'Unione Europea in tutti gli Stati membri dell'UE. I risultati dell’Eurobarometer sono pubblicati dalla Comunicazione Direzione generale della Commissione europea.
svolto principalmente da donne, mentre solo il 14% ha dichiarato che i maggiori lavoratori del sommerso sono uomini. Dunque da questa ricerca emerge come in Italia la componente femminile abbia un ruolo dominante nel lavoro sommerso.
Nel rapporto finale del 2012 del gruppo di lavoro sull’economia sommersa e flussi finanziari, disposta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, è stata rilevata una riduzione delle unità di lavoro non regolari in contemporanea ad una crescita delle unità di lavoro regolari. Si è sottolineato come tali dinamiche siano riconducibili a fattori legati all’andamento del sistema economico e anche ad una serie di interventi normativi, intervenuti nel corso degli anni, sia relativi al mercato del lavoro, sia volti a regolamentare il lavoro degli stranieri non residenti sul territorio. Nel 2000 la normativa sul lavoro ha subito dei profondi cambiamenti che hanno consentito la possibilità alle imprese di ricorrere a forme di lavoro flessibile sia in termini di durata del contratto, che di orario di lavoro. Queste nuove forme contrattuali, come, ad esempio, il lavoro interinale, hanno comportato un aumento dell’occupazione dipendente regolare e una diminuzione dell’occupazione non regolare.
C’è da dire, però, che negli ultimi anni la crisi economica, che ha colpito l’Italia, ha comportato una registrazione della riduzione del livello di occupazione e una crescita del lavoro non regolare. Il tasso d’irregolarità è passato dall’11,9 per cento del 2008 al 12,2 per cento nel 2009.
Nel 2010 l’Eurispes, nel rapporto sull’economia sommersa, ha stimato che il lavoro sommerso in Italia ha un valore di 280 miliardi di euro. Il calcolo comprende i doppi lavoristi, gli inattivi e i disoccupati. La stima prodotta da Eurispes negli anni precedenti, fa emergere che l’Italia ha tre Pil: uno ufficiale di circa 1.500 miliardi di euro; uno sommerso equivalente a circa un terzo di quello ufficiale, ovvero almeno 540 miliardi; e uno criminale ben superiore a 200 miliardi. Ai circa 540 miliardi di sommerso indicati
corrisponderebbe, considerando una tassazione di circa il 50%, la somma di 270 miliardi di evasione14.
Anche l’Istat conferma la crescita del sommerso e delle attività illegali. Secondo l’Istat questo tipo di economia rappresenterebbe il 13% del Pil, ovvero 211 miliardi di euro. E’ un dato che si riferisce al 2014, in aumento di 8 miliardi di euro rispetto al 2011, quando il peso dell’economia non osservata sul Pil era del 12,4%.15 I dati più recenti, dunque, mostrano come il fenomeno del sommerso in Italia sia estremamente diffuso, tanto da essere spesso definito “di massa”.
Xxxxxxxx in un’indagine del 2016 ha chiesto di indicare, secondo la propria esperienza personale, quali siano le categorie che più spesso lavorino senza contratto oppure senza emettere fatturazione. Le tre categorie maggiormente indicate sono: nell’80% dei casi quelle delle baby sitter, nel 78,7% gli insegnanti di ripetizioni, nel 72,5% i collaboratori domestici. A seguire badanti (67,3%), giardinieri (62,7%), muratori (60,2%), idraulici (59,8%),
elettricisti (57%), falegnami (56,4%) e medici specialisti (50%).
Nell’ultimo anno invece è capitato al 28,1% del campione di lavorare senza contratto (contro il 18,6% del 2015). Una condizione incontrata da oltre il 50% di chi è in cerca di primo lavoro e di nuova occupazione, dal 29,6% degli studenti, dal 22,4% delle casalinghe e dal 13,8% dei pensionati, ma soprattutto dall’83,3% dei cassintegrati. La quota di chi invece ha svolto un doppio lavoro, nel corso dell’ultimo anno, è del 21% (19,3% ad inizio 2015). In questo caso non sempre si può parlare di lavoro in nero, ma più spesso di “doppio-lavoristi”16.
Possiamo concludere il quadro generale del lavoro sommerso in Italia facendo riferimento alla ricerca, basata sull’elaborazione dei risultati
14 X. Xxxxxxxx, ”L’Italia in nero. Rapporto sull’economia sommersa”2012.
16 V. Eurispes, “La sindrome del palio. Rapporto Italia” 2016.
dell’attività ispettiva del Ministero del Lavoro, condotta dalla fondazione studio dei Consulenti del Lavoro, nella quale trovano conferma le stime a cui precedentemente si è fatto rifermento, dal momento che in tale ricerca emerge come il fenomeno del sommerso abbia cifre considerevoli, nonostante la battuta d’arresto per il lavoro nero che si è verificata nei primi sei mesi del 2016. Infatti, il lavoro nero ha avuto una regressione di 250.000 unità, passando da 2 milioni di occupati irregolari agli attuali 1 milione e
850.000. Nel primo semestre del 2016, però, un’azienda su tre, tra quelle controllate, usa personale in nero; su 67.000 imprese sottoposte a verifica, circa 20.000 occupati sono fuori norma. Le inadempienze sono dovute soprattutto a fenomeni di elusione, quali il lavoro parzialmente sommerso, mancato assoggettamento ad INPS e IRPEF di parte della retribuzione corrisposta e attività completamente in nero. La discesa del sommerso, comunque, è stata favorita dallo sgravo fiscale e previdenziale triennale che ha spinto le aziende negli ultimi mesi del 2015 a regolarizzare i rapporti. Inoltre, di fondamentale importanza è stata l’attivazione dell’INL, Ispettorato Nazionale Lavoro. Nel 2016 si è avuta una grande trasformazione delle funzioni di vigilanza, introducendo un cambiamento radicale dell'intero assetto organizzativo, che ha coinvolto Ministero, INPS e INAIL. A fronte di interventi in linea con quelli effettuati in passato, nel 2016 le aziende in cui sono state rilevate irregolarità supera il 63%, con un totale di contributi e premi evasi recuperanti di 1.101.105.790 euro. Le irregolarità rilevate presentano al primo posto casi di lavoro nero. Importante sottolineare anche il contrasto al caporalato, si è giunti, infatti, all’accertamento di circa 8000 casi di grave sfruttamento dei lavoratori, sino alla schiavitù.
5. Dove si concentra il sommerso?
Dopo aver fatto riferimento alle stime relative alla crescita del sommerso è opportuno analizzare quelli che sono i settori e le zone dove maggiormente si concentra tale fenomeno.
La Commissione Europea nella comunicazione del 1998, in riferimento alla diffusione del lavoro sommerso negli stati membri, ha evidenziato come in quasi tutti gli stati membri è possibile riscontrare la presenza di tre gruppi di settori con modelli di comportamento abbastanza omogenei.
Questi tre gruppi di settori sono:
- “i settori tradizionali quali l’agricoltura, la costruzione, il commercio al dettaglio, la ristorazione o i servizi domestici, caratterizzati da una produzione ad alta intensità di manodopera e da circuiti economici locali. Il settore della costruzione fa spesso ricorso al subappalto, senza che vi sia un grande controllo da parte delle pubbliche autorità; nel settore alberghiero e della ristorazione molte piccole imprese sono anch’esse difficili da controllare per quanto concerne il turnover e i dipendenti; i servizi privati sono anch’essi legati in ampia misura all’accettazione e alle tradizioni culturali, anzi per alcuni servizi personalizzati non esistono figure professionali formali;
- il settore manifatturiero e i servizi commerciali in cui i costi sono il principale fattore di concorrenza;
- moderni settori innovativi in cui l’uso delle comunicazioni elettroniche e dei computer agevola la contrattazione e l’esecuzione di servizi in località diverse, il che consente di non dichiarare tali attività”17.
Attualmente l'esame complessivo dei dati conferma, per il 2015, l'incisività dell'azione di competenza degli organi ispettivi che garantisce la
17 Comunicazione Commissione Europea 1998 par.2.4.
realizzazione di un significativo intervento di contrasto del lavoro sommerso e degli ulteriori fenomeni illeciti di maggior rilevanza sul piano economico sociale. Le verifiche hanno individuato che le regioni più a rischio, che hanno registrato il maggior numero di sanzioni sono la Campania, Puglia, Toscana e Lombardia. I settori nei quali si sono verificate maggiori irregolarità riguardano la ristorazione, servizi di alloggio, edilizia, attività manifatturiere e l’agricoltura. In particolare, il settore agricolo risulta essere quello che ha fatto registrare dati significativi, con particolare riferimento al fenomeno del caporalato. In Puglia, in Campania, Calabria e Basilicata sono stati accertati oltre 6mila lavoratori irregolari, di cui oltre la metà in nero e sono stati disposti circa 500 provvedimenti di sospensione di attività imprenditoriale.
Possiamo distinguere diverse tipologie di sommerso: quello d’impresa e quello di lavoro; il sommerso di necessità, concentrato nelle aree più evolute del Sud d’Italia, come la Puglia e un sommerso da ricchezza, che caratterizza il Nord come altre nazioni europee. Inoltre, vi è un’altra tipologia di sommerso, che viene definito di adattamento. Questa tipologia si concentra nelle aree più povere del Sud ed è caratterizzato da un’adesione al modello imprenditoriale dominante: ci si adegua al clima generale per poter lavorare. È una condizione strutturale del Meridione, determinata da un particolare contesto storico-culturale e da un contesto socio-economico che ne favorisce lo sviluppo. Le cause che invece spingono al Nord a ricorrere al sommerso sono di tipo economico. Si punta ad un maggiore guadagno. Infine, vi è un ulteriore tipo di sommerso, definito d’offerta, denominazione derivante dai principali soggetti, protagonisti di questo fenomeno, i giovani e gli immigrati, che, per i loro comportamenti, ne favoriscono la crescita18.
00 x. xxxxxxx xxx xxxxxxxxx “Dimensioni e caratteristiche del lavoro sommerso/irregolare in agricoltura”. Ricerca promossa e realizzata dall’ISFOL - Area “Sistemi Locali e Integrazione delle Politiche”.
Il sommerso, dunque, presenta caratteristiche differenti a seconda del territorio in cui si sviluppa.
Al Nord-Ovest e Nord Est le forme più diffuse di lavoro sommerso sono l’evasione contributiva e i fuoribusta. Al centro il fenomeno più diffuso è l’evasione delle imprese, cui segue l’impresa contributiva, il lavoro irregolare degli immigrati e i fuori busta. Al Sud il primo posto è occupato dall’evasione contributiva, cui segue il lavoro irregolare degli immigrati e il lavoro autonomo sommerso, il lavoro irregolare di coloro che percepiscono sussidi e infine il lavoro totalmente sommerso, le imprese sommerse e il commercio ambulante abusivo19.
5.1. Analisi geografica: maggiore concentrazione nelle regioni del Sud
Il lavoro sommerso non è uguale in tutta Italia, bensì tra le varie regioni sussistono significative differenze. Per poter individuare politiche efficaci dirette a contrastare il sommerso è necessario approfondire gli aspetti regionali del fenomeno.
Il Mezzogiorno è l’area in cui maggiormente si concentra il sommerso ed è anche l’area meno reattiva agli interventi di contrasto dell’irregolarità. Secondo le stime elaborate dall’ufficio studi della CGIA la Calabria è la regione più a rischio. Essa presenta circa 143.000 lavoratori in nero e un’incidenza percentuale del lavoro aggiunto da lavoro irregolare sul PIL pari all’8,7 %. Seguono la Campania (8,4 per cento), la Sicilia (7,8 per cento), la Puglia (6,7 per cento) e l’Abruzzo (6 per cento). Le regioni più virtuose risultano essere il Trentino Alto Adige (3,6 per cento), la Valle d’Aosta (3,4 per cento) e il Veneto (3,3 per cento). Le stime si riferiscono al 2014 e misurano il peso economico del lavoro nero in Italia. Secondo i dati
19 DOVERE S., XXXXXXX A., Xxxxxx “nero” e irregolare. Percorsi giurisprudenziali, Milano, 2011.
del ministero dell’Economia, le imposte evase in Italia dovrebbero essere complessivamente pari a 108,7 miliardi, di cui 98,3 di mancate entrate tributarie e altri 10,4 di contributi previdenziali non versati. Nei 108,7 miliardi sono inclusi anche i 36,9 miliardi che sono riconducibili al lavoro nero.
Mentre al Sud prevale il lavoro nero, al Nord è più diffuso il lavoro grigio, dunque, la dichiarazione della prestazione di lavoro avviene solo in parte e il lavoratore percepisce un salario fuoribusta. E’ opportuno evidenziare che il valore aggiunto determinato dal sommerso economico nel 2014, secondo l’Istat, è di 194,4 miliardi di euro. Per determinare questa stima si è tenuto conto dei flussi generati dalla sotto-dichiarazione, dal lavoro irregolare e dagli affitti in nero. Inoltre, questo importo raggiuge cifre più alte se si considerano anche le attività illegali come prostituzione, traffico di stupefacenti e contrabbando di sigarette. Secondo il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA, l’economia da lavoro irregolare ha avuto una grande crescita, dettata dal fatto che, chi, in questi ultimi anni, ha perso il posto di lavoro, per poter sostenere economicamente la famiglia, ha dovuto ricorrere a piccoli lavoretti o ha dovuto svolgere attività lavorative completamente in nero. Si tratta di una situazione che coinvolge quasi
1.270.000 persone al Sud, quasi 708.000 a Nordovest, poco meno di
644.500 al Centro e poco più di 483.000 a Nordest.
Come abbiamo visto il primo posto è occupato dalla Calabria, segue poi la Campania in cui le tasse che mediamente vengono a mancare ogni anno ammontano a 3,9 miliardi di euro. Il terzo posto è occupato dalla Sicilia: con 306.900 irregolari e un peso dell’economia sommersa su quella ufficiale pari al 7,8 per cento, le imposte e i contributi non versati sono pari a 3,2 miliardi di euro all’anno.
Chi lavora in un settore irregolare dell’economia svolge volontariamente attività nascoste per poter venir meno all’imposizione fiscale. Il lavoro irregolare può presentarsi o nelle ore lavorate o nelle posizioni lavorative.
Nel primo caso il settore irregolare ha un andamento pro-ciclico; agisce in modo complementare rispetto a quello regolare. Nel secondo caso e, quindi, in aree e settori diversi, con maggiore concentrazione nel settore dell’agricoltura e dell’edilizia, l’andamento è contro-ciclico; la componente non regolare svolge un ruolo sostitutivo rispetto a quella regolare.
5.2. Impatto sul sistema economico: settori e soggetti più a rischio
Come abbiamo visto il lavoro irregolare presenta significative differenze a seconda delle regioni in cui si manifesta. L’irregolarità varia non soltanto da regione a regione, ma anche in relazione al settore in cui si manifesta tale fenomeno.
I settori economici dove più vi è il rischio che si verifichino casi di lavoro irregolare sono quelli con una più elevata intensità di lavoro, caratterizzati dalla stagionalità delle attività e un più elevato livello di turnover. Un elemento che contribuisce ad aumentare il tasso di irregolarità è la ridotta dimensione aziendale e l’introduzione di nuovi modelli organizzativi delle attività lavorative che moltiplicano i lavoratori, i luoghi e i tempi del lavoro. Il fenomeno del sommerso è elevato nel settore dell’agricoltura ed inoltre in quello del commercio. Nel settore agricolo, ed in particolare nelle regioni del Sud e del Centro, l’irregolarità è dettata dalla presenza di condizioni di sfruttamento, dai fenomeni di illegalità e criminalità e dalla disponibilità del lavoro clandestino20.
A tal riguardo si sottolineano una serie di interventi, che verranno analizzati nello specifico nei prossimi paragrafi, diretti a contrastare il sommerso nell’agricoltura e nell’edilizia. Infatti nel 2010 è stato approvato dal
20 Comitato Parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione “Audizione sul piano straordinario di contrasto a irregolari procedure di impiego stagionale di extracomunitari nelle attività agricole” (11 maggio 2010).
consiglio dei Ministri il Piano Straordinario di vigilanza. Attraverso tale Piano si persegue l’obiettivo di rafforzare il controllo e il contrasto del sommerso nei territori che sono più sensibili al lavoro sommerso e in particolare: Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. L’attività di vigilanza opera nelle imprese agricole legate allo sfruttamento della manodopera nell’ambito dell’economia sommersa e quindi della tutela della persona del lavoratore. In particolare, nel settore dell’agricoltura è stato introdotto il lavoro accessorio, che, attraverso i voucher, consente di utilizzare manodopera per attività lavorative di breve durata.
Per quanto riguarda il settore edile, invece, sono stati introdotti strumenti per contrastare il lavoro nero nell’ambito degli appalti pubblici, come il DURC.
5.2.1. Agricoltura: legge contro il caporalato
Il settore agricolo è un settore particolarmente esposto al lavoro sommerso, sia esso irregolare o nero, a causa della mobilità territoriale e soprattutto per il fatto di essere legato alla stagionalità del lavoro. E’ un settore in cui, a seconda delle caratteristiche territoriali, del ciclo delle attività connesse ai vari periodi dell’anno, offre differenti opportunità di lavoro. Stime recenti sottolineano un aumento del fenomeno. 21
Come si è evidenziato precedentemente, nelle regioni del sud vi è una maggiore concentrazione delle attività lavorative irregolari ed è opportuno
21 Secondo i dati Istat 2008, al Sud il tasso di irregolarità in agricoltura raggiunge il 25,3%, ma tocca punte estreme in Campania (31,0%) e Calabria (29,4%); al Centro il tasso medio è pari al 21,8%, con il Lazio che presenta il più alto tasso di irregolarità (30,15%); al Nord il dato medio è assai simile (24,7%), con il Friuli Venezia Giulia che registra un tasso di irregolarità pari al 25,10%, ma anche con il Trentino-Alto Adige dove si registra il tasso più basso (di poco superiore al 14%).V. sintesi del documento “Dimensioni e caratteristiche del lavoro sommerso/irregolare in agricoltura”. Ricerca promossa e realizzata dall’ISFOL - Area “Sistemi Locali e Integrazione delle Politiche.
sottolineare che spesso coloro che svolgono queste attività, nel settore agricolo, sono soggetti a condizioni di sfruttamento. Si tratta, infatti, di soggetti particolarmente vulnerabili, a causa innanzitutto della precarietà del lavoro agricolo e per il fatto che svolgono attività che la maggior parte degli italiani preferisce non svolgere e delegare a stranieri. E’ un settore difficilmente controllabile, dove vi è spesso il ricorso al lavoro a giornata non dichiarato e sono soprattutto gli immigrati clandestini ad essere impiegati nell’attività agricola, sfruttati e pagati a basso costo, privi di tutele. Il sempre più crescente numero di persone immigrate, anche irregolari, in cerca di lavoro e la crisi economica favorisce la diffusione del cosiddetto caporalato. Il caporalato è definito come “lo sfruttamento criminale, spesso collegato a organizzazioni mafiose e di sfruttamento della manovalanza con metodi illegali”22.
Si tratta di un fenomeno criminale dove un caporale, quotidianamente, recluta manodopera da condurre nei campi o nei cantieri. Il caporalato si traduce nello sfruttamento della manodopera, perché il caporale, una volta recuperati i soggetti per lo svolgimento della prestazione lavorativa, dietro corrispettivo, li mette a disposizione di un’impresa utilizzatrice. Gli operai percepiscono la retribuzione dal caporale, che lucra sulla differenza tra quanto percepito dall'impresa e quanto pagato ai lavoratori e non si limita, semplicemente, al reclutamento dei lavoratori, bensì provvede anche al controllo di questi ultimi nello svolgimento della prestazione, imponendo loro orari e ritmi di lavoro insostenibili. Gli imprenditori attorno a questo fenomeno realizzano un giro d’affari che giova loro cospicui proventi e proprio per contrastare lo sfruttamento a basso costo della manodopera è di recente entrata in vigore la nuova legge del 29 ottobre 2016, n. 199, per il contrasto al fenomeno del caporalato. Tale legge è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale e reca "Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni
22 Così Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione.
del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo"( G.U. n.257 del 3-11-2016). Questa legge ha come obiettivo quello di garantire un maggior contrasto allo sfruttamento dei braccianti, prestando innanzitutto attenzione all’accumulazione illecita di ricchezza da parte di chi sfrutta i lavoratori con il fine di trarne profitto, violando le norme che sono alla base della sicurezza nei luoghi di lavoro e dei diritti fondamentali della persona.
In agricoltura i soggetti più esposti al lavoro nero e a condizioni di sfruttamento sono Rumeni, Bulgari, Polacchi, Albanesi, immigrati provenienti dall'Africa equatoriale e dal Nord Africa, ma anche Indiani e Pakistani.23 Un altro fenomeno che viene a realizzarsi è anche quello del doppio reddito. I lavoratori agricoli, in accordo con i datori di lavoro, si rendono disoccupati per poi prestare l’attività lavorativa in maniera irregolare, al fine di ottenere l’indennità di disoccupazione, dando origine ad un flusso di contributi a favore dei falsi prestatori e dei datori di lavoro spesso sotto il controllo di gruppi criminali.
E’ necessario sottolineare come prima del 2011 non sussisteva un reato speciale e i giudici penali nei casi che si configuravano, applicavano le norme già esistenti, come, ad esempio, quella molto più grave della “riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù” ex artt. 600 c.p.24, facendo sorgere la difficoltà di distinguere il lavoro della schiavitù25 da quello di sfruttamento. Un caso molto conosciuto di schiavitù è stato quello di una famiglia di bulgari costretta a lavorare in un circo con turni di 15-20 ore al giorno, con una retribuzione “misera”, senza il rispetto delle norme igienico/alimentari ed inoltre, con l’obbligo di entrare in una teca
23 BUFFA F., Lavoro nero, Torino, 2008.
24 L’attuale art. 600 c.p. è stato introdotto dall’art. 1 della L. 11 agosto 2003 n. 228 e reca misure contro la tratta di persone. L’art. 600 c.p. è stato, successivamente, modificato dall’art. 2, comma 1, lett. a), n. 1), D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 24.
25MISCIONE M., Lavoro e schiavitù, Milano, 2009.
trasparente con serpenti e tarantole26. Non sempre il lavoro di schiavitù è stato riconosciuto27 e ciò, non solo comprova l’eccezionalità dei casi di schiavitù, ma si comprende anche che le norme a disposizione non erano adeguate per sanzionare lo “sfruttamento” e, dunque, ciò ha portato il legislatore del D.L. n. 138/2011 ad introdurre il reato speciale di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”. Successivamente è intervenuto il legislatore del 2016 (L. n. 199/2016) che ha precisato e previsto ex art. 603 bis c.p. due reati specifici.
Tra le principali novità del provvedimento del 2016 vi è la riformulazione del reato di caporalato, art 603 bis c.p. “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”. L’art 1 prevede che: “salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa
26 Cass. Pen., Sez. V, 15 dicembre 2008, n. 46128.
27 Per Cass. Pen., Sez. V, 10 febbraio 0000, x. 00000 (xx Foro it., 2011, 6, 2, 331) approfittare dell’attività altrui, anche se in condizioni di disagio e sfruttamento, non determina un’integrazione del reato di riduzione in schiavitù se non accompagnato da uno stato di effettiva soggezione con privazione della libertà individuale, ritenuta esclusa dal fatto che i lavoratori (extracomunitari) si erano liberamente sottratti, dopo un certo periodo di tempo, alle condizioni di disagio lavorativo. Per Cass. Pen., Sez. V, 24 settembre 2010, n. 40045 la condizione analoga alla schiavitù ex art. 600
c.p. si determina quando la persona sia ridotta in stato di soggezione e obbligata a prestare il lavoro in condizioni stressanti o sia obbligata alla prostituzione (il reato ex art. 600 c.p. è stato riconosciuto nei confronti degli imputati che avevano ridotto in soggezione persone provenienti da Paesi dell’Est, privandole dei passaporti, collocandoli in luoghi isolati privi di relazioni esterne, corrispondendo retribuzioni inferiori alle promesse, collocandole in luoghi fatiscenti, privi di servizi igienici, privi di alimentari, con l’impossibilità di spostarsi sul territorio essendovi veicoli utilizzati solo per condurli nei campi, impossibilitati a sottrarsi allo sfruttamento). Per Cass. Pen., Sez. V, 4 giugno 0000, x. 00000 (xx Dir. prat. lav., 2009, n. 5, 318) compie il delitto di cui all’art. 600 c.p. il datore di lavoro extracomunitario che sottopone un minore della medesima nazionalità ad uno stato di profonda e continua soggezione, con sfruttamento delle sue prestazioni lavorative, senza che possa invocare la causa di giustificazione dell’esercizio del diritto per richiamo alle consuetudini delle popolazioni, avendo violato i principi fondamentali di diritto e civiltà vigenti nell’ambiente in cui ritiene di dover vivere e ai quali si deve adeguare. Cfr. anche da ultimo Cass. Pen., Sez. V, 5 maggio 0000, x. 00000.
da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque:
1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;
2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l'attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno”. Costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti condizioni:
- reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;
- reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie;
- sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;
- sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.
- applicazione di un'attenuante in caso di collaborazione con le autorità;
- previsione dell'arresto obbligatorio in flagranza di reato;
- il rafforzamento dell'istituto della confisca;
- l'estensione della responsabilità amministrativa dell'ente per il reato di caporalato: la sanzione pecuniaria prevista va da 400 a 1.000 quote (l'importo di una quota varia da un minimo di 258 a un massimo di
1.549 euro);
- l'adozione di misure cautelari relative all'azienda agricola in cui è commesso il reato;
- l'estensione alle vittime del caporalato delle provvidenze del Fondo anti- tratta;
- il potenziamento della Rete del lavoro agricolo di qualità, in funzione di strumento di controllo e prevenzione del lavoro nero in agricoltura;
- il graduale riallineamento delle retribuzioni nel settore agricolo.
Nel testo introdotto nel 2011, affinché si potesse concretizzare il reato ex art. 603 bis c.p. lo sfruttamento doveva essere compiuto “mediante violenza, minaccia, o intimidazione”. In assenza di queste modalità non poteva configurarsi il reato. Tenendo presente che è utilizzato il disgiuntivo “o”, era sufficiente la sussistenza di almeno una delle tre modalità e dunque o la “violenza” o la “minaccia” o “l’intimidazione”.
L’art 603 bis c.p., nel vecchio testo, è stato oggetto di esamina da parte della Cassazione due volte; nella prima si faceva riferimento a braccianti agricoli di Foggia e la seconda ad operai edili dell’Aquila. Nel caso dei braccianti agricoli di Foggia (Cass. Pen., Sez. V, n. 14591/2014) 28 si era giunti ad una nozione molto ampia di “intimidazione”, con cui si arrivava alla condanna. La Cassazione Penale n. 14591/2014 dispone che: “l’intimidazione, infatti, evoca, l’effetto di qualunque condotta palese, ma anche implicita, larvata, indiretta ed indeterminata, purché idonea, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali in cui questa opera, ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, al fine di ottenere risultati non consentiti attraverso prestazioni non dovute nell’an o nel quantum o nel quando”. Alla luce di ciò, si ritiene che “l’intimidazione” potrebbe essere dedotta dalle dichiarazioni dei braccianti di non richiedere il compenso pattuito, per il timore di non essere più chiamati a lavorare e da altre dichiarazioni che si riferiscono ad un presunto caporale. In base a tali dichiarazioni: “Se vuoi lavorare nei campi, devi conoscere qualcuno che ti permette di farlo e lui è uno di questi”. Secondo Xxxx. Pen. n. 14591/2014, “la concreta intimidazione scaturisce dal potere assicurato dall’illegittimo
28 Cass. Pen., Sez. V, 4 febbraio 2014, n. 14591.
controllo del mercato del lavoro e dall’impossibilità, per i lavoratori, di procurarsi altrimenti i mezzi di sussistenza”. Per quanto concerne, invece, gli operai edili dell’Aquila29 si parla di sfruttamento dei lavoratori, a causa della mancanza del riconoscimento degli stessi diritti garantiti agli operai nazionali. Tuttavia, la Cassazione ha reputato che la prova su violenza, minaccia o intimidazione, necessarie secondo la norma incriminatrice, sia insufficiente, poiché non connota specificamente il comportamento di sfruttamento. La Cass. Pen. n. 16737/2016 riteneva che l’art. 000 xxx x.x. (xxxxxxx testo) prevedeva solo il reato più grave e quindi lo sfruttamento “mediante violenza, minaccia, o intimidazione”.
La legge n. 199/2016, introducendo un nuovo testo, non solo ha eliminato alcuni dubbi presenti nel vecchio testo, bensì distingue due tipi di reato: uno in caso di sfruttamento con violenza o minaccia, previsto dal nuovo art. 603 bis comma 2, c.p., in cui è eliminata la parola “intimidazione”30, che poteva dar luogo a molti dubbi31 ed inoltre, il nuovo art. 603 bis comma 1, c.p., introduce un reato in caso di sfruttamento, senza violenza o minaccia, con la sanzione più bassa della reclusione da 1 a 6 anni e multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore. Dunque, in questo modo si è introdotto un reato che consente di punire quei casi di sfruttamento senza violenza o minaccia, che con la precedente disciplina, invece, erano lasciati impuniti32. Questo nuovo reato consente di punire con gravi sanzione i casi di caporalato.
Con la legge n. 199/2016, i reati sono previsti non solo per i caporali , ma anche per chi “utilizza, assume o impiega manodopera” per sfruttamento approfittando dello stato di bisogno, con ed anche senza l’intervento del
29 Cass. Pen., Sez. V, 21 aprile 2016, n. 16737.
30 Nel vecchio testo era previsto il reato in caso di sfruttamento “mediante violenza, minaccia o intimidazione”.
31 Vedi Cass. Pen., Sez. V, n. 14591/2014.
32 Cass. Pen. n. 16737/2016 cit.
“caporale” (art. 603 bis, comma 1, nn. 1 e 2 come modificato dalla L. n. 199/2016).
Per la configurazione del reato sono previste quattro condizioni, con delle modifiche rilevanti rispetto al vecchio testo. Per quanto concerne le prime due, art 603 bis, comma 3 n.1 e 2, c.p., la l. n. 199/2016prevede che le condotte debbano essere reiterate e non più sistematiche, poiché la sistematicità è difficile da individuare, a differenza della reiterazione per la quale è sufficiente che un fatto venga ripetuto più volte in un determinato periodo.
I casi più frequenti di caporalato si verificano in agricoltura33 e proprio per questo la l. n. 199/2016 ha disposto all’art. 8 una serie di norme sulla Rete del lavoro agricolo di qualità (art. 6 del D.L. 24 giugno 2014, n. 91, conv. con mod. da L. 11 agosto 2014, n. 116)34.
A partire dal gennaio 2018 anche in agricoltura dovrà essere applicato il modello “Uniemens” e la conseguente comunicazione all’INPS delle giornate di lavoro dei dipendenti, così come previsto dall’art.8, comma 2, L.
n. 199/2016. Attraverso la comunicazione all’INPS è possibile riscontrare i casi di lavoro irregolare o lavoro in elusione e contrastare, dunque, il lavoro nero. Si avrà, di conseguenza, un passaggio dalla comunicazione trimestrale effettuata attraverso il sistema “DMAG” ( utilizzato fino ad ora; con esso la comunicazione all’Inps delle giornate di lavoro in agricoltura è effettuata nel mese successivo al trimestre di riferimento) al sistema “Uniemens” che consente di effettuare un controllo mensile.
A questo punto pare opportuno soffermarsi sulla nozione di caporalato per entrambi i reati. E’ indispensabile che per la configurazione di entrambi i reati sussista lo sfruttamento. La reiterata “corresponsione” di retribuzioni
33 MISCIONE M., Caporalato e sfruttamento del lavoro, Milano, 2017.
34 Cfr. i commenti (sul ddl) di X. Xxxxx, Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro: problematiche applicative e prospettive di riforma, Milano, 2016, 13 ss.
in modo “palesemente difforme” dai contratti collettivi nazionali o territoriali costituisce il primo indice di sfruttamento. Il termine “retribuzione”, utilizzato nel vecchio testo, è sostituito con il termine “corresponsione”, dando in tal modo rilievo alla situazione che viene a realizzarsi di fatto e non a quella dichiarata. Il problema concerne la difformità rispetto al contratto collettivo, poiché i contratti collettivi nazionali e alle volte anche quelli aziendali, non costituiscono una misura vincolante per l’individuazione dei minimi costituzionali delineati all’art. 36 Cost. Il contratto collettivo non ha un’efficacia vincolante per tutti; dopo, però, l’introduzione della legge del 2016, l’erogazione di una corresponsione “difforme” e “reiterata” rispetto quanto previsto dai contratti collettivi, è indice di “sfruttamento”. In ogni caso questi come gli ulteriori indici indicati dal nuovo testo di cui all’art 603 bis, dovranno essere valutati singolarmente e cumulativamente. Dunque, non sussiste una legge tale da disporre l’obbligo sanzionato penalmente di applicazione dei contratti collettivi; quando si parla di “difformità” ci si riferisce ad un indice, sufficiente, in seguito ad una valutazione del giudice, a poter configurare il reato di caporalato35.
5.2.2. Il lavoro sommerso nel terzo settore e nell’artigianato
Le organizzazione del terzo settore possono considerarsi delle vere e proprie imprese dirette a produrre utili, a valorizzare il loro capitale e ad espandere la loro presenza sul mercato, con l’obiettivo di raggiungere i loro fini istituzionali, operando nel rispetto del vincolo della non distribuzione dei propri avanzi di gestione.
Anche quando i beni e servizi prodotti da tali organizzazioni sono socialmente utili, questi possono essere oggetto di compravendita sul
35 MISCIONE M., Caporalato e sfruttamento del lavoro, Op.cit.
mercato. Le tipologie imprenditoriali del terzo settore perseguono per statuto la tutela degli interessi deboli, tra cui vi rientrano anche quelli dei lavoratori. Tuttavia ciò non significa che in questo settore non si possano verificare casi di lavoro sommerso, pur essendo un settore difficilmente controllabile per il fatto che esso persegue scopi sociali.
Il terzo settore si caratterizza soprattutto per la presenza di forme di lavoro grigio. Da una ricerca effettuata nella regione Toscana, emerge che possono esservi diverse modalità di manifestazione del sommerso. Queste modalità risultano collegate a due variabili: la natura dell’organizzazione e la tipologia del rapporto di lavoro.
Per quanto riguarda la natura dell’organizzazione è opportuno sottolineare che a diverse forme organizzative possono associarsi diverse modalità di sommerso. Nel volontariato, ad esempio, posso verificarsi delle violazioni diverse rispetto a quelle che possono riscontrarsi nelle cooperative e ad incidere è soprattutto la tipologia di contratto che regola il rapporto di lavoro.
Nel caso di rapporti di lavoro disciplinati da contratto di lavoro dipendente si rileva la non osservanza di tutte le norme e gli obblighi contrattuali che il sistema impone. Si possono verificare, ad esempio, casi in cui non vi è il riconoscimento degli straordinari, di indennità festive o lavoro su turni. Le forme di sommerso che possono essere insite nei rapporti di lavoro dipendente, tuttavia, seppure gravi, non rappresentano la questione più rilevante. Anche le collaborazioni coordinate e continuative hanno avuto nel terzo settore un impatto rilevante. Dalla ricerca effettuata emerge che molte organizzazioni hanno fatto ricorso a rapporti di collaborazione coordinata e continuativa36 anche in casi in cui era possibile instaurare un rapporto di lavoro dipendente.
36 Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa dovrebbe regolare un rapporto di lavoro di professionalità medio alte e con caratteristiche specialistiche. In particolare, gli accordi di applicazione nel campo dei servizi sociosanitari ne dovrebbero circoscrivere l’impiego a situazioni
Dunque l’utilizzo di contratti di collaborazione coordinata e continuativa rappresentava uno dei fattori che, anche nell’ambito del terzo settore, ha contributo a determinare un incremento delle opportunità per l’utilizzazione di lavoro grigio.
Un altro aspetto che può dar luogo a delle perplessità è quello inerente al ruolo del volontariato, che è previsto sia nelle associazioni di volontariato che nelle cooperative sociali. Da una serie di interviste che sono state realizzate è emerso come vi sono stati casi in cui il diritto al rimborso spese cui hanno diritto i volontari si sia trasformato in opportunità di violazione delle norme contributive. In alcune situazioni, infatti, si è riscontrato che il rimborso spese rappresenta una modalità di remunerazione non tanto di apporto volontario, quanto di lavoro vero e proprio nell’ambito delle organizzazioni37.
Cenni merita anche il lavoro sommerso nel settore dell’artigianato. In Italia le imprese artigiane risultano esposte maggiormente alla concorrenza sleale generata dal sommerso. I comparti più colpiti sono i servizi alla persona ( parrucchiere ed estetiste), le attività dei servizi di alloggio e di ristorazione, il trasporto e magazzinaggio. Questi tre settori contano 333.748 imprese artigiane, pari ad un quarto (24 per cento) dell’artigianato italiano e 650.743 addetti, pari ad un quinto (20,5 per cento) del totale degli occupati in imprese artigiane.
Quello delle parrucchiere ed estetiste, che optano per il lavoro nero per scelta, svolgendo attività in modo occulto, evadendo tasse e risparmiando su manodopera e affitto di locali, è un mercato sommerso che incide tanto sulle casse dello Stato, danneggiando l’economia, che sull’alterazione sleale dei listini e anche sulla tutela della salute.
in cui “vi sia un rapporto alla pari di erogazione fra un libero professionista ed un ente committente; non esista un orario di lavoro rigidamente strutturato; il lavoratore non impieghi, per svolgere il proprio servizio, strumenti di proprietà della ditta”.
37 RICCI F., Lavoro sommerso nel terzo settore, Roma, 2002.
5.2.3 Edilizia
L’edilizia è un settore caratterizzato, sia dal punto storico che strutturale, dalla presenza di piccole imprese che, a causa della discontinuità della domanda di mercato, spesso traggono proficui nella non regolarizzazione dei i rapporti di lavoro. Altri fattori che danno luogo a tali irregolarità sono le attività edilizie abusive e la presenza nel nostro paese di numerosi immigrati clandestini, che, come evidenziato nei precedenti paragrafi, vengono sfruttati dai datori di lavoro a costi bassi.
Inoltre, il lavoro nero nell’edilizia è favorito dall’ esistenza di un sistema sociale di protezione dei lavoratori edili ( il lavoro nero arreca vantaggi al lavoratore che oltre alla retribuzione non dichiarata, percepisce eventuali sussidi sociali) e il sistema degli appalti pubblici , incentrato sul ribasso d’asta (il datore di lavoro per recuperare il profitto cui ha rinunciato per ottenere l’appalto pubblico, ricorrerà a forme di abbattimento dei costi a scapito della regolarità deli rapporti di lavoro).
Dunque, nell’edilizia il ricorso al lavoro sommerso risponde ad un duplice interesse: quello dei lavoratori che hanno interesse a cumulare la retribuzione percepita con il sussidio di disoccupazione e quello dei datori di lavoro che, in tal modo, risparmiano sul costo del lavoro.
L’alto tasso di irregolarità nell’edilizia è dovuto al costo del lavoro eccessivamente elevato. Infatti un operario specializzato percepisce una retribuzione netta di 5,68 euro per ogni ora di lavoro, ma l’impresa edile, per ogni lavoratore e ogni ora di lavoro, spende circa 16 euro. Ecco perché i fenomeni del lavoro nero e del lavoro irregolare sono fenomeni spesso dettati dall’intento delle imprese di evadere il fisco per ottenere una riduzione dei costi di produzione, ma dove vi è irregolarità , non solo vi è sfruttamento economico, deprezzamento della professionalità, ma anche mancanza di sicurezza, mancanza di tutele che determinano una maggiore
frequenza di incidenti. Spesso, infatti, veniamo a conoscenza della presenza del lavoro nero nel settore dell’edilizia a seguito della denuncia di episodi di cronaca, infortuni sul lavoro o le cosiddette “morti bianche”38.
La regolarità nel settore edile è stata, comunque, in un certo senso assicurata da strumenti indiretti, come ad esempio l’affidamento all’ANC, Albo Nazionale costruttori, della qualificazione delle imprese esecutrici di appalti pubblici. Successivamente, si è ritenuto che tale sistema non fosse in grado di garantire l’idoneità sostanziale delle imprese all’effettuazione dei lavori. Così, con la legge n. 109/1994 è stato introdotto un nuovo sistema di qualificazione delle imprese esecutrici di lavori pubblici. Il D.P.R. n. 34/2000 contiene il Regolamento Bargone che dispone una serie di criteri per l’ottenimento dell’attestazione SOA39. Questa attestazione è obbligatoria solo per l’aggiudicazione di appalti, il cui valore è superiore a
150.000 euro ed è necessario, per ottenere tale attestazione, che l’impresa possieda requisiti di tipo giuridico-organizzativo ed economico-finanziario. Il settore dell’edilizia è il settore in cui vi sono stati diversi interventi di contrasto al lavoro sommerso, che poi sono stati estesi anche ad altri settori economici. Un esempio è il DURC, Documento unico di regolarità contributiva e il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale da parte del T.U. sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
38Morti bianche: incidente mortale che si verifica sul lavoro (l'aggettivo allude all'assenza di una mano formalmente responsabile dell'accaduto).
39 L’Attestazione SOA è la certificazione obbligatoria per la partecipazione a gare d’appalto per l’esecuzione di appalti pubblici di lavori. E’ un documento necessario che consente di comprovare, in sede di gara, la capacità dell’impresa di eseguire, direttamente o in subappalto, opere pubbliche di lavori con importo a base d’asta superiore a € 150.000,00. L’attestazione SOA attesta e garantisce il possesso, da parte dell’impresa del settore delle costruzioni, di tutti i requisiti richiesti dall’attuale normativa in ambito di Contratti Pubblici di lavori. Tale attestazione ha validità quinquennale e viene rilasciata a seguito di un’istruttoria di validazione dei documenti prodotti dall’impresa, facenti capo agli ultimi dieci esercizi di attività dell’impresa da appositi Organismi di Attestazione, ovvero società autorizzate ad operare dall’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (AVCP).
Il DURC è stato introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento dalla legislazione della regione Umbria per rendere effettivo il rispetto della l. 61 del 30 marzo 1998, che subordinava la concessione dei finanziamenti per la ricostruzione dopo il terremoto del 1997 in Umbria all’obbligo, per le amministrazioni comunali e i soggetti privati, di richiedere alle imprese operanti nella ricostruzione la certificazione dell’avvenuto versamento dei contributi previdenziali e assicurativi a favore dei lavoratori dipendenti occupati nei lavori di ricostruzione. Il Decreto Biagi ha poi esteso tale strumento, disponendo che tutte le imprese edili cui fosse stato affidato un appalto dovessero attestare la propria regolarità attraverso un certificato. Dunque, il DURC è “il certificato che, sulla base di un’unica richiesta, attesta contestualmente la regolarità di un’impresa per quanto concerne gli adempimenti INPS, INAIL e Cassa Edile (per i lavori) verificati sulla base della rispettiva normativa di riferimento”40.
Il DURC può essere richiesto dalle imprese, dagli enti pubblici appaltanti e dalle SOA, Società Organismi di Attestazione. Per gli appalti di lavori pubblici, il DURC deve essere richiesto con l’avanzamento dei lavori o alla conclusione degli stessi e sarà rilasciato dalle casse edili competenti. Mentre, per i lavori privati il DURC deve essere richiesto prima dell’inizio dei lavori oggetto della concessione edilizia o della DIA, dichiarazione di inizio attività. Infatti, il D.lgs. 251/2004, che ha aggiunto una nuova lettera (b-ter) all’art.3 comma 8 del D.lgs. 494/1996, dispone l’obbligo per il committente o per il responsabile dei Lavori di trasmettere, prima dell’inizio dei lavori, al Comune concedente il Titolo Abilitativo oltre al nome dell’impresa esecutrice, anche la dichiarazione dell’organico medio annuo ed il D.U.R.C. Qualora il D.U.R.C. sia assente, anche in caso di variazione dell’impresa esecutrice, l’efficacia del Titolo Abilitativo è sospesa.
40“Nozione” riportata dal sito internet dello Sportello Unico Previdenziale istituito per il suo rilascio.
IL DURC contiene il risultato delle verifiche che vengono effettuate da INAIL, INPS e Cassa Edile sulla posizione contributiva dell’impresa. Esso sarà negativo se uno solo dei tre enti rileva irregolarità da parte dell’impresa stessa.
Un ulteriore intervento nel settore edile, che sarà oggetto di ulteriore approfondimento nel prossimo capitolo, è avvenuto con l’art. 36 bis, d.l. 223/2006 ( “decreto Bersani”) convertito in legge 248/2006. Tale norma prevedeva : “ il personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, anche su segnalazione dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), può adottare il provvedimento di sospensione dei lavori nell'ambito dei cantieri edili qualora riscontri l'impiego di personale non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, in misura pari o superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori regolarmente occupati nel cantiere ovvero in caso di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale”. Tale decreto contiene, dunque, una serie di interventi volti a contrastare il lavoro nero e diretti a promuovere la sicurezza nei luoghi di lavoro.
6. Le cause e le conseguenze del sommerso
Le cause del sommerso sono varie e di difficile individuazione. La Commissione Europea nella Comunicazione del 1998 individua tre fattori che concorrono alla formazione del sommerso:
- la diversificazione della domanda di servizi in cui vi è un’elevata presenza di manodopera e bassi incrementi produttivi;
- la riorganizzazione delle industrie al fine di rendere più flessibile la produzione ed aumentare la capacità di innovazione e ciò può determinare
un aumento dei lavoratori autonomi (un certo numero di questi può lavorare nel sommerso);
- l’introduzione di tecnologie leggere che possono dar luogo a nuove opportunità lavorative.
Attualmente una delle cause principali del lavoro sommerso è di natura economica. E’ possibile in tal caso distinguere tra sommerso per “convenienza” e sommerso per “necessità”. Con la prima tipologia di sommerso ci si riferisce all’intento di non pagare le tasse per ottenere un aumento dei profitti. In questo tipo di sommerso l’irregolarità più diffusa è quella dell’evasione fiscale e contributiva che trova il consenso tanto da parte del lavoratore che del datore di lavoro. Infatti lavorare nel sommerso può risultare vantaggioso per entrambe le parti. Si ottiene un maggior guadagno. Il datore di lavoro facendo ricorso al sommerso ottiene un risparmio contributivo, dal momento che non versa i contributi previdenziali e sociali al lavoratore; non ha vincoli in tema di orari, licenziamento, salario minimo, ferie e si sottrae ai costi relativi alle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Il lavoratore sommerso a sua volta percepisce una retribuzione maggiore rispetto a quella di un lavoratore regolare, perché non vi sono trattenute sulla sua busta paga.
Invece il sommerso per necessità si verifica a causa della disoccupazione e della necessità economica di effettuare un secondo lavoro. Dunque, in questo caso, il sommerso si caratterizza come unica possibilità per il lavoratore regolare di avere un reddito e per il datore di lavoro come unico modo per esercitare l’attività d’impresa.
Il lavoro sommerso è presente soprattutto nelle piccole imprese, perché, in assenza delle rappresentanze sindacali aziendali e per la loro capacità di mimetizzarsi da cui deriva poi la difficoltà di sottoporle a controlli, queste considerano il sommerso come unico modo per poter essere concorrenziali in un mercato regolamentato per lo più da multinazionali.
Un’ulteriore causa del sommerso è data dall’imposizione fiscale e contributiva. Più è elevato l’onere fiscale maggiore è il peso dell’economia sommersa. Inoltre, anche le procedure amministrative e burocratiche rendono difficile la regolarizzazione dei rapporti di lavoro. Maggiori sono le leggi che regolano il mercato del lavoro e dell’attività d’impresa, maggiore è la mancata dichiarazione.
Il lavoro sommerso è favorito anche dall’inefficienza degli organi di controllo. L’inefficienza deriva, da una parte, dall’entità della sanzione che non è proporzionale all’inosservanza commessa e dall’altra i controlli non avvengono frequentemente; si ritiene che un’impresa abbia la possibilità di essere controllata circa una volta ogni trenta anni.
Le ragioni che possono spingere al sommerso sono anche morali e sono determinate dall’insofferenza nei confronti del sistema pubblico e riprovazione e sdegno nei riguardi di una classe politica sempre più corrotta. Anche i fattori ambientali, globalizzazione ed emigrazione, influiscono sulla crescita del sommerso.
Per quanto riguarda la globalizzazione, l’influenza della stessa sul lavoro sommerso è individuabile nel trasferimento, da parte di alcune imprese, delle divisioni del lavoro intensivo in paesi in cui vi è un costo del lavoro più basso. Ciò comporta una riduzione del sommerso nei paesi dell’Europa, ma allo stesso tempo, si verifica un aumento della competizione e della domanda del sommerso da parte di imprese di dimensioni minori.
L’immigrazione ha un rapporto emblematico con il sommerso che aumenta laddove gli immigrati non abbiano accesso al lavoro formale.
Oltre alle cause bisogna analizzare anche le conseguenze che il lavoro sommerso ha sul sistema economico e sociale.
Chi lavora in nero concorre slealmente con chi, invece, lavora regolarmente e adempie agli oneri contributivi e sociali ed è questo uno dei maggiori motivi che deve spingere al contrasto del lavoro sommerso. Si verifica una
concorrenza sleale perché vi è una riduzione dei costi così da poter ridurre i prezzi di vendita e ottenere maggiori profitti.
Un’altra conseguenza è l’esclusione dell’attività non dichiarata dal sistema finanziario e creditizio, a causa della difficoltà di sottoporre l’attività stessa ad una corretta valutazione del merito del credito.
Gli studiosi del fenomeno ritengono che tra i maggiori fattori che determinano il lavoro sommerso vi siano le tasse. Mentre i servizi pubblici sono utilizzati tanto nell’economia ufficiale che sommersa, le tasse, invece, sono raccolte solo dal lato dell’economia ufficiale e, quindi, più aumenta il sommerso più il gettito pubblico tende a diminuire. La crescita del sommerso può indurre lo Stato ad aumentare le tasse per poter evitare un’alterazione del gettito necessario a finanziare un determinato livello di spesa pubblica. Questo perché l’elusione contributiva e sociale determina una riduzione delle entrate fiscali e previdenziali, che comporta una minore assistenza e protezione da parte dello Stato, in quanto, lo Stato, a causa delle ridotte entrate fiscali e previdenziali, subisce una diminuzione del bilancio. Lo Stato, dunque, ha meno risorse per poter erogare servizi e in alcuni casi per poter erogare tali servizi è portato ad aumentare il gettito fiscale. Di conseguenza l’aumento del carico fiscale non è causa, ma effetto dell’economia sommersa. Tuttavia, oltre agli effetti negativi, è possibile riscontrare anche effetti positivi, come la produzione, da parte dell’economia sommersa, di un reddito che, a livello microeconomico, rappresenta un ammortizzatore sociale che consente alle famiglie, in mancanza, degli ammortizzatori sociali ufficiali, un’integrazione economica. Infatti l’economia sommersa ha delle conseguenze sul deficit del bilancio dello Stato e sulle tasse minori rispetto a quelle che ci si aspetta, perché bisogna anche tener conto del fatto che l’economia sommersa determina anche un aumento del reddito disponibile della popolazione, la maggior parte del quale verrà speso in beni e servizi sul mercato regolare.
Il lavoro sommerso erode anche il senso civico e sociale. Essere tolleranti nei riguardi del sommerso implica una normalizzazione del fenomeno. E’ importante avere, dunque, la percezione del giusto e contrastare ciò che non lo è, come l’evasione fiscale e contributiva.
Capitolo II
Gli interventi di emersione del lavoro sommerso
SOMMARIO: 1. Definizione di economia sommersa. - 2. Le fonti normative e le politiche di regolarizzazione. - 2.1. Contratti di riallineamento: modello normativo e campo di applicazione. - 2.2. Legge 448/1998 istitutiva del Comitato per l’emersione del lavoro non regolare. - 2.3. I piani di emersione: legge 18 ottobre 2001 n° 383. - 0.0.Xx riforma del Titolo V della Costituzione: il ruolo delle regioni nel contrasto al lavoro sommerso. - 2.5. Tentativo di regolarizzazione dei contratti di collaborazione a progetto di cui agli art. 61 e ss. D.lgs. 276/2003. - 2.6. Il lavoro occasionale accessorio come strumento di emersione del lavoro sommerso: ambito di applicazione e soggetti beneficiari. - 2.6.1. Le criticità inerenti al lavoro accessorio ed abolizione dei buoni lavoro. -3. Attività ispettiva e regime sanzionatorio. - 3.1. Il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale: evoluzione normativa. - 3.1.1. La disciplina vigente: presupposti, efficacia, effetti e revoca del provvedimento. - 3.2. La maxisanzione per il lavoro irregolare- 3.3. La fattispecie del lavoro irregolare sanzionabile. - 3.4. Modifica del regime sanzionatorio ad opera del Jobs Act. - 3.5. Regime intertemporale della maxisanzione.
1. Definizione di economia sommersa
Per far sì che vi sia uno sviluppo del sistema economico è necessario che vi siano norme ed istituzioni che presiedano al corretto funzionamento dei mercati. Tali norme devono essere osservate da imprese e lavoratori, così che i soggetti economici che operino sul mercato possano dispiegare le proprie potenzialità e produrre effetti sociali positivi. Tuttavia, il rispetto
delle regole comporta dei costi, che si sommano ad altri costi che devono essere sostenuti.
In alcuni contesti economici, particolarmente sviluppati, si verificano situazioni in cui quote crescenti del sistema economico cercano di sottrarsi al rispetto delle norme e dei meccanismi istituzionali per rifugiarsi in un contesto economico sommerso, in cui vi è la prevalenza di transazioni di tipo informale e l’inosservanza dei vincoli imposti dalla legge, al fine di evitare di sopportarne gli oneri. Esiste anche un altro tipo di sommerso riconducibile a fattori sociali che caratterizzano il capitale sociale, come l’appartenenza a piccole comunità all’interno delle quali il rapporto diretto tra gli individui comporta una certa facilità nell’instaurare rapporti economici informali. L’economia sommersa nel corso del tempo ha subito profondi cambiamenti. Inizialmente essa era caratterizzata dalla presenza di lavoratori a domicilio e piccole imprese familiari esperte in singole lavorazioni, attualmente essa è il risultato di un insieme di fattori che si diversificano a seconda del territorio e del settore.
“L’economia sommersa può essere definita come un insieme di attività che contribuiscono alla formazione del reddito e della ricchezza di una nazione senza essere tuttavia rilevate nelle statistiche ufficiali.” Da questa definizione emergono le difficoltà relative alla definizione e alla misurazione di qualcosa che, per sua natura, è nascosto. Tuttavia, l’impresa e il lavoratore che operano nel sommerso, pur operando in un’economia nascosta, interagiscono con l’economia formale in diverse occasioni, ad esempio per mettere sul mercato il risultato dell’attività svolta. Si pensi ad un commerciante che venda beni che sono il frutto di attività criminali ( il furto) oppure il caso di un’azienda sommersa che venda beni che poi verranno messi sul mercato e venduti da un commerciante regolare. Esistono, quindi, diverse relazioni tra le varie sfere dell’economia ed in particolare tra l’economia sommersa e l’economia formale e tali sfere, talvolta, sono anche concorrenti. Si pensi, per esempio, ad una famiglia che
può acquistare un determinato prodotto tanto nell’economia formale che sommersa o ricorrendo all’economia domestica41. Tale concorrenza potrà essere legittima nel caso dell’economia domestica nei riguardi dell’economia formale; sleale nel caso dell’economia sommersa nei confronti dell’economia formale42.
Gli economisti hanno fornito diverse definizioni di economia sommersa, tra cui quella che la definisce come: “tutte le attività economiche che contribuiscono al calcolo del prodotto nazionale lordo (Pnl) di un paese, ma non sono ufficialmente registrate”43. In generale l’economia sommersa ha ad oggetto le attività produttive caratterizzate principalmente dal venir meno all’osservazione, alla regolamentazione e alla rilevazione. Sono, dunque, sommerse sia le attività produttive legali, svolte in modo irregolare, che le attività illegali, per le quali si verifica una violazione della legge44.
Andando nello specifico nell’aspetto definitorio, è opportuno sottolineare come nel Sistema dei Conti Nazionali delle Nazioni Unite (SNA93), la definizione di economia sommersa venga ricavata da quella di produzione. Innanzitutto, bisogna individuare i confini della produzione per poter poi descrivere l’economia in senso lato e stabilire quale parte dell’economia possa definirsi sommersa e quale regolare.
La produzione comprende le attività di creazione di beni e servizi diretti a soddisfare i bisogni umani. Dunque, sono comprese quelle attività
41 Con la locuzione economia domestica si indica l'insieme di competenze necessarie per la conduzione degli aspetti pratici della vita di una famiglia e di una comunità.
42 AVOLA M., Xxxxxx irregolare e politiche pubbliche, Roma, 2007, p. 20.
43 Si vedano XXXXX E., Currency Velocity and cash payments in the U.S. Economy: The Currency Enigma, Munich, 1989; SCHNEIDER F., Can the Shadow Economy Be Reduced through Major Tax Reforms? An Empirical Investigation for Austria, Supplement to Public Finance, 1994; XXXX X., XXXXXXXXXX W., The hidden economy: State and prospect for measurement, Review of Income and Wealth, 1984; XXXXXX. H., The informal sector in the 1980’s and 0000’x, Xxxxx, 0000.
44 LUCIFORA C., Economia sommersa e lavoro nero, Bologna, 2003.
economiche per le quali è possibile quantificare un valore monetario. Inoltre, va ricompreso anche l’auto investimento, ad esempio la costruzione della propria abitazione; la produzione di prodotti non primari da parte di soggetti non agricoli per uso proprio; la produzione alimentare di sussistenza per l’autoconsumo delle famiglie; l’uso diretto dell’abitazione da parte del proprietario. Vi sono delle attività che restano escluse, come il lavoro volontario come prestazione di servizi; le attività illegali non produttive, come le estorsioni, che determinano solo il trasferimento di ricchezza. Lo SNA93 individua tre tipologie di attività produttive non osservate, tra cui le attività illegali e informali. Le prime, attività illegali e sommerse, sono proibite dalla legge. La produzione sommersa ha ad oggetto attività legali che vengono svolte clandestinamente per evadere il fisco o per altri motivi.
Le attività informali riguardano unità utilizzate per produrre beni e servizi al fine di generare occupazione e redditi delle persone coinvolte. Queste unità appartengono al settore delle famiglie. Quando sussistono delle relazioni di lavoro, queste si basano su un’occupazione saltuaria, su rapporti di parentela e difficilmente su veri contratti di lavoro. Le attività informali rientrano nella categoria del sommerso statistico, di cui si è parlato nel primo capitolo in riferimento alla distinzione con il sommerso socio- economico45.
2. Le fonti normative e le politiche di regolarizzazione
Il lavoro sommerso è una delle principali materie di cui si è occupato il diritto del lavoro italiano, perché è proprio nel diritto del lavoro che sussiste una certa difficoltà d’intervento da parte dello Stato a causa dell’intreccio d’interessi tra lavoratore e datore di lavoro.
45 BUSETTA P., XXXXXXXXXX E., Capire il sommerso. Un’analisi del lavoro irregolare al di là dei luoghi comuni, Napoli, 1998.
Lo sviluppo economico del paese è stato accompagnato dall’impiego di lavoratori non regolari e di conseguenza il legislatore, per contrastare questo fenomeno, ha cercato di garantire al contraente debole una serie di tutele. Si pensi, ad esempio, alla legge Xxxxx (n. 3657 del 1886) sul lavoro dei fanciulli. Tale legge risale al Regno d’Italia ed è stata promulgata durante il Governo Depretis VII. Il nome Xxxxx deriva dal Ministro dell’istruzione, Xxxxxxxx Xxxxx, che l’aveva proposta nel Governo Xxxxxxxx X. La legge fissava a nove anni il minimo per poter essere ammessi al lavoro ed, inoltre, disponeva come limite per il lavoro notturno l’età di dodici anni e un massimo di otto ore lavorative. La violazione di questa legge comportava una sanzione che andava dalle cinquanta alle 100 lire. Tuttavia, la legge non fu mai attuata completamente, a causa della mancanza dei presupposti politici ed economici e per la mancata nomina d’ispettori che verificassero la sua effettiva attuazione. La Legge Xxxxx è rimasta in vigore fino al 1902, anno in cui fu approvata la legge Carcano, relativa alla tutela delle donne e dei fanciulli.
Il codice civile del 1942 è il punto di arrivo di una lunga evoluzione e in tale codice la legge sull’impiego privato riveste una fondamentale importanza per il fatto di costituire la premessa organica della disciplina del contratto di lavoro. Infatti, essa, pur basandosi sulla separazione tra mercato del lavoro manuale e mercato del lavoro intellettuale, ha comunque rivestito un ruolo principale con riferimento all'inclusione della disciplina del contratto di lavoro nell'area legislativa.
La legge sull'impiego privato risponde all'esigenza di garantire una maggiore tutela ai lavoratori. Infatti, gli impiegati, originariamente, non avevano la tutela garantita dai Ccnl, ma disponevano solo di giudici di equità. Tradizionalmente, si distingueva tra lavoro operaio (inserito dalla dottrina all'interno della “locatio operarum”) e impiego privato, dove, in assenza della spinta sindacale, le condizioni di contratto erano dettate dall'autonomia individuale o dalle pratiche d'uso. Di qui la necessità di un
intervento legislativo.
Il legislatore del Codice civile ha sancito che il diritto del lavoro è una delle tre componenti fondamentali del diritto dei privati, alla stessa stregua del diritto commerciale e del diritto civile. E' con l'entrata in vigore della Costituzione che il diritto del lavoro assume una rilevanza costituzionale di grado superiore rispetto al diritto civile e commerciale.
La normativa in materia è diretta, innanzitutto, a proteggere il soggetto contraente debole. Infatti, la protezione del lavoratore come singolo, appartenente ad una categoria sociale, non è più espressione di un “favor” speciale, bensì di un'istanza di trasformazione professionale e sociale del lavoratore stesso nel contesto che lo circonda46.
Importante è la legislazione degli anni settanta che rappresenta l’apice della tutela garantista del lavoratore. Vi è stata una progressiva limitazione dei poteri del datore di lavoro e una prevalenza di assunzioni del tipo di lavoro subordinato a tempo indeterminato. La normativa vincolistica sul rapporto di lavoro ha conosciuto il suo consolidamento attraverso una serie di principi, come quello sancito nella legge n. 1369/1960 sull’appalto di mano d’opera; la legge n. 230 del 1962 che disciplina il contratto a termine e la legge sui licenziamenti individuali n. 604 del 1966, che ha comportato una riduzione dell’area del recesso libero da parte del datore di lavoro, fino ad arrivare alla legge del 1970 con lo Statuto dei lavoratori, che determina una svolta nella disciplina del rapporto di lavoro, introducendo all’art. 18 il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro nel caso di licenziamento illegittimo.
Negli anni ’80 si verifica una crisi del diritto del lavoro stesso. Il lavoro subordinato diviene sempre meno diffuso nelle società postindustriali europee ed assume dei connotati non facilmente riconducibili al modello tradizionale. Si inserisce in questo quadro la flessibilità del lavoro
46 ROTONDI F., Diritto del lavoro e delle relazioni industriali, Milano, 2014.
dipendente che sottolinea la revisione dei criteri normativi di identificazione della subordinazione e lo sgretolarsi dell’apparato sanzionatorio che si era consolidato a partire dal secondo dopoguerra. Nella metà degli anni settanta la crisi economica e l'alto tasso di inflazione provocato dalla crisi petrolifera, determinarono in molti Paesi della Comunità europea un aumento del costo del lavoro, che comportò l’impiego di una serie di rapporti, anche subordinati, sottratti, però, alla disciplina della subordinazione, consentendo, dunque, l’attuazione di forme di impiego flessibile, come i contratti di formazione e lavoro, contratti a tempo parziale, contratti “job-sharing”47 , contratti di lavoro interinale48.
In quest’ambito s’inseriscono i contratti di riallineamento che rispondono alla logica della flessibilità ed attraverso i quali si vuole favorire la riemersione delle imprese più o meno nascoste attraverso uno scambio in cui imprese e lavoratori, sindacati e pubbliche amministrazioni si impegnano, in un programma comune, alla graduale fuoriuscita delle aziende dalla condizione di illegalità, attraverso aumenti retributivi scaglionati in un determinato tempo fino a pervenire all’integrale applicazione del CCNL di categoria.
47 In Italia il contratto di lavoro ripartito, (in lingua inglese job sharing), è una tipologia contrattuale di lavoro con cui due lavoratori si impegnano ad adempiere solidalmente ad un'identica ed unica obbligazione lavorativa.
48 Alcune misure, pur non avendo come obiettivo primario l’emersione, possono produrre effetti positivi sul lavoro irregolare. Si tratta, principalmente, di interventi che subordinano i benefici di natura contributiva e/o fiscale all’aumento degli organici, alla realizzazione di una nuova impresa, al ricorso di strumenti che rendono più semplice l’inserimento nel mondo del lavoro. E’ possibile distinguere due tipi di misure: le prime volte a sviluppare e creare nuove opportunità di crescita del sistema economico, soprattutto per le aree depresse; le seconde consistono in incentivi che favoriscono l’ingresso nel mondo del lavoro, come prestiti d’onore, sgravi per i neoassunti, credito d’imposta. Una certa importanza acquisiscono anche i contratti a contenuto formativo grazie agli sgravi contributivi di cui godono, che permettono al datore di lavoro di regolarizzare una posizione che prima era sommersa: apprendistato, tirocini formativi e di orientamento, il contratto di formazione e lavoro.
Il contrasto al lavoro sommerso rappresenta il punto cardine delle politiche di sviluppo dell’occupazione di regolamentazione del rapporto di lavoro e rappresenta, da sempre, una premessa necessaria al fine di “ aumentare il livello di democrazia e di cittadinanza nel nostro paese, per qualificarne il sistema produttivo, renderne più moderno e giusto il sistema fiscale, più equilibrato e trasparente il mercato, combattendo l’illegalità diffusa”49.
La Commissione europea ha affermato che: “in tutti gli Stati membri, le finanze pubbliche risentono della non dichiarazione del lavoro e delle perdite di gettito fiscale e di contributi sociali che ne derivano […] e che ciò crea un circolo vizioso in quanto il Governo aumenta le tasse per continuare a erogare i servizi, creando incentivi maggiori a lavorare nell’economia sommersa”.
Vi è un forte consenso nei riguardi di modelli d’intervento, caratterizzati dal forte sostegno nei riguardi di coloro che decidono di rientrare nella legalità: minore è la convenienza a ricorrere al sommerso, maggiore sarà il contrasto dello stesso.
Le politiche di emersione dell’economia sommersa si basano su un meccanismo di tipo promozionale, caratterizzato dall’associazione di un’azione repressiva del fenomeno ad alcuni benefici. Si cerca sia di intensificare l’attività di controllo degli organi di vigilanza e le azioni di repressione, sia di incoraggiare i datori di lavoro a non ricorrere al sommerso, rendendo più conveniente l’emersione del fenomeno50.
Nel corso degli anni, dunque, la lotta al sommerso è divenuta una priorità sia a livello nazionale sia europeo. Per la lotta al sommerso sono state utilizzate sia misure dirette, caratterizzate dai contratti di riallineamento, che hanno interessato tutto il periodo degli anni ’80 e ’90 e dai programmi di
49 SALA CHIRI, Gli interventi legislativi in tema di lavoro sommerso nel 2006, in Aa.Vv., Diritto e libertà. Studi in onore di Xxxxxx Xxxx’Xxxx, Torino, 2008, p. 1456.
50 GENTILE G., Il lavoro sommerso. Politiche di contrasto e vincoli comunitari, Napoli, 2010, pg. 29 e ss.
emersione, introdotti con la legge n. 383/2001, sia misure indirette51, volte allo sviluppo locale, alla lotta all’illegalità e all’inclusione sociale. Sono stati predisposti diversi interventi legislativi miranti ad incentivare le aziende che intendevano emergere e a potenziare l’attività ispettiva e di controllo.
Le politiche di emersione che sono state intraprese nel corso degli anni hanno reso evidente, però, l’assenza nel nostro paese di una definita strategia giuridica attraverso la quale contrastare tale fenomeno. Ciò è da ricollegare alla fragilità politica delle istituzioni, al continuo alternarsi dei governi che ha comportato strategie diverse, dettate da differenti ideologie. Il dubbio principale era se fosse opportuno intervenire con una politica di repressione o una di incentivazione all’emersione. I dati cui si è fatto riferimento nel primo capitolo mostrano come nessuno dei due interventi abbia avuto pieno successo. L’eccessiva repressione non ha raggiunto quei complessi meccanismi del sommerso a causa degli scarsi poteri di cui erano dotate le autorità di vigilanza52; l’incentivazione non è stata così convincente da far sì che i piccoli imprenditori comprendessero i vantaggi che l’emersione avrebbe comportato.
Oggetto di discussione è stata l’eccessiva regolamentazione del rapporto di lavoro. Il mercato si adegua al sistema delle leggi in vigore costituendo un sistema di regole che si oppongono a quelle statali. Con ciò non si intende dire che la regolamentazione del rapporto di lavoro è causa del sommerso. Il diritto del lavoro è fonte di tutela, però si è aperto un dibattito tra i giuristi, circa una deregolamentazione parziale del rapporto di lavoro. Da una parte c’è chi è contrario ad ogni tipo di alleggerimento sanzionatorio e normativo, sottolineando come un intervento di questo tipo è stato già fatto con le norme sulla flessibilità e l’orario di lavoro. Chi, invece, ne è favorevole, ritenendo che ciò sia necessario al fine di contrastare il lavoro sommerso,
51 XXXXXXX, Profili giuridici del lavoro sommerso, Xxxx, 0000.
52 BUSSINO, L’attività di vigilanza ispettiva contro il lavoro sommerso, Milano, 2000.
sostiene anche che l’attuale diritto del lavoro deve adeguarsi al nuovo quadro economico53.
I sostenitori dell’una e l’altra tesi sono concordi, però, nell’affermare che il contrasto al lavoro sommerso non deve essere caratterizzato da azioni isolate, ma, in contemporanea, devono essere attivate anche politiche finalizzate all’aumento degli investimenti e della produttività. Gli interventi devono essere distinti per settori e per aree geografiche; sono necessarie misure dirette all’alleggerimento del costo del lavoro, diminuendo sia le aliquote fiscali che la fiscalizzazione degli oneri sociali. La flessibilità del rapporto di lavoro è necessaria al fine di consentire un turnover dei dipendenti, così che soggetti con nuove competenze possano intervenire nelle modalità del lavoro e nella produzione.
2.1. Contratti di riallineamento: modello normativo e campo di applicazione
La lotta al lavoro sommerso, come enunciato nel paragrafo precedente, in questi anni si è mossa lungo due linee direttrici: la prima caratterizzata dalle misure dirette a promuovere le politiche di emersione dei lavoratori impiegati in nero e/o in grigio; la seconda volta a sostenere il sistema di vigilanza e della repressione dei comportamenti che ostacolano il contrasto al lavoro sommerso.
Innanzitutto ci occuperemo delle politiche di emersione che non hanno avuto effetti positivi, se non dal provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale.
Il primo istituto da esaminare è quello dei contratti di riallineamento, ma, prima di analizzarlo nello specifico, è opportuno fare una premessa con riferimento alla tutela previdenziale. L’intervento finanziario dello Stato alla
53 GENTILE G., Op. cit.
realizzazione della tutela previdenziale deriva da un dovere disposto dall’art. 3, secondo comma della Costituzione. L’art. 3 afferma il principio secondo cui: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Il reperimento dei mezzi necessari per il raggiungimento dei fini istituzionali degli enti previdenziali avviene attraverso il pagamento di contributi previdenziali da parte di alcune categorie di cittadini.
Innanzitutto, sono i datori di lavoro dei soggetti protetti a dover versare i contributi previdenziali, sulla base del fatto che, inizialmente, la tutela previdenziale riguardava solo i lavoratori subordinati riguardo al rischio professionale al quale erano esposti54.
Oltre ai datori di lavoro, anche i lavoratori subordinati sono tenuti al pagamento dei contributi previdenziali. Tuttavia, in questo caso la responsabilità dell’adempimento dell’obbligazione contributiva è sempre a carico del datore di lavoro, che ha poi diritto di rivalsa, esercitato tramite trattenuta sulle retribuzioni, nei confronti del lavoratore.
Con l’evoluzione del sistema previdenziale vi è stata l’estensione della tutela previdenziale ai lavoratori autonomi, a quelli parasubordinati, a progetto e a quelli che non sono lavoratori.
Il sistema di finanziamento della previdenza sociale è stato, poi, modificato con due provvedimenti legislativi: art. 1 della legge n.102 del 1977 e l’art. 18 della legge n. 1089 del 1968. Tali provvedimenti hanno disposto la fiscalizzazione degli oneri sociali e gli sgravi contributivi per le imprese industriali che impiegavano manodopera nel mezzogiorno. Lo scopo sotteso a tali interventi è di correggere gli effetti della recessione economica e di incitare l’occupazione nei territori del mezzogiorno. Tuttavia essi non
54 La dottrina tradizionale definisce il rischio come ogni evento che, con il suo verificarsi, comporti il sorgere del diritto alle prestazione previdenziali in capo ai soggetti protetti.
concorrono a realizzare la logica della sicurezza sociale, bensì hanno finalità di politica economica e, attraverso la riduzione del costo del lavoro, cercano di incrementare la competitività tra le imprese.
Il godimento degli sgravi contributivi e quello dei benefici della fiscalizzazione sono stati condizionati anche dalla “clausola sociale” che dispone l’erogazione ai dipendenti di un trattamento economico non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale. E’ stata perseguita la politica di sostegno all’azione sindacale che aveva avuto la sua prima espressione con l’art. 36 della legge 300 del 1970.
E’ opportuno porre l’accento sull’esistenza di un collegamento tra la politica economica, sociale e la politica del finanziamento dei regimi previdenziali, realizzata attraverso la contribuzione previdenziale, che è ravvisabile anche nella legge che detta la disciplina dei contratti di riallineamento e dalla disciplina concernente l’emersione del lavoro sommerso55.
I contratti di riallineamento sono stati disposti per soddisfare una serie di esigenze. Si è visto come il godimento degli sgravi contributivi e della fiscalizzazione determina anche l’erogazione di un trattamento economico non inferiore rispetto a quanto disposto nel Ccnl. Le imprese che non rispettavano le condizioni pocanzi indicate, non avevano diritto a questi benefici ed erano, inoltre, obbligate a restituire le somme riguardanti i benefici goduti indebitamente.
I contratti di riallineamento sono stati introdotti formalmente nel nostro ordinamento dalla legge 28 novembre 1996 n. 608 e avevano come obiettivo quello di favorire l’emersione del lavoro sommerso e salvaguardare i livelli occupazionali nelle aree deboli nel mezzogiorno. Essi prevedevano una riduzione della retribuzione rispetto agli standard fissati
55 PERSIANI M., Diritto della previdenza sociale, Padova, 2014, pg. 70-87.
dal Ccnl, con poi un successivo graduale riallineamento allo stesso contratto collettivo nazionale di lavoro.
La prassi del graduale riallineamento ai minimi retributivi previsti dal Ccnl inizia a manifestarsi dagli anni ottanta in alcune aree industriali periferiche. Questo processo è stato accelerato con la legge n. 40 del 1986 che ha disposto la concessione degli sgravi contributivi al rispetto dei trattamenti retributivi minimi fissati dalla contrattazione collettiva56.
Importante è la legge 389/1989 che subordinava alla condizione della corresponsione dell’ammontare contributivo il riconoscimento dei benefici della fiscalizzazione degli oneri sociali e degli sgravi, ad eccezione dei casi in cui i lavoratori delle stesse imprese:
a) non fossero stati denunciati agli istituti previdenziali;
b) fossero stati denunciati con xxxxx e/o giornate di lavoro differenti rispetto a quelle effettivamente prestate;
c) fossero stati retribuiti con retribuzione inferiori rispetto a quelle stabilite dalle leggi, regolamenti e dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali sul piano nazionale57.
L’art. 6 di tale legge apporta un temperamento alla condizione prevista dalla lettera c, al fine di incentivare l’emersione del lavoro sommerso, prevedendo che: “ per le imprese operanti nei territori indicati nell'art. 1 del testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218, e successive modifiche ed integrazioni, e nell'art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica 9 novembre 1976, n. 902, e successive modifiche ed integrazioni, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e sulla base di un programma graduale di riallineamento alle retribuzioni di cui all'art. 1,
56 XXXXXXXXX X., Il lavoro temporaneo e i nuovi strumenti di promozione dell’occupazione. Commento alla legge 4 giugni 1997, n. 196, Milano, 1997, pg. 472-474.
57 XXXXXXX G., La fiscalizzazione degli oneri e sgravi contributivi, Milano, 1989, pg. 94 ss.
comma 1, da verificare semestralmente, può essere sospesa, anche temporaneamente, la condizione prevista dalla lettera c) del comma 9. Tale sospensione è disposta con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, sentite le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative, nei limiti della spesa prevista dal presente decreto per la fiscalizzazione degli oneri sociali”. Dunque, con decreto del Ministero del Lavoro, poteva essere sospesa la previsione di una corresponsione al lavoratore di una retribuzione non inferiore a quella prevista dal Ccnl58.
Questa legge introduce una nuova fase, offrendo alle imprese operanti nei territori indicati per gli interventi del mezzogiorno, la possibilità di usufruire dei benefici relativi alla fiscalizzazione e agli sgravi contributivi, anche nel caso in cui non fosse stata applicata la retribuzione prevista dai Ccnl a condizione, però, di aderire ad un programma graduale di riallineamento ai Ccnl.
Tale intervento è finalizzato al contrasto del sommerso attraverso l’incentivazione, perché il legislatore ha presunto che l’erogazione di trattamenti economici inferiore rispetto alla contrattazione nazionale fosse determinata dalle difficoltà economiche delle imprese che avevano la possibilità di mantenere i livelli occupazionali solo attraverso una riduzione del costo del lavoro. Il legislatore ha ritenuto che, se quelle imprese fossero state escluse dai benefici di fiscalizzazione e sgravi contributivi, dovendo restituire i benefici goduti indebitamente, dovendo adempiere gli obblighi contributivi evasi, sarebbero entrate in crisi. Per ovviare a tale conseguenza l’articolo 2-bis della legge 210/1990, prima legge che disciplina la procedura d’accesso all’emersione, introduce un accordo provinciale
58 XXXXXXX G., Strumenti di emersione del lavoro sommerso: i contratti di riallineamento retributivo, in BIAGI M. (a cura di), Mercati e rapporti di lavoro. Commentario alla legge 24 giugno 1997 n. 196. Norme in materia di promozione dell’occupazione, Milano, 1997, pg. 343 ss.
stipulato dalle associazioni imprenditoriali e dalle organizzazioni sindacali locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, il cui compito è di attuare, in forme e tempi prestabiliti, programmi di graduale riallineamento dei trattamenti economici dei lavoratori ai livelli previsti dai predetti accordi nazionali e il verbale di recepimento sottoscritto dall’impresa e dalle parti che hanno stipulato l’accordo provinciale, condizione indispensabile per godere della sospensione della condizione di regolare applicazione contrattuale per accedere alla fiscalizzazione e agli sgravi. Dunque, da una parte i sindacati accettano delle deroghe temporanee ad alcune norme contenute nei Ccnl, dall’altra le aziende si mostrano propense ad uscire dalla condizione di illegalità in cambio di incentivi fiscali e contributivi59 e lo Stato, attraverso la concessione di tali inventivi, persegue una serie di obiettivi: riduce il danno cagionato alle casse pubbliche dall’evasione delle aziende irregolari; incrementa i livelli occupazionali ufficiali, giacché i lavoratori sommersi che emergono sono poi classificati nelle statistiche come veri e propri occupati60.
È associata ad un’azione repressiva una pratica negoziale che si articola su due livelli contrattuali, prevedendo l’integrazione tra un contratto collettivo provinciale di riallineamento e un verbale aziendale di recepimento61.
Questa prima stagione dei contratti di riallineamento non determina un bilancio positivo e per alcuni anni non vi sono state discussioni a riguardo,
59 LUCIFORA C., Economia sommersa e lavoro nero, Bologna, 2003, p. 119.
60GENTILE G., Op.cit.
61 Circ. INPS n. 55/2000, in Dir. Prat. Lav, 2000, n. 14, 1088 che definisce il modello di riallineamento come: “uno strumento finalizzato a realizzare programmi di graduale adeguamento dei trattamenti economici di fatto praticati dalle parti stipulanti a quelli indicati nei contratti nazionali di riferimento”.
anche se buona parte della dottrina si era mostrata favorevole a questa esperienza e le parti sociali avevano interesse al rilancio dell’istituto62.
A distanza di qualche anno, i contratti di riallineamento sono stati reintrodotti con una serie di decreti legge, più volte reiterati (da ultimo, art. 5 del d.l. 1 ottobre 1996 n. 510) ed infine convertiti dalla legge 28 dicembre 1996, n. 608, emanata anche dietro impulso di una sentenza della Corte Costituzionale che ha censurato l’uso della decretazione d’urgenza (Corte Cost., 24 ottobre 1996, n 630)63.
L’art. 5 della legge n.608/1996 introduce una sanatoria per le pendenze di natura contributiva e le relative sanzioni, prevedendo come condizione quella della sottoscrizione di un apposito verbale aziendale di recepimento. La legge dispone anche come base di calcolo dei contributi previdenziali e di assistenza sociale la retribuzione fissata dai contratti di riallineamento, in luogo di quella fissata dal Ccnl di riferimento, sicuramente più elevata. È ammessa, per una sola volta nel corso del periodo di riallineamento, la variazione dei tempi e delle percentuali del programma stabiliti nell’accordo provinciale, a condizione che la modifica sia sottesa ad un’oggettiva giustificazione dettata da eventi rilevanti e non prevedili e che l’intesa di aggiustamento sia sottoscritta dalle stesse parti stipulanti l’accordo.
62 Secondo XXXXXXX, TIRABOSCHI, I contratti di gradualità: dalle prime esperienze applicative alla Legge 28 novembre 1996 n. 608, Roma, 1997, l’insuccesso iniziale dei contratti di riallineamento è dovuto principalmente ai gravi problemi di rappresentatività del sindacato e delle associazioni imprenditoriali in determinate aree del Meridione. Inoltre, tali problemi devono ricollegarsi anche ad una “chiusura mentale” degli imprenditoria e, a volte, anche dei prestatori di lavoro interessati ai programmi di riallineamento. Dal punto di vista pratico-operativo sono sorti dei problemi per quanto concerne la brevità per la recezione degli accordi provinciali a livello aziendale ed, inoltre, per un orientamento dell’Inps, abbastanza rigido. L’Inps intendeva ottenere il pagamento di tutti i contributi arretrati, calcolati, però, sulla base del salario che sarebbe spettato, in teoria, ai lavoratori secondo quanto previsto dai contratti collettivi e non sulla base del salario che nella realtà essi percepivano.
63 XXXXXXX S., Disposizioni di materia di contratti di riallineamento retributivo, in GHERA E. (a cura di), Occupazione e flessibilità. Legge n. 196/1997 e provvedimenti attuativi, Xxxxxx, 0000.
Il contratto di riallineamento retributivo è il presupposto necessario per poter regolarizzare la posizione previdenziale e assicurativa dei lavoratori assunti irregolarmente, evitando di incorrere nelle sanzioni previste dalla legge per le violazioni commesse. La possibilità di accedere a tali contratti è stata estesa a tutte le imprese, comprese quelle dei settori terziari operanti nelle aree svantaggiate individuate dall’articolo 1 della legge 64/1986 in materia di interventi per lo sviluppo del Mezzogiorno64.
Tuttavia è mantenuta la delimitazione territoriale, infatti, i benefici del riallineamento possono essere concessi alle imprese operanti nel territorio del Mezzogiorno e i comuni di Rieti, i comuni compresi nelle zone del comprensorio di bonifica del fiume Tronto, i comuni della provincia di Roma, l’Isola d’Elba, i comuni dell’Isola del Giglio e Capraia Isola, i territori di Venezia insulare, le Isole della Laguna, il centro storico di Chioggia e le zone del comprensorio di bonifica di Latina65.
Dunque, i soggetti beneficiari d’incentivi fiscali e contributivi sono le piccole e medie imprese, operanti nella maggior parte dei casi al Sud, che recepiscano gli accordi provinciali di riallineamento retributivo66.
Inoltre, si attribuisce la possibilità di usufruire dello strumento anche alle aziende agricole che avevano già avuto dalla contrattazione collettiva la possibilità di avvalersene, anche se solo a fini meramente retributivi67.
64 L’art. 5, comma 1, della legge n. 608 del 1996 limitava l’ambito di applicazione delle disposizioni in materia di riallineamento retributivo alle sole imprese industriali e artigiane che operavano nei territori individuati dalla legge n. 64/1986. Successivamente, a seguito delle indicazioni emerse dall’accordo per il lavoro del 24 settembre 1996, recepite nel d.l. n. 1918 A.S. e dall’art. 23 della legge 24 giugno 1997, n. 196, la restrizione settoriale contenuta nel primo comma dell’art. 5 della L. 608/1996 è venuta meno e di conseguenza, vi è stata un’estensione dell’applicabilità dell’istituto a tutte le imprese.
65 XXXXXXX S., Disposizioni di materia di contratti di riallineamento retributivo, in GHERA E. (a cura di), Occupazione e flessibilità. Legge n. 196/1997 e provvedimenti attuativi, Xxxxxx, 0000.
66 LUCIFORA C., op.cit.
67 XXXXXXXXXXX X., I contratti di riallineamento, contratti d’area, patti territoriali, Xxxx, 0000.
La fattispecie si realizza con la stipulazione e recezione degli accordi di riallineamento, che devono essere stipulati a livello provinciale dalle associazioni degli imprenditori e dalle organizzazioni sindacali locali aderenti o collegate con le associazioni e organizzazioni nazionali di categoria che firmano i contratti collettivi nazionali di riferimento. In seguito, gli accordi devono essere recepiti attraverso la sottoscrizione di un verbale aziendale con le stesse parti che hanno stipulato l’accordo provinciale. Nel termine di 12 mesi dall’entrata in vigore della Legge n. 196/1997, devono essere rispettati tali adempimenti. L’accordo prevede un’autodenuncia congiunta del lavoratore e datore di lavoro. In tale autodenuncia deve essere indicato il periodo del sommerso e i lavoratori coinvolti. Si stabilisce, ai sensi dell’art 5 comma 4 l. 608/1996, come modificato dall’art.23, comma 1, lettera d, l. n. 196/1997, che la retribuzione fissata dai contratti di riallineamento non potrà essere inferiore al 25% del minimale contributivo di retribuzione giornaliera nella prima fase di applicazione del contratto di riallineamento. Nelle fasi pregresse la retribuzione non potrà essere inferiore al 50% a decorrere dalla data di recepimento del contratto fino a raggiungere il 100% entro 36 mesi dalla stipulazione del contratto. Il passaggio dal 50% al 100% dovrà essere demandato al contratto di riallineamento.
Tuttavia, poiché gli accordi stipulati inizialmente non avevano regolato la progressione temporale di adeguamento al minimale, si è resa necessaria l’adozione di un’integrazione della regolamentazione precedente. Il minimale giornaliero è determinato in base all’art. 2 della L. 389/1989 ed è pari al 50 % del trattamento minimo mensile di pensione vigente dal primo gennaio di ciascun anno nel Fondo Pensione Lavoratori Dipendenti. La normativa in questione ha chiarito che la disposizione concernente i minimali è di interpretazione autentica delle norme relative alla corresponsione retributiva e determinazione contributiva e dunque, per calcolare i contributi previdenziali ed assistenziali si dovrà fare riferimento
alle retribuzione fissate dal contratto di riallineamento non inferiori agli importi gradualizzati e non, quindi, al minimale intero, cioè agli importi delle retribuzioni inferiori che sono stabilite negli accordi di riallineamento68.
Entro trenta giorni dalla stipulazione gli accordi territoriali e aziendali devono essere depositati rispettivamente negli Uffici provinciali del Lavoro competenti e nella sede I.N.P.S. presso la quale l’azienda esegue gli adempimenti contributivi.
L’accordo ha una durata pari a quattro anni, durante i quali le retribuzioni dei lavoratori regolarizzati devono essere gradualmente riallineate con il livello minimo previsto dal CCNL.
Il provvedimento in questione prevede anche l’istituzione di una Commissione di vigilanza e monitoraggio e la creazione di Comitati regionali e provinciali con sede presso le Camere di Commercio, composti dalle parti sociali, con funzioni di sviluppo dell’emersione e tutoraggio per le imprese che intendono emergere.
Con i contratti di riallineamento si è aperto un dibattito riguardante la tenuta del modello rispetto ai principi costituzionali e in particolare rispetto all’art. 36 e 39 Cost.
Riguardo all’art. 39 Cost. l’opinione ricorrente ritiene infondata la questione d’illegittimità costituzionale, poiché l’istituto impone l’applicazione del contratto collettivo solo ai datori di lavoro che, liberamente, intendono attuare un programma di riallineamento e dunque non è lesa la libertà sindacale del datore di lavoro. La graduale applicazione della parte economica del contratto collettivo non è imposta dalla legge, ma condiziona
68 XXXXXXX X. Xxxxxxxxx di emersione del lavoro…Op. Cit. La norma prevede anche la possibilità di effettuare un accredito dei contributi figurativi ai fini del diritto e della misura della pensione, disponendo l’onere a carico del Fondo di cui all’art. 1 comma 7, L. n. 148/1993 convertito con modifiche in L. n. 236/1993, nel limite massimo delle risorse destinate a tale scopo.
il godimento dei benefici previsti dalla disciplina legale e il datore di lavoro può scegliere se applicare o no il contratto collettivo.
Tuttavia nei contratti collettivi provinciali sussistono alcune clausole che subordinano l’attuazione del programma di riallineamento all’adesione da parte delle imprese alle organizzazioni datoriali che hanno stipulato l’accordo e ciò potrebbe far sorgere un contrasto tra l’art. 39 e la disciplina dei contratti di riallineamento.
Per ovviare a tale conseguenza alcuni autori hanno anche suggerito un meccanismo alternativo di adesione all’accordo provinciale di recepimento: le imprese che intendono emergere possono manifestare la loro intenzione attraverso una comunicazione all’istituto previdenziale e all’Ufficio di lavoro e non, dunque con il verbale di recepimento69. Il legislatore ha, però, scartato questa ipotesi e ha disposto la convalidazione tramite verbale di recepimento 70.
In dottrina è sorto un dibattito anche in tema di giusta retribuzione, in altre parole sulla compatibilità della previsione di retribuzioni inferiori rispetto al minimo stabilito dal Ccnl con l’art. 36 Cost., che, con norma immediatamente precettiva, stabilisce che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione sufficiente.
I contratti provinciali di riallineamento prevedono l’immediata applicazione della parte normativa del contratto collettivo di riferimento e la graduale e parziale applicazione della parte economica. La previsione di una retribuzione inferiore rispetto ai minimi fissati dal contratto collettivo nazionale ha fato sorgere dei dubbi circa la legittimità del modello rispetto al principio costituzionale. Innanzitutto, occorre individuare la relazione che intercorre tra giusta retribuzione e contrattazione collettiva ed inoltre anche i criteri necessari per la determinazione di tale retribuzione.
69 XXXXXXXXXXX, Contratti di riallineamento, contratti d’opera, patti territoriali, Xxxx, 0000.
70 GENTILE G., op. Cit.
Il problema principale è ravvisabile nella definizione di giusta retribuzione. Secondo alcuni autori sarebbe opportuno dividere l’obbligazione retributiva in due parti: obbligazione sociale ed obbligazione corrispettiva. L’obbligazione retributiva sarebbe costituita da un minimo inderogabile del contratto di lavoro, in modo da garantite al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza dignitosa; l’obbligazione corrispettiva, invece, dovrebbe essere quantificata in sede di contrattazione collettiva, riguardo alla quantità e alla qualità del lavoro71.
Da ciò si deduce che la non coincidenza tra la retribuzione applicata e i minimi previsti dal Ccnl non è incostituzionale ed inoltre, il giudice, nel fissare la giusta retribuzione, utilizza come base le tabelle dei contratti collettivi, ma può anche discostarsi dalle stesse e far riferimento a parametri esterni (natura e caratteristiche dell’attività svolta).
Il dibattitto, però, era sorto soprattutto alla luce dell’orientamento espresso dalla Suprema Corte, secondo cui è precluso ai giudici di merito determinare la retribuzione equa e sufficiente in un importo che è inferiore rispetto ai minimi salariali fissati dalla contrattazione collettiva72.
La pronuncia della Corte faceva riferimento ad un caso di un’impresa agricola pugliese il cui titolare ai propri dipendenti erogava delle retribuzioni inferiori rispetto ai minimi disposti dal Ccnl, perché non iscritto all’associazione firmataria del contratto collettivo nazionale. Il giudice di merito ritenne che la mancata iscrizione all’associazione firmataria del Ccnl non fosse rilevante e non giustificava la corresponsione di una retribuzione
71 RICCI, La retribuzione equa e sufficiente nelle aree socio-economicamente depresse: la visione “socialmente avanzata della Cassazione”, Bologna, 1995
72 Sentenza n. 1903 del 1994, in Riv. Giur. Lav. 1994, II, 408, confermata dalla Cass. 4224/1997. Secondo questa sentenza erogare una retribuzione in misura inferiore rispetto ai minimi previsti dalla contrattazione collettiva, tenendo presente le condizioni locali del marcato del lavoro non è un’operazione giusta, poiché la norma costituzionale vuole proprio evitare che siano le stesse condizioni di un mercato depresso a dare la possibilità di sfruttare un lavoratore dipendente.
inferiore. Il giudice quantificò la retribuzione, prendendo come base di calcolo il contratto collettivo di settore. Tuttavia, non applicò lo stesso totalmente, ma riconobbe al datore di lavoro una decurtazione pari al 25 % a causa di elementi ambientali e territoriali, come la situazione socio- economica del paese.
La Corte ritenne infondata la motivazione del giudice di merito, perché in contrasto con l’art. 36 Cost. e, dunque, cassò la decisione del giudice applicando il 100% della tariffa prevista dal Ccnl.
La Corte così motiva la propria decisione: “la determinazione della giusta retribuzione in un importo inferiore rispetto ai minimi salariali della contrattazione collettiva non può comunque trovare motivazione nel richiamo a condizioni ambientali o territoriali, ancorché peculiari nel mercato del lavoro nel settore di attività cui appartiene il rapporto dedotto in giudizio, poiché il precetto costituzionale è rivolto ad impedire ogni forma di sfruttamento del dipendente, qualunque sia la ragione che tale sfruttamento rende possibile e, quindi, anche quando, secondo l’id quod plerumque accidit, esso trovi radice nella situazione socio-economica del mercato del lavoro”.
La dottrina prevalente73 concorda con l’orientamento della Corte Suprema, perché in tal caso è il giudice che discrezionalmente determina una retribuzione sufficiente, non rispettando quanto disposto dalla contrattazione collettiva che è una fonte più idonea, ai sensi dell’art. 36 e 39 della Costituzione, a fornire quelli che sono i criteri di tipicità sociali sui quali si basa la determinazione della retribuzione equa e sufficiente.
La situazione è, però, diversa in una sentenza dalla Cassazione più recente, dove la Corte, intervenendo su un caso simile, sostiene la legittimità della riduzione salariale disposta dal giudice di merito, perché dettata da condizioni familiari del lavoratore, da condizioni ambientali e territoriali,
73LISO F., XXXXXXXXX U., Il lavoro temporaneo, Milano, 1999
che prima erano state considerate insufficienti. Dunque da ciò la dottrina ritiene che la retribuzione inferiore rispetto ai minimi salariali fissati dal Ccnl, sia legittima se consentita in parte dalla legge e/o dalla contrattazione collettiva, in presenza di particolari condizioni ambientali e/o territoriali. In questo caso secondo la dottrina prevalente non sussiste alcun contrasto tra il minimo di retribuzione prevista e l’erogazione di una retribuzione inferiore al minimo salariale prevista dal Ccnl, anche qualora fosse stato stipulato un contratto di riallineamento, quindi non vi è un ostacolo all’autonomia collettiva nella fissazione di tariffe articolate per rispondere a particolari esigenze.
La legittimità dei contratti di riallineamento non deriva da un bilanciamento tra principio di sufficienza della retribuzione e diritto al lavoro. Infatti, è preferibile non far riferimento al bilanciamento, sia perché questo porterebbe a non considerare che la contrattazione collettiva, fissando le tariffe, opera sempre quel bilanciamento con le dinamiche dell’occupazione e sia perché andrebbe a giustificare qualsiasi patto peggiorativo della retribuzione che si dimostri alternativo alla perdita o alla mancanza del lavoro.
E’ opportuno rilevare che l’art. 36 della Cost. non pone alcun vincolo all’autonomia collettiva, perché è la stessa che determina il parametro di adeguamento della retribuzione.
Il legislatore consente all’autonomia collettiva di disporre delle retribuzioni differenti al fine di determinare la retribuzione imponibile e di fissare la retribuzione ai lavoratori sulla base delle condizioni territoriali, indice di riferimento per determinare la situazione di mercato a livello locale. In tal senso non sussiste un contrasto con l’art. 36 Cost. e dunque non può essere accolta la tesi dell’illegittimità dei contratti collettivi, giacché questi abilitano l’autonomia collettiva a prevedere salari ridotti in contrasto con il principio della retribuzione sufficiente stabilito all’art. 36 Cost. E’ l’autonomia collettiva a dover dare attuazione al principio costituzionale e
la stessa può muoversi liberamente, ad accezione del caso in cui sia disposta una disciplina legale inderogabile che fissi un salario minimo.
Non sussistono problemi neppure in riferimento al consenso del lavoratore che è incentivato sia dall’impegno del datore di lavoro ad aumentare gradualmente la retribuzione sino al raggiungimento dei minimi salariali fissati nel CCNL, sia dalla necessità di agevolare l’impresa che deve sopravvivere per conservarne l’occupazione74.
L’obiettivo che è posto con i contratti di riallineamento è di conseguire il ripristino della legalità e favorire il mantenimento dei livelli occupazionali. I contratti di riallineamento introducono deroghe, esclusivamente temporanee, ai minimi salariali previsti dal contratto nazionale al fine di conseguire l’emersione del lavoro sommerso. Va ribadito, però, che l’emersione dell’economia sommersa non è di agevole attuazione, a causa della sussistenza di un intreccio tra la disciplina lavoristica, previdenziale e fiscale. Non è possibile regolarizzare dal punto di vista previdenziale rapporti di lavoro totalmente celati o solo parzialmente irregolari senza che vengano a verificarsi al contempo violazioni agli obblighi del diritto del lavoro ed agli obblighi che datore di lavoro e lavoratori hanno nei confronti degli enti previdenziali e del fisco. Di conseguenza, per favorire l’emersione delle imprese sommerse, il legislatore ha consentito di realizzare lo scambio tra flessibilità salariale e promozione dell'occupazione attraverso una serie di incentivi di ordine previdenziale e fiscale.
2.2. Legge 448/1998 istitutiva del Comitato per l’emersione del lavoro non regolare
La legge 448/1998 con l’art. 78, intitolato “Misure organizzative a favore dei processi di emersione” ha disposto l’istituzione, presso la Presidenza del
74 XXXXXXXXX X., Il lavoro temporaneo e i nuovi strumenti di promozione dell’occupazione. Commento alla legge 4 giugno 1997, n. 196, Milano, 1997, pg. 484 ss.
Consiglio dei ministri, di un Comitato per l’emersione del lavoro non regolare. Il Comitato rappresenta la principale novità di carattere organizzativo-istituzionale di quegli anni75.
Tale Comitato ha funzioni di analisi e di coordinamento delle iniziative e, ricevendo direttive dal Presidente del Consiglio dei ministri cui risponde e riferisce, attua le iniziative ritenute utili a conseguire una progressiva emersione del lavoro irregolare, anche attraverso campagne di sensibilizzazione e d’informazione tramite i mezzi di comunicazione e nelle scuole; a valutare periodicamente i risultati delle attività degli organismi locali per l’emersione; a esaminare le proposte contrattuali di emersione formate dalle stesse Commissioni locali.
Il Comitato è composto da dieci membri nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, designati, rispettivamente, dal Presidente del Consiglio dei ministri, dal Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, due dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, dal Ministro delle finanze, dal Ministro per le politiche agricole, dal presidente dell'INPS, dal presidente dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), dal presidente dell'Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e dalla Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
Il Comitato riceve, su sua richiesta e nel rispetto dell’obbligo alla riservatezza, dalle amministrazioni pubbliche appartenenti al Sistema statistico nazionale (SISTAN), ivi comprese le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, le informazioni statistiche in loro possesso.
75 LUCIFORA C., Economia sommersa e lavoro nero, Bologna, 2000.
Il comitato, da luglio del ’99, si è adoperato per promuovere l’avvio dell’attività delle Commissioni regionali e provinciali, la cui costituzione era già disposta dall’art. 78 della legge n. 448/1998.
Le Commissioni regionali e provinciali svolgono funzioni di analisi del lavoro irregolare e sviluppo dell’emersione del lavoro sommerso da realizzare attraverso un’assistenza alle imprese al fine di consentire l’accesso al credito agevolato, alla formazione e alla predisposizione di aree attrezzate e tali funzioni rappresentano un prolungamento periferico dell’attività svolta dal Comitato nazionale. Le Commissioni hanno come obiettivo principale quello di rappresentare un punto di riferimento delle attività inerenti allo sviluppo locale e l’emersione, attraverso l’esercizio di una funzione d’indirizzo e coordinamento delle parti sociali, istituzioni e della società civile76.
Un ruolo importante è ricoperto dal “Tutore per l’emersione”, figura istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 novembre 2001, come supporto alle imprese. Il tutore per l’emersione agisce sia come elemento di giunzione tra centro e periferia a livello istituzionale, sia come promotore territoriale dello sviluppo e dell’emersione. Le Commissioni esercitano un’attività di accompagnamento alle imprese in collaborazione con i Tutori che svolgono funzioni di assistenza al momento della stipulazione del verbale aziendale di recepimento e hanno anche il compito di provvedere alla formazione imprenditoriale di piccole e medie imprese.
La figura del Tutore deve essere svolta da soggetti dotati di un’alta professionalità. Il Comitato nazionale deve esprimere parere favorevole in merito a tale figura e deve verificarne l’attività svolta. L’incarico, rinnovabile una sola volta, ha una durata di quindici mesi. Nel caso di
76 LUCIFORA C., op. Cit.
mancata costituzione della Commissione, gli incarichi e ogni altro provvedimento rivolto al Tutore spettano al Comitato nazionale.
Preme rilevare come, al contrario dei primi anni in cui l'attività del Comitato si è resa concreta maggiormente nell'elaborazione di proposte volte a orientare il lavoro del legislatore per favorire processi di emersione e monitorare le politiche implementate, successivamente ci si è orientati verso un'azione di dialogo con le istituzioni centrali e locali, con le parti sociali e con alcune agenzie governative (ICE, ISFOL, Istat) e private (Italia Lavoro) per promuovere accordi, azioni positive, progetti comuni al fine di contrastare il lavoro irregolare e favorirne l'emersione. Il Comitato ha anche partecipato ai tavoli per i rinnovi contrattuali di alcuni settori particolarmente "inclini" al lavoro irregolare (agricoltura, costruzioni, turismo) e ha sostenuto e siglato un protocollo d'intesa con l'ICE per la promozione della capacità esportatrice delle PMI del Mezzogiorno.
Gli interventi del Comitato sono stati attuati soprattutto a livello territoriale, perché si è ritenuto che ciò fosse indispensabile per implementare le politiche di emersione e diffondere la legalità e la promozione dello sviluppo che coinvolga istituzioni, rappresentanze sindacali e associazioni di categoria, università e centri di ricerca, nonché singoli imprenditori e lavoratori.
L’art. 79 della legge in esame disciplina le misure organizzative intese alla repressione del lavoro non regolare e sommerso. Per intensificare l’azione di controllo contro il fenomeno del lavoro non regolare, il Ministero del lavoro e della Previdenza Sociale, il Ministero delle finanze, l'INPS, l'INAIL e le aziende unità sanitarie locali, coordinano le loro attività in materia ispettiva e di controllo degli adempimenti fiscali e contributivi, anche attraverso la predisposizione di appositi programmi mirati, di specifiche iniziative formative comuni del personale addetto ai predetti compiti, nonché l'istituzione di unità operative integrate. Tali attività si compiono nelle aree territoriali ovvero nei settori di attività in cui il
fenomeno è maggiormente diffuso. Il D.M. 23 settembre 1999 ha istituito la “Commissione centrale di coordinamento dell’attività ispettiva”. Tale Commissione, in collaborazione con il Comitato per l’emersione del lavoro irregolare e le Commissioni locali, svolge la funzione di vigilanza sul lavoro sommerso e d’intervento in caso di inadempimento contributivo e fiscale77.
2.3. I piani di emersione: legge 18 ottobre 2001 n. 383
Dal 2001 è stata introdotta una nuova logica di contrasto al lavoro sommerso. Infatti, mentre prima di tale anno il contrasto al lavoro sommerso era caratterizzato da una logica negoziale in cui le parti sociali ricoprivano un ruolo principale, nel 2001 è l’imprenditore o il singolo lavoratore che può decidere di dichiarare l’emersione.
Questa “novità” è stata introdotta dall’art. 1 a 3 della legge n. 383 del 2001, la cosiddetta “legge dei cento giorni” e consente ai lavoratori e agli imprenditori, che dichiarino l’emersione, di poter ottenere incentivi fiscali e contributivi. Tali incentivi sono destinati a tutte le imprese sommerse su tutto il territorio nazionale ed inoltre è consentito alle imprese operanti nel Mezzogiorno di poter scegliere se far ricorso alla disciplina dei contratti di riallineamento retributivo o emergere tramite la dichiarazione di emersione78.
La dichiarazione di emersione deve essere presentata dall’imprenditore, in via telematica, alle autorità amministrative competenti ( in tal caso: Agenzia delle entrate). Il programma di emersione può essere attivato solo dietro impulso dell’imprenditore, anche se la legge consente ai singoli lavoratori
77 Circ. Min. Lav. n. 35/1999 e n.8/2000; circ. Inps n. 216/1999.
78 La legge 266/2002 consente ai datori di lavoro, che abbiano già utilizzato i contratti di riallineamento retributivo e che non abbiano, però, rispettato le cadenze temporali e le percentuali di adeguamento, possano, comunque, accedere all’emersione progressiva.
irregolari, qualora lo ritengano necessario, di “impegnarsi parallelamente”. Quando si parla d’imprenditori, non ci si riferisce solo agli imprenditori individuali, ma anche a tutti i titolari di redditi d’impresa di cui all’art. 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR): persone fisiche; società ed enti commerciali; enti non commerciali e le società di cui alle lettere c) ed e) dell’art. 87, sui lavoratori che sono impiegati in attività che producono reddito d’impresa. Sono stati esclusi i datori di lavoro che, ai sensi dell’art. 51 TUIR, non risultavano titolari di reddito di impresa e, ai sensi dell’art. 49 TUIR, non risultavano titolari di reddito di lavoro autonomo.
La dichiarazione di emersione poteva essere presentata nei riguardi di lavoratori subordinati, sia a tempo determinato sia indeterminato. Sono esclusi quei lavorati qualificati come lavoratori in nero a seguito di accertamenti ispettivi.
La dichiarazione di emersione del datore di lavoro e l’impegno dei lavoratori interessati all’emersione rappresentano il presupposto necessario per accedere al regime fiscale e contributivo previsto dalla legge, che si compone, a sua volta, di due ambiti d’intervento: uno concernente gli effetti sananti per il passato e l’altro relativo agli effetti incentivanti per il futuro. Tale regime è dunque, da una parte, diretto alla sanatoria delle irregolarità esistenti; dall’altra, è volto ad incentivare l’emersione attraverso un particolare regime di sostegno fiscale e contributivo, che viene applicato solo per l’anno relativo all’emersione ed i due anni successivi ( tre periodi di imposta)79.
Nella dichiarazione deve essere indicato, oltre al numero e alle generalità dei lavoratori emersi, anche il relativo costo del lavoro in misura non inferiore a quanto previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro di
79 XXXXXXX A., Incentivi all’emersione del lavoro sommerso e tecniche di accesso, pg 272 ss., in RUSCIANO M., Problemi giuridici del mercato del lavoro, Napoli, 2004.
riferimento. La dichiarazione può avere ad oggetto dichiarazioni anche solo parziali delle normative fiscali e previdenziali.
Una volta effettuata la dichiarazione di emersione, si provvede alla stipulazione tra le parti di un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato o anche parziale.
In alternativa alla procedura prevista dall’articolo 1 della legge in esame, gli imprenditori possono presentare al sindaco del comune dove ha sede l’unità produttiva un piano individuale di emersione per: “la progressiva regolarizzazione ed adeguamento agli obblighi previsti dalla normativa vigente per l’esercizio dell’attività, relativamente a materie diverse da quelle fiscale e contributiva, in un periodo non superiore a diciotto mesi, eventualmente prorogabile a ventiquattro mesi in caso di motivate esigenze”.
La legge n. 266/2002 ha istituito un organismo provinciale, cui destinare le dichiarazione progressive di emersione: il “Comitato per il lavoro e l’emersione del sommerso” (CLES)80.
I CLES si compongono di 16 membri e sono costituiti con nomina prefettizia in ogni provincia, presso la Direzione provinciale del lavoro. I membri del CLES agiscono in rappresentanza del Ministro del lavoro, del Ministro dell’ambiente, dell’INPS, dell’INAIL, delle ASL, dei comuni, della Regione, Prefettura ed associazioni sindacali e datorile comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. I compiti del CLES possono sintetizzarsi così:
- valutare la congruità delle proposte progressive di adeguamento agli obblighi di legge, formulando eventuali modifiche;
- valutare la fattibilità tecnica dei piani di emersione, verificandone la conformità ai minimi contrattuali previsti dagli accordi provinciali di riallineamento;
80 In passato il ruolo affidato al CLES era stato affidato al sindaco del comune ove ha sede l’unità produttiva dell’impresa interessata.
- disporre, entro sessanta giorni dalla loro presentazione, l’approvazione dei piani di emersione, secondo le linee generali del CIPE.
Come si è già accennato, sono i datori di lavoro a presentare i piani di emersione, anche se ad essi è consentita la possibilità di restare anonimi e consegnare il piano di emersione per mezzo di un professionista abilitato o un’organizzazione sindacale.
Il piano di emersione è suddiviso in quattro parti, che riguardano rispettivamente:
1) le proposte per la regolarizzazione delle violazioni diverse da quelle inerenti la materia fiscale e contributiva;
2) le proposte di progressivo adeguamento agli obblighi disposti dai Ccnl;
3) l’indicazione del numero e della retribuzione dei lavoratori da regolarizzare;
4) l’impegno di presentare una dichiarazione di emersione a seguito dell’approvazione da parte del CLES.
Nel momento in cui il CLES approva il piano di emersione, la regolarizzazione si considera avvenuta in maniera tempestiva, comportando l’eliminazione dei reati contravvenzionali e delle sanzioni relative alla violazione degli obblighi ( art. 1-bis, comma 10, legge 266/2002).
La legge n. 383/2001 all’art. 1 comma 7, per intensificare l’azione di contrasto all’economia sommersa, attribuisce al Comitato Interministeriale per la programmazione economica (CIPE) il compito di definire un piano straordinario di accertamento con il quale sono individuate le priorità di intervento coordinato ed integrato degli organi di vigilanza del settore.
La legge 383/2001 presenta notevoli differenze rispetto la disciplina dei contratti di riallineamento retributivo. Innanzitutto, mentre i contratti di riallineamento potevano essere applicati solo nelle aree del Mezzogiorno; il modello riguardante i piani di emersione, invece, è stato applicato in
maniera generalizzata, così da essere considerato un vero e proprio intervento di politica economica del paese.
Nei piani di emersione un ruolo centrale è svolto dal legislatore, infatti, le parti sociali hanno un ruolo marginale. La dichiarazione di emersione deve essere presentata dal datore di lavoro, che denuncia l’intera base imponibile derivante da un aumento del costo del lavoro riguardo ai rapporti regolarizzati. Tuttavia, la dichiarazione di emersione non offre vantaggi dal punto di vista retributivo, come accadeva con i contratti di riallineamento, bensì comporta vantaggi contributivi e fiscali.
Ciò si giustifica tenendo presente che il modello dell’emersione è stato finalizzato, più che ad un’emersione del lavoro sommerso, ad una emersione di una maggiore base imponibile, mediante la riduzione del carico fiscale81. Infatti l’imponibile sul quale sono state applicate le aliquote contributive sono state riferite alla retribuzione versata effettivamente dal lavoratore.
Si tratta di un regime che coinvolge, per lo più, le aziende che applicano trattamenti economici simili a quelli previsti dai Ccnl.
2.4 La riforma del Titolo V della Costituzione: il ruolo delle regioni nel contrasto al lavoro sommerso
E’ importante far riferimento anche alla riforma del Titolo V della Costituzione82, che ha riconosciuto un ruolo importante e crescente alle Regioni ed agli enti locali nella definizione e nell’attuazione di politiche attive del lavoro ed, in particolare, in riferimento al contrasto del lavoro
81 XXXXXXX, Incentivi all’emersione del lavoro sommerso e tecniche di accesso, Napoli, 2002, p. 104.
82 Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
sommerso. Tale riforma ha introdotto nel quadro normativo nuovi strumenti che sono messi in campo dalle regioni al fine di contrastare il fenomeno.
La riforma ha riorganizzato il sistema di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni disponendo che: “le materie espressamente riservate alla legislazione esclusiva dello Stato (articolo 117, comma 2) possono essere disciplinate solamente con legge dello Stato”.
La Corte Costituzionale ha disposto che, in materia di rapporto di lavoro, vigilanza e lavoro sommerso, la disciplina del rapporto normativo tra datore di lavoro e lavoratore rientra nell’ordinamento civile di competenza legislativa esclusiva dello Stato e non nelle materie di "tutela e sicurezza del lavoro", dove sussiste, invece, una competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni. A tal riguardo è opportuno rilevare come la materia di vigilanza sia finalizzata a promuovere l'osservanza della disciplina degli obblighi previdenziali, del rapporto di lavoro, del trattamento economico e normativo minimo e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Qualora dovessero verificarsi delle irregolarità o violazioni in materia, le sanzioni da applicare sono prettamente civilistiche o penali e rientrano nella sfera di competenza dello Stato, mentre ciò che si verifica sul piano esclusivamente amministrativo rientra nella competenza delle regioni e delle province autonome.
Le attività volte al contrasto del lavoro sommerso e del lavoro irregolare, rientrano in buona parte nell’ordinamento civile e si riflettono nell’ordinamento tributario e previdenziale, di competenza esclusiva dello Stato. Le norme di tali ordinamenti devono essere ricondotte a quelle che: "pongono alla potestà legislativa regionale il limite cosiddetto del diritto privato, fondato sull'esigenza, connessa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire l'uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati". Di conseguenza le misure di emersione del lavoro sommerso rientrano nei
processi di regolarizzazione di posizioni soggettive fiscali e previdenziali, di competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Le politiche di emersione regionale operano secondo due diverse linee giuridiche: la prima comporta l’utilizzazione di risorse del Fondo sociale europeo, che consentono, attraverso l’utilizzo degli strumenti finanziari, un’incentivazione dell’occupazione regolare e lo sviluppo sociale ed economico del Paese; la seconda, invece, inerente alla normativa regionale del mercato del lavoro, favorisce l’emersione del lavoro sommerso mediante l’attuazione di progetti specifici e l’utilizzo di modelli normativi diretti a promuovere l’occupazione (si pensi ai contratti di formazione- lavoro e di apprendistato) e sottesi a regolarizzare, indirettamente, i lavoratori sommersi 83.
Le singole regioni, in tal senso, hanno operato al fine di contrastare il lavoro sommerso, ponendo in essere dei progetti specifici volti in alcuni a casi a migliorare le condizioni di lavoratori immigrati, in altri casi, come nelle aree del Mezzogiorno, al fine di promuovere lo sviluppo economico e sociale di alcune aree particolarmente depresse.
Un esempio, a riguardo, può essere fatto prendendo in considerazione gli interventi POR. La regione Campania, nell’ambito del POR 2000-2006, ha disposto, formalmente, delle azioni volte a contrastare il lavoro sommerso, mediante l’utilizzo della Misura 3.12 “di sostegno all’imprenditorialità, al lavoro irregolare e all’emersione delle attività non regolari”84.
Tale misura ha come finalità quella di: “sensibilizzare gli imprenditori e i lavoratori in merito agli effetti derivanti dal fenomeno del lavoro sommerso in termini di deficit di competitività del sistema imprenditoriale e di
83 GENTILE G., Il lavoro sommerso, Napoli, 2010, p. 131 e ss.
84 XXXXXXXX M., XXXXXXX G., Le iniziative campane: soggetti, progetti e cornice regolativi, in RUSCIANO M., XXXXXXXX M. (a cura di), Lavoro sommerso in Campania. Linee di intervento, Napoli, 2006.
mismatching tra domanda e offerta nel mercato del lavoro e di segregazione professionale orizzontale e verticale in particolare per la componente femminile; realizzare una migliore circolazione delle informazioni in merito agli incentivi previsti per l’emersione del lavoro irregolare (contratti di riallineamento, incentivi fiscali, etc) e alle azioni promosse dal programma per il rafforzamento della competitività delle imprese e la crescita imprenditoriale; sviluppare percorsi individualizzati di consulenza e assistenza a favore degli imprenditori per la regolarizzazione della propria attività; promuovere l’accesso a servizi reali e di sostegno per le imprese che avviano percorsi di emersione”. In sintesi, gli obiettivi sono tre:
-“accompagnamento ai percorsi di emersione per gli imprenditori e servizi di supporto per l’applicazione degli strumenti per l’emersione;
- aiuti all’occupazione;
- informazione e sensibilizzazione sul territorio in merito alle opportunità e agli incentivi relativi all’emersione del lavoro irregolare”.
E’ stato adottato l’istituto del prestito d’onore, con la finalità di realizzare nuove imprese individuali, mediante un’attività di tipo promozionale85.
Sempre della Regione Campania è il progetto previsto dalla legge regionale
18 novembre 2009 n. 14 “ Testo unico della normativa della Regione Campania in materia di lavoro e formazione professionale”, che qualifica la lotta al sommerso come asse di intervento del programma economico generale86.
Particolarmente importante è il regolamento n. 8/2010 di attuazione della legge n.14 del 2009, che all’art. 18 promuove, concedendo contributi, le
85 L’iniziativa è stata attuata sia attraverso la formazione di soggetti dotati di capacità auto- imprenditoriali, sia provvedendo a finanziare l’iniziativa, con un contributo a fondo perduto e un’attività di tutoraggio durante il primo anno di attività.
86 XXXXXXXX M., Le iniziative legislative per la regolarizzazione dei rapporti di lavoro nella Regione Campania, in PINTO V. (a cura di), Le politiche pubbliche di contrasto al lavoro irregolare, Bari, 2007, p. 123.
imprese che fuoriescono dal sommerso, provvedendo anche a disporre dei contratti di formazione e/o assunzione dei lavoratori svantaggiati87.
2.5 Tentativo di regolarizzazione dei rapporti di collaborazione a progetto di cui agli art. 61 e ss. D.lgs. 276/ 2003
Come abbiamo visto in precedenza, il fenomeno del lavoro sommerso in Italia ha radici molto antiche ed è caratterizzato da condizioni di lavoro che non sono idonee in materia di sicurezza sul lavoro, né rispettano la regolarità contrattuale della prestazione lavorativa; conseguenza di tale fenomeno è l’incremento dell’evasione fiscale.
E’ opportuno ricordare la distinzione, fatta nel primo capitolo, in merito al lavoro nero, al lavoro grigio e al lavoro in elusione. Il lavoro nero si ha quando la prestazione lavorativa è completamente irregolare e dunque il lavoratore percepisce una retribuzione che non è dichiarata alle autorità pubbliche; il lavoro grigio, invece, riguarda un tipo di attività che è regolarizzata parzialmente e tale irregolarità risponde ad esigenze di convenienza; il lavoro in elusione è una tipologia di lavoro irregolare, legata ai contratti atipici e in quest’ultimo caso un esempio che merita particolare attenzione e che ha dato luogo a vari dibattiti è quello dell’occultamento di contratti di lavoro subordinato attraverso l’utilizzo di contratti di collaborazione coordinata e continuativa.
87 Così dispone l’art. 18 del regolamento n. 8/2010: “ la Regione privilegia, nell’erogazione dei contributi economico-finanziari previsti nell’ambito del Fondo per la Qualità del lavoro e nei limiti dei vincoli di bilancio, il sostegno alle imprese che hanno adottato il Piano di emersione di cui all’articolo 13 della legge n. 14/2009 o che intendano consolidare la propria posizione mediante: a) la realizzazione di specifici progetti di formazione; b) la realizzazione di investimenti per la creazione di nuovi posti di lavoro; c) l’assunzione di lavoratori svantaggiati e/o disabili; d) la creazione di posti di lavoro con incremento netto di occupazione rispetto alla media dei dodici mesi precedenti.”.
Una prima menzione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa si è avuta nella legge n.741 del 1959, c.d. legge Xxxxxxxxx, ai sol fine di promuovere l’emanazione di decreti legislativi, idonei a garantire minimi inderogabili di trattamento economico e normativo a tutti gli appartenenti alla medesima categoria 88.
E’ stata la legge di riforma del processo del lavoro, n. 533 del 1973, a focalizzare l’attenzione su questi rapporti.
La riforma del processo del lavoro ha modificato l’art. 409 del c.p.c., prevedendo al n. 3 l’estensione del rito del lavoro anche a: “ rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”.
Il lavoro subordinato rappresenta una fattispecie contrattuale unitaria, ma lo stesso non può dirsi per le collaborazioni coordinate e continuative, dette anche “xx.xx.xx”, dove non sussiste una fattispecie contrattuale unitaria. Le collaborazioni coordinate e continuative indicano le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa che sono comuni a rapporti di natura e origine differenti e a cui si applica la disciplina sostanziale del tipo cui si riferiscono le rispettive prestazioni.
Nella coordinazione, diversamente, dalla subordinazione le parti concordano le modalità di esecuzione della prestazione. Le modalità di esecuzione sono stabilite nel contratto e le parti si accordano anche circa la possibilità di modificare, di comune accordo, le stesse parti del contratto. Tuttavia nei fatti è il datore di lavoro che decide e impone le modalità di esecuzione del rapporto di lavoro, eludendo dunque un rapporto di lavoro subordinato.
Le collaborazioni richiedono autonomia e la prestazione deve essere connessa alle finalità che la controparte intende raggiungere, senza tradursi,
88 ROTONDI F., Diritto del lavoro e delle relazioni industriali, Milano, 2014.
ovviamente, in un assoggettamento alle direttive del datore di lavoro. Questi rapporti si differenziano dalla disciplina del lavoro autonomo di cui all’art. 2222 c.c., poiché in esse sono presenti gli elementi della coordinazione e della continuità. La continuità89 deve essere intesa nel senso di esecuzione di un’attività o ripetizione di più attività, ossia una serie di risultati collegati tra loro da un nesso di continuità. Essa ricorre quando la prestazione, che non deve essere meramente formale, si protrae in un intervallo lungo, implicando una reiterazione delle prestazioni90.
La coordinazione riguarda il collegamento funzionale tra l’attività del prestatore di lavoro e quella del committente e presuppone che l’attività del prestatore sia svolta in correlazione alle finalità cui ambisce il committente91. Mentre nel lavoro subordinato questo collegamento si realizza come esercizio del potere direttivo, nella locatio operis il lavoratore autonomo si obbliga alla realizzazione di una prestazione secondo le modalità di svolgimento di tempo e luogo decise autonomamente; nelle xx.xx.xx., il collaboratore si colloca in posizione funzionale rispetto all’ organizzazione del committente e dunque il legame che viene a realizzarsi è privo di vincoli gerarchici92.
Tra il 1973 e il 2003 vi è stata una proficua diffusione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e il motivo di tale diffusione è da ricondurre al minor costo degli stessi, per i quali era prevista una contribuzione del 10%, a fronte del 33 % dei rapporti di lavoro subordinando, assicurando comunque lo stesso servizio.
89 Secondo la giurisprudenza ( Cass. 19 aprile 2002, n. 5698, in Not. Giur. Lav., 2002, p. 620) la continuità si realizza nel caso in cui la prestazione non sia occasionale, ma perduri nel tempo e richieda un impegno costante del prestatore di lavoro nei confronti del committente.
90 ROTONDI F., Op. Cit.
91 Cass. 16 febbraio 2002, n. 5698, cit.; 20 agosto 1997, n. 7785, in Rep. Foro it., 1997, voce Lavoro e previdenza (controversie) n.49.
92 XXXXXXX-XXXXXXXXXX G., Diritto dei lavori e dell’occupazione, Torino, 2015, pp. 436 e ss.
Questa diffusione si è tradotta in un abuso dei rapporti di collaborazione e per contrastare tale abuso, il decreto legislativo n. 276/2003 ha tipizzato il lavoro parasubordinato, collegandolo ad un progetto e riconducendolo espressamente al lavoro autonomo. Il lavoro a progetto, con funzione anti fraudolenta, doveva avere come criterio selettivo, per contrastare l’uso fraudolento delle collaborazioni, un progetto. Tra le forme coordinate e continuative dovevano essere escluse quelle fraudolenti e dovevano essere selezionate solo quelle genuine, in modo tale che quelle genuine potessero essere ricondotte al nuovo tipo legale del lavoro a progetto, mentre quelle che non presentavano i requisiti richiesti erano convertite in un rapporto di lavoro subordinato. Tuttavia, il legislatore non dà una definizione del termine progetto e di conseguenza si realizza una sorta di “inutilità” dello stesso, perché il committente, cui è riconosciuto il potere di coordinamento ai sensi dell’art. 62 del d.lgs. 276/2003, non è in grado di distinguere tra collaborazioni in cui vi è il potere di coordinazione e collaborazione e quelle in cui, invece, sussiste un rapporto di subordinazione.
I rapporti di collaborazione a progetto avevano sollevato una serie di problemi cui si cercò di rimediare con la riforma del 2012. La legge 92/2012 ha introdotto un’importante novità circa l’interpretazione dell’art. 69 del d.lgs. 276/2003. Secondo tale interpretazione, l’individuazione di un progetto specifico rappresenta l’elemento di validità dl rapporto di collaborazione coordinata e continuativa e la mancanza dello stesso determina la riconduzione del rapporto al lavoro subordinato. Infatti, all’esito della Riforma Fornero e delle successive novità introdotte dalla legge n. 99/2013, sono considerati requisiti di validità del contratto: la forma scritta e la specificità del progetto. Qualora dovesse mancare il progetto, il contratto si qualifica subordinato a tempo indeterminato sin dall’inizio; è necessario che il progetto sia collegato al raggiungimento di un risultato finale. La riforma non ebbe i risultati sperati, infatti, non furono risolti i problemi sollevati dall’art. 61 e ss. e dunque il lavoro a progetto non
poteva essere più utilizzato come mezzo per contrastare l’uso fraudolento delle collaborazioni.
Il lavoro a progetto fu abrogato con la legge delega n. 183/2014 che estende la disciplina del lavoro subordinato anche alle “collaborazioni organizzate dal committente”. Il “Jobs Act” abroga gli art. 61-69 del d.lgs. n. 276 del 2003 che continuano ad applicarsi solo per quei contratti stipulati prima dell’entrata in vigore del decreto.
Il legislatore del 2015 ha abrogato il lavoro a progetto, poiché lo stesso non ha avuto l’effetto che si sperava e cioè quello di fungere da efficace criterio selettivo e inoltre, il legislatore, ha lasciato in vita i rapporti di collaborazione ex art. 409 n. 3 c.p.c e ha reso ancora più complesso il confine della subordinazione, perché l'art. 2 comma 1 del d.lgs. n. 81 applica la disciplina del lavoro subordinato ai rapporti di lavoro organizzati dal committente. L’art. 2 comma 1 del decreto 81 dispone che: “ a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.
In dottrina93 vi sono diverse posizioni: secondo un primo orientamento94, l’art.2 inquadra le collaborazioni coordinate e continuative nell'ambito del lavoro autonomo, dal momento che il legislatore parla di "collaborazione" e
93 x. XXXXXXX A., Autonomia, subordinazione, coordinazione nel d.lgs. n. 81 del 2015, Milano, 2016
94 x. XXXX T., In tema di Jobs Act. Il riordino dei tipi contrattuali, Roma, 2015,163; CARINCI M.T., All'insegna della flessibilità, in Carinci M. T., Xxxxx A. (a cura di), Jobs Act, Il contratto a tutele crescenti, Torino, 2015; MARAZZA M., Lavoro autonomo e collaborazioni organizzate nel Jobs Act, Milano, 2015. A favore della tesi che l’art. 2, comma 1, incida sul rapporto di lavoro subordinatp è l’espressione del legislatore: ”si applica anche ai rapporti che si concretino”; quindi, come se si volesse dire che il legislatore applichi la disciplina dei rapporti di lavoro subordinato anche ai rapporti che sono organizzati dal committente (XXXXXXX XXXXXXXXXX G., Diritto dei lavori e dell’occupazione, Torino, 2015, p. 443)
di "committente" e di conseguenza, estendere tali rapporti alla disciplina del rapporto subordinato sarebbe inutile se tali rapporti fossero già subordinati. Altri autori95 ritengono, invece, che le collaborazioni coordinate e continuative debbano essere ricondotte al rapporto subordinato, perché il fatto che una tipica disciplina si applichi in presenza di specifiche caratteristiche sta significare che quelle caratteristiche sono considerate dal legislatore come rivelatrici della fattispecie medesima.
Parte della dottrina ritiene che la norma in esame non abbia inciso sulla nozione di subordinazione, ma abbia rafforzato alcuni indici, elaborati dalla giurisprudenza, per poter qualificare il rapporto di lavoro come subordinato; indici che presi singolarmente non sono cruciali, ma, spesso, sono utilizzati insieme come ausiliari della prova di esercizio di un potere direttivo del datore di lavoro96.
95 PERRULLI A., Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioni organizzate dal committente, in WP CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, 2015, 272; e PESSI R., Il tipo contrattuale: autonomia e subordinazione dopo il Jobs Act, in WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, 2015, 282. A favore della tesi che ricollega i rapporti di cui all’art. 2 del d.lgs. 81/2015 è la disposizione di cui allo stesso art. 2, comma 2 del decreto 81, che individua tra i casi in cui non si applica il comma 1: “collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore”. Questa espressione deve essere interpretata come se non si applichi la disciplina di cui al comma 1 per le collaborazioni per le quali sono stipulati accordi collettivi, ma solo in riferimento al trattamento economico previsto dal Ccnl. La disciplina del lavoro subordinato, secondo tale ipotesi, sarebbe applicata solo laddove non sussistesse una specifica disciplina prevista dalla contrattazione collettiva (XXXXXXX XXXXXXXXXX G., Diritto dei …Op.Cit., p. 444).
96 XXXXXXX.XXXXXXXXXX G., Xxxxxx eterodiretto eteroorganizzato coordinato ex art. 409 n. 3 c.p.c., Roma, 2016, p. 95.
Una posizione intermedia è occupata, invece, da chi ritiene che la norma non abbia inciso sull’art. 2094 c.c., né abbia indentificato una fattispecie additiva del lavoro subordinato, bensì realizza una nuova figura che “gravita” tra la subordinazione e l'autonomia e che è ricondotta solo “quoad effectum” nell'ambito della subordinazione, che, però, può essere qualificata come tale, né può parlarsi di conversione automatica, né infine di presunzione assoluta di subordinazione 97. Infine vi è chi ritiene che il legislatore abbia nuovamente utilizzato la tecnica delle presunzioni assolute in funzione di facilitazione probatoria e argomentativa per chi agisce per vedere riconosciuta la subordinazione.
Emerge, comunque, l’obiettivo del Jobs Act che è quello di ampliare la fattispecie della subordinazione senza, tuttavia, modificare l’art. 2094 c.c.
Al di là di queste interpretazioni, è opportuno sottolineare come, a seguito dell’entrata in vigore del Jobs Act, a partire dal 1° gennaio 2017, sulle collaborazioni si applica una presunzione di subordinazione. Quindi se un rapporto di lavoro prevede prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative ed organizzate dal committente rispetto al luogo ed all’orario di lavoro, è da ritenersi subordinato.
Tale presunzione si applica alla presenza di 3 parametri:
- se la prestazione di lavoro è esclusivamente personale: ossia, quando il lavoratore autonomo non ha collaboratori e non può farsi sostituire;
- se la prestazione è continuativa: ossia, quando l'attività lavorativa prevede una durata e quando non è riferita a singole opere;
- se la prestazione è effettuata secondo modalità di esecuzione decise dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro, ovvero, quando il collaboratore lavora di fatto negli uffici dell'azienda e ha orari di lavoro prestabiliti.
97 PERRULLI A., Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate …Op. Cit., pg. 11-12.
2.6 Il lavoro occasionale accessorio come strumento di emersione del lavoro sommerso: ambito di applicazione e soggetti beneficiari
Un tentativo molto recente di emersione del lavoro sommerso si è avuto con l’introduzione dei buoni lavoro che rientrano nell’ambito del lavoro accessorio. Il lavoro accessorio è una forma di lavoro atipica, nel senso che non rientra nella disciplina contrattuale del lavoro subordinato. Esso è disciplinato dall’art. 48 del d.lgs. n.81/2015 ed è diretto a regolarizzare prestazioni di lavoro che altrimenti sarebbero svolte in nero, attraverso un tagliando acquistabile in carnet, i cosiddetti “voucher”.
“Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 7.000 euro nel corso di un anno civile, annualmente rivalutati sulla base della variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati. Fermo restando il limite complessivo di 7.000 euro, nei confronti dei committenti imprenditori o professionisti, le attività lavorative possono essere svolte a favore di ciascun singolo committente per compensi non superiori a
2.000 euro, rivalutati annualmente ai sensi del presente comma”..
I “voucher”, però, non potevano essere utilizzati da tutti, ma solo dai pensionati, studenti nei periodi di vacanza, percettori di indennità di disoccupazione NASPI, Cassa integrazione, mobilità, inoccupati, soggetti con contratto a tempo indeterminato full time o part time sempre che il lavoro accessorio non venisse svolto nei confronti dello stesso datore di lavoro, cittadini extracomunitari con permesso di soggiorno.
Il lavoro accessorio non richiedeva la stipulazione di un contratto di lavoro e le prestazioni potevano essere di tipo autonomo o subordinato. “Per ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio, i committenti imprenditori o professionisti acquistano esclusivamente attraverso modalità telematiche uno o più carnet di buoni orari, numerati progressivamente e datati, per
prestazioni di lavoro accessorio il cui valore nominale è fissato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, tenendo conto della media delle retribuzioni rilevate per le diverse attività lavorative e delle risultanze istruttorie del confronto con le parti sociali. I committenti non imprenditori o professionisti possono acquistare i buoni anche presso le rivendite autorizzate”( d.lgs.. 81/2015).
Il Decreto Ministeriale 30 settembre del 2005 ha fissato in euro 10 il valore nominale del buono. Il prestatore di lavoro veniva pagato proprio attraverso questo buono. Il 5% del valore nominale dello stesso veniva trattenuto dal concessionario, a titolo di rimborso, nella fase di pagamento. Il 13% e il 7% del buono dovevano essere versati alla gestione separata dell’INPS e all’INAIL. Dunque al prestatore di lavoro spettava la somma di 7,50 euro.
E’ opportuno sottolineare che per poter garantire un maggiore controllo ed evitare abusi, è stato introdotto un meccanismo che traccia le prestazioni di lavoro accessorio richieste dai committenti professionisti o imprenditori. Infatti, questi soggetti avevano il dovere di comunicare alla direzione territoriale del lavoro competente, prima dell’inizio della prestazione lavorativa, i dati anagrafici e il codice fiscale del lavoratore. Per fare ciò potevano essere utilizzati anche mezzi telematici, sms o posta elettronica ed inoltre doveva essere comunicato il luogo presso il quale la prestazione sarebbe stata svolta con riferimento ad un arco temporale non superiore ai trenta giorni.
I buoni sono stati introdotti nel 2003 traendo spunto dall'esperienza europea e con l’obiettivo di regolarizzare i cosiddetti "small jobs" (lavoretti) di studenti e pensionati: come il “baby sitting” o i piccoli lavori agricoli. Nel 2012 sono stati estesi a tutti i settori durante il governo di Xxxxx Xxxxx. Nel 2012 il Ministro del Lavoro è Xxxx Xxxxxxx. Nel 2016, durante il governo di Xxxxxx Xxxxx e dove Ministro del Lavoro è Xxxxxxxx Xxxxxxx, è stata introdotta la tracciabilità dei buoni lavoro con un decreto attuativo del Jobs Act.
Nel dicembre del 2016, nel governo di Xxxxx Xxxxxxxxx, è stata annunciata la possibilità di ridefinire il confine dell’uso dei Voucher. Tuttavia nel marzo del 2017 si è giunti all’abolizione degli stessi.
2.6.1. Le criticità inerenti al lavoro accessorio ed abolizione dei buoni lavoro
E’ opportuno far riferimento alle criticità emerse riguardo il lavoro accessorio, che hanno portato, poi, alla conseguente abolizione dei buoni lavoro.
Innanzitutto si riteneva che l’estensione dello stesso a qualsiasi prestazione lavorativa e la fissazione di un criterio distintivo prettamente economico, prescindesse dalla qualificazione del rapporto di lavoro, disciplinando senza distinzioni sia i rapporti di lavoro autonomi che subordinati. Ciò è giustificabile se teniamo conto del fatto che il lavoro accessorio è una normativa speciale. Tuttavia, perplessità sussistevano anche in riferimento a quelle prestazioni che, pur rientrando nei limiti economici indicati, erano in realtà prestazioni di lavoro subordinato, perché caratterizzate da un vincolo di subordinazione nell’osservanza delle direttive datoriali e di un preciso orario di lavoro full-time o part-time. Va ribadito che il lavoro accessorio non è un contratto di lavoro, infatti si parla di prestazione di lavoro accessorio e mai di contratto di lavoro. Esso non rientra nella disciplina di cui all’art. 1321 c.c.; manca, infatti, la volontà delle parti di costituire uno specifico rapporto giuridico-patrimoniale. Per il lavoro accessorio sono previsti degli adempimenti formali, come l’acquisto dei voucher, di cui si è parlato in precedenza. I voucher erano accettati come mezzo di pagamento da parte del prestatore di lavoro e ciò poteva essere considerato come una rinuncia, da parte dello stesso, ai propri diritti di lavoratore subordinato derivanti da disposizioni inderogabili di legge e dei contratti o accordi collettivi. Appare chiaro che il lavoro accessorio non ha una disciplina
compiuta e armonica con l’ordinamento giuridico attuale e di conseguenza sorgono molti problemi e dubbi riguardo ad esso.
In particolare, molte sono state le criticità sorte in riferimento ai buoni lavoro come mezzo per eludere prestazioni in nero. Dall’ultimo rapporto sull’attività di vigilanza del 2015 reso noto dal Ministero del Lavoro, è stato sottolineato che vi è stato un incremento degli accessi ispettivi rispetto al 2014 e il numero dei lavoratori in nero è risultato ridotto. Questa diminuzione del lavoro nero da una parte può essere considerata come una maggiore regolarità presente sul mercato del lavoro, ma allo stesso tempo non è da escludere che la diminuzione del lavoro irregolare, sia anche conseguenza dell’utilizzo dei buoni lavoro. Infatti, secondo il Ministero del Lavoro la flessione, rispetto al 2014, del numero dei lavoratori in nero scovati nel 2015 sarebbe anche connessa ad un effetto indotto dell'azzeramento dei costi contributivi legati alle assunzioni a tempo indeterminato o da un maggior utilizzo dei voucher, fattori che potrebbero aver inciso sulla convenienza a ricorrere a manodopera non regolare.
Nel 2015 i buoni utilizzati sono stati circa 115 milioni. Spesso si ricorreva all’utilizzo dei voucher per poter giustificare sul luogo di lavoro la presenza del lavoratore, che altrimenti avrebbe lavorato in nero, infatti poi il compenso dell’intera prestazione lavorativa avveniva con una retribuzione al nero. Dietro i voucher poteva celarsi la forma estrema del precariato, che rende ancora più incerti gli occupati e che crea un danno alle imprese oneste che usano le forme di lavoro previste dai contratti flessibili. E’ difficile individuare nelle imprese familiari e nei servizi le irregolarità, dunque l’unica garanzia è quella dell’onestà del personale. Si era venuto a creare un meccanismo di elusione nei rapporti di lavoro, economia sommersa e precariato. Tutto ciò ha portato la CGIL nel 2016 a lanciare una campagna referendaria sul lavoro, infatti era previsto che nel 2017 l’Italia sarebbe stata chiamata a pronunciarsi in un referendum sui buoni lavoro. Questo perché nel 2016 sono stati venduti circa 145 milioni di voucher e si riteneva
che con la crescita dell’utilizzo di questi buoni, si venisse a verificare anche un aumento degli abusi. E’ opportuno sottolineare che da una parte c’era chi sosteneva che nella maggioranza dei casi i voucher erano usati correttamente per prestazioni occasionali. Chi invece si opponeva all’utilizzo di questi buoni, sosteneva che questo fenomeno incentivava il lavoro nero; si pensi ad un datore di lavoro che nel suo ristorante abbia dato ad un cameriere un voucher per tre ore di lavoro e per le restanti ore lo abbia invece pagato in nero, così da regolarizzare, almeno in parte, la prestazione lavorativa.
Tuttavia la Commissione Lavoro della Camera il 16 marzo 2017 ha approvato l'eliminazione totale dei buoni lavoro votando a favore dell'emendamento che abroga gli articoli 48, 49 e 50 del Jobs Act, dedicati al lavoro accessorio su "definizione e campo di applicazione"; "disciplina del lavoro accessorio" e "coordinamento informativo a fini previdenziali". L'emendamento prevede anche un periodo transitorio - fino al 31 dicembre 2017 - in cui si potrà continuare ad utilizzare i buoni lavoro già acquistati. Il Consiglio dei Ministri ha tradotto in decreto questa decisione della Commissione, di conseguenza, dall'entrata in vigore dello stesso, i buoni lavoro non potranno più essere venduti. Dunque la maggioranza parlamentare ha scelto di affrontare la questione dei buoni lavoro e di evitare il referendum promosso dalla Cgil. Tuttavia forse sarebbe stato opportuno, più che abolire questo strumento, incrementare il controllo circa l’utilizzo degli stessi, assicurarne la tracciabilità con specifiche procedure certificate per verificare che essi fossero adottati regolarmente e non per eludere una prestazione di lavoro nero e limitarne il campo di applicazione solo per determinati settori.
3. Attività ispettiva e regime sanzionatorio
L’attività ispettiva è un procedimento di natura istruttoria che ha origine nei primi anni del novecento ed è stata oggetto di diverse riforme, dalla “Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro, a norma dell'articolo 8 della Legge 14 febbraio 2003, n. 30”, dalla direttiva del Ministro del lavoro del 18 settembre 2008 , c.d. “Xxxxxxxxx Xxxxxxx”, con cui sono state impartite disposizioni ben specifiche per il personale ispettivo, inerenti alle modalità di programmazione e svolgimento dell’attività ispettiva, fino al d.lgs. 14 settembre 2015, n. 149 “Disposizioni per la razionalizzazione e la semplificazione dell'attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale, in attuazione della Legge 10 dicembre 2014, n. 183” (Jobs Act), che detta delle regole per la costituzione dell’Agenzia Unica per l’Ispezione.
Il d.lgs. 124/2004 ha riformato i servizi ispettivi in materia di lavoro e previdenza sociale in conformità a quattro direttive:
- razionalizzazione e coordinamento dell’attività ispettiva;
- accostamento dell’attività di tipo repressivo e sanzionatorio a quella di tipo promozionale e di prevenzione;
- ridefinizione dei poteri in capo agli ispettori e alle direzioni provinciali di lavoro;
- accrescimento delle competenze delle risorse umane e adeguamento degli strumenti di supporto.
Per quanto riguarda la razionalizzazione e la semplificazione dell’attività ispettiva, viene a realizzarsi un modello di tipo piramidale, al cui vertice si colloca il Ministero del Lavoro e sotto al quale si collocano da un lato, gli organismi di direzione e coordinamento delle attività ispettive, dall’altro organismi tecnici di supporto di composizione collegiale. Gli organismi di direzione e coordinamento impartiscono direttive dall’alto verso il basso,